donne in rosso

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numero speciale elezioni 2013

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Page 1: Donne in rosso
Page 2: Donne in rosso

INTERNAZIONALE

Il compagno Choukri Belaid assassinato aTunisi di Maurizio Musolino

L’attacco del governo greco contro i sindacalisti del PAMEdella Federazione delle donne greche (OGE)

«C’è chi dice che non dovrei espormi politicamente, ma la questione pal-estinese è anche una questione politica, e se tra i miei strumenti ho il voto, intendo utilizzarlo, come diritto di ogni cittadino. So che questo potrà generare antipatie ma chi mi conosce sa che non posso

non essere me stessa.Ebbene, appoggio il programma di Rivoluzione Civile, che tra i vari punti riguardanti il lavoro, i diritti sociali, la lotta alla ma-fia, nel punto 9, include i diritti umani e la Palestina, chiede il “riconoscimento dello Stato Palestinese secondo quanto pre-visto dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Na-zioni Unite”. Punto critico per me rimane la soluzione dei due Stati. Ma il fatto che la Palestina sia inclusa all’interno di un programma politico, lo considero un primo passo nec-essario. E lotterò sempre contro chi appoggia l’acquisto di caccia che hanno disseminato morte davanti ai miei

occhi. Per questi motivi, il voto è importante.»

Fermiamo il femminicidiodi Antonio Ingroia

Contrastiamo ogni forma di sessismo e siamo per la democrazia di generedi Marica Guazzora (candidata alla Camera per Rivoluzione Civile, Piemonte 1)

L’Italia non è un paese per donnedi Lidia Mangani (candidata alla Camera per Rivoluzione civile, Marche)

“Donne sotto padrone” Suggestioni dall’articolo di Delfina Tromboni

di Gloria Malaspina (candidata alla Camera per Rivoluzione civile, Lazio1)

Che fare in Lombardia? di Maria Carla Baroni (candidata alla Camera, Lombardia 1)

I rapporti sociali fra i sessi hanno bisogno di una rivoluzione civileElementi di riflessione a partire dal dibattito dell’A.Do.C.

di Milena Fiore (PdCI Bari)

Come vivono questo periodo le donne impegnate in politica?

di Pietrina Chessa (PdCI Sardegna)

ALCUNI PROFILI DI NOSTRE CANDIDATEAntonella Guarnieri, candidata alla Camera, Emilia RomagnaGhita Marzano, candidata al Senato, PugliaDomenica Milanesio detta Mechi, candidata al Senato, PiemonteCarla Nespolo, candidata al Senato, PiemonteTeresa Pezzi, candidata al Senato, Abruzzo

Lucia Rizzini, candidata al Senato, Piemontev

Anna Zullo, candidata alla Camera, Piemonte

LE INTERVISTE DI CAPITAIN FRACASSENunzia Augeri, candidata al Senato, LombardiaManuela Palermi, candidata alla Camera, Puglia

Bianca Bracci Torsi, candidata al Senato nel Lazio e in Puglia

NOI aderiamo alla Convenzione No more e al One Billion Rising

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in questo numero

Dedichiamo la copertina di questo numero a Rosa Schiano, fotoreporter e attivista dell’International Solidarity Movement, unica italiana presente a Gaza durante l’operazione “Pillar of Cloud” condotta a novembre scorso dall’esercito israeliano e che è ancora a Gaza per documentare la vita dei palestinesi e l’aggressione israeliana. Ecco la sua dichiarazione di voto in vista delle prossime elezioni:

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FERMIAMO IL FEMMINICIDIONoi vogliamo fermare la mano di uomini indegni di essere definiti tali. Noi vogliamo mettere un argine a quella che è una piaga sociale vergognosa per un Paese democratico: il femminicidio. Saremo, per questo, nelle piazze e nelle strade d’Italia, il 14 febbraio, insieme al miliardo di persone che, in tutto il mondo, ballerà per dire basta alla violenza sulle donne. Ma non aspettiamo il 14 e da oggi mobili-tiamo tutti i nostri candidati, in quella che chiamiamo la settimana contro il femminicidio, per denunciare una vergogna che colpisce una donna su tre, per affermare il diritto alla vita e alla dignità delle donne.Assicuriamo, inoltre, il nostro sostegno alla Convenzione “No More!” contro la violenza maschile sulle donne e sfidiamo la politi-ca a passare subito dalle parole ai fatti: il prossimo Parlamento deve ratificare al più presto la Convenzione di Istanbul. Noi, come già detto rispondendo alla lettera aperta di Luisa Betti, presenteremo una proposta di legge contro il femminicidio. Serve una rivoluzione a tutela delle donne e noi saremo i primi rivoluzionari.

Antonio Ingroia

C’è un punto del nostro programma che dice “contrastiamo ogni forma di sessismo e siamo per la democrazia di genere”.Prendendo a riferimento solo l’ultimo anno, in Italia, ci sono state 118 donne uccise nel 2012 – 6 nel 2013, forse in questo momento sono già di più, una triste media di 3 alla settimana!Si leggono in questi giorni le interviste di donne candidate capolista che parlano di programmi con lo stesso linguaggio dell’uomo e che agiscono come un uomo, quindi che differenza c’è tra candidare un uomo o una donna se poi queste donne non si occupano anche di democrazia di genere? 20 anni di incultura berlusconiana, esempi di donne senza dignità, senza diritti, ma merce da comperare e da possedere, hanno lasciato il segno nell’immaginario maschile di un certo tipo, è anche per questi motivi (ma ovviamente non solo per questi) che sempre di più la donna viene considerata un oggetto di proprietà e quando ti lascia, non accetti il rifiuto ma la massacri, la uccidi e uccidi anche i suoi figli e, per piacere,

voi giornalisti non chiamateli più delitti passionali. Come fermare il femminicidio in Italia? La convenzione nazionale No More contro la violenza degli uomini promossa da alcune associazioni come l’Udi, Unione donne italiane, la Casa internazionale delle donne e tante altre, nel novembre del 2012, chiede al governo azioni politiche e istituzionali per prevenire e scoraggiare il fenomeno, azioni che non sono di inasprimento delle pene ma di aiuto alla donna. I presidi sanitari pubblici più avanzati ad oggi rimangono i consultori, ma sono continuamente esposti al rischio di chiusura per il taglio dei finanziamenti pubblici. Credo che tra i compiti di una Rivoluzione Civile ci sia anche questo. Che non sia più rinviabile. E ci dobbiamo impegnare a farlo. Come, lo decideremo anche insieme a queste associazioni, abbiamo tante donne candidate nelle liste di Rivoluzione Civile che da sempre sono impegnate su questo fronte e sapremo portare il nostro contributo che fa la differenza.

Contrastiamo ogni forma di sessismo e siamo per la democrazia di generedi Marica Guazzora (candidata Rivoluzione Civile Camera Piemonte 1)

Marica Guazzora si iscrive al Pci a 17 anni dove milita fino allo scioglimento di quel partito. Contribuisce alla nascita del Partito della Rifondazione Comunista dove entra a far parte della Direzione politica di Torino. Nel 1998 aderisce al PdCI dove, da qualche anno è Segretaria della Sezione Dolores Ibarruri e in Segreteria provinciale come Re-sponsabile diritti e politiche di genere e dall’ultimo congresso, anche in Segreteria regionale con il medesimo incarico. Passione politicaTratto dal libro “ Non mi arrendo, non mi arrendo” Un teatro di donne, memorie e diritti(A cura di Roberta Gandolfi e Carlotta Pedrazzoli) Mio padre, partigiano della Brigata Garibaldi, è sempre stato comunista e mi ha trasmesso la sua passione politica. Avrei voluto laurearmi in lettere e invece ho fatto ragioneria, ma sono contenta così perché non ho fatto la disoccupata neppure per un giorno. In quegli anni bastava mettere un annuncio sul giornale e ti rispondevano in venti e se cambiavi lavoro, di solito, non era perché ti licenziavano ma per migliorare la tua qualità della vita. Il mio primo impiego è stato in un autosoccorso, quindi ho fatto la contabi-le in una ditta di impianti idraulici e di riscaldamento. Poi mi sono trasferita a Roma e al ritorno ho lavorato per un commercialista: scioperavo da sola e il padrone, che si dichiarava di sinistra e mi dava del tu, era furibon-do e mi diceva di non scioperare che

tanto eravamo dalla stessa parte… Ho avuto un figlio e due mesi dopo il parto ero in ufficio. Ho cambiato posto di lavoro, contabile in una ditta di materiali infiammabili e anche qui ero sempre l’unica a scioperare; quando facevamo la pausa caffè in uno stanzino con le mie colleghe ne approfittavo per guardare almeno i titoli del mio giornale “l’Unità”. I padroni, che erano liberali, per sfottermi mi mettevano sulla scriva-nia tutta la propaganda elettorale di destra che arrivava in ditta. Ma volevo fare qualcosa che mi piacesse davvero anche se questo significava prendere uno stipendio inferiore , così ho chiesto al Pci di lavorare nel Partito e sono stata fortunata: impiegata nella Zona Centro, poi funzionaria responsabile della Zona Lucento-Vallette, poi in Federazione. Dopo ho cambiato lavoro per l’ultima volta e mi sono impiegata in una cooperativa; ci sono rimasta fino alla pensione, continuando, come sempre a scioperare da sola. Trentasette anni di lavoro continuato…

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Il 13 febbraio di due anni fa nelle piazze di tutta Italia abbiamo denunciato che “l’Italia non è un paese per donne”, offese nella dignità, oggetto di violenza, discriminate nel lavoro, penalizzate dai tagli alla scuola pubblica e ai servizi, ignorate dalla politica. Dopo due anni abbiamo l’obbligo di un bilancio. Per le donne le cose non sono cambiate, anzi sono peggiorate. E non solo perché c’erano poche donne nel parlamento e nel governo. E’ la politica che non è cambiata, sorda ad ogni istanza di cambiamento e partecipazione che proveniva dalla società. Berlusconi ha lasciato la presidenza del Consiglio, al suo posto abbiamo avuto Monti e il suo governo di “tecnici”, sostenuto da un ampio schieramento par-lamentare (PD, UDC,PDL). Hanno deciso sulle nostre vite e sul futuro del Paese con le stesse logiche patriarca-li e liberiste. E’ per questo che le ragioni delle lotte, con i comunisti, la sinistra e i movimenti, debbono entrare in forze nel prossimo parlamento, proprio per dare voce e maggior forza alle istanze di cambiamento che sono cresciute nella società.La condizione delle donne è peg-giorata, dobbiamo avere l’onestà di dirlo, proprio noi che siamo state fra le più attive nel movimento delle donne. Dobbiamo concentrarci sulla reale condizione delle donne in Italia e lavorare per ottenere risultati. Ci stanno scippando la 194, lenta-mente e inesorabilmente: tagliano i Consultori, l’interruzione di gravi-danza nelle strutture pubbliche in molti territori è impossibile per il ricorso generalizzato di medici e paramedici all’obiezione di coscienza; le regioni non intervengono per far rispettare la legge.I servizi socio-sanitari pubblici vengono tagliati, un terzo in meno del person-ale per rispettare i vincoli imposti dal governo e dall’Europa dei banchieri; con le donne penalizzate due volte: servizi educativi e socio-sanitari sempre più ridotti e con costi impossibili per le famiglie, meno occupazione in settori dove la gran parte degli occupati sono donne.Hanno aumentato l’età lavorativa delle donne di almeno 6 anni. Ripeto: 6 anni. Senza nessuna opposizione. Con la beffa che nemmeno un euro del cosiddetto “tesoretto”, cioè il risparmio realizzato con la manovra sulle pensioni, è desti-nato all’aumento dei rendimenti e al potenziamento delle tutele e dei servizi.Le donne conseguono i migliori risultati negli studi. Sarà un caso che quasi tutte le forze politiche, compreso il Movimento 5 stelle di Grillo, come unica riforma della scuola propongono l’abolizione del valore legale del titolo di

studio? Mentre restano le riforme Gelmini e i tagli effettuati negli ultimi tre anni (140000 posti di lavoro in meno solo nella scuola, posti di lavoro che in gran parte sarebbero stati occupati da donne). La riforma del mercato del lavoro, con lo smantellamento dell’art. 18 e la riduzione della cassa integrazione, ha penalizzato tutti i lavoratori e in partico-lare le donne, le più esposte ai licenziamenti e alla precarietà. Nel Paese dove imperversa la retorica sulla famiglia, le donne sono penalizzate dai contratti integrativi perché la maternità è considerata assenteismo. In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa per mano del proprio compagno, è la prima causa di morte per le donne dai 16 ai 44 anni; una donna su quattro, nel corso della sua vita ha subito/subisce uno stupro. Eppure in questo Paese

non si fa una politica seria per pre-venire la violenza contro le donne, né sul piano culturale né su quello economico e sociale. Non si com-batte la subalternità delle donne nella vita privata, in un contesto economico e sociale che penal-izza le donne, che le esclude dal lavoro e dalla vita pubblica. Ed è inaccettabile e ipocrita aderire alla Covenzione NO MORE contro i femminicidi e poi votare in par-lamento una legge di stabilità che taglia le risorse economiche alle politiche sociali, ai consultori e ai centri antiviolenza!

Ecco: vorrei che finalmente in questa campagna elettorale si dis-cutesse di contenuti, che si pren-dessero sul serio i drammi sociali

del Paese, valutando i fatti, perché non è di parole e di promesse che si nutre la democrazia, ma di coerenza fra parole e azioni. Ciascuno e ciascuna così potrà valutare, con scienza e coscienza, qual è il “voto utile” , per cambiare davvero le cose in Italia, per ottenere risultati concreti per la vita delle donne e per la vita di tutti. Io ho fatto la mia scelta, sostenere “Rivoluzione Civile” mettendo anche a disposizione la mia candidatura per la Camera dei deputati.RIVOLUZIONE CIVILE promossa e guidata da Antonio Ingroia, ha ridato la speranza di poter uscire dall’alternativa comunque perdente tra il governo dei corrotti e quello dei banchieri, e di avere una politica capace di promuovere la giustizia sociale, la democrazia nel lavoro e l’autodeterminazione delle donne. Coltiviamo e facciamo crescere questa speranza, perché diventi finalmente REALTA’.

L’ITALIA NON È UN PAESE PER DONNEdi Lidia Mangani (candidata alla Camera per Rivoluzione civile, Marche)

LIDIA MANGANIDirigente scolastica, sposata, due figlie, vivo e lavoro in Ancona. Di famiglia operaia e antifascista sono originaria di Peglio (PU) e ho vissuto e studiato ad Urbino. La passione politica mi è nata sui banchi di scuola nelle lotte per il diritto universale allo studio. Sono stata iscritta al PCI, di cui non ho condiviso lo scioglimento, all’origine di molte gravi sconfitte del movimento operaio e democratico in questi anni. Mi sono impegnata sul fronte della difesa della scuola pubblica come luogo di accoglienza, formazione alla cittadinanza e democrazia; ho partecipato sempre attivamente al movimento delle donne.

CRISI ECONOMICA MONDIALE

L’immensa piovra del capital-ismo

che tutto ha avvoltostrisciando vischiosa

intorno al pianeta morentecon la crisi economica mondialestravolge esseri umani a milioniprivati di lavoro casa ruolo socialelasciati talora a morire di freddo

rifiuti su scuri marciapiedi.

E’ più che mai venuto il tempod’alzar l’ali del comunismo

per esseri umani uguali e solidaliper una vita che non sia più merce.

( Maria Carla Baroni, da Mangrovia )

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Partecipai come relatrice alcuni anni fa (2007), quando ero assessore alle politiche at-tive del lavoro della Provincia di Roma, ad un’iniziativa organizzata dalla Sinistra eu-ropea e dalla sinistra della Catalogna – e ospitata a Barcellona – sul tema “precarietà e salute”. Si trattava di giornate di studio avviate anche in funzione dell’attività europea sul libro verde sulla flexicurity, dalla quale sarebbero di lì a poco state emanate le fa-mose “raccomandazioni” in merito. Illustro una vignetta proposta da Lucìa Artazcoz, ricercatrice dell’Agenzia di Sanità pubblica di Barcellona: -scrivania e uomo (diri-gente? Padrone? Selezionatore?) che domanda: “Professione?” -donna scarmigliata e con borsa a tracolla che risponde: “pulitrice, cuoca, dama di compagnia, riordinatrice, stiratrice, baby sitter, maestra, telefonista, addetta all’accoglienza, autista, psichia-tra, infermiera, puericultrice, economista, matematica, intendente, gheisa sensuale e amante”. Interlocuzione dalla scrivania: “tutto questo non c’entra”. Risposta: “allora metta ‘casalinga’, fa lo stesso”.La presentazione di Lucìa riguardava le disuguaglianze sociali nell’impatto del lavoro flessibile sulle diverse componenti della salute psicosociale, introducendo il tema del lavoro in un contesto strutturale come elemento determinante delle disuguaglianze sociali nella salute. E mettiamolo un attimo da parte.Riprendendo l’articolo di Delfina Tromboni sul n.2 di questa stessa rivista, mi sono imbattuta in un’affermazione che a mio avviso è centrale, nella riflessione a tutto campo su “donne sotto padrone” (della quale accetto e condivido la declinazione che in quell’articolo viene proposta): il welfare che conosciamo è in esaurimento, come i rapporti di produzione che era stato destinato a sostenere, e viene sussunto quasi esclusivamente nelle forme di sostegno al reddito da espulsione lavorativa (i disoc-cupati e le disoccupate sì, gli inoccupati e le inoccupate no) e nell’assetto previden-ziale. Il welfare, cioè, perde la sua connotazione di “ordinatore sociale”, produttivo di relazioni pubbliche e private, di qualità sociale condivisa, di fiscalità progressiva consapevolmente finalizzata, di fattore di promozione generazionale e di genere di un modello sociale fondato sulla capacità critica e sulla responsabilità e produttivo – per questa via – anche di reddito, che contribuisce a redistribuire.Se adesso proviamo a mettere insieme la vignetta con questa idea di welfare come “ordinatore sociale”, ne ricaviamo due immagini: quella della centralità del lavoro e quella della coesione sociale. In entrambe, eliminando il fattore “produttività” inteso in termini economicisti, emerge la figura delle “donne sotto padrone”.Per anni la Sinistra, non avendo niente di meglio da fare, si è lacerata sull’opzione “lavoro” o “lavori”?, oscurando in questo modo una verità che spero ora sia chiara e cioè che i cambiamenti tecnologici e del peso relativo dei settori produttivi (primario, manifatturiero e terziario) hanno cambiato i rapporti interni tra padroni e padroni e tra lavoro e lavoro, tra lavoratore o lavoratrice e lavoratore e lavoratrice, ma hanno mantenuto intatto l’elemento “sfruttamento” della forza lavoro. Che essa sia salariata, a partita Iva o soggetta ad una delle 46 forme di rapporto di lavoro Sacconi-Fornero, cioè, la proporzione del lavoro dipendente remunerato da un altro soggetto (che ri-sponda ad un assetto societario o ad una stazione appaltante, ad imprenditore pubblico o a soggetto del terzo settore) non cambia la sostanza della questione e la preponderan-za schiacciante del lavoro subordinato, anche ove mascherato da autonomo. E mentre si discuteva di lavori o lavoro, avanzavano lo smantellamento del welfare così come era inteso, con la scusa dei costi improduttivi perché in nessun conto viene tenuta la produttività sociale (a partire dal valore sociale della maternità, del bambino e della bambina) e la sua surrettizia privatizzazione.Ricerche recenti, degli ultimi dieci anni almeno, indicano chiaramente che il lavoro precario è qualcosa di più di una situazione occupazionale temporanea o occasionale.

“Il lavoro precario è una combinazione cumulativa di contratti di lavoro atipici, ben-efici sociali limitati, scarsi diritti dati dalla legge, insicurezza lavorativa, bassa remu-nerazione” (Lewchuk, de Wolff and King, 2003).Tornando alla vignetta di Lucìa, potremmo dire che il lavoro di cura non salariato è lo stesso, ma da sempre.A guardare il lavoro delle donne, oggi, si potrebbe dedurne – per sommi capi e senza specifici “distinguo” - che si estendono la condizione di precarietà e di sottoutilizzo delle competenze femminili e contemporaneamente si estende il peso del lavoro di cura legato alla famiglia, sia nella forma del lavoro a domicilio, sia di quello domes-tico. Ma mentre il primo si presta, per sua natura, a produrre reazioni almeno un po’ solidaristiche e di lotta, il secondo no, per due ragioni: la prima, sta nel fatto che in tempo di crisi la supplenza all’interno della famiglia di una serie di attività di cura e assistenza appare scontata, nell’ottica del risparmio; la seconda è quella tradizionale, la scusa della “naturale propensione delle donne a prendersi cura” del mondo. In questa ottica, ha ragione Delfina quando sostiene che, oggi, il welfare viene tra-dotto solo in termini di “welfare lavoristico”, sganciato, cioè, dalla portata di civiltà, progresso, rispetto delle opportunità di tutti e di tutte e legato solo alle quantità eco-nomiche prefissate dalla disponibilità di spesa pubblica, ossia legato all’assistenza del malato grave, che è il lavoro. Se pure c’è una chiara ragion d’essere di questa lettura, e che quindi la perdita di reddito da lavoro va sostenuta economicamente, è evidente che essa risulta – se unica – la strada maestra per negare i diritti della persona, costituzion-ali, affidandoli alla capacità di spesa familiare per provvedere alle forme di autonomia assistenziale: salute, istruzione, abitare, disabilità, nutrizione, servizi pubblici...tutte voci ascritte alla compatibilità e quindi rinviate alla possibilità di utilizzarli attraverso le forme private, assicurative, dell’assistenza, di accesso al credito. Del resto che cosa significa, se non questo, l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione? Che cosa significa una revisione dell’Isee che si “inventa” una nuova scala di equivalenza tesa a favorire alcune tipologie familiari, anziché quantificare meglio le risorse neces-sarie a tutte le famiglie – di qualsiasi numerosità – per godere dello stesso benessere?In sostanza, spersonalizzare la funzione del welfare e stanziare risorse – limitate – all’assistenza in emergenza significa in primissimo luogo ricondurre anche nel mondo delle idee e del pensiero le donne “sotto padrone”, che sia esso il capitalista o l’entità familiare. Con quel che ne consegue in termini di arretramento simbolico e concreto delle pari opportunità (livello minimo di civiltà nelle relazioni sociali) e di ritorno allo sfruttamento di genere, quali che siano le forme che assume, gentili o violente: sfruttamento a tutto campo della forza lavoro femminile, della sua energia, della sua creatività.Anche il cosiddetto “welfare contrattuale”, che si va rafforzando nella crisi, con-tribuisce a questa deriva, perché si tratta di una forma – comprensibilmente bene ac-colta – di salario indiretto, ma ristretto a platee di lavoratori e lavoratrici contrat-tualizzate, perdendo totalmente qualsiasi carattere universalistico e di equità, persino geograficamente, che si avvale di soggetti assicuratori e favorisce il doppio binario, a partire dalla spesa sanitaria, tra pubblico e privato: gli accertamenti, meno onerosi, al privato e le cure, più onerose, al pubblico.Analizzare gli epifenomeni che legano lo sfruttamento a tutto campo delle donne ad un welfare residuale, dunque, consente di entrare in termini non superficiali, ma costi-tutivi, nelle scelte che i governi adottano nell’economia per condizionare lo sviluppo della società, ieri come oggi.Le donne, e le forme del loro sfruttamento, ancora una volta, si rivelano un prezioso indicatore del progresso o del regresso sociale.

Suggestioni dall’articolo di Delfina Trombonidi Gloria Malaspina (candidata alla Camera dei Deputati circoscrizione Lazio1)

Mi chiamo Gloria Malaspina e sono candidata nella lista di Rivoluzione Civile per la Camera dei Deputati Lazio1. Sono sposata da trent’anni, ho due figli e quattro cani. Presto avrò anche una nipote.Impegnarsi nella politica vuol dire assumersi delle responsabilità senza promettere miracoli e dare voce alla partecipazione alle scelte che vengono fatte, ma anche dare la possibilità ai cittadini, donne e uomini, di essere informati per orientarsi sulle ragioni delle battaglie politiche e istituzionali.Il mio personale impegno è stato per moltissimi anni in difesa della salute e dell’integrità fisica delle lavoratrici e dei lavoratori contro i rischi e i danni da lavoro, prima nell’omonimo centro studi nazionale della Federazione Cgil Cisl Uil (CRD), poi in Cgil nazionale, per la quale ho seguito con incarico europeo il lavoro di preparazione e formulazione delle principali direttive per la salute dei lavoratori: la legge italiana contro l’estrazione, lavorazione ed utilizzo dell’amianto è stata coordinata da me, dopo anni di lavoro insieme a tecnici della salute del Sistema pubblico e Categorie sindacali, con i quali ne sono state tracciate le linee principali. Venivo, precedentemente, dopo l’Università (corso di laurea in Chimica) da impegni presso la categoria della Ricerca e successivamente – per indicazione di Rinaldo Scheda, allora Segretario organizzativo della Cgil – dall’incarico come segretaria della Filcams presso la Camera del Lavoro di Latina. In Cgil nazionale ho poi seguito l’Artigianato e la Pmi nell’omonimo dipartimento e, a seguire, nel Di-partimento Industria le Aree di Crisi industriale – presto dichiarate, in molti casi, Aree di crisi ambientale – quando era operativo il Tavolo per le Crisi coordinato da Gianfranco Borghini. Su richiesta della Confederazione, in qualità di coordinatrice del Dipartimento, mi sono occupata per diversi anni della Sanità pubblica ed ho seguito, in quella veste, la definizione della Legge di Riforma sanitaria del Ssn, del rapporto tra Università e Sanità e della Sanità penitenziaria promosse da Rosy Bindi e quella sull’Assistenza di Livia Turco, continuando l’impegno sulla prevenzione dei rischi da lavoro e occupandomi anche molto del tema della Procreazione medicalmente assistita. Entrata nel Collegio di Presidenza del Patronato nazionale della Cgil, l’Inca, ho continuato ad occuparmi di questi ambiti sul fronte della tutela individuale. Nel 2003, su richiesta del mio Partito, il Pdci, sono stata per cinque anni assessore alle Politiche attive del Lavoro in Provincia di Roma, nella Giunta del Presidente Enrico Gasbarra, dimettendomi dal Comitato direttivo della Cgil nazionale e, ovviamente, con la sospensione dello stipendio. In questa funzione ho interpretato le norme sul lavoro perché le persone aves-sero più opportunità di trovare occupazione, ho riorganizzato il sistema dei Centri per l’Impiego (24, in Provincia di Roma) a partire dall’accoglienza, ho contribuito a stabilizzare molti precari, ho sostenuto in molti modi il diritto al lavoro delle persone con disabilità fisica e psichica, ho collaborato con il Comune di Roma e la Regione Lazio perché fosse più facile riuscire a mettere in piedi un’attività propria per i giovani, donne e uomini, ho contribuito alle linee per l’utilizzo del Fse, ho avviato la costituzione dei primi centri per l’impiego presso le Università romane per il lavoro di giovani laureati e laureate, ho costruito e dato seguito ad un progetto per l’occupazione femminile.Finita la Giunta Gasbarra, con le elezioni del 2008, ho verificato se fosse possibile rientrare a lavorare all’Inca nazionale e con personalissima com-mozione sono stata accolta a braccia aperte. Ad oggi, continuo il mio impegno all’Inca, come responsabile della Contrattazione sociale territoriale e un impegno indiretto nell’Area della Formazione, molto importante per il Patronato.Per il mio Partito, il Pdci, do il mio contributo a diversi livelli di militanza, territoriale innanzitutto, con un particolare impegno attualmente per le politiche di genere, e sono componente del Comitato regionale del Lazio e della Direzione nazionale.Per me “fare politica” è tutto questo, con la consapevolezza che i cambiamenti si costruiscono, non si “promettono”, neanche quando i programmi che declinano quei titoli sono chiari. Per questo penso che dare sostanza al programma di Rivoluzione Civile significhi riaprire una stagione contro la politica “urlata”, per il cambiamento che comincia dalla partecipazione democratica alle scelte collettive, che riguardano le nostre vite di donne e di uomini, ma con esse la vita del nostro Paese, la sua democrazia, la sua possibilità di avere un futuro.

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Che fare in Lombardia? di Maria Carla Baroni (candidata alla Camera, Lombardia 1)

Per la prima volta, in Lombardia, dopo 17 anni di governo del venefico mis-cuglio Comunione e Liberazione, compari di Berlusconi e Lega Nord, c’è la possibilità concreta che vinca il centrosinistra .Ottenere un governo di centrosinistra è importantissimo soprattutto per due ragioni: la prima è che la Lombardia, oltre a essere la regione italiana più estesa e popolosa e la maggiore produttrice di PIL, è stata per molti anni il laboratorio politico della destra, da cui questa ha poi esportato a livello nazionale la privatiz-zazione di fatto della sanità pubblica, elementi di privatizzazione della scuola e dei servizi sociali e la distruzione della pianificazione urbanistica e territoriale. La seconda ragione è che la Lombardia, proprio per la sua eccezionale concen-trazione di attività produttive (industrie – soprattutto chimiche-, grande dis-tribuzione commerciale, agricoltura e allevamenti di bestiame intensivi) e, con-seguentemente, di impianti cosiddetti “di servizio” (centrali termoelettriche, inceneritori dei rifiuti) e di autostrade (la regione europea con la alta presenza di autostrade rispetto alla sua superficie), è emblematica del modello di crescita capitalistico con tutte le sue storture: caratterizzano infatti la Lombardia la più elevata occupazione di suolo in Italia; la più alta produzione di rifiuti e il più alto consumo di energia per abitante; la presenza di uno dei bacini idrici più inqui-nati dell’intero Paese (Lambro/Seveso/Olona) e di 7 tra i siti italiani più grave-mente inquinati (suolo e falda); alla pari con il Piemonte, la maggior diffusione dell’amianto; l’inquinamento dell’aria – nelle aree di pianura – tra i più elevati dell’intero pianeta, e la maggiore incidenza di tumori, di infortuni sul lavoro e di incidenti stradali. A tutto ciò si sono inoltre aggiunte, negli anni più recenti, e a differenza che nel passato, chiusure e delocalizzazioni di imprese e centri di ricerca, disoccupazione e l’impennata della cassa integrazione.Nell’ ex locomotiva dell’economia italiana diventa dunque indispensabile av-viare un modello di sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile, basato: sullo stop al consumo di suolo agricolo (no a nuove autostrade e a nuovi centri commerciali già progettati); sulla riconversione ecologica delle attività indus-triali esistenti; sul creare nuovo lavoro qualificato, stabile e sicuro pianificando, potenziando e diffondendo gli interventi a tutela del territorio e dell’ambiente (dall’efficienza energetica alle fonti rinnovabili alle imprese con tecnologie pu-lite e nuovi materiali, dalla cura del territorio, dei fiumi e dei boschi allo sviluppo dei recupero edilizio, della riqualificazione urbana, dell’artigianato e dei negozi di vicinato come servizi all’abitare, a una mobilità di persone e merci basata prevalentemente sulla ferrovia).Occorre poi affrontare la sempre più grave emergenza abitativa per i ceti popo-lari e medi, impoveriti dalla crisi strutturale, con un grande piano regionale di nuova edilizia popolare di qualità da realizzare su aree dismesse, con piani co-

munali per rendere agibili gli alloggi pubblici lasciati vuoti e con il rifinanzia-mento del Fondo Sostegno Affitti, per combattere le continue ondate di sfratti per morosità, causate dalla diminuzione del reddito di persone e famiglie e dal continuo aumento speculativo dei canoni di locazione, soprattutto a Milano e nelle altre città maggiori.A questo nuovo modello di sviluppo non può mancare il reimpostare il sistema sanitario: ricostituendo la rete dei servizi di prevenzione sul territorio - distrutta dalle destre-; riconnettendo gli aspetti sociali e sanitari negli stessi servizi: agli albori del Servizio Sanitario Nazionale – fine anni ’70 e inizio anni ’80 - in Lombardia c’erano le Unità Socio Sanitarie Locali, che comprendevano servizi sociosanitari territoriali, ospedali e centri di riabilitazione; e modificando alla radice il sistema di accreditamento degli interventi curativi, che in questi anni ha privilegiato gli atti più costosi, anche quando inutili o addirittura dannosi, e perfino mortali, soprattutto da parte delle cliniche private accreditate. L’attuale sistema di accreditamento spiega, tra l’altro, l’enorme numero di parti cesarei, una percentuale pari al doppio di quella considerata normale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, pagati agli ospedali come intervento chirurgico.Tra i servizi sociosanitari di base la priorità va data ai consultori pubblici e laici, come servizio polifunzionale per le donne nelle varie età della vita, da diffondere con un programma quinquennale che, quanto meno, av-vicini la situazione reale alle prescriz-ioni di legge: uno ogni 20.000 abitanti nelle aree densamente popolate e uno ogni 10.000 nelle zone periurbane ed extraurbane. Dopo 17 anni di dominio da parte della setta di Comunione e Liberazi-one nella sanità e nell’assistenza, di-venta indispensabile anche ripristinare la legalità, ad es. nell’applicare la legge 194 nei tempi previsti e da parte di medici ospedalieri (impressionante in questi anni l’obiezione di coscienza) e fare qualche passo avanti verso la laicità delle istituzioni, come ad es, il togliere ogni simbolo religioso dagli edifici di proprietà della Regione e/o adibiti a servizi gestiti o comunque normati dalla Regione, e il realizzare negli ospedali pubblici luoghi di raccoglimento senza simboli religiosi a disposizione di tutti e tutte (come all’ospedale Le Molinette di Torino).Tutto ciò è assolutamente realistico e sarà possibile solo se il 24 febbraio vincerà la coalizione di centrosinistra e se, al suo interno, otterrà un buon risultato la

lista “Etico. A sinistra. Per un’altera Lombardia” di cui fa parte anche il PdCI.

MARIA CARLA BARONI nasce nel 1940 a Milano, dove vive e opera. Ha fre-quentato il liceo classico e si è laureata in economia all’Università Bocconi di Milano. Dopo esperienze di lavoro in una multinazionale e in una casa edi-trice, è stata sindacalista per vari anni in CGIL e al SUNIA. Ha concluso la sua vita lavorativa alla Provincia di Milano

prima come funzionaria e poi come dirigente di un servizio di promozione del terri-torio metropolitano. E’ appassionata di letteratura (è lei stessa poeta), di pittura e di viaggi. Comunista, ambientalista e femminista fin dall’inizio degli anni ’70, dalla pri-mavera 1999 è iscritta al Partito dei Comunisti Italiani, presso cui si è sempre occupata di territorio, ambiente e casa a livello milanese, lombardo e nazionale. Dall’ottobre 2009 fa parte della segreteria regionale come responsabile delle stesse materie e successivamente è entrata anche nella segreteria milanese. Da molti anni partecipa at-tivamente al movimento delle donne, ad associazioni e comitati a tutela del territorio, dell’ambiente e dei beni collettivi e alla Consulta Milanese per la Laicità delle Istituzi-oni, rappresentandovi l’Associazione Culturale Marxista.

MANIFESTAZIONE DELLA vMARCIA MONDIALE DELLE DONNE(Bruxelles, ottobre 2000)

Un lungo largo corteoacceso di rosse bandieremultifiammatotra vento e soledi striscioni e stendardidai tanti colori e figure.Contro ogni violenzacontro le guerre in ogni dovecontro la povertàche umilia le donne del mondo.Ondate di canti di lottae solidarietàcon le donne del mondo interoscanditenei suoni di lingue diversetrascorrono nel grande corteo.Unica anima dalle molte formealeggia su tuttel’Internazionale delle donnefutura umanità di pace.

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I rapporti sociali fra i sessi hanno bisogno di una “rivoluzione civile” Elementi di riflessione a partire dal dibattito dell’A.Do.C.

di Milena Fiore (PdCI Bari)

In un paese come l’Italia, dove il 60% dei cittadini ha difficoltà ad arrivare a fine mese, il 33% dei giovani è disoccupato, e i poveri sono 8 milioni, il fondo per le politiche sociali è stato ridotto del 75%,. Questo ennesimo taglio significa spostare il costo del welfare dallo Stato alle famiglie, peraltro già gravate da interventi gover-nativi antipopolari (Imu sulla prima casa, aumento dell’Iva e delle imposte indirette, tagli alle pensioni, alla sanità, alla scuola, ecc.), e particolarmente metterlo sulle spalle delle donne, che così vengono sempre più relegate fra le mura domestiche a svolgere lavori di cura. Non a caso, attualmente, solo il 52% delle donne in Italia è occupato o cerca lavoro. Su questo fronte l’Italia si colloca a uno dei gradini più bassi d’Europa.A questi numeri siamo arrivati a causa di anni di politiche neoliberiste berlusconi-ane e dei diktat di Maastricht. Il macigno che ci ha lasciato il “governo dei tecnici” Monti-Fornero (nonostante la ministra Fornero avesse la delega per le pari oppor-tunità) con le “riforme” sul lavoro e sulle pensioni, è pesantemente negativa: non solo non ha migliorato le condizioni delle donne, ma anzi le ha peggiorate per tutti, precarizzando e indebolendo i diritti e le tutele di tutti i lavoratori. Mi riferisco in particolare a questi provvedimenti: - la modifica dell’articolo 18 che ha ridotto la tutela contro i licenziamenti ille-gittimi, favorendo la possibilità del datore di lavoro di ricorrere a forme contrattuali di lavoro precario e sottopagato;- la destrutturazione del contratto collettivo nazionale di lavoro contenuta nella Legge 30 (varata dal governo Berlusconi e confermata da Monti), che ha intro-dotto 46 forme di rapporto di lavoro: a un lavoro dipendente a tempo indeterminato, si sostituisce un lavoro precario, sottopagato, fuori dalle tutele contrattuali;- l’imposizione di pesanti contributi previdenziali a carico delle lavoratrici e dei lavoratori falsamente autonomi, titolari di Co.Co.Co. o Co.Co.Pro, a fronte di magrissimi compensi percepiti.In questo quadro - in cui è strutturalmente assente il principio della parità salariale, in cui vige ancora una sostanziale divisione dei ruoli per il lavoro di cura, in cui sono diffusissimi i licenziamenti discriminatori (vedi le c.d. dimissioni in bianco, strumento illecitamente usato da datori di lavoro che vogliono facilmente disfarsi delle lavoratrici che hanno la colpa di sposarsi, fare figli, accudire neonati, anziani, ecc.) - le donne risultano ovviamente le più colpite dal lavoro precario, per cui sem-pre di più saranno coloro che cercheranno lavori “a nero”, non tutelati e sottopagati. Per non parlare delle lavoratrici anziane ed “esodate” non ancora in pensione. Più gravi le condizioni delle lavoratrici migranti, ridotte a condizioni di antica schiavitù e di sfruttamento razzista, a volte anche sessuale, che si intrecciano al lavoro subor-dinato.Da questa situazione tremenda derivano anche l’immagine della donna nell’Italia dei nostri giorni, che sul piano culturale e della comunicazione mediatica è permeata da anni di berlusconismo: la figura femminile è stata svilita e ha assunto le sembianze di un oggetto. Le stesse multinazionali favoriscono questo orrendo senso comune pubblicizzando qualsiasi prodotto di consumo con l’uso di immagini di donne. Da ciò deriva che se una persona viene considerata come un oggetto, è facile arrivare a pensare di poterne fare ciò che si vuole, inclusa la violenza.La violenza sulle donne che sta dilagando, quindi, non è staccata da tutto questo, le sue radici stanno nel contesto sociale e culturale in cui viviamo. Esemplari in questo senso sono anche gli attacchi ideologici e strumentali alla legge 194 del ‘78 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volon-taria della gravidanza”), le marce “per la vita” organizzate da associazioni cattoliche integraliste e da partiti di destra, i raid dei gruppi integralisti nei consultori e negli ospedali contro le donne “assassine”, il boicottaggio della legge da parte degli obiet-tori di coscienza fra i medici e i paramedici. Per frenare questo processo bisognerebbe intervenire sulle cause strutturali. Ma or-mai anche intervenire sugli effetti è diventato difficile, proprio a causa dei tagli allo Stato sociale che citavo all’inizio. L’associazione D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), che comprende Centri Antiviolenza e Case delle Donne, segnala che molte strutture non riescono ad andare avanti a causa dei continui tagli e del mancato riconoscimento da parte della legge. Sono di questi giorni, in occasione della campagna elettorale, gli appelli e le richi-este di impegno sul tema del “femminicidio” (vedi la Convenzione nazionale contro la violenza “No more”, il decalogo che Amnesty sta sottoponendo ai leader delle coalizioni e ai candidati, la campagna “One Billion Rising” per il prossimo 14 feb-braio – a cui in Italia hanno aderito già molte associazioni e forze politiche. Le donne uccise in Italia sono state 124 solo nel 2012. E i dati Istat riportano che tra il 2000 e il 2011 le donne morte a causa della violenza maschile sono state più di 1500, e circa il 70% di queste a causa di violenza domestica. Nel 2012, l’85% di questi delitti sono avvenuti non per mani estranee ma all’interno di relazioni di cop-pia. Il ritorno delle donne tra le mura domestiche, dunque, inverte il cammino storico in-trapreso verso l’emancipazione e le rende più vulnerabili alla violenza dei partner.I progetti di legge contro la violenza sulle donne depositati nella precedente legisla-tura coprono comunque una ipocrisia di fondo, perché non intervengono e nemmeno considerano il contesto sociale ed economico. L’ipocrisia raggiunge il massimo con il governo Monti, che ha firmato ma non ratificato la Convenzione di Istanbul contro

la violenza domestica in vigore a livello europeo.Alla luce di quanto detto, quindi, è evidente che occorre avviare una profonda tras-formazione del mercato del lavoro e del sistema economico dominato dalle banche, dai monopoli e dalle multinazionali: la possibilità dell’accesso al lavoro, a un reddito minimo garantito, alla parità salariale, a una indipendenza economica e a una realiz-zazione professionale rappresentano aspetti essenziali di una condizione più gener-ale di sicurezza e di dignità delle donne, e allo stesso tempo rappresenta un freno alla violenza e dunque un elemento di tutela per tutte.

Alcune linee direttrici possono, quindi, essere: - Rilanciare e rafforzare le politiche sociali del Welfare, magari rinunciando a investire negli F-35 e nelle cosiddette missioni di peace-keeping, ovvero di guerra, usando invece le risorse pubbliche a favore delle lavoratrici e dei lavoratori, delle famiglie, dei giovani e degli anziani (assistenza domiciliare ad anziani e disabili, asili nido, sostegni economici alle famiglie e a tutte le persone in difficoltà, ecc.)- Avviare iniziative di sostegno alla prevenzione e alle strutture antiviolenza, riconoscere con una legge ad hoc la loro esistenza; moltiplicare i consultori e le case rifugio per una maggiore protezione e assistenza per le donne;- Respingere gli attacchi alla legge 194 e pretendere la sua applicazione, potenziare i consultori, garantire il legittimo ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza e alla pillola RU486 attraverso la regolamentazione dell’obiezione di coscienza, che non può essere ammessa nelle strutture pubbliche;- intervenire nelle scuole per informare, prevenire, contrastare culturalmente gli stereotipi di genere e tutte le forme di discriminazione delle donne, e inserendo tra le materie di studio l’educazione alla sessualità e alla affettività.- dare centralità all’impegno delle donne nella società e nel lavoro, attraverso il ripristino delle conquiste sociali che si sono ottenute dal dopoguerra in poi a segui-to di dure battaglie; istituire un “reddito minimo garantito”, peraltro già sperimentato sul piano europeo, che assicuri un’integrazione del reddito e consenta a tutti e a tutte di condurre un’esistenza libera e dignitosa.- Infine va promosso in tutti i modi un maggiore impegno delle donne in po-litica. Anche per questo stiamo operando per costituire l’Assemblea delle donne co-muniste del Pdci.Le compagne del gruppo promotore dell’A.Do.C., quindi, sono impegnate nella campagna elettorale a sostegno delle liste di Rivoluzione Civile, nella costruzione dell’Assemblea nazionale e nell’organizzazione di una Giornata di lavoro in prog-ress, dal titolo “donne sotto padrone”, che si svolgerà attraverso assemblee, work-shop e tavole rotonde, in cui vorremmo coinvolgere le diverse istanze organizzative del nostro partito, a partire dalla sua componente giovanile. Ma il nostro progetto vuole anche rivolgersi a tutte le altre forze comuniste, della sinistra, associative, sociali e sindacali, nazionali e internazionali.L’obiettivo è rafforzare la rete esistente e far sì che anche in Italia riprenda in modo organizzato e continuativo la mobilitazione delle donne, cercando il confronto e la collaborazione con i collettivi, i gruppi e le esperienze già esistenti da tempo.

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Come vivono questo periodo le donne impegnate in politica, in cui, agli altri problemi, si ag-giungono le mille cose da fare per sostenere la coalizione di Rivoluzione civile, le candidate i candidati? Descrivo le donne che incontro e che osservo nel loro tran tran quotidiano: Un vento di speranza le ha in-

vestite in pieno, le donne non vogliono tirarsi indietro, nonostante la ri-forma Fornero abbia gettato una pesante ipoteca sul futuro, colpendo già subito quelle prossime alla pensione, che aspettavano di avere più tempo, non per se stesse, ma per dedicarsi agli impegni familiari resi ancora più gravosi dalla crisi e dalla soluzione imposta dal Governo Monti: aveva ra-gione Lenin, una cuoca in Parlamento. Certo, avrebbe fatto con più cura e più attenzione il lavoro necessario in questo periodo in cui come la si giri, la coperta sembra essere sempre più corta, da tutti i lati.Le vedo correre, sciamare dai mezzi pubblici fatiscenti , sporchi , insicuri, lasciare la macchina a casa, un lusso per chi ora deve lavorare per con-

tribuire al reddito familiare, talvolta unica fonte di sostegno perché tanti mariti o compagni hanno perso il lavoro, occuparsi dei genitori anziani con pensioni al minimo, talvolta con l’aiuto di una badante, ma, spesso, facendo della pensione un uso oculatissimo per farlo bastare anche per sostenere figli disoccupati in difficoltà, donne che si inventano un lavoro di cura che non hanno mai fatto ma che oggi è diventata una nuova profes-sione, che si affezionano agli anziani con un coinvolgimento emotivo fat-to di tenerezze quotidiane,nonostante la fatica, donne che accolgono figli e nuore e nipotini in casa, che sacrificano il loro spazio perché la disoccu-pazione non arrivi a rovinare l’infanzia dei più piccoli, donne che trovano risorse anche nel reinventare costumi a carnevale, donne che si stupiscono davanti alle notizie di cronaca che le rendono protagoniste di aggressioni mortali a qualunque età…dai 15 ai 90 anni! Cosa chiedere alle compagne e ai compagni che andranno in Parlamento? Impegno e dedizione assoluta per tutte le tematiche femminili che sono fondamentali e riguardano tutta la politica, dalla giustizia (reato di femminicidio), al sociale (pensioni e lavoro) alla cultura (scuola ed educazione) convinte che la buona condiz-ione delle donne è la buona condizione della società, investire sulle donne è investire sul futuro.

COME VIVONO QUESTO PERIODO LE DONNE IMPEGNATE IN POLITICA?

di Pietrina Chessa (federazione PdCI Sardegna)

ALCUNI PROFILI DI NOSTRE CANDIDATEAntonella Guarnieri (Camera, Emilia Romagna) Nata a Ferrara, dove vive. Laureata in storia contemporanea a Bologna, da sempre si occupa di storia del fascismo e della Resistenza. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni.E’ impiegata presso l’Università degli Studi di Ferrara, rappresentante del Personale Tecnico Amminis-trativo e per due mandati membro del Senato Accademico di Unife.E’ iscritta alla CGIL e fa parte del Comitato degli iscritti della Federazione Lavoratori della Conoscenza Unife.

Domenica Milanesio, detta Mechi (senato, piemonte) Figlia di operai, a 14 anni entra in fabbrica e dopo qualche anno viene eletta delegata sindacale

della CGIL, nel ’61 si iscrive alla FGCI e successivamente al PCI. dove diviene segretaria alla 7° Sezione. Nell’82 il PCI Torinese le dà l’opportunità di entrare a far parte dell’apparato tecnico

nella sede delle fabbriche “Guido Rossa “ della Fiat Mirafiori e successivamente nelle zone terri-toriali. Nel ’91, allo scioglimento del Pci, da subito, insieme ad altre compagne/i contribuisce alla

nascita del Partito della Rifondazione Comunista. Nel ’98 aderisce al PdCI. Successivamente svolge anche il ruolo di Segre-

taria della Sezione “Dolores Ibarruri”. Oggi fa parte

del Comitato Direttivo della Sezione e del Comitato federale di Torino e del regionale del Piemonte. Militante da sempre, non ha mai voluto essere can-didata per entrare nelle istituzioni. Ora il PdCI le ha chiesto di far parte della lista di Rivoluzione Civile con Ingroia al Senato per il Piemonte. La fa volentieri, come candidatura di “serviz-io”, perché ne condivide il programma e ha avuto la possibil-

ità di conoscere Ingroia ad una iniziativa torinese, lo considera una bella persona.

Lucia Rizzini (senato, Piemonte) Cos’e per Lucia Rizzini il PdCI?Il PdCI e’ un sistema di vita una scelta fatta tanti anni fa e mai abbandonata , a volte discussa anche aspramente alla ricerca della sintesi tesa all’ideale come meta finale del nostro modo di essere e vivere il Partito Comunista Italiano.Le mie radici partono da Antonio Gramsci e arrivano fino ai nostri giorni portando in me quelle che sono le pietre fondamentali del comunismo italiano, ossia lavoro, partecipazione all’eguaglianza sociale, pulizia morale e integrità intellettuale. Tutto ciò e’ vivere da comunisti con i compagni uniti nel futuro.

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Sono Ghita Marzano (senato, puglia)“figlia” della vertenza Agile ex Eutelia ed attualmente in cassa integrazione dopo il drammatico epilogo di un imbroglio appoggiato dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni.Ho desiderato fortemente e con Rivoluzione Civile credo di aver trovato una sponda seria che possa rappresentare e combattere la precarietà del lavoro in tutte le sue forme, l’illegalità che consente a delinquenti falsamente imprenditori coadiuvati da governi conniventi e leggi manipolate “ad hoc” di distruggere intere filiere produttive gettando letteralmente per strada, nella disperazione incolpevoli lavoratori; ancora oggi si parla di vertenze aperte ormai da anni che finiscono nel dimenticatoio se non sostenute da forme di lotta variegate e spesso lasciate alla fantasia dei lavoratori!Nell’ ultimo triennio ho calpestato non so più dire quante volte i marciapiedi, le piazze, le strade romane attendendo per ore esiti di riunioni ministeriali che non hanno mai dato risposte!! I tavoli di crisi aperti al Ministero dello sviluppo economico da anni non riescono ad essere risolutivi, ma neanche propositivi se, come è anche capitato a noi pur mettere nero su bianco non è garanzia di risposte e soluzioni!Mi piacerebbe poter verificare per poi spiegare alla gente quale becera ed inutile burocrazia si cela dietro riunioni senza esiti e rinvii senza motivazioni logiche….gli stru-menti sono tutti nella disponibilità di chi ha la responsabilità di dare direttive, ma l’uso di quegli strumenti è vincolato a strane alchimie.Lavoro, legalità, diritti, tutto nella vertenza Agile ex Eutelia....sono sostantivi costituzion-ali che sono venuti a mancare...l’unico vero momento di visibilità mediatica, un’incursione notturna “ingenua a drammatica” dell’ex AD di Eutelia che dopo aver, con il sistema delle scatole cinesi, distratto centinaia di milioni di euro, compresi i TFR di 2000 famiglie, dovrebbe essere in galera (è notizia di questi giorni del suo rinvio a giudizio, e dico io finalmente!) e si trova invece a Dubai…....Dopo tre anni non si è venuti a capo del lavoro ma l’auspicio è che almeno nei tribunali chiamati a processare questa gentaglia si possa avere uno spiraglio di giustizia e di risarcimento!! Il lavoro noi continuiamo a cercarlo ma in questo “grande” paese non è facile metterlo al centro della discussione; d’altra parte si tratta “solo” della vita delle persone!Preoccupa moltissimo che la classe politica al governo non si interroghi sul fatto che ci siano lavoratori che non hanno libertà nella loro azienda di essere rappresentati dal loro sindacato.La vera discussione è quindi se sia corretto essere cittadini liberi non solo fuori ma anche all’interno dei luoghi di produzione. E’ sicuramente una libertà da allargare a chi non ce l’ha e non il contrario.Ecco che le battaglie referendarie alle quali ho anch’io attivamente partecipato:• articolo 8 legge Berlusconi (la cui abrogazione riconsegnerebbe al contratto Nazionale il valore di depositario dei diritti. E’ appena banale considerare che quanto è avvenuto in Fiat, derogando le norme alla contrattazione di secondo livello ha di fatto mes-

so i lavora-tori di fronte alla neces-sità di dover scegliere tra non lavorare o lavorare a b b a n d o -nando la tu-tela che solo la nazional-ità e quindi col let t iv i tà del Contrat-to Nazionale può garan-tire. Senza contare che il modello Marchionne da eccezione è diventato regola e in tantissime realtà si assiste alla prevaricazione della parte più forte su quella più debole senza la possibilità di applicare sanzioni..)• articolo 18 statuto dei lavoratori (da riportare al suo originario significato; già all’indomani della sua cancellazione molte aziende licenziavano dietro falsi prob-lemi economici lavoratori non graditi per alcuni dei quali i tribunali di riferimento non potranno ordinare, in caso di ragione, esclusivamente il reintegro, ma potrebbero de-cidere per un risarcimento che in questo momento così drammatico si tradurrebbe in aumento di disoccupati..)• contro la controriforma Fornero che sposta di circa una decina di anni il rag-giungimento dell’età pensionabile e che in questo grave periodo recessivo (crisi che non sembra migliorare ma piuttosto portare ancora più in là la ripresa) va contro la necessità, il dovere di dare spazio nel mondo del lavoro alle giovani generazioni e, di contro, guardando il numero sempre crescente di cassintegrati e lavoratori in mobil-ità, non apre certo spiragli al reimpiego degli ultra 50enni che dopo anche 28 anni ( scusate è il mio caso) devono comprendere come arrivare a quei fatidici 67 anni non avendo un’azienda che continui a versare contributi né le possibilità economiche di farlo direttamente.Onorata di essere stata scelta a rappresentare Rivoluzione Civile al Senato auguro a tutti noi di riuscire insieme a raggiungere quel risultato che darebbe al Lavoro il posto che sì è meritato nella Costituzione ed una svolta veramente “rivoluzionaria” ad un’Italia che per troppi anni ha dimenticato il suo ruolo di paese civile e democratico.

Sono ANNA ZULLO (CAMERA, PIEMONTE 1) ho 31 anni, abito a Chieri (Torino) e sono militante del PdCI dal 2003. Sono segretaria della Sezione di Chieri dal 2009, faccio parte del Comitato Federale e sono stata candidata a sindaco della mia città natale nello stesso anno. Laureata in Scienze dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Torino, insegno filosofia, psicologia e pedagogia da cinque anni. In passato ho maturato esperienza professionali riguardanti il tema del disagio mentale e sociale. Ho come temi importanti della mia azione politica il lavoro con particolare riguardo alle tematiche relative alla condizione delle donne nel mondo del lavoro, e tutte le questioni legate all’antifascismo. Fra le priorità di una futura azione di governo è necessario e indis-cutibile il ripristino dell’articolo 18 che non serve a creare più occupazione, ma, bensì, viene usata come arma di ricatto volta a peggiorare le condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori. Come immeditata conseguenza bisognerà attuare una riforma che garantisca un minimo salariale per tutti i cittadini, in modo tale da assicurare una vita dignitosa all’intero popolo e non solo ai pochi eletti. Inoltre, ritengo fondamentale per una società civile la creazione di politiche di welfare che permettano alle donne la compresenza sia del ruolo materno sia del ruolo di lavoratrice, senza che siamo preclusi ad essa cariche istituzionali e non di rilievo.

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Carla Nespolo (Senato, piemonte), nata a Novara il 4-3-1943 e residente ad Alessandria. Di famiglia partigiana e an-tifascista, docente di filosofia e storia. Ha ricoperto, sin da giovane, incar-ichi istituzionali e politici: Consigliere provinciale di Alessandria, Assessore all’istruzione e infinte Parlamentare per il PCI dal 1976 al1992, ricoprendo anche le cariche di segretaria della commissione Affari Costituzionali della Camera, quindi di vice-presidente della commissione Istruzione e poi della commissione Ambiente. Durante la sua attività parlamentare è stata relatrice di numerose proposte di legge sui diritti delle donne, facendo parte anche della commissione spe-ciale per la legge di parità uomo-donna nel lavoro. Ha presentato numerose proposte di legge, molte delle quali sono diventate legge dello stato, come la legge per i diritti delle donne nel pubblico impiego, la legge quadro per la formazione professionale.E’ stata protagonista di importanti battaglie ambientali, come quella contro l’ACNA di Cengio e per la tutela degli animali.

Nel’89 e nel’90 ha partecipato agli ultimi congressi del PCI, dopo la Bolognina, come co-firmataria della mozione due ( Ingrao, Tortorella, Natta, ecc.), opponendosi alla dissoluzione del partito. È stata tra gli undici senatori comunisti che votarono contro la decisione del proprio gruppo parlamentare di astenersi sula scelta del governo italiano di approvare il bombardamento dell’Iraq nella prima guerra del golfo. Attualmente è Presidente dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in Provincia di Alessandria e vice-Presidente nazionale dell’ANPI.

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Mi chiamo Teresa Pezzi (senato, abruzzo), ho 53 anni, vivo a Francavilla al mare (CH) dove esercito la libera professione di avvocato. Sono figlia di una casalinga e di un operaio della Montedison di Bussi sul Tirino (PE), paese triste-mente noto alle cronache per l’inquinamento e la discarica dei rifiuti tossici industriali.Dopo il diploma liceale ho voluto continuare gli studi per sottrarmi a quello che sembrava essere il destino di chi, come me, aveva umili origini ed era “nata femmina”.Sono stata studentessa fuori sede a Roma e lì mi sono laureata presso l’università “la Sapienza”In quegli anni era stato riconquistato, per mezzo delle rivendicazioni studentesche e dei movimenti delle donne, il diritto di studio, il diritto di lavoro per le donne e, dunque, la possibilità di emanci-pazione.Ho lavorato come praticante presso vari studi legali senza alcuna retribuzione, anzi spesso rimetten-doci di mio, prima a Roma poi a Pescara. Mi sono dedicata alla professione forense con spirito missionario ed ho cercato di aiutare molte persone economicamente indigenti perché ritengo che la giustizia non può essere un privilegio come si va delineando.

A Francavilla al Mare mi sono sposata, ho aperto il mio studio, mi sono separata ed ho cresciuto mia figlia che tra qualche mese compirà vent’anni.Ho sempre avuto la passione per la politica ma è solo da pochi anni che milito attiva-mente.Sono iscritta al Pdci e all’UDI.Sono parte attiva in vari movimenti di donne sul mio territorio, ho contribuito a fare rete tra movimenti, comitati e associazioni di donne e con loro mi attivo per il riconoscimento dei nostri diritti che pur se sanciti nella Carta Costituzionale sono stati altamente disat-tesi dal governo Berlusconi e che nell’ultimo anno sono stati mortificati dalle riforme del governo Monti.Credo fermamente in questo progetto politico che ha come programma la Costituzione Italiana e mi dichiaro Partigiana della Costituzione

LE INTERVISTE DI CAPITAIN FRACASSE

Nunzia Augeri, candidata al Senato in Lombardia, milanese, tradut-trice e saggista, da giovanissima ha collaborato con Lelio Basso nella redazione della rivista “Problemi del Socialismo”. Con il marito, Luciano Raimondi (Nicola), che fu commissario politico della X Brigata Garibaldi in Ossola, ha vissuto per molti anni all’estero, e in particolare a Città del Messico, dove ha diretto la rivista “Italia-Mexico” e la locale Libreria Italiana, poi in Danimarca, in Finlandia e a Bruxelles, dove ha lavorato presso il Parlamento Europeo. E’ stata redat-trice della Nicola Teti Editore per il “Calendario del Popolo” e ha curato alcuni volumi della “Storia della Società Italiana”. Attualmente a Milano collabora con le edizioni del Punto Rosso, con il Circolo Culturale Concetto Marchesi e cura la pubblicazione della rivista teorica “Marxismo Oggi”. E’ autrice di uno studio sulle Repubbliche partigiane.

Hai una grande esperienza internazionale avendo vissuto in molti paesi e conoscendo molte lingue. Tra l’altro hai lavorato al Parlamento europeo. Come immagini un possibile ruolo dell’Europa – natu-ralmente di tipo progressivo – nel mondo attuale così velocemente in trasformazione?

L’Unione Europea oggi è una assoluta necessità, perché paesi non dico minuscoli come Cipro o l’Estonia, ma anche come l’Italia con i suoi 60 milioni di abitanti, sono solo dei nani rispetto ai paesi-continente che si sono affacciati alla storia del mondo con tutto il loro peso, come la Cina, l’India, il Brasile. Sul grande pal-coscenico della globalizzazione, i paesi europei, anche ex grandi potenze, pos-sono solo essere delle comparse poco importanti presi singolarmente. Il blocco europeo costituito da quasi 500 milioni di abitanti, con la sua grande civiltà e il grande sviluppo economico e culturale, ha migliori possibilità di inserirsi nel gioco mondiale. Ma con quale ruolo?Il ruolo principale – a mio parere – dovrebbe essere quello del mantenimento della pace. In fondo questo sognavano i primi ideatori dell’Europa unita, Alti-ero Spinelli ed Ernesto Rossi, che nel gorgo della guerra, esiliati a Ventotene, con il loro “Manifesto” tracciavano le linee di un’Europa democratica e pacifica, liberata dai fascismi.Oggi però la struttura europea, con i suoi 27 stati membri, soffre di nanismo democratico e di elefantiasi burocratica. Risente inoltre in maniera pesante dei nazionalismi e degli imperialismi delle potenze principali, Gran Bretagna, Fran-cia e Germania, e soprattutto del legame strettissimo che mantiene con la NATO e quindi con il capitalismo imperialistico mondiale, capeggiato dagli Stati Uniti. Inoltre avendo deciso di scolpire i principi del liberismo nel bronzo del Trattato

di Lisbona (proprio quando, al volger del millennio, il dio-mercato dimostrava tutti i suoi limiti) l’Europa ha favorito diseguaglianze e ingiustizie sempre crescen-ti in questo periodo di crisi. Per chi gode comunque di una situazione agiata, si chiama austerity; per la maggior parte del popolo, si chiama fame. In contrasto con quel conclamato “modello sociale europeo” di benessere e stato sociale che l’Unione dice di voler difendere, e che forse era solo lo specchietto per le allod-ole per i paesi dell’Est, contro l’orribile spettro del comunismo.Uno spettro che comunque si aggira sempre per l’Europa (e per il mondo) e ne costituisce una delle eredità culturali e politiche più importanti e – a parere di molti – per nulla superate.v

Nella foto le compagne Lidia Mangani, Teresa Pezzi, Loredana Galano, Lea Melandri e Loretta Boni all’incontro Primum vivere Paestum, ottobre 2012

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Nunzia Augeri a Madrid in occasione del 75° della Guerra civile spagnola (ottobre 2011)

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Nel quadro europeo, quale pensi possa essere il ruolo dell’Italia?

L’Italia non sfugge al ruolo generale di impegno per la pace e l’antifascismo, tanto più che porta l’orgoglio e la responsabilità del Manifesto di Ventotene. Inoltre, le sue tradizioni culturali in materia sia umanistica che scientifica le potrebbero attribuire un ruolo rilevante nell’ambito dell’attuale “economia della conoscenza”, se i governi italiani avessero a cuore e promuovessero lo sviluppo delle arti e delle scienze. Ma la posizione geografica della penisola le dà anche un altro ruolo, che è quello di ponte o collegamento con i popoli delle coste meridi-onali del Mediterraneo. Oggi quelle zone sono in grande fermento e l’Europa potrebbe fare molto per promuoverne lo sviluppo e frenarne le spinte integraliste, che tali sono solo sul piano della religione e del costume, ma che poi sul pia-no politico-economico sono di grande conservazione e acc-ettano supinamente lo strapo-tere del capitale multinazi-onale, che riafferma anche a costo di guerre il proprio dominio sulle fonti principali di materie prime, innanzitutto il petrolio.

La tua biografia è quella di una donna emancipata, che è riuscita a tenere insieme famiglia, lavoro e impegno politico. Come vedi la condizione delle donne oggi in Italia e quali misure pensi sarebbero più urgenti per migliorarla?Tenere insieme lavoro, famiglia e impegno politico è sempre difficile e faticoso. Per pot-erlo fare, bisogna avere anzitutto la collaborazione del proprio compagno e dei figli. Bisogna poi secondo i vari momenti della vita, saper scegliere le priorità: per esempio, quando sono nati i miei bimbi, ho scelto di fare per qualche anno solo la mamma, e ne sono felice, perché ho goduto la loro infanzia e ho potuto indirizzare correttamente la loro educazione (anche il mio maschietto a sei anni imparava a sbrigare le faccende domestiche). Più tardi, ho dovuto di nuovo scegliere la famiglia come priorità, quando mio marito si è ammalato molto seriamente. In fondo, come dice la Bibbia, per tutto c’è un tempo. L’importante è saper riemergere, e questo in realtà è ancora molto difficile e faticoso. Ma nessuno ha detto che la vita sia facile. Devo però riconoscere che ho avuto un grande vantaggio personale, cioè sono sempre stata capace di inserirmi in diversi e sempre nuovi ambienti lavorativi e sociali, grazie alla preparazione culturale e linguistica.Oggi in Italia alle donne manca la base fondamentale per la loro autonomia: il lavoro. Se non si ha il lavoro, mancano l’indipendenza economica e la dignità personale: infatti la grande stagione del femminismo italiano non a caso è venuta in seguito al grande periodo di sviluppo economico, culturale e sociale degli anni 50 e 60, che ha dato alle donne cultura e lavoro, permettendo loro di assumersi in piena autonomia la respons-abilità della propria vita. E per il lavoro delle donne mancano in Italia i servizi pub-blici indispensabili che una collettività avanzata deve poter dare: mi riferisco a nidi e asili per l’infanzia e a servizi specializzati per la non-autosufficienza della quarta età, tanto più necessari in quanto le previsioni demografiche indicano un grande aumento di anziani (e soprattutto anziane) che si troveranno soli e malati. Sarebbero inoltre op-portune misure specifiche per favorire il rientro delle donne nel mondo lavorativo dopo periodi dedicati alla cura familiare. Sarebbe poi da discutere l’eventuale conteggio del valore del lavoro di cura svolto in

casa soprattutto dalle donne, ai fini di una sua eventuale retribuzione e dell’inserimento di tale valore nel PIL e nel BIL, cioè nella misurazione del benessere interno della soci-età.Oggi però il lavoro manca alle donne come ai giovani e a molti uomini: è il fenomeno più importante delle nostre società e non vedo molte possibilità di risolvere il problema nell’ambito dell’organizzazione capitalistica dell’economia.

Sempre traendo spunto dalla tua biogra-fia, che è emblematica di un intreccio forte tra le varie anime della sinistra italiana, come vedi l’esperimento di Rivoluzione civile, che pure aggrega forze diverse ma con alcuni importanti punti in comune?

Sono stata assente dall’Italia per quasi vent’anni e non ho vissuto certi momenti crucia-li che hanno scavato fossati molto profondi fra le varia anime della sinistra italiana; anzi, al mio ritorno, tutto mi incuriosiva, per cui è stato fac-ile partire con animo sgom-bro all’esplorazione di questi mondi. E devo dire che ho tro-vato persone meravigliose e iniziative serie e interessanti nei diversi ambienti. Oggi poi, di fronte all’offensiva delle destre in Italia e in Europa, è più che mai necessario che le varie “anime” ritrovino unità di intenti e di azione. Riv-oluzione civile è un tentativo in

questo senso, e perciò vi aderisco senza riserve, pur mantenendo il pessimismo dell’intelligenza, che non riguarda il movimento in sé, bensì la situazione storica generale e italiana in particolare: risulta incomprensibile come tanti italiani vo-tino ancora per il PdL – la peggior classe dirigente che l’Italia abbia mai avuto - dopo l’esperienza che ne è stata fatta.

Tre motivi per una donna (una lavoratrice, una precaria, una studentessa ecc.) per cui quello a Riv-oluzione civile è un “voto utile”.

Quello per Rivoluzione civile è un voto non solo utile, ma necessario, anzi in-dispensabile, per difendere il lavoro e la sua dignità, per difendere la scuola pubblica e la cultura. Sono punti fondamentali per difendere la nostra dignità di donne e di lavoratrici, per salvare dal disastro il futuro dei nostri figli. E … posso dirlo? Per mantenere aperto il sogno di quello che ancor oggi con pudore, quasi con ritrosia, osiamo ancora – sommessamente - chiamare “rivoluzione”.

IL LAVORO NELLA GLOBALIZZAZIONEDeserto di diritti negati

orari a dismisura allungati.Nelle fabbriche ritmi incalzantiinchiavardati a macchine potenti

turni che massacrano la vita.Negli uffici spazi aperti al controllo

o lussuosi scranni isolatisempre competizione imposta

avvinghiante.Cocaina e psicoterapia

per tirare avanti.Come e quando un lavoro

scintilla d’ogni sé individualetassello del ben essere

di tutti e tutte?

dI Maria Carla Baroni

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Manuela Palermi, già dirigente del Pci e della Cgil, giornalista e responsabile Dipartimento Lavoro del PdCI candidata nelle liste elettorali “Riv-oluzione civile in Puglia”. Ha diretto il quotidiano del Partito di rifondazione comunista Liberazione e poi La Rinascita della sinistra, settimanale del PdCI. Eletta senatrice nel 2006, à stata nom-inata capogruppo parlamentare del gruppo “Insieme con l’Unione, Verdi - Comunisti Italiani” ed è stata membro della Commissione Difesa.

Alcuni elettori progres-sisti ci pongono questa domanda: perché il PdCI ha sostenuto prima le primarie del centro-sinistra e adesso invece sostiene la lista “Rivoluzione civile”? Come rispondere a questa domanda?

S’è trattato di una scelta fatta nella consapevolezza politica che in Italia oc-corre ricostruire uno schieramento di centrosinistra che non esiste più. Una scelta che, da comunista, rivendico. Nella lotta politica non sono mai stata guidata da nessuno spirito di autosufficienza o di massimalismo. C’era, c’è, ci sarà la neces-sità di costruire uno schieramento progressista che sia un argine alle destre. E’ un punto ineludibile, da cui non si scappa. Il guaio è che lo affrontiamo sempre a ridosso delle elezioni e poi nel resto del tempo viviamo paghi di noi. Questo è il Paese dove c’è stato il fascismo, sostenuto da un consenso di massa. E’ il Paese dove la destra è forte, radicata. La sinistra pecca spesso di superficialità, di me-moria corta. Pensa che il berlusconismo si riduca ad una macchietta, che Monti prima o poi verrà ringhiottito dalle nebbie europee… Berlusconi e Monti, e do-mani chissà chi, interpretano una storia e una cultura presenti e forti. Osservate l’attuale schieramento elettorale. Qui, in Italia, dove c’è stato il Pci, la più straor-dinaria anomalia politica dell’occidente, esso è composto da partiti fortemente omogenei, tutti attestati su una linea più o meno liberista. Cercare di rafforzare un orientamento progressista debole ma ancora presente in parte dell’elettorato del Pd ha forse inficiato la nostra autonomia? E perché avrebbe dovuto? Abbi-amo un’identità forte - splendida parola, cancellata da una politica che non si dà differenze, che arranca in piccoli spazi e vuote polemicucce senza avanzare alternative. Questa identità non si sente a rischio in una politica di alleanze nel campo progressista. E infatti si è tradotta nell’adesione a Rivoluzione Civile. Che non è nata all’improvviso. Quando partecipammo alle primarie era già in essere anche grazie al Pdci, alla sua vicinanza politica con Antonio Ingroia. Ricorderete la sua presenza al nostro congresso e l’essersi lì definito partigiano della Costi-tuzione. Mi hanno ferito molto i commenti che ci accusavano di poltronismo. Ma in certa sinistra – anche a noi vicina - c’è un’intolleranza e un pressapochismo che si traducono spesso in una fuga dal ragionamento politico, dall’analisi dei mutamenti sociali e dei rapporti di forza. Ci si rifugia nell’urlo, nello slogan, nella criminalizzazione delle posizioni diverse. Non è un fenomeno di oggi, per alcuni versi c’è sempre stato, solo che prima si dava un qualche impegno intellettuale, mentre ora è volgare. Liquidatorio. Non è la prima volta che capita al Pdci. Avverto un’insofferenza della “sinistra” nei nostri confronti. Non è strana né mis-teriosa, deriva dal nostro definirci “comunisti”.

Un altro dubbio ricorrente dell’elettorato progressista riguarda il c.d. “voto utile”, in alcuni c’è la preoccupazione che il voto a Rivoluzione civile finisca per indebolire il fronte anti-destre e possa trasformarsi in un ostacolo alla vittoria del centro-sinistra. Come possiamo convincere questi nostri potenziali elettori?

Il fronte antidestre non c’è, non esiste. Di questo possono essere facilmente convinti gli elettori. E la responsabilità del Pd e di Sel è enorme, micidiale. Come ho già detto, abbiamo tentato di costruirlo anche attraverso l’intromissione nelle prima-rie. Non ci siamo riusciti. Eppure il rischio non è mai stato così alto. Con Berlusconi c’era già un’emergenza democratica. Con Monti s’è concretizzata. Vediamone alcuni punti: un governo abusivo, non eletto, insediato dalla troika con la compi-acenza del presidente della Repubblica e l’asservimento dei partiti maggiori; un attacco vittorioso allo stato sociale: le pensioni non saranno più accessibili nel giro di alcuni anni ad almeno il 40% della popolazione; la cancellazione di fondamentali diritti del lavoro: dalla deroga al contratto nazionale e alle leggi sul lavoro, alla cancellazione dell’articolo 18, alla legittimazione della scelta padronale di sindacati “amici”, all’espulsione di sindacati conflittuali e di classe, alla vessazione dei lavoratori ad essi iscritti, alla negazione del referendum dei lavoratori … potrei continuare. Non dimentico che, già caduto, il governo Monti ha dichiarato economicamente insostenibile e da tagliare con l’accetta il servizio sanitario pubblico. Non mi sfugge che lo slogan del “voto utile” sia insidioso e convincere le persone è difficile. Ma se esiste un voto utile esiste, di conseguenza, anche un voto inutile; e quindi esistono elettori utili ed elettori inutili. E la scelta evidentemente non è nella volontà di chi vota, ma di chi giudica utile o non utile il suo voto. Altro che emergenza democratica. In questo caso l’elettore non viene

blandito (cosa frequente in campagna elettorale) ma minacciato. Fra un po’ ci diranno che tutto sommato il voto è superfluo, che a stabilire la volontà popolare ci sono già i sondaggi. E’ un altro pezzo dell’emergenza democratica. Se la mi-naccia del voto utile non serve a convincere gli elettori, li si può privare anche del voto. D’altronde votare Pd-Sel e ritrovarsi a governare con Monti che altro è se non sequestro del voto?

Cosa pensi della decisione di Diliberto di candidarsi in una collocazione che offre poche possibilità di elezione?

Sono un po’ restia a parlarne perché invade la vita politica ma anche person-ale non tanto del segretario del mio partito quanto di un amico. Non è la prima volta che Diliberto fa questa scelta. L’altra volta fu in favore di Ciro Argentino, nostro compagno della Thyssen. Diliberto è un intellettuale comunista vero, uno studioso, un prestigioso professore di Diritto Romano, un eccellente bibliofilo. La sua passione per la politica è grande ed ha un campo vasto in cui poterla eser-citare. E’ intellettualmente poco interessato al Palazzo del potere. Lui sa che c’è una prateria sterminata, orfana di politica, di idee. Orfana di partiti. Occorre ricostruirli, i partiti, nella forma organica di disseminazione nel territorio, nella presenza e nell’intervento quotidiani. E’ l’unica forma di democrazia partecipata che esista, di azione organizzata e disciplinata nelle cose della politica. E’ l’unico modo per ridare sovranità al popolo. Sono convinta che Diliberto preferisca di gran lunga questo percorso, quello delle idee e della costruzione dvelle forme organizzate. Poi c’è stata naturalmente la volontà di far spazio ai compagni vista la ristrettezza delle candidature. Ma se si fosse trattato solo di questo, saremmo riusciti a fargli cambiare idea.

La condizione operaia oggi sta subendo continui arretramenti. Quali sono le aspettative che le lavoratrici e i lavoratori possono riporre in queste elezioni?

Quando la classe operaia è sconfitta, spera meno. Dalle operaie e dagli operai ho imparato quasi tutto. Soprat-tutto ad aborrire il massimalismo. La povera gente – e gli operai sono povera gente – fa i conti con la con-dizione concreta. Semp l i cemen te, vuole stare meglio. Sono vissuta anni con loro e non ho smesso di farlo. Mi ha sempre colpito – ma poi ho capito - il loro desiderio di

avere una casa. A rischio di sacrifici inauditi, molti di loro ce l’hanno fatta. E infatti siamo il paese che ha la più alta percentuale di proprietari di casa. Se non sbaglio più del 70%. Con l’Imu Monti non ha pescato solo nelle tasche, ma lì, nel desiderio di una vita. Poi hanno sempre fortissimamente voluto che i figli stu-diassero per avere un futuro diverso dal loro. E i loro figli sono senza lavoro. La classe operaia è stata messa in un angolo: le hanno mortificato i desideri, l’hanno privata di libertà e dignità, con un lavoro svilito e una mancia per salario. Sono entrata per la prima volta in una sezione di periferia del Pci che avevo 12 anni. Sono cresciuta in mezzo agli edili, ai metalmeccanici, alle tessili. Il lavoro, la dignità del lavoro, è per me il primo segno della civiltà di un Paese. Chi conosce la classe operaia sa che essa chiede unità a sinistra. Noi l’abbiamo saputa ascoltare e ci abbiamo provato, Ingroia ci ha provato. Il Pd gliel’ha negata. Brutta vicenda e grave responsabilità del Pd aver impedito la costruzione di uno schieramento di sinistra in grado di opporsi alle culture della destra e di avanzare credibilmente una prospettiva di cambiamento. E da dove lo cominci il cambiamento se non dalla e con la classe operaia? Dalla e con quella classe che negli anni della riscossa – dalla fine degli anni 60 a metà anni 70 – ha legato il miglioramento delle proprie condizioni all’avanzamento complessivo della soci-età? Da lì nacquero nuove forme organizzate, non da alchimie politiciste estra-nee alla realtà: dai consigli di fabbrica ai consigli di zona, e cioè dalla fabbrica al territorio, dalla coscienza di classe di un gruppo a quella della cittadinanza. Da dove cominci se non da e con quella classe a cui anche le donne devono mol-to: dall’iniziale, duro emancipazionismo all’eguaglianza liberata dalle regole patriarcali. Il Pd ha umiliato la classe operaia. S’è invaghito di altri interlocutori e le ha voltato le spalle. Quando ho saputo che candidato di Rivoluzione Civile sarebbe stato uno dei 19 operai Fiom di Pomigliano, ho provato molta gioia.

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Una legge per il diritto di voto in fabbriche e uffici in merito ai contratti, una politica industriale per l’occupazione e la garanzia che si svolgano i referendum sui diritti dei lavoratori, queste le richieste della Fiom ai partiti che si presentano alle elezioni. Che cosa ne pensi?Che sono sacrosante. Che la Fiom chiede poco. Che ci faremo in quattro per-ché ce l’abbia.Si parla spesso della cultura politica del Pci, tu ci sei stata e lo hai conosciuto, Cosa porti con te di quella esperienza?La cultura politica del Pci era soprattutto nelle sezioni, nelle cellule di strada e di fabbrica, e si rifletteva su su fino a Botteghe Oscure. Il ricordo più vivo è il senso della comunità, l’affetto, le discussioni feroci, le rotture insanabili. Ci si scannava per l’elezione del segretario, si piangeva insieme quando un com-pagno se ne andava. Il Pci, la sezione “tipo” del Pci, era fatica. Piazze e cortei, iniziativa continua… E poi c’erano l’insediamento nel quartiere, gli inciuci con la parrocchia, gli scontri con i gruppettari, le botte con i fascisti, la cassa per i disoccupati, le donne ineguagliabili. Eravamo invasivi e prepotenti ma, se qualcuno chiamava, noi c’eravamo. In sezione la domenica mattina si leg-geva insieme l’Unità e la domenica sera si giocava a briscola o a tresette. Alle elezioni ci si organizzava meticolosamente per capire come avevano votato gli abitanti del quartiere e poi li si andava a cercare uno ad uno… Il Pci era spesso isolamento nel lavoro, quella tessera che tenevi sempre in tasca era un orgoglio privato, ma poteva diventare un marchio pubblico d’infamia. C’era periodicamente il dirigente nazionale che veniva a “spiegare”. O quello, più raro, che diceva di voler “ragionare”. La fabbrica di riferimento a Roma era la Fatme. Fiom e sezione Pci erano fortissimi, maggioranze bulgare. Una volta in occasione di uno sciopero generale la Fatme decise di non scioperare. Ne aveva buone ragioni (troppo lungo da raccontare), ma non era mai successo. La parola d’ordine, nel Pci, scolpita sul marmo, era: prima si sciopera e poi si ragiona. Per giorni l’Unità pubblicò giudizi e condanne severissimi. Io scrissi che “prima di giudicare, bisognava capire”. Non l’avessi mai fatto. Le varie anime del Pci vennero una ad una ad incontrare me e la sezione che mi soste-neva con qualche fatica. Venne l’amendoliano, l’occhettiano, il berlingueriano. Andammo avanti per giorni e giorni senza uscirne. E queste cose succedevano spesso, sbaglia chi pensa ad un dibattito pietrificato, irreggimentato nel cen-tralismo democratico. Ma della “ragione suprema”, quella che ci teneva as-sieme, per cui ti sentivi proprietario e servizio d’ordine del partito, di quella non si dubitava mai. Per alcuni versi il Pci era una comunità “chiusa” ma generosa, vogliosa di essere accettata e insieme guardinga. Nella sezione ripro-

ducevamo il mondo esterno, ma la gerarchia veniva riscritta da noi. Eravamo sfrontati e impauriti, a volte violenti. Avevamo bisogno di noi – e noi eravamo il Pci - perché la realtà intorno non ci piaceva, e volevamo essere tanti, eravamo affamati di consenso. Ecco, forse la cultura politica del Pci si può definire così: fame di consenso. Quella fame anni dopo degenerò nella gestione di una real-politik in cui impallidiva ogni premessa ideologica fino a determinare tragici e incancellabili errori. Ma è tutta un’altra storia.

SVEGLIATI! BALLA! PARTECIPA!Il gruppo promotore dell’A.Do.C. (Assemblea delle Donne Comuniste) del PdCI aderisce alla Convenzione nazionale contro la violenza “No More” e alla campagna internazionale del “V-Day ONE BILLION RISING”, parte-cipando attivamente ai flashmob, manifestazioni e iniziative varie che si svolgeranno in tutta Italia.Quest’anno il 15° anniversario del V-Day si propone di unire in tutto il mon-do un miliardo di donne nel mondo per lanciare un grido di denuncia e di azione positiva.A questa campagna hanno già aderito 197 paesi e più di 110 città italiane e 13.000 organizzazioni femminili; si danzerà dappertutto per fermare la vio-lenza. UN MILIARDO DI DONNE NEL MONDO. In Italia, secondo un’indagine dell’Istat, quasi sette milioni di donne hanno subito violenza fisica e sessuale nel 2007; nel 2012 sono state uccise 127 donne in ambito familiare. Questi purtroppo non sono dati completi perché in Italia manca un Osservatorio nazionale sulla violenza contro le donne. La campagna “One Billion Rising” è promossa dalla scrittrice Eve Ensler e ha visto ha tra i suoi testimonial Robert Redford e Jane Fonda.

Convenzione No MoreLa Convenzione nazionale contro la violenza maschile sulle donne è un patto promosso da un cartello di as-sociazioni di donne e realtà della società civile che condividono da tempo «un forte impegno per contrastare, prevenire e sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne e sui diritti umani».E che aderiscono a una «proposta politica unitaria, aperta all’adesione di altre realtà nazionali, locali e a singole persone, per richiamare le Istituzioni alla loro responsabilità e agli atti dovuti, per ricordare che tra le priorità dell’agenda politica, la protezione della vita e della libertà delle donne non può essere dimenticata e disattesa».La convenzione è promossa da: Udi Nazionale (Unione donne in Italia), Casa Internazionale delle Donne, GiU-LiA (Giornaliste unite, autonome, libere), Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa onlus, D.i.Re (Donne contro la violenza), Piattaforma Cedaw «30 anni lavori in corsa Cedaw»: Fondazione Pangea onlus, Giuristi Democratici, Be Free, Differenza Donna, Le Nove, Arcs-Arci, ActionAid, Fratelli dell’Uomo.

http://convenzioneantiviolenzanomore.blogspot.it/p/blog-page.html

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La mattina del 6 febbraio ha visto cadere in una strada di Tunisi Choukri Belaid, leader del partito Watad e uno dei principali protagonisti del Fronte popolare, una coalizione nata con l’intento di ricomporre il frammentato universo pro-gressista e di sinistra della Tunisia.

Avevo conosciuto Choukri due anni fa a Tunisi, dopo una intensa corrispon-denza di email tenutasi in occasione del VI congresso nazionale del Pdci. Ero in Tunisia per un viaggio estremamente interessante, che univa la scoperta delle bellezze artistiche e paesaggistiche del paese con l’opportunità di indagare e ca-pire quello che stava accadendo dopo la stagione delle rivolte che fecero cadere il governo Ben Alì. Fra i vari incontri ci fu quello con Choukri. Lui si mostrò da subito molto cordiale e iniziammo a parlare di comuni compagni che da anni vivono in Italia. Poi iniziò a raccontarci il suo Paese, le speranze suscitate dalla stagione che si era aperta da poco, ma anche le delusioni per i limiti della sinistra e i rischi di una caduta verso una società che faceva dell’Islam un el-emento di chiusura e di ritorno al passato. Le sue parole ci risultarono prive di ogni elemento propagandistico, crude e concrete come solo chi è dentro le lotte dalla testa ai piedi riesce a fare. Il suo cuore batteva dalla parte dei giovani che riempivano le strade chiedendo lavoro e giustizia sociale e per questo lavorava duramente per fare del vecchio sindacato unico Ugtt un sindacato di classe. Pochi giorni dopo il nostro incontro si sarebbe tenuto il congresso dell’Ugtt e il suo partito avrebbe registrato un successo notevole nell’elezione degli orga-nismi dirigenti. Ma c’era un altro tema che tenne banco durante il nostro incontro: quello delle battaglie che molte organizzazioni femminili e forze laiche portavano avanti per i diritti delle donne. In Tunisia storicamente la donna si era emancipata con-quistando diritti e una legge per la famiglia fra le più avanzate e moderne del mondo arabo-islamico. Le donne erano state in prima fila nelle rivolte del gen-naio 2011. Choukri riconosceva la centralità di questa questione e ci sottolin-eava come il principale attacco da parte dei partiti religiosi passava proprio at-traverso la messa in discussione delle conquiste delle donne. Era questo il modo per affossare lo stato laico, quindi a suo dire questa non era una cosa sganciata dalle altre richieste che il suo partito e la sinistra portavano avanti, bensì uno dei nodi di svolta che dovevano impegnare tutti i progressisti e gli amanti della libertà e della democrazia. Fu lui in quella occasione a sottolinearci il lavoro preziosissimo che la Lega delle donne democratiche, una organizzazione che fra le sue attività ha il supporto legale alle donne vittime di soprusi dentro e

fuori la famiglia, portava avanti fra mille difficoltà. Colpiva questa sua facilità nell’essere legato al suo Paese fin dalle tradizioni più profonde e nello stesso tempo saper guardare avanti alla necessità di lavorare per un futuro davvero di tutti. In quell’occasione ci fu un’altra cosa che non poté non sorprenderci: fu il suo continuo riferirsi a Gramsci per supportare il lavoro del suo partito e l’analisi sulla fase storica che colpiva la Tunisia. Gramsci nelle sue analisi era vivissimo e la cosa ci fece riflettere…Dopo quell’incontro eravamo rimasti in contato e mi aveva invitato sia all’assemblea nazionale del suo partito sia ad una importante iniziativa uni-taria tenutasi qualche mese fa a Tunisi. Aveva a cuore la Tunisia e nello stesso tempo sapeva che la difesa del suo Paese dalle forze capitaliste e reazionarie passava attraverso la costruzione di un rapporto con le forze progressiste che sono al di qua del Mediterraneo. Di recente avevo letto del suo impegno a sos-tenere le lotte sindacali che proprio in queste settimane erano in atto nelle prov-ince interne del Paese. Lui era schierato dalla parte dei giovani che chiedevano cambiamenti radicali, soprattutto economici, al governo di Tunisi e denunciava come si stava realizzando una operazione Gattopardesca dove si può cambiare molto, nomi, sigle e apparenza, senza intaccare i veri interessi della borghesia e dei latifondisti tunisini in perenne combutta con vecchie e nuove forme di colonialismo occidentale. Non so chi ha vilmente premuto il grilletto della pistola che lo ha ucciso, i suoi compagni, coloro che lo conoscevano bene, puntano il dito sui poteri forti e sulle complicità che questi hanno con i luoghi del potere odierno come ieri li avevano con Ben Alì. In molti denunciano il clima di violenza instaurato dai Salafiti e i silenzi del partito Annahada. Ma un silenzio certamente non sentiremo, chi ha ammazzato Choukri non riuscirà ad uccidere le sue idee. Risuonano forte infatti le grida di quanti fin dai primi minuti dalla notizia del barbaro assassinio di Choukri hanno riempito le strade della Tunisia per non far morire le idee di questo grande leader del movimento progressista del Mediterraneo tutto.

Il compagno Choukri Belaid assassinato aTunisi di Maurizio Musolino, dipartimento esteri PdCI

Besma Khalfaoui, compagna di Chokri Belaid, nel corso delle manifestazioni di protesta per l’uccisione del leader comunista

PER IL ROSSOBruciano i bimbi rom nelle baracchegli operai nelle officinei boschi nella calda estate.Non lasciamo svaniredalle nostre bandierei simboli antichi del lavoro salariato.Non lasciamo che il rossosia solo nei roghi di morte.

di Maria Carla Baroni, da Canti d’amore e di lotta

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APPELLO DELLA FEDERAZIONE DELLE DONNE GRECHE (OGE) CONTRO L’INVASIONE IMPERIALISTA CONTRO IL MALI

Ancora una volta gli imperialisti hanno esploso il fuoco della guerra. Questa volta è la Francia che prende il comando con UE e NATO come suoi sos-tenitori. Ancora un paese africano è diventato obi-ettivo di un attacco imperialista, al fine di mettere le sue risorse naturali sotto controllo.La Federazione delle donne greche condanna il nuovo crimine degli imperialisti francesi che han-no partecipato attivamente ai piani contro la Siria e l’Iran assieme alle altre della NATO.Invitiamo le donne e i popoli di tutto il mondo, e in particolare quelli africani, a dare la loro risposta militante contro il massacro del popolo del Mali e l’invasione imperialista.Atene, 17/1/2013

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Pubblichiamo un comunicato della OGE, affiliata alla FDIF (Federazione democratica mondiale delle donne) , sui gravi fatti in corso in GreciaVogliamo informarvi del brutale attacco del governo greco contro i sindacalisti del PAME, tra cui cinque donne. Tutti loro sono presidenti o segretari generali di sindacati e Federazioni di categoria. Ecco come si sono svolti i fatti:35 sindacalisti del PAME avevano un appuntamento con il Ministro del Lavoro Sig. Vroutsis per protestare contro la sua dichiarazione che “il sistema di sicur-ezza sociale è stato costruito sulla base di rapporti clientelari”. Quando sono arrivati al Ministero è stato detto loro che il ministro non era lì per incontrare loro (questa è una tattica costante dei ministri, al fine di evitare un incontro faccia a faccia con i sindacati). I sindacalisti hanno risposto che sarebbero rimasti lì ad attendere il ministro. La risposta del governo è stata un feroce attacco della polizia contro i rappresentanti di 35 sindacati dei lavoratori di questo paese. Essi sono stati brutalmente colpiti dalla polizia e 9 di loro sono stati portati in ospedale con gravi danni. I 35 inoltre sono stati arrestati e trattenuti presso la Questura per tutta la notte e la mattina successiva sono stati condotti che alla Corte di giustizia che ha fissato il loro processo fissato per il 12 di questo mese.Fin da subito una vasta solidarietà ai 35 è stata espressa dai lavoratori di tutto il paese. Una grande manifestazione ha avuto luogo al di fuori della Questura, dove essi sono stati trattenuti tutta la notte e migliaia di persone hanno manifestato davanti al Tribunale la mattina successiva. Tra di loro, naturalmente, sono state le donne dell’OGE.Il governo greco ha messo in atto inoltre una provocazione aberrante. Ha presentato delle foto dell’interno del Ministero del Lavoro che mostrano mobili dan-neggiati, sostenendo che sono stati i 35 sindacalisti a compiere tali azioni. La risposta dei 35 è stata che “il movimento di classe dei lavoratori dispone agisce con razionalità, e il governo sta cercando di creare una provocazione contro la lotta popolare dei lavoratori”.

Care compagne, è ovvio che il terribile attacco anti-operaio da parte del governo greco, dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale contro i lavoratori e gli strati popolari va di pari passo con la violenza di Stato, col terrorismo di Stato, nel tentativo di minacciare il nostro popolo e di fermare le pro-teste. La nostra risposta è che col loro terrorismo NO PASARAN. Tali pratiche non possono che incoraggiarci a continuare le nostre lotte senza compromessi contro il governo greco, l’UE, i monopoli.Apprezziamo le centinaia di messaggi di solidarietà ricevuti da sindacati e sindacalisti di tutto il mondo.Con un caloroso saluto,la Federazione delle donne greche

TRADUZIONI DI CAPITAIN FRACASSE

Coordinatrici della redazione: Milena Fiore ([email protected]), Lidia Mangani ([email protected])

Numero curato da Milena Fiore, Marica Guazzora, Lidia Man-gani, Teresa Pezzi.

Progettazione grafica di Milena Fiore

Hanno dato il loro contributo: Nunzia Augeri, Maria Car-la Baroni, Pietrina Chessa, Antonella Guarnieri, Marica Guazzora, Alex Höbel, Gloria Malaspina, Ghita Marzano, Domenica Mil-anesio detta Mechi, Maurizio Musolino, Carla Nespolo, Manuela Palermi, Teresa Pezzi, Lucia Rizzini, Bianca Bracci Torsi, Delfina Tromboni, Anna Zullo

Poesie di Maria Carla Baroni ([email protected])

Per domande, lettere, pensieri e considerazioni relative al foglio scrivere a:[email protected]

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Bianca Bracci Torsi, candidata al Senato nel Lazio e in Pugliaintervista di Alex Höbel

Hai spesso ironizzato sulla tua partecipazione alla Resistenza: essendo giovanis-sima, hai potuto fare “soltanto” la staffetta. Che cosa rimane oggi del patrimonio

dell’antifascismo?

Rimane poco perché è stato trascurato, le scuole ne parlano poco, deve esserci qualche insegnante ben informato e convinto perché al-trimenti non passa; però io ho notato elle scuole un cambiamento re-ciso; parlo di scuole superiori: c’è un nuovo antifascismo che nasce, ai giovani bisogna spizzegare innanzitutto il fascismo per poi arrivare all’antifascismo. Oggi il problema è ancora vivo, basta pensare a Grillo, ai suoi atteggiamenti: dice “le fabbriche a chi lavora”, ma senza i sindacati: è la proposta di Mussolini del ’27, non ci sono più i contratti nazionali, il sindacato è uno solo e “si risolve” fabbrica per fabbrica. Per le scuole era lo stesso, c’erano le scuole differenziali, e anche oggi per i bambini disadattati o u po’ troppo vivaci si ricom-incia a pensare alle scuole differenziali. E così per la sanità: quando ero giovane, chi andava all’ospedale andava a morire, mentre i ricchi andavano in cinica. Quindi spiegare che il fascismo può tornare, in forme nuove, è importante. Ricordiamoci che Mussolini fece tagliare i salari dei lavoratori, c’era la libertà di licenziamento: non è quello che si propone oggi? Marchionne ha studiato bene le leggi sul lavoro di Mussolini, in primo luogo bisognava tenere conto delle “necessità dell’azienda”. Quindi oggi lavorare su questo è importante. A Roma ormai i fascisti sono stati respinti dalle scuole e anche dai cortei studenteschi, il clima è cambiato. Io credo che oggi tra i giovani e giovanissimi l’antifascismo è tornato a essere un discrimine importante: sono ragazzini ma hanno ben chiara l’importanza di questo aspetto. Hanno imparato nella pratica che cosa sono i fascisti. A questo punto puoi parlare loro della Resistenza e fare la battaglia contro il revisionismo storico che mette sullo stesso piano i partigiani e i repubblichini: certo in guerra si spara da entrambe le parti, ma c’è una bella differenza tra chi combatteva per far tornare la democrazia e chi lottava per lasciare le cose com’erano, far sopravvivere il fascismo e prolun-gare la tremenda occupazione nazista, con le sue torture, i suoi massacri. Quelli che facevano parte delle SS avevano tre specializzazioni: quelli che sparavano in testa, quelli che sparavano al petto e quelli che colpivano i bambini con le madri. Ma in molti casi i loro complici erano italiani, i fascisti che paese per paese indicavano quali erano gli antifascisti che dovevano prendere, e quelli presi sarebbero stati fucilati. Sono cose tremende, per cui è inutile cercare di cancellarle. C’è una frase di Dimitrov molto bella: “Non esistono popoli barbari, ma popoli imbarbariti: dove c’è il fascismo i popoli si imbarbariscono”.

Ti eri licenziata dall’azienda paterna perché non volevi smettere di difendere i lavoratori e promuo-vere lotte assieme a loro. Dopo qualche tempo ti sei trasferita a Roma, dove hai lavorato per molti anni come giornalista a Paese Sera. Puoi dirci qualcosa di questa esperienza?

Mio padre mi fece interrompere l’università perché “non voleva pagare gli stu-di a una comunista”. Dovendo andare a lavorare, andai in fabbrica da lui e cominciai a fare le lotte assieme ai lavoratori, mi ricordo che le donne che si sposavano venivano licenziate e questa era una cosa assurda. Allora dissi loro che la cosa migliore era aspettare di essere incinte per sposarsi perché così non potevano essere licenziate. Mio padre mi disse che era mia la colpa se queste donne sarebbero state dannate… Alla fine me ne sono andata. Sono arrivata a Roma a 21 anni, anche perché da minorenne non potevo andare a vivere col mio fidanzato. Sono venuta a Roma nel ’52, ho fatto vari lavori e poi sono andata a Paese Sera. Qui ho fatto tutta la trafila, facendo intanto anche altri lavori. E a Paese Sera ho fatto molte cose, ho lavorato tanto sulle borgate e i loro problemi e poi sulla cronaca nera: una cronaca che però era sempre molto legata al sociale: c’erano i figli venduti, le ragazze recluse dalla monache, e io riuscii a parlare con diverse di loro che mi raccontarono le loro storie: erano ragazze irrequiete con famiglie difficili, e spesso erano proprio le famiglie a chiuderle lì. Cominciai a pubblicare queste cose e le suore organizzarono subito una veglia di preghiera perché mi venisse un cancro per punirmi. E molte altre cose di questo tipo: ho seguito le vicende dei dormitori pubblici, e poi la storia di questo ragazzo su cui Pasolini ha fatto un film, che muore in carcere, sul letto di contenzione, morto per una polmonite. Erano inchieste fatte dal vivo, belle, con quelli che uscivano dal carcere ecc.; poi cominciarono a essere loro a rivolgersi al giornale per raccontare le loro storie. Poi ho lavorato al supplemento libri di Paese Sera il primo in Italia. Intanto facevo politica nella zona di Subiaco-Arsoli, una zona dove c’erano tre conventi che avevano anche la proprietà dei territori. Ci fu la legge per la divisione dei prodotti, e il clero iniziò a protestare perché si toglieva l’olio alle madonne, e anche lì facemmo un gran lavoro, an-dando sulle montagne coi carabinieri a far applicare la nuova legge; ma poi i carabinieri non vennero più, ci andavo da sola. Furono cose molto belle, come i comizin ei paesi, mi sono anche molto divertita. Poi non ce la feci più a reggere questi ritmi, a fare questo doppio lavoro, e allora diventai funzionaria del Par-tito: guadagno un po’ meno, ma posso fare meglio il lavoro politico. Così lavorai

prima agli Amici dell’Unità con Pajetta, come tutti sanno un carattere terribile: però aveva un grande pregio, che chi lavorava e non aveva paura di lui, stabi-liva un rapporto tranquillo, senza nessun problema. Poi passai alla Commissione femminile, su richiesta di Adriana Seroni che aveva bisogno di un aiuto per le regioni meridionali, che io avevo già seguito per gli Amici dell’Unità. E anche negli anni successivi ho conservato un legame molto stretto col meridione d’Italia. Poi a un certo punto sono cominciati i problemi. Sono cominciati dagli attacchi mossi a Natta, un grande compagno, che però sbagliò a obbedire al diktat di dare le dimissioni che gli avevano posto Occhetto e gli altri. E da lì è cominciata tutta la storia… Io ero d’accordo con Cossutta, ma ero frenata dal rifiuto delle correnti organizzate.

Facciamo un salto di qualche anno. Nel 1991, di fronte alla maggioranza del gruppo dirigente del Pci che decide di sciogliere il Partito, assieme a Sergio Garavini, Armando Cossutta, Lucio Libertini, Ersilia Salvato, Rino Serri e Guido Cappelloni sei tra i dirigenti che “non ci stanno” e promuovono il Movimento per la Rifondazione comunista, la cui prima iniziativa al teatro Brancaccio vede la parte-cipazione di migliaia di compagni e compagne. Come commenti la scelta di allora? C’è qualcosa che

non ha funzionato o poteva essere fatto diversamente nel percorso della rifondazione?

Era una scelta che doveva essere fatta. Oggi non ci sarebbe più nulla, solo grup-petti sparsi, non dei partiti. Ma certo qualche errore è stato fatto. Non abbiamo tenuto conto che in Rifondazione comunista sarebbero venuti tanti compagni di diversa provenienza, ognuno con la sua idea di partito, e non c’è stato un dibat-tito approfondito, di massa, che consentisse di chiarire un po’ le cose, chiarire quali erano le cose ancora valide e quali quelle da superare. Non è un questione di chi veniva dal Pci e chi no. Io credo che il miglior segretario che Rifondazione abbia avuto è Paolo Ferrero, che pure non veniva dal Pci, viene da Dp, gli altri non sono stati alla stessa altezza. Quindi non bisogna vedere da dove un comu-nista viene, ma dove pensa di andare.

Oggi i comunisti e le comuniste stanno convintamente all’interno delle liste di Rivoluzione Civile e sono tra i protagonisti di questa nuova coalizione. Come valuti questa esperienza? Quali elementi di novità può portare nella politica italiana?

Non è un’aggregazione della sinistra anticapitalista come esiste in Francia, in Grecia o in Spagna. Ma è il principio di un raggruppamento di partiti, gruppi, movimenti, cittadini, che sono contrari al neoliberismo. Almeno questo c’è, chiaro in tutti, ed è un punto di partenza importantissimo. Siamo in difesa della Costi-tuzione, che è a rischio e che invece rappresenta un baluardo essenziale conto il fascismo e i tentativi di riportare il paese a tempi bui, innanzitutto tagliando i diritti dei lavoratori, mettendo all’obbedienza il proletariato. Ingroia da mag-istrato ha condotto inchieste tutte condivisibili, non solo sulla mafia, per le quali oggi viene attaccato. Credo sia stato un magistrato che guardava le cose non solo leggendo le leggi ma anche confrontandole con la realtà sociale e politica del paese; certo sempre applicando e rispettando le leggi, ma con uno sguardo rivolto anche al di là dei codici. Tra le componenti di Rivoluzione Civile, ci sono varie forze, alcune più vicine, altre più lontane da noi, ci sono i partiti e c’è la cosiddetta società civile. Un’espressione che non condivido: quella incivile allora qual’è? Io un’idea ce l’avrei. Parlerei invece di movimenti, rappresentanti di lotte sociali, lotte del lavoro e lotte territoriali, e questa lista può servire anche a questo, a collegare battaglie diverse per far sì che non ci siano focolai dispersi, ma che da tante fiamme si produca un incendio generale.

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