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Voce rosatese ... è aria di casa Vostra... respiratela! N. 1 Maggio 2016

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Voce rosatese... è aria di casa Vostra... respiratela!N. 1 Maggio 2016

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E D I T O R I A L E

Accoglienza,parola di speranza Il muro e la porta. L’esclusione e l’accoglienza. La bellezza, lo stupore della comunica-zione, della relazione, dell’incontro. Forse non basta solo un tweet per comunicare, non è sufficiente un sms per mettersi in dialogo.Talvolta basta, c’è bisogno di un sorriso, di una stretta di mano, di tendere una mano, di uno sguardo, piccoli-grandi gesti che cambiano il mondo.

La storia di questa nostra comunità civile, prima ancora che di quella religiosa, è nutrita di ascolto, di dialogo, di partecipazione, di accoglienza.Giorgio La Pira, il sindaco “santo” di Firenze, era solito dire che le città, i paesi “sono vivi”, quando sa offrire, per tutti “un posto per pregare, un posto per amare, un posto per lavorare, un posto per pensare, un posto per guarire”.

Li abbiamo tutti, e per tutti, questi “posti”, case per le famiglie, officine, scuole, ambienti per le cure, luoghi per esprimere i propri culti e le proprie pratiche di fede, nel nostro paese?Chi ci ha preceduto nella vita ha saputo accogliere orfani e disabili, deboli e soli, ha saputo dare assistenza ed istruzione, ha favorito opportunità di lavoro agli immigrati, ha mandato missionari e missionarie nel continenti più lontani per aprire orizzonti di fiducia.Certo, nel tempo, non sono mancate contraddizioni e incomprensioni, disattenzioni e ingiustizie, segni di fragilità.

Ma scorrendo, ancora una volta, “Rosà, note per una storia”, il libro di Mons. Giovanni Mantese, pubblicato quasi quarant’anni fa, nel 1977, ed i suoi cenni, le notizie su fede, tenacia, concordia, partecipazione comunitaria, troviamo tracce di una storia lineare, senza sussulti, senza svolte brusche, senza percorsi a ritroso nella quale ognuno si è potuto sentire accolto e partecipe, ed ha trovato spazio vitale e tempo per capirne ed accettare regole di convivenza.

È preziosa e saggia la comunicazione che richiama la nostra identità, che favorisce ed accompagna la nostra appartenenza. Anche per questo diamo fiato a “Voce Rosatese”, convinti che sia aria da respirare, aria di casa nostra.Qualcuno azzarda dire che la stessa verità è, per sua natura, comunicazione. Non una pietra preziosa da mettere in tasca, ma un mare in cui navigare, possibilmente insieme.

di Giandomenico CorteseS O M M A R I O

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EDITORIALEAccoglienza, parola di speranza di Giandomenico Cortese pag. 3

IL SALUTO DELL’ARCIPRETEVerso dove stiamo andando? di don Angelo Corradin pag. 5

REALTÀ PARROCCHIALIUn viaggio lungo 25 anni di Claudio Pegoraro pag. 26

Me-Te collaborazioni che funzionano di Emanuele Guidolin e Antonio Bonamin pag. 30

Grest 2016, Allegria! di Emanuele Guidolin pag. 31

Il Terz’Ordine Francescano di Rosà di don Alex Pilati pag. 32

RICORDIMons. Ciffo, tra urgenza di santità e dedizione totale al suo popolo di G. Cortese pag. 6

L’Arciprete di ferro di Giandomenico Cortese pag. 8

I Rosatesi e il terremoto del Friuli di Giannina Gaspari pag. 18

Era il 29 Agosto 1976 testimonianza fornita da Angelo Zen pag. 20

EDUCARE OGGIÈ questione di esperienza di David Scaldaferro pag. 12

Misericordia ed Accoglienza: cuore dell’educazione di Elisabetta Nichele pag. 14

STORIADiario di un giorno diverso di Fabrizio Parolin pag. 16

ATTUALITÀIl Triduo Pasquale vissuto nella nostra comunità di don Alex Pilati pag. 10

Fedi in gioco di Silvano Bordignon pag. 22

Hic sunt leones di Brigida Larocca e Marina Bizzotto pag. 24

Il Gender una questione da conoscere di Fernando Cerchiaro pag. 29

L’ANGOLO DELLA POESIA Maestra Elvira e la sua poesia di Mariateresa Tessarolo pag. 33

LETTERE IN REDAZIONE pag. 34

L’ANGOLO DEI BAMBINI di Chiara Farronato pag. 35

Ringraziamo:

Numero chiuso in Redazione il 9 maggio 2016

Parrocchia di Rosà - Piazza Libertà, 12 - 36027 Rosà (Vicenza) IBAN: IT96R 08309 60690 00800 80008 34 BIC: CCRTIT2T80A bonifici dall’estero

Direttore responsabile: Giandomenico Cortese. Gruppo di redazione composto da: don Alex Pilati, Luigino Baggio, Marina Bizzotto, Chiara Farronato, Paola Guerra, Emanuele Guidolin, Oscar Guidolin, Brigida Larocca, Elisabetta Nichele, Fabrizio Parolin, Claudio Pegoraro, Alfio Piotto, Angelo Zen.

Gruppo curatore del sito web: Antonio Bonamin, Fabio Peruzzo, Mattia Bisinella.

Autorizzazione Tribunale di Bassano del Grappa N.4/2012 del 27/04/2012. Il presente numero è stato stampato in 1.700 copie distribuite in paese.

Foto: archivio Voce Rosatese. Ideazione grafica e stampa: Novigraf Rosà (Vicenza).

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E D I T O R I A L E

Oggi troppa comunicazione è frammentazione, approssimazione, è la malattia delle solitudini. Disgrega, non aiuta ad accogliere.

Paolo VI, il Papa tanto amato e venerato dal “nostro” Card. Sebastiano Baggio,diceva a questo proposito “Bisogna saper esser antichi e moderni, parlare secondo latradizione, ma anche conformemente alla nuova sensibilità. A che cosa serve dire quello che è vero se gli uomini di questo secolo non ci capiscono?”.Lo sforzo di capirci, appunto, di ascoltarci, di accoglierci, così come siamo, risulta sempre più imprescindibile e vitale.

Proviamo a parlare al nostro cuore. Proviamo ad ascoltare le parole vere.In una sua lettera pastorale alla comunità milanese, trent’anni fa, l’allora Arcivescovo Carlo M. Martini, scriveva: “Vorrei farmi tuo compagno di strada: ascoltare le domande vere del tuo cuore, confessarti le mie. Questo è importante: non è possibile trovare e dare risposte, se non si sono riconosciute le domande. Una “regola di vita” vorrebbe anzitutto essere un tentativo di dare risposte a domande vere (o forse, più modestamente, l’indicazione di un tracciato, lungo il quale cercare e incontrare risposte vere)”.Egli ammoniva sulla “invadenza dell’io”, sulla “perdita dell’ingenuità”, sulla “via più difficile” che è imparare a vivere con noi stessi, a riconoscere per essere riconoscenti, a coltivare il dialogo, a farsi prossimo, ad essere coscienza vigile nella società, a concepire l’educazione come restituzione dei beni, e dei doni, ricevuti, allo stile della sobrietà.L’accoglienza è speranza di comunità. Scegliersi l’ospite è un avvilire l’ospitalità.

La storia insegna che quasi mai è stato il pane ad andare verso i poveri, piuttosto i poveri ad andare là dove si crede di trovare il pane, per condividerlo.Per questo, guardandoci attorno, nel minuscolo scorcio di mondo nel quale ci muoviamo, travolti dalla globalizzazione, certi che nessun uomo è piccolo, parliamo di accoglienza come di opportunità, di partecipazione.Solo così l’accoglienza è parola di luce, è il canto che non muore, e ci è compagna nell’in-tonare, di nuovo insieme, la ballata della speranza.

SALUTO DELL’ARCIPRE TE

La Chiesa Vicentina nel territorio.Verso dove stiamo andando? Nella nostra tradizione ecclesiale, la pre-senza e il ruolo del parroco erano motivo di sicurezza per le comunità, e garantivano in concreto l’identità e la continuità della vita ecclesiale, anche se questo fatto poteva talora (soprattutto nelle piccole parrocchie) non lasciare molto spazio alla partecipazio-ne dei laici. Ora non è più così.Ormai gran parte delle parrocchie della diocesi devono condividere con altre il ministero del parroco, perchè si trovano aggregate tra di loro in varie forme di “unità pastorali”, e sono affidate a più parroci “in solidum” o a un solo parroco. Nessuno quindi mette in dubbio la necessità e la specificità del ministero presbiterale, ma stanno profondamente cambiando le mo-dalità del rapporto fra preti e parrocchie. Alla figura tradizionale del pastore che vi-veva quotidianamente con il suo popolo, conoscendone e condividendone tutte le situazioni di vita personale e comunitaria, si sta progressivamente sostituendo la figura di un “apostolo-itinerante”, che ha davanti a sè più comunità da servire. Egli non può quindi offrire contemporaneamente a tutte una presenza quotidiana e attenta ad ogni problema, anche se con ciascuna di esse deve costruire una relazione effettiva, che permetta l’annuncio della Parola e la guida spirituale, la celebrazione dei segni della liturgia, la promozione delle vocazioni e dei

ministeri per il servizio al Vangelo e ai poveri.Se però è cambiato e va ripensato il rap-porto fra prete e comunità, anche le co-munità sono cambiate e devono ripensare sè stesse. Infatti la parrocchia non è più il centro di tutta la vita della gente, perchè molto spesso il lavoro, la scuola, le amicizie, il tempo libero e la stessa esperienza reli-giosa vengono vissute “altrove”. L’azione pastorale richiede nuove modalità di annuncio e di formazione, e nuove figure ministeriali. L’assenza di un par-roco stabilmente residente lascia in alcuni un senso di vuoto, ma sta pure facendo crescere la consapevolezza che la conti-nuità e la vitalità della parrocchia chiamano in causa la responsabilità e l’impegno di coloro che ne costituiscono il tessuto vivo e permanente, e cioè i laici.In ogni caso occorre chiedersi: come è pos-sibile sostenere e orientare queste nostre comunità cristiane, così come sono ora, nel passaggio verso una situazione nuova e diversa? Come potranno ora queste co-munità organizzare e seguire quotidiana-mente la catechesi e gli itinerari formativi, la preghiera comunitaria, la cura assidua dei malati e dei poveri... ? In passato ci pen-sava il parroco: ora chi ci pensa, in modo stabile e corresponsabile? E in ogni caso: chi dice che solo il parroco deva pensare a queste cose? Il problema non è quello di

sostituire con i laici i preti che mancano, ma di far partecipare pienamente i laici alla vita della chiesa.La nostra Diocesi sta cercando di rispon-dere a queste istanze, non semplicemente per far fronte a un problema organizzativo (la diminuzione dei preti), quanto piuttosto per crescere nell’esperienza della comu-nione e della corresponsabilità per la mis-sione. Sono nate così le scelte pastorali della collaborazione fra parrocchie e della promozione della ministerialità laicale, nella consapevolezza che ogni nuovo cammino apre alla speranza, ma anche pone nuovi problemi.Buon cammino a tutti, don Angelo.

di Don Angelo Corradin

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di Giandomenico Cortese

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R I C O R D I

Mons. Ciffo, tra urgenza di santitàe dedizione totale al suo popolo Cosa direbbe ai “suoi” preti, oggi, mons. Mario Ciffo, quali parole robuste pronuncerebbe dal pulpito del Duomo di Rosà per ammonire i fedeli, indicare loro la strada da percorrere, gli atteggiamenti da assumere, i doveri da praticare per una vita buona.È solo una curiosità, per non dimenticare. Il burbero parroco, nato a Maglio di Sopra in quel di Valdagno, ha “allevato” tra i suoi diversi cappellani ben due vicari generali della nostra diocesi.Mi piace ricordare la figura di questo sacerdote coraggioso e altero, profon-damente buono, intriso dell’umanità della sua gente, scolpito con i caratteri duri, talvolta spigolosi di una ruralità autenti-ca, umile, prudente e saggia, coltivata dall’esperienza del silenzio orante.

Non è facile possedere traccia incisanella roccia dei sentimenti di un uomo così lontano dalla contemporaneità e così pre-sente nella saldezza dei valori essenziali di una vita cristiana ragionata e ferma, fervida e genuina.Trent’anni fa, giusto il 26 febbraio, la sua morte privava Rosà di un caposaldo della sua storia più recente. Un uomo e un arci-prete che aveva ben salde nelle sue mani, soprattutto impresse nel suo cuore, le stimmate di una vocazione al servizio, con rare sensibilità, dietro la scorza di ruvidezza che una Chiesa preconciliare sentiva il dovere di guidare il proprio po-polo senza incertezze, sfumature dog-matiche o dottrinali, aperta ai bisogni essenziali, poco incline ad accompagnare e assecondare le mire, i sogni e le chimere

della contemporaneità.Scherzosamente, ma non troppo, la canonica della parrocchia di Sant’Antonio, era considerata un po’ il Car (il Centro addestramento reclute) della Diocesi berica, tanta e tale era la capacità di plasmare i giovani preti che un “istruttore” tutto d’un pezzo, come Mario Ciffo, in grado di allenare il suo clero al sacrificio fisico della testimonianza, prima ancora che alla pratica religiosa.Era esigente con se stesso, innanzitutto. Badava all’essenziale, sapeva “curare” la sua gente, cogliere le migliori qualità, incoraggiare e promuovere l’impegno e l’intraprendenza: un ottimo selezionatore di personale. Manager e padre, dal piglio deciso, accogliente e capace d’ascolto.Una figura esemplare, emblematica nell’autorevolezza, con una visione ca-pace di raccogliere ogni sfumatura del presente, preoccupato del divenire, con la grande capacità di motivare.Se il paese, oltre la parrocchia, che ha “go-vernato”, è cresciuto anche in benes-sere economico, non era casuale il suo apporto di indirizzo e di sostegno.Le opere parrocchiali (dagli Istituti Pii e dalla Scuola Materna, alla Casa del Clero,a quella delle Orfane, alla Casa dellaDottrina Cristiana, al Tempio dei Giovani, al Cinema Monte Grappa) che ha pre-

servato e ammodernato, o seguito nella sua responsabilità, a partire dalla Chiesa Arcipretale, riconosciuta nel 1965 alla di-gnità di “Duomo” ne sono segno tangibile.Col maestoso campanile e la statua del-la “Rosa Mystica” erano le sue creature materiali, a cui dedicava tante attenzioni, senza mai prescindere dalle persone, di ogni età e condizione sociale che amava senza risparmio.La preoccupazione per le associazioni, i gruppi che crescevano attorno alla parroc-chia era costante e vigile. Basti pensare alla schola cantorum, ai suoi catechisti, o alla dedizione alla Banda Musicale. E come dimenticare l’occhio vigile, d’arbitro, sull’Ac Rosà. Le pratiche religiose, che voleva condivise, rimanevano uno dei suoi crucci costanti.Prete nutrito di profonda spiritualità, non sempre accompagnata da altrettanta attenzione alla cultura, mai rassegnata alle mode, ha vissuto proiettato sugli ampi orizzonti di una misissionarietà che alimen-tava e seguiva, accompagnava nelle voca-zioni maschili e femminili, a cui continuava a dedicare profonda partecipazione, con-siderandole una continuità preziosa della comunità locale.Per lui era naturale, come il solerte saluto del “Sia lodato Gesù Cristo”, girare a piedi e talora in bicicletta le vie e le contrade del paese, per incontrare anziani e malati, e portare, in costante ro-gazione, annunci di serenità, sollecitazioni alla preghiera, inviti ai “fioretti”, alla recita del Rosario attorno ai capitelli negli incroci

delle strade, orgoglioso del “suo” Cardi-nale (Sebastiano Baggio), delle affollate processioni, delle festività stagionali che arricchiva di pratiche severe (la festa del patrono Sant’Antonio Abate il 17 gennaio, quella votiva del primo mercoledì di mag-gio, l’altra generosa di appuntamenti il 25 di agosto, il tempo della “sagra”, ancora per ricondurre in processione, al ritmo e sui tempi della gloriosa banda parrocchia-le, una venerata Madonna della Salute).Il richiamo costante alle virtù, all’urgenza di sanità, alla preghiera e alla pietà euca-ristica, alla pratica della misericordia.C’è una sua immagine che mi piace ricordare, emblematica dell’orgoglio con cui conduceva, con consapevolezza, il suo gregge.Lo rivedo in quella foto: sguardo al-tero, passo marziale, sicuro di sé, pronto a guidare i suoi fedeli richia-mati al suono possente della cam-pane, deciso verso una meta di cui non si può dubitare.

Una schiera di angeli è sempre pron-ta ad accogliere chi sa dove andare. Forse, mons. Ciffo, pur praticandolo nella quotidianità, non avrà mai letto il modello che Sant’Ambrogio indicava ai suoi preti in quell’inizio di Cristianesimo intrapreso a Milano: “Guadagnatevi la stima e la consi-derazione del popolo con la dolcezza del carattere e con la benevolenza d’animo. La bontà infatti attrae la gente, è cara a tutti, e non v’è cosa che più facilmente penetri negli umani sentimenti. È incredi-bile quale e quanto affetto susciti la bontà quando si accompagna alla mitezza e alla affabilità, alla moderazione nel comando, alla mitezza del discorso, alla serietà della parola, alla pazienza nelle discussioni, alla cortese modestia”.

Mamma Brigidafesteggia il neoMonsignore.

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L’Arciprete di ferro “L’Arciprete di ferro”, uomo di disciplina, com’era chiamato dal clero diocesano, Don Mario Ciffo aveva fatto il suo ingresso a Rosà, alla guida della Parrocchia di Sant’Antonio Abate, il 7 marzo 1948, proveniente dalla comunità della Ss. Trinità di Montecchio Maggiore (e prima ancora, dall’autunno 1933 all’agosto del 1941 era stato cappellano a Noventa Vicentina e dove aveva seguito e accompagnato nella sua vocazione sacerdotale quel giovane Armido Gregolo che poi gli sarebbe stato a fianco, a Rosà, per lunghi anni, dal ’52 al ’63, quale cappellano).“Cuore d’oro sotto una scorza ruvida”, l’ha descritto così don Adriano Toniolo, nel ricordarlo in un epitaffio funebre, dopo la morte avvenuta un mercoledì, il 26 febbraio, giusto trent’anni fa.Un carattere paragonabile - per alcuni - al

riccio della castagna, pungente di fuori e squisitamente fragrante al di dentro.Don Ciffo era nato a Maglio di Sopra in Valdagno, il 30 luglio 1909. A 24 anni, il 16 luglio del 1933, nel giorno votivo della Madonna del Carmelo, era stato ordinato sacerdote dal Vescovo Ferdinando Rodolfi.Da parroco, a Rosà era arrivato accompa-gnato dalla mamma, dalla sorella Agnese, che lo avrebbe accudito per tutta la vita, ed il fratello Plinio.Nel 1959 venne fatto Monsignore ed insignito del titolo di Canonico onorario della Cattedrale.Il 20 giugno del 1979, per motivi di salute, aveva rinunciato alla guida della parrocchia chiedendo di poter di restare tra la sua gente.Il 1 Luglio del 1979 lo avrebbe sostituito don Bruno Piubello, rimasto a Rosà per

R I C O R D I di Giandomenico Cortese

La banda parrocchiale era per Mons.Ciffo, un orgoglio.La sentiva come sua creatura. Ne era entusiasticamente ricambiato.

Prelibati asparagi rosatesi,vengono donati al Card. Sebastiano Baggio.

Nell’agosto del 1965, Rosà ebbe il privilegio di ospitareCard. Luciani futuro papa Giovanni Paolo I

Benedizione del nuovo gagliardetto della sezione Alpini di Rosà.Sono presenti la Signora Maria Mugna e il presidente Pietro Geremia.

Novello Monsignor Ciffo, attorniato da bambini e ospiti degli Istituti Pii di Rosà.Gli sono accanto il fratello Plinio e Settimo Carlesso, Sindaco di allora.

Rosà meta di importanti personalità. Il Vescovo polacco mons. Markaski con ilcardinale Baggio, attorniati da mons. Ciffo, don Bruono Piubello, suo successore, e mons. Luigi Mella direttore della Casa del Clero di Rosà.

dieci anni prima di andare a Costabissara, a dirigere la Casa di esercizi spirituali Villa San Carlo.In “Rosà, note per una storia” Mons. Giovanni Mantese ricorda come, proprio durante i primi anni di responsabilità della parrocchia da parte di don Ciffo vennero

“bruscamente interrotte tutte le dipendenze che la chiesa di Rosà aveva fin dalla sua origine con Bassano, sia di natura eccle-siastica come civile”. Veramente gli obblighi di natura ecclesiastica erano venuti meno col passare del tempo. Ma fu propio in quei mesi - come attesta una lettera dell’allora

Foto ricordo con i sacerdoti passati a Rosà negli anni importanti della permanenza di Monsignor Ciffo.

Sindaco della Città del Grappa, Giovanni Bottecchia, al Vescovo Carlo Zinato - che il Consiglio Comunale di Bassano aveva rinunciato al Giuspatronato per la nomina dell’Arciprete di Rosà.

R E A LTÀ PA R R O C C H I A L I di don Alex Pilati foto di © Alessio foto studio

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A T T U A L I T À

Il Triduo Pasquale vissutonella nostra comunità Cari amici di Voce Rosatese la setti-mana fra il 20 e 27 marzo la nostra UnitàPastorale di Rosà e Cusinati ha vissuto gli eventi fondanti e più importanti della nostra fede: la passione, morte e risur-rezione del Signore Gesù. Qualcuno si chiederà il perché della mobilità annua della festa di pasqua? Risposta sem-plicissima: Pasqua è sempre la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera (quest’anno la luna piena è cascata il 23 marzo, perciò la domenica successiva è il 27), e questa è una prassi molto antica, la stessa con la quale gli Ebrei celebrano la loro Pasqua di libera-zione dalla schiavitù d’Egitto. Pasqua è

passaggio, dal freddo e infruttifero inverno alla primavera che ogni anno ci incorag-gia a pensare che la vita ricomincia, va avanti; anche la risurrezione di Gesù è invisibile e avviene dentro la nostra vita di ogni giorno, dentro alle nostre ferite,pesantezze, sopportazioni, dentro inostri “inverni” esistenziali. Essa non ha la pretesa di essere un evento eclatante (non lo è neanche nei vangeli) perché il suo effetto dentro la nostra vita è ogni giorno per piccoli passi… di rinascita… come le stagioni senza tanto chiasso prendono gradualmente possesso del periodo prestabilito. Questa Pasqua l’abbiamo vissuta attraverso alcune cele-

brazioni importanti: il Giovedì Santo con il gesto del Servizio della lavanda dei piedi, venerdì santo con la totale consegna della vita di Gesù nelle nostre mani, e infine sabato sera vegliando attraverso la luce di Cristo Risorto nell’ascolto della parola, nella liturgia battesimale di due bambini e nella comunione al Pane Eucaristico…ancora una volta abbiamo testimoniato il centro della nostra fede in Cristo risorto, non attraverso grandi prediche o dottrine ma attraverso tanti gesti liturgici da una parte semplici ma quanto mai potenti e significativi agli occhi della fede.

Celebrazione del battesimo durantela veglia pasquale.

Via Crucis presso gli Istutiti Pii.

Immersione del cero pasquale nel fonte battesimale.

Benedizione del cero pasquale.

Particolare dellaVia Crucis consuore ed ospiti

dell’istituto.

Lavanda dei piedia dodici bambinidurante la messadel giovedì santo.

di David Scaldaferro

essere viva accompagnandoci tutti i giorni.In quest’ottica l’ACR e il catechismo si propongono di annunciare la Parola di Dio come risposta alle piccole e grandi doman-de dei ragazzi, perché loro sono prima di tutto persone a tutti gli effetti, protagonisti di questa azione educativa e soprattutto piccoli cristiani con una loro fede “piccola fiamma da alimentare”.In questa azione educativa, gli educatori cercano il più possibile di partire dalla vita concreta di tutti i giorni e dalla loro espe-rienza quotidiana per aiutare i ragazzi a conciliare vita e Vangelo mettendo in evi-denza la freschezza della Buona Novella dataci da Gesù.Fondamentale per l’ACR è l’opzione GRUPPO, dove si sperimentano e vivonole relazioni tra pari e con gli educatori,cercando di costruire un luogo di dia-logo e confronto dove prima di tutto si è accettati e poi ascoltati (non vice-versa). Luogo dove si prova a fare esperienza di piccola chiesa.L’altra opzione, come già detto, è l’ESPE-RIENZA puntando sulla missionarietà, sull’apertura all’altro partendo dal compa-gno vicino, diverso e a volte anche poco simpatico. Cercando di creare ponti e non muri; allenando ciò che di più importante ci sia nelle relazioni: l’ASCOLTO.L’incontro è continuato con la spie-gazione degli strumenti a disposi-zione degli educatori e di come le atti-vità abbiano degli obiettivi di fondo che sibasano prima di tutto sulla domanda di vita del ragazzo e sugli atteggiamenti/valori

E D U C A R E O G G I

È questione di esperienza Incontro tenutosi mercoledì 17 febbraio con i genitori e animatori nel salone dell’o-ratorio San Giovanni Bosco.Relatori: Don Alex e David.È da un po’ di anni che la parrocchia di Rosà ha scelto di equiparare il percor-so catechistico con quello dell’ACR.Questa scelta è stata fatta da Don Giorgio appena arrivato a Rosà fidandosi del nutrito gruppo di animatori disponibili a seguire i ragazzi.Non si è mai avuto l’occasione di fare un incontro specifico con i genitori dei ragazzi che partecipano alle attività per spiegare loro su cosa si fonda la catechesi dell’ACR che è detta esperienziale.Proprio così è questione di “ESPERIENZA” che non è da confondere con competenza.Le esperienze sono fondamentali per la crescita dell’individuo.Tutti i giorni della nostra vita facciamo pic-cole o grandi esperienze che ci modificano e ci fanno diventare più esperti.“La vita è esperienza, l’esperienza è vita” citando il progetto ACR del 1994.Chiaro che non tutto ci può influenzare e non sempre le esperienze sono significative,infatti, dipende dalla persona che deve essere:- Attento e disponibile: non sempreriusciamo a prendere il treno quando pas-sa, bisogna essere pronti e non dormire.- Stimolato: le cose che ci succedono devono colpirci e un po’ scioccarci per

accendere la nostra attenzione.- Motivato: l’interesse delle persone è fondamentale per sintonizzare vita edesperienza.Per questo l’ACR ha scelto l’esperienza come metodo e pedagogia per il suo per-corso cercando di far risaltare l’incontro con ciò che educa.Le cose, le persone, le relazioni, i modi di essere, le azioni che incarna-no dei valori vanno messe in risalto e scoperte come dei piccoli tesori cercando di farli diventare parte dei ragazzi e di noi.Sì, il noi in questo cammino è fondamentale perché prima di tutto è fatto “INSIEME” e l’esperienza che modifica educando ed educatore e i valori non sono trasmessi ma fatti emergere per quanto possibile. Infatti, come ha detto Don Alex, l’origine etimo-logica di educare è “tirare fuori” evitando di pensare che i ragazzi siano dei vasi da riempire.Questa necessità educativa era emersa prepotentemente dopo il concilio Vaticano IIe già nel 1970 era stato scritto un docu-mento pastorale “Rinnovamento della Catechesi”. Questo documento spinge a mettere al centro la figura di Cristo acco-gliendolo come persona vivente nella pie-nezza della sua umanità e divinità. Inoltre, la Parola di Dio deve apparire ad ognuno come apertura ai propri problemi, come risposta alle proprie domande, e deve

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(esempio stupore, responsabilità, discer-nimento, generosità) che sono diversi ogni anno e sono declinati in base all’età del bambino o del ragazzo a cui sono rivolti.L’itinerario è scandito da vari tempi che si integrano con la vita della parrocchia e con le proposte dell’AC tipo festa della Pace, Acierrissimo, campeggi parrocchiali, vicariali e diocesani.Don Alex ha concluso con queste parole: “Gesù non ci ha lasciato in eredità un libro con i suoi insegna-menti, ma un gruppo di persone con le quali ha vissuto la fatica e la gioia di stare insieme. Non ha lasciato in eredità una dottrina ma un modo di vivere in pienezza la propria vita sce-gliendo gli altri”.Sarebbe bello in futuro attivare un percor-so per i genitori che si possa affiancare al percorso dei ragazzi per poter crescere insieme.

Educare con accoglienza e misericordia non è una tecnica, ma un’abilità umana. Essa si sviluppa attraverso le nostre scelte prese quotidianamente mentre interagiamo con le diverse situazioni proposte dalla vita. Non è certo semplice offrire una formazione di questo tipo, ma è senza dubbio possibile migliorare ed ogni conquista, qualunque essa sia, riveste un grande significato.L’educazione modella il bambino, il giovane nel suo modo di essere e di interagire con la vita, nello stesso tempo è altrettanto importante per colui che la offre, essendo una delle principali espressioni di sé nell’esi-stenza.

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E D U C A R E O G G I

Misericordia ed Accoglienza:cuore dell’educazione

È una sfida continua in quanto ci chiede di dare, come genitori o come insegnanti, più di quello che pensiamo di avere o di poter dare: è una delle responsabilità più grandi e belle.L’educazione merita perciò molta attenzione e risorse adeguate per-ché è proprio in essa che si possono cogliere i successi più gratificanti. Già nell’antico Egitto, Grecia e nelle civiltà romane era ritenuta molto importante, ma veniva impartita alle giovani generazioni usando prevalentemente punizioni per ren-dere più efficace il processo di apprendi-mento. La punizione fu così usata sistema-ticamente come metodo per educare fino

agli anni Sessanta e tale modello fu, di fatto, universalmente riconosciuto: si riteneva che lo stimolo doloroso fosse indispensabile per l’apprendimento.Negli anni Sessanta i giovani si ribellarono alla costrizione sollecitando così a cercare un’alternativa educativa per le nuove ge-nerazioni. Si cominciò allora a dare mag-giore importanza all’espressione di sé, al rispetto del bambino e delle sue esigenze. Poiché gli strumenti educativi furono pur-troppo immaturi si cadde nell’opposto, in un’educazione eccessivamente permissiva che presto mostrò i suoi difetti. Si tentò di eliminare lo stimolo doloroso fisico ma continuando tuttavia a ricorrere allo stimolo doloroso psicologico: giudizio negativo, minaccia, ricatto, intimidazione.Così nella cultura occidentale l’edu-cazione ha sperimentato prima la rigidità e poi il permissivismo. Ma la caratteristica dell’oscillazione è questa: né l’una, né l’altra posizione risultano ade-guate. Il porsi in un estremo o nell’altro può far godere all’inizio dei suoi benefici, ma presto si affacciano anche ed inevita-bilmente gli effetti spiacevoli.Quando l’educatore è rigido il discente certo, impara, ma raramente prova piacere ed amore. Quando l’educatore è debole il discente è contento, ma apprende poco. C’è un aspetto positivo ed uno contro-

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di Elisabetta Nichele

producente in entrambi gli estremi. Diffi-cilmente la soluzione risiede da una parte o dall’altra, quella ottimale risiede altrove.Un’educazione positiva avverrà allora attra-verso un’ottima relazione in cui il contatto amorevole con il discente è mantenuto co-stantemente dall’educatore in uno scambio fatto di accoglienza, accettazione e com-prensione, al cui interno gli elementi edu-cativi quali possono essere le indicazioni, i limiti, le richieste o le spiegazioni, vengono presentati in modo chiaro e fermo.L’atto dell’educare non può dimenti-care l’amore presente nella relazione che non è certamente limitante, ma si trasforma in misericordia, acco-glienza.L’educazione deve superare il conflitto, l’oscillazione tra rigidità e permissivismo, maturando l’equilibrio di un’educazione misericordiosa e accogliente insieme.In tal modo, offrendo esperienze positive, si otterranno risultati educativi all’interno di una relazione umana affettuosa.Alla base dell’educare deve esserci allora il riconoscimento dell’individuo.Già il fatto che un individuo esista è una verità preziosa. Ogni individuo è consape-vole di sé e degli altri, è un individuo con dignità e amore.Essere quindi capaci di accogliere l’altro in quanto individuo consapevole è un’abilità di relazione fortissima capace di prevenire molte difficoltà nell’educazione. Il ricono-scimento dell’altro porta con sé un senso di rispetto, di affetto, questo significa misericordia e di conse-

guenza, accoglienza. Molto spesso nell’atto educativo ci si sofferma su quello che il discente vuole e fa o anche su ciò che non vuole o non fa. Poche volte, purtroppo, ci si sofferma su chi l’individuo, sempli-cemente, è. Il vero educatore dovrebbe essere in grado di comunicare con grande umanità: “Io sono consapevole di te come individuo, sei immensamente prezioso per me”. Ciò basterebbe come garanzia per una crescita armoniosa, la base su cui si può costruire tutto il resto: insegnamenti, regole, nozioni, richieste, accordi... Un in-dividuo che si sente riconosciuto e rispet-tato nel suo essere sarà disponibile ad ascoltare, a capire, a seguire le indicazioni e, se necessario, a correggere il proprio comportamento.In questo modo si può cogliere la sfida lanciata da Papa Francesco che chiede ad ogni educatore un approccio positivo: ogni

volta che si entra in rapporto con un giovane la misericordia richiede di cercare il bene di cui è capace. Non serve guardare i suoi limiti e nemmeno analizzare il suo male, ma tirar fuori quegli aspetti positivi che permettono di ricostruire nel bene l’esistenza di ciascuno: questa è mi-sericordia, accoglienza, la certezza che nell’altro un bene c’è e che se lo si trova, si ricostruisce.Papa Francesco è convinto: “Senza cer-tezza nella positività del cuore umano, non c’è educazione”.Lui sa che dell’uomo, del suo cuore ci si può fidare…eccolo il punto di forza da cui parte l’educazione: il cuore dell’uomo.Misericordia e accoglienza allora si-gnificano puntare sul cuore fidandosi della libertà di ogni individuo.

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“Questi non sono i “barbari selvaggi” di cui abbiamo tanto letto. Sono uomini con case e famiglie, paure e speranze e, si, amor di patria.Insomma sono uomini come noi. Come hanno potuto indurci a credere altrimenti? Siccome si faceva tardi abbiamo cantato insieme qualche altra canzone attorno al falò, e abbiamo finito per intonare insieme, non dico una bugia, “Auld Lang Syne”. Poi ci siamo separati con la promessa di rin-contrarci l’indomani, e magari organizzare una partita di calcio” (da una lettera di un soldato inglese di stanza a Ypres (1914), città belga delle fiandre).Correva l’anno 1914 e la Grande Guerra era scoppiata da poco quando un evento straordinario ed eccezionale fece capire a tutti quale fosse l’assurdità che si sarebbe scatenata nei cinque anni successivi.A Ypres, una piccola cittadina delle fian-dre, soldati tedeschi e britannici, durante la vigilia del primo Natale di guerra, uscirono dalle loro trincee, cantarono insieme i canti augurali, seppellirono i morti, si scambia-rono dei doni e così capirono che l’inimi-cizia pubblicizzata e decretata dai grandidelle nazioni non aveva alcun senso.Perché si doveva combattere contro persone con cui si festeggia insieme il Natale? Qual era il senso di tutto ciò? Queste furono le domande che si insinuarono nell’animo dei soldati inviati al fronte, i quali risposero in maniera istintiva,

Diario di un giorno diversoS T O R I A

naturale e profondamente umana: membri delle truppe tedesche e britanniche schie-rate sui lati opposti del fronte si scambia-rono auguri e canzoni dalle rispettive e contrapposte trincee, ad un coro tedesco rispondeva una cornamusa britannica, e fu così che alcuni singoli individui decisero di uscire dalle loro postazioni per portare doni di qualsiasi tipo ai soldati schierati dall’altro lato; in tal modo ci fu uno scambio di ta-bacco, alcolici, bottoni delle divise, gavette, cappelli e quant’altro.Il giorno seguente, ovvero il giorno di Na-tale, un gran numero di soldati di entrambi gli schieramenti, ripeterono l’operazione e lasciarono spontaneamente le trincee per incontrarsi “nella terra di nessuno” con gli uomini contro i quali avevano combattuto i giorni precedenti e, oltre a celebrare comunicerimonie religiose e di sepoltura dei caduti,

i soldati fraternizzarono a tal punto da organizzare una improvvisatapartita di calcio con un rudimentale pallone di stracci.Gli eventi della cosiddetta “tregua diNatale” non vennero riportati per settimane, come se ci fosse una sorta di autocensura non ufficiale, fino al 31 dicembre dello stes-so anno quando la notizia venne pubblicata dal The New York Times statunitense, cre-ando non poco scalpore; successivamente i giornali inglesi riportarono numerosi rac-conti in prima persona degli stessi soldati, presi dalle lettere inviate alle famiglie.Questo evento venne accolto con gioia dall’opinione pubblica inglese che lo defi-nì come “una delle grande sorprese di una guerra sorprendente”, così dall’8 gennaio 1915 iniziarono ad essere pubblicate le prime fotografie degli eventi, in particolar

di Fabrizio Parolin

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modo dal Daily Mirror e dal Daily Sketch che deplorarono l’assurdità della tragedia bellica sostenendo con entusiasmo l’atteg-giamento dei soldati.Tuttavia per lungo tempo l’episodio è sempre stato smentito e minimizzato per motivi d’onore e anche i libri di storia non dedicano lo spazio che meriterebbe, ma ancora una volta la memoria riemerge e resta indelebile grazie alle testimonianze scritte dai protagonisti diretti come quella del soldato inglese Bruce Bairnsfather:“Non dimenticherò quello strano e unico giorno di Natale per niente al mondo; notai un ufficiale tedesco, una specie di tenente credo, ed essendo io un po’ collezionista gli dissi che avevo perso la testa per alcuni dei suoi bottoni della divisa. Presi la mia tron-chesina e, con pochi abili colpi, tagliai un paio dei suoi bottoni e me li misi in tasca.Poi gli diedi due dei miei bottoni in cam-bio; da ultimo vidi uno dei miei mitraglieri, che nella vita civile era una sorta di barbiere amatoriale, intento a tagliare i capelli lunghi di un docile tedesco che rimase paziente-

mente inginocchiato a terra mentre la mac-chinetta si insinuava dietro il suo collo”.Poco dopo le note di Auld Lang Syne fermarono uomini e tempo e così inglesi, scozzesi, irlandesi, prussiani, wurtembur-ghesi si ritrovarono uniti a ballare e a canta-re vicino a quelle persone che poco prima erano “nemiche”.La canzone, meglio nota in Italia con il nome “Il Valzer delle candele” è un tipico brano della tradizione scozzese che viene cantato

a Capodanno per salutare il vecchio anno e dare il benvenuto a quello nuovo, maspesso viene intonato anche in occasione dei congedi, degli addii, delle separazioni ed ha proprio l’intento di ringraziare esalutare gli amici conosciuti, in questo caso i soldati avversari, prima della separazione, prima del rientro nelle trincee.È un autentico invito rivolto alle per-sone a non dimenticare i vecchi amici e i “tempi andati”, è un invito a fermarsi ogni tanto per fare due passi nel passatoin compagnia della memoria e di tutti i compagni che ci hanno accompagnato nei momenti difficili, magari attorno ad un falò, fuori da una trincea, nella terra di nessuno accanto ad un “falso nemico”.

L’incontro tra i due schieramenti “nemici”.

La partita di calcio tra teschi e britannici.

La treguamomentanea.

I Rosatesi e il terremoto del Friuli

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6 maggio 1976. Sono trascorsi quarant’ anni da quella “gnot dal sis di mai”! Ma quanti ne avevo io allora? Ero una giovane infermiera volontaria della CroceRossa di Vicenza, entusiasta della vita e forte del nobile motto delle crocerossine: “Ama, Conforta, Lavora, Salva. Dio bene-dica l’opera tua”. Una coppia di amici di Vicenza mi aveva accompagnata in auto fino alla sede della Croce Rossa di Udine. Nessun abito bor-ghese: nello zaino solamente i cambi della divisa azzurra e il velo blu.La meta? Sconosciuta. Salita su una AR (Autovettura da Ricognizione) condotta da un milite della Croce Rossa, sobbalzando e procedendo a slalom sulla strada di buche e crepe prodotte dal sisma, raggiungemmo un paesino che in piedi aveva solamente

R I C O R D I

una parte del campanile; tristemente muto, il suo orologio indicava le 9 e tre minuti, l’ora tragica del fatidico 6 maggio! Il paesino? Trasaghis, un nome che significa “tra le acque”; a poche cen-tinaia di metri vi scorre, ampio e solenne, con tratti di secca, il grande Tagliamento. Impossibile dare notizie alla famiglia: i cel-lulari allora erano sconosciuti; il centralino ospitato presso una tenda era preso d’as-salto e spesso fuori uso. A valle del paese, al sicuro dalle frane come quella che aveva pressoché distrutto la vicina frazione di Braulins, era allestita la Tendopoli, lunga e vasta, a perdita d’occhio. Tra le tende grigioverde si distingueva una piccolissi-ma tenda blu: era quella del parroco, don Elio Nicli, che ancora adesso mi chiedo come facesse a viverci assieme alla vec-

chia madre piegata dall’artrosi. Una piccola roulotte era assegnata a noi crocerossine; a fianco era stata collocata quella di Ugo Collavizza, la persona più dilaniata dal terremoto: nel tragico evento avevaperso la moglie Ines, gli unici loro figliWalter e Angiolino e altri quattro congiunti. Che vita sarebbe stata quella di Ugo, da allora? L’hanno salvato i numerosi amici, anche vicentini, che l’hanno accompagnato negli anni con l’affetto, con visite frequenti e tanta corrispondenza epistolare. Fino al 27 gennaio 1997.Non mi fu agevole orientarmi tra le tende; una tendopoli non è regolata da piazze e vie, tutto è uguale! Un utile riferimento fu la serie di lavandini a cielo aperto allestiti a fianco dell’ “abitato”, e lo era anche, laggiù in fondo, quel lungo manufatto basso oriz-zontale dotato di una serie di rudimentali porte collocate a una trentina di centimetri dal suolo e prive di chiavi, che garantivano soltanto in parte la privacy di coloro che vi accedevano per… necessità!; e occorreva far presto: fuori c’era la fila! Affidata con minime consegne a un luogo e a un ruolo “foresti”, non mi fu facile destreggiarmi nemmeno all’interno della spaziosa tenda-infermeria, tra po-mate, bende, siringhe, disinfettanti, carta igienica, omogeneizzati e pannolini per ne-onati. L’infermeria era riconoscibile grazie all’improvvisata “bandiera”di tessuto bian-co sulla quale una di noi aveva cucito alla

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di Giannina Gaspari Crocerossina

meglio due pezzi di tela rossa sovrapposti a croce. Intorno a me… volti tristi, soprattutto di vecchi, poiché i bambini erano stati affidati ai parenti lontani, fino in Lussemburgo!, o agli alberghi dell’Adriatico. Ed era tutto un viavai di militari e di volontari provenienti da ogni parte d’Italia e dall’estero. Si respi-rava un’atmosfera surreale: dispetto-samente insistenti erano il vento (la bora!), l’ululare dei cani, gli insetti voraci, i cattivi odori e le scosse di assestamento.E di notte vagavano le ombre: no, non erano ladri!, ma creature del luogo che, irrequiete e insonni, lasciavano la tenda e uscivano a interrogare o bestemmiare la luna... l’orcolat l’ere ver…Era questo il mio stato d’animo quando, a pochi metri dall’insediamento della CroceRossa, m’era parso di sentire voci di casa; parlavano il mio dialetto vicentino! Forse erano stati loro ad accorgersene perprimi… non lo so… “Ma tu di dove sei? Piacere… piacere… io di Vicenza… noi di Rosà, siamo qui in tanti, ben organizzati, diamo volentieri una mano a questa gente così laboriosa ma sfortunata, stiamo siste-mando la casa di Bramo… hai conosciuto Don Elio? Che prete, rifiuta la baracca, vuole che prima ce l’abbiano tutti i suoi parrocchiani, lui si accontenta di quella misera tenda... dai, magna co naltri stasera, gavémo le nostre brave done che xe drio pareciare… dai, che par ‘na volta te salti el solito rancio de i militari!”Mi si era allargato il cuore! Quei ragazzi, così aperti, generosi e ottimisti, ave-

vano operato il miracolo di accorciare le distanze: non mi sentivo più tanto lontana da casa, e poi Angelo e Rino tornavano a Rosà ogni fine settimana per provvedere all’avvicendamento delle forze operative; e al loro ritorno le notizie avevano il pro-fumo di casa. L’organizzazione degli amici rosatesi era perfetta: gli uomini lavoravano da mattina a sera nei cantieri di ricostruzione delle case danneggiate; le donne, quali angeli del focolare, erano de-dite a cucinare, lavare, riordinare le tende, assicurare il buon funzionamento dell’attivi-tà di aiuto e sostegno. Capii per la prima volta quanto complementare fosse il ruolo della donna: forti e determinati gli uomini!, ma da soli che cosa avrebbero fatto? E così nella Croce Rossa: coraggiosi e preparati gli Ufficiali, i Militi e i Pionieri!, ma la figura della Crocerossina era quella della mamma, o della sorella, che soccorrendo infondeva fiducia, spe-ranza, conforto. Ora, a distanza di anni, rifletto sull’ami-cizia che mi lega ai Rosatesi: passato il periodo di convivenza tra le tende, una volta fatto ritorno alle proprie case, tutto sarebbe potuto finire; e invece il sentimen-to si è fatto più solido perché in Friuli ci eravamo inconsapevolmente iscritti a un corso accelerato di vita, e il compito era quello di leggere storie vere sui volti della gente, sfogliare capitoli di paura e pagine di dolore, scrivere col sorriso storie nuove di condivisione e di speranza. Sono tuttora pagine a… pirografo, che il tempo non ha scolorito: ecco perché l’amicizia con don

Elio e con gli amici rosatesi sopravvive ai lustri: basta una telefonata, o una visita, o un incontro conviviale davanti a un piatto di uova e asparagi, e tutto ricompare per incanto nei colori del cielo di Trasaghis.Mandi!

Volontari rosatesi in “pausa pranzo”.

Così si lavavano le stoviglie.L’entusiasmo era il distintivo di quelle giornate, trascorse in un clima di grande amicizia.

R I C O R D I

Era il 29 agosto 1976Processione tra i terremotati di Trasaghis A quarant’anni dal terremoto del Friuli, tra i molti ricordi, ormai sbia-diti, è stata rinvenuta una vecchia registrazione su nastro. Da essaabbiamo stralciato il testo originario del discorso pronunciato a Trasaghis dall’ arciprete di allora monsignor Mario Ciffo. Ciò avvenne al termine della processione snodatasi lungo le accidentate strade della tendopoli. Erano presenti il Card. Sebastiano Baggio, il Vescovo di Udine mons. Alfredo Battisti e una folta rappre-sentanza di Rosatesi.

“”E adesso insistono perché dica una parola anch’io. Credo debba essere una

parola pratica, perché non soltanto esce dal cuore senza tanto studio, ma soprattut-to perché abbiamo ultimato una funzione e una processione che i cari Rosatesi, figlioli miei, difficilmente dimenti-cheranno.

Altro che la strada asfaltata del Viale dei Tigli, altro che quelle case lussuose che attorniano questa nostra via attraverso la quale, anche mercoledì abbiamo percorso cantando e pregando la Madonna. Io credo che questi sassi li ricorderemo quando ritorneremo a casa, ne sono persuaso, perché l’ho già sentito dai presenti: “Poveri questi Friulani, come sono ridotti!”. E non ci pensiamo noi che potevamo essere ridotti come loro?

Perché questa distinzione che il Signore ha usato, di predilezione per noi e di prova per tutti questi nostri fratelli?

Desidero far notare che la parrocchia è venuta quassù rappresentata da giovani ben intenzionati, disinteressati, che hanno cercato di fare il bene: bene materiale ma soprattutto bene spirituale. Mi ha fatto piacere il sapere che hanno lasciato quassù un ricordo di buon esempio cristiano e questo ci fa onore, ma soprat-tutto ci obbliga ad essere particolarmente riconoscenti al Signore che ci ha prediletto sempre e, spero, ci prediligerà ancora.

E la nostra vita cristiana sia un impegno per renderci migliori a casa e per poter, a tempo opportuno, portare questa bontà che il Signore e la Chiesa ci insegnano, agli altri fratelli, ai quali mi rivolgo per dire: “Caro don Elio, sono parroco anch’io, come sei parroco tu. Io parroco di una parrocchia fortunata e tu di una parrocchia disgrazia-ta (anche se fa male chiamarla così), perché si soffre, si patisce.

Chi ha volontà può capire che anche nel calvario che stiamo percorrendo c’è il volere di Dio per avvicinare questi fratelli e figli particolarmente cari, perché con la croce, con la sofferenza salviamo e ci sal-viamo. Accostandoci al Cristo al quale io, umilmente, ho cercato di affidare questa parrocchia diventata nostra sorella questa

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sera, dico in questo momento: buoni fra-telli di Trasaghis, fidatevi! fidatevi!, ma soprattutto e prima di tutto fida-tevi di Dio!

Gli uomini vi vogliono bene, gli uomini dicono di aiutarvi tanto, dicono di esservi al fianco, ma chi guida questa diocesi ha già detto pubblicamente che probabilmente gli uomini si potrebbero dimenticare. Chi non si dimentica è il Signore.

Fedeli di Rosà, oltre alla riconoscenza che noi innalziamo a Dio, per i benefici che continuamente ci fa, innalziamo una preghiera perché questo popolo si fidi so-prattutto e prima di tutto di Dio, di quel Dio che ha ripetuto e non inutilmente: “O voi che siete affaticati e stanchi, voi che siete tribolati, fidatevi di me”. Fedeli di Trasaghis, fidatevi di Lui, pregatelo, offrite le vostre sofferenze a Lui e diventerete una parroc-chia veramente privilegiata e veramente cristiana. E lo sguardo di Dio, unito allo sguardo dei vostri cari che di lassù pregano vi accompagni sempre. E state pur certi che le ore che trascorrerete nel disagio, nel dolore, nel freddo, saranno ore che gli uomini forse non capiranno ma che Dio registrerà per la vostra vita, non soltanto la vita terrena, ma per la vita eterna.

Dico ancora questo: noi di Rosà siamo abituati, ogni domenica, in tutte le Sante Messe, a ricordare ammalati, lontani… E allora -adesso lo diciamo pubblicamente- quando diremo: ammalati, disagiati, sof-ferenti, tribolati, quando diremo: fratelli lontani, penseremo anche a voi di Trasaghis, che siete divenuti nostri

fratelli. E per voi e per gli altri che sono sparsi in tutto il mondo, scenderà labenedizione di Dio implorata dalla nostra preghiera. Altrettanto si farà ad ogni santa messa, ricordando i nostri e i vostri morti.

Immagine dellaprocessionedel 29 agosto 1976.Un rudimentale,improvvisato altare è posto davanti ad un grande numero di fedeli rosatesi.Ben cinque pulman e numerose auto privateaccompagnarono il Cardinal Baggio aquell’appuntamento,oggi divenuto storico.

La banda Montegrappaprecede il corteo di

fedeli rosatesi etrasagani

lungo le vie dissestate della tendopoli.

I bambini di Rosà, depongono fiori sulle

tombe delle diciannove vittime del terremoto,

sepolte lungo la strada di servizio del cimitero.

Come si vede tutto è provvisorio,

determinato dallaimprovvisa catastrofe.

È una alleanza che questa sera ci unisce e che non si spezzerà, perché non è fatta di parole, ma è fatta di preghiera ed è fatta di carità cristiana.“”

Mons. Mario Ciffo - Arciprete di Rosà

testimonianza fornita da Angelo Zen

di Brigida Larocca e Marina Bizzotto

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A T T U A L I T À

Hic sunt leones Serata di riunione di redazione per ideare il numero di maggio 2016 di Voce Rosatese.È sicuramente uno dei momenti più arric-chenti: assieme analizziamo le attività in corso, i protagonisti di ieri e di oggi, le loro storie, i modelli educativi… non dobbiamo inventarci nulla, perché il nostro è un territo-rio ricco di valori ed ideali, a cui “dare voce” per un rilancio ed a volte anche un recupero di questi stessi valori. Angelo arriva con un album fotografico dal titolo “Hic sunt leones” ideato e realizzato da Vania Broccoli. Cominciamo a sfogliarlo ed il coinvolgimento diventa sempre più forte: si tratta sicuramente d’immagini d’impatto emotivo attraverso le quali

le persone, rappresentate a colori e sorridenti, ci invitano e ci spingono a conoscerle, ad entrare nel loro mon-do… E noi cogliamo di buon grado l’invito !!! Sempre grazie al nostro Angelo incontriamo Luigina e Fabio presso quella che è ormai la loro casa, l’Istituto Palazzolo di Rosà. Noi siamo lì con la penna... e il cuore. Loro sono i protagonisti... e i cuori: cuori giganti e spalancati nonostante i loro trascorsi !!!Luigina, ospite dell’Istituto da 57 anni, in modo orgoglioso ci racconta il perché della sua scelta di essere rappresentata con la divisa militare: abbandonata dalla famiglia, deve la sua sopravvivenza ad un militare che

l’ha trovata e portata dalle suore. Ricono-scenza e gratitudine, in quel suo sguardo fiero di rievocare il suo salvatore.Fabio con rammarico ci dice di non essere stato rappresentato perché, nel periodo della realizzazione del servizio fotografico, lui doveva ancora arrivare presso l’istituto. Assieme a lui sfogliamo l’album e per ogni protagonista dell’immagine, lui conferma che la rappresentazione è davvero rispet-tosa dell’essenza delle protagoniste stesse, che ha avuto modo di conoscere. Luigina vuole farci vedere la sua stanza, le foto della sua famiglia che ha ritrovato, le medaglie che ha vinto in alcune competizioni sportive e ci accompagna nel suo reparto. Da lei incoraggiati e guidati, accettiamo di entrare ancora di più nel suo mondo reale, strutturato come una casa familiare. Attor-no al tavolo della cucina troviamo Maria Luisa, tutta preoccupata di non essere adeguatamente vestita e pettinata per acco-glierci e darci onore !!! Alle nostre domande risponde gioiosamente, ricordando la bellis-sima esperienza di creazione del set in cui è stata scattata la sua fotografia: una grande quantità di vestiti (la sua grande passione), tutti dei suoi colori preferiti, che l’hanno fatta sentire la “più bella di tutti”. “Mi piace stare con le persone mature e le persone buone”, ci dice salutandoci e dalla gioia passa al pianto, alludendo ad una storia personale passata tutt’altro che facile. A questo punto nasce spontaneo il desiderio

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di conoscere l’autrice dell’album fotografico: Vania Broccoli, che incontriamo sempre presso l’Istituto Palazzolo. Vania, che vive e lavora tra Milano e Bassano del Grappa, ci conquista fin dai primi istanti. “Hic sunt leones” ovvero “Qui stanno i leoni”, ci spiega è “una locuzione latina che serviva ad indicare nelle mappe antiche luoghi sconosciuti ed inesplorati nei quali si presupponeva la presenza di belveferoci e mitologiche, tali per cui era sconsigliato anche solo avventurar-vici. Adesso Google Maps ha reso tutto più semplice e oggigiorno, al posto di uno di quegli ammonimenti topografici, appare solo la dicitura “Istituto Palazzolo per Istituti Pii”.“Ho scoperto questo luogo 3 anni fa, durante l’annuale Open Day… Sentii subitol’urgenza di approfondire quell’incontro e possibilmente descriverlo attraverso la foto-grafia, ma capii anche che una documenta-zione “empatica” non sarebbe stata possi-bile se fossi stata percepita come un occhio invisibile o peggio ancora estraneo. Decisi allora, dopo aver spiegato le mie intenzioni alla coordinatrice dell’istituto, di entrarvi senza macchina fotografica, trascorrendo quattro mesi con utenti e educatrici perconoscerci ed entrare in confidenza.Successivamente iniziai un reportagefotografico che descriveva la quoti-dianità delle ragazze ospiti… Ho scat-tato in questo modo per un anno e mezzo, poi sono andata in crisi.Durante quel periodo, alcune delle ragazze che avevo fotografato erano nel frattempo morte e mi sono accorta che i miei scatti

avrebbero testimoniato solo la loro presenza all’interno dell’istituto, non la loro essenza. Allora capii che invece io volevo raccontare i mondi interiori dentro i quali ognuna di loro viveva. Ho buttato tutto e ricominciato con un atteggiamento differente, parlando con le utenti (chi in grado) e relative educatrici per cercare di approfondire i desideri, i sogni e le ossessioni delle ragazze ospiti. Sulla base di questi elementi ho “immaginato” delle scene che potessero interpretare in una singola immagine le loro dimensioni più intime”, con oggetti che fossero di grande valenza simbolica per loro”.Il risultato è stato strabiliante: le fotografie realizzate non sono semplici “messe inscena” in cui Vania Broccoli plasma persone non autosufficienti secondo la sua perso-nale visione, ma le persone rappresentate

sono protagoniste attive dell’esperienza fotografica.In questo modo, ci dice Vania, ho portato “rispetto a tante persone che quotidiana-mente dedicano anima e corpo non a far sì che persone disabili sopravvivano fino al giorno seguente, ma aiutandole a vivere una vita dignitosa e felice entro i limiti posti da traumi e malattie insonda-bili… ho portato rispetto a quelle stesse persone che, pur vivendo in prima persona le conseguenze di tali handicap, in questi tre anni mi hanno insegnato ad accettare il dolore come una tappa e a cogliere la gioia anche negli anfratti più segreti dell’anima”.

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A T T U A L I T À

Fedi in gioco Tre proposte cinematografiche sono state offerte dall’Acec, Associazionecattolica esercenti cinema, al TeatroMontegrappa di Rosà con un titolo stimo-lante: FEDI IN GIOCO. I tre film sono stati proiettati in tre venerdì, il 29 aprile, il 6 edil 13 maggio, con tematiche legaterispettivamente al mondo cattolico, a quello ebraico ed a quello islamico,le tre grandi religioni monoteistiche.L’ACEC ogni anno coinvolge alcune sale del Veneto , che ritiene particolarmente vivaci ed affidabili, con un ciclo di film a tema su argomenti etici, sociali, religiosi. Quest’anno, recependo anche l’invito di Papa Francesco nell’anno della misericorda per un atteggiamento aperto e compren-sivo verso le altre religioni, ha organizzatoun “Religion today filmfestival in tour”,

chiedendo la collaborazione nel compren-sorio bassanese del Teatro Montegrappa di Rosà.Il primo film, quello proiettato in sala CinemaTeatro Montegrappa il 29 aprile, intitolato “Marie Heurtin, dal buio alla luce”, è stato realizzato in Francia da Jean Pierre Amerus e narra la storia vera di una bambina sorda e cieca che viene salvata dal suo stato semiselvaggio e di solitudi-ne, dalla sensibilità e dalla tenerezza di una giovane suora.È un film poesia, molto commovente, che ha destato forti emozioni. In sala la sera del 29 aprile qualcuno ha visto anche qualche lacrima. Il secondo film, “Magic Men”, di Guy Nattiv ed Erez Tadmorè, è una produ-zione ebraica del 2014, recitato in ebraico, sottotitolato.

È la vicenda di un anziano uomogreco e del figlio rapper Hassidic che si imbarcano in un viaggio con incontri un pò fuori del normale, che alla fine li porta ad un confronto finale tra padre e figlio. Nella prospettiva dell’Acec, mentre il primo film aveva protagonisti cattolici, le suore di un convento, qui gli attori sono e recitano in ebraico. La novità di questa seconda proposta è stata la sua proiezione nella sala della sede del Quartiere CàMinotto in contrada Carlessi.L’idea di portare un film fuori dal Monte-grappa e proiettarlo in un quartiere costi-tuisce un esperimento nuovo, interes-sante, nella prospettiva di un utilizzo più ampio ed articolato della sede del quartiere. Un esperimento che potrebbeessere ripetuto anche in altri quartieri, con altre proiezioni. Il terzo film, “Gold andCopper”, cioè Oro e Rame, è stato girato in Iran dal regista Homayoun Assadian. Ha ottenuto il Gran Premio “Nello spirito della fede” ed il premio World Catholic Associa-tion for Communication. Il film presenta una riflessione su come i problemi della vita quotidiana possano essere intesi come una chiave per un percorso di fede, alimentato dall’amore per l’altro.Narra la storia tutta iraniana di un giovane studente di teologia islamico la cui moglie si ammala gravemente di sclerosi multipla. C’è un dramma universale della sofferenza in famiglia, dell’amore, del dolore da ricon-

di Silvano Bordignon

ciliare con la propria fede religiosa. Temi che vivono tutti gli uomini di tutte le religioni.Un film che va oltre la concezione di un islam legato alla saharia, all’Isis, all’integralismo. Un Islam di pace. ll progamma prevedeva un breve dibattito tra un docente cattolico ed un esperto di islam dell’Associazione culturale Islamica “La Pace” di Bassano.Questo film è stato programmato nel Giardino delle Rose, dietro Palazzo Casale, all’interno della manifestazione “Primavera a colori”.Questa festa, nata una decina di anni fa a Cusinati è ora organizzata da qualche anno a Rosà centro da diverse assocazioni con l’obiettivo di coinvolgere tutti i bambini rosatesi, di qualsiasi condizione, per un futuro rosatese che abbia la fre-schezza della primavera giovanile e la mol-teplicità di colori delle presenze culturali.Il film di pace sull’islam è parso adatto ad essere inserito in questa manifestazione.Tre proposte cinematografiche quindi, una con ambientazione cattolica, una con am-bientazione ebraica, una islamica, nell’otticadel dialogo tra religioni. Il ciclo è statoproposto in diverse parti d’Italia.Nel bassanese, come è stato ricordato, l’Acec ha scelto solo il Teatro Montegrappae Rosà. Un riconoscimento impor-tante, che è stato vissuto con un certo orgoglio dai tanti volontari e dal direttivo del Teatro Montegrappa, perchè testimonia quanto il teatro roatese ed il suo Circolo siano apprezzati dall’Ente che riunisce tutte le sale cinematografiche cattoliche venete e vicentine.

Il contenuto etico religioso del ciclo dei film risponde poi anche ad una delle mission del Teatro Montegrappa, il quale, anche se al pari delle scuole materne ha una sua gestione autonoma, con un direttivo

Momenti di preghiera interreligiosa durante “Primavera a Colori”.

“Locandina programmaFedi in gioco”.

eletto metà dai soci e metà dal consiglio pastorale,appartiene alla comunità cat-tolica parrocchiale e si inserisce nella grande mission culturale e di dialogo etico religioso della stessa.

A T T U A L I T À

Il “Coro delle Mamme” della par-rocchia di Cusinati sta cercando voci maschili e femminili per immettere nuova linfa e nuovo entusiasmo nel gruppo. Genere? Canti religiosi di autori ed interpreti contem-poranei. Se ti piace cantare, se ti piace il genere musicale e se vuoi dedicarci parte del tuo tempo, sarà piacevole farlo insieme: la comunità tutta te ne sarà grata.Con questo “incipit” si presenta il sito: www.coromammecusinati.it dove ognuno può trovare proposte, attività, repertorio, curiosità ed i contatti per qualsiasi chiarimento o informazione. La comunità di Cusinati annovera diverse realtà canore, che interpretano generi musi-cali diversi ed una di queste è IL CORO DEL-LE MAMME, che di seguito vado a raccon-

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tare. Il coro nasce in modo informale e senza pretese all’inizio degli anni ‘90, dall’esigenza di colmare un vuoto e di stare vicino ai più piccoli, come gruppo di mamme dei bambini della scuola dell’infanzia, che si ritrovano per animare le feste della stessa, come il Natale, il carnevale e la festa di conclusione dell’anno scolastico.Dall’anno 1995 queste mamme decidono di dare continuità all’iniziativa, con appunta-mento settimanale, per prepararsi e prestare anche un servizio liturgico nella parrocchia, rinnovando il loro repertorio musicale con canti più “giovanili”. Il coro si costituisce in tal modo come gruppo significativo nell’ambito della comunità. Da allora e per una decina d’anni, sotto la guida di Luigi Baggio e Gianni Baggio, inizia un lungo percorso di rinnova-

mento e di servizio in parrocchia sempre più costante ed impegnativo, fino ad arrivare a garantire ogni settimana l’animazio-ne della messa festiva del sabato sera e di qualche solennità particolare. Nel corso degli anni si sono avvicendati alla direzione diversi maestri: dapprima Gianni Siviero, che per primo ha dato un’imposta-zione al coro e poi, per un breve periodo, il compianto Sergio Zulian e l’istrionico Diego Menegon, per passare, negli ultimi 4 anni, alla più professionale direzione di Adriano Fabris.Dal settembre 2014 siamo onorati di avere come direttore un giovane maestro, che sta concludendo, non ancora ventenne, il suo percorso decennale al conservatorio di Castelfranco Veneto, Giorgio Siviero, coadiu-vato dal padre Sergio Siviero all’organo, o alle tastiere (…e che il Signore ce li conservi...).Da ultimo si sono aggregate anche delle voci maschili, dando quindi la possibilità di ampliare il repertorio con canti più impegnativi, ma anche più accattivanti, pur mantenendo sempre lo stesso genere musicale, che si rifà ad autori ed interpreti di canti religiosi contemporanei: gen rosso, gen verde, F. Buttazzo, D. Ricci,G. Cento, M. Frisina, M. Palmitessa, M. Giombini, M. Balduzzi, D. Machetta, P. Ruaro,ed altri. Con il tempo il livello delle nostre esecuzioni è andato migliorando, seppur lentamente, tenendo sempre presente che

di Claudio Pegoraro

siamo persone comuni, non professionisti, che dedicano parte del loro tempo libero per un servizio volontario, che credono utile prima di tutto per se stessi e poi per la comu-nità parrocchiale. Vorremmo tanto fare nostre le parole di Sant’Agostino:“Il cantare è proprio di chi ama”, oppurequelle del salmo:“Cantate a lui un canto nuovo, cantate a lui con arte”, ma la strada è ancora lunga. Il coro oggi è composto da 24 elementi, il che ci permette l’esecuzione anche di brani a quattro voci dispari. Il rinno-vamento ed il ricambio di coristi, con uscite ed entrate di nuovi elementi, è sempre stato costante, superando anche momenti di ten-sione e periodi un po’ burrascosi.Con il passare degli anni l’orizzonte del nostro servizio si è andato am-pliando, ed ha superato i confini della parrocchia stessa: Lignano, Folgaria, Le Laite, santuario “Nostra Signora di Loretoai Capitelli” (Marostica), ospedale civile San Bassiano, Briana, Roma e dovunque veniamo richiesti per rendere più solennicerimonie, quali matrimoni, battesimi, anni-versari. In queste occasioni siamo emozionati,entusiasti, ma anche grati di poter condi-videre con altre persone le nostre canzoni:sacre ma attuali, intense ma ritmate.In particolari occasioni ci avvaliamo anche della collaborazione di altri musicisti, che ci accompagnano con i loro strumenti: viola (Simone Siviero), chitarra (Fausto Mardegan), basso (MartinoZoccolo). Se è vero che“un indizio è unindizio e due indizi sono una coincidenza e tre indizi fanno una prova” è altrettanto

vero che la nostra più recente iniziativa, pos-siamo considerarla ormai una tradizione. Senza alcuna pretesa di volerci sostituire ad un’agenzia viaggi, in questi ultimi anni abbiamo organizzato a beneficio dei coristi, allargando la partecipazione ad amici, parenti e conoscenti, dei viag-gi di carattere religioso, turistico, culturale, che hanno riscosso un notevole successo e

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Un viaggio lungo 25 anni...quando la passione diventa musica...

lusinghieri apprezzamenti, tanto da indurci a continuare nel proporre altre mete. Abbia-mo verificato che oltre ad essere motivo di arricchimento personale, hanno contribuito a creare nuove amicizie e a rinsaldare quelle già esistenti, il tutto a favore di un rinnovato spirito di gruppo.A questo scopo ogni tanto ci concediamoanche qualche momento conviviale: una piz-

Roma 2013. Natale 2015.

Roma 2013.

A T T U A L I T À

Il Gender: Una questione da conosceredi Fernando Cerchiaro

Un contributo della Diocesi di Vicenza

Da qualche anno, ma soprattuttonell’ultimo, il tema del GENDER è semprepiù presente in molti dibattiti culturalied educativi, in particolare in incontri digenitori ed educatori, suscitando, spesso,timori, preoccupazioni e sospetti sui contenuti e le scelte di educazione ses-suale presenti nelle scuole; quasi mai però e purtroppo, per aiutare a capire ea conoscere a fondo la questione.Così un tema tanto importante per verifica-re e orientare non solo l’educazione delle giovani generazioni, ma anche la mentalità e le relazioni sociali degli adulti, è diventato non “una questione da conoscere” ma un problema, più ancora, “un grave pericolo, una ideologia” da cui di-fenderci!In questo contesto, che aveva visto nella

primavera dello scorso anno, in diocesi, numerose e affollate assemblee di genitori allarmati e confusi, il Vescovo Beniamino Pizziol ha incaricato i due Uffici Diocesani per la Famiglia e la Scuola “ad offrire alla Diocesi di Vicenza e alle Istituzioni Scola-stiche, una riflessione adeguata ed equili-brata per chiarire i termini del problema ed offrire orientamenti e impegni”.Questo il senso delle due pubblicazioni (un depliant agile e di larga divulgazione e un quaderno di 50 pagine per conoscere più a fondo), preparate da una equipe, nominata dal Vescovo, con competenze diverse sui vari aspetti. Il gruppo ha approfondito la questione e preparato questi strumenti (che possono essere richiesti in parrocchia o in centro diocesano) con l’obiettivo di capire in modo chiaro e, possibilmente, completo e di favorire ascolto reciproco e discussioni rispettose. La stessa equipe ora è anche disponibile a riprendere, con serietà e serenità, il tema in incontri con i genitori, gli educatori, i docenti, i catechisti e i giovani.Dietro al tema del Gender emerge certa-mente un problema e una preoccupazione di fondo: l’emergere di una antropologia senza radici, che sostiene e auspica la libera scelta dell’orientamento sessuale, a prescindere dall’identità biologica.Sono, però, altrettanto pericolose lesoluzioni superficiali ed emotive: gender è sinonimo di “male”, dunque non c’è nulla

da capire e conoscere, ma solo un pericolo da evitare e condannare!Il titolo stesso del quaderno pastorale (Gender: una questione da cono-scere) esprime, invece, il senso stesso della proposta che, partendo da una chiari-ficazione sui termini (spesso usati in modo confuso e ambiguo nei dibattiti) affronta le diverse questioni presenti e connesse (dall’identità sessuale all’emancipazione femminile, dall’omosessualità alla lotta alle discriminazioni, dall’educazione sessuale ai fondamenti di una alleanza educativa tra famiglia e scuola, dalle grosse questioni etiche e giuridiche aperte dalle più recenti proposte di legge sulle unioni civili, le ado-zioni e le maternità surrogate) offrendo, infine, nelle conclusioni, assieme a chiare indicazioni del Magistero, suggerimenti e piste concrete per sostenere un confronto e un dialogo sereno e formativo. Ora non c’è che augurarsi che il quaderno possa essere conosciuto, aiuti a superarele paure e favorisca la chiarezza e laresponsabilità delle scelte.Rosà, che ha una lunga e consolidata esperienza di Alleanza educativa tra scuolae famiglia e che ha dato vita a “buone pra-tiche” di protagonismo dei ragazzi, di col-laborazione tra educatori, di integrazionee convivenza solidale, può offrire, anche su questo tema così centrale nell’attuale crisi etica e culturale, nuove vie di dialogo e di impegno.

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za insieme e passa la paura ed è ormai una tradizione consolidata il festeggiare i nostri compleanni assieme e promuovere quelle iniziative comunitarie atte a favorire lo spirito di appartenenza e di aggregazione. Queste le mete fino ad ora raggiunte, o in can-tiere: 2013 ROMA (vespri in basilica di San Pietro, presieduti da Papa Francesco) 2014 UMBRIA (Orvieto, Todi, Assisi, Spello, Peru-gia, Gubbio) 2015 TOSCANA (Volterra, San Gimignano, Siena, Monteriggioni, Firenze)2016 ROMA (pellegrinaggio per il giubileo della misericordia: 4 giorni a novembre). Questo è stato possibile anche grazie allagenerosità di alcuni amici e simpatizzanti,a cui va la nostra gratitudine sincera edincondizionata. Dalla sua formazione ad oggi il coro si è sempre chiamato “CORO DELLE MAMME DI CUSINATI”, denominazione dive-nuta un po’ anacronistica, visto l’inserimento delle voci maschili (i papà). Senza voler indire un referendum, si accettano suggerimenti e proposte per rendere la denominazione più

attuale. Naturalmente a tutti coloro che han-no fatto e fanno tuttora parte di questa for-mazione, nonché a tutti i direttori che si sono avvicendati, vanno i più vivi ringraziamenti della comunità tutta, anche perché il servizio prestato è del tutto volontario e spassionato.Approfittiamo (spudoratamente) anche di questo spazio che ci è stato concesso, e di questo siamo grati alla redazione, per rivolgere un invito a quanti ci leggono e non solo, e questa volta esteso a tutta l’unità pastorale: è tempo di scegliere tra il di-simpegno “A ME CHE IMPORTA” della comunità ed il senso di appartenen-za “MI STA A CUORE” la mia comunità, naturalmente non solo nell’ambito canoro! Che tu sia basso, baritono, tenore, soprano, contralto, oppure “non–lo–so–perché–non–ho–mai–cantato”, vieni anche solo per ascoltare e scoprirai che cantare in coro è una bellissima esperienza, che regala molte soddisfazioni e profonde emozioni, diverte e libera la mente. Regalati il tempo di

passare da noi una volta, poi sceglierai tu, ma almeno non rimarrai con il rimpianto di non averci provato! PROVACI, NON COSTA NULLA! Basta vincere la pigrizia soprattutto mentale, per rendere un servizio meritorio alla comunità, superando paure, esitazioni, pregiudizi e perplessità immotivate. Un uomo che tutto era tranne che un pigro mentale, affermava: “abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare per risolvere i problemi causati dal vecchio modo di pensare; la mente è come il paracadute: funziona solo se si apre e non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare lestesse cose”. Quest’uomo era Albert Einstein.

Pasqua 2016.

TI SENTIOSSERVATO?QUESTO SGUARDO TI INQUIETA E TIINTERROGA?…E ALLORA...

STIAMOCERCANDO TE!

CHIAMACI O VIENIA TROVARCI OGNIMARTEDÌ ALLE ORE 21.00 IN PATRONATO.

Se cantare è la tua passione,se ti piace metterti in gioco con semplicità, se sentire la tua voce moltiplicata dal coro ti riempie lo spirito e l’anima e ti gratifica, allora sì, stiamo cercando proprio te. Il coro delle mamme sta cercando nuove voci; fai sentire anche la tua.

di Emanuele Guidolin e Antonio Bonamin

Me-Te, collaborazioni che funzionano

R E A LTÀ PA R R O C C H I A L I

Da tempo il Circolo NOI cercava delle possibili attività pomeridiane da realizzare in Patronato e da indirizzare ai giovani, scopo principale della pastorale educativa della nostra figura di riferimento, San Giovanni Bosco. L’idea principale all’interno del Di-rettivo del Circolo Noi era quella di creare un servizio di doposcuola che accogliesse, gratuitamente, chi ha bisogno di un aiuto nei compiti.Avevamo bisogno però di appoggiarci a qualcuno che avesse già attuato un espe-rienza simile. Nel tessuto sociale rosatese l’associazione che più era attiva ed aveva esperienza in tale ambito era gli “Amici del Villaggio”, realtà presente da parecchi anni e che si occupa principalmente di progetti sociali per l’infanzia e i giovani a livello locale. Con loro abbiamo aperto una collaborazione con il plesso scolastico delle scuole ele-mentari rosatesi. La collaborazione è partita con molto entusiasmo, e ci ha aiutato a fissare l’obiettivo di quest’anno. Insieme abbiamo cominciato da Marzo un servizio gratuito aperto a tutti i bimbi di 3° e 4° ele-mentare del plesso di Rosà segnalati dagli stessi insegnanti della scuola e con even-tuali difficoltà di apprendimento. Il servizio si svolge in Oratorio dal lunedì al venerdì, per un’ora e mezza al giorno. Ad aiutarci in questa esperienza ci sono circa una trentina di giovani volontari, che ci hanno dato la loro disponibilità. Senza il loro aiuto sarebbe stato ancor più difficile far partire e sviluppare

questa nuova esperienza di Peer tutoring.Questa parola strana è il nome tecnico dell’accompagnamento e l’assistenza “fra pari”, cioè fra individui coetanei o con una differenza d’età minima, dove lo studente più preparato fa da tutor all’altro.

di Emanuele GuidolinR E A LTÀ PA R R O C C H I A L I

Grest 2016, Allegria! Il Grest 2016 si svolgerà dal 13 giugno al 15 luglio in Oratorio a Rosà. La parola Grest sta per Gruppo Estivo o anche Grande Estate! Il Grest è un’esperienza che si svolge in tutti gli oratori dei circoli NOI, è un centro estivo con finalità educative complete che prevedono la relazione, l’apprendimento (compiti estivi + laboratori di manualità) e il gioco. Non dunque un “parcheggio” o un centro sportivo.Anche a Rosà è un momento di cresci-ta rivolto ai ragazzi e ai bambini delle elementari e delle medie che, insieme a don Alex e a un gruppo di educatori, promuove un esperienza significativa di vita e di amicizia.Il team che prepara il Grest lavora con l’obiettivo di costruire a uno spazio e un momento di crescita personale e soprattutto un modo per mettersi al servi-zio del prossimo. È un’occasione da non perdere! E’ mostrare ai ragazzi quanto è bello stare insieme. Non dimentichia-mo che educare significa tirare fuori, far uscire il meglio che c’è in ognuno di noi per donarlo agli altri. Per questo motivo ci stiamo preparando insieme agli ani-matori per organizzare al meglio questa bellissima esperienza di vita oratoriana.Il nostro Grest avrà la durata di 5 setti-mane, dal lunedì al venerdì dalle 14.00 alle 18.00, durante le quali i ragazzi ver-ranno coinvolti in diverse attività sullo

stile dell’oratorio: oltre a fare una parte dei compiti estivi, avranno la possibilità di fare vari laboratori. Verranno anche proposti giochi a squadra, che daranno loro non solo la possibilità di divertirsi, ma anche quella di manifestare la loro vivacità nel rispetto delle regole e dei compagni di gioco. Oltre a questo, è prevista un’uscita alla settimana di una giornata intera, sia in ambienti didattici che in piscina.Tutto il Grest verrà vissuto sullo sfon-do di una storia, che ha come ambien-tazione il Brasile con i suoi colori e i suoi ritmi e con le sue contraddizioni tra ricchezza e povertà. Brasile che ospi-terà quest’anno i giochi olimpici.Tutte le info, date iscrizioni ed altro vi verranno comunicate tramite gli avvisi parrocchiali e tramite la nostra pagina fa-cebook, https://www.facebook.com/oratorio.donbosco.7/ Le attività del GREST sono sostenute da una quota di iscrizione dei ragazzi e soprattutto dal 5xmille che il circolo NOI riceve dai cittadini Rosatesi e che viene re-investito appunto in attività per i ragazzi.Gli educatori sono tutti maggiorenni, sele-zionati e regolarmente retribuiti secondo la Legge.

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Inoltre, come altre forme di apprendimento cooperativo, favorisce l’interazione frabambini, l’autostima e l’empatia.Il nome del progetto, “ME-TE”, allude ai pro-nomi me e te e al termine mete, con l’obiet-tivo che sia un momento di incontro tra pari

teso al miglioramento personale e sociale. Gli obiettivi fissati insieme da Circolo Noi ed Amici del Villaggio comprendono il suppor-tare gli alunni nello svolgimento dei compiti per casa, il consigliare i bambini, in accordo con i loro genitori, verso scelte gradualmente responsabili e consapevoli per una migliore qualità della vita e aiutarli a sviluppare com-portamenti volti al proprio benessere.Per l’apprendimento il contesto sociale è fondamentale: se da solo il bambino arriva ad una certa capacità, aiutato da una persona più competente può migliorare e raggiungere il suo livello ottimale. Quando il tutor è un suo pari ci sono diversi vantaggi. C’è una maggiore vicinanza cognitiva, perchè fra bambini della stessa età si usa una strategia simile per apprendere. Manca poi “l’autorità” del professore, che, secondo gli autori dello studio, può aiutare il ragazzo ad essere più aperto nel rivelare al compagno le sue lacune. Ed entra in gioco l’aspetto della fiducia, ci si affida all’altro. Si riduce la conflittualità, si migliora la comuni-cazione. Si innesca così un meccanismo di aiuto reciproco che si trasforma in una dina-mica sociale virtuosa. E questo è proprio ciò che speriamo, non lasciare a sé stessi questi piccoli amici, ma cercare di far capire loro che aiutandoci possiamo migliorare non solo l‘ esperienza scolastica, ma anche il loro modo di vivere nella comu-nità Rosatese; senza contare che questi ra-gazzi saranno gli abitanti della nostra società del futuro e pertanto riteniamo importante investire in progetti come questi, in quanto “investimento” nella nostra società.

di Mariateresa Tessarolodi don Alex Pilati

Quando ho saputo che avrei dovutointrodurre la figura della signora ElviraDalle Zotte, mi sono chiesta sul come avrei potuto chiamarla visto che per me resterà sempre la maestra Elvira, la mia cara maestra della scuola elementare.Nasce a Montenero d’Idria nel 1937. Ben presto per la professione del suo papà che era guardia forestale, si trasferisce con la sua famiglia a Moggio Udinese dove trascorrerà l’infanzia e parte della sua gio-vinezza, nel 1957 invece approda a Cismon del Grappa. Qui conosce Virgilio Peruzzo in quel treno che li conduce a Vicenza negli anni della scuola superiore. Diventerà sua sposa nel 1963, data che segna il suo arrivo a Rosà dove vive attualmente ormai da più di cinquant’anni.Ora è una maestra in pensione, come lei ama definirsi. Ha lavorato infatti come insegnante presso la scuola elementareG. Pascoli del nostro paese fino al 1996. “Insegnare - scriverà in una delle sue poesie - è stata passione coltivata per tutta la vita, il mio abito migliore”. Ed è proprio questa passione unita al suo altruismo che la porterà poi a seguire, come volontaria, per più di dieci anni, dei ragazzi extracomunitari, tenendo per loro lezioni di alfabetizzazione della lingua italiana.Dalle sue origini friulane, come persona intraprendente e tenace, di strada ne ha percorsa molta attraverso i viaggi che l’han-no portata a girare il mondo, spinta sempre

L’A N G O LO D ELL A PO ES I A

Maestra Elvira e la sua poesiadalla sua curiosità di esplorare nuovi lidi, di conoscere nuovi paesi per apprezzarne le differenti culture e comprenderne le infinite contraddizioni. Camminatrice instanca-bile porta nel cuore anche il ricordo delle sue montagne, le Dolomiti che frequentatuttora.Oltre che per i viaggi, ha coltivato fin da bambina l’interesse per la lettura. Ha letto e legge molto. Anche la storia, rappresenta una sua grande passione, la storia per non dimenticare, la storia delle proprie radici, necessaria per guardare al futuro.Appassionata d’arte, l’ama in tutte le sue forme. Adora andare per musei ed espo-sizioni di ogni genere, anche se in questi ultimi anni è la pittura informale ed astratta che l’affascina particolarmente.Dietro il suo modo di apparire piuttosto schivo e riservato, nasconde una sensibilità speciale, come poche persone hanno, che l’ha portata a scrivere. Il genere che più ama è la poesia.

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Il Terz’Ordine Francescano di RosàR E A LTÀ PA R R O C C H I A L I

Il Terzo Ordine Francescano è una pre-senza associativa significativa e operativanel territorio parrocchiale di Rosà fin dal 1871, come testimonia l’elenco degli iscritti ancora consultabile nell’apposito quaderno.Dipende dalla Provincia religiosa di Venezia dei Frati Cappuccini e fa parte del Distretto conventuale di Bassano del Grappa.Le persone iscritte sono entrate nel Gruppo dopo una preparazione di circa due anni con una cerimonia detta “Professione” che comporta l’impegno di seguire le regole, sempre nei limiti concessi dalla situazione umana di ciascuna persona, e dura per tutta la vita.In più di un secolo i “Francescani” di Rosà sono stati circa 200, attualmente sono una ventina. Essi si incontrano ogni secondo lunedì del mese, alle ore 15, coordinati dal Ministro, che attualmente è il pensionato Giancarlo Gasparotto, per una riflessione sul pensiero di S. Francesco, di solitotenuta da don Alex Pilati. Ogni tanto sono visitati da fra Michele Munari, francescano cappuccino del convento di Bassano.Altri francescani rosatesi che non possono essere presenti agli incontri di Rosà per impegni di lavoro, frequentano il Gruppo di Bassano che si ritrova di sera.Quindi il pensiero francescano è an-cora vivace nella nostra comunità e i suoi frutti si vedono nella partecipazione

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Il giorno infinito

I passi s ’avvianoal tramonto.

Alla fine arriveràil giorno infinito euna nuova aurora

si aprirà oltreogni oscuritàe ogni gelo.

ai momenti di preghiera e nella generosa disponibilità a rispondere secondo lenecessità.E nei funerali ci si accorge subito se il de-funto faceva parte del T.O.F. perché in tal

Stendardo Terz’Ordine S. Francesco.

caso in presbiterio si erge lo stendardo con ricamata la figura di S. Francesco d’Assisi.È un modo anche questo per sottolineare che lo spirito francescano accompagna la persona fino all’incontro con il Padre.

di Chiara FarronatoL’A NGOLO PER I BA MBIN I

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Tra Noi

L ’ invisibile filodelle nostre anime

teneramenteci appartiene.Volano tra noilievi le parole:

incrociano soffidi gioia e faticaascolto e silenzio.

LET TERE ALL A REDA ZIONE

Ci giunge gradita una testimonianza di un nostro concittadino che, con questo scritto, fa rivivere.

I luoghi della memoriaCa’ DolfinSi erge, alto ed imponente, tra un am-pio e vetusto giardino e prati, un tempo rigogliosi, il palazzo dei conti Dolfin, già dimora dei patrizi veneziani, proprietari di vaste campagne, coltivate a mezzadria. Ma il teatro dei giochi di noi ragazzi era il borgo che si dipanava ai piedi e lungo le vie adiacenti la dimora patrizia. Qui soprattutto nelle serate primaverili ed estive, tra i profumi di acacie e gelsomini che provenivano dai giardini del conte, flotte di ragazzi si ritrovavano nella Corte Reale e nella adiacente Via Ca’ Dolfin.E tra grida festose e lieti rumori si giocava.Giochi semplici e belli tra rincorrersi,chiamarsi, nascondersi, trovarsi.A maggio le lucciole e i pipistrelli corona-vano le nostre chiassose borgate. Luoghiintersecati da lunghi fruscii di roggecristalline.In Corte Reale alcune figure “Sbraica, Capei, Menno, Nicolato, Sabosà”, a volterimbrottavano con l ievi r ichiami noiragazzi.E come non ricordare il lunedì di Pasqua. La chiesetta patrizia dei conti si apriva per la festa ed era un tripudio di profumi pri-maverili e di serene aggregazioni sociali. Questo era il mio Ca’ Dolfin, dolce luogo della memoria.Angelo Marchiori

Gioielli

Con occhi bagnatidi malinconia

ascoltouna pioggia sottile

lucidare i tetti.E quelle

lunghe lacrimed ’ argento

sono morbidogioiello all ’ anima.

Luna piena

Si è fatta tuttaluce il cielo,

sovrasta rade stellela luna pienae la notte foratacito biancore.

Info

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