GINECOLOGIA, can. A. 18/ 04/ 2016
Ho riscontrato problemi con l’audio della prima parte della lezione a causa del brusio e dei rumori
di “sottofondo”. Non sono riuscita ad identificare diverse frasi. Avendo richiesto le slides, ho
preferito integrare alla trascrizione di quanto compreso dall’audio alcune parti delle slides,
sperando di rendere il tutto più comprensibile. Segnalo che la registrazione in mio possesso parte a
lezione già iniziata.
PRIMA PARTE: Il difetto di crescita fetale (IUGR), prof.ssa Granese.
[La crescita fetale è il risultato della disponibilità materna di nutrienti, dello scambio placentare e
del potenziale di crescita proprio del feto. Il peso è stato arbitrariamente fissato in un range
compreso tra il 10° e il 90° centile. IUGR (IntraUterine Growth Restriction), corrisponde ad una
condizione in cui un feto non è in grado di raggiungere il suo potenziale di crescita geneticamente
determinato. Questa definizione esclude i feti che sono piccoli per età gestazionale (SGA) ma non
sono patologicamente piccoli. Non tutti i feti SGA sono patologicamente IUGR e, di fatto, possono
essere costituzionalmente piccoli. Allo stesso modo, non tutti i feti che non hanno raggiunto il loro
potenziale genetico di crescita sono al di sotto del 10° percentile di peso stimato fetale (EFW). Il
termine IUGR dovrebbe essere riservato a quei feti nei quali è dimostrata l’evidenza di un’anomala
riduzione della crescita rispetto al proprio potenziale di sviluppo. Questi feti non devono essere
necessariamente piccoli per l’epoca gestazionale.]
I feti possono essere costituzionalmente piccoli perché magari i genitori sono più mingherlini.
Quindi, in questi casi, possono raggiungere il 90° centile e i feti saranno più piccoli. Oppure ci sono
dei feti che, inizialmente, crescono bene arrivando anche 90° centile. Dopo riducono al 30° centile,
mantenendosi comunque al di sopra del 10° centile e sono dei feti che non si sono sviluppati come
avrebbero dovuto fare (presentano un maggiore rischio ipossico). E’ importante riconoscere
questo tipo di feti perché devono essere trattati precocemente.
Il difetto di crescita interessa il 6% delle nascite nei paesi sviluppati ma è più frequente nei paesi in
via di sviluppo (fino al 40%) dove è più probabile che ci siano delle carenze di cibo o altre
problematiche. I feti con difetto di crescita possono avere altri problemi come: un aumento della
mortalità e della morbilità feto/ neonatale; difetti neurologici evidenziabili a distanza nei bambini;
problemi di salute nell’età adulta come sviluppo di malattie cardiovascolari, diabete ed obesità. La
normale crescita intrauterina ha tre fasi: prima fase, in cui si ha un’iperplasia cellulare (le cellule si
modificano, rimanendo più o meno della stessa grandezza); seconda fase, in cui si ha sia un
aumento del numero delle cellule che del diametro cellulare (quindi, iperplasia ed ipertrofia); terza
fase, di ipertrofia (che corrisponde alla fase finale della gravidanza, dove le cellule che si sono
formate si accrescono di volume).
In base alla fase in cui agisce la noxa patogena, i difetti di crescita saranno differenti. Potremo
avere un difetto di crescita simmetrico o asimmetrico. Se la problematica avviene
immediatamente [in stadio I], il difetto sarà simmetrico perché tutte le cellule saranno più piccole.
Le cause possono essere: genetiche, anomalie congenite, infezioni intrauterine, abuso di sostanze,
fumo di sigaretta, radiazioni. Tutte queste noxae agiranno nella prima fase della gravidanza.
Invece, il difetto asimmetrico avviene [per inibizione della crescita in stadio II/III] quando il feto si
è sviluppato però inizia a dimagrire [riduzione del peso fetale con minori effetti sul numero totale
di cellule, sulla lunghezza fetale e sulla circonferenza della testa]. La causa sarà rappresentata
dall’insufficienza uteroplacentare. Dal punto di vista ecografico, bisogna riconoscere i difetti di
crescita perché in quello asimmetrico si vedrà come l’addome inizierà a ridursi mentre la testa e gli
arti si svilupperanno normalmente.
IUGR simmetrico: tutti i valori sono al di sotto del 10° percentile e, quindi, sono feti più piccoli
[peso, lunghezza e circonferenza testa tutti al di sotto del 10° percentile].
IUGR asimmetrico: le dimensioni di testa e lunghezza sono conservati mentre l’addome diventa
più piccolo riducendo il peso del feto al di sotto del 10° percentile.
[IUGR di tipo combinato: il bambino può avere brevità scheletrica e riduzione della massa dei
tessuti molli].
Il feto simmetrico si sviluppa più precocemente [generalmente dopo la 20esima e prima della
30esima settimana di gravidanza] del feto asimmetrico, che, invece, si sviluppa dopo la 30esima
settimana.
[Nel feto simmetrico, il problema della crescita è il risultato di una diminuzione del tasso di
riproduzione cellulare, con conseguente minor numero di esse. Il feto asimmetrico, invece, è il
risultato del mancato aumento della crescita cellulare con conseguente riduzione delle dimensioni
degli organi addominali.]
Vedendo il feto così piccolo fin dall’inizio (se non è tale perché costituzionalmente determinato), si
può sospettare un’anomalia congenita [deficit fetale intrinseco] che spesso è causa di feto
simmetrico [armonico, organi proporzionati, diminuzione numero di cellule]. Nel feto asimmetrico,
il difetto è disarmonico [con normale numero di cellule] e le cause del difetto di crescita spesso
hanno patogenesi vascolare [come l’ipertensione gestazionale]. In un feto simmetrico, cause fetali
possono essere cromosomopatie, malformazioni, infezioni. Le cause esterne che possono agire
provocando un difetto di crescita asimmetrico sono, per esempio, l’asfissia o l’ipossia che
determinano una riduzione del nutrimento fetale.
Tempo fa, si è tenuto un congresso sul difetto di crescita fetale che ha permesso di suddividerlo in
difetto di crescita precoce (E- IUGR) o tardivo (L- IUGR). E’ importante, innanzitutto, distinguere il
feto piccolo dal difetto di crescita e questa è la prima distinzione che è importante fare. Questo si
valuta vedendo la curva di crescita, se rimane sempre la stessa e se i parametri minori sono
sempre un determinato tipo o se sono evidenziabili degli sviluppi come in un feto normale.
Volendo determinare il tipo di IUGR, si deve classificare come E- IUGR o L- IUGR, cioè o un difetto
di crescita che avviene precocemente (prima della 32esima settimana) o successivamente alla
32esima. Questi due tipi di difetti di crescita hanno cause differenti e vengono diagnosticati
seguendo dei parametri differenti.
Il difetto che si sviluppa all’inizio [E- IUGR] è spesso correlato a problemi vascolari (magari
l’impianto non avviene in maniera adeguata) con una vascolarizzazione che non si sviluppa in
modo adeguato e non permette un’adatta nutrizione del feto. Viene diagnosticato e seguito con la
Doppler Flussimetria, valutando le anomalie che avvengono a livello dei vasi ombelicali, cerebrali
e, successivamente, a livello venoso (quindi, c’è una sequenza che si può valutare ed evidenziare
subito). Questo tipo di IUGR viene anche diagnosticato con Doppler ecografia valutando il reflusso
nell’arteria ombelicale. Se l’arteria ombelicale si altera, si valutano successivamente gli altri
distretti. L’E-IUGR è causato da un’inappropriata invasione trofoblastica delle arterie spirali. Si
instaura un problema a livello dell’impianto (come accade per l’eclampsia, per le stesse cause) che
determina il difetto.
L-IUGR, cioè il difetto di crescita tardivo, è dovuto ad un problema di ipossiemia/ ipossia fetale
secondario ad insufficienza placentare per un’immaturità dei villi della placenta. L’arteria
ombelicale non è interessata. Questo difetto è difficile da diagnosticare e, spesso, è causa di morte
uterina sconosciuta e di problemi che il feto avrà successivamente alla nascita che, però, non
vengono diagnosticati in gravidanza. [L-IUGR presenta una prevalenza maggiore di E- IUGR].
In E-IUGR, la crescita – mentre prima si trova al 50° centile – ad un certo punto diminuisce fino ad
arrivare al di sotto del 10° centile e, quindi, in questo caso sarà possibile notarlo e questo sarà il
difetto di crescita che, correlato ad anomalie dell’arteria ombelicale, saremo subito in grado di
diagnosticare e di trattare. In L-IUGR, cioè quello che si sviluppa successivamente (dopo la
32esima settimana), la crescita rimane sempre al di sopra del 10° centile ed ha un’evoluzione
molto più lenta, quasi da passare inosservata. Valutando la flussimetria Doppler nell’arteria
ombelicale, in questo tipo di feti la troveremo nella norma e, quindi, penseremo che il feto cresce
un po’ di meno ma che non ha nessun tipo di problema. Invece, questo tipo di feto può avere dei
problemi e un modo per verificare, nel caso in cui trovassimo una crescita un po’ diminuita,
consiste nel fare il rapporto cerebro- placentare [cerebro- placental ratio (CPR): rappresenta il
rapporto tra l’indice di pulsatilità MCA (arteria cerebrale media) e l’indice di pulsatilità dell’arteria
ombelicale]. Si dovrà fare il rapporto tra l’arteria cerebrale e l’arteria ombelicale. Questo rapporto
nei feti che stanno bene è superiore a 1. Quindi, questo vuol dire che la prima anomalia in questo
tipo di feti [L-IUGR] sarà nell’arteria cerebrale. Valutando questo rapporto, sapremo se il feto che
stiamo studiando è un feto a rischio. Nel caso fosse a rischio, dobbiamo agire come se fosse un
difetto di crescita e, a volte, fare abortire la donna prima perché la mortalità e la morbilità
neonatale in caso di IUGR aumentano significativamente. In questi neonati vi è una
vasodilatazione cerebrale e, per diagnosticarla, occorre che il valore del rapporto cerebro-
placentare sia inferiore a 1. Questo valore identifica una condizione di dilatazione cerebrale di
compenso ad una condizione di ipossia.
Questa, invece, è una curva di crescita in cui siamo sul 10° percentile, che comunque deve essere
sempre valutata […] però rimane sempre sul 10° percentile e, quindi, questo potrebbe essere un
feto costituzionalmente piccolo […].
Le cause di IUGR si dividono in: fetali, placentari e materne. Le CAUSE FETALI sono rappresentate
da: alterazioni genetiche, anomalie congenite e gravidanze multiple. Nell’ambito delle alterazioni
genetiche, le trisomie 21 o 18 contribuiscono a determinare la presenza di feti più piccoli. Per
quanto riguarda le CAUSE PLACENTARI [le anomali primitive della placentazione sono la causa più
frequente di IUGR]: un’arteria ombelicale unica qualche volta si può associare ad un difetto di
crescita, perché non arriva molto sangue; l’inserzione velamentosa del funicolo può determinare
delle perdite di sangue improvvise; una placenta bilobata può favorire dei distacchi che poi
diminuiscono il flusso sanguigno al feto; un corioangioma placentare; una placenta previa può
sanguinare durante la gravidanza e, quindi, diminuire la capacità di scambio materno- fetale.
Nell’ambito delle CAUSE MATERNE, ci possono essere dei fattori genetici: la sorella di una donna
che ha avuto un feto con difetto di crescita può avere un aumentato rischio di IUGR. Tra i fattori
uterini, ci possono essere un alterato impianto (placenta previa, distacco di placenta), setti o
fibromi uterini e, quindi, tutte quelle anomalie uterine che possono causare una diminuzione dello
scambio materno- fetale. Anche le infezioni, come la rosolia o il citomegalovirus (o anche altre),
possono determinare dal 5% al 10% dei difetti di crescita fetali. I fattori nutrizionali possono avere
anche un ruolo: se una donna, ad esempio, riduce l’assunzione di proteine, può ridursi la crescita
fetale [è necessaria una grave malnutrizione materna nel III trimestre perché si verifichi una
riduzione del peso fetale del 10%]. Un ruolo può averlo l’anoressia o le donne gravide durante le
guerre o le carestie (tutti i casi in cui si osserva una riduzione dell’apporto nutrizionale). Tante
malattie, come, ad esempio, l’ipertensione gestazionale e quella cronica, il diabete, la pre-
eclampsia, le nefropatie, il lupus eritematoso sistemico, l’asma o l’anemia. Dunque, tutte quelle
situazioni in cui diminuisce l’ossigeno (come nell’asma) o se c’è una malattia che agisce a livello dei
vasi e, quindi, può determinare anche un difetto a livello dei vasi placentari dando un IUGR.
L’utilizzo di droghe (tabacco, alcool, oppiacei) può determinare una riduzione della crescita fetale
agendo a livello della vascolarizzazione e determinando uno stress ossidativo. Fumare in
gravidanza più di 10 sigarette aumenta la possibilità che il feto, in età adulta, possa sviluppare
malattie neoplastiche come leucemie o linfomi. Il consumo di alcool in gravidanza predispone alla
Sindrome alcolica fetale che può determinare difetti di crescita [interferendo con la biologia dei
fibroblasti e del collagene e, quindi, coi processi morfogenetici di crescita fetale]. Gli oppiacei [in
particolare, eroina e metadone] possono determinare alterazioni del metabolismo dei carboidrati
e dei livelli ematici di GH favorendo, quindi, anomalie della crescita fetale. Altri fattori materni
causa di IUGR possono essere l’altitudine (per la riduzione dell’ossigeno) o i farmaci (come
warfarina, anticonvulsivanti, antineoplastici, antagonisti dell’acido folico).
Le lesioni vascolari utero- placentari [incompleto o assente adattamento vascolare utero-
placentare, necrosi fibrinoide e aterosi del vaso, trombosi dei vasi utero- placentari, vasculite
(sindrome da anticorpi antifosfolipidi)] possono determinare facilmente una diminuzione degli
scambi materno- fetali. Di conseguenza, le arterie spirali si possono dilatare per favorire lo
scambio. [Nella gravidanza fisiologica la capacità di adattamento utero- placentare dipende in gran
parte dall’adeguato rimodellamento delle arterie spirali secondario all’invasione trofoblastica]. Se
c’è un mancato adattamento di queste arteriole o una mancata placentazione, si può determinare
un difetto di crescita. [Il mancato adattamento vascolare è caratterizzato dalla permanenza della
lamina elastica e muscolare delle arterie spirali]. In questa foto vedete le arteriole sia nell’utero
non gravido che nell’utero al secondo trimestre: in quest’ultimo caso, le arterie spirali sono
dilatate. Il rimodellamento delle arteriole spirali riduce la resistenza arteriosa al flusso materno di
sangue ed aumenta la perfusione utero- placentare per soddisfare le esigenze del feto. [I disturbi
del rimodellamento sono associati al mantenimento di un’alta resistenza vascolare utero-
placentare, a IUGR e a pre- eclampsia]. Le arteriole spirali sia nella pre- eclampsia che nel difetto di
crescita non si dilatano a dovere e non raggiungo la situazione ottimale per favorire un adatto
scambio materno- fetale. Nella maggior parte dei difetti di accrescimento, vi è una persistenza di
un flusso ad alta resistenza delle arterie spirali [che potrebbe causare una condizione di
ipoperfusione placentare con conseguente riduzione dell’ossigenazione fetale]. La trombosi dei
vasi utero- placentari e la villite cronica (che è comunemente associata alla vasculite feto-
placentare) possono determinare una riduzione dell’invasione trofoblastica. [La villite cronica è
considerata una caratterista dell’infezione da TORCH, ma ricorre anche nelle sindromi autoimmuni
come da anticorpi antifosfolipidi].
La lesione placentare determina un aumento della resistenza a livello dell’arteria ombelicale e
conseguentemente del carico ventricolare sinistro. [Il peggioramento di questa situazione può
determinare una] dilatazione ventricolare sinistra fino ad arrivare allo scompenso. Il feto, per
reagire all’aumento della resistenza in tutto il circolo sistemico, va […] e, quindi, a livello cerebrale.
Di conseguenza, si potrà avere un E- IUGR (quindi, prima della 32esima settimana): prima
alterazione a livello dell’arteria ombelicale con aumento delle resistenze (quindi, con l’ecografia e
con il Doppler è possibile accorgersene, oltre al fatto che la crescita diminuisce in maniera molto
più evidente); secondariamente, avviene una vasodilatazione a livello cerebrale per compensare la
riduzione del flusso di sangue al cervello; l’aumento delle resistenze periferiche e, quindi, anche a
livello renale, determina una diminuzione della perfusione dei reni e, di conseguenza, si avrà
un’oliguria e un oligoidramnios (il liquido amniotico è formato soprattutto dall’urina fetale e,
quindi, se l’urina fetale è inferiore, diminuisce il liquido). [Adattamento fetale all’ipossia:
centralizzazione del circolo (brain sparing) -> riduzione delle resistenze a livello dell’arteria
cerebrale. L’aumento delle resistenze a livello periferico determina ipoperfusione renale-> oliguria
-> oligoidramnios]. Diminuisce la crescita, diminuisce il liquido amniotico, aumentano le resistenze
a livello dell’arteria ombelicale, si riducono le resistenze a livello dell’arteria cerebrale. Questo,
quindi, è il quadro di E-IUGR (difetto di crescita
precoce). A livello ematologico, avremo elevata
concentrazione di emoglobina con macrocitosi
ed eritroblastemia, perché si cerca di
aumentare il numero dei globuli rossi in
risposta all’ipossia [con la mediazione
probabilmente dell’eritropoietina].
MANAGEMENT: in questi casi, dovremo
effettuare l’anamnesi, fare il Doppler delle
arterie uterine, con l’ecografia possiamo
diagnosticare il difetto di crescita con il
Doppler. In base all’epoca gestazionale e alla
maturità polmonare, si può stabilire l’epoca del parto. Se siamo in una fase precoce, bisogna
valutare rischi e benefici. Bisogna stabilire se fare una biometria di controllo (per vedere la gravità
del difetto di crescita presente), valutare il liquido amniotico (vedere se tende a ridursi
notevolmente) ed effettuare la flussimetria fetale (vedere se tende a peggiorare), valutare il
profilo biofisico (come il tono […] soluzione fetale), fare una cardiotocografia [NST] se siamo in
un’epoca in cui è possibile farla.
[La diagnosi di ritardo di crescita è esclusivamente ecografica]. Per fare una diagnosi di difetto di
crescita, dobbiamo essere sicuri della datazione della gravidanza perché se c’è già stata una
ridatazione nel primo trimestre bisogna saperlo
perché il feto è stato ridatato. Quindi, bisogna
sapere l’esatta datazione della gravidanza e
quant’era la crescita nelle ecografie precedenti.
Occorre effettuare la misurazione della lunghezza
vertice- sacro [CRL] nel primo trimestre o del
diametro biparietale [BPD]. Sia nel difetto di
crescita simmetrico che in quel asimmetrico, sia
nel difetto precoce che in quello tardivo, occorrerà
monitorarli perché si tratta di feti a rischio. […]
Attraverso le curve di crescita, possiamo valutare […] questi sono feti che piano piano con difetto
di crescita progrediscono e generalmente crescono bene […]
Il Doppler […] ora vi faccio vedere come il doppler […] e il nomale spetto flussimetrico dell’arteria
ombelicale che è questa, è nella norma,
con una diastole presente. Nel caso in cui
avremo questa situazione, cioè mancanza
della diastole o reversed end diastolic
flow (cioè inversione), questo sarà un
feto che avrà delle conseguenze a livello
cerebrale e, quindi, dobbiamo evitare di
arrivare a questo livello. [Il flusso
diastolico normale in un feto con ritardo
di crescita è tranquillizzante e richiede
sola una valutazione a distanza di tale
flussimetria insieme alla crescita ed alla
quantità di liquido amniotico].
Valuteremo l’arteria cerebrale media [MCA], cioè la branca interessata dalla vasodilatazione.
Questo è il flusso normale. Nell’arteria cerebrale, le resistenze sono sempre più o meno alte. [In
condizioni fisiologiche la circolazione in MCA è ad alta impedenza]. Nel caso di un’iniziale
sofferenza fetale e, quindi, di uno stato di compenso, ci sarà una diastole maggiore e, quindi, le
resistenze diminuiscono. Quindi, c’è già stata una ridistribuzione. [In condizioni di ipossia avviene
la ridistribuzione del flusso con aumento della portata nel cervello. Nello studi flussimetrico della
MCA, tale ridistribuzione si manifesta con una riduzione delle resistenze].
Successivamente, valuteremo il dotto venoso nel caso in cui la gravida sia in una settimana molto
precoce, per cui se riusciamo a recuperare qualche giorno è un bene. Il dotto venoso è un piccolo
vaso che si trova tra la vena ombelicale e la vena cava
inferiore. [Svolge un ruolo fondamentale nel
direzionare gran parte del sangue ossigenato al
cervello fetale]. In questo dotto passa il 20% del
sangue ossigenato [di derivazione dalla placenta. Il
restante 80% si distribuisce al fegato]. Dalla vena
ombelicale, il sangue ossigenato arriva direttamente
alla vena cava inferiore [tramite il dotto venoso] senza
passare dal fegato. Nel caso in cui sia presente una
sofferenza con riduzione di ossigeno, si ha una
vasodilatazione e tutto il sangue ossigenato che arriva
alla vena ombelicale e che deve essere distribuito a
tutto il corpo passa direttamente nel dotto venoso
che si dilata e passa il 70% del sangue [il 30% di
sangue va al fegato ed il 70% nel dotto venoso] e,
quindi, questo sangue tutto ossigenato arriva subito al cuore […] per cui quando si ha l’ipossia,
valutando il
dotto venoso,
si può vedere
se ci sono delle
variazioni
nell’onda di
questo vaso.
[…] bypassa la
circolazione del
fegato e arriva
direttamente all’atrio di destra. Il dotto venoso ecograficamente si vede perché ha un flusso […]
perché c’è una zona più turbolenta che, essendo un vaso piccolo, ovviamente il flusso sarà più
veloce. Normalmente ha questo tipo di onda, cioè ci sono due picchi e poi la diastole. L’onda a
corrisponde ad una diastole molto ampia. Se, invece, c’è un’anomalia e, quindi, una problematica
di ipossia, questo dotto venoso perde la diastole e, quindi, l’onda a potrà essere assente o
invertita. Questi sono i feti che devono nascere immediatamente, a prescindere dall’epoca
gestazionale, a prescindere della condizione dei polmoni, perché hanno grossi rischi cerebrali.
[…] Con la Doppler- Flussimetria si può valutare lo stato di […]. In caso di reverse flow sull’arteria
ombelicale, la mortalità neonatale aumenta del doppio. Questo per quanto riguarda i feti con E-
IUGR. Per quanto riguarda i feti con L- IUGR (con ritardo di crescita tardivo) dovremo andare a
valutare il rapporto cerebro- placentare [CPR], perché questo è il test più utilizzato per andare a
valutare se il feto rimarrà […], di conseguenza non avremo questa alterazione come nell’altro, cioè
dell’arteria ombelicale, dell’arteria cerebrale e del dotto venoso, ma può ottenere qualcosa […]
valutare se c’è vasodilatazione cerebrale in compenso all’ipossia.
Le arterie uterine possono essere valutate con il Doppler delle uterine [che permette di
identificare le gravidanze a rischio di sviluppare in seguito ritardo di crescita intrauterino]. Sia in
altre patologie come la pre-eclampsia che nella IUGR, soprattutto nel primo e nel secondo
semestre (20 – 24 settimane), se c’è un’anomala placentazione le arterie uterine avranno una
resistenza molto più alta oppure la presenza di notch. [Nel caso di una placenta correttamente
sviluppata le arterie uterine presenteranno un flusso adeguato anche durante la diastole, mentre
nel caso di insufficienza placentare la differenza tra il flusso sistolico e il flusso diastolico sarà
maggiore e potrà essere presente un’incisura nel flusso all’inizio della diastole, chiamato notch].
Non c’è una sensibilità altissima perché alle volte lo facciamo però non diciamo nemmeno alla
donna che c’è un rischio di avere un […]. Al limite, se già la donna ha avuto dei precedenti di pre-
eclampsia o di difetti di crescita possiamo dare una terapia. Sennò, visto che non si ha la sicurezza
al 100%, cioè lo screening non ha efficacia altissima, non allarmiamo la donna ma la teniamo sotto
controllo, magari facendo dei controlli più ravvicinati. A 24 settimane è l’epoca in cui
maggiormente si ha una sensibilità più alta del test. Valuteremo l’indice di pulsatilità [PI] e l’indice
di resistenza [RI] e/o la presenza di notch a livello dell’arteria uterina. [La presenza di RI medio >
0,65 o PI medio > 1,45 e/o la presenza di notch bilaterale viene considerato un reperto anormale.
Il notch monolaterale non viene considerato reperto di anomalia]. Se la placentazione avviene
normalmente, l’arteria uterina ha una bassa resistenza e, quindi, avremo un flusso simile a quello
ombelicale con una buona onda diastolica. Il pattern anomalo è caratterizzato da un aumento
della resistenza e un notch che indica che c’è una resistenza elevata e, quindi, probabilmente si
potrà sviluppare successivamente una patologia quale la pre- eclampsia o un difetto di crescita. Lo
screening, però, non fornisce la diagnosi di certezza. Si potrebbe dare l’aspirina o qualcosa che
vasodilati e migliori la performance della gravidanza e poi, in base ai casi, sostituirla durante
l’allattamento. Nel caso fosse presente un difetto di crescita e le arterie uterine fossero nella
norma, questo potrebbe in qualche modo indicare quale potrebbe essere la patogenesi. Magari,
invece di pensare solo ad una problematica vascolare, si potrebbero andare a ricercare le altre
possibili cause in grado di determinare il difetto di crescita, dato che la circolazione va bene. [Un
feto piccolo con uterine e ombelicali normali è verosimilmente tale per motivi costituzionali].
La cardiotocografia [CTG] può essere utilizzata in questo difetto perché ci potrebbero essere, nel
caso di un feto ipossico, decelerazioni o riduzioni della variabilità del tracciato (tracciato ristretto).
Le alterazioni della cardiotocografia sono […] rispetto a quelle della flussimetria e, quindi, con la
flussimetria potremo fare diagnosi molto più facilmente. [Le alterazioni della CTG si verificano
quando l’arteria cerebrale media ha perso la vasodilatazione compensatoria].
TRATTAMENTO: la prima cosa da fare è valutare l’anamnesi e capire se ci sono stati fattori di
rischio come, per esempio, vedere se la donna ha altre malattie, se ci sono delle problematiche di
riproduzione, se c’è abuso di sostanze. Si può eventualmente trattare utilizzando delle
precauzioni: se la donna non mangia, aggiungendo delle proteine; se la donna ha la pressione alta,
dandole una terapia anti- ipertensiva, per vedere se si può proseguire […] difetto di crescita. Se,
invece, non c’è una problematica a livello
placentare, non può essere fatto niente se non
monitorare e vedere se la situazione peggiora in
maniera repentina o meno. Si potrebbe
successivamente dare del cortisone per favorire la
maturazione e far crescere in modo da far
partorire la donna. [Fare monitoraggio pressorio/
24h]. Si eseguiranno gli esami del sangue
[emocromo, coagulazione, funzionalità epatica e
renali, diuresi e proteinuria delle 24h,
microalbuminuria]. Si consiglierà alla donna di
riposare a letto in posizione laterale sinistra per
migliorare la perfusione. Dare dei liquidi,
migliorare la minzione della donna. Si è visto che
anche il riposo a letto può migliorare la crescita
fetale. Gli steroidi vengono utilizzati per ridurre
l’incidenza della sindrome da distress del neonato,
l’emorragia intraventricolare e la mortalità
associata ai difetti di crescita. Bisogna far smettere
di fumare le donne fumatrici perché anche questo
cambiamento può migliorare la situazione. [La terapia della condizione di base migliora
l’outcome]. Importante la profilassi con aspirina a basse dosi che potrebbe in qualche modo
migliorare la situazione, ma solo se iniziata prima della 16esima settimana gestazionale, perché
oltre (una volta che la placentazione è avvenuta) non cambia nulla e, quindi, in questo senso forse
nella sindrome precoce dell’arterie uterine si potrebbe
fare una prevenzione del difetto di crescita.
Per quanto riguarda il timing del parto, il tutto
dipenderà dalla flussimetria e dalla crescita perché in
base all’epoca gestazionale ed in base al peggioramento
della flussimetria, si stabilirà il parto: più giorni se siamo
convinti che si potrà recuperare […]. Fino a 29 settimane,
ogni giorno in utero aumenta la sopravvivenza del 2% e,
quindi, capite bene […]. Se il feto è già ipossico o ci sono
delle alterazioni, meglio far nascere con il cesareo. Se la
donna ha associati ipertensione o pre- eclampsia, prima
ancora di decidere se far nascere il feto, occorre
stabilizzare la madre [perché anche le condizioni
materne devono essere prese in considerazione in
questo caso per la scelta corretta del momento del
parto]. È indicato stabilire i rischi ed i benefici in base
alle settimane, in base alle condizioni materne, in base
alla flussimetria. Stabilire se è più rischioso che il feto
rimanga in utero […] e, quindi, il parto spontaneo. Se la
flussimetria va bene e non ci sono determinate
indicazioni che non permettono un parto spontaneo, si
può anche tentare, tenendo conto che tutte le volte in
cui c’è un’acidosi e, quindi, un difetto di crescita grave, è
importante […].
SECONDA PARTE: il puerperio, prof.ssa Le Donne.
Il puerperio è il periodo che inizia subito dopo l’espulsione della placenta e termina con la ripresa
dell’attività ciclica ovarica che si era interrotta con la gravidanza. Durante questo periodo, che
dura circa 6- 8 settimane, avvengono alcune modifiche che riguardano soprattutto gli organi
riproduttivi che ritorneranno ad uno stato pregravidico. Ci sarà anche una scomparsa delle
modifiche generali (anatomo- funzionali gravidiche) e una modifica a carico della mammella per
l’allattamento ed il mantenimento della lattazione. Sulla lattazione dirò delle cose che sui libri non
trovate.
Le modifiche locali riguardano la cervice uterina che necessita di diversi giorni per rimodellarsi e
ricostruirsi dopo che è andata incontro a modifiche durante il parto, cioè l’accorciamento e la
dilatazione completa. Questo discorso, ovviamente, riguarda il parto fisiologico per via vaginale e
non riguarda il parto per taglio cesareo perché un parto operativo non comporterà sempre
modifiche del collo, a meno che la donna non abbia fatto il travaglio fino alla fine e poi sia stata
sottoposta a cesareo per qualche problema incorso durante il travaglio. Se c’è un taglio cesareo
programmato e la donna, quindi, non ha la possibilità di avere le contrazioni ed il travaglio, non
avrà nemmeno le modifiche a carico del collo dell’utero. La cervice che, invece, ha subito tali
cambiamenti avrà bisogno di diversi giorni per rimodellarsi e ricostituirsi e, anche molti giorni
dopo il parto, il collo risulterà ancora beante di uno o due dita. Noi facciamo dimissioni abbastanza
precocemente, in seconda- terza giornata dal parto, e, quindi, spesso alla dimissione abbiamo
ancora il collo dell’utero leggermente dilatato. Dopo 7 giorni si apprezzerà di nuovo il collo
perfettamente ricostituito e si avrà anche la riformazione del canale cervicale. Raggiungerà,
dunque, lo spessore tipico dell’età fertile. Però, l’orifizio uterino esterno non riacquista più
l’aspetto pre- gravidico in quanto l’epitelio cervicale subisce delle modifiche e spesso ci sarà un
ectropion della portio (anche detta “ectopia periorale”), cioè uno scivolamento dell’epitelio
endocervicale cilindrico nella zona che sporge in vagina (nella esocervice). Quindi, si vedrà una
parte di epitelio cervicale cilindrico laddove dovremmo avere un epitelio piatto e questo si chiama
ectopia (o ectropion) periorale. L’ectropion periorale si può avere, però, anche in donne che non
hanno mai partorito e in quel caso ce l’hanno geneticamente e non è dovuto chiaramente al parto.
Anche le pliche della mucosa vaginale subiscono delle modifiche che consistono in una riduzione:
più parti avrà una donna, meno pliche vaginali avrà.
Dopo il parto, il fondo uterino si trova al livello dell’ombelicale trasversa e ci sarà una lieve risalita
del fondo uterino per il fatto che la vescica è in genere piena e, quindi, va svuotata. La contrazione
del miometrio rende l’utero ischemico nei primi giorni. Dove vi è stato il distacco della placenta,
nella zona in cui la placenta era inserita, appena la placenta si distacca ci sono tutte le arteriole
spirali completamente boccheggianti ed aperte. Da lì fuoriesce sangue. La donna, però, non si
anemizza, non dovrebbe avere un’emorragia imponente, perché subisce una contrazione
dell’utero che comporta a un’occlusione meccanica di questi vasi. Quindi, si ha all’inizio
un’emostasi meccanica. Successivamente comincia il processo di coagulazione che determinerà
un’emostasi definitiva di questi vasi. La contrazione dell’utero è, quindi, necessaria dopo il parto.
Le doglie continuano anche dopo e, se non continuano, si devono stimolare perché un utero che
non si contrae dopo il parto sarà motivo di emorragia del postpartum, sia perché non si occludono
quei vasi ed anche perché certe volte queste mancate contrazioni possono essere dovute ad una
ritenzione o di membrane oppure di qualche cotiledone placentare. Le contrazioni uterine, che
sono importanti per la preparazione del collo dell’utero e per il travaglio, ci saranno anche dopo il
parto, anche nei giorni successivi, e saranno importanti sia per l’emostasi meccanica delle arteriole
spirali che per il ridimensionamento, la ricostituzione ed il rimpicciolimento dell’utero. Quindi, la
contrazione miometriale rende l’utero ischemico. Dopo 2 giorni va incontro a involuzione e in
decima giornata non è più palpabile sopra la sinfisi pubica. C’è una rapida involuzione dell’utero.
Tornerà ai volumi pre- gravidici entro 4 settimane. Queste contrazioni, nelle donne che hanno
partorito più volte, sono talmente forti che vengono dette “morsi uterini” e si hanno spesso in
corrispondenza della poppata lattea. Il peso dell’utero va da 1 kg nell’immediato postpartum a 500
g dopo 7 giorni, si riduce a 300 g dopo 14 giorni, fino a 100- 60 g che corrisponde al peso normale
pregravidico.
L’involuzione dell’utero comporta un’autolisi di proteine parenchimali e stromali i cui prodotti di
degradazione vengono in parte riassorbiti ed in parte vengono eliminati con la lochiazione. Le
perdite che la donna presenta dopo il parto sono, innanzitutto, delle perdite ematiche e questi
lochi (chiamati “lochi ematici”) sono francamente ematici per i primi giorni. Poi si modificano e
diventano siero- ematici. Successivamente assumono un colorito bianco- giallo. Queste perdite
sono anche prodotti di degradazione delle proteine parenchimali. Entro 2- 3 giorni la decidua si
caratterizza in due strati: quello superficiale va incontro a necrosi, si sfalda e costituisce la
lochiazione; quello basale [adiacente al miometrio], invece, rimane intatto perché costituirà il
rinnovato endometrio (se ci sarà una nuova gravidanza, si trasformerà di nuovo in decidua, ecc).
Entro poche ore nella sede di distacco placentare si ha una trombizzazione dei vasi con successiva
evoluzione verso un trombo definitivo (entro 2- 3 ore dal secondamento) ed entro 2- 3 giorni, in
questa zona di distacco, si ha un’invasione di leucociti che formano una vera e propria barriera
leucocitaria che impedisce che i germi presenti in vagina (perché la vagina non è un ambiente
sterile) possano farsi strada lungo i vasi che si trovano nell’area di distacco e, quindi, arrivare in
circolo e determinare una sepsi. È importante che ci sia questa protezione da parte dei leucociti.
La riepitelizzazione della zona di distacco avviene entro 3 settimane senza lasciare una cicatrice ma
con completa restitutio ad integrum (in questa zona, non ci sarà nessun esito cicatriziale). La
riepitelizzazione consentirà di ricreare la situazione precedente in modo da far sì che nelle
successive gravidanze si possano avere nuovi impianti anche in quella zona, perché se ad ogni
parto rimanesse una cicatrice nella zona di distacco, ci sarebbe poi un impianto anomalo del
prossimo concepimento e, quindi, si potrebbero anche avere anomalie di impianto della placenta.
Questo non succede perché si ha una restitutio ad integrum.
LOCHIAZIONE. Vengono detti
lochia rubra quelli presenti dal
primo al quarto giorno del post
partum. Sono ematici, con detriti
tissutali, piccoli coaguli e
microrganismi. Possono avere un
odore caratteristico, abbastanza
intenso, di lavatura di carne.
Successivamente diventano siero-
ematici e poi sierosi [lochia
serosa], hanno un colorito rosa-
marrone. Sono presenti in questa
fase i leucociti e, questi lochi, sono
inodori. Dalla prima alla terza
settimana postpartum, la donna
avrà delle perdite giallo crema o
marrone, dovute alla degenerazione grassa delle cellule deciduali e possono avere un odore di
marcio, un odore caratteristico molto acre [lochia alba].
MODIFICHE GENERALI. La donna, come aveva subito delle modifiche generali durante la
gravidanza, così dopo il parto rientrano tutte queste modifiche. Nelle prime 24- 48 ore sarà
presente una bradicardia (se, invece, la donna è tachicardica bisogna sospettare che ci sia
qualcosa che non va, come un’emorragia, una sepsi o un’infezione). Nell’immediato postpartum,
la donna presenta un brivido fisiologico. Ci sarà un aumento del lavoro e della gittata cardiaca. Ci
possono essere degli episodi di ipertensione e, quindi, bisogna stare molto attenti ad esempio alle
donne che hanno avuto una pre- eclampsia o un’ipertensione gestazionale, perché i picchi
ipertensivi si possono avere nel puerperio (anche in seconda o terza giornata). Abbiamo avuto
anche delle sindromi di HELLP (complicanze della pre- eclampsia) nel puerperio inoltrato. Si
avranno anche delle modifiche dell’ematocrito. La donna che partorisce o per via vaginale o per via
laparotomica perde sangue e, nonostante ci sia stato un aumento dell’ematocrito perché è
aumentato il volume del plasma, si avrà comunque una riduzione dell’emoglobina. Bisogna,
dunque, attenzionare questo parametro anche più in là nel puerperio. Anche quando la donna
viene dimessa, non dovrà dimenticare di controllarsi e di continuare la terapia marziale (se la
faceva) e la terapia con acido folico. Spesso succede che la donna, fino a che deve partorire,
effettua tutti i controlli e tutte le terapie ma, dopo che partorisce, dimentica completamente se
stessa, dedicandosi al neonato, e spesso non prende più la terapia, non effettua più controlli.
Dunque, il ginecologo deve ricordarle di fare quello che faceva anche prima. La leucocitosi
neutrofila rimane. Si avrà una iperfibrinogenemia (come anche in gravidanza) che durerà fino alla
settima giornata. Quello che c’era già
in gravidanza continua, purtroppo,
nelle prime fasi di puerperio, cioè la
tendenza alla stipsi. Dopo il parto,
l’episiotomia, che è quel taglietto
che viene effettuato per favorire
l’espulsione, o i punti che ci sono a
livello perineale, fanno sì che la
donna non riesca ad andare di corpo
nei primi giorni del postpartum per
un riflesso correlato alla defecazione
dolorosa (teme ad andare di corpo
soprattutto se ha avuto dei punti od
un parto difficile) e le emorroidi, se
precedentemente presenti, si
aggravano. Si aggravano ancora di più con la stipsi persistente. In questi casi, si può intervenire
sull’alimentazione (che deve essere ricca di fibre) ma anche con la mobilizzazione precoce dopo il
parto, che è importante anche per il ripristino della funzionalità intestinale. Se ci sono delle
elevazioni termiche durante la prima settimana, esse vengono definite “febbrili” soltanto se ci
sono due rilevazioni >38° in almeno due periodi di 24 ore. Questo perché durante la montata
lattea, che abitualmente avviene tra il secondo ed il terzo giorno, si ha anche un lieve rialzo
termico che è, quindi, fisiologico. Si possono avere poliuria, sudorazione e chetonuria che
scompaiono dopo 3 giorni. E’ possibile osservare perdita di basi azotate con le urine nelle prime 2
settimane con un lieve aumento conseguente dell’azotemia.
LATTAZIONE: è un fenomeno caratteristico del puerperio ed avviene soltanto in tale periodo. La
preparazione della mammella avviene molto prima del parto. È possibile distinguere 4 periodi (o
fasi) della lattazione: 1) mammogenesi; 2) lattopoiesi; 3) galattopoiesi; 4) eiezione.
Mammogenesi. Lo sviluppo e la preparazione della ghiandola mammaria che comincia in fase
puberale, continuano dopo il menarca e si completano durante la gravidanza. Si ha sviluppo degli
acini ghiandolari per azione di Estrogeni e Progesterone e, sempre durante la gravidanza, si ha
l’azione sinergica di altri ormoni quali insulina, GH, ormone lattogeno placentare (HPL). HPL viene
prodotto dalla placenta poiché essa è un organo endocrino a tutti gli effetti e non funziona solo
per gli scambi. Estrogeni e progesterone, insieme agli altri ormoni, completano lo sviluppo della
ghiandola mammaria. La ghiandola mammaria, già durante la gravidanza, ha una minima attività
secretiva e, infatti, nelle ultime settimane di gravidanza, la donna può avere una secrezione
chiamata colostro (comincia già nella seconda metà della gestazione). Però, non si verifica la
produzione di latte durante la gravidanza perché prevale una inibizione periferica di estrogeni e
progesterone, che sono presenti ad altissime concentrazioni durante la gravidanza, rispetto alla
Prolattina. Quindi, c’è una inibizione finché la donna partorisce. Dopo il parto, questo blocco viene
rimosso e, quindi, potrà esserci un aumento della prolattina.
Lattopoiesi. La prolattina è l’ormone principale responsabile della biosintesi del latte. Nei primi 7
giorni dopo il parto si abbassa del 50%. Però, la suzione ne determina l’aumento di 20- 30 volte. Il
neonato viene subito attaccato al seno dopo il parto perché la suzione va a determinare un riflesso
(riflesso mammillo- ipotalamo- ipofisario) che favorisce la secrezione di ormoni da parte
dell’ipofisi, sotto stimolo dell’ipotalamo, rappresentati dalla prolattina e dall’ossitocina.
L’ossitocina viene prodotta dalla neuroipofisi mentre la prolattina dall’adenoipofisi. L’ossitocina
determina la contrazione uterina e, quindi, appena il neonato si attacca al seno compare il morso
uterino (contrazioni abbastanza dolorose). L’ossitocina serve anche a far contrarre delle
fibrocellule muscolari lisce che si trovano attorno ad ogni acino della ghiandola mammaria. Queste
fibrocellule sono dette “a paniere” perché sono come una specie di cestino che si trova sotto
l’acino ghiandolare e, quando arriva l’ossitocina, si contraggono e facilitano l’eiezione di latte.
Nella lattopoiesi sono presenti 2 fasi: fase colostrogena, che compare già in gravidanza e continua
nei primi 4- 5 giorni del postpartum; fase lattogena o montata lattea, che avviene tra 3°- 4° giorno
(a volte anche al 2° giorno) del postpartum e coincide con la scomparsa in circolo di estrogeni e
progesterone, che prima l’avevano inibita. La montata lattea dura 24 ore e durante questo
intervallo di tempo le mammelle sono molto turgide, congeste e dolenti. In alcuni casi, può essere
accompagnata da cefalea e da un rialzo termico. Esiste una notevole differenza tra colostro e latte
vero e proprio poiché il colostro è meno nutriente del latte.
Galattopoiesi: mantenimento della secrezione lattea basato sul riflesso mammillo- ipotalamo-
ipofisario. La suzione determina un rilascio continuo di prolattina, di ossitocina e di TSH. La
prolattina è responsabile della quantità di latte secreto e della presenza in esso della caseina, degli
acidi grassi e del lattosio. L’ossitocina determina la contrazione delle fibrocellule muscolari
perialveolari e periduttali, con eiezione di latte. La quantità e la qualità di latte dipendono anche
dalla disponibilità di altri ormoni in circolo, che sono l’insulina ed il cortisolo.
Eiezione del latte: lo stimolo parte dai
recettori tattili dell’areola e porta alla
liberazione in circolo, da parte della
neuroipofisi, dell’ossitocina che stimola la
contrazione delle cellule mioepiteliali
perialveolari. L’ossitocina è anche
importante per le contrazioni uterine e per
l’involuzione uterina. Durante l’eiezione del
latte, sono presenti 2 fasi: la fase di
espulsione del latte posteriore, che è più
ricco in protidi e lipidi; la fase di deflusso.
Ci sono delle controindicazioni e degli
ostacoli all’allattamento naturale che
possono essere materne o neonatali, locali
o generali. Materne locali: ipogalattia,
agalattia; anomalie del capezzolo (piatto o
rientrato), ma ci sono dei presidi in questo caso per ovviare a questo inconveniente; ragadi, ferite
che si formano nel capezzolo non idratato bene da cui esce del sangue (in questo caso,
l’allattamento al seno è controindicato per due motivi: 1) il neonato ingerisce sangue oltre che
latte; 2) la continua suzione aggrava le ragadi che sono dolorosissime). In questo caso, la donna
può comunque tirarsi il latte col tiralatte ma deve anche curare queste ragadi. Altra
controindicazione è la mastite, cioè l’infezione a livello dei dotti galattofori che può portare febbre
e, in alcuni casi più gravi, anche sepsi. Neonatali locali: malformazioni di orofaringe, esofago e
trachea; infezione orofaringea. Materne generali: malattie croniche gravi, malattie acute gravi,
malattie con pericolo di contagio (per esempio, varicella recente). Poi, ci sono donne che hanno
un’avversione, che non vogliono allattare. Una volta si diceva anche che l’allattamento poteva
intaccare l’estetica del seno. Da considerare anche la presenza di protesi in donne che si sono
rifatte il seno: non ci sono controindicazioni in questo caso perché la ghiandola si trova davanti alla
protesi.
Assistenza alla madre nel puerperio fisiologico. Fare i controlli clinici. Alla mattina, dalla puerpera
passa sia l’ostetrica che il medico e
vanno a controllare i parametri
generali, lo stato generale della
donna, il colorito, la temperatura, il
polso, la pressione e tutti i parametri
vitali. Deve essere valutata anche
l’altezza del fondo uterino che, a
seconda della giornata in cui la
puerpera si trova, dovrà
progressivamente abbassarsi.
Dovranno essere controllate le
caratteristiche delle lochiazioni: è
importante andare a controllare le
caratteristiche dei lochi, se sono
ematici normali o se sono
emorragici. Nelle prime due ore del
postpartum, la donna viene tenuta
in sala travaglio per poterla
monitorare e vedere se la
lochiazione è normale, per poi
trasferirla in reparto. Quindi, nelle
prime due ore viene tenuta sotto
osservazione per valutare
l’eventuale presenza di
problematiche, come l’emorragia. Vanno controllate in reparto, nei giorni successivi, le eventuali
ferite episiotomiche (se la donna ha avuto l’episiotomia) e l’episioraffia (quindi, il tagliatto
perineale) o le ferite laparatomiche se la donna è stata sottoposta a cesareo. Inoltre, vanno
controllati gli arti inferiori per assicurarsi che non ci sia una tromboflebite. Nei primi giorni, la
temperatura può subire dei rialzi. Occorre approfondire la diagnosi quando si ha una pressione
elevata stabilmente ≥ 140/ 90 mmHg, polso stabilmente ≥ 100/ min, temperatura ≥38°C,
soprattutto se associata ad altri segni e sintomi o se perdura più di 24 ore. Importante è
controllare il perineo. Indicazione all’approfondimento diagnostico sono la presenza di dolore e di
edema. Quando la donna lamenta dolore alla ferita, per esempio. Vi è indicazione per un
approfondimento diagnostico quando si ha una ridotta involuzione dell’utero. Se l’utero,
nonostante la donna sia in prima o seconda giornata, rimane all’ombelicale trasversa bisogna
essere preoccupati. Bisogna vedere, innanzitutto, se la donna urina spontaneamente e
regolarmente perché ci può essere una difficoltà alla minzione nel postpartum e se la donna non
urina si forma un globo vescicale che fa rialzare l’utero. Quando l’utero rimane fermo
all’ombelicale trasversa in prima giornata occorre controllare subito che la donna abbia svuotato
la vescica e, se permane questo utero alto, verificare se ha una buona lochiazione. Nelle donne
che hanno fatto il cesareo, a volte il collo uterino completamente chiuso, se non viene dilatato,
impedisce la fuoriuscita della lochiazione che, quindi, andrà a riempire la cavità uterina. In quel
caso, bisogna fare una dilatazione manuale e far fuoriuscire la lochiazione in modo tale che l’utero
possa anche contrarsi. Occorre anche preoccuparsi se i lochi sono maleodoranti, troppo
abbondanti e se c’è la febbre.
COMPLICANZE DEL PUERPERIO. Le complicanze del puerperio sono rappresentate da: infezioni
puerperali, emorragie genitali, tromboembolismo, depressione post- partum.
Le infezioni puerperali: comprendono tutti i casi in cui dalla seconda alla decima giornata
postpartum si dimostra in almeno 2 giorni un rialzo termico superiore a 38°C. Gli agenti patogeni
sono diversi, a seconda anche del periodo in cui ci troviamo. Entro i primi due giorni, in genere si
ha più frequentemente infezione da Streptococcus Agalactiae. Dopo 3- 4 giorni, si hanno in genere
infezioni da anaerobi o E. Coli. Dopo oltre 7 giorni, potrebbe essere una Chlamydia Trachomatis.
L’infezione post- cesareo è spesso sostenuta da Bacteroides o da altri anaerobi gram negativi.
Fattori predisponenti all’infezione puerperale sono rappresentati da: 1) una rottura
prematura delle membrane. La rottura delle membrane amnio- coriali è fisiologica quando
avviene a dilatazione completa. Se la rottura delle membrane amnio- coriali avviene prima
della dilatazione completa si parla di rottura prematura e può avvenire in travaglio (prima
della dilatazione completa) o durante la gravidanza. Se avviene una rottura prematura in
assenza di travaglio è importante che la donna venga ricoverata e che faccia subito una
antibiotico- profilassi perché la rottura prematura può comportare una risalita dei germi
dalla vagina e infettare il prodotto del concepimento. Se la rottura prematura è franca e,
quindi, è una rottura prematura del polo inferiore con una perdita di tutto il liquido
amniotico, se si è raggiunta la maturità polmonare e si è oltre la 34esima settimana, si può
tentare di indurre il parto, inducendo le contrazioni. In ogni caso, non è conveniente
aspettare più di 24 ore. Se le contrazioni arrivano, la donna partorisce spontaneamente,
altrimenti va fatto il cesareo perché una permanenza della rottura della membrane espone
il prodotto del concepimento ma anche la madre alla sepsi nonostante l’antibiotico-
profilassi. È chiaro che questo è un fattore predisponente anche per una sepsi puerperale.
2) Interventi ostetrici. 3) Ritenzione di materiale placentare. Se durante il secondamento,
cioè quando avviene l’espulsione della placenta, permane all’interno della cavità uterina un
lembo di membrana amnio- coriale o un pezzo di placenta questo espone la donna al
rischio di emorragie ma anche al rischio di infezione puerperale. 4) Cattive condizioni
generali di salute della donna (se la donna è già debilitata o ha una riduzione delle difese
immunitarie per un qualsiasi motivo). 5) Gravi emorragie.
Le infezioni più banali sono quelle a carico delle suture perineali, vaginali, cervicali,
addominali (da taglio cesareo).
Le infezioni possono essere anche all’interno dell’utero in quanto può esserci, per esempio,
l’endometrite puerperale che viene favorita dalla presenza in utero di una zona debole,
dove è facile l’attecchimento dei batteri, come la zona di distacco placentare [il situs
placentare]. Interessa l’1- 3% dei parti spontanei ed il 3- 5% dei cesarei. Determina febbre
alta, dolore e subinvoluzione uterina.
Anche dalla mammella può partire una sepsi puerperale perché in tale sede ci può essere
una piccola soluzione di continuo, una ragade banale. I germi penetrano e possono
determinare un’infezione dei linfatici (linfangite), dei dotti galattofori (galattoforite), del
tessuto parenchimatoso o interstiziale (mastite propriamente detta). L’evoluzione
spontanea è un flemmone o l’ascesso. La diagnosi è clinica e si basa sulla presenza di
dolore, calore, gonfiore ed eventualmente stasi, in una puerpera in genere con febbre alta.
Sono anche frequenti le infezioni delle vie urinarie, in genere causate da E. Coli e più
raramente da Streptococchi. La minzione sarà frequente e dolorosa, con eventuale
ematuria e dolore sovrapubico.
Emorragie genitali. [La durata dei lochi ematici è di circa 10 giorni dopo il parto]. In media, in
occasione di un parto vaginale, la perdita di sangue ammonta a 500 ml, mentre un taglio cesareo
può comportare la perdita di anche 1 L di sangue. Un calo di oltre il 10% tra l’emocromo al
ricovero e quello del giorno successivo al parto è suggestivo di perdite ematiche superiori alla
media.
Sono più a rischio di emorragie puerperali le grandi multipare, i parti multipli, le pazienti
trattate durante la gravidanza con miolitici (con farmaci che riducono le contrazioni, ad
esempio nelle minacce di parto prematuro. Il miolitico può comportare una mancata
involuzione uterina), pazienti che hanno subito un travaglio molto lungo, un parto distocico
o precipitoso.
Le cause sono: ipotonia o atonia dell’utero (che non si contrae), una ritenzione di materiale
placentare, [endometrite], una lacerazione misconosciuta (ad esempio, la donna viene
suturata a livello vaginale, perineale, e magari c’è una piccola lacerazione a livello del collo
dell’utero che non è stata visualizzata durante l’assistenza al parto e che favorisce uno
stillicidio dal collo. Se c’è il sospetto, la donna viene riportata in sala parto – in genere dopo
il parto viene tenuta in sala travaglio 2 ore – dove viene ricontrollato tutto e viene suturata
la lacerazione che non era stata vista).
Si riscontra con relativa frequenza la subinvoluzione uterina, che si identifica con la
persistenza di lochiazione abbondante ed ematica, con un utero più voluminoso di quanto
atteso, più molle e meno incline alla contrazione. Il canale cervicale resta ampiamento
pervio e la cavità uterina può essere riempita da lochi (lochiometra) o da sangue e coaguli
(ematometra). Questo può accadere anche a distanza di giorni dal parto, la donna torna a
casa e ritorna al pronto soccorso perché presenta dolori.
La diagnosi prevedere una valutazione delle condizioni della puerpera (emocromo),
l’esclusione delle cause infettive, il controllo di eventuali suture e del collo uterino, un
esame ecografico.
L’ecografia viene eseguita per via transaddominale a vescica piena. Uno spessore della
rima endometriale di 17 mm o superiore, eventualmente accompagnato dalla presenza di
materiale esogeno, si associa sempre a sanguinamento protratto o abbondante.
Le emorragie puerperali vere e proprie sono distinguibili in: precoci, nella prima settimana
postpartum; tardive, entro la sesta settimana. Sono sempre legate alla persistenza di
materiale placentare, che può organizzarsi insieme ai coaguli e alla fibrina, costituendo il
cosiddetto polipo placentare, cioè un ammasso di coaguli organizzati, che si può staccare e
produrre una metrorragia anche a distanza di settimane dal parto.
Nei casi in cui c’è una ritenzione di materiale placentare all’interno della cavità uterina,
bisogna fare una revisione della cavità uterina. Se ce ne si accorge subito dopo il
postpartum, la donna viene portata in sala operatoria, viene sedata e viene introdotto in
utero il cucchiaio per vedere che cosa è rimasto e si fa una revisione molto delicata. Le
pareti uterine sono molto sensibili, si potrebbe provocare molto facilmente una
perforazione uterina. Se succede lontano dal parto, la donna viene sedata e si fa la
revisione della cavità uterina.
Anemia in puerperio: quando avvengono queste emorragie, la donna si anemizza.
L’anemia non è soltanto la conseguenza di un’emorragia. Ci può essere un’anemia già in
gravidanza. Quindi, se già solo il parto determina delle perdite ematiche, è da attenzionare
molto l’anemia. Bisogna fare il controllo dell’emocromo. Il volume plasmatico diminuisce di
1000 ml subito dopo il parto per la perdita ematica ma aumenta dopo 3 giorni da 900 a
1200 ml e, quindi, risulta ridotto solo del 16%. Si anemizzano più facilmente le donne
sottoposte a cesareo. Nel caso in cui s’avesse un abbassamento dei valori di Hb sotto 7 g/
dl, si fa la trasfusione. Sintomi: pallore, affaticabilità, ci può essere uno stato subfebbrile,
ipotensione, tachicardia con polso piccolo e frequente invece della bradicardia fisiologica.
Tromboembolismo: altra temuta complicanza del puerperio. In genere, nei casi meno gravi, si
tratta di una tromboflebite degli arti inferiori. Condizioni predisponenti sono: familiarità e storia
positiva per patologie vascolari, diabete, sindrome varicosa, obesità, fumo, interventi ripetuti,
allettamento prolungato. Occorre attenzionare, già durante la gravidanza, se la donna ha problemi
di sindrome varicosa o di flebiti perché va curata già durante la gravidanza con profilassi con
eparina e usando calze elastiche. Se la donna viene sottoposta a parto cesareo, si troverà allettata
e questa è una condizione favorente il tromboembolismo. Può partire anche dalle emergenze
emorroidarie. Un arto, quando è presente un tromboembolismo, si presenta caldo, edematoso,
poco dolente. La cute è pallida, tesa, lucente. Può esserci febbre: c’è discrepanza tra la
temperatura non molto elevata e la frequenza del polso, notevolmente tachicardico per le
difficoltà di circolo. A volte, vi può essere una tromboflebite dei vasi emorroidari o una
tromboflebite delle vene pelviche e, in questo caso, si suscita dolore all’esplorazione vaginale. Alla
palpazione, anche se difficilmente, si può rilevare un cordone teso in sede femorale, mentre quasi
sempre si evoca dolore in sede inguinale, poplitea e/ o perimalleolare. Durante l’esplorazione
vaginale si può sentire il pacchetto varicoso a livello pelvico. La complicazione più temibile è
l’embolia polmonare, che può avere un decorso fulminante, acuto (quando la donna accusa un
dolore toracico acuto, dispnea, cianosi, ipotensione), subacuto (dolore toracico puntorio, dispnea,
tachicardia moderata seguita da tosse e febbricola), subclinico. In questi casi, bisogna effettuare
tutte le procedure diagnostiche ed eventualmente somministrare eparina. Vi sono delle tabelle coi
fattori di rischio per la patologia tromboembolica. Se la donna ha già una trombofilia è ancora più
a rischio. La profilassi viene fatta alle pazienti visto che già la gravidanza aumenta il rischio
tromboembolico. Nella gravidanza e nel puerperio, il rischio tromboembolico aumenta dall’1- 2% a
5- 7%. La tromboembolia può essere aumenta, in alcuni casi, dall’assunzione di estro- progestinici.
Quando si prescrive la pillola estroprogestinica bisogna valutare se la donna ha nell’anamnesi
familiare o personale casi di ictus o patologie cardiovascolari. La profilassi consiste nella
somministrazione di eparina in base al rischio tromboembolico: le pazienti più giovani sono meno
a rischio rispetto alle pazienti più grandi; interventi chirurgici e ginecologici aumentano il rischio,
compreso il cesareo. In base al rischio, si farà la profilassi o la terapia.
Depressione post partum. In forma lieve- moderata (“maternal blues”) incide nel 10% delle
puerpere e risulta così forse la più frequente patologia del puerperio. Questa depressione, in
forma lieve- moderata, non è ancora patologica ma diventerà patologica se persisterà nel tempo e
può evolvere in una depressione vera e propria, che è una patologia psichiatrica. È una patologia
molto subdola. I ginecologi hanno poca possibilità di accorgersi della sua presenza perché con la
dimissione in seconda- terza giornata spesso è difficile rendersi conto del disagio della donna.
Sono previsti sulla carta dei presidi territoriali, come l’ostetrica che dovrebbe andare a casa a
controllare, ma non vengono messi in atto. La donna già di per sé in termini di umore tende a
mutarsi nei primi giorni del postpartum perché la sua vita cambia completamente. Il neonato
rivoluziona la vita della donna, la vita di coppia e la donna si ritrova sola, spesso si sente
inadeguata al nuovo ruolo. L’allattamento, il cambio del pannolino, … possono diventare delle vere
e proprie tragedie. Quindi, può andare facilmente incontro a depressione. I fattori predisponenti
sono: giovane età, assenza di un partner stabile, depressione o ansietà in gravidanza, esperienze
stressanti in gravidanza o nel postpartum, scarso supporto sociale e familiare, precedente storia di
depressione. Molto incide l’esito del parto. Ad esempio, un parto prematuro col trasferimento del
neonato alla terapia intensiva neonatale può comportare una grave depressione. È fondamentale
riuscire a distinguere tra le puerpere che necessitano soltanto di sostegno, magari da parte
dell’ambiente familiare, e quelle che invece sono a rischio di suicidio o di atti contro la salute e la
vita del loro stesso figlio. Per qualsiasi cosa che metta in allarme o in sospetto, occorre contattare
subito lo psicologo o lo psichiatra, soprattutto se ci sono già in anamnesi dei problemi psichiatrici o
di depressione.
CRITERI SANITARI PER UNA DIMISSIONE APPROPRIATA PRIMA DELLE 48- 72 ORE. Col fatto che la
sanità si è aziendalizzata, la paziente è diventata una cliente, meno sta in ospedale e meno costa
allo stato. Il DRG aumenta quanto più la donna sta ricoverata. Allora, occorre dimettere sempre
più precocemente. Questo, però, non deve portare a dimenticare che esistono dei criteri sanitari
per una dimissione appropriata prima delle 48- 72 ore. Questi criteri sono basati sul fatto che la
donna: abbia espletato un parto per via vaginale, non abbia complicazioni intrapartum o
postpartum che richiedono un trattamento medico in corso, possa muoversi con un buon
controllo del dolore, abbia avuto una ripresa della normale funzionalità vescicale o ne sia stata
prevista un’adeguata sorveglianza, sia stata determinata la necessità e previste le modalità di
somministrazione delle immunoglobuline anti- D (se la donna è Rh- ed il figlio è Rh+), sia stata
informata sulle cure di routine (cambio del pannolino, detersione e disinfezione del cordone
ombelicale) e sulle modalità di allattamento (osservazione di almeno una poppata da parte degli
operatori), sia stata informata su come accedere alle risorse di supporto ospedaliere e territoriali,
non esistano rilevanti problemi sociali. NON devono essere dimesse finché non sono stabili, se
sono presenti: perdita ematica importante (parto e postpartum) o presenza di sanguinamento
maggiore del normale (Hb < 8 g/dl), febbre (≥ 38°C) rilevata all’inguine in 2 misurazioni
consecutive in qualsiasi momento durante il travaglio e dopo la nascita; altre complicanze che
necessitano di assistenza medica.
Antonella Gambadauro