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speciale 8 marzo

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Questo 8 marzo lo dedichiamo a tutte le donne vittime di violenza, a quelle che l’hanno subita fino a morirne e a quelle che la subiscono silenziosamente sperando che trovino il coraggio di denunciare e incontrino i centri in grado di sostenerle. Per questo pubblichiamo l’articolo della compagna Stefania Noce, giovane attivista femminista, che è stata lei stessa vittima della violenza maschile. Stefania, alla quale dedichiamo la copertina, è stata uccisa il 27 dicembre 2011, aveva 24 anni. L’ articolo, firmato con lo pseudonimo Sen, fu pubblicato sul giornalino dell’Università di Catania, La Bussola. (http://www.movimentostudentesco.org/cultura-e-culture/ha-ancora-senso-essere-femministe-un-articolo-di-stefania-noce)

“Ha ancora senso essere femministe?” Un articolo di stefania noce

Queste righe sono per quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c’è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede.A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare.A coloro i quali pensano ancora che il “femminismo” sia l’estremo opposto del “maschil-ismo”: non risulta da nessuna parte che quest’ultimo sia mai stato un movimento culturale, nè, tantomeno, una forma di emancipazione! Cominciando con le battaglie inglesi delle suffrag-ette del primo Novecento e passando per gli anni ‘60 e ‘70, epoca dei “femminismi”, abbiamo conquistato con le unghie e con i dentimolti diritti civili che ci hanno permesso di passare da una condizione di eterne “minorenni” sotto “tutela” a una forma di autodeterminazione sempre più definita. Abbiamo ottenuto di votare e, solo molto dopo, di avere alcune rappresentanze nelle cariche governative; siamo state tutelate dapprima come “lavoratrici madri” e, solo dopo, riconosciute come cittadini. E mentre gli altri parlavano di diritto alla vita, di “lavori morali” e di mentalità, abbiamo invo-cato il diritto a decidere della nostra sessualità dei nostri corpi.Abbiamo denunciato qualsiasi forma di “patriarcato”, le sue leggi, le sue immagini. Pensa-vamo di aver finito.Ma non è finita qui.

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Abbiamo grandi debiti con le donne che ci hanno preceduto.Il corpo delle donne, ad esempio, in quanto materno, è ancora alieni iuris per tutte le questioni cosiddette bioetiche (vedi ultimo referendum), che vorrebbero normarlo sulla base di una pre-tesa fondata sulla contrapposizione tra creatrice e creatura, come se fosse possibile garantire un ordine sensato alla generazione umana prescindendo dal desiderio materno. Di questa mostru-osità giuridica sono poi antecedenti arcaici la trasmissione obbligatoria del cognome paterno, la perdurante violabilità del corpo femminile nell’immaginario e nella pratica sociale di molti uomini e, infine, quella cosa apparentemente ineffabile che è la lingua con cui parliamo, quel tradimento linguistico che ogni donna registra tutte le volte che cento donne e un ragazzo sono, per esempio, andati al mare. Tutto, molto spesso, inizia nell’educazione giovanile in cui è facile rilevare la disuguaglianza tra bambino e bambina: diversi i giochi, la partecipazione ai lavori casalinghi, le ore permesse fuori casa. Tutto viene fatto per condizionare le ragazze all’interno e i ragazzi all’esterno.Pensiamo poi ai problemi sul lavoro e, dunque, ai datori che temono le assenze, i congedi per maternità, le malattie di figli e congiunti vari, cosicchè le donne spesso scelgono un impiego a tempo parziale, penalizzando la propria carriera.Un altro problema, spesso dimenticato, è quello delle violenze (specie in famiglia). Malgrado i risultati ottenuti, ancora nel 2005, una donna violentata “avrà avuto le sue colpe”, “se l’è cercata” oppure non può appellarsi a nessun diritto perchè legata da vincolo matrimoniale al suo carnefice. Inoltre, la società fa passare pubblicità sessiste o che incitano allo stupro; por-nografie e immagini che banalizzano le violenze alle donne.Per non parlare di quanto il patriarcato resti ancora profondamente radicato nella sfera pub-blica, nella forma stessa dello Stato.Uno Stato si racconta attraverso le sue leggi, attraverso i suoi luoghi simbolici e di potere. Il nostro Stato racconta quasi di soli uomini e non racconta dunque la verità. Da nessuna parte viene nominata la presenza femminile come necessaria e questo, probabilmente, è l’effetto di una falsa buona idea: le donne e gli uomini sono uguali, per cui è perfettamente indifferente che a governare sia un uomo o una donna. Ecco il perchè di un’eclatante assenza delle donne nei luoghi di potere.Ci siamo fatte imbrogliare ancora. Ma può un paese di libere donne e uomini liberi essere gov-ernato e giudicato da soli uomini? La risposta è NO.Donne e uomini sono diversi per biologia, per storia e per esperienza.Dobbiamo, quindi, trovare il modo di pensare a un’uguaglianza carica delle differenze dei corpi, delle culture, ma che uguaglianza sia, tenendo presente l’orizzonte dei diritti universali e valorizzandone l’altra faccia.Ricordando, ad esempio, che la famiglia non ha alcuna forza endogena e che è retta dal deside-rio femminile, dal grande sforzo delle donne di organizzarla e mantenerla in vita attraverso una rete di relazioni parentali, mercenarie, amicali ancora quasi del tutto femminili; ricordando che l’autodeterminazione della sessualità e della maternità sono OVUNQUE le UNICHE vie ido-nee alla tutela delle relazioni familiari di fatto o di diritto che siano; ricordando che le donne sono ovviamente persone di sesso femminile prima ancora di essere mogli, madri, sorelle e quindi, che nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, nè, tantomento, di una religione.

Sen (Stefania Noce)

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E’ l’ 8 marzo, E non vi diciamo “scusatE il disturbo” di Marica Guazzora (federazione PdCI Torino)

Quante volte ci siamo dette che l’ultima parola sul corpo delle donne spetta a noi? Quante? Quanti cortei abbiamo fatto per stabilire questa semplice verità?. Eppure siamo ancora qui, come ogni 8 marzo a rimuginare se è una data-simbolo da commemorare, da festeggiare, da cancellare, da dimenticare? Le donne muoiono tra l’indifferenza generale, ogni tanto ci si sveglia da una specie di letargo e si lanciano petizioni, si rac-colgono firme, mentre le donne continuano a morire per mano dei loro uomini, ex, uomini che si vogliono cancellare dalla pro-pria vita ma che non si può, perché ti considerano di proprietà come i pantaloni che indossano. E assistiamo agli attacchi della chiesa alla legge 194, un vero e proprio assalto frontale perché a parole quasi tutti dicono di non volerla cancellare ma nei fatti viene quotidianamente messa in discussione con proposte medioevali e inquisitorie e dagli obiettori di coscienza che di fatto ne impediscono l’attuazioneSi muore, si vive, sempre in secondo piano, tutto scorre nel tran-tran del quotidiano, e le donne distur-bano con le loro pretese di diritti e di libertà, disturbano il governo e anche il non governo. Disturbano sempre, quando chiedono rispetto per il proprio corpo, ma anche quando chiedono servizi che non ci sono, quando pretendono che la Costituzione sia rispettata e quando vogliono lavoro e pace. E mentre si discute come si darà e se si darà un governo al paese, a chi interessa sapere che è di nuovo l’8 marzo? Solo a noi, a noi che siamo ancora in marcia in lunghe file per le strade del mondo a reclamare la nostra dignità, sempre, a reclamare uno stato che investa su di una procreazione consapevole, più consultori, più strut-ture e meno preghiere per i mai nati, a chiedere, a lottare per il lavoro, per la scuola, per i figli, per la democrazia di genere. E’ di nuovo l’8 marzo, e neanche questa volta vi diciamo “scusate il disturbo”.

“Giovanna” è un frammento-mediometraggio di Gillo Pon-tecorvo e Franco Solinas del 1955, successivamente inserito nel film collettivo “Die Windrose” (1957) curato da Joris Ivens e voluto dalla Federazione internazionale delle donne della Germaniav socialista.È la storia dell’occupazione di una fabbrica tessile da parte delle op-eraie che protestano contro i licenziamenti. Nella vicenda si intreccia-no la lotta contro il padrone, il conflitto con i mariti, la polizia, la soci-età. È un film d’avanguardia sul tema dell’emancipazione femminile.

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il contributo dEllE donnE comunistE alla lotta contro il Fascismo. duE EsEmPi: l’8 marzo 1931 E Gli scioPEri dEl marzo 1943a cura di milena Fiore (Fed. Pdci bari)

“Dai rapporti dei sindacati fascisti risulta che spesso le donne sono le prime a dare l’esempio della protesta e della fermata di lavoro. Le manifestazioni nelle fabbriche tessili del Biellese sono state in buona parte op-era delle lavoratrici. «Dall’Unione di Roma (dei sindacati fascisti) viene segnalato che il 15 corr. (aprile) a Grottaferrata venti donne, tra le 45 unità promiscue della ditta fratelli Santovetti (imballaggio) si as-tennero dal lavoro». Altrove si legge ancora che, presso la società cinematografica Pisorno e Tirrenia: «Il 17 marzo un centinaio di comparse, per lo più donne, essendo stato sospeso il lavoro… alzarono grida di protesta e accolsero ostilmente i carabinieri subito accorsi». «All’Unione di Pistoia (dei sindacati fascisti) perviene notizia che, il 17 corrente, 21 operaie, nella totalità minorenni, del sugherificio Cioli Torello di Montecatini Terme hanno abbandonato il lavoro essendosi la ditta rifiutata di aumentare la paga, e sono state arrestate.»” (dalla prefazione di Luigi Longo al libro di Umberto Massola, “Marzo 1943. Ore 10”)

In questi giorni ricorre il 70° anniversario de-gli scioperi del marzo 1943: scioperi nei quali l’organizzazione comu-nista ebbe un ruolo fonda-mentale e che rappresen-tarono la prima spallata al regime fascista, con un ruolo importante delle donne, come ricorderà Luigi Longo nella cit-azione sopra riportata.I comunisti e le comu-niste, peraltro, non ave-vano aspettato la guerra e la crisi del fascismo per mobilitarsi, ma al contrario, attraverso le loro strutture clandes-tine e agendo anche all’interno delle orga-nizzazioni di massa del regime, avevano portato avanti la loro attività di agitazione e propa-ganda anche negli anni più bui del regime fas-

cista. Quello che riportiamo qui sotto è un articolo di Teresa Noce sulla mobilitazione delle op-eraie tessili in occasione dell’8 marzo 1931. Pochi giorni prima, a Napoli, sempre contro la ri-duzione dei salari si erano ribellate le operaie delle manifatture cotoniere meridionali: riportiamo quindi anche stralci dell’articolo di Battaglie sindacali del maggio 1931 dedicato alla lotta delle MCM.La lotta proseguirà in forme diverse anche nel dopoguerra. In una lettera del 1946 a Nilde Jot-ti, Palmiro Togliatti aveva scritto: «Noi costruiremo qualcosa di nuovo». Concludiamo quin-di questa rassegna con una serie di brevi ritratti di dirigenti comuniste passate dalla lotta antifascis-ta e dalla Resistenza alla lotta per l’emancipazione, la democrazia e la pace nei decenni del dopoguerra.

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(da DONNE E STORIA,“Battaglie sindacali”, marzo 1981)8 marzo 1931 dal diario di teresa noce, prima segretaria del sindacato tessile

Che freddo, quell’inverno del 1931 a Biella! E nelle case dei lavoratori tessili, quanta miseria!Ero giunta a Biella verso la fine del mese di febbraio, in-viata dalla Confederazione Generale Italiana del lavoro clandestina, per organizzare la lotta dei lavoratori tessili contro la riduzione dei salari, imposta dal Governo fascis-ta. Sotto il pretesto di mantenere il potere d’acquisto della lira – la lira a quota 90 – la battaglia della lira – come strombazzavano le gazzette fasciste di allora – il governo Mussolini non aveva trovato che un mezzo efficacie: la riduzione dei salari e degli stipendi del 9-12 per cento.Ma gli operai, immiseriti, disoccupati, terrorizzati, non cedevano; e malgrado il divieto del diritto di sciopero ed il rischio per chi scioperava, del Tribunale Speciale, malgrado che fossero sciolti, vietati, tanto i Partiti Co-munista e Socialista, quanto la Cgil, malgrado la disoc-cupazione ed il terrore del licenziamento, soprattutto quello di rappresaglia, che ti impediva di trovare mai più lavoro, i lavoratori non cedevano e lottavano, lottavano con le unghie e coi denti, legalmente ed illegalmente per difendere il loro pane. Ed in prima fila, in questa lotta, vi erano i lavoratori e soprattutto le lavoratrici tessili.Dopo lo sciopero delle Cotoniere Meridion-ali a Napoli, quello del Cotonificio veneziano di Pordenone e di Udine, Biella, con le sue combattive tes-sili biellesi, non poteva non essere alla testa della lotta antifascista contro la riduzione dei salari. Nel-la misera casa dove ero stata ospitata e dove dormivamo in quattro nel grande e solo letto matrimoniale – padre, madre, un bambino febbricitante ed io – la stufa era spenta e mangiavamo polenta per risparmiare il pane.Il padre – sospetto di comunismo – era disoccupato da tempo. Il bambino era ammalato e solo la ma-dre lavorava in una fabbrica tessile. Se le riducevano ancora il salario, come avrebbe tirato avanti la famigli-ola? E la situazione era pressappoco la stessa per centinaia e centinaia di famiglie del Biellese. Così che de-cidemmo di fare, a Biella, dell’8 marzo una grande giornata di lotta antifascista contro la riduzione dei salari.Nella mia valigetta a doppio fondo avevo portato, come sempre, gli ingredienti più semplici per stampare e ti-rare dei manifestini e alla sera, alla luce della lampada a petrolio, con l’uscio sprangato e la finestra maschera-ta dalla coperta da letto, preparavamo i foglietti da diffondere nelle fabbriche che alla vigilia dell’8 marzo. Consigliata dai due compagni, che mi parlavano della situazione degli operai delle fabbriche e della miseria delle case, preparai tre testi di manifestini e un testo di un rudimentale numero di «Noi Donne». Poi, sotto gli occhi spal-ancati del bambino ammalato, dalla mia valigetta «magica» - come la chiamò subito il piccolo – tirai fuori gli in-gredienti: inchiostro e tela poligrafica per i manifestini, ingredienti chimici per preparare la «finestra» - che era poi il marmo del tavolino da notte – per tirare il rudimentale numero biellese di «Noi Donne» per l’8 marzo 1931.Lavorammo diverse sere, tutti e tre, fino a notte tarda. Ma, alla vigilia dell’8 marzo, qualche fogliettino era penetrato in quasi tutte le fabbriche. E l’8 marzo vi furono numerose fermate di lavoro, che continuarono nei giorni succes-sivi, fino a sboccare in un vero e proprio sciopero tessile, vittorioso contro le riduzioni del salario. TERESA NOCE

Grande sciopero tessile vittorioso a napoli, “battaglie sindacali”, maggio 1931, n. 3La massa si rivoltò compatta. La parola d’ordine dello sciopero fu passata rapidamente in tutti i reparti, fu accolta con grande en-tusiasmo. L’abbandono del lavoro fu completo. E poiché la direzione minacciava delle rappresaglie, la massa si rivoltò minacciosa contro i dirigenti, che furono messi in fuga. In alcuni reparti, le macchine furono seriamente danneggiate, i vetri delle finestre, infranti; tutti i capi reparti aguzzini, odiati dalla massa, fuggirono.Subito dopo intervenne la milizia fascista, che fu accolta a colpi di sassi e di altri proiettili. L’ufficiale che la comandava [...] fu ferito gravemente, come altri militi, che fuggirono alla loro volta [...]. Dopo la fuga della milizia, intervennero i carabinieri. Una delle operaie, allora, si levò la camicetta rossa, inalberandola come bandiera improvvisata. Attorno al rosso vessillo di lotta, tutta la massa delle operaie lottò coraggiosamente, anche contro i carabinieri, difendendo palmo a palmo la fabbrica in cui si era trincerata. Fu solo dopo una resistenza accanita che la fabbrica poté essere sgomberata dalle operaie.Tra le operaie vi furono una ventina di ferite e un centinaio di arrestate. Ma la battaglia è stata vinta [...]. Infatti, il lunedì 3 marzo, il lavoro venne ripreso con gli stessi salari. [...] La massa, lottando coraggiosamente, ha vinto. [...] Questo movimento ha suscitato una grande impressione a Napoli e in tutto il Mezzogiorno. L’esempio vittorioso dev’essere seguito dalle masse operaie di tutta l’Italia

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alcuni ritratti dEllE donnE comunistE ProtaGonistE dElla lotta Politica nEl nostro PaEsE, dall’ordinE nuovo di Gramsci aGli anni ’70, mEl Pci, nEll’udi (unione donne italiane) E nElla FdiF (Federazione democratica internazionale delle donne) (da: “le compagne” di Guido Gerosa, ed. rizzoli)

TERESA NOCE. Nata nel 1900 a Torino, operaia. S’iscrive al partito comunista nel 1921. Emigrazione a Mosca nel 1926, lavoro clandestino in Italia 1931-34, con le Brigate Internazionali in Spagna nel 1936. Fa la resistenza in Francia, è deportata nel lager di Ravensbrück. Grande dirigente sindacale dei tessili nel dopoguerra. […]CAMILLA RAVERA. Nata ad Aqui nel 1889. È all’Ordine nuovo con Gramsci, Terracini, Togliatti, Tasca dal 1919; Gramsci la incarica di tenervi una “tribuna delle donne”. A Mosca nel 1922 delegata al IV Congresso dell’Internazionale comunista. Emigra a Parigi, poi nel 1930 ricostituisce il Centro interno del partito comunista in Italia. Arrestata nel luglio, fa tredici anni di carcere e confino a Trani, Perugia, Montalbano Ionico, San Giorgio Lucano, Ponza, Ventotene. […]NELLA MARCELLINO. Nata nel 1923 a Torino. Emigrazione a Parigi. Rientra in Italia nel 1941. Partecipa alla resistenza in Piemonte. Rientra in Italia nel 1941. Partecipa alla resistenza in Piemonte. Deputato nella legislatura 1948-53. Dal 1976 segretario generale della federazione dei tessili, abbigliamento e calzaturieri della CGIL. […]LINA FIBBI. Nata nel 1920 a Campiobbi (Fiesole). Emigrazione in Francia. Partecipa alla resistenza come staffetta portaordini di Luigi Longo. Il suo compagno e marito Raffaele Pieragostini viene fucilato poco prima della Liberazione. Deputato dal 1963 al 1976.NADIA SPANO. Nata a Tunisi di famiglia antifascista (Gallico), sposa di Velio Spano nel 1939. Fa la lotta antifascista in Tunisia, nel dopoguerra viene eletta alla Costituente, partecipa alle battaglie sociali in Sardegna […]FELICITA FERRERO. Nata a Torino nel 1899. Lavora all’Ordine nuovo con Gramsci ed entra nel partito comunista alla fondazi-one, nel 1921. Partecipa al Terzo Congresso dell’Internazionale a Mosca nel 1921. Animatrice della resistenza di Torino al fascismo negli anni 1922-26. Fa l’emigrazione a Mosca […] BALDINA DI VITTORIO BERTI. Nata a Cerignola (Puglia) nel 1920, figlia di Giuseppe Di Vittorio. Emigrazione in Francia. Nel marzo 1940 viene rinchiusa nel campo di concentramento di Rieucros. Quando viene liberata, si trasferisce negli Stati Uniti. Svolge un lavoro assai importante nell’UDI nel dopoguerra. Deputato e senatrice nel 1963-72. […]LAURA LOMBARDO RADICE INGRAO. Figlia del professor Giuseppe Lombardo Radice e sorella del filosofo Lucio. Parte-cipa da protagonista alla resistenza romana e viene perseguitata. STELLINA VECCHIO. Nata a Milano nel 1921. Staffetta tra Milano e la Valsesia durante la resistenza. Lavoro e lotte nel sinda-cato. Dal 1973 nel Comitato Spagna Libera. […]GISELLA FLOREANINI. Nata a Milano in una famiglia borghese nel 1906. Musicista. Dirigente antifascista a Ginevra dal 1939 al 1943. Ministro dell’Assistenza nella repubblica partigiana dell’Ossola dal 1944. Deputato dal 1948 al 1958, poi attività nella Federazione internazionale democratica delle donne.NORI BRAMBILLA PESCE. Nata nel 1923 a Milano. Diventa antifascista giovanissima ed è arrestata e torturata dalle SS nel settembre 1944. Campo di concentramento a Bolzano. Funzionaria di partito fino al 1960. […]LAURA DIAZ. Nata a Livorno nel 1920. Famiglia antifascista, persecuzioni. Deputato dal 1948 al 1968. Ha un famoso processo a Chieti nel 1948 perché avrebbe detto che “le mani di Pio XII grondavano di sangue”.[…]NILDE JOTTI. Nata a Reggio Emilia nel 1920, il padre era un deviatore delle ferrovie, socialista. Laureata in lettere all’Università Cattolica di Milano. Partecipa alla resistenza. Grande dirigente dell’UDI nel dopoguerra. Deputato fin dal tempo della Costituente, dal 1972 al 1976 è vicepresidente della Camera e dal luglio 76 presidente della Commissione Affari Costituzionali. […]LUCIANA VIVIANI. Nata a Napoli, figlia del grande attore Raffaele Viviani. Partecipa alla resistenza romana, è attivissima nelle lotte popolari e sociali della Napoli del dopoguerra. Deputato di Napoli dal 1948 al 1968. Attivissima nell’UDI. […]SIMONA MAFAI. Figlia del pittore Mario Mafai. Nata a Roma nel 1928. Partecipa alla resistenza romana. Giovanissima, è l’anima delle lotte politiche e sociali nel Veneto. Lavora a lungo in Sicilia. Senatrice di Gela dal 1976. […]GIGLIA TEDESCO. Nata a Roma nel 1927. Partecipa al gruppo dei “cattolici comunisti” ed entra quindi nel partito comunista nel gennaio 1946. Grande lavoro nell’UDI dal 1959 al 1975. Senatrice di Arezzo dal 1968. […]MARISA CINCIARI RODANO. Nata a Roma nel 1921. È una delle animatrici del leggendario gruppo dei cattolici comunisti ed entra nel PCI nel 1946. Parte di primo piano nella resistenza romana. Grande dirigente dell’UDI (presidente nel 1956), è con Nilde Jotti la maggior ideologa e combattente delle lotte delle donne del dopoguerra. […]

“In occasione dell’8 marzo l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale conferirà, dietro mia proposta, la Laurea honoris causa in Scienze della Comunicazione a Marisa Cinciari Rodano.La Laurea non ha rappresentato per me solo un dovuto riconoscimento da parte di noi tutte e del Paese alla sua statura morale, politica e culturale, ma anche un modello alle giovani e giovanissime generazioni; mi sembra siano loro, in questo particolare momento, ad avere un grande bisogno di riferimenti positivi.Attraverso la sua vita si legge in controluce la storia italiana dell’ultimo sessantennio, quella storia che nei sistemi formativi è sempre più occultata, perché la conoscenza, come sempre, ostacola qualunque disegno oscurantista.” Fiorenza Taricone (Rete per la Parità)

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8 marzo 2013 di Gloria Malaspina (fed. PdCI Roma)

Che cos’è per me l’8 marzo?Una ricorrenza, una festa, l’orgoglio di essere donna e la consapevolezza di quello che significa.Sono nata alla fine del 1952 e ho vissuto l’onda lunga di una traccia di emancipazione iniziata molti anni prima e concretizzatasi in Italia nei suoi valori essenziali con la Costituzione repubblicana.In giorni così duri, quando tanti valori che per molte di noi hanno costituito senso comune della vita sembrano fagoci-tati da una democrazia il cui senso concreto va cercato con il lanternino, voglio ricordare le donne dell’impegno cos-tituzionale.Molti si affannano per cercare di dimostrare l’anacronismo dei principi della nostra Costituzione: il loro obiettivo non è quello di “migliorare” l’attualità costituzionale, ma quello di fare arretrare – menomando la madre delle leggi – le condizioni di vita e di lavoro di uomini e donne, le loro opportunità sociali, la loro dignità. È una battaglia che si combatte, costantemente ormai e faticosamente, dovunque, nei luoghi di lavoro come nella vita civile e politica, contro la prepotenza dei mercati globali.Molti parlano dei “padri costituenti”. Nessuno ricorda le “madri costituenti”. Eppure il loro contributo, nella discus-sione parlamentare, è stato fondamentale per l’inserimento di quei semi che avrebbero, nel corso delle legislature, dato i frutti dei progressi più significativi per la vita civile e so-ciale. Dalla Costituzione, infatti, sono scaturite le molte leggi che hanno migliorato la condizione della donna sia nel lavoro che nella vita, segnando le opportunità concrete per la sua emancipazione.Cominciamo dai loro nomi, quelli delle “madri” della Cos-tituzione:Adele Bei(Pci), Bianca Bianchi (Psi), Laura Bianchini (Dc), Elisabetta Conci (Elsa)(Dc), Filomena Delli Castelli (Dc), Maria De Unterrichter (Dc), Maria Federici (Dc), Nadia Gallico (Pci), Angela Gotelli (Dc), Angela Maria Guidi (Dc), Leonilde Iotti (Nilde) (Pci), Teresa Mattei (Pci), Angela Livia Merlin (Lina) (Psi), Angiola Minella (Pci), Rita Montagnana (Pci), Maria Nicotra (Dc), Teresa Noce (Pci), Ottavia Penna (Uomo Qualunque), Elettra Pol-lastrini (Pci), Maria Maddalena Rossi (Pci), Vittoria Tito-manlio (Dc).Scrisse Nilde Iotti, la prima donna Presidente della Camera dei Deputati: “Anche se non avevamo ancora l’abitudine ad avere degli scambi di idee fra di noi, successe però che quasi istintivamente riuscimmo a trovare delle posizioni comuni conducendo anche un lavoro prezioso, anche se non molto visibile, all’interno dei nostri gruppi parlamen-tari per arrivare alla stesura degli articoli fondamentali della Costituzione, che riguardano l’uguaglianza di fronte alla legge, nel lavoro e nella famiglia”(…).Ma il cammino, come ricordavo all’inizio, è stato lungo e un caposaldo è stato il diritto di voto alle donne. In prop-osito, propongo la lettura della Petizione alla Camera dei

Deputati inoltrata dalla Città di Milano nel 1861:“Se Dio ha posto nell’uomo un’irresistibile tendenza alla libertà, è perché nell’uso della libertà diventi migliore.Se Dio benedice agli sforzi che la Nazione Italiana fa per rendersi libera, fondamento principalissimo di questo pro-gressivo miglioramento dev’essere l’affermazione la più larga possibile dell’emancipazione della donna.I primi otto anni dell’educazione dell’uomo appartengono quasi esclusivamente alla donna.Considerando che sui diversi Codici delle provincie ital-iane si sta elaborando un Codice unico per tutto il Regno d’Italia;considerando che nelle provincie Lombarde, dove è vi-gente tuttora il Codice austriaco, la donna è parificata all’uomo nella facoltà di disporre delle proprie sostanze in ogni contrattazione anche senza la tutela maritale;considerando che il Codice Albertino, sottopone, nelle an-tiche provincie, la donna alla tutela maritale nell’esercizio dei diritti di proprietà;le sottoscritte, Cittadine Italiane, fanno al Parlamento ris-pettosa istanza, affinché nella compilazione del nuovo Co-dice italiano, alle donne di tutte le provincie vengano estesi i diritti riconosciuti fino ad oggi nelle donne Lombarde. da “Raccolte storiche del Comune di Milano”Alcuni testi preziosi, ricordi, verbali parlamentari, danno conto dello straordinario lavoro delle donne costituenti. Ne trascrivo alcuni, senza la pretesa di esaurire il ricchi-ssimo contributo di riflessioni e interventi parlamentari, solo per esemplificare quella ricchezza. Certo, in qualche caso parole e concetti possono sembrare insufficienti, alla luce dell’esperienza accumulata dalle donne nel corso dell’ultimo secolo ad oggi. Ma trovo ancora stupefacente la lungimiranza e – purtroppo – l’attualità di molti di quei concetti: senza quei concetti, senza quelle istanze, senza quei semi, la nostra Costituzione non sarebbe la più bella del mondo e tante lotte passate sarebbero costate molti più sacrifici e durezze alle donne. Percorrerò alcuni articoli, citando parti degli interventi delle parlamentari costituenti a sostegno del senso più ampio, “al femminile”, attraverso il quale declinarli e che sono stati acquisiti nella Costituzi-one che oggi leggiamo.Introduco quegli articoli con i ricordi di Nadia Gallico e Teresa Mattei.(….) “Sapevamo che la condizione sociale e giuridica della donna italiana era tra le più arretrate d’Europa. Il fascismo l’aveva aggravata umiliando perfino la concezi-one della maternità. (….) Le deputate pensavano che la Costituente fosse un’occasione da non perdere per sancire l’uguaglianza tra i sessi (….). Dovevamo quindi batterci unite per superare le resistenze, inevitabili e già individu-abili, vigilare per cancellare ogni posizione di inferiorità e affermare i diritti di libertà e di uguaglianza, guardando avanti il più possibile, lasciando la porta aperta alle con-quiste future”(….).Nadia Gallicoda un’intervista a “Noi donne” del 2006

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(….) “Diventare cittadini e cittadine, significava acquisire una parte di quella sovranità che spettava a tutti. I cittadini sono sovrani, liberi di realizzare i loro progetti di vita. Le donne non ne furono pienamente consapevoli, ma senti-vano che quel potere spettava anche a loro” (….).Teresa Matteida un’intervista a “La Repubblica” del 2006

Alcuni testi preziosi, ricordi, verbali parlamentari, danno conto dello straordinario lavoro delle donne costituenti. Ne trascrivo alcuni, senza la pretesa di esaurire il ricchi-ssimo contributo di riflessioni e interventi parlamentari, solo per esemplificare quella ricchezza. Certo, in qualche caso parole e concetti possono sembrare insufficienti, alla luce dell’esperienza accumulata dalle donne nel corso dell’ultimo secolo ad oggi. Ma trovo ancora stupefacente la lungimiranza e – purtroppo – l’attualità di molti di quei concetti: senza quei concetti, senza quelle istanze, senza quei semi, la nostra Costituzione non sarebbe la più bella del mondo e tante lotte passate sarebbero costate molti più sacrifici e durezze alle donne. Percorrerò alcuni articoli, citando parti degli interventi delle parlamentari costituenti a sostegno del senso più ampio, “al femminile”, attraverso il quale declinarli e che sono stati acquisiti nella Costituzi-one che oggi leggiamo.Introduco quegli articoli con i ricordi di Nadia Gallico e Teresa Mattei.(….) “Sapevamo che la condizione sociale e giuridica della donna italiana era tra le più arretrate d’Europa. Il fascismo l’aveva aggravata umiliando perfino la concezi-one della maternità. (….) Le deputate pensavano che la Costituente fosse un’occasione da non perdere per sancire l’uguaglianza tra i sessi (….). Dovevamo quindi batterci unite per superare le resistenze, inevitabili e già individu-abili, vigilare per cancellare ogni posizione di inferiorità e affermare i diritti di libertà e di uguaglianza, guardando avanti il più possibile, lasciando la porta aperta alle con-quiste future”(….).Nadia Gallicoda un’intervista a “Noi donne” del 2006

(….) “Diventare cittadini e cittadine, significava acquisire una parte di quella sovranità che spettava a tutti. I cittadini sono sovrani, liberi di realizzare i loro progetti di vita. Le donne non ne furono pienamente consapevoli, ma senti-vano che quel potere spettava anche a loro” (….).Teresa Matteida un’intervista a “La Repubblica” del 2006

La CostituzionePrincipi fondamentaliart.3 (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale...È com-pito della Repubblica rimuovere gli ostacoli...)“Soltanto riconoscendo alle donne la parità dei diritti si può costruire un’Italia veramente democratica. Facciamo posto alle donne, permettiamo che le loro energie (…) il loro spirito di sacrificio, di dedizione (…) la volontà di fare, di uguaglianza, di libertà, ci guidino nella nostra fatica.

Contribuire alla rinascita del Paese, assicurare la pace, difendere la stabilità, costruire un avvenire sereno ai propri figli, ecco il significato della ricchezza che oggi formulano le donne italiane rivendicando tutti i loro diritti” (…). Na-dia Gallicoart.4 (La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro...)(…) “Se vogliamo fare una Costituzione veramente demo-cratica dobbiamo abolire per sempre ogni barriera e ogni privilegio che tenda a spingere le donne verso settori limi-tati all’unico fine di togliere ad esse la via di accesso a tutti i pubblici uffici e cariche elettive. La donna dovrà fare lib-eramente la sua scelta seguendo il suo spontaneo desiderio guidata dall’educazione, e da altri elementi di valori anche spirituali, mai per ragione di un’ingiustizia che la offende profondamente” (…). Maria Federiciart.11 (L’Italia ripudia la guerra...)“Vogliamo essere forza viva di ricostruzione morale e ma-teriale, e possiamo farlo perché siamo, tutte, lavoratrici; sappiamo tutte l’oscuro sacrificio, lieto sacrificio, del lav-oro per la famiglia (…). Per la dignità di donne siamo con-tro la tirannide di ieri come contro qualunque tirannide di domani. Noi donne abbiamo la visione della nuova dignità del lavoro” (…). Angela Maria Guidi

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“Le donne hanno una mentalità orizzontale: guardano in-torno a sé, praticamente, si tirano su le maniche per fare le cose. Non guardano al potere, è più un modo degli uomini questo, verticistico. Le donne guardano lontano ma sem-pre al loro livello, e questo vuol dire democrazia, vuol dire pace ” (…). Teresa Mattei

Rapporti etico-socialiart.29 (La Repubblica riconosce i diritti della famiglia...)(...) “Vi è chi sostiene che il marito e padre deve essere il capo famiglia perché soltanto lui può essere il fulcro della ricostruzione e dell’unità della famiglia (…). In generale è la donna che tiene stretta ed unita la famiglia e basta riportarsi ad un passato recente per averne conferma” (...). Nadia Gallico

art.30 (È dovere e diritto dei genitori mantenere, istru-ire,...)“Uguaglianza ai figli illegittimi affinché abbiano gli stessi diritti dei figli legittimi, come sancito dall’art. 3, perché se vi è colpa questa appartiene solo ai genitori (...). Si cancelli quell’N.N. infamante, che siano educati e assistiti. Molte sono le nascite illegittime, ma molte di più sono le morti (il 50%) per il malcostume che considera l’infanticidio dei figli illegittimi meno grave, per cui si concedono attenu-anti alle madri che, con l’infanticidio, hanno difeso il loro onore (...). Le madri infanticide diminuirebbero se lo Stato venisse loro in aiuto”(...). Nadia Gallico(…) ”Per rinnovare e rafforzare l’istituto familiare, la Cos-tituzione si ispiri al principio dell’uguaglianza giuridica dei coniugi, dia soluzione ai problemi relativi ai figli il-legittimi riconoscendo loro gli stessi diritti dei figli legit-timi, riconosca la maternità come funzione sociale e non come cosa di carattere privato. Da essa dipende la pros-perità della nazione e lo sviluppo dei futuri cittadini” (...). Nilde Iotti

art.31 (La Repubblica agevola con misure economiche...)“La maternità non è solo un “affare privato”, ma ha una fondamentale “funzione sociale” che va pertanto aiutata con misure igieniche adeguate (…) Tutti i bambini italiani hanno diritto a un minimo di protezione e di cure da parte della società. Questo richiede di superare dilaganti piaghe sociali quali l’analfabetismo, la delinquenza precoce, la prostituzione e la disoccupazione giovanile, la mortalità infantile, il rachitismo e la tubercolosi”(…). Teresa Noce

art.32 (La Repubblica tutela la salute...)“Redditi adeguati, aiuti per i disoccupati e gli emigranti, assegni familiari, prestiti matrimoniali, politiche edilizie che favoriscono il possesso della casa, il salario familiare, fondi pensione, assistenza medica e sanitaria, esclusione da lavori gravosi e dannosi per la donna in gravidanza, allar-gamento del periodo di riposo pre e post partum, permessi per l’allattamento e mantenimento del posto di lavoro, sgravi fiscali per le famiglie numerose e bisognose, ricono-scimento alle madri nubili della qualifica di capo famiglia, rialzo per i fanciulli e specialmente per le fanciulle dell’età

per l’ammissione al lavoro, assistenza alla famiglia anche sul piano igienico-pedagogico, compreso l’ambito della stampa e dello spettacolo”(…). Maria Federiciart.33 (L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento...)“Lo Stato protegga la famiglia e promuova l’educazione come servizio di pubblica utilità; quindi la scuola non sia gestita unicamente dallo Stato, ma anche da associazioni private. (…)È scandalosa la sovvenzione alle scuole non governative da parte dello Stato, che devono esserefinanziate da enti e da privati”(…). Laura Bianchini(…) “La parificazione della scuola privata è degenerata in mercantilismo e depravazione della cultura, alla facile concessione di diplomi e titoli, mettendo in pericolo la formazione della futura classe dirigente italiana che non risulta preparata”(…). Bianca Bianchi

Rapporti economiciart.35 (La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forma ed applicazioni)“Noi non possiamo ammettere che alle donne rimangano chiuse porte che sono invece aperte agli uomini. Sia tolto ogni senso di limitazione e sia anzi affermato, in forma esplicita e piena, il diritto alle donne di accedere ad ogni grado della Magistratura come di ogni altra carriera”(…). Teresa Matteiart.37 (La donna lavoratrice ha gli stessi diritti...)“La nostra esigenza di entrare nella vita nazionale, di en-trare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il nostro Paese, non è l’esigenza di affermare la nostra personalità contrapponendola alla personalità maschile, facendo il solito femminismo che alcuni decenni fa ave-va incominciato a muoversi nei vari Paesi d’Europa e del mondo. Noi non vogliamo che le nostre donne si masco-linizzino, non vogliamo che le donne italiane aspirino ad un’assurda identità con l’uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere tutte le loro forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Per ciò riteniamo che il concetto riformatore della lotta che ab-biamo condotta per raggiungere la parità dei diritti, debba stare a base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro”.(…) “Non vi può essere oggi infatti, a nostro avviso, un solo passo sulla via della democrazia, che non voglia es-sere solo formale ma sostanziale, non vi può essere un solo passo sulla via del progresso civile e sociale che non possa e non debba essere compiuto dalla donna insieme all’uomo, se si voglia veramente che la conquista affer-mata dalla Carta costituzionale divenga stabile realtà per la vita e per il migliore avvenire d’Italia”(…). Teresa Mattei

“Di qui a pochi anni noi dovremo meravigliarci … di aver dovuto sancire nella Carta costituzionale che a due lavora-tori di diverso sesso che compiono lo stesso lavoro spetta un’uguale retribuzione”(…). Maria Federici

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art.38 (Ogni cittadino inabile al lavoro...)“Il diritto nei riguardi della previdenza è di natura diversa da quello che si riferisce all’assistenza. Chi lavora paga i contributi alla previdenza, ha un diritto a questa forma assicurativa; ma c’è poi una categoria di cittadini che non paga i contributi, pur avendo diritto ad un’assistenza del-la quale devono essere precisati i limiti (…). Si tratta di quelle persone che non fanno un lavoro salariato e in modo particolare delle madri di famiglia, delle cosiddette casal-inghe, le quali, pur non facendo un lavoro salariato, sono utili alla collettività, in quanto hanno cura dell’allevamento dei bambini (…). Diversa è la condizione di chi lavora e ha sempre lavorato; questi, in caso di malattia, di inva-lidità, di vecchiaia, ha diritto all’assistenza o alla pen-sione per quello che ha fatto o per quello che ha pagato. (...) L’assistenza va data anche a tutte le persone che non godono della previdenza”(...). Teresa Noce

Rapporti politiciart.48 (Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne,...)“Perché andammo tutte insieme dai Capi dei sei partiti? Perché fossero tutti d’accordo a concedere questo diritto alle donne italiane.Ringraziai a nome di tutte le Consultrici perché il voto fu veramente non un premio come qualcuno volle dire, e come anch’io ricordai, alla partecipazione delle donne nel momento più difficile della vita del nostro Paese, ma, so-prattutto, il riconoscimento di un diritto.Dissi che se non ci fosse stata la pausa infausta di quei vent’anni, il voto alle donne sarebbe arrivato prima, dato che nel 1920 la Camera dei Deputati lo aveva approvato; non poté proseguire per lo scioglimento del Parlamento, per cui decadde quel provvedimento”(…). Angela Maria Guidiart.49 (Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi...)“Il lavoro non è una merce, la libertà di espressione e di associazione è condizione indispensabile per un vero pro-gresso, la miseria costituisce un pericolo per la prosperità di tutti. Il lavoro combatte la miseria, permette all’uomo di sviluppare la propria libertà e dignità nella sicurezza eco-nomica; lo Stato deve offrire garanzia in materia di salari, durata e condizioni di lavoro”(...). Angela Maria Guidiart.51 (Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici...)“Abbiamo sentito citare argomenti di valore puramente accademico, che molto spesso mi hanno fatto ripensare a quella accolta di illustri accademici che perse il suo tem-po per discutere se un pesce vivo pesasse più di un pesce morto. Si trattava di fare una semplice prova e di rimettersi alla bilancia. Ora anche qui, onorevoli colleghi, facciamo la prova. Vediamo se la donna è veramente in grado di co-prire le cariche che sono inerenti all’alto esercizio della Magistratura (…). E se qualcuno che siede qui ha la pro-pria moglie che a casa fa la calza, non ritengo questo un argomento valido per invogliare una donna che chiede una toga ad accettare anziché una toga una calza (…)“.

(…) “Se una donna ha ricevuto dalla Provvidenza talenti

speciali, che la Provvidenza è ben libera di seppellire in un cervello femminile, quale diritto avete voi per impedire che questa donna possa sfruttare i talenti che ha ricevuto e che è suo dovere mettere a profitto? (…). Di che cosa avete paura? (…). Salutate fin d’ora, onorevoli costituenti, quella donna che anche per vostro merito, salirà per prima ad amministrare la giustizia, con coscienza virile, illumi-nata, sorretta e riscaldata da un cuore femminile”. Maria Federici

Per rimarcare le pari opportunità di accesso alla carriera di magistrato, nel ‘47 le donne della Costituente presentarono un ordine del giorno in cui si ribadiva: “L’Assemblea cos-tituente, considerato che l’art. 48 garantisce a tutti i cit-tadini di ambo i sessi, il diritto di accedere alle cariche elettive e agli uffici pubblici, in condizione di uguagli-anza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, afferma che per quanto riguarda l’accesso della donna in Magistratura l’art. 48 contiene le garanzie necessarie per la tutela di questo diritto”.

Le Regioni, le Province, i ComuniArt.117 (La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni...) [modificato 3 ottobre 2001]Riferimento al comma 7, immutato“Dal momento che alla donna è stata riconosciuta nel campo politico, piena uguaglianza col diritto di voto attivo e passivo, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata giuridicamente in modo tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina”(…). Nilde Iotti

(…)“Le attitudini non si provano se non con il lavoro; escludere le donne da determinati lavori significherebbe non provare mai la loro attitudine a compierli”(…). Maria Federici

Un ricordo di quei giorni di Teresa Mattei“Percorrendo i lunghi corridoi, fermata da commessi che, data la mia giovine età e l’aspetto dimesso, stentavano a riconoscermi con “Onorevole”, mi diressi attraverso il Transatlantico, alla Bouvette, riservati entrambi ai depu-tati per prendere un caffè. Dai capannelli dei colleghi si staccò un personaggio in abito talare. Tanto grosso, quanto rumoroso. Era tal Monsignor Barbieri, che si mescolava disinvoltamente ai parlamentari, ignorando le regole che avevano escluso le povere vedove. Mi prese sottobraccio esclamando gioviale: “Che bella ragazza, così giovane! Come mi fa piacere avere finalmente le gonnelle fra noi. Venga che le offro io il caffè”.Io, ancora immersa nell’emozione dell’incontro al portone, mi svincolai piuttosto prudentemente da quella stretta con-fidenziale, rispondendo tagliente: “Le uniche gonne am-messe qui dentro sono le mie, non le sue”. Calò un silenzio assoluto. E io ordinai al banco il mio caffè”.

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MARZO 1911 MARZO 2011Centoventinove operaieserrate come bestie, fusea macchine d'opaca faticaintrise d'incendiosaltate dalla fabbrica in fiammesu un terreno di rapida mortenella lontana New York. Per cent'anni l'otto marzofiamma di donne del mondo interoper multiformi lottedi liberazione.

Maria Carla Baroni

Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso sei un granello di colpaanche agli occhi di Diomalgrado le tue sante guerreper l’emancipazione.Spaccarono la tua bellezzae rimane uno scheletro d’amoreche però grida ancora vendettae soltanto tu riesciancora a piangere,poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,poi ti volti e non sai ancora diree taci meravigliatae allora diventi grande come la terrae innalzi il tuo canto d’amore.

Alda Merini

Il rogo nella fabbrica Triangle Shirtwaist Company av-venne il 25 marzo 1911. Nella memoria collettiva è rimasto collegato all’8 marzo, Giornata internazionale della donna.

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la mimosa è un FiorE rosso.di Delfina Tromboni (Fed. PdCI Ferrara)

Sono comunista e femminista perchè sono una donna di classe.Sono femminista e comunista perchè è stata una frase di Ca-milla Ravera a conquistarmi: “la donna libera dall’uomo, l’uomo e la donna liberi dal capitale”.Sono comunista e femminista perchè un’ amica femmini-sta e basta, americana, Mary Hellen, quando avevo 19 anni mi disse una cosa che avrebbe lavorato dentro di me a lungo, negli anni: “Non capisco come fai a mettere la tua appartenenza di classe prima del tuo essere donna”. Allora, ero “solo” comunista.Sono comunista e femminista perchè ad un certo punto ho dovuto chiedermi: ma perchè anche nel partito io cerco sem-pre di mettere insie-me le donne? Avevo vent’anni, e dirigevo la commissione scuo-la e cultura del Co-mitato cittadino della Federazione del PCI. Allora, pensavo di essere “solo” comu-nista.Sono comunista e femminista perchè le prime due cose che ho fatto da responsabile scuola e cultura del Comitato cit-tadino del PCI sono state una analisi quantitativa e quali-tativa dell’applicazione della legge 194 a Ferrara e una riunione congiunta della commissione scuola e cultura e della commissione femminile per fare proposte sulla scuo-la, dalla materna alle superiori, che tenessero conto delle studentesse e delle insegnanti. Allora non sapevo che non ero “solo” comunista, ora lo so.Sono comunista e femminista perchè quando il PCI è stato sciolto e “convertito” nel PDS, era il 1991, ho incontrato l’udi. Non l’UDI tradizionale (quella si era già sciolta nel 1981, dieci anni prima, trasformandosi in tutta un’altra cosa), ma l’udi (con tutte le lettere minuscole) in cui viag-giava il pensiero di genere e , soprattutto, il pensiero della differenza sessuale. Ero recalcitrante, ma quell’incontro è stato fondante del mio nuovo modo di essere: comunista e femminista.Sono comunista e femminista perchè l’Ansalda, a Ferrara, mi ha detto che quella che facevo nell’udi era politica. A me, all’inizio, non sembrava. Ancora pensavo che la po-litica “vera” fosse quella del partito. E basta.Sono comunista e femminista perchè Rosetta Stella, alla prima Assemblea nazionale autoconvocata dell’udi a cui ho partecipato (era forse la fine del 1991, forse l’inizio del 1992), ha preso e rivoltato l’intervento che feci in quella

sede, e mi ha fatto capire che le parole che pronunciavo avevano, letteralmente, un “altro” senso. “Quel” senso è entrato dentro di me e non mi ha più lasciata.Sono comunista e femminista perchè le “grandi donne co-muni” dell’UDI (l’espressione è di Rosetta Stella) mi han-no insegnato che se sei una donna, fedele alla tua classe ma anche a te stessa e al tuo sesso, non puoi essere che così: comunista e femminista. Loro, anzi (Luciana Viviani prima fra tutte) dicevano prima femminista. Femminista e comunista. Questo, ancora non fa parte della mia espe-rienza.Sono comunista e femminista perchè sono figlia di un bidello e di una bracciante comunisti, ho un bisnonno parti-giano e ho visto nella mia casa l’ingiustizia: quella del cap-itale che ci teneva poveri e ci voleva pure incolti; e quella

d e l l ’ o p p r e s s i o n e maschile, che pre-tendeva di tenere la donna almeno un gradino “sotto”. An-che se quella donna era la moglie, anche se quella donna era la figlia.Sono comunista e femminista perchè ho dovuto conquistarmi giorno per giorno il diritto di studiare e laurearmi. Per farlo, con i soldi della me-renda mi compravo i libri extra, quelli non

scolastici, a cui pensava, con grandissimi sacrifici, la mia famiglia.Sono comunista e femminista perchè oggi i miei figli, un maschio e una femmina, hanno ancora davanti gli stessi problemi: la pretesa dell’altro sesso di vederli (ancora, an-che se meno) calati in un ruolo “antico” e la pretesa del capitale di possedere, oltre alle ore e al frutto del loro lav-oro, anche le ore del loro tempo di vita. Sono comunista e femminista perchè i giovani e le giovani precarie di oggi vivono le stesse contraddizioni che vivevo io, aggravate dalla mancanza, oggi, della speranza di rom-pere le gabbie dell’appartenenza di classe e di salire sul cosiddetto “ascensore sociale”. Sono la prima generazione che non ha, come prospettiva, la speranza di vivere meg-lio della generazione precedente, quella delle madri e dei padri. Oggi so che quella speranza si coltiva rafforzando il loro orgoglio di lavoratori ma anche la loro soggettiva aspirazione alla libertà personale.Sono comunista e femminista perchè voglio cambiare questo mondo radicalmente. Voglio cambiare i rapporti sociali tra le classi e i rapporti sociali tra i sessi.Per questo, l’8 marzo è ancora una data significativa per me.Perchè io so, a partire dalla mia esperienza di vita, che un tempo la mimosa era un fiore rosso.

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donna comunistadi Ada Donno (Fed. PdCI Lecce)

Cari compagni vorrei farvi partecipi di alcuni convincimenti forti che ho fatto miei ormai da alcuni decenni e ai quali non potrei rinunciare. Sono una “donna di partito”, come si dice, e questo è il partito – la parte politica - che ho scel-to di condividere con i comunisti e le comuniste. Sono una donna comunista: non saprei essere altro. “Donna comunista” è un binomio i cui due termini vorrei che avessero uguale pienezza di senso, fossero simmetrici. Ma perché questo sia, occorre partire dal riconoscimen-to dell’asimmetria originaria – chia-miamola così per intenderci - tra maschile e femminile. Cioè dalla consapev-olezza che ad un certo punto della storia umana – non importa in questo momento stabilire quando e come - la metà maschile d e l l ’ u m a n i t à ha avocato a sé la responsabil-ità di dare sen-so al mondo. Lo ha fatto anche per conto del genere femminile, sostenendo la neutralità e universalità delle proprie costruzioni, in ogni campo: delle religioni, dei linguaggi, delle filosofie,delle letterature, della scienza, dell’economia, della politica. Ha preteso di dare senso alla stessa donna come persona! Lo svelamento dell’asimmetria originaria è un’elaborazione del pensiero femminista - quel “pensi-ero della differenza” che abbiamo guardato in passato con sospetto e diffidenza perché proveniva dalle intel-lettuali borghesi - che ha detto: la discriminazione del genere femminile non è solo un deficit di democrazia o un’ingiustizia sociale. Non stiamo parlando solo del fatto che le donne non sono numericamente rappresentate nel-la giusta proporzione. Stiamo parlando di un’originaria situazione di non riconoscimento dell’identità e sogget-tività delle donne che è diventato non riconoscimento di sé da parte delle stesse donne. Questa asimmetria spetta alle donne superarla. Un lavoro enorme. Al quale noi donne comuniste non possiamo non partecipare. Sulla “condizione della don-na” esiste un’ampia elaborazione marxista (da Bebel a Gramsci a Togliatti, per fermarci ai classici). Ma non è sufficiente. Esiste anche una vastissima elaborazione femminista

sulla differenza di genere con cui dobbiamo misurarci e che possiamo acquisire, e non respingerla pregiudiz-ialmente come una minaccia all’unità del partito e della classe. Ma tutto ciò va fatto con giudizio, tenendo conto che il pensiero femminista borghese ha il limite di es-sere, appunto, borghese. La “politica della vita” del pensiero borghese – per dirne una - si fonda sul prin-cipio della ricerca individuale del benessere (e quindi “anche” dello stare bene con gli altri). Noi comuniste crediamo invece in una politica della vita fondata sul principio della solidarietà e dell’uguaglianza. Dobbia-mo molto ragionare su differenza e uguaglianza, su cosa è giustizia sociale nelle relazioni di genere e su tante

altre cose ancora. Possiamo farlo nelle assemblee di donne comu-niste. Possiamo confrontarci con le altre donne non comuniste in al-tre assemblee. Io credo che là dove ci sono donne che riflettono e studia-no e lottano per la libertà femminile, là anche le comu-niste devono es-serci: ovunque ci sono donne cons-

apevoli che opera-no per riappropriarsi della propria storia non scritta e si nominano sforzandosi di firmare l’anonima creativ-ità espressa dalle donne-non-cittadine-della-storia nel corso dei millenni. Noi donne comuniste ci diamo come regola la pazienza e la volontà di nominarci tutte: so-prattutto quelle più deboli e più esposte alle violenze e gli sfruttamenti di questa società che violenta e sfrutta. Una liberazione a titolo personale non esiste. O ci si lib-era tutte, o nessuna è libera. Fortunatamente sono ormai numerosi anche i compagni uomini che per il millennio da poco iniziato guardano a questo processo di auto-nominazione con speranza, e ci considerano soggetto trainante di un percorso di ri-costruzione umana e sociale, perché desiderose e capaci di avere un progetto di futuro.Stare nel partito e al contempo in organizzazioni femminili di massa è un equilibrio difficile ma neces-sario. Si tratta di due piani di operatività coesistenti, in realtà autonome che si alimentano reciprocamente, sen-za strumentalismi. Resto profondamente convinta della bontà dell’indicazione (che poi è gramsciana e leninista) di stare dove stanno le masse.

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Ricordo che qualche decennio fa si parlava molto nella sinistra del disagio della doppia militanza. Molte hanno abbandonato i partiti di appartenenza, anche comuniste, stanche del pendolarismo defatigante. Io ho sempre pensato che bisognasse resistere. Non dico di aver vis-suto con troppo disagio la “doppia militanza”, ma con fatica sì. Certo c’è il disagio delle donne, perché le costruzioni dell’uomo (anche quello comunista) non corrispondono

spesso ai mutamenti che i processi storici hanno pro-dotto nella vita delle donne. Il riequilibrio numerico del-la rappresentanza è solo il primo passo indispensabile. Consente se non altro di allargare lo spazio di contrat-tazione della cultura politica.Contrattazione liberatoria per tutte, sia per le donne che s’affannano in sfide quotidiane e subiscono disincanti e delusioni, sia per quelle che si limitano all’assimilazione e riproduzione zelante della cultura politica segnata dal

patriarcato (di solito le più incoraggiate e premi-ate). Il conflitto di genere si può occultarlo, adducendo motivazioni raffinate (come la complementarità, amata dai cattolici; oppure che il conflitto di classe contiene quello di genere tout court, come sosten-gono tuttora molti comunisti). Altrimenti si può nominarlo, discuterlo, negoziarne le soluzioni; si può accettare l’idea che il patrimonio culturale politico dato – anche quello di noi comunisti - è segnato dal patriarcato, dal rapporto asimmetrico; che la parola di donna sul mondo libera le donne e libera anche la parte maschile dell’umanità. Il partito potrebbe essere il microcosmo della soci-età liberata che vogliamo costruire.C’è un enorme lavoro da fare, ed abbiamo appena iniziato.

“Donne: parità, giusti-zia e lavoro”Dal 4 al 15 marzo 2013 si tiene a New York nel Palazzo delle Na-zioni Unite la 57a sessione della Commissione sullo status delle donne (CSW).Fra i principali temi in discus-sione:l’eliminazione e la prevenzione di tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze, l’uguale distribuzione delle responsabil-ità tra uomini e donne, sfide e

conquiste nella realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo stabiliti dalle NU per il Millennio.Nel quadro delle iniziative collegate a CSW 57, la Federazione democrat-ica internazionale delle donne (Widf) organizza sabato prossimo 9 marzo 2013, il Seminario internazionale “Donne: parità, giustizia e lavoro”

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“Un grande amico, che è sempre stato al fianco delle lotte delle donne col suo affetto, il suo incoraggia-mento e il sostegno concreto”, recita il commosso co-municato emesso dalla Fdim, la Federazione demo-cratica internazionale delle donne, per dare la notizia della morte di Hugo Chavez. Nello stesso comunica-to, si ricorda con gratitudine che Chavez nel 2007creò “le condizioni perché la Fdim potesse tenere in Ven-ezuela il suo XIV congresso. Il primo in America Latina, forse il più grande nella storia della Fdim. Di sicuro, il più grande dopo vent’anni.Difficile dimen-ticare il colpo d’occhio offerto dalla grande sala Rios Reina del teatro Teresa Carreño di Cara-cas, dove si aprì quel congresso, traboccante di entusiasmo espresso in ogni lingua e di donne di ogni colore convenute da oltre novanta paesi del mondo. Le delegazioni più numerose erano quelle dei paesi latinoamericani, naturalmente. Sugli spalti più alti e in galleria, in uno scatenato frastuono di cori cadenzati e canti e sventolii di bandiere, stavano le delegate più giovani, le chicas de la Fdim, con le t-shirt rosse con su scritto in giallo lo slogan che era un programma per i prossimi cent’anni: “Construyendo el socialismo feminista popular del siglo XXI”.“Non è per un caso che il XIV congresso della Fdim si tenga nel Venezuela di Bolivar e di Manuelita Saenz”, dicevano orgogliose le delegate venezuelane, pur nel-la fatica del grande sforzo organizzativo che dovet-tero sostenere. A Manuela Saenz, la leggendaria Lib-ertadora del Libertador Simon Bolìvar, che guidò il processo indipendentista in Ecuador, Perù, Colombia e Bolivia, si richiamava nel nome il loro movimen-to, fra i più attivi e produttivi movimenti femministi dell’America Latina. Del resto, tutto il congresso recava impresso il segno della crescita impetuosa della mujer latinoamericana,

che stava vivendo la stagione del suo riscatto dai retaggi di cinque secoli di oppressione coloniale e pa-triarcale, nel contesto dei grandi cambiamenti che in-vestivano l’intero continente meridionale. Proprio là dove prosperava la cultura machista, una nuova cosci-enza di genere si affermava irresistibile fra le donne: creole, meticce, indigene e afrodiscendenti unite per l’uguaglianza di genere e contro il patriarcato, la vio-

lenza e l’impatto devastante della globalizzazione neoliberista sulle loro vite.Lo stesso presi-dente Chavez, venuto ad incon-trare le delegate nel teatro Car-reño, con la sua i m m a n c a b i l e camicia rosso-garibaldino, ne sembrò impres-sionato. Nel suo saluto, che era an-nunciato di pochi minuti ma diventò

di due ore, un po’ battendo i pugni sul tavolo e un po’ accarezzando con la voce noi ascoltatrici, toccò con abilità da grande comunicatore tutti i tasti che più sollecitano i sentimenti e la voglia di riscatto delle donne latino-americane. E in un delirio di applausi, confessò: “Anch’io prima ero machista, ma ora non lo sono più, semplicemente perché la rivoluzione bo-livariana non può esserlo”.Difficile, anche per le delegate più smaliziate, non lasciarsi trascinare dall’entusiamo.Chavez concluse il suo saluto invitandoci alla grande manifestazione convocata davanti al palazzo presi-denziale di Miraflores per il 13 aprile, el Dia de la Dignidad, quinto anniversario dell’insurrezione di popolo e di militari leali che cinque anni prima aveva sventato il golpe dell’oligarchia filoimperialista.“Todo 11 tiene su 13”, ogni undici ha il suo tredici, campeggiava sulla gigantesca tribuna rossa che era stata allestita per l’occasione.

Hasta siEmPrE, PrEsidEntE cHavEz!di ada donno

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L’allusione era all’11 aprile del 2002, quando Chavez era stato sequestrato dai golpisti e condotto nell’isola La Orchila, mentre elicotteri della marina statunitense sorvolavano l’isola e un sottomarino stazionava da-vanti al porto di La Guaira in attesa degli eventi. Il piano golpista, orchestrato con l’appoggio del mag-nate della televisione Cisneros (amico personale dell’ex presidente Bush padre) prevedeva di eliminare Chavez, mentre i militari massacravano il popolo in-sorto a Ponte Llaguno. Ma in meno di quarantott’ore – il giorno 13 aprile, appunto - il “bravo pueblo” lo aveva liberato, salvando la costituzione e la rivoluzi-one bolivariana. Ho ancora negli occhi il fiume impressionante di ber-retti e camicie rosse, bandiere, striscioni colorati che si riversò fin dalle prime ore del pomeriggio lungo la grande avenida Urdaneta, riempì tutte le quadras intorno a Miraflores, occupò gran parte dell’avenida Sucre affluendo da tutte le vie laterali. Un milione, forse più, venuti dai barrios e da ogni parte del paese a testimoniare il loro sostegno al Presidente, un unico boato che faceva tremare l’aria: :“Chavez, amigo, el pueblo està contigo”. E dalla tribuna Chavez rispose: quattro ore di dia-logo-monologo pirotecnico, ogni passaggio sottolin-eato da boati di approvazione. Citando Bolivar e Che Guevara, batté il ferro dei molti milioni di bolìvares rientrati nelle tasche dei venezuelani grazie alla na-zionalizzazione del petrolio, sottratti alle multinazi-onali nordamericane. Esaltò l’amicizia con Cuba e

con Fidel Castro, il grande aiuto ricevuto per la real-izzazione del piano sanitario, che aveva dato al paese in pochi anni più di mille nuovi medici laureati. Fece il calcolo, penna alla mano, dei vantaggi che avrebbe portato il progetto di Uniòn Energetica fra dodici pae-si dell’America latina, i cui capi di governo si sareb-bero riuniti di lì a qualche giorno nell’isola Margarita in una cumbre senza precedenti. Un progetto di nuova e definitiva indipendenza dei popoli del Sud America: “la vena attraverso cui fluirà il sangue per lo sviluppo di tutti gli altri settori dell’economia”.Nel caldo afoso del pomeriggio caraqueño, il serviz-io d’ordine distribuiva a migliaia bottiglie d’acqua e succhi di frutta, agli angoli delle quadras le autoam-bulanze tenevano il motore acceso pronte per ogni evenienza. Lo spazio ai piedi della tribuna era riservato ai cadetti della Scuola militare: a loro Chavez si rivolse, a con-clusione del suo discorso, chiedendo di “cavalcare gli orizzonti e approfondire la rivoluzione bolivariana, costi quel che costi”. E di respingere, insieme al bravo pueblo del Venezuela, la cospirazione dell’oligarchia fascista e dell’imperialismo sempre in agguato. Perché Venezuela ahora es de todos. Hasta siempre, presidente Chavez!

coordinatrici della redazione:milEna FiorE ([email protected]),

lidia manGani ([email protected])

numero curato da milEna FiorEProgettazione grafica di milEna FiorE

Hanno dato il loro contributo: maria carla baroni, ada donno, marica Guazzora, alEx HöbEl, Gloria malasPina, dElFina tromboni

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Page 18: Donne in rosso

Grazie, presidente chavez!

Con profondo rammarico ho ricevuto la notizia della scomparsa del Presidente Chavez. Un grande amico, che è stato sempre al fianco delle lotte delle donne, col suo affetto, incoraggiamento e sosteg-no. Egli è entrato nella storia come eroe del suo popolo, della sua nazione, dell’America intera e dell’Umanità. Chavez ci ha indicato un cammino di speranza e perseveranza in favore della piena emancipazione dei popoli e delle nazioni, instancabile nella lotta contro le aggressioni e le occupazioni imperialiste.Diciamo grazie la presidente Chavez per aver creato le condizioni perché la Widf potesse tenere in Venezuela nel 2007 il suo XIV congresso, il più grande nella nostra storia.In questo momento esprimiamo le nostre condoglianze al popolo venezuelano e ai familiari del presi-dente Chavez. Il suo esempio di quotidiana dedizione verso il suo popolo proseguirà nelle strade e

nelle piazze del Venezuela con le bandiere sempre strette nel pugno di questo combattivo, orgoglioso e coraggioso popolo che con Chavez ha realizzato lo sviluppo e la fine della miseria nel proprio paese.Grazie, presidente Chavez!

Marcia CamposPresidente della WidfSan Paolo del Brasile 6 marzo 2013

cHE viva E avanzi il vEnEzuEla dElla PacE

Noi, attivisti per la pace, rice-viamo, con sgomento, la notizia della morte del comandante Hugo Chávez Frias. Durante il suo governo, il Venezuela è diventato un baluardo in difesa della pace mondiale e della giustizia sociale.

Coraggioso e altruista, Chávez lascia ai popoli del mondo il suo esempio fonte di ispirazione per il popolo venezuelano e la grande missione di continuare la Rivoluzione Bolivariana.

Il ricordo del comandante incoraggia tutti i latino-americani a continuare a lottare per l’integrazione e la vera indipendenza.

A nome di Cebrapaz, trasmetto al popolo venezuelano la nostra solidarietà militante in questo momento di dolore. Il Cebrapaz abbassa le sue bandiera in omaggio di questo grande combattente della più nobile causa dell’umanità.

Socorro Gomes, presidente del Centro Brasiliano di Solidarietà con i Popoli e lotta per la pace (Cebra-paz)

Mosca, 6 marzo 2013 (dalla Conferenza sui paesi BRIC e la lotta per la pace)