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1 EMISSIONI DI GAS A EFFETTO SERRA L’integrità e l’attuazione dell’ETS dell’UE (RS n. 6/2015) La Corte ha riscontrato notevoli debolezze nell’attuazione durante la fase 2 del sistema (2008-2012), nonché problemi relativi alla solidità del quadro di protezione dell’integrità del mercato. Dall’audit è emerso che non vi era una supervisione a livello dell’UE del mercato delle emissioni, e non vi era sufficiente cooperazione per la regolamentazione. La definizione giuridica di quote di emissioni non era stata sufficientemente chiara. Le procedure applicate dagli Stati membri per controllare l’apertura dei conti dell’ETS dell’UE, monitorare le operazioni e cooperare con le autorità di regolamentazione presentavano significative carenze. Vi sono state notevoli debolezze nell’attuazione, da parte degli Stati membri e della Commissione, del quadro di controllo dell’ETS dell’UE nella fase 2. I sistemi di monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni non erano stati sufficientemente ben attuati o armonizzati. Vi erano state lacune negli orientamenti della Commissione e nel monitoraggio da questa effettuato sull’attuazione da parte degli Stati membri nel corso della fase 2 dell’ETS dell’UE, e la valutazione condotta dalla Commissione sui piani di assegnazione nazionali (NAP) degli Stati membri per la fase 2 non era stata sufficientemente trasparente. Secondo la Corte, sarebbe necessario affrontare alcuni problemi per rendere il quadro sufficientemente solido, per migliorare la regolamentazione e la supervisione, e per stimolare la fiducia degli investitori, al fine di sfruttare l’ETS dell’UE come strumento di politica ambientale. Con quali modalità gli organi e le istituzioni dell’UE provvedono a calcolare, ridurre e compensare le proprie emissioni di gas a effetto serra? (RS n. 14/2014) Tramite l’audit si è valutato se gli organi e le istituzioni dell’UE disponessero di politiche volte a ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività amministrative e, in tal caso, se tali politiche fossero state attuate in maniera efficace. La Corte ha invitato le istituzioni e gli organi dell’UE a definire una politica comune volta a ridurre le emissioni di gas a effetto serra (“impronta di carbonio”). Ha concluso che l’introduzione del sistema europeo di ecogestione e audit procedeva a rilento, con frammentarie informazioni sull’effettivo livello delle emissioni. Gli appalti pubblici verdi erano usati in maniera sistematica solo da alcuni organi e istituzioni. Benché gli organi e le istituzioni dell’UE fossero riusciti ad invertire la tendenza all’aumento delle emissioni di gas a effetto serra derivanti dal consumo energetico dei propri edifici, i dati disponibili non avevano permesso di individuare chiare tendenze di riduzione delle emissioni causate da altre fonti, come ad esempio dalle trasferte di lavoro. Meno della metà degli organi e delle istituzioni dell’UE oggetto dell’audit aveva fissato obiettivi quantificati di riduzione delle proprie emissioni.

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EMISSIONI DI GAS A EFFETTO SERRA

L’integrità e l’attuazione dell’ETS dell’UE (RS n. 6/2015)

La Corte ha riscontrato notevoli debolezze nell’attuazione durante la fase 2 del sistema (2008-2012), nonché problemi relativi alla solidità del quadro di protezione dell’integrità del mercato. Dall’audit è emerso che non vi era una supervisione a livello dell’UE del mercato delle emissioni, e non vi era sufficiente cooperazione per la regolamentazione. La definizione giuridica di quote di emissioni non era stata sufficientemente chiara. Le procedure applicate dagli Stati membri per controllare l’apertura dei conti dell’ETS dell’UE, monitorare le operazioni e cooperare con le autorità di regolamentazione presentavano significative carenze.

Vi sono state notevoli debolezze nell’attuazione, da parte degli Stati membri e della Commissione, del quadro di controllo dell’ETS dell’UE nella fase 2. I sistemi di monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni non erano stati sufficientemente ben attuati o armonizzati. Vi erano state lacune negli orientamenti della Commissione e nel monitoraggio da questa effettuato sull’attuazione da parte degli Stati membri nel corso della fase 2 dell’ETS dell’UE, e la valutazione condotta dalla Commissione sui piani di assegnazione nazionali (NAP) degli Stati membri per la fase 2 non era stata sufficientemente trasparente.

Secondo la Corte, sarebbe necessario affrontare alcuni problemi per rendere il quadro sufficientemente solido, per migliorare la regolamentazione e la supervisione, e per stimolare la fiducia degli investitori, al fine di sfruttare l’ETS dell’UE come strumento di politica ambientale.

Con quali modalità gli organi e le istituzioni dell’UE provvedono a calcolare, ridurre e compensare le proprie emissioni di gas a effetto serra? (RS n. 14/2014)

Tramite l’audit si è valutato se gli organi e le istituzioni dell’UE disponessero di politiche volte a ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività amministrative e, in tal caso, se tali politiche fossero state attuate in maniera efficace.

La Corte ha invitato le istituzioni e gli organi dell’UE a definire una politica comune volta a ridurre le emissioni di gas a effetto serra (“impronta di carbonio”). Ha concluso che l’introduzione del sistema europeo di ecogestione e audit procedeva a rilento, con frammentarie informazioni sull’effettivo livello delle emissioni. Gli appalti pubblici verdi erano usati in maniera sistematica solo da alcuni organi e istituzioni.

Benché gli organi e le istituzioni dell’UE fossero riusciti ad invertire la tendenza all’aumento delle emissioni di gas a effetto serra derivanti dal consumo energetico dei propri edifici, i dati disponibili non avevano permesso di individuare chiare tendenze di riduzione delle emissioni causate da altre fonti, come ad esempio dalle trasferte di lavoro. Meno della metà degli organi e delle istituzioni dell’UE oggetto dell’audit aveva fissato obiettivi quantificati di riduzione delle proprie emissioni.

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ENERGIA

L’assistenza dell’UE all’Ucraina (RS n. 32/2016) La Corte ha valutato se, nel periodo 2007-2015, l’assistenza della Commissione e del Servizio europeo per l’azione esterna fosse stata efficace nel sostenere la trasformazione dell’Ucraina in uno Stato ben governato nei settori della gestione delle finanze pubbliche e della lotta alla corruzione, nonché nel comparto del gas. Fino al 2014, il dialogo ad alto livello UE-Ucraina sulla cooperazione in materia di energia era stato di efficacia limitata per quanto riguarda la ristrutturazione del settore del gas, in quanto non vi era stato un reale impegno da parte dell’Ucraina. Il dialogo aveva inoltre risentito delle divergenze d’opinione tra i portatori d’interesse dell’UE riguardo alla sicurezza dell’approvvigionamento di gas dell’UE attraverso l’Ucraina. Molte delle stesse questioni fondamentali erano emerse nel periodo 2007-2015 e vi erano stati limitati progressi per quanto riguarda la modernizzazione del sistema di transito del gas. Gli sforzi della Commissione per portare i prezzi dell’energia in Ucraina a livelli economicamente giustificati o ridurre il disavanzo della Naftogaz non avevano avuto esito positivo nel periodo 2007-2013. Dal 2014, tuttavia, erano stati conseguiti importanti traguardi e la Commissione era riuscita ad impedire gravi perturbazioni delle forniture di gas all’UE nel 2014 e nel 2015, nonostante la crisi tra Ucraina e Russia.

I programmi UE di assistenza alla disattivazione nucleare in Lituania, Bulgaria e Slovacchia: nonostante i progressi compiuti dal 2011, sfide cruciali si profilano all’orizzonte (RS n. 22/2016) Gli auditor della Corte hanno esaminato i progressi compiuti in relazione ai programmi UE di assistenza alla disattivazione nucleare a partire dal 2011, i cui costi stimati si collocavano tra 350 e 500 miliardi di euro. Le autorità degli Stati membri avevano dichiarato che le centrali erano state chiuse in maniera irreversibile; tuttavia, non tutte le realizzazioni attese utilizzate dalla Commissione europea per valutare i progressi verso una chiusura irreversibile erano state pienamente ottenute. Lo smantellamento di componenti chiave nelle aree con un livello di radiazioni più basso, quali le sale turbine, era in fase avanzata negli impianti di Ignalina (Lituania), Kozloduy (Bulgaria) e Bohunice (Slovacchia). Restavano però ancora da affrontare le sfide cruciali insite nei lavori da eseguire nelle zone con un livello più alto di radiazioni, come ad esempio gli edifici dei reattori. I tre Stati membri avevano posto in essere infrastrutture temporanee fondamentali per la gestione dei rifiuti in loco, ma quasi tutti i progetti-chiave infrastrutturali avevano registrato ritardi. I maggiori ritardi si erano osservati in Lituania, dove rispetto al 2011 la data di conclusione della disattivazione era stata posticipata di altri nove anni, al 2038. Il cofinanziamento da parte degli Stati membri per i programmi UE rimaneva limitato. Il deficit tra i costi di disattivazione e i finanziamenti in Lituania era aumentato fino a 1,56 miliardi di euro dall’ultimo audit del 2011. I deficit di finanziamento stimati da Bulgaria e Slovacchia ammontavano, rispettivamente, a 28 e 92 milioni di euro. I programmi UE di finanziamento appositamente istituiti per la disattivazione nucleare non avevano creato gli incentivi corretti per una disattivazione tempestiva ed economicamente efficiente, dato che quasi tutti i progetti-chiave infrastrutturali avevano registrato ritardi. I costi futuri associati alla disattivazione nucleare e allo smaltimento finale

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ENERGIA

del combustibile nucleare esaurito non erano sempre rilevati come accantonamenti o riportati nelle note allegate ai conti. Ciò aveva ridotto la trasparenza e ostacolato la capacità delle autorità di pianificare in maniera adeguata il modo con il quale far fronte ai costi futuri di disattivazione e smaltimento.

Migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico mediante lo sviluppo del mercato interno dell’energia: occorre un impegno maggiore (RS n. 16/2015)

Il mercato interno dell’energia dovrebbe consentire il libero flusso e il commercio senza frontiere di gas e di energia elettrica in tutto il territorio dell’UE. Come sottolineato nella relazione sopracitata, l’obiettivo dell’UE di completare il mercato interno dell’energia entro il 2014 non era stato raggiunto. Rimaneva ancora molta strada da fare prima che il terzo pacchetto “Energia” venisse pienamente attuato.

Le infrastrutture energetiche in Europa non erano in genere ancora concepite per mercati pienamente integrati e quindi non fornivano un’effettiva sicurezza dell’approvvigionamento energetico.

La Corte ha esaminato studi di casi in sei Stati membri: Bulgaria, Estonia, Lituania, Polonia, Spagna e Svezia. Ha rilevato differenze sostanziali nel modo in cui gli Stati membri avevano organizzato i propri mercati dell’energia. Ciò rischiava di frenare l’integrazione del mercato unionale nel suo complesso. La Corte ha concluso che il sostegno finanziario a carico del bilancio dell’UE vi avesse contribuito solo in maniera limitata. Per avere flussi transfrontalieri di energia occorreva una maggiore cooperazione tra Stati limitrofi.

La Corte ha concluso che la Commissione europea dovrebbe individuare infrastrutture energetiche che non sono state usate attivamente nell’UE, e lavorare assieme agli Stati membri per eliminare gli ostacoli al loro utilizzo ai fini del mercato interno dell’energia. Inoltre, la Commissione dovrebbe ideare nuove modalità per rendere disponibile l’energia proveniente da uno Stato membro ai clienti di un altro Stato membro, ad esempio istituendo gestori di infrastrutture regionali. Al momento dell’audit, gli strumenti di finanziamento per le infrastrutture energetiche non si prefiggevano come obiettivo primario il mercato interno dell’energia. La Corte ha raccomandato alla Commissione di formulare proposte legislative su come subordinare le proprie decisioni sul finanziamento di progetti di infrastrutture energetiche al corretto e costante funzionamento del mercato interno dell’energia negli Stati membri.

Sostegno dello Strumento ACP-UE per l’energia a favore delle energie rinnovabili in Africa orientale (RS n. 15/2015)

Tra il 2006 e il 2013, lo Strumento ACP-UE per l’energia aveva ricevuto una dotazione finanziaria del FES per 475 milioni di euro, la maggior parte dei quali costituiti da sovvenzioni per progetti nell’Africa subsahariana. Tramite l’audit si è valutato se la Commissione avesse impiegato in modo adeguato lo Strumento per l’energia al fine di incrementare l’accesso alle energie rinnovabili da parte delle popolazioni povere dell’Africa orientale.

Gli auditor hanno constatato che lo strumento aveva conseguito alcuni risultati di rilievo, ma che necessitava ancora di una migliore

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ENERGIA

supervisione. La Commissione aveva operato buone scelte tra i progetti proposti, ma non aveva monitorato i progressi con sufficiente attenzione. Le relazioni presentate dai capi progetto erano di qualità non uniforme e la Commissione non aveva cercato di imporre l’adempimento degli obblighi di rendicontazione. Quando i progetti avevano incontrato gravi difficoltà, la Commissione non si era avvalsa sufficientemente dell’opportunità di effettuare visite in loco, né aveva utilizzato a sufficienza le valutazioni risultanti dal monitoraggio per integrare le informazioni fornite dai responsabili. La relazione contiene una serie di raccomandazioni volte a rendere più rigoroso il processo di selezione dei progetti, a migliorare il monitoraggio di questi ultimi e ad aumentarne la sostenibilità.

Il sostegno dei fondi della politica di coesione alla produzione di energia da fonti rinnovabili ha ottenuto buoni risultati? (RS n. 6/2014)

Gli auditor della Corte hanno valutato quanto conseguito dalle due fonti di finanziamento più importanti per la promozione di energie rinnovabili (il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo di coesione (FC)), esaminando se i fondi fossero stati assegnati a progetti in materia di energie rinnovabili scelti in base a priorità ben definite, efficienti, maturi e con obiettivi razionali, e in quale misura questi fondi avessero ottenuto buoni risultati nel contribuire al raggiungimento degli obiettivi fissati dall’UE per il 2020 riguardanti l’energia proveniente da fonti rinnovabili.

Dall’audit è emerso che sarebbero stati necessari miglioramenti per far sì che il finanziamento dell’UE apportasse il massimo contributo possibile al raggiungimento degli obiettivi. I progetti controllati avevano prodotto le realizzazioni previste e la maggior parte di essi erano sufficientemente maturi e pronti per essere attuati quando erano stati selezionati. Non vi erano stati significativi sforamenti dei costi o ritardi e le strutture di produzione di energia da fonti rinnovabili erano state installate come previsto ed erano operative. Tuttavia, i risultati attesi in materia di produzione energetica non erano stati sempre raggiunti o adeguatamente misurati. L’efficienza complessiva era stata modesta in quanto l’efficacia sotto il profilo dei costi non era stata il principio-guida nella pianificazione e nell’attuazione dei progetti e i fondi spesi avevano apportato solo un limitato valore aggiunto UE.

Efficacia in termini di costi/benefici degli investimenti della politica di coesione nel campo dell’efficienza energetica (RS n. 21/2012)

La Corte dei conti europea ha valutato se gli investimenti della politica di coesione nel campo dell’efficienza energetica fossero stati efficaci sotto il profilo costi/benefici, appurando se fossero state create, nelle fasi di programmazione e finanziamento, le condizioni adeguate per rendere efficaci sotto tale profilo gli investimenti in questo campo e se i progetti di efficienza energetica nell’edilizia pubblica fossero stati efficaci sotto tale profilo.

La Corte ha constatato che il periodo medio di rimborso per gli investimenti dell’UE nel settore dell’efficienza energetica era di oltre 50 anni (in casi estremi addirittura di 150 anni), il che significa che i fondi per tali investimenti avrebbero potuto essere spesi in modo più efficace sotto il profilo dei costi/benefici.

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TRASPORTI

Il trasporto marittimo dell’UE è in cattive acque: molti investimenti risultano inefficaci e insostenibili (RS n. 23/2016)

Tra il 2000 e il 2013, l’UE ha investito 6,8 miliardi di euro nei porti. La Corte ha valutato le strategie di trasporto merci per via marittima della Commissione e degli Stati membri dell’UE, nonché il rapporto costi/benefici conseguito dagli investimenti finanziati dall’UE nei porti.

La Corte ha constatato che le strategie di sviluppo portuale poste in essere dagli Stati membri e dalla Commissione non avevano fornito sufficienti informazioni per consentire un’efficace pianificazione della capacità. In porti limitrofi, il finanziamento di infrastrutture e sovrastrutture portuali simili aveva avuto come conseguenza investimenti inefficaci e non sostenibili, con un elevato rischio che circa 400 milioni di euro investiti andassero sprecati. I collegamenti stradali e ferroviari tra i porti ed il rispettivo entroterra erano spesso assenti o inadeguati: ciò significa che sarebbero stati necessari ulteriori finanziamenti pubblici per assicurare il corretto sfruttamento degli investimenti iniziali nei porti. Un riesame di cinque progetti già esaminati nel 2010 ha delineato un impiego delle risorse tutt’altro che ottimale: dopo quasi un decennio di attività, l’utilizzo delle infrastrutture finanziate dall’UE per questi porti era ancora inadeguato. In quattro porti, le aree portuali interessate erano ancora vuote o quasi vuote, mentre in un altro porto non vi era alcuna attività.

La Corte ha altresì constatato che, per quanto riguarda gli aiuti di Stato e le procedure doganali, la Commissione non aveva intrapreso le azioni necessarie ad assicurare condizioni di parità concorrenziale tra i porti.

Il sistema dell’UE per la certificazione dei biocarburanti sostenibili (RS

n. 18/2016)

Gli Stati membri devono assicurare che, nel 2020, la quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto sia almeno pari al 10 % del rispettivo consumo finale di energia in questo settore. Solo i biocarburanti certificati come sostenibili possono essere presi in considerazione. La sostenibilità della maggior parte dei biocarburanti immessi sul mercato dell’UE è certificata tramite sistemi volontari riconosciuti dalla Commissione.

La Corte ha concluso che, a causa delle debolezze che inficiano la procedura di riconoscimento della Commissione e la successiva supervisione dei sistemi volontari, il sistema dell’UE per la certificazione della sostenibilità dei biocarburanti non era pienamente affidabile. Le valutazioni svolte dalla Commissione non avevano esaminato adeguatamente alcuni aspetti importanti, necessari per garantire la sostenibilità dei biocarburanti.

La Commissione, inoltre, aveva concesso il riconoscimento a sistemi volontari che non si avvalevano di procedure di verifica appropriate per appurare che i biocarburanti fossero effettivamente prodotti da rifiuti o che la materia prima coltivata nell’Unione europea rispettasse i requisiti ambientali stabiliti dall’UE per l’agricoltura.

Alcuni sistemi riconosciuti non erano sufficientemente trasparenti o avevano una struttura organizzativa che includeva unicamente i

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TRASPORTI

rappresentanti di alcuni operatori economici.

Quanto alla realizzazione dell’obiettivo del 10 % di energie rinnovabili nei trasporti, secondo la Corte le statistiche potrebbero essere sovrastimate, dal momento che gli Stati membri avevano potuto indicare come sostenibili biocarburanti la cui sostenibilità non era stata verificata.

Il trasporto delle merci su rotaia nell’UE non è ancora sul giusto binario (RS n. 8/2016)

Tra il 2007 e il 2013 il bilancio dell’UE aveva contribuito a finanziare progetti ferroviari tramite lo stanziamento di circa 28 miliardi di euro. Ciononostante, e malgrado la Commissione abbia ritenuto prioritario trasferire il trasporto merci dalla strada alla ferrovia, la Corte afferma che, nei 15 anni precedenti la relazione, il trasporto merci ferroviario dell’UE non era riuscito a rispondere efficacemente alla concorrenza del trasporto su strada. Tramite l’audit si è valutato se l’UE fosse stata efficace nell’incrementare il trasporto merci ferroviario e se dal 2000 fosse stato riscontrato un miglioramento della performance del trasporto merci ferroviario nell’UE in termini di quota modale e di volumi trasportati. Il trasporto ferroviario ha un minore impatto ambientale e consuma meno petrolio importato rispetto ad altri mezzi di trasporto, ma non era in grado di rispondere alla competitività del trasporto su strada. Dall’audit espletato dalla Corte è emerso che, nel complesso, la performance del trasporto merci su rotaia nell’UE era ancora insoddisfacente e che al contempo era stato registrato un ulteriore incremento del trasporto merci su strada.

La Corte ha concluso che uno spazio ferroviario europeo unico era ancora lungi dall’essere realizzato. La rete ferroviaria dell’UE rimaneva, nel complesso, un mosaico di reti nazionali distinte.

Le procedure di gestione del traffico non erano state adattate alle esigenze del trasporto merci su rotaia, persino all’interno dei corridoi merci ferroviari. La scarsa manutenzione della rete ferroviaria poteva incidere negativamente sulla sostenibilità e sulla performance delle infrastrutture finanziate dall’UE. Se le questioni identificate non fossero state affrontate, non sarebbero bastati ulteriori finanziamenti per risolvere il problema. La Commissione e gli Stati membri avrebbero dovuto aiutare i gestori dei treni e delle infrastrutture a migliorare l’affidabilità, la frequenza e la flessibilità del trasporto merci su rotaia nonché l’attenzione al cliente, i tempi e i costi del trasporto.

Trasporto per vie navigabili interne in Europa: dal 2001 nessun significativo miglioramento nella quota modale e nelle condizioni di navigabilità (RS n. 1/2015)

La Corte ha valutato se i progetti cofinanziati dal bilancio dell’UE avessero contribuito in maniera efficace all’incremento della quota modale di trasporto merci per vie navigabili interne e al miglioramento della navigabilità e se le strategie dell’UE per il trasporto per vie navigabili interne fossero coerenti e fondate su analisi pertinenti ed esaurienti.

Dall’audit è emerso che, a causa della mancata eliminazione delle strozzature, erano stati ottenuti solo scarsi progressi. I progetti cofinanziati dall’UE non erano stati attuati in modo efficace, il trasporto per

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TRASPORTI

vie navigabili interne non era divenuto un’alternativa significativa al trasporto su strada e la navigabilità non era migliorata. Gli Stati membri avevano prestato poca attenzione alle vie navigabili interne, nonostante la Commissione le considerasse una priorità. Gli Stati membri collegati dai principali corridoi di navigazione non avevano definito alcuna strategia comune coerente e le strategie dell’UE non avevano preso in sufficiente considerazione gli aspetti ambientali e l’attenzione prestata dagli Stati membri alla manutenzione dei fiumi.

La Corte ha raccomandato agli Stati membri di dare la priorità ai progetti che interessano le vie navigabili interne che offrono i vantaggi maggiori e più immediati e alla Commissione di concentrare i finanziamenti sui progetti che includono piani avanzati per l’eliminazione di strozzature.

Efficacia dei progetti di trasporto pubblico urbano finanziati dall’UE (RS n. 1/2014)

La Corte ha valutato l’attuazione e l’efficacia dei progetti di trasporto pubblico urbano cofinanziati dai fondi strutturali dell’UE, al fine di accertare se detti progetti avessero soddisfatto le esigenze degli utenti e conseguito i propri obiettivi.

Dall’audit è emerso che due terzi dei progetti di trasporto pubblico urbano cofinanziati dai fondi strutturali dell’UE erano stati sottoutilizzati. Due dei principali fattori all’origine di questa sottoutilizzazione erano le carenze nella concezione dei progetti ed una politica inadeguata in tema di mobilità. Questa prestazione insufficiente non era stata in genere oggetto di attenzione da parte dei promotori o delle autorità nazionali. In genere, le infrastrutture e i veicoli per la maggior parte dei progetti erano stati realizzati in modo conforme alle specifiche di progetto. Sono stati riscontrati notevoli ritardi e sforamenti dei costi, ma, una volta ultimati, quasi tutti i progetti esaminati soddisfacevano le esigenze degli utenti.

I programmi Marco Polo sono stati efficaci nel trasferire il traffico merci su strada verso altre modalità di trasporto? (RS n. 3/2013)

Dal 2003, i programmi Marco Polo hanno finanziato progetti volti a trasferire il trasporto merci dalla strada verso altre modalità, quali le ferrovie, le vie d’acqua interne e il trasporto marittimo a corto raggio, allo scopo di ridurre il traffico internazionale di merci su strada, migliorare le prestazioni ambientali del trasporto merci, ridurre la congestione stradale e accrescere la sicurezza stradale.

Date le numerose debolezze rilevate, la Corte ha ritenuto i programmi inefficaci. Questi non avevano raggiunto gli obiettivi fissati in termini di realizzazioni e avevano avuto uno scarso impatto per quel che riguarda il trasferimento del traffico merci dalla strada verso altre modalità; non erano disponibili dati per valutare i benefici attesi; non era stato presentato un numero sufficiente di proposte di progetti; la modesta quantità trasferita che era stata presentata nelle relazioni era incerta e molti progetti non erano sostenibili e sarebbero stati avviati anche senza i finanziamenti da parte dell’UE.

La Corte, pertanto, ha raccomandato di sospendere i programmi

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TRASPORTI

Marco Polo e, al fine di migliorare la performance dei futuri regimi di sostegno per i trasporti, ha raccomandato che i finanziamenti siano subordinati ad una dettagliata valutazione ex ante della domanda potenziale e, qualora tale domanda esista, siano stabilite norme e condizioni chiare per i finanziamenti futuri.

L’uso dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione per cofinanziare infrastrutture di trasporto nei porti marittimi costituisce un investimento efficace? (RS n. 4/2012)

La Corte ha valutato se i progetti relativi a infrastrutture di trasporto nei porti marittimi fossero stati efficaci attraverso l’analisi degli obiettivi e delle realizzazioni di 27 progetti sostenuti finanziariamente dal FESR e dal Fondo di coesione, nonché delle modalità con cui gli Stati membri avevano gestito tali somme e del modo in cui la Commissione aveva monitorato il processo.

La Corte ha rilevato che solo 11 dei 27 progetti erano risultati efficaci nel sostenere gli obiettivi della politica in materia di trasporti. Per di più, alcune opere di costruzione non erano state ultimate, alcune non venivano utilizzate ed altre avrebbero avuto bisogno di notevoli investimenti aggiuntivi prima di poter essere utilizzate efficacemente.

Migliorare le prestazioni di trasporto lungo gli assi ferroviari transeuropei: gli investimenti dell’UE nel settore delle infrastrutture ferroviarie sono stati efficaci? (RS n. 8/2010)

L’audit della Corte è stato incentrato sul cofinanziamento UE delle infrastrutture ferroviarie e ne ha esaminato l’efficacia nel migliorare le prestazioni degli assi transeuropei di trasporto. La Corte ha concluso che si sarebbero potute adottare alcune misure per conseguire un migliore rapporto costi-benefici relativamente all’impiego dei fondi UE, ma che l’UE ha contribuito ad offrire nuove opportunità per il trasporto ferroviario transeuropeo.

I progetti infrastrutturali cofinanziati dall’UE avevano realizzato le opere previste in modo conforme alle specifiche e, una volta completati, avevano creato nuove e migliori possibilità di trasporto ferroviario lungo tratte fondamentali dei progetti prioritari. In molti casi, le specifiche tecniche erano state modificate a causa di circostanze emerse durante la costruzione.

Miglioramenti quantificabili sono stati ottenuti sulle linee riservate ai servizi passeggeri ad alta velocità, i quali operano come previsto. Per contro, l’utilizzo di tratte convenzionali per il trasporto misto e il trasporto merci beneficianti del cofinanziamento UE è influenzato da un insieme di fattori che fanno sì che i servizi ferroviari non stiano ancora operando come previsto. Persistono vincoli di sistema nella rete ferroviaria europea, specialmente nelle località di confine.

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AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E BIODIVERSITÀ

I finanziamenti dell’UE per le infrastrutture rurali: il rapporto costi-benefici può essere significativamente migliorato (RS n. 25/2015)

La Corte ha valutato se la Commissione e gli Stati membri fossero riusciti a conseguire un rapporto costi-benefici ottimale tramite il finanziamento di programmi di sviluppo rurale per infrastrutture quali strade, sistemi di approvvigionamento idrico, scuole e altre strutture pubbliche. I progetti finanziati erano volti, ad esempio, a migliorare l’efficienza energetica degli edifici pubblici o a garantire una migliore protezione dalle inondazioni.

Anche se i progetti infrastrutturali controllati avevano contribuito positivamente allo sviluppo delle zone rurali, la Corte ha riscontrato che gli Stati membri e la Commissione, operando in un regime di gestione concorrente, avevano conseguito solo in misura limitata un buon rapporto costi-benefici. Sarebbe stato possibile realizzare molto di più con i fondi disponibili. Gli Stati membri non sempre avevano giustificato in modo chiaro l’uso dei fondi UE per lo sviluppo rurale. Al contrario, si erano focalizzati maggiormente su come evitare i doppi finanziamenti piuttosto che su come conseguire un coordinamento efficace con altri fondi. Il rischio che i progetti venissero attuati anche senza il finanziamento UE non era stato gestito in maniera efficace, benché fossero state individuate alcune buone pratiche.

Dall’audit è emerso che, dal 2012, la Commissione aveva adottato un approccio più proattivo e coordinato. Se attuato in modo appropriato, ciò dovrebbe favorire una migliore gestione finanziaria nel periodo 2014-2020.

Sostegno dell’Unione europea ai paesi produttori di legname nell’ambito del piano d’azione FLEGT (RS n. 13/2015)

La Corte ha valutato se la Commissione avesse gestito in modo adeguato il sostegno fornito nell’ambito del piano d’azione dell’UE per l’applicazione delle normative, la governance e il commercio nel settore forestale (FLEGT) in favore della lotta contro il disboscamento illegale. Nel quadro di questo piano d’azione, tra il 2003 e il 2013 erano stati stanziati 300 milioni di euro a 35 paesi. Dall’audit è emerso che, sebbene il piano d’azione fosse stata un’iniziativa accolta favorevolmente, i risultati nel complesso erano stati modesti. L’assistenza non era stata concessa a paesi produttori di legname sulla base di criteri chiari e la presenza di numerosi paesi candidati all’assistenza aveva attenuato l’impatto dell’aiuto. I progressi realizzati variavano considerevolmente da un paese all’altro. Due paesi, l’Indonesia e il Ghana, avevano compiuto buoni passi avanti verso l’acquisizione di licenze per il legname da loro prodotto. Ma, nel complesso, i progressi erano stati decisamente lenti e molti paesi avevano incontrato difficoltà nel superare gli ostacoli ad una buona governance. Nei 12 anni trascorsi da quando la Commissione aveva approvato il piano d’azione, nessun paese partner aveva ottenuto un sistema di licenze pienamente certificato. La pianificazione inadeguata della Commissione, unitamente all’insufficiente chiarezza sulle priorità di finanziamento nei confronti dei paesi produttori di legname, erano stati fattori che avevano contribuito, in modo rilevante, alla scarsità di progressi. La Corte ha raccomandato alla Commissione di stabilire obiettivi chiari e

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AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E BIODIVERSITÀ

modalità per conseguirli. Quattro Stati membri non avevano attuato pienamente il regolamento UE sul legname, adottato per impedire l’accesso di legname illegale nel mercato dell’UE.

Il FESR è efficace nel finanziare progetti che promuovono in modo diretto la biodiversità nell’ambito della strategia dell’UE per la biodiversità all’orizzonte 2020? (RS n. 12/2014)

La Corte ha verificato se gli Stati membri avessero impiegato i fondi FESR disponibili per promuovere direttamente la biodiversità e ha valutato se i progetti cofinanziati fossero stati efficaci nell’arrestare la perdita di biodiversità.

Dall’audit è emerso che il ricorso degli Stati membri ai fondi FESR per finanziare progetti era stato minore rispetto ad altre aree della spesa FESR. Affinché il FESR potesse continuare a contribuire all’attuazione della strategia dell’UE intesa ad arrestare entro il 2020 la perdita di biodiversità, la Commissione avrebbe dovuto incrementare il sostegno fornito agli Stati membri per l’attuazione di specifici piani di tutela e gestione di habitat e specie. In genere, i progetti cofinanziati erano in linea con le priorità nazionali e dell’UE in tema di biodiversità. Tuttavia, la valutazione della loro efficacia era stata compromessa, in quanto la maggior parte degli Stati membri non avevano posto in essere né indicatori di risultato né sistemi di monitoraggio per valutare lo sviluppo degli habitat e delle specie.

L’integrazione nella PAC degli obiettivi della politica UE in materia di acque: un successo parziale (RS n. 4/2014)

La Corte ha valutato se gli obiettivi della politica dell’UE in materia di acque fossero stati integrati con successo nella politica agricola comune (PAC).

Dall’audit è emerso che l’UE era riuscita solo in parte a integrare nella PAC gli obiettivi della politica UE in materia di acque. Sono emerse debolezze nei due strumenti utilizzati nell’ambito della PAC (condizionalità e sviluppo rurale), nonché ritardi e debolezze nell’attuazione della direttiva quadro in materia di acque.

Gli strumenti della PAC avevano avuto un impatto positivo sul conseguimento degli obiettivi strategici di miglioramento della quantità e qualità delle risorse idriche. Tuttavia, tali strumenti erano limitati in rapporto alle ambizioni fissate per la PAC. Ad esempio, nessuno di questi due strumenti aveva permesso la piena attuazione del principio “chi inquina paga” durante l’utilizzo dei fondi della PAC.

Inoltre, vi era scarsa conoscenza, a livello UE e negli Stati membri, delle pressioni esercitate dalle attività agricole sulle risorse idriche e della loro evoluzione nel tempo.

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AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E BIODIVERSITÀ

La componente Ambiente del programma LIFE è stata efficace? (RS n. 15/2013)

L’audit ha riguardato in particolare i progetti finanziati dal 2005 al 2010. Gli auditor della Corte hanno effettuato delle visite presso i servizi competenti della Commissione, nonché in cinque Stati membri che erano tra i maggiori beneficiari di LIFE (Germania, Spagna, Francia, Italia e Regno Unito) e rappresentavano il 55 % della dotazione finanziaria ed il 15 % dei progetti di LIFE.

La Corte ha riscontrato che, nel complesso, la componente Ambiente di LIFE non funzionava efficacemente, poiché non era stata sufficientemente ben concepita ed attuata.

Sostegno per l’accrescimento del valore economico delle foreste da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (RS n. 8/2013)

Tramite l’audit si è valutato se il sostegno allo sviluppo rurale per l’accrescimento del valore economico delle foreste fosse stato gestito in modo efficiente ed efficace.

L’audit condotto dalla Corte ha rivelato debolezze nella concezione della misura, che ne avevano ostacolato fortemente la corretta attuazione. A livello della Commissione, la situazione del settore forestale nell’UE non era stata analizzata in modo sufficientemente dettagliato, tale da giustificare la proposta di uno specifico sostegno finanziario per l’accrescimento del valore economico delle foreste di proprietà di privati o di Comuni.

Inoltre, gli elementi chiave della misura non erano stati definiti nelle disposizioni giuridiche. In particolare, non era specificato cosa si intendesse per “valore economico delle foreste” e per “azienda forestale”. In aggiunta, gli Stati membri avevano stabilito dimensioni molto diverse per le aziende forestali, superate le quali era necessario elaborare un piano di gestione forestale.

La Corte ha constatato che solo una minima parte dei progetti controllati aveva accresciuto in maniera significativa il valore economico delle foreste, aumentando il valore dei terreni (costruzione di sentieri e strade forestali) o delle zone boschive (operazioni silvicole come la potatura o il diradamento).

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ACQUA E RIFIUTI

Lotta allo spreco di alimenti: un’opportunità per l’UE di migliorare, sotto il profilo delle risorse, l’efficienza della filiera alimentare (RS n. 34/2016)

La Corte ha esaminato il ruolo che l’UE potrebbe svolgere nella lotta contro lo spreco alimentare. I costi ambientali ed economici associati allo spreco di alimenti sono ingenti. Secondo le stime della FAO, il costo economico su scala globale è pari a 1 000 miliardi di dollari USA l’anno e i costi ambientali ammontano a circa 700 miliardi di dollari USA. L’audit è stato incentrato sulle azioni di prevenzione e donazione, i mezzi più efficaci nella lotta contro lo spreco alimentare. La Corte ha concluso che le azioni precedenti non erano state sufficienti e che la strategia dell’UE in materia doveva essere potenziata e coordinata in modo migliore. La Corte ha raccomandato alla Commissione di riflettere su come utilizzare le politiche esistenti per meglio lottare contro lo spreco di alimenti. Molti dei potenziali miglioramenti suggeriti dalla Corte non richiedevano nuove iniziative né maggiori fondi pubblici, ma comportavano piuttosto un miglior allineamento delle politiche esistenti, un miglior coordinamento e la chiara individuazione della riduzione dello spreco alimentare come obiettivo delle politiche.

Combattere l’eutrofizzazione nel Mar Baltico: occorrono ulteriori e più efficaci interventi (RS n. 3/2016)

Il Mar Baltico è uno dei mari più inquinati al mondo. Contrastare l’eutrofizzazione, causata da carichi di nutrienti provenienti da fonti agricole e dalle acque reflue urbane, rappresenta una sfida impegnativa. Il cambiamento climatico la accentua in due modi: Innanzitutto, i cambiamenti dei regimi delle precipitazioni possono portare a una maggiore concentrazione di sostanze inquinanti in prossimità delle coste, aggravando l’eutrofizzazione. In secondo luogo, l’aumento delle temperature marine potrebbe comportare migliori condizioni per la crescita delle proliferazioni di alghe. Il quadro normativo dell’UE impone agli Stati membri di attuare misure volte a ridurre i carichi eccessivi di nutrienti e a conseguire il buono stato ecologico delle acque marine. L’UE cofinanzia alcune di queste misure. La Corte ha verificato se gli interventi dell’UE siano stati efficaci nell’aiutare gli Stati membri a ridurre i carichi di nutrienti nel Mar Baltico. La Corte ha concluso che tali interventi si sono tradotti in progressi limitati in termini di riduzione delle sostanze eutrofizzanti nel Mar Baltico. La Corte formula una serie di raccomandazioni per migliorare l’efficacia delle azioni di contrasto all’eutrofizzazione nel Mar Baltico.

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ACQUA E RIFIUTI

La qualità delle acque nel bacino idrografico danubiano: sono stati compiuti progressi nell’attuazione della direttiva quadro in materia di acque, ma resta ancora strada da fare (RS n. 23/2015)

Tramite l’audit si è valutato se l’attuazione della direttiva quadro in materia di acque da parte di Repubblica ceca, Ungheria, Romania e Slovacchia avesse determinato un miglioramento della qualità delle acque di superficie nel bacino del Danubio. La Corte ha concluso che gli Stati membri avrebbero dovuto accrescere gli sforzi profusi per accelerare i progressi sul fronte della qualità delle acque, dato che si erano registrati pochi miglioramenti dall’introduzione del piano di gestione dei bacini idrografici del 2009. Tali piani avevano presentato carenze nell’individuazione delle pressioni dell’inquinamento e la definizione delle misure correttive era stata poco ambiziosa. Per un numero elevato di corpi idrici, gli Stati membri avevano inoltre concesso esenzioni dall’obbligo di rispettare scadenze importanti senza fornire motivazioni sufficienti. La Corte ha considerato che fosse fondamentale per gli Stati membri definire misure mirate per ciascun corpo idrico sulla base di un’identificazione affidabile delle problematiche di inquinamento che lo interessano. Una migliore calibrazione delle misure garantirebbe inoltre l’efficienza economica. Gli Stati membri dovrebbero valutare i costi delle suddette misure e rendere disponibili i finanziamenti. Per quanto concerne le acque reflue, si erano registrati ritardi nell’attuazione della direttiva sul trattamento delle acque reflue e le misure non erano adeguatamente mirate ad alcuni inquinanti specifici tramite l’imposizione di limiti di emissione specifici. Per quanto riguarda l’agricoltura, gli strumenti disponibili al momento dell’audit (piani di azione relativi ai nitrati e ai pesticidi) non erano stati utilizzati appieno e si era fatto troppo affidamento sulle misure volontarie (sviluppo rurale). Per entrambe le aree, i meccanismi volti a garantire l’applicazione di tali misure (ispezioni e sanzioni) erano risultati solo parzialmente efficaci. Inoltre, era particolarmente necessario razionalizzare i vari controlli nel settore agricolo. Infine, la tassa sull’inquinamento delle risorse idriche imposta sugli scarichi di acque reflue non era stata utilizzata al meglio e il principio “chi inquina paga” era stato applicato solo in parte all’inquinamento diffuso in agricoltura.

Il finanziamento dell’UE agli impianti di trattamento delle acque reflue urbane nel bacino idrografico danubiano: occorrono ulteriori sforzi per aiutare gli Stati membri a conseguire gli obiettivi della politica dell’UE in materia di acque reflue (RS n. 2/2015)

La Corte ha valutato l’attuazione della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane da parte di quattro Stati membri nel bacino idrografico danubiano, nonché la performance di 28 impianti di trattamento delle acque reflue.

Sebbene la spesa dell’UE avesse fornito un contributo cruciale ai progressi compiuti dai paesi per quanto riguarda i requisiti della direttiva, tutti avevano registrato ritardi. In tre Stati membri, l’assorbimento dei fondi UE disponibili era stato lento ed aveva rischiato di comportare la perdita di finanziamenti UE.

Gli impianti di trattamento erano in linea con i requisiti UE in materia di effluenti, quando applicabili. Tuttavia, i requisiti UE in materia di effluenti erano stati in alcuni casi meno restrittivi dei requisiti nazionali, e ciò lascia supporre che potrebbe essere necessaria una revisione della direttiva. Il 32 % degli impianti era

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ACQUA E RIFIUTI

sovradimensionato e si era registrata una mancanza di informazioni riguardo gli sfioramenti dovuti a precipitazioni. In certi casi è stato inoltre necessario trovare metodi di smaltimento più adatti per i fanghi di depurazione.

Inoltre, lacune nelle procedure per la determinazione delle tariffe spesso avevano rischiato di compromettere la sostenibilità degli impianti. Le spese di funzionamento, che si riflettevano sulle tariffe, variavano da un impianto all’altro, e ciò fa supporre che vi fossero margini di riduzione di tali costi.

Il finanziamento attraverso misure strutturali di progetti di infrastrutture per la gestione dei rifiuti urbani contribuisce efficacemente al conseguimento, da parte degli Stati membri, degli obiettivi della politica dell’UE in materia di rifiuti? (RS n. 20/2012)

La Corte ha valutato l’efficacia del finanziamento attraverso misure strutturali di infrastrutture per la gestione dei rifiuti urbani per aiutare gli Stati membri a conseguire gli obiettivi della politica UE in materia di rifiuti.

Gli auditor della Corte hanno osservato che i rifiuti urbani, se non raccolti, trattati e smaltiti in modo appropriato, rappresentano una minaccia per la salute pubblica e possono avere un impatto ambientale negativo, come ad esempio l’emissione di gas a effetto serra.

Tramite l’audit si è valutata la performance di un campione di 26 progetti di infrastrutture per la gestione dei rifiuti, esaminando altresì la realizzazione degli obiettivi della politica dell’UE in materia di rifiuti, nonché l’attuazione delle misure di sostegno nelle otto regioni in cui sono ubicate tali infrastrutture. È stato inoltre esaminato il ruolo della Commissione.

La Corte ha concluso che, benché in quasi tutte le regioni selezionate si fossero registrati miglioramenti nella gestione dei rifiuti, l’efficacia del finanziamento, tramite le misure strutturali dell’UE, di infrastrutture per la gestione dei rifiuti urbani era stata ostacolata dalla scarsa attuazione di misure di sostegno e da debolezze del quadro normativo e degli orientamenti dell’UE in tema di rifiuti.

Assistenza dell’Unione europea allo sviluppo in materia di approvvigionamento di acqua potabile e impianti igienico-sanitari di base nei paesi dell’Africa subsahariana (RS n. 13/2012)

Gli auditor della Corte hanno valutato se la Commissione avesse gestito i fondi dell’UE destinati all’assistenza allo sviluppo in materia di acqua potabile e impianti igienico-sanitari di base nell’Africa subsahariana in modo da produrre risultati efficaci e sostenibili.

La Corte ha constatato che l’assistenza dell’UE aveva incrementato l’accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienico sanitari di base. Tuttavia, meno della metà dei progetti esaminati era stata in grado di soddisfare le esigenze dei beneficiari e gli auditor della Corte hanno osservato che la continuità dei benefici sarà compromessa a meno che non si garantiscano entrate diverse dai proventi tariffari.

La Commissione non aveva utilizzato adeguatamente le proprie procedure di gestione per aumentare la probabilità che i progetti generassero benefici durevoli.

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ACQUA E RIFIUTI

I fondi dell’UE spesi per interventi strutturali nel settore dell’approvvigionamento idrico per consumo domestico sono utilizzati in modo ottimale? (RS n. 9/2010)

Nell’espletare l’audit, la Corte ha concentrato la propria attenzione sulle infrastrutture adibite all’approvvigionamento idrico domestico cofinanziate nel quadro delle misure strutturali dell’UE nel corso del periodo di programmazione 2000-2006 in Spagna, Grecia, Portogallo e Italia, principali beneficiari dei finanziamenti erogati in questo settore. Scopo dell’audit era valutare se fossero state adottate le soluzioni più appropriate, se i progetti cofinanziati fossero stati efficaci, e se i risultati fossero stati conseguiti al minor costo per il bilancio dell’UE. La Corte ha concluso che, sebbene la spesa per gli interventi strutturali avesse contribuito a migliorare l’approvvigionamento idrico destinato al consumo domestico, si sarebbero potuti conseguire migliori risultati a un costo minore. In particolare, le previsioni relative al futuro fabbisogno idrico non avevano tenuto conto né della tendenza alla diminuzione della domanda, né di tutte le altre risorse già disponibili. Non si era tenuto conto nemmeno della riduzione delle perdite idriche. Erano stati conseguiti miglioramenti misurabili in termini di aumento del volume d’acqua disponibile, dell’espansione della copertura della rete pubblica, del miglioramento della qualità dell’acqua, del potenziamento della resa della rete e della continuità del servizio; alcuni progetti non erano però operativi a causa della mancanza di infrastrutture complementari. La Corte ha rilevato che il monitoraggio dei risultati aveva presentato un livello di qualità variabile e non sempre si era provveduto a verificare il rispetto delle condizioni laddove imposte dalle decisioni di concessione. In tutti i progetti si sono registrati incrementi dei costi e ritardi; da una valutazione condotta in base ai due principali parametri di efficienza era emerso che il funzionamento di diversi progetti era caratterizzato da scarsa efficienza; significative debolezze sono state riscontrate nel processo di determinazione dell’ammontare delle sovvenzioni; e la Commissione e le autorità di gestione degli Stati membri non avevano tenuto sufficientemente conto della capacità dei progetti di generare entrate.

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PREVENZIONE DELLE CALAMITÀ E PREPARAZIONE ALLE CALAMITÀ

Meccanismo unionale di protezione civile: il coordinamento delle risposte alle catastrofi verificatesi al di fuori dell’UE è stato, in genere, efficace (RS n. 33/2016)

Il meccanismo unionale di protezione civile (UCPM) è stato istituito per promuovere una cooperazione operativa rapida ed efficace fra i servizi nazionali di protezione civile; la Commissione svolge l’importante ruolo di facilitarne il coordinamento.

Gli auditor della Corte hanno esaminato le operazioni di attivazione di detto meccanismo in risposta a tre recenti catastrofi di portata internazionale: le inondazioni in Bosnia-Erzegovina (2014), l’epidemia causata dal virus Ebola nell’Africa occidentale (2014-2016) e il terremoto in Nepal (2015).

La Corte ha concluso che la Commissione era stata in genere efficace nel facilitare il coordinamento delle risposte a catastrofi verificatesi al di fuori dell’UE dall’inizio del 2014. La Corte aveva formulato una serie di raccomandazioni al fine di contribuire ad un migliore funzionamento dell’UCPM nel corso della fase di risposta ad una catastrofe.

Il sostegno dell’UE alla prevenzione di danni a foreste causati da incendi e calamità naturali e alla ricostituzione del potenziale forestale è gestito bene? (RS n. 24/2014)

Nel periodo di programmazione 2007-2013, il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) aveva fornito sostegno per la ricostituzione del potenziale forestale in foreste danneggiate da calamità naturali e incendi e per la realizzazione di interventi preventivi.

La Corte ha concluso che il sostegno non era stato gestito in modo sufficientemente adeguato e che la Commissione e gli Stati membri non erano stati in grado di dimostrare che i risultati previsti fossero stati raggiunti in modo efficiente.

Gli interventi preventivi non erano sufficientemente mirati. Gli auditor della Corte hanno rilevato interventi che non erano adatti al raggiungimento degli obiettivi della misura. L’efficacia degli interventi finanziati in rapporto ai costi non era stata garantita in maniera adeguata. Infine, gli strumenti di monitoraggio in uso non avevano permesso alla Commissione e agli Stati membri di valutare appropriatamente l’efficienza e l’efficacia della misura.

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PREVENZIONE DELLE CALAMITÀ E PREPARAZIONE ALLE CALAMITÀ

Sostegno dell’UE per la riabilitazione a seguito del terremoto di Haiti (RS n. 13/2014)

Questa relazione affronta la gestione delle catastrofi. I terremoti non sono legati al riscaldamento globale di per sé, ma le modalità con cui i fondi sono utilizzati in risposta alle catastrofi naturali di questo tipo sarebbero simili a quelle utilizzate per affrontare catastrofi connesse ai cambiamenti climatici.

La Corte ha concluso che la Commissione aveva risposto ai bisogni primari in materia di riabilitazione in modo adeguato (strategia valida, opportuna divisione del lavoro tra la Commissione e altri principali donatori).

Tuttavia, i programmi non erano stati attuati in modo sufficientemente efficace e non vi era stato un collegamento sufficiente tra aiuto d’emergenza, riabilitazione e sviluppo. Questa situazione era in parte dovuta al difficile contesto e alle debolezze delle autorità nazionali, nonché a carenze nella gestione di alcuni fattori sotto il controllo della Commissione. La maggior parte dei programmi aveva subito ritardi e, per alcuni, i progressi compiuti erano stati limitati. Il monitoraggio disponeva di un quadro di riferimento adeguato, ma di risorse insufficienti.

La risposta del Fondo di solidarietà dell’Unione europea al terremoto del 2009 in Abruzzo: pertinenza e costo delle operazioni (RS n. 24/2012)

Questa relazione affronta la gestione delle catastrofi. I terremoti non sono legati al riscaldamento globale di per sé, ma le modalità con cui i fondi sono utilizzati in risposta alle catastrofi naturali di questo tipo sarebbero simili a quelle utilizzate per affrontare catastrofi connesse ai cambiamenti climatici.

Gli auditor della Corte hanno valutato se le operazioni finanziate fossero state conformi al regolamento del Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE), e se il progetto CASE (che costituiva la maggior parte della spesa) fosse stato ben pianificato e progettato e fosse stato attuato con debito riguardo a criteri di economicità.

La Corte ha constatato che, a differenza degli altri progetti finanziati, il progetto CASE non era ammissibile in base al regolamento FSUE. Vi erano inoltre carenze nella pianificazione di detto progetto e nell’assicurare l’economicità dell’attuazione dello stesso.

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RICERCA

L’Istituto europeo di innovazione e tecnologia deve modificare i propri meccanismi operativi nonché alcuni elementi del modo in cui è concepito per conseguire l’impatto atteso (RS n. 4/2016)

L’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (EIT) mira a migliorare i legami esistenti tra il mondo dell’istruzione, della scienza e delle imprese, fungendo così da motore dell’innovazione nell’UE. La Corte ha concluso che, benché l’esistenza dell’EIT sia certamente giustificata, il complesso quadro operativo e i problemi di gestione dell’Istituto ne avevano ostacolato l’efficacia generale.

La Corte ha individuato diverse debolezze nel modello di finanziamento dell’EIT, nei meccanismi di comunicazione fra l’Istituto e le comunità della conoscenza e dell’innovazione, nonché nella sostenibilità finanziaria di queste ultime. A sette anni dalla sua istituzione, l’EIT non era ancora, sotto il profilo operativo, del tutto indipendente dalla Commissione europea. Tale situazione ne aveva ostacolato il processo decisionale. La Corte ha concluso che se l’EIT intendeva divenire l’istituto innovativo di punta per come era stato inizialmente concepito, sarebbero stati necessari adeguamenti normativi e operativi per promuovere meglio il potenziale di innovazione dell’UE.

Per quanto riguarda il settore energetico e climatico, dall’audit non sono emersi elementi da cui risulti che la collaborazione tra le Comunità della conoscenza e dell’innovazione (CCI) Innoenergy e Clima nel corso del periodo in esame (2010-2014) avesse condotto a realizzazioni concrete. È stato inoltre sottolineato che la CCI Clima era riuscita a soddisfare solamente otto dei suoi 18 obiettivi strategici.

La Commissione ha assicurato un’attuazione efficiente del Settimo programma quadro per la ricerca? (RS n. 2/2013)

Il settimo programma quadro per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione è uno degli strumenti chiave con cui l’Unione europea finanzia la ricerca.

Questa relazione ha esaminato la gestione del suddetto programma da parte della Commissione. La Corte ha concluso che la Commissione aveva intrapreso azioni volte a semplificare e migliorare la gestione del programma, ma restava problematico assicurare un’attuazione efficiente in una serie di aree.

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FINANZIAMENTO DELLA MITIGAZIONE E DELL’ADATTAMENTO

L’esecuzione del bilancio UE tramite gli strumenti finanziari: insegnamenti utili del periodo di programmazione 2007-2013 (RS n. 19/2016)

Gli auditor della Corte hanno valutato se gli strumenti finanziari nei settori della politica regionale, sociale, dei trasporti e dell’energia fossero stati un mezzo efficiente per dare esecuzione al bilancio UE nel periodo 2007-2013. Gli auditor hanno rilevato una serie di problematiche importanti che avevano limitato l’efficienza di detti strumenti: •i costi e le commissioni di gestione erano elevati in rapporto al sostegno erogato e notevolmente superiori a quelli osservati per i fondi del settore privato; •molti di essi erano sovradimensionati e, a fine 2014, l’esborso del capitale loro assegnato continuava a porre notevoli problemi (anche se, da allora, erano stati adottati provvedimenti che potrebbero attenuare queste difficoltà); •gli strumenti finanziari, che fossero sottoposti a gestione concorrente o centralizzata, non erano riusciti ad attrarre capitali privati; •solo pochi strumenti erano riusciti a fornire sostegno finanziario riutilizzabile.

Spendere almeno un euro su cinque del bilancio UE per l’azione per il clima: i lavori in corso sono ambiziosi, ma rischiano fortemente di non essere sufficienti (RS n. 31/2016)

L’UE ha deciso di spendere a favore dell’azione per il clima almeno il 20 % del proprio bilancio per il periodo 2014-2020. Si intendeva raggiungere questo target integrando l’azione per il clima nei vari settori d’intervento e nei fondi previsti dal bilancio dell’UE. Secondo la Corte, vi era un serio rischio che il target dell’UE di spendere almeno un euro su cinque del proprio bilancio a favore dell’azione per il clima tra il 2014 e il 2020 non venisse raggiunto. Dall’audit espletato dalla Corte è emerso che erano in corso lavori ambiziosi e che erano stati compiuti progressi. In assenza di maggiori sforzi, però, rimaneva il forte rischio che l’obiettivo del 20 % non venisse raggiunto. Nel Fondo europeo di sviluppo regionale e nel Fondo di coesione l’attuazione del target aveva comportato interventi più attenti e mirati all’azione per il clima. Nei settori dell’agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca, nonché nel Fondo sociale europeo non vi era stata, invece, una svolta significativa in tale direzione. Secondo la Commissione, la percentuale di finanziamenti dedicata all’azione per il clima tra il 2014 e il 2016 era stata in media del 17,6 %. Per raggiungere il target globale fissato per il bilancio UE entro la fine del 2020, la Corte stima che sarebbe necessario aumentare a una media del 22 % il tasso di finanziamento per il clima nel periodo dal 2017 al 2020 compresi. Complessivamente, al momento dell’audit, la Commissione stimava che la spesa destinata all’azione per il clima tra il 2014 e il 2020 sarebbe stata pari al 18,9 %, pertanto al di sotto dell’obiettivo del 20 %. Dall’audit della Corte è inoltre emerso che le stime della Commissione erano basate su ipotesi sulla spesa agricola destinata all’azione per il

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FINANZIAMENTO DELLA MITIGAZIONE E DELL’ADATTAMENTO

clima che portavano a sopravvalutazioni ed erano inficiate dalla mancanza di un’adeguata giustificazione.

Finanziamenti UE per il clima nel contesto degli aiuti esterni (RS n. 17/2013)

La Corte ha verificato se la Commissione avesse gestito adeguatamente la spesa relativa al clima finanziata dal bilancio dell’UE e dal Fondo europeo di sviluppo (FES). La Corte ha altresì verificato se la Commissione avesse intrapreso le misure del caso per promuovere il coordinamento con gli Stati membri dell’UE in materia di finanziamenti per il clima destinati ai paesi in via di sviluppo, e se tale coordinamento fosse stato adeguato.

La Corte ha concluso che la Commissione aveva gestito adeguatamente gli aiuti per il clima finanziati mediante il bilancio dell’UE e il FES. Tuttavia, per far sì che tali finanziamenti ottengano il massimo impatto a livello internazionale, la Corte ha raccomandato di migliorare considerevolmente il coordinamento tra la Commissione e gli Stati membri in materia di finanziamenti per il clima destinati ai Paesi in via di sviluppo, e di rafforzare il loro coordinamento al fine di combattere la corruzione.

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ALTRO

La Commissione ed Eurostat hanno migliorato il processo per produrre statistiche europee affidabili e credibili? (RS n. 12/2012)

La Corte ha valutato se la Commissione ed Eurostat avessero migliorato il processo per produrre statistiche europee affidabili e credibili. Tale miglioramento dipendeva dall’applicazione del Codice delle statistiche europee che stabilisce le norme per sviluppare, produrre e diffondere le statistiche, e dall’attuazione del programma statistico europeo. Non prendeva in esame l’affidabilità dei risultati statistici specifici.

La Corte ha rilevato che la Commissione ed Eurostat non avevano ancora raggiunto la piena attuazione del Codice delle statistiche europee e che l’Eurostat non aveva concepito il programma statistico 2008-2012 come un efficace strumento di pianificazione, monitoraggio e responsabilizzazione.

Efficacia degli aiuti allo sviluppo forniti dall’Unione europea per la sicurezza alimentare nell’Africa subsahariana (RS n. 1/2012)

La Corte ha valutato se gli aiuti allo sviluppo dell’UE per la sicurezza alimentare nell’Africa subsahariana fossero stati efficaci, analizzando se fossero in linea con le necessità e le priorità dei paesi e se gli interventi dell’UE fossero stati efficaci.

La Corte ha concluso che gli aiuti UE allo sviluppo per la sicurezza alimentare nell’Africa subsahariana erano stati in gran parte efficaci e avevano contribuito in modo determinante al conseguimento della sicurezza alimentare. Tuttavia, la Commissione non aveva valutato a sufficienza il potenziale margine per fornire sostegno a Paesi afflitti da insicurezza alimentare cronica, e non aveva attribuito un’adeguata priorità al tema della nutrizione.

Le valutazioni d’impatto nelle istituzioni dell’Unione europea: costituiscono un supporto al processo decisionale? (RS n. 3/2010)

La Corte ha verificato se la Commissione avesse predisposto delle valutazioni d’impatto al momento di formulare le sue proposte, se le procedure relative alla valutazione di impatto stabilite dalla Commissione avessero permesso alla stessa di sostenere adeguatamente lo sviluppo delle proprie iniziative e se il contenuto delle relazioni di valutazione d’impatto della Commissione fosse stato adeguato. Nell’insieme, dall’audit è emerso che, specie nel corso degli ultimi anni, la valutazione dell’impatto aveva sostenuto efficacemente la presa di decisioni in seno alle istituzioni dell’UE. Tuttavia, le valutazioni dell’impatto predisposte dalla Commissione non erano state aggiornate man mano che la procedura legislativa avanzava, e il Parlamento europeo e il Consiglio avevano raramente effettuato valutazioni d’impatto per quel che riguarda i rispettivi emendamenti. L’audit ha permesso di rilevare opportunità di miglioramento per quanto riguarda le procedure di valutazione dell’impatto seguite dalla Commissione, nonché il contenuto e la presentazione delle relazioni di valutazione d’impatto.