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da G.Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999 1 Cap. I La logica fregeana -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 1. Introduzione 2. La logica enunciativa 2.1. I connettivi 2.2. Leggi, regole, deduzione 3. La logica dei predicati del I ordine 3.1. Assiomatizzazione 3.2. Alcune osservazioni 3.3. Questioni semantiche -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 1. Introduzione Al giorno d'oggi, usualmente la logica è considerata quale disciplina autonoma che per alcuni appartiene alla matematica e altri alla filosofia. Tuttavia, a parte tale questione che riteniamo del tutto vuota, essa dovrebbe anche continuare a essere intesa come lo era fin dalle sue origini, ovvero quale strumento per il corretto ragionamento, quale organon, per recuperare un termine appartenente alla tradizione aristotelica. Ed è proprio in questo senso che noi presenteremo alcuni elementi di logica. Non siamo qui, infatti, interessati alla logica in quanto tale, in quanto disciplina autonoma che in questo secolo ha visto un fiorire inaspettato di studi, quanto quale strumento indispensabile del filosofo della scienza. Ecco allora che la logica diventa il metodo logico della filosofia della scienza. Tuttavia, pur partendo da questo punto di vista, non concordiamo affatto con quei medievali che sostenevano che purus logicus est asinus. Esattamente come il fisico considera la matematica uno strumento necessario, ovvero come metodo matematico della fisica, così vorremmo che il filosofo della scienza considerasse la logica. Da questo punto di vista, a chi si occupa di filosofia della scienza non serve sapere tutto ciò che in logica è stato fatto né in estensione (ci stiamo riferendo alla grande pluralità di logiche diverse), né in profondità (ormai quasi ogni logica ha una letteratura vastissima che affronta precisi temi con analisi estremamente sofisticate). Riteniamo però che chi voglia addentrarsi nelle problematiche epistemologiche debba necessariamente conoscere e padroneggiare “qualche” elemento di logica classica, a cui abbiamo dedicato i §§ 2, 3, e 4, e di logica modale, a cui abbiamo dedicato il § 5. Abbiamo detto che qui mostreremo i metodi logico-formali della filosofia della scienza, ovvero quei metodi che consentono di correlare correttamente fra loro due enunciati scientifici, ovvero che consentono di capire qual è la correlazione fra gli enunciati di una teoria scientifica (cfr. Riquadro 1). In questo senso, i metodi logico-formali della filosofia della scienza hanno a che fare con il modo con cui da certi enunciati scientifici (premesse) si arriva a certi altri enunciati scientifici (conclusioni), ovvero con la struttura del ragionamento sotteso alle teorie scientifiche. A proposito di enunciati , proposizioni, asserzioni, giudizi Sia in questo capitolo che nei seguenti, useremo sempre il termine 'enunciato'. Vi è comunque da tenere presente che bisognerebbe distinguere fra 'enunciato', 'proposizione', 'asserzione' e 'giudizio':

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da G.Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999

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Cap. I

La logica fregeana

-------------------------------------------------------------------------------------------------------- 1. Introduzione 2. La logica enunciativa

2.1. I connettivi 2.2. Leggi, regole, deduzione

3. La logica dei predicati del I ordine 3.1. Assiomatizzazione 3.2. Alcune osservazioni 3.3. Questioni semantiche

--------------------------------------------------------------------------------------------------------

1. Introduzione Al giorno d'oggi, usualmente la logica è considerata quale disciplina autonoma che per

alcuni appartiene alla matematica e altri alla filosofia. Tuttavia, a parte tale questione che riteniamo del tutto vuota, essa dovrebbe anche continuare a essere intesa come lo era fin dalle sue origini, ovvero quale strumento per il corretto ragionamento, quale organon, per recuperare un termine appartenente alla tradizione aristotelica. Ed è proprio in questo senso che noi presenteremo alcuni elementi di logica. Non siamo qui, infatti, interessati alla logica in quanto tale, in quanto disciplina autonoma che in questo secolo ha visto un fiorire inaspettato di studi, quanto quale strumento indispensabile del filosofo della scienza. Ecco allora che la logica diventa il metodo logico della filosofia della scienza. Tuttavia, pur partendo da questo punto di vista, non concordiamo affatto con quei medievali che sostenevano che purus logicus est asinus. Esattamente come il fisico considera la matematica uno strumento necessario, ovvero come metodo matematico della fisica, così vorremmo che il filosofo della scienza considerasse la logica.

Da questo punto di vista, a chi si occupa di filosofia della scienza non serve sapere tutto ciò che in logica è stato fatto né in estensione (ci stiamo riferendo alla grande pluralità di logiche diverse), né in profondità (ormai quasi ogni logica ha una letteratura vastissima che affronta precisi temi con analisi estremamente sofisticate). Riteniamo però che chi voglia addentrarsi nelle problematiche epistemologiche debba necessariamente conoscere e padroneggiare “qualche” elemento di logica classica, a cui abbiamo dedicato i §§ 2, 3, e 4, e di logica modale, a cui abbiamo dedicato il § 5.

Abbiamo detto che qui mostreremo i metodi logico-formali della filosofia della scienza, ovvero quei metodi che consentono di correlare correttamente fra loro due enunciati scientifici, ovvero che consentono di capire qual è la correlazione fra gli enunciati di una teoria scientifica (cfr. Riquadro 1). In questo senso, i metodi logico-formali della filosofia della scienza hanno a che fare con il modo con cui da certi enunciati scientifici (premesse) si arriva a certi altri enunciati scientifici (conclusioni), ovvero con la struttura del ragionamento sotteso alle teorie scientifiche.

A proposito di enunciati , proposizioni, asserzioni, giudizi

Sia in questo capitolo che nei seguenti, useremo sempre il termine 'enunciato'. Vi è comunque

da tenere presente che bisognerebbe distinguere fra 'enunciato', 'proposizione', 'asserzione' e 'giudizio':

da G.Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999

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1. l'enunciato (pronuntiatum, sentence, Aussagen) è l'espressione linguistica di cui è possibile parlare in termini di verità o di falsità ("Nevica", "Il neige", "Es schneet", "It is snowing");

2. la proposizione (propositio, proposition, Satz) è ciò che è invariante rispetto alle varie espressioni linguistiche di un enunciato (è il "contenuto" cognitivo degli enunciati esemplificati nel punto 1);

3. il giudizio è l'atto mentale con cui si giudica la proposizione, o, per i medievali, esso è l'atto mentale la cui traduzione logica è la proposizione;

4. l'asserzione è l'atto con cui si dichiara la verità o la falsità di un enunciato; tenendo conto di ciò, in alcuni lavori di logica (ad esempio in quelli di G. Frege, A. N. Whitehead e B. Russell) vi è anche una distinzione grafica fra enunciato e asserzione, dove la seconda è indicata dalla presenza del segno |- (ad esempio, se l'enunciato "p e q" è indicato simbolicamente con p∧q, allora |- p∧q indica l'asserzione di p∧q. Si faccia attenzione a non confondere il segno di asserzione con il segno, identico, di conseguenza sintattica che incontreremo in questo capitolo.

Relativamente alla definizione di 'enunciato' che abbiamo dato, va notato essa non è affatto pacifica anche se è la più intuitiva. Inoltre, per essere sinceri, non abbiamo dato la definizione di 'enunciato', quanto quella di 'enunciato dichiarativo', ossia di quella classe di enunciati con cui maggiormente ha a che fare la filosofia della scienza. Talvolta, le analisi epistemologiche devono affrontare anche enunciati modali ("E' necessario che tu venga") e imperativi ("Vieni qui!"), mentre pressoché mai enunciati ottativi ("Vorrei che tu fossi qui") e interrogativi ("Dove sei?"). Da ultimo, va distinto un enunciato singolare che è un enunciato non quantificato ("Mario piange"), da un enunciato quantificato universale ("Tutti gli uomini piangono) o esistenziale ("Qualcuno piange"). Si noti che quando parleremo degli enunciati categorici aristotelici incontreremo gli enunciati particolari ("Qualche greco è calvo") che non devono essere confusi, come vedremo, con gli enunciati esistenziali, o per lo meno con un certo modo di intendere gli enunciati esistenziali. Con ‘enunciati categorici aristotelici’, o semplicemente ‘enunciati categorici’ intenderemo enunciati che hanno a che fare con classi, nel senso che affermano o negano relazioni di inclusione o di di intersezione fra classi (“Tutti i cavalli sono mammiferi”, “Qualche spartano è non coraggioso”, ecc.). A proposito degli enunciati categorici, vedi nel Riquadro 2 la logica dei termini.

Riquadro 1

Prima di iniziare l’esposizione dei metodi logici della filosofia della scienza è comunque doveroso fare alcune ulteriori precisazioni.

Affrontare la logica classica e la logica modale comporta, come detto, affrontare un esempio di logica estensionale (la prima) e un esempio di logica non-estensionale (la seconda). Con logica estensionale si intende una logica (o, meglio, quell'insieme di logiche) ove il valore di verità degli enunciati composti, o molecolari, è funzione dei valori di verità degli enunciati componenti che, se a loro volta non sono composti, sono detti enunciati atomici, o elementari. Comunque, sia nel caso della logica classica che della logica modale, siamo in presenza di logiche a due valori, ovvero logiche dove gli enunciati possono avere solo due valori di verità: il Vero o il Falso. Da quanto detto, è intuibile che ci siano logiche, di cui non ci occuperemo, a più valori (logiche polivalenti).

In quanto segue, bisognerà porre attenzione alla differenza fra sintassi e semantica e alla differenza fra linguaggio (teoria) e metalinguaggio (metateoria). Mentre la sintassi si occupa unicamente della relazione fra i simboli, la semantica tiene in considerazione il valore di verità degli enunciati. E questo sia nel senso che essa ha per oggetto la verità o falsità degli enunciati, sia nel senso che ha per oggetto la relazione fra la verità di un enunciato e il suo rendere conto o meno di certi aspetti della realtà. In questo secondo caso, essa ha anche a che fare con il significato degli enunciati (cfr. cap. III).

Invece la differenza fra linguaggio e metalinguaggio, o fra teoria e metateoria, è data dal fatto che il metalinguaggio è il linguaggio usato per parlare del linguaggio(-oggetto), e che la metateoria è una teoria usata per parlare sulla teoria.

Vale ora la pena ricordare che il termine 'logica' non è aristotelico anche se Aristotele fu il primo a sistematizzare questa disciplina, come si può evincere dallo studio dei suoi lavori che i medievali hanno raccolto in ciò che, non accidentalmente, hanno chiamato Organon, ossia Categorie, Dell'espressione, Primi analitici, Secondi analitici, Topici, Confutazioni sofistiche. In

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realtà, il termine 'logica' nel senso contemporaneo prese piede solo dal XIII sec. e da allora convisse con 'dialettica' fino al XIX sec., quando poi divenne l'unico termine per designare lo studio delle inferenze corrette.1

Comunque, anche se si fa risalire ad Aristotele la scienza della logica, in realtà la sua logica, detta logica tradizionale, o logica dei termini (cfr. Riquadro 2) è, con le debite precisazioni che vedremo, un sottoinsieme della logica dei predicati del I ordine non contenente la logica enunciativa. In effetti, la logica enunciativa, e quindi lo studio dei connettivi, fu iniziato tempo dopo dai megarici (Euclide di Megara, Eubolide di Mileto, Diodoro Crono, Filone il Megarico, ecc.) e dagli stoici (soprattutto Crisippo).

A questo proposito, già da ora conviene sottolineare l’importanza della disputa che avvenne entro la scuola megarico-stoica intorno alla corretta interpretazione di un elemento logico centrale, ossia l'implicazione. La disputa, che vide Filone, Diodoro Crono e Crisippo su posizioni diverse, è così descritta negli Schizzi pirroniani da Sesto Empirico: «E invero, Filone dice essere sana la connessione che non comincia dal vero e finisce nel falso, come questa (dato che sia giorno ed io discorra): "se è giorno, io discorro". Diodoro, invece, quella che né ammise né ammette di cominciare dal vero e finire nel falso. Secondo lui la connessione citata ha l'aria di essere falsa, perché, se è giorno ed io sto zitto, la connessione, cominciando dal vero, finisce nel falso; mentre è vera questa: "se gli elementi delle cose non sono indivisibili, gli elementi delle cose sono indivisibili"; poiché, partendo da ciò ch'è sempre falso, "gli elementi delle cose non sono indivisibili", finisce nel vero (secondo lui), "gli elementi delle cose sono indivisibili". Quelli, poi, che si preoccupano della coerenza, dicono essere sana la connessione quando il contrario di ciò che in essa consegue, contrasta con ciò che in essa precede. Secondo costoro, le connessioni sopra dette saranno viziose, e sarà, invece, vera questa: "se è giorno, è giorno"» (II, 10, 110-111). La posizione filoniana ha a che fare con quella che ora si chiama implicazione materiale (che incontreremo fin dalla presentazione della logica enunciativa); quella di Diodoro Crono sarà ripresa all'interno della logica temporale (che non considereremo); infine quella di Crisippo ha a che fare con ciò che ora è chiamata implicazione stretta (che vedremo nel paragrafo sulla logica modale).

1 A dire il vero, comparve anche il termine ‘logistica’, ora in disuso.

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A proposito della parola 'termine'

1. Ci sono autori che con 'temine' intendono ogni singolo elemento dell'enunciato

indipendentemente dalla sua natura grammaticale ('il', 'sole', 'bianco', 'esistere', ecc.) o del discorso. In questo caso, dobbiamo distinguere fra termini categorematici (o semantici), ovvero quelli in sé dotati di senso (nomi, verbi, aggettivi, enunciati stessi, ecc.) e termini sincategorematici (o sinsemantici), ovvero quelli in sé non dotati di senso, ma che lo acquistano collegandosi (sin) con quelli dotati di senso (articoli, preposizioni, congiunzione, ecc.). I termini sincategorematici possono tuttavia mutare il significato ai termini con cui sono connessi (naturalmente, devono essere connessi correttamente, ovvero secondo le regole della sintassi del linguaggio in questione).

2. Ci sono autori che con 'termine' intendono sia i) i nomi propri ('Mario'); sia ii) i designatori di classi con estensione unitaria ('Venere' nel senso del termine designante la classe individuata dal predicato fregeano 'non essere altro che Venere') o molteplice ('Pianeta', 'numero pari'); in questa accezione alcuni distinguono fra termini singolari (nomi propri, nomi di elementi di una classe) e termini collettivi (nomi di classi).

3. Ci sono autori che con 'termine' intendono solo i designatori di classi, a prescindere dall'estensione.

4. Ci sono autori che con 'termine' intendono solo i designatori di classi con estensioni non unitarie. E' in tal senso che si parla di logica dei termini

Riquadro 2

In questo capitolo, visto che ci occuperemo di metodi logico-formali della filosofia della scienza, non affronteremo un punto nodale per l'interpretazione filosofica della logica, ossia che cosa essa sia da un punto di vista gnoseologico: è la prescrizione o la descrizione delle leggi del corretto ragionamento? o lo è del corretto ragionare? è mera costruzione di linguaggi artificiali in cui certi enunciati vengono correlati con altri in certi modi dipendenti dal particolare sistema logico? Insomma, qual è la relazione fra logica e pensiero?

2. La logica enunciativa

La logica enunciativa (o proposizionale) si occupa unicamente di certe connessioni fra enunciati senza preoccuparsi della struttura interna degli enunciati stessi.

2.1. I connettivi

Nel caso della logica enunciativa, che abbiamo detto essere estensionale, dati due enunciati, essi possono essere connessi in molti modi e il risultato della connessione è un nuovo enunciato il cui valore di verità è funzione del valore di verità degli enunciati componenti e del modo in cui li si è connessi. Risulta allora molto importante capire come la verità dell'enunciato finale dipenda dal (sia funzione del) valore di verità degli enunciati componenti a seconda dei vari termini sincategorematici con cui essi possono essere connessi. Chiamiamo connettivi (o connettivi logici vero-funzionali, o funtori di verità, o operatori, o costanti logiche) tali termini sincategorematici.

Si noti che, in base a questa definizione, non tutti i connettivi grammaticali sono connettivi logici vero-funzionali come, ad esempio, non lo sono 'perché' (causale o finale) e 'ma'. D'altro canto, non tutti i connettivi logici sono connettivi grammaticali. Segnatamente il connettivo logico 'non' non è un connettivo grammaticale vero e proprio in quanto non connette un enunciato con un altro, ma modifica il valore di verità dell'enunciato a cui è associato.

Riflettendo sulla differenza fra il 'non' e gli altri connettivi logici, come ad esempio 'e', 'o', 'se ... allora ...', ci si rende conto che possiamo avere connettivi monadici (o singolari, o unari)

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aventi a che fare con un unico enunciato, e connettivi diadici (o binari) aventi a che fare con due enunciati.2

Abbiamo detto che un enunciato può essere vero o falso. Ora vi sono tre modi per rendere questo fatto in simboli:

1. usando il simbolo 1 per il valore vero e 0 per il valore falso; 2. usando la lettera iniziale delle parole 'vero' e 'falso' nelle varie lingue: a. V (vero) e F (falso) per l'italiano (è la notazione che useremo); b. T (true) e F (false) per l'inglese; c. W (wahr) e F (falsch) per il tedesco; d. ecc. 3. usando un simbolo per il vero e un simbolo per il falso (ad esempio, W.v.O. Quine, nel

suo manuale di logica, usa T per vero (true) e ⊥ (una T rovesciata) per falso. Dati due enunciati, p e q, poiché ogni enunciato può essere vero o falso, per ogni

connettivo binario che li connette possiamo costruire una matrice, detta matrice di verità o tavola di verità, di 4 righe che tiene conto di tutte le possibili combinazioni. Consideriamo il connettivo 'e'. La sua tavola di verità sarà:

p q p e

q V V V V F F F V F F F F

tavola di verità della congiunzione

Ovvero, nel caso in cui p e q sono entrambi veri allora (p e q) è vero; nel caso in cui o p o q o entrambi sono falsi allora (p e q) è falso. In questo modo abbiamo costruito la tavola di verità del connettivo 'e' che, si noti attentamente, può anche essere assunta come definizione del connettivo stesso. Ne segue che non si definisce la tavola a partire dalla nozione intuitiva di congiunzione, ma si definisce che cos'è la congiunzione a partire dalla stipulazione di chiamare così il connettivo contraddistinto da quella data tavola. Osservando la tavola verità appena data, si afferra anche la convenzione usata per la successione dei valori di verità: nella colonna della prima lettera enunciativa vi è la sequenza VVFF, mentre nella colonna della seconda lettera enunciativa vi è la sequenza VFVF.

Diamo adesso le tavole di verità degli altri principali connettivi binari, ossia ‘o’ (somma logica), ‘se ... allora ...’ (implicazione materiale), ‘... se e solo se ...’ (equivalenza materiale).

2 Per estensione, potremmo avere connettivi n-adici (o n-ari) connettenti n enunciati. Queste classi di connettivi sono però del tutto superflue in quanto ogni connettivo che appartiene a loro può essere ridotto a combinazioni di connettivi monadici e diadici.

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p q p

o q

V V V V F V F V V F F F

tavola di verità della somma logica

p q se p allora q

V V V V F F F V V F F V

tavola di verità della implicazione materiale

p q p se e solo se q

V V V V F F F V F F F V

tavola di verità della equivalenza materiale Naturalmente, nel caso di connettivi binari avremo tavole di verità con 4 righe, mentre nel

caso di connettivi unari ne avremo solo due, come nel caso del connettivo 'non' (negazione).

p non-p

V F F V

tavola di verità della negazione

Quanti sono i connettivi? Questa è una domanda mal posta; la domanda corretta ha invece a che fare con la questione inerente al numero dei connettivi necessari per poter rendere ogni connessione del calcolo enunciativo. Posponiamo però tale problema e invece cerchiamo di vedere quali sono i connettivi che di solito si incontrano. Già abbiamo visto il connettivo 'non' e i connettivi ‘e’, 'o', 'se ... allora', '... se e solo se...'. Talvolta in aggiunta a questi se ne possono incontrare altri, fra cui particolarmente rilevanti sono quelli che specificano in che senso si stia usando il connettivo 'o', che nel linguaggio quotidiano è estremamente ambiguo.

A questo punto, bisogna sottolineare che non tutti gli autori di scritti di logica adottano lo stesso segno per lo stesso connettivo, ma che vi è una pluralità di notazioni. Tuttavia, prima di compendiare questa pluralità, conviene inserire in un'unica tabella gli otto connettivi (1 monadico e 7 binari) più usuali. Per far questo useremo la notazione polacca, o di J. Lukasiewicz, in quanto essa è l'unica che abbia un segno specifico per ognuno degli otto connettivi. Così, qui sotto, forniremo la tabella degli otto connettivi in notazione di Lukasiewicz (tab. 1 per il connettivo 'non', tab. 2 per gli altri sette) e di seguito la tabella contente le notazioni che si incontrano più di frequente (tab. 3).

p N

p V F

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F V tavola di verità della negazione in notazione di Lukasiewicz:

N è il segno per la negazione. Tabella 1

p q K

pq

Apq

Jpq

Dpq

Xpq

Cpq

Epq

V V V V F F F V V V F F V V V F F F F V F V V V F V F F F F F F V V V V

tavole di verità dei connettivi binari in notazione di Lukasiewicz K, A, J, D, X, C, E sono i segni per sette connettivi che vedremo (cfr. tab. 3).

Tabella 2 Nomi del

connettivo logico Lettura del connettivo

1 2

3 4 5 6 7 Numero

matriciale

negazione non Np

¬p

p

−p

p'

∼p

prodotto logico; et; congiunzione

... e ... Kpq

p∧q

p&q

p⋅q

p×q

p∩q

pq

1000

somma logica; vel; alternazione; alternativa; disgiunzione inclusiva; alternazione non esclusiva

... o ... (o l'uno o l'altro o tutti e due)

Apq

p∨q

p+q

p∪q

pq

1110

non-equivalenza; aut; disgiuntiva; disgiunzione esclusiva; alternazione esclusiva

... o ... (o l'uno o l'altro ma non tutti e due)

Jpq

pwq

p•∨q

0110

non-prodotto; esclusiva; disgiunzione; non-congiunzione; negazione alternativa

... o ... (o l'uno o l'altro o nessuno dei due)

Dpq

p|q*

0111

non-somma né ... né Xpq

p↓q+

0001

implicazione materiale; condizionale

se .... allora Cpq

p→q

p⊃q

p:q

p⇒

q

1011

equivalenza materiale; doppia implicazione materiale; bicondizionale

... se e solo se

... Epq

p↔q

p∼q

p≡q

p=q

p⇔q

1001

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* connettivo di H.M. Scheffer (1913) + connettivo di C.S.Peirce (1880)

In col. 1 c'è la notazione di Lukasiewicz; in col. 2 c'è la notazione da noi usata tabella 3

Osservazioni : 1. I numeri matriciali si riferiscono ai valori di verità dell'enunciato risultante, con la

convenzione usuale che pone 1100 (VVFF) per il primo enunciato e 1010 (VFVF) per il secondo. Si intuisce così che i connettivi di non-equivalenza, non-prodotto, non-somma sono gli esatti complementari dei connettivi equivalenza, prodotto, somma, e quindi che è sempre possibile ridurre i primi alla negazione dei secondi, o viceversa.

2. Di conseguenza, non tutti gli otto connettivi indicati sono necessari. In realtà, nelle

assiomatizzazioni della logica enunciativa di solito se ne indicano due, ovvero si assume una delle seguenti tre coppie:

a. negazione, congiunzione; b. negazione, somma logica; c. negazione, implicazione materiale;

gli altri connettivi si ottengono defininendo una particolare combinazione di questi (in tab. 4, diamo i connettivi 'e', 'o', 'se ... allora' in funzione delle coppie viste sopra).

p∧q p∨q p→q negazione, congiunzione ¬(¬p∧¬q

) ¬(p∧¬q)

negazione, somma ¬(¬p∨¬q)

¬p∨q

negazione, implicazione materiale ¬(p→¬q) ¬(q→¬p)

¬p→q ¬q→p

tabella 4 E' però possibile ottenere tutti i connettivi introducendo solo il connettivo di Peirce, oppure

solo il connettivo di Scheffer e quindi in certe assiomatizzazioni vi è un unico connettivo presupposto. Nel caso del connettivo di Peirce si ha

¬p equivale a p↓p p∧q equivale a ¬p↓¬q p∨q equivale a ¬(p↓q) p→q equivale a ¬(¬p↓q)

3. In certi punti abbiamo introdotto le parentesi. Queste sono dei segni ausiliari che

consentono di disambiguare l'ordine delle connessioni in un'espressione in cui compare più di un connettivo. Si può comunque tenere conto della progressiva cogenza convenzionale dei connettivi che corrisponde al seguente ordine di applicazione:

negazione, congiunzione, somma logica, implicazione materiale, equivalenza materiale.3

3 Nel caso della notazione di Lukasiewicz le parentesi non servono, essendo questa non ambigua. Qui i connettivi si scrivono prima di ciò che connettono. Questo comporta che (p∧q) si scriva Apq. Per cui (p∧¬q) si scrive ApNq. Conviene allora cominciare a leggere da destra gli enunciati composti. Per disambiguare le connessioni, un modo alternativo alla notazione di Lukasiewicz o alle parentesi è quello basato su punti (introdotto da G. Peano e usato da A.N. Whitehead e B. Russell): più punti ci sono attorno a un connettivo è più forte esso è.

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4. Nel punto 2, parlando della possibilità di ridurre un connettivo a un altro, implicitamente si è parlato di equiveridicità (o di equivalenza) degli enunciati composti. In effetti, dire che un connettivo si può ridurre a un altro comporta dire lo stesso che l'enunciato composto in cui compare il primo è equiveridico all'enunciato composto in cui compare il secondo, ovvero che la tavola di verità del primo è esattamente uguale alla tavola di verità del secondo. Ad esempio, dalla tavola di verità della tab. 5 si vede che la colonna dell'enunciato composto (¬p↓¬q) ha gli stessi valori di verità della colonna dell'enunciato composto (p∧q) da cui si conclude che i due enunciati composti sono equiveridici.

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p q ¬

p ¬q

¬p↓¬q

p∧q

V V F F

V F V F

F F V V

F V F V

V F F F

V F F F

tabella 5 5. Finora abbiamo considerato enunciati composti al massimo da due enunciati

componenti, ma possiamo avere enunciati composti da n enunciati componenti. In questo caso, l'enunciato composto avrà una tavola di verità con 2n righe.

6. Se un enunciato composto ha una tavola di verità ove compare solo il valore di verità

vero, è detto tautologia. Viceversa, se compare solo il valore di verità falso, allora è detto contraddizione (o enunciato contravvalido). Se in alcuni casi compare il vero e in altri il falso, l'enunciato è detto da taluni autori sintetico (ovviamente non in senso kantiano), o anfotero. Per controllare se un enunciato sia una tautologia, si può costruire la tavola di verità e verificare se effettivamente essa abbia solo i valori di verità ‘Vero’ per ogni valore di verità degli enunciati componenti. Ci si rende però conto che questo metodo è piuttosto laborioso se si ha a che fare con enunciati composti da un numero molto elevato di enunciati componenti. D'altro canto, questo metodo, pur consentendoci di controllare se un enunciato è una tautologia, non consente di trovare nuove tautologie. Nel prossimo paragrafo mostreremo un metodo che senza ricorrere alla tavola di verità consentirà sia di trovare nuove tautologie sia di provare se un enunciato è una tautologia. Tra l'altro, ricorrere alla tavola di verità comporta ricorrere a un metodo semantico, visto che in gioco ci sono i valori di verità. Invece, il metodo che incontreremo sarà completamente sintattico, avendo a che fare solo con la struttura degli enunciati composti e con il processo della loro costruzione.

7. Abbiamo parlato di enunciati atomici e di enunciati composti.4 Possiamo così definire

l'enunciato ben formato (o ben formulato) - sinteticamente formula - come a. un qualunque enunciato atomico indicato dalle lettere p, q, r, s, t, ecc., p', q', r', s', t',

ecc.; b. un qualunque enunciato composto i cui enunciati componenti siano gli enunciati

atomici e le connessioni siano del tipo (¬p), (p∧q), (p∨q), (p→q), (p↔q), ecc.; c. un qualunque enunciato composto i cui componenti siano enunciati composti

individuati ai punti a e b; d. un qualunque enunciato composto i cui componenti siano enunciati composti

individuati ai punti a, b e c; e. e così via.

Vi è da tenere presente che le tavole di verità che abbiamo dato per le lettere enunciative continuano a valere sostituendo a tali lettere enunciati ben formati. Da ora in poi quando parleremo di enunciati, intenderemo sempre enunciati ben formati.

8. Finora abbiamo dato e usato solo enunciati del linguaggio, indicandoli con le lettere

minuscole. Possiamo però passare al metalinguaggio, ossia invece di usare enunciati usare metaenunciati (o schemi), cioè enunciati che parlano di enunciati. In questo caso, useremo lettere maiuscole e ogni lettera indicherà arbitrariamente un enunciato atomico, o un enunciato composto con un qualunque numero di componenti. Quindi, da adesso in poi si faccia molta attenzione alle lettere per capire se stiamo parlano nel linguaggio oggetto o nel metalinguaggio.

4 Si noti che un enunciato atomico negato è già un enunciato composto.

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2.2. Leggi, regole, deduzione

Abbiamo incontrato enunciati composti che sono veri indipendentemente dai valori di verità degli enunciati componenti e li abbiamo chiamati tautologie. Orbene, nel calcolo enunciativo, ogni enunciato tautologico è una legge logica. Si pone allora il problema non solo di controllare se un enunciato è una legge logica, cosa che possiamo fare attraverso le tavole di verità, ma anche di avere un metodo che consenta di ottenere leggi logiche a partire da leggi logiche date. Questo è possibile non appena si abbiano a disposizione delle regole che consentano di inferire, o dedurre, leggi logiche da leggi logiche.

La determinazione di tali regole è abbastanza semplice in quanto a ogni legge logica condizionale - ossia a ogni legge in cui l'implicazione materiale è il connettivo principale - corrisponde una regola valida, cioè una regola che permette di inferire, o dedurre, tautologie da tautologie. Quindi, sebbene a ogni regola corrisponda una legge logica, ovvero una tautologia, non a ogni legge logica (a una tautologia) corrisponde una regola, bensì solo a quelle condizionali. Questo si deve intendere nel senso che data una legge condizionale (ad esempio, (P∧(P→Q))→Q), in cui vi è un antecedente (P∧(P→Q)) e un conseguente (Q), essa può essere intesa come una regola che permette di inferire una certa conseguenza (Q) da certe premesse (P e P→Q). Ovvero, graficamente,

P P Q

Q

, →

oppure (notazione che useremo)

P P → Q ∴ Q

dove il segno “∴” indica che ciò che segue è la conseguenza.

Bisogna sottolineare che mentre le leggi logiche hanno a che fare con il linguaggio, le regole hanno a che fare con il modo in cui possono essere trasformate leggi logiche e quindi hanno a che fare con il metalinguaggio.

Diamo adesso un elenco delle più importanti leggi logiche e quindi, nel caso di leggi condizionali, anche un elenco delle più importanti regole valide.5

1. I tre principi della logica aristotelica6 a. principio di identità, la cui espressione formale è

P→P (versione debole) P↔P (versione forte)

5 In realtà non elencheremo leggi, ma metaleggi, ovvero scriveremo schemi di leggi. Siamo dunque nel metalinguaggio e useremo le lettere maiuscole. 6 Pur essendo chiamati ‘principi’ non è detto che tutti e tre, o anche uno solo, compaiano nel sistema di assiomi di ogni assiomatizzazione della logica enunciativa. Si noti che sebbene vengano considerati come i tre principi della logica aristotelica, questa, come detto, è una logica dei termini, mentre noi li abbiamo espressi in forma enunciativa. D'altro canto, il principio di identità più che aristotelico è da attribuirsi agli Stoici. Invece gli altri due sono esplicitamente presenti nelle opere dello Stagirita, anche se il principio di (non) contraddizione lo si trova caratterizzato temporalmente: «E' impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e nella medesima relazione» (Metaphys. IV, 1005b, 19-20) e «non è possibile che attributi contrari appartengano simultaneamente ad una medesima cosa» (Ivi, 26-28) (Si noti che non si è in ambito di logica enunciativa ma di logica dei termini, ovvero di logica dei predicati del I ordine). Invece il principio del terzo escluso è così espresso: «Rispetto agli oggetti che sono e a quelli che sono stati, è dunque necessario che tra l'affermazione e la negazione una risulti vera e l'altra falsa» (De Int., 9, 18a, 28-30).

da G.Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999

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b. principio di (non) contraddizione, la cui espressione formale è ¬(P∧¬P)

c. principio del terzo escluso, la cui espressione formale è P∨¬P

Ricordando come ogni connettivo possa essere definito a partire dagli altri, si può facilmente osservare che i tre principi non sono altro che tre modi diversi per scrivere la medesima cosa. In effetti, rammentando come l'implicazione materiale sia definita tramite i connettivi di negazione e congiunzione, si ha che (P→P)↔(¬(P∧¬P)); oppure rammentando come l'implicazione materiale sia definita tramite i connettivi di negazione e somma, si ha che (P→P)↔(P∨¬P). 2. Legge della doppia negazione

¬¬P↔P 3. Legge dell'idempotenza

P∧P↔P P∨P↔P

4. Leggi di inferenza stoiche (i nomi sono medievali) (P→Q)∧P→Q (P→Q)∧¬Q→¬P ¬(P∧Q)∧P→¬Q ¬(P↔Q)∧P→¬Q ¬(P↔Q)∧¬Q→P

da cui segue la regola detta da cui segue la regola detta da cui segue la regola detta da cui segue la regola detta da cui segue la regola detta

modus ponendo ponens modus tollendo tollens modus ponendo tollens 1 modus ponendo tollens 2 modus tollendo ponens

Si noti che il modus ponendo ponens (noto semplicemente come modus ponens, da 'ponere', cioè 'affermare') è la regola di inferenza più importante della logica classica in quanto praticamente su di essa si basa la possibilità della deduzione. Il modus ponens non deve però essere erroneamente confuso con quell'errore di ragionamento chiamato fallacia dell'affermazione del conseguente, secondo cui ((P→Q)∧Q)→P. Infatti, per la tavola di verità dell'implicazione materiale, la verità del conseguente non è vincolata dalla verità dell'antecedente. Invece, il modus tollendo tollens (noto semplicemente come modus tollens, da 'tollere', cioè 'rifiutare') è la regola di inferenza attorno cui ruota, come vedremo (cfr. cap. VI), il falsificazionismo di K.R. Popper e qualunque rapporto epistemologico fra la teoria scientifica e un esperimento che la contraddica. Infatti, se T è una teoria scientifica e c è una sua conseguenza empiricamente controllabile, se l'esperimento dice che c non si dà (ovvero ¬c), allora la teoria non si dà (dal punto di vista strettamente logico). Cioè: ((T→c)∧¬c)→¬T. Analogamente al caso precedente, il modus tollens non deve essere confuso con quell'errore di ragionamento chiamato fallacia della negazione dell'antecedente, secondo cui ((P→Q)∧¬P)→¬Q. Infatti, la falsità del conseguente non è vincolata dalla falsità dell'antecedente. 5. Leggi della semplificazione

P∧Q→P

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P∧Q→Q 6. Leggi dell'addizione

P→P∨Q Q→P∨Q

7. Paradossi dell'implicazione materiale ex falso sequitur quodlibet (un enunciato falso implica materialmente un qualunque enunciato: un’implicazione materiale è vera se il suo antecedente è falso) verum sequitur ad quodlibet (un enunciato vero è implicato materialmente da un qualunque enunciato: un’implicazione materiale è vera se il suo conseguente è vero) ex vero numquam sequitur falsum (un enunciato vero non implica materialmente mai un enunciato falso) ex absurdis sequitur falsum (legge dello Pseudo-Scoto; una contraddizione implica materialmente un qualunque enunciato, in particolare l'enunciato falso)

¬P→(P→Q) Q→(P→Q) (P∧¬Q) →¬(P→Q) (P∧¬P) →Q

In realtà, i paradossi dell'implicazione sono solo i primi due e nascono dal fatto che 'sequitur' viene interpretato intuitivamente, ma se lo si intende formalmente sia come implicazione materiale, sia come deduzione, scompare ogni paradossalità. Si noti che se il modus ponens è la regola che permette di dedurre dalla verità dell'antecedente la verità del conseguente e quindi permette la deduzione, la legge dello Pseudo-Scoto consente la regola che permette di controllare se un sistema è contraddittorio. Se da un sistema è possibile dedurre sia un enunciato sia la sua negazione allora esso è contraddittorio. D'altro canto, non lo sarà se è possibile dedurre un enunciato, ma non la sua negazione. 8. Leggi di Occam (riscoperte da De Morgan)

¬(P∧Q)↔(¬P∨¬Q) ¬(P∨Q)↔(¬P∧¬Q)

9. Leggi dell'implicazione materiale (P→Q)↔(¬Q→¬P) (P→Q)↔(¬P∨Q)

10. Sillogismo a catena (sillogismo ipotetico; transitività dell'implicazione materiale) ((P→Q)∧(Q→R))→(P→R)

11. Sillogismo disgiuntivo ((P∨Q)∧¬P)→Q ((P∨Q)∧¬Q)→P

12. Leggi della doppia implicazione materiale

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(P↔Q)↔((P→Q)∧(Q→P)) (P↔Q)↔((P∧Q)∨(¬P∧¬Q))

Abbiamo qui dato una serie di leggi logiche e quindi una serie di regole valide. Ma quali sono le leggi logiche da cui partire? E quali sono le regole valide necessarie per ottenere tutte le altre leggi logiche? Per rispondere a queste domande dobbiamo entrare nella questione dell'assiomatizzazione.

Ora il calcolo enunciativo, ma vedremo essere così, mutatis mutandis, anche per il calcolo predicativo, può essere espresso in forma assiomatica fornendo:

1. un insieme infinito numerabile di lettere enunciative: p, q, r, s, t, ecc. 2. (di solito)7 una coppia di connettivi a scelta fra: a. ¬, ∧;

b. ¬, ∨; c. ¬, →;

3. segni ausiliari: le parentesi; 4. un insieme (di solito) finito di leggi logiche assunte come assiomi; 5. un insieme finito di regole valide assunte come regole primitive; 6. eventuali definizioni di altri connettivi in funzione dei connettivi dati. Questo significa che assiomatizzazioni diverse comporteranno insiemi di assiomi diversi e

regole primitive diverse, oltre naturalmente che un diverso ruolo dei connettivi. Un esempio di assiomatizzazione è il seguente:

1. infinite lettere enunciative: p, q, r, s, t, ecc., p', q', r', s', t', ecc.;

2. connettivi: ¬, →;

3. assiomi (schemi di assiomi): a. P→(Q →P) b. (P→(Q →R)) →((P →Q) →(P →R)) c. (¬Q →¬P) →((¬Q →P) →Q)

4. regole primitive valide, ad esempio il modus ponendo ponens: P P → Q ∴ Q

5. definizione degli altri connettivi:

P∨Q =def

¬P→Q

P∧Q =def

¬(P→¬Q)

P↔Q =def

(P→Q)∧(Q→P) 6. definizione di regole derivate valide, ad esempio, la regola dello scambio definizionale

(o del rimpiazzamento, o della sostituzione): se due schemi di enunciati sono equivalenti, allora dal primo è possibile dedurre il secondo e dal secondo è possibile dedurre il primo; inoltre uno può essere sostituito dall'altro senza cambiare il valore di verità dell'espressione in cui è stato effettuato lo scambio.8

7 Si ricordi che ci si può limitare a un solo connettivo se questo è quello di Sheffer o quello di Peirce. 8 Con equivalenza fra due enunciati, o schemi di enunciati, si intende l'equivalenza definizionale. Ovvero, lo schema di enunciati P è equivalente per definizione allo schema di enunciati Q se e solo se P e Q differiscono per il fatto che dove in P compaiono enunciati (o schemi di enunciati) componenti come R∨S, R∧S, R↔S, in Q compaiono enunciati (o schemi di enunciati) componenti come, rispettivamente, ¬R→S, ¬(R→¬S), (R→S)∧(S→R). Si noti che in questo caso, come da assiomatizzazione, i connettivi ∨, ∧, ↔ sono stati dati in funzione dei due connettivi ¬ e →. Invece di equivalenza definizionale, taluni autori preferiscono parlare di equivalenza logica. In tal caso due

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Si dimostra che ogni altra legge logica può essere derivata dagli assiomi. Di conseguenza, ogni altra regola derivata può essere dedotta dai tre assiomi in modo da avere regole valide derivate.

Per quanto riguarda i nuovi connettivi (∨, ∧, ↔), si faccia attenzione che ora essi non sono necessari e sono stati introdotti solo per comodità chiamando così date combinazioni dei due connettivi presupposti.

Bisogna ora definire due concetti estremamente importanti: a. deduzione formale (dimostrazione): una successione finita di enunciati del calcolo

enunciativo è una deduzione formale (dimostrazione) se ciascun passo è o un enunciato assunto ipoteticamente, o un assioma, o un enunciato che si ottiene dagli enunciati precedenti per mezzo dell'applicazione di regole di inferenza valide; l'ultima formula della successione è la conclusione della deduzione formale.

b. conseguenza logica: un enunciato P è una conseguenza logica di (o segue logicamente da, o si inferisce da, o è derivabile da) un insieme di enunciati Γ quando, applicando un numero finito di volte le regole d'inferenza, otteniamo P a partire da Γ. Si faccia allora attenzione a non confondere la conseguenza logica (o deduzione logica, o inferenza, o derivazione) che ha a che fare con il metalinguaggio con l'implicazione materiale che ha a che fare con il linguaggio ed è vera se l'antecedente è falso o se il conseguente è vero. Analogamente si deve distinguere l'equivalenza materiale dalla condizione necessaria e sufficiente. Quest'ultima ha a che fare con il metalinguaggio e si è nel caso in cui se da una premessa P segue la conclusione Q, allora partendo da Q, intesa quale premessa, deve seguire la conseguenza P.

Facciamo ora un esempio di deduzione formale. Partiamo da un qualunque ragionamento formulato nel linguaggio quotidiano. Ad esempio il seguente:

- “Se il cavallo si imbizzarrì, il cavaliere cadde”; - “Se il cavaliere cadde, si ruppe una gamba”; - “Se si ruppe una gamba, andò all’ospedale”; - “Ma non andò all’ospedale”; - “Allora il cavallo non si imbizzarrì”

Trasformiamolo ora in termini formali, ossia A→B B→C C→D ¬D ∴ ¬A

Bisogna però giustificare in modo più adeguato che la conclusione è proprio quella, ossia dimostrare che ¬A è la conseguenza logica di quel dato insieme di enunciati che costituiscono le premesse. Questo può essere fatto trovando ed esplicitando quelle regole logiche che, date quelle premesse, consentono di arrivare a quella conclusione. Nel nostro caso, tale deduzione formale, o dimostrazione, risulta essere

1. A→B 2. B→C 3. C→D 4. ¬D / ∴ ¬A 5. A → C da 1, 2, usando il Sillogismo ipotetico

enunciati, o schemi di enunciati, P e Q sono logicamente equivalenti se l'enunciato, o lo schema di enunciati, P↔Q, ossia quello che esprime la loro equivalenza materiale, è una tautologia. E' intuitivo che l'equivalenza definizionale fra due enunciati (o schemi di enunciati) comporti che uno possa essere derivato dall'altro (e viceversa) e che essi siano equiveridici, ovvero che abbiano le stesse tavole di verità.

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6. A → D da 5, 3, usando il Sillogismo ipotetico 7. ¬A da 6, 4, usando il Modus tollens

dove a. ogni passo è numerato; b. vi è l’esplicitazione delle premesse (nel nostro caso, sono contenute nei passi 1-4) e, dopo il segno “/”, l’indicazione di ciò che deve essere dimostrato; c. vi è l’esplicitazione dei passi della dimostrazione e, a destra di ognuno, l'indicazione della regola che si è usato per trovarlo e di dove la si è applicata.

Ogniqualvolta abbiamo un sistema assiomatizzato, possiamo parlare (siamo nel metalinguaggio) di coerenza (o consistenza, o non contraddittorietà), completezza e decidibilità. Ovvero dato un qualunque insieme Γ di enunciati del calcolo enunciativo, esso è

1. coerente (consistente, non contraddittorio) se da esso non è possibile dedurre sia un enunciato, sia la sua negazione;

2. completo se da esso è possibile dedurre tutte le leggi logiche; 3. decidibile se, dato un enunciato, vi è una procedura effettiva (ad esempio, il metodo

delle tavole di verità) grazie alla quale si può decidere se tale enunciato sia una legge logica.

Si può dimostrare che il calcolo enunciativo, assiomatizzato ad esempio come sopra, è coerente, completo e decidibile.

3. La logica dei predicati del I ordine

Finora abbiamo considerato enunciati non analizzati, adesso è il momento di scioglierli e tenere conto della loro struttura. Se si fa questo nel caso degli enunciati dichiarativi ci si rende conto che ognuno di essi può essere logicamente scomposto in due parti. Consideriamo infatti un enunciato come

"Socrate è mortale", ebbene esso può essere scomposto in due parti:

1. una prima del tipo "x è mortale" 2. una seconda del tipo 'Socrate'. Chiamiamo la prima parte predicato (o funzione (forma) proposizionale, o formula

aperta) e la consideriamo come qualcosa che deve essere completata, o saturata, da un argomento - cioè la seconda parte. Quando ciò avviene, abbiamo l'enunciato vero e proprio.

Abbiamo però parlato solo di enunciati ottenuti tramite la saturazione di una funzione proposizionale con nomi, ovvero di enunciati singolari, ma vi sono anche enunciati in cui compaiono termini quali 'Ogni' o 'Tutti' ("Ogni uomo è mortale", o "Tutti gli uomini sono mortali"), 'Qualche' o 'Esiste' ("Qualche uomo è calvo", o "Esistono uomini calvi"), ovvero vi sono anche enunciati quantificati, rispettivamente, in senso universale e in senso esistenziale. Questo comporta che se vogliamo un sistema logico in grado di tenere conto della forma degli enunciati, questo sistema deve contenere dei segni che indichino la quantificazione.

Inoltre non tutti gli enunciati, o meglio non tutte le funzioni proposizionali con cui possiamo avere a che fare, sono della forma vista sopra. In effetti abbiamo considerato funzioni proposizionali in cui si predica qualcosa di, o si attribuisce qualcosa a, x, ovvero enunciati in cui si attribuisce a x una certa proprietà (enunciati di attribuzione). Abbiamo però enunciati, e quindi funzioni proposizionali, in cui compaiono delle relazioni fra due, o più, elementi (enunciati di relazione). Ad esempio sono tali "Socrate è più vecchio di Platone", "Parigi è fra Roma e Londra", "Giovanni è collega di Franco, Giuseppe e Carlo"; e a questi corrispondono, rispettivamente, le seguenti funzioni proposizionali: "x è più vecchio di y", "x è fra y e z", "x è collega di y, z e w", le quali possono essere completate, o saturate, rispettivamente da 2, 3 e 4 argomenti.

Per cui, d'ora in poi quando si parlerà di predicati (funzioni proposizionali, formule aperte) bisognerà sempre indicare se ci si riferisce a predicati usuali (unari, o monadici), o a relazioni (predicati binari, ternari, .., n-ari, o predicati diadici, triadici, n-adici, dove n è un numero naturale).

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Ebbene, la logica dei predicati tiene conto proprio della struttura degli enunciati, distinguendo se sono quantificati o meno, in che modo sono quantificati e quanto vale l'n dei predicati n-ari che in essi compaiono.

Noi ci limiteremo a ricordare alcuni elementi della logica dei predicati del I ordine, ossia quella in cui i predicati non sono variabili, bensì costanti. Per far questo, come detto, dobbiamo introdurre due nuovi segni logici che consentano di esprimere l'eventuale quantificazione. Anche in questo caso abbiamo più notazioni possibili, come si vede dalla tab. 6 (noi adotteremo la notazione della prima colonna, la notazione dell'ultima è quella polacca):

quantificatore universale (per ogni, tutti)

(∀x)

(x)

Λx

Πx

quantificatore esistenziale (qualche, esiste un)

(∃x)

(Ex)

Vx

Σx

tabella 6

Adesso siamo in grado di esprimere formalmente 1. enunciati quantificati universali come "Tutti gli x sono f", o "Per ogni x, x è f", che

vengono resi con (∀x)fx; in questo caso l'enunciato è vero se e solo se tutti gli x sono f, dove f è un predicato (monadico)

2. enunciati quantificati esistenziali come "Esiste un x che è f", o "Qualche x è f", che vengono resi con (∃x)fx; in questo caso l'enunciato sarà vero se esiste un x che soddisfa il predicato (monadico) f.

Finora abbiamo considerato particolari espressioni del calcolo dei predicati del I ordine, ossia abbiamo considerato enunciati. In realtà, non ogni espressione del calcolo dei predicati del I ordine è un enunciato: lo è se e solo se ogni variabile (ad esempio, la x degli enunciati visti sopra) che vi compare “cade sotto l'azione di un quantificatore in ogni sua occorrenza”, come accade in (∀x)fx e in (∃x)fx. In tal caso, la variabile è detta variabile vincolata. Viceversa, un'espressione non è un enunciato se in essa compaiono variabili libere, ovvero variabili che non cadono sotto l'azione di alcun quantificatore (ad esempio, la x nell'espressione fx).

Facendo attenzione a quanto detto all'inizio di questo paragrafo, ci si può rendere conto che un'espressione contente variabili libere è una funzione proposizionale, mentre un'espressione contente solo variabili vincolate è un'espressione proposizionale saturata, ossia proprio un enunciato. E solo l'enunciato, si ricordi, può essere caratterizzato da valori di verità “Vero” o “Falso”, non certo le funzioni proposizionali.

3.1. Assiomatizzazione

Come nel caso del calcolo enunciativo, anche ora possiamo procedere a una assiomatizzazione. Nella fattispecie avremo bisogno di

1. un insieme (eventualmente vuoto) di costanti individuali: a, b, c, ... 2. un insieme infinito (numerabile) di variabili individuali: x, y, z, ... 3. un insieme (non vuoto) di costanti predicative

-. monadiche: f, g, h, ... -. binarie: f2, g2, h2, ... -. ... -. n-arie: fn, gn, hn, ...

4. due classi di costanti logiche: -. una costituita da una delle coppie viste di connettivi logici del calcolo enunciativo; -. una costituita dal quantificatore esistenziale (di solito questo) o dal quantificatore

universale; 5. segni ausiliari: parentesi. Una volta presupposto tutto ciò, bisogna individuare

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1. un insieme di assiomi fra le espressioni ben formulate (formule) del calcolo dei predicati del I ordine;

2. un insieme di regole di inferenza primitive e, caso mai, introdurre, tramite delle definizioni, nuovi connettivi enunciativi e l'altro quantificatore.

Quindi anche in questo caso diremo che una espressione del calcolo dei predicati del I ordine è ben formulata (o ben formata, o, semplicemente, è una formula) se ricade in uno dei seguenti casi:

1. è una formula atomica del tipo fnx1...xn o fna1...an, dove fn è un predicato n-ario, x1...xn sono n variabili individuali, a1...an sono n costanti individuali;.

2. è una formula ottenuta a. negando una formula atomica (o una generica formula), b. connettendo nei modi sanciti dal calcolo enunciativo due formule atomiche (o due generiche formule);

3. è una formula ottenuta quantificando le formule atomiche (o generiche formule) Visto che il calcolo dei predicati del I ordine contiene il calcolo enunciativo, gli assiomi, le

regole di inferenza primitive e le definizione del primo conterranno gli assiomi, le regole di inferenza primitive e le definizioni del secondo. In più, vi saranno degli assiomi, delle regole di inferenza primitive e delle definizioni che lo caratterizzeranno rispetto al secondo. Nello specifico questi nuovi assiomi, regole e definizioni avranno a che fare con i due quantificatori.

Prendiamo una qualunque formula P (siamo nel metalinguaggio, per cui usiamo le maiuscole) e un insieme di formule del calcolo dei predicati Γ, diciamo che P è derivabile da Γ, ovvero

Γ|− P, se e solo se esiste una successione di passi che da Γ (premesse) porta a P (conclusione) tale che ogni passo è una formula dell'insieme Γ, o un assioma del calcolo dei predicati, o il risultato di un'applicazione delle regole di inferenze.

Si dice invece che P è un teorema del calcolo predicativo se e solo se esso può essere derivato attraverso una serie di passi, dove ognuno è o un assioma del calcolo predicativo o il risultato di un'applicazione di una regola di inferenza. In tal caso, si dice che il teorema P è stato dimostrato e si scrive

|− P.

3.2. Alcune osservazioni I. Le regole. Abbiamo detto che un teorema è una conclusione di un ragionamento i cui

passi intermedi sono resi possibili anche dall'applicazione di regole di inferenza. Nel caso del calcolo dei predicati del I ordine, le regole valide sono un insieme che oltre a contenere le regole valide del calcolo enunciativo contengono alcune regole che permettono di lavorare con i quantificatori. Poiché nella derivazione di un teorema si passa da formule quantificate a formule non quantificate, occorreranno delle regole che consentano di eliminare i quantificatori. D'altro canto, se togliamo i quantificatori, poi bisognerà rimetterli per ottenere le conclusioni corrette e quindi occorreranno anche delle regole che ne consentano l'introduzione. Occorrerà, allora avere le seguenti regole:

1. regola dell'esemplificazione universale (o dell'eliminazione del quantificatore universale):

(∀x)fx ∴fa

dove a è una costante individuale. Questa regola (già nota ad Aristotele e detta dictum de omni et de nullo) sancisce che se qualcosa si predica universalmente si predicherà anche di ogni particolare individuo con cui ha a che fare e, nel caso negativo, ciò che si nega universalmente si nega anche a tutti i particolari individui a cui si applica.

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2. regola della generalizzazione universale (o dell'introduzione del quantificatore universale):

fa ∴(∀x)fx

Questa regola ha una limitazione importante, ossia, per non cadere nella fallacia della generalizzazione indebita (“Callia è calvo”, quindi “Tutti sono calvi”) l’a di fa non deve indicare un individuo particolare, ma un individuo qualsiasi scelto arbitrariamente.

3. regola dell'esemplificazione esistenziale (o dell'eliminazione del quantificatore esistenziale):

(∃x)fx ∴fa

Si deve avere la precauzione di introdurre una costante diversa da quelle già introdotte nel corso della derivazione al fine di non cadere nell'errore di parlare della stessa cosa. Ad esempio, se f = “essere ruminanti” e g = “essere uomini”, se non ci si cautela chiamando in modo diverso le costanti che esemplificano la quantifricazione esistenziale, si potrebbe incorrere nel seguente errore

1. (∃x)fx 2. (∃x)gx 3. fa da 1, usando la regola dell’esempl. esist. 4. ga da 2, usando la regola dell’esempl. esist. 5. fa ∧ ga da 3, 4, usando la regola della congiunzione9 6. (∃x) [fx ∧ gx] da 5, usando la regola della generalizz. esist.10

Ossia, dall’esistenza di uomini e di ruminanti seguirebbe che esite qualcuno che è un uomo e un ruminante; il che non è dato. Possiamo ora esemplificare anche il motivo della restrizione della regola di esemplificazione universale. Se non si ha l’accortezza di generalizzare solo quando l’a di fa è un individuo qualsiasi scelto arbitrariamente si può concludere che (∀x)fx segue da (∃x)fx, infatti:

1. (∃x)fx 2. fa da 1, usando la regola dell’esempl. esist. 3. (∀x)fx da 2, usando la regola della generaliz. univ.

Ma questo non è dato: fa è la conseguenza di un’esemplificazione esistenziale. Il che vuol dire che l’a non è un individuo qualsiasi arbitrario e quindi da fa non si può dedurre (∀x)fx.

4. regola della generalizzazione esistenziale (o dell'introduzione del quantificatore esistenziale):

fa ∴ (∃x)fx

Si noti che le due regole dell'eliminazione devono essere precedute, nella derivazione in cui compaiono, da un eventuale passo in cui si trasforma il quantificatore negato, se c'è, in un quantificatore non negato secondo le regole di cui parleremo fra poco. Come esemplificazione della deduzione nel caso del calcolo dei predicati del I ordine, e quindi come esemplificazione dell’uso delle regole testé viste, dimostriamo la validità di un sillogismo del tipo11

Tutti i cavalli sono equini Qualche animale grigio è un cavallo --------------------------------------------

9 Da P e Q, segue P∧Q. 10 Vedi regola che segue. 11 In 4.2, vedremo che tale sillogismo è della I figura, modo Darii .

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Qualche animale grigio è un equino Come sempre, prima trascriviamo formalmente il sillogismo e poi lo dimostriamo (sia c = “essere cavallo”, e = “essere equino”, g = “essere un animale grigio”):

1. (∀x)[cx → ex] 2. (∃x) [gx ∧ cx] / ∴(∃x) [gx ∧ ex] 3. ca → ea da 1, usando la regola dell’esempl. univ. 4. ga ∧ ca da 2, usando la regola dell’esempl. esist. 5. ga da 4, usando la regola della semplificazione 6. ca da 4, usando la regola della semplificazione 7. ea da 6, 3, per Modus tollens 8. ga ∧ ea da 5, 7, usando la regola della congiunzione 9. (∃x) [gx ∧ ex] da 8, usando la regola della gener. esist.

II. Il problema della negazione dei quantificatori. Quando si ha a che fare con i

quantificatori bisogna porre molta attenzione alla posizione della negazione. Supponiamo che il predicato f sia 'essere europei', allora abbiamo la situazione evidenziata nella tab. 7.

(∀x)fx

("tutti sono europei") ¬(∀x)fx

("non tutti sono europei", cioè "esiste un non europeo")

(∀x)¬fx ("tutti sono non europei", cioè "nessuno è europeo")

(∃x)fx ("esiste un europeo")

¬(∃x)fx ("non esiste un europeo", cioè "nessuno è europeo")

(∃x)¬fx ("esiste un non europeo",

cioè "non tutti sono europei")

tabella 7 Si vede che non è la stessa cosa negare il quantificatore e negare il predicato. Ma si vede

anche che la stessa cosa può essere affermata in due modi diversi: ora usando il quantificatore esistenziale, ora usando il quantificatore universale. Infatti

¬(∃x)fx ↔ (∀x) ¬fx ¬(∀x)fx ↔ (∃x) ¬fx

Possiamo così formulare la seguente regola dello scambio dei quantificatori: ogni quantificatore universale/esistenziale applicato alla negazione di un predicato equivale alla negazione del quantificatore esistenziale/universale applicato allo stesso predicato.

In tal modo siamo anche così arrivati a dimostrare qualcosa di cui avevamo parlato quando avevamo accennato all'assiomatizzazione del calcolo dei predicati del I ordine, ossia che basta presupporre un solo quantificatore in quanto l'altro può poi essere definito in base a questo. Infatti, negando le espressioni di cui sopra e tenendo conto della legge della doppia negazione, si ha

(∃x)fx ↔ ¬(∀x) ¬fx (∀x)fx ↔ ¬(∃x) ¬fx

Sempre osservando la tabella di cui sopra, ci si avvede che ci sono quattro enunciati diversi:

1. "tutti sono europei" 2. "nessuno è europeo" 3. "esiste un europeo" 4. "esiste un non europeo" Ebbene questi quattro enunciati, che sappiamo poter essere indifferentemente scritti con il

quantificatore universale o con quello esistenziale, sono fra loro collegati in modo da formare qualcosa che è molto simile, come vedremo quando parleremo della logica tradizionale, al quadrato medievale delle opposizioni (cfr. figg. 1, 2).

da G.Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999

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(∀x)fx (∀x) ¬fx ¬(∃x) ¬fx ¬(∃x)fx

contrarie

subcontrarie

subalternesubalterne

contraddittorie

><

><

¬(∀x) ¬fx ¬(∀x)fx (∃x)fx (∃x) ¬fx

figura 1

esempio "tutti sono europei" "tutti sono non europei" "non esiste un non europeo" "non esistono europei"

contrarie

subcontrarie

subalternesubalterne

contraddittorie

><

><

"non tutti sono non europei" "non tutti sono europei" "esiste un europeo" "esiste un non europeo"

figura 2 Due enunciati contraddittori sono tali da non poter essere entrambi veri o entrambi falsi

(contradictoriae nequeunt esse simul verae neque simul falsae), ovvero uno è la negazione dell'altro.

Due enunciati contrari sono tali da non poter essere veri entrambi, pur potendo essere contemporaneamente falsi (contrariae nequeunt esse simul verae, sed possunt esse simul falsae).

Due enunciati subcontrari sono tali da non poter essere entrambi falsi, pur potendo essere entrambi veri (subcontrariae non possunt esse simul falsae, sed possunt esse simul verae).

Due enunciati subalterni sono tali che l'enunciato esistenziale può essere derivato dall'enunciato universale (subalternae in materia necessaria sunt simul verae vel simul falsae).12

Quindi la contraddittorietà comporta la non-equivalenza (è un aut); la contrarietà comporta l'incompatibilità relativamente alla verità; la subcontrarietà comporta la somma logica (è un vel); la subalternità comporta l'implicazione.

A proposito di ‘contrarietà’ e ‘contraddittorietà’

12 A essere filologicamente corretti, le definizioni latine non si riferiscono all'enunciato universale e all'enunciato esistenziale moderni, ma all'enunciato universale e all'enunciato particolare tradizionali. Vedremo fra breve la differenza fra l'approccio tradizionale quello moderno.

da G.Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999

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Si noti che la contrarietà e la contraddittorietà fra enunciati è diversa dalla contrarietà e contraddittorietà fra predicati (ovvero fra concetti). Nel caso dei predicati, 'coraggioso' e 'codardo' sono contrari in quanto sono uno la negazione dell'altro all'interno dello stesso genere (sono i due estremi del genere); invece 'bianco' e 'non bianco' sono contraddittori in quanto si annullano l'un l'altro (ciò che uno dice l'altro nega).

Dalla fig. 1, ci si accorge che nella relazione fra un enunciato e il suo contrario si nega il

predicato, mentre nella relazione fra un enunciato e il suo contraddittorio si nega il quantificatore.

III. Il problema della quantificazione multipla. Come bisogna avere qualche cautela

quando si ha a che fare con la negazione dei quantificatori, così bisogna essere attenti a quando in gioco ci sono più quantificatori.

Per affrontare meglio la faccenda conviene introdurre quella che viene chiamata la forma prenessa normale (o forma prenex, da pre-nectere: legare prima), ovvero quel modo di scrivere le espressioni composte ove tutti i quantificatori (non negati) vengono posti all'inizio. In questo caso, ci sono due parti: una - detta prefisso - in cui sono presenti esclusivamente i quantificatori non negati e una - detta matrice - in cui vi è esclusivamente ciò che viene quantificato. Ad esempio, un enunciato come (∀x)fx ∧ (∀x)gx, ove la stessa variabile x è vincolata dallo stesso quantificatore universale, forma prenessa diventa (∀x)[fx∧gx].

Ed è proprio in forma prenessa che di solito troviamo riformulati e reinterpretati modernamente i quattro enunciati categorici aristotelici, ossia

1. l'enunciato universale affermativo (che i medievali indicavano A, ovvero la prima vocale della parola latina Affirmo):

(∀x)[fx→gx]. Se f è il predicato 'essere europei' e g il predicato 'essere terrestri', allora risulta che "tutti gli europei sono terrestri".

2. l'enunciato universale negativo (che i medievali indicavano con E, ovvero la prima vocale della parola latina nEgo):

(∀x)[fx→¬gx]. Se f è 'essere europei' e g è 'essere americani', allora si ha che "tutti gli europei sono non americani", ovvero "nessun europeo è americano", ovvero "non esistono europei americani".

3. l'enunciato particolare affermativo (che i medievali indicavano con la lettera I, ovvero la seconda vocale parola latina affirmo):

(∃x)[fx∧gx]. Se f e 'essere europei' e g è 'essere bruni', allora si ha che "esistono degli europei bruni".

4. l'enunciato particolare negativo (che i medievali indicavano con la lettera O, ovvero la seconda vocale della parola latina negO):

(∃x)[fx∧¬gx]. Se f è 'essere europei' e g è 'essere biondi', allora si ha che "esistono degli europei non biondi", ovvero "non tutti gli europei sono biondi".

Tenendo conto di quanto detto sulla negazione, l'enunciato universale negativo può anche essere scritto come ¬(∃x)[fx∧gx]; mentre l'enunciato esistenziale negativo può essere reso con ¬(∀x)[fx→gx]. Analogamente possiamo procedere per l'enunciato universale affermativo e per l'esistenziale affermativo (cfr. fig. 3)

da G.Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999

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(∀x)[fx→gx] (∀x)[fx→¬gx] ¬(∃x)[fx∧¬gx] ¬(∃x)[fx∧gx]

contrarie

subcontrarie

subalternesubalterne

contraddittorie

><

><A E

I O (∃x)[fx∧gx] (∃x)[fx∧¬gx] ¬(∀x)[fx→¬gx] ¬(∀x)[fx→gx]

figura 3

Avremo comunque modo di ritornare sui quattro enunciati categorici aristotelici (cfr. § 4) e quindi di capire anche come debbano essere interpretati diversamente da quanto finora detto.

Si noti che è molto importante inserire le parentesi quadre in modo da rendere esplicito che il quantificatore si applica a tutto ciò che segue. Infatti qualora si eliminassero le parentesi si correrebbe il rischio di interpretare l'espressione come se il quantificatore agisse solo sul primo predicato, ovvero come se esso vincolasse solo la prima variabile. In tal caso, ad esempio, (∀x)fx→gx, se f è ' essere europei' e g è 'essere terrestri', si leggerebbe come "Se tutti sono europei allora x è terrestre". In questo caso, la seconda variabile sarebbe libera. D'altro canto, se effettivamente si volesse intendere questo allora converrebbe indicare la variabile libera con una lettera diversa da quella usata per la variabile vincolata e scrivere, ad esempio, (∀y)fy→gx.

Comunque, ci sono delle leggi di distribuzione dei quantificatori con cui possiamo sciogliere correttamente una forma prenessa normale:

a. equivalenze (∀x)[fx∧gx] ↔ [(∀x)fx ∧ (∀x)gx] (∃x)[fx∨gx] ↔ [(∃x)fx ∨ (∃x)gx]

b. implicazioni (∀x)[fx→gx] → [(∀x)fx → (∀x)gx]

(∃x)[fx∧gx] → [(∃x)fx ∧ (∃x)gx] c. controimplicazioni

(∃x)[fx→gx] ← [(∃x)fx → (∃x)gx] (∀x)[fx∨gx] ← [(∀x)fx ∨ (∀x)gx]

Negli enunciati visti (e in quelli aristotelici) compare un unico quantificatore per entrambi i predicati, ma vi possono essere casi in cui i quantificatori sono più di uno e magari in cui si ha pure a che fare con predicati binari, o ternari, o n-ari. Ad esempio, se volessimo rendere formalmente l'espressione "Gli europei sono amati" dovremmo rendere conto di un predicato monadico (f = 'essere europeo') e di un predicato diadico (g = 'essere amato da'). In questo caso dovremmo scrivere

(∀x)(∃y)[fx→gxy] cioè "Se qualcuno è un europeo allora esiste qualcuno che lo ama", ossia "Per ogni x esiste un y tale che se x è europeo, allora y ama x". Anche in questo caso bisogna prestare molta attenzione all'ordine dei quantificatori. Infatti se lo si mutasse, muterebbe il significato dell'espressione. Ad esempio, dato il caso appena vista, se scrivessimo

(∃y)(∀x)[fx→gxy] dovremmo leggere "Esiste qualcuno che ama tutti gli europei", che è del tutto diverso da quanto detto prima.

da G.Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999

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In realtà, vi sono dei casi in cui due quantificatori agenti su due variabili diverse possono scambiarsi, ma questo accade solo quando i due quantificatori sono uguali.

Per rendere l'idea delle possibili diverse sfumature che si hanno spostando i quantificatori, qui sotto proponiamo le relazioni che sussistono fra diversi enunciati nei quali vi è sempre lo stesso predicato binario g = 'essere amati' (come usuale, le frecce indicano l’implicazione o l’equivalenza materiale).

(∀x)(∀y)gxy (∀y)(∀x)gxy ("tutti sono amati da tutti") <-------------------> ("tutti amano tutti") ↓ ↓ (∀y)(∃x)gxy (∀x)(∃y)gxy ("qualcuno è amato da tutti") ------------------ > (“tutti amano qualcuno”) ↓ ↓ (∃x)(∃y)gxy <-----------------> (∃y)(∃x)gxy ("qualcuno è amato da qualcuno") ("qualcuno ama qualcuno")

oppure

(∀x)(∀y)gxy (∀y)(∀x)gxy ("tutti sono amati da tutti") <-------------------> ("tutti amano tutti") ↓ ↓ (∀y)(∃x)gxy (∃y)(∀x)gxy ("tutti sono amati da qualcuno") <------------------ ("qualcuno ama tutti) ↓ ↓ (∃x)(∃y)gxy <-----------------> (∃y)(∃x)gxy ("qualcuno è amato da qualcuno") ("qualcuno ama qualcuno")

Dunque, bisogna fare attenzione al campo d'azione di un quantificatore e all'ordine dei quantificatori nel caso di predicati n-ari, con n>1. In ogni caso, si può sempre passare alla forma prenessa spostando i quantificatori all'inizio dell'espressione tenendo conto che in tal modo il quantificatore agisce su tutta l'espressione e che quindi il suo ordine rispetto ad altri eventuali quantificatori deve essere quello corretto. Tuttavia, nel passare alla forma prenessa bisogna tenere conto che i quantificatori in prefisso non devono mai essere negati e questo può essere ottenuto facilmente sostituendo, nel modo visto, il quantificatore negato con il suo complementare (o quantificatore duale) che agisce su predicati negati. Naturalmente bisogna fare attenzione alle variabili in gioco e al diverso modo in cui sono eventualmente quantificate, e quindi bisogna avere l'avvertenza di usare un nome diverso per variabili quantificate in modo diverso. 3.3. Questioni semantiche

Finora ci siamo limitati quasi esclusivamente a questioni sintattiche, ma adesso è giunto il momento di affrontare anche la semantica, ovvero dobbiamo far entrare in gioco, da un lato, il significato degli enunciati e, dall'altro, i loro valori di verità. Ora, far in modo che un certo insieme di segni abbia un significato comporta interpretarlo in un certo modo. Per cui se vogliamo parlare di semantica dobbiamo parlare di interpretazione.

Consideriamo il nostro calcolo dei predicati del I ordine. Così come l'abbiamo presentato è un insieme di segni (segnatamente di costanti individuali, variabili individuali, costanti predicative n-arie, operatori enunciativi e di quantificazione, nonché segni ausiliari) combinati secondo certe regole sintattiche ben precise in modo da avere espressioni ben formulate relate tra loro secondo da certe regole inferenziali. Come detto, se vogliamo passare a questioni semantiche dobbiamo attribuire significato a tali espressioni ben formulate e alle loro relazioni, ovvero dobbiamo interpretare. Per fare questo dobbiamo, innanzi tutto, determinare un insieme

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non vuoto D (dominio) i cui elementi sono gli oggetti di quel mondo intorno al quale l'interpretazione parla. In secondo luogo, dobbiamo determinare una funzione Φ tale che:

1. a ogni costante individuale del calcolo fa corrispondere un elemento del dominio D: se a è una costante individuale, allora Φ(a) è un elemento di D, un oggetto del mondo di cui si vuole parlare, cioè Φ(a)∈D;

2. a ogni predicato n-ario fa corrispondere una relazione n-aria fra gli elementi del dominio: se f è un predicato monadico, Φ(f) è una relazione monadica (una proprietà) degli elementi di D, cioè degli oggetti del mondo di cui si vuole parlare, se fn è un predicato n-ario, Φ(fn) è una relazione n-aria fra gli elementi di D. In tal modo, la relazione n-aria Φ(fn) individua quel sottoinsieme delle n-ple ordinate costituite dai Φ(a)∈D che soddisfano la relazione, ossia individua un sottoinsieme del prodotto cartesiano del dominio, ovvero di Dn.

A questo punto, possiamo definire la verità nell'interpretazione I contraddistinta dall'insieme D e dalla corrispondenza Φ, ovvero in I=<D, Φ>. Sia f2ab un enunciato dove f2 è un predicato binario e a, b due costanti individuali, possiamo chiederci se f2ab è vero nell'interpretazione I individuata dall'insieme D dato dagli abitanti di Padova e dalla corrispondenza Φ tale che:

1. alle costanti individuali a e b associa Φ(a) = Mario e Φ(b) = Maria, dove Mario e Maria sono abitanti di Padova, cioè appartengono all'insieme degli abitanti di Padova (Φ(a)∈D e Φ(b)∈D);

2. al predicato binario f2 associa la relazione binaria Φ(f2) = 'x ama y' fra gli abitanti di Padova; in tal modo la relazione binaria Φ(f2) individua quel sottoinsieme delle coppie ordinate (D2) formate da abitanti di Padova tali che il primo elemento della coppia ama il secondo elemento della coppia.

Possiamo ora definire la verità dell'enunciato interpretato f2ab, ovvero la verità dell'enunciato "Mario ama Maria". Diremo che l'enunciato f2ab è vero nell'interpretazione I=<D, Φ> se la coppia ordinata (Φ(a), Φ(b)) appartiene all’insieme individuato dalla relazione Φ(f2), cioè se appartiene a D2; ovvero, "f2ab" è vero nell'interpretazione I se e solo se e vero che Mario ama Maria.

Abbiamo qui a che fare con una definizione di verità che pur ricordando molto quella corrispondentista classica, secondo cui la verità di un enunciato è data dal suo corrispondere ai fatti, ne deve essere differenziata in quando in gioco non vi è il linguaggio e il mondo, ma il linguaggio e il metalinguaggio, come ha evidenziato A. Tarski che negli anni '30 formalizzò il concetto di interpretazione e quindi di semantica.

Una volta definita la verità di un enunciato atomico, quale f2ab, possiamo definire la verità degli enunciati composti ottenuti componendo enunciati atomici tramite i connettivi enunciativi. Inoltre, possiamo passare a enunciati quantificati ricordandoci che (∀x)fx è vero se e solo se fa è vero per ogni a tale che Φ(a)∈D e che (∃x)fx è vero se e solo se fa è vero per almeno un a tale che Φ(a)∈D.

Prendiamo adesso un qualunque insieme di enunciati Γ del calcolo dei predicati del I ordine (Γ può consistere anche di un solo enunciato) e consideriamo un'interpretazione M di Γ. L'interpretazione M di Γ è detta modello di Γ se tutti gli enunciati di Γ sono veri in M. Ne segue che se M è un modello di Γ, allora tutti gli enunciati di Γ sono veri in M e si parla della validità di Γ in M.

Sia P un enunciato, indicheremo con Γ|=P,

il fatto che P vale in ogni modello Γ, ovvero che P è una conseguenza logica di Γ. Si può allora dimostrare il teorema di validità, ovvero se P è derivabile da Γ, allora P è una

conseguenza logica di Γ, cioè

da G.Boniolo, P. Vidali, Filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 1999

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se Γ |-P allora Γ |=P. D'altro canto se P è un teorema, allora P è vero in ogni modello, cioè

se |-P allora |=P, Si può anche dimostrare che se Γ è sintatticamente consistente (completo), ossia se da

esso non si può derivare un enunciato e la sua negazione, allora Γ è semanticamente consistente, ossia Γ ha un modello.

Nel 1930, K. Gödel dimostrò (teorema di completezza) che i tre risultati di cui sopra ammettono conversa. Per cui si hanno le seguenti equivalenze:

1. Γ è sintatticamente consistente se e solo se Γ è semanticamente consistente; 2. P è derivabile da Γ se e solo se P vale in tutti i modelli di Γ; 3. P è un teorema se e solo se P è un enunciato valido. Allora, nel caso del calcolo dei predicati del I ordine, abbiamo una relazione molto stretta

fra sintattica (la prima parte) - che ci dice che il calcolo è completo - e semantica (la seconda parte) - che ci dice che il calcolo è valido -.

Tuttavia si noti, come ha dimostrato nel 1936 A. Church, che il calcolo dei predicati del I ordine non è decidibile (anche se l'insieme delle tautologie lo è).