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LA DOMENICA 36 DOMENICA 17 FEBBRAIO 2013 Spettacoli Pionieri L oro avevano Topolino, Paperino e i nipotini Qui, Quo, Qua. Noi Tomboli- no, Anacleto e i fratelli Din, Don, Dan. Personag- gi che, a differenza dei colleghi americani, si sono persi nelle cantine del Novecento, in lontani ri- cordi di carta e celluloide. Tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, infatti, mentre Walt Disney fondava il suo im- pero, in Italia un gruppo di artisti pro- vava a realizzare lo stesso sogno: i dise- gni animati. Tentativi spesso finiti ma- le, non per mancanza di bravura o creatività, ma per il poco spirito im- prenditoriale, l’assenza di progettua- lità, di soldi, di mezzi. O, banalmente, per sfortuna: se negli anni Quaranta, oltre al trionfo di musica e colori di Fantasia non abbiamo potuto vedere i violini parlanti del Crescendo Rossi- niano di Antonio Rubino è solo perché l’originale del film venne spedito a Berlino per lo sviluppo e la stampa. Ma lì rimase, sepolto sotto i bombarda- menti. Senza darsi per vinti i pionieri del cartoon italiano sfornavano comun- que brevi storie di pulcini (Anacleto di Roberto Sgrilli, 1942) o, quando il regi- me lo richiedeva, corti di propaganda (in cui Churchill diventava il terribile Dottor Churkill) e educativi (il Tombo- lino di Liberio Pensuti spiegava come evitare la tubercolosi). E ci voleva la passione di una studiosa per andare a ripescare negli archivi di mezza Italia immagini e ricordi di questi film. Lo ha fatto Raffaella Scrimitore, che ne Le origini dell’animazione italiana — La storia, gli autori e i film animati in Ita- lia 1911-1949 (Tunué) ci accompagna lungo un percorso influenzato da To- polino, ma anche da tutto ciò che ac- cadeva intorno: dallo stesso Pensuti, che dopo aver conosciuto di persona Trilussa traduce le sue poesie in carto- ni animati, a Gibba, che nel ’46 sinte- tizza in una storiella di dodici minuti la poetica neorealista (L’ultimo sciu- scià). Cosa succedeva, nel frattempo, dal- l’altra parte dell’oceano? Dal 1928, an- no in cui Mickey Mouse fece la sua pri- ma apparizione, Disney lavorava per creare un metodo di lavoro impecca- bile, sia dal punto di vista economico (l’organizzazione degli studios, la sud- divisione del lavoro, lo studio di perso- naggi che potessero piacere al grande pubblico) che tecnico (come rendere credibile e divertente il movimento di un topo, o di un coniglietto?). Non è un caso se il primo lungometraggio di- sneyano era già un capolavoro: Bian- caneve e i sette nani, nel 1937, fece ca- pire al mondo le potenzialità del dise- gno animato, ben oltre i formati ri- stretti dei corti da pochi minuti. Il com- pito che in Italia avrebbe dovuto avere, negli stessi anni, Le avventure di Pi- nocchio. Peccato che nessuno lo abbia mai visto. La storia è questa: nel 1935 Romolo Bacchini riunisce i migliori di- segnatori del giornale satirico Marc’Aurelio. Dopo mesi di lavoro, se- condo le riviste dell’epoca, il film era praticamente pronto. A un passo dal- l’uscita in sala, però, nessuno ne parla- va più. Dov’era finito? Mistero. La leg- genda chiama in causa Walt Disney in persona, che acquistò i diritti per la versione a disegni animati della storia di Collodi (il suo Pinocchio uscirà nel 1940), bloccando tutti i concorrenti. Non contento, l’americano avrebbe comprato pure il negativo originale del Pinocchio di Bacchini per lasciarlo nel fondo di qualche polveroso scaffa- le in California, dove si troverebbe an- cora oggi. Ma la realtà è meno intri- gante: l’équipe italiana era di ottima qualità dal punto di vista del disegno, ma quei professionisti, come tanti al- FRANCESCO FASIOLO Din Don Dan erano la risposta a Qui Quo Qua ma ben pochi li ricordano, mentre Pinocchio dovette emigrare in America per diventare un film Bravi e squattrinati, tra le due guerre i nostri disegnatori collezionavano quasi solo fallimenti Ora raccolti in un libro Le italiche avventure di Tombolino & Co.

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LA DOMENICA■ 36DOMENICA 17 FEBBRAIO 2013

la Repubblica

SpettacoliPionieri

Loro avevano Topolino,Paperino e i nipotini Qui,Quo, Qua. Noi Tomboli-no, Anacleto e i fratelliDin, Don, Dan. Personag-gi che, a differenza dei

colleghi americani, si sono persi nellecantine del Novecento, in lontani ri-cordi di carta e celluloide. Tra la Primae la Seconda guerra mondiale, infatti,mentre Walt Disney fondava il suo im-pero, in Italia un gruppo di artisti pro-vava a realizzare lo stesso sogno: i dise-gni animati. Tentativi spesso finiti ma-le, non per mancanza di bravura ocreatività, ma per il poco spirito im-prenditoriale, l’assenza di progettua-lità, di soldi, di mezzi. O, banalmente,per sfortuna: se negli anni Quaranta,oltre al trionfo di musica e colori diFantasia non abbiamo potuto vedere iviolini parlanti del Crescendo Rossi-niano di Antonio Rubino è solo perchél’originale del film venne spedito aBerlino per lo sviluppo e la stampa. Malì rimase, sepolto sotto i bombarda-menti.

Senza darsi per vinti i pionieri delcartoon italiano sfornavano comun-que brevi storie di pulcini (Anacleto diRoberto Sgrilli, 1942) o, quando il regi-

me lo richiedeva, corti di propaganda(in cui Churchill diventava il terribileDottor Churkill) e educativi (il Tombo-lino di Liberio Pensuti spiegava comeevitare la tubercolosi). E ci voleva lapassione di una studiosa per andare aripescare negli archivi di mezza Italiaimmagini e ricordi di questi film. Lo hafatto Raffaella Scrimitore, che ne Leorigini dell’animazione italiana — Lastoria, gli autori e i film animati in Ita-lia 1911-1949 (Tunué) ci accompagnalungo un percorso influenzato da To-polino, ma anche da tutto ciò che ac-cadeva intorno: dallo stesso Pensuti,che dopo aver conosciuto di persona

Trilussa traduce le sue poesie in carto-ni animati, a Gibba, che nel ’46 sinte-tizza in una storiella di dodici minuti lapoetica neorealista (L’ultimo sciu-scià).

Cosa succedeva, nel frattempo, dal-l’altra parte dell’oceano? Dal 1928, an-no in cui Mickey Mouse fece la sua pri-ma apparizione, Disney lavorava percreare un metodo di lavoro impecca-bile, sia dal punto di vista economico(l’organizzazione degli studios, la sud-divisione del lavoro, lo studio di perso-naggi che potessero piacere al grandepubblico) che tecnico (come renderecredibile e divertente il movimento di

un topo, o di un coniglietto?). Non è uncaso se il primo lungometraggio di-sneyano era già un capolavoro: Bian-caneve e i sette nani, nel 1937, fece ca-pire al mondo le potenzialità del dise-gno animato, ben oltre i formati ri-stretti dei corti da pochi minuti. Il com-pito che in Italia avrebbe dovuto avere,negli stessi anni, Le avventure di Pi-nocchio. Peccato che nessuno lo abbiamai visto. La storia è questa: nel 1935Romolo Bacchini riunisce i migliori di-segnatori del giornale satiricoMarc’Aurelio. Dopo mesi di lavoro, se-condo le riviste dell’epoca, il film erapraticamente pronto. A un passo dal-

l’uscita in sala, però, nessuno ne parla-va più. Dov’era finito? Mistero. La leg-genda chiama in causa Walt Disney inpersona, che acquistò i diritti per laversione a disegni animati della storiadi Collodi (il suo Pinocchio uscirà nel1940), bloccando tutti i concorrenti.Non contento, l’americano avrebbecomprato pure il negativo originaledel Pinocchio di Bacchini per lasciarlonel fondo di qualche polveroso scaffa-le in California, dove si troverebbe an-cora oggi. Ma la realtà è meno intri-gante: l’équipe italiana era di ottimaqualità dal punto di vista del disegno,ma quei professionisti, come tanti al-

FRANCESCO FASIOLO

Din Don Danerano la rispostaa Qui Quo Quama ben pochili ricordano,mentre Pinocchiodovette emigrarein Americaper diventare un filmBravi e squattrinati,tra le due guerrei nostridisegnatoricollezionavanoquasi solofallimentiOra raccoltiin un libro

Le italiche avventuredi Tombolino & Co.

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la Repubblica

l’epoca, di tecniche di animazione nesapevano meno. E il progetto si arenòquando finirono i soldi, di fronte a im-magini tremanti e movimenti dei per-sonaggi tutt’altro che fluidi.

L’analisi di queste esperienze rendelo studio della Scrimitore un impor-tante tassello che va a completare unquadro più vasto, nel recupero di espe-rienze dimenticate nella storia dell’a-nimazione. Così come, nei primi anniOttanta, un saggio di GiannalbertoBendazzi (Due volte l’oceano, La casaUsher, 1983), riscoprì un altro grandepioniere, ancora una volta italiano:Quirino Cristiani, che dalla provincia

di Pavia arrivò in Argentina, e lì realizzònel 1917 il primo lungometraggio ani-mato della storia del cinema (El apó-stol). Fu solo trent’anni dopo, nel 1949,che l’Italia avrebbe prodotto i primifilm di una certa lunghezza: La rosa diBagdad di Anton Gino Domeneghini,e le avventure dei piccoli Din, Don eDan (I fratelli Dinamite) di Nino Pagot.

Per i cartoon evidentemente c’eraun’altra strada per essere bene accettinelle sale: la pubblicità. Il meccanismodel testimonial funzionava già daglianni Venti, come l’utilizzo di autori af-fermati per prodotti pubblicitari: dueingredienti alla base del successo di

Carosello (che arriverà nel ’57). E pro-prio i fratelli Nino e Toni Pagot idearo-no Calimero: nel luglio del 1963, mez-zo secolo fa, il pulcino nero fece la suaprima apparizione in tv. In pienoboom economico l’animazione in for-mato réclame entrava nelle case dellefamiglie italiane con una forza dirom-pente. E se la concorrenza rimanevamicidiale (Disney lanciava La spadanella roccia), qui Bruno Bozzetto stavaper presentare West and Soda, ottan-tasei minuti di ironico western. Dopotanti tentativi falliti, cominciava un’al-tra storia.

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Nell’eradel digitale, la produzione di cartoni italiani è avanzata in maniera enorme. A parte il trionfo delle Winx inventate da Igi-no Straffi, non si contano ormai i personaggi di fumetti nostrani messi in immagini, dalla Pimpa a Cattivik, e le serie originali.Sono lontani i tempi di Supergulp, quando la Rai, per offrire ai più piccoli “i fumetti in tv”, lavorava artigianalmente sui fumet-

ti medesimi, con tecniche quasi da cantastorie che oggi hanno un fascino particolare. Il cinema d’animazione italiano era rimastouna realtà minore ben dopo il 1949, anno dei lungometraggi I fratelli Dinamite e La rosa di Bagdad. Poche sia le serie televisive, sia ifilm. Il grande, vero impulso a una produzione nazionale lo diede Carosello, dalla fine degli anni Cinquanta: Calimero e Topo Gigio,la Linea di Cavandoli, l’omino coi baffi della caffettiera segnarono l’età d’oro degli studi dei fratelli Gavioli, di Paul Campani e dei fra-telli Pagot. I quali realizzarono anche una delle serie più amate, il draghetto Grisù, riscoperto, in anni di vintage, dai bambini di allo-ra per i loro figli. Negli anni Ottanta, peraltro, la ditta Pagot produrrà per la Rai uno Sherlock Holmes insieme al grande Hayao Miya-zaki. I due grandi nomi dell’animazione italiana sono però Bruno Bozzetto e il duo Gianini-Luzzati. Se questi ultimi non hanno mairealizzato un lungometraggio, dedicandosi a una felice sinergia con la musica classica (due nomination all’Oscar per La gazza ladrae Pulcinella), Bozzetto, creatore del signor Rossi ma anche del bellissimo Allegro non troppo, è riconosciuto come un grande dell’a-nimazione mondiale, maestro per altri autori di alto livello (tra cui Guido Manuli). Un po’ meno ricordato è Pino Zac, autore di unaversione a tecnica mista del Cavaliere inesistentedi Calvino. In seguito, a trovare un mercato internazionale sono stati i lavori di EnzoD’Alò, da La gabbianella e il gatto al Pinocchio di imminente uscita, basato sui disegni di Lorenzo Mattotti.

Ma pochi sanno che in Italia c’è una scuola straordinaria di disegno e animazione, che nei decenni ha prodotto grandi artisti, co-me Gianluigi Toccafondo e Simone Massi, riconosciuti nel mondo. È l’Istituto statale d’arte di Urbino, che sforna attraverso corsi spe-cializzati, anno dopo anno, nomi di valore (tra gli ultimi Mara Cerri e Magda Guidi, premiate al festival di Torino). Mentre le streghet-te scosciate impazzano col loro merchandising, piccole realtà come questa continuano a creare, nel nostro Paese, artigiani e artisti.

Da Calimero alla gabbianelladopo Carosello iniziò tutta un’altra storia

EMILIANO MORREALE

TIGRI E PULCINIDall’alto in sensoorario: il pulcinoAnacleto (Sgrilli,1942) e Arrigoe il tigrotto (Petronio,1924), Din Don e Danne I fratelli Dinamite(Pagot, 1949),La rosa di Bagdad(Domeneghini,1949), Le avventuredi Pinocchio(Bacchini, 1935)Sogno d’amore(Pagot, 1949)

PROTAGONISTINell’immagine grande al centro:Lalla, piccola Lalla (Pagot, 1947)Qui sopra, dall’alto: La vispa Teresa (Pensuti, 1931);Il Dottor Churkill (Pensuti, 1941);L’igiene di Tombolino (Pensuti, 1932)Sotto: I fratelli Dinamite (Pagot, 1949)e L’ultimo sciuscià (Gibba, 1947)

IL LIBROLe immagini che illustrano queste pagine sono tratte dal libro Le origini dell’animazione italianaLa storia, gli autori e i film animatiin Italia 1911/1949 Di Raffaella Scrimitore, con una prefazione di GiannalbertoBendazzi, (Tunué editori, 224 pagine, 16,50 euro), il volume è in libreria

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