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ERODOTO108 12 • AUTUNNO 2015 IL TENTATIVO DELLA POESIA

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DUE COPERTINE non sapevamo quale scegliere. La foto scattata da Francesco Faraci nella strada a luci rosse di Catania ci piaceva molto. Dolce e durissima. Oppure la foto che ritrae un sereno Ernesto Cardenal, poeta e monaco nicaraguense. Sorride Ernesto, è un uomo severo e, a suo modo, generoso. Alla fine, abbiamo deciso di tenerle entrambe. Perché sono il doppio volto di questo numero di Erodoto108. Il volto oscuro del Sud, la terra che noi amiamo, raffigurato da una bella siciliana. Ed Ernesto come guida nel mondo sospeso, e così reale, della poesia. Erodoto108 è tutto questo. Ha più facce. Per ora, due.

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ERODOTO10812 • AUTUNNO 2015

IL TENTATIVO DELLA POESIA

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ERODOTO10812 • AUTUNNO 2015

IL TENTATIVO DELLA POESIA / LA SECONDA COPERTINA

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80 alBerto CaSiraGhyIL BUON PANETTTIERE

testo di Stefano BusolinFoto di Grazia de Cesaris

84 Storie di ritrattoLE COLLANE DI ALDA MERINI

Foto di maria di pietroUNA VITA PRESA AL CONTRARIO

testo di Sandro abruzzese

erodoto GioCa88 L’INCREDIBILE FOLLE STORIA DEL ‘FIFFA INDA STREET

testo di marco montanaro, Foto di daniele argentiero e Gabriele Fanelli

94 IL RE DEL CAMPINOtesto di alessandro Bartolini,Foto di mauro Sani

96 ‘SE MANCANO BEN 10 SECONDI...’COLLOQUIO CON PIERGIORGIO PATERLINI

testo di irene russo Foto di Giuseppe Boiardi

100 Storie di CiBoCerChiara di CalaBria LE DONNE DEL PANE

testo e foto di andrea Semplici

102 quaderni a quadrettiLA CASA E IL TEMPODISEGNI DI ROBERTO INNOCENTI

andrea rauch/roberto innocenti

112 I ”PUNTO DI VISTA”CON GLI OCCHI DI UN UCCELLO Guido CozziL’UOMO È LA MISURA DELLE COSE andrea rauchLO SGUARDO DEL PICCOLO PRINCIPE Vittore Buzzi

127 LA DECIMA LIBRERIALE NUOVE LIBRERIE A FIRENZE

136 oroSCopo di letizia SGalamBro

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ERODOTO108 DUE COPERTINEnon sapevamo quale scegliere. la foto scattata da Francesco Faraci nella strada aluci rosse di Catania ci piaceva molto. dolce e durissima. oppure la foto che ritrae un sereno ernesto Cardenal, poeta e monaco nicaraguense. Sorride ernesto, è un uomo severo e, a suo modo, generoso. alla fine, abbiamo deciso di tenerle entrambe. perché sono il doppio volto di questo numero di erodoto. il volto oscuro del Sud, la terra che noi amiamo, raffigurato da una bella siciliana. ed ernesto come guidanel mondo sospeso, e così reale, della poesia. erodoto è tutto questo. ha più facce. per ora, due.

Sommario

4 editoriale PER FAVORE UNA RISATAandrea Semplici

8 LE FOTO CHE FARETEVittore Buzzi, andrea Semplici, Guido Cozzi

14 il raCContoEL BUS DE DIOS matthew licht

20 reportaGe ROSSE LUCI A CATANIA

Francesco Faraci

34 reportaGeNERA NOTTE A MATERA

testo e foto di ‘Canacca’

IL TENTATIVO DELLA POESIA

48 Gli oCChi di erodotoLE SEI VITE DI ERNESTO CARDENALCRONACA DI UN’INTERVISTA MAI AVVENUTA

testo e foto di andrea Semplici

58 POETI FUORI STRADAtesto di arturo ValleFoto di Vittore Buzzi

64 annaliSa teodorani “FURMIGHINI” CHE REGGONO IL MONDO E FETTINE SOTTILI DI LUNA

testo di Silvia la Ferrara Foto di Salvatore di vilio

68 alFonSo Guida SULL’ORLO DEL BURRONEtesto di nadia CasamassimaFoto/frame andrea Foschi e tommaso orbi

74 Storie di Cimiteri UNA LETTERA PER KEATSil Cimitero aCattoliCo di romatesto e foto di Francesca Cappelli

76 SilVana Kühtz PAROLE A OCCHI CHIUSItesto di teresa manuzzi

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questo numero è un successo, perché è stato fatica, è stato difficile, faticoso,in qualche modo doloroso, ma è anche un bel numero. Siamo sempre piùconvinti che abbiamo bisogno di un equipaggio ben più grande e appassio-

nato per tirar fuori questo naviglio dagli scogli sui quali si è incagliato. rischia di af-fondare. noi vorremmo restare a galla: nel mondo sta accadendo di tutto, stacambiando la nostra geografia e noi vorremmo raccontarlo. Vorremmo essere inprima fila: sulle frontiere dove l’umanità sta camminando e, soprattutto, vorremo es-sere nei luoghi sconosciuti dove, nei prossimi anni, ci sarà davvero il cambiamento. il racconto come un grimaldello per dare un senso al vivere. la quasi certezza cheparole e idee possano davvero essere uno strumento di forza, resistenza, resilienza,aiuto a chi davvero prova a (ri)costruire un mondo più giusto.abbiamo bisogno di aiuto. abbiamo bisogno di chi sappia navigare e abbia voglia diremare, perché non abbiamo un motore, né le vele. questo è un Sos. Sara e ales-sandro sono scesi dalla barchetta di erodoto. ne siamo addolorati. il loro fare è statoimportante per tenere in piedi questa storia. non è finita bene. rimane la gratitudinee gli applausi per il loro lavoro.

alla fine credo che abbiamo voluto portare fino in fondo il numero 12 di erodoto perluca e per andrea. luca e andrea non ci sono più.

luca rastello è morto a torino questa estate. aveva 54 anni. era un giornalista e, so-prattutto, era uno scrittore. ha scritto alcuni dei libri più belli e quasi sconosciuti diquesti anni. piove all’insù è la storia reale della generazione del ’77 (dirà pochissimo,questo anno, il 1977, ai nostri lettori più giovani, ma è stato un anno bellissimo e ter-ribile); la guerra in casa è certamente il libro più intenso che mai sia stato scritto, inlingua italiana, sull’oscenità del mattatoio balcanico e sugli uomini e le donne chenon vollero far finta di niente; i buoni è il libro che tutti avremmo voluto scrivere: il rac-conto di quell’universo della bontà che, oltre l’immagine pubblica, oltre un sipario dibelle parole, ha crepe infette di mal-essere. Solo luca poteva esserne capace.

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editorialeper FaVore, una riSata

www.erodoto108.com

• Fondatore: Marco Turini • Direttore responsabile: Andrea Semplici • Redazione Giovanni Breschi, Vittore Buzzi, Valentina Cabiale, Francesca Cappelli, Silvia La Ferrara, MassimoD’Amato, Isabella Mancini, Andrea Semplici, Letizia Sgalambro, Marco Turini

• Designer Giovanni Breschi

• Web designer Allegra Adani

ERODOTO108 registrata al Tribunale di Firenze Stampa Periodica al n.5738 il 28/09/2009

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andrea Foschi è morto a Firenze. aveva 35 anni. Viveva fra roma e il Valdarno. miaveva regalato la prima lezione di video della mia vita. era un videomaker e un foto-grafo. e aveva i capelli che andavano all’insù, capelli ottocenteschi. l’ho visto muo-versi su un set. l’ho visto creare un set. l’ho guardato mentre trasformava il mondoin immagini in movimento. alcune di queste immagini, girate assieme a tommasoorbi, raccontano di alfonso Guida, poeta lucano. avevo suggerito ad andrea e tom-maso di andare a trovare alfonso: se volevamo raccontare in un film la lucania, do-vevano passare dall’eremo di questo poeta. non so: alfonso mi aveva chiamato perchiedermi se potevo risparmiargli questo incontro. ho insistito. Sapevo che andreatommaso erano giusti. e, in un pomeriggio di autunno, nacque una complicità fra idue videomaker e il poeta. di quella giornata sono rimasti dei frame. delle immaginifisse tratte dal video che fu girato (e mai montato) in quella giornata. tommaso orbice le ha donati per la nostra rivista. e io mi tengo addosso la malinconia di lezioni chemai ho avuto da andrea. e mi tengo le note del nostro unico incontro. non impareròa fare un video.

ecco, facciamo questo numero per luca e andrea.

Èstrano questo numero 12 di erodoto (bel numero, i mesi dell’anno, la tenta-zione è di finire qui: in fondo abbiamo dimostrato che è possibile fare un rivistasenza un solo centesimo. Confesso: ci piacerebbe dimostrare che è possibile

farla con buoni stipendi). parla del Sud. ma questa volta siamo andati a scandagliare il dark side del Sud. Cisiamo avventurati in strade inesplorate. le rosse luci di Catania, a esempio. Fran-cesco Faraci, fotografo palermitano, ha camminato per la strada delle belle, delleputtane. ha intrecciato con loro complicità e amicizia. e alla fine gli hanno aperto laporta. ne è venuto fuori un racconto crudo e dolcissimo. Francesco ci ha fatto co-noscere quello che c’è oltre la cortina di un non-detto. e noi vorremmo continuare apasseggiare per il non-detto.Forse ancora più sorprendente, è il racconto di Canacca. Canacca è un ragazzo di19 anni. di matera. non ha una macchina fotografica. possiede uno smartphone e,per la prima volta, grazie a un fotografo, raffaele petralla e ai corsi organizzati dalloiac, il centro arti integrate di matera, ha fotografato. e ha raccontato una storia chenessuno racconta: le notti dei ragazzi della città dei Sassi. oltre la loro bellezza, oltrel’orgoglio di essere diventata Capitale europea della cultura, oltre i luoghi comuni:matera è anche una nera notte e i Sassi sono il rifugio di una generazione che col-tiva la noia. È bellissimo il racconto-reportage di Canacca. Gli siamo grati di averlovoluto donare a noi.

dal buio del Sud, la terra che più amiamo al mondo, alla luce di poeti. in fondo, anchequesta ci appare storia meridionale. al Sud si scrive poesia, si ascolta poesia, si or-ganizzano spettacoli di poesia. la sensazione è che lo si faccia ben più che al nord(ma siamo di parte) e allora, partendo dal nicaragua, paese di poeti, partendo da unvecchio poeta novantenne, ernesto Cardenal uno dei protagonisti della teologia dellaliberazione, cacciato dall’altare da un impietoso Giovanni paolo ii), siamo ritornati initalia e l’abbiamo percorsa, con casualità, da milano alla lucania, cercando poeti.poeti sconosciuti, poeti amati da chi li insegue, poeti grandi. li scoprirete sfogliando

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le pagine virtuali di questa rivista. abbiamo davvero fatto un viaggio a zigzag, senzauna vera meta. un viaggio che vorremmo continuare, questa sarebbe una buona ra-gione per tenere in vita erodoto: raccontare i poeti. perché anche loro sono granellidi sabbia che possono inceppare meccanismi e almeno darci emozioni, forza percambiare il mondo.

un’attenzione: i poeti sorridono nelle foto che abbiamo scattato. Forse è appena undettaglio, un frammento insignificante. ma provate a pensare a come immaginate unpoeta, come ce lo hanno raffigurato nei nostro anni di scuola…forse le foto dei poeti,di questo poeti sono davvero un incoraggiamento. perché i poeti ridono. Grazie a Sal-vatore di Vilio, a andrea Foschi e tommaso orbi, a maria di pietro, a Grazia de Ce-saris, a teresa mannuzzi, a Vittore Buzzi che hanno fotografato. Grazie a Silvia laFerrara, Stefano Busolin, arturo Valle, Sandro abruzzese che hanno scritto.e grazie a Francesca Cappelli che è andata a roma, al cimitero acattolico, per rac-cogliere le parole di Keats e di Shelley solo perché noi potessimo avere una mappada seguire in questo cammino della poesia.

osvaldo Soriano, grande scrittore argentino, sarebbe orgoglioso di noi. per comeraccontiamo il calcio. ancora al Sud abbiamo scovato, grazie ad amici, la storia delFiffa inda Street, il calcio di strada, tre contro tre, a porticini. e marco montanaro,scrittore di Francavilla, ce lo racconta con maestria. È fra i più begli articoli che sianostati scritti per erodoto: questo leggetelo, è davvero una meraviglia. Se osvaldo po-tesse leggerlo correrebbe in puglia per assistere a una partita di strada e per cono-scere marco. numero delle notti del Sud. numero dei poeti. e numero di sport, di gioco. piergior-gio paterlini, scrittore, fra i fondatori di Cuore, racconta a irene russo i misteri dellosport che ferma il tempo. il basket. dove dieci secondi sono un’eternità, sono troppiper andare in fretta. C’è tempo quando mancano dieci secondi. qualcosa vuol purdire. Guardate con qualche curiosità le foto di Giuseppe Boiardi: ha cercato di narrarel’arredo delle case di chi sfiora i due metri di altezza.

e ancora: doni grandi. roberto innocenti, uno dei più celebri disegnatori italiani, dia-loga con andrea rauch, grande grafico, attorno alla storia di una casa dell’appen-nino. ne racconta i secoli di vita, le trasformazioni, la vita che è trascorso attorno aquelle mura di pietra. e poi tre fotografi (ancora andrea rauch, Guido Cozzi e Vittore Buzzi) che guardanoal mondo da diversi ‘punti di vista’.

infine, la nostra sorpresa. in questi anni, a Firenze, abbiamo visto nascere, una dopol’altra, piccole librerie. alla fine abbiamo fatto i conti e siamo rimasti stupiti nel toc-care tutte le nostre dita. dieci librerie nate in pochi anni nel capoluogo toscano è

qualcosa di importante. Ci dice di un non-previsto, di un inatteso. Ci rende felici erende più bella la città. alessandro lanzetta è andato a visitare queste librerie e hafotografato i librai. È una bella storia. erodoto sogna di poter organizzare una seratariunendo in una festa i dieci librai di Firenze.

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nelle vostre città sta accadendo lo stesso? raccontateci delle nuove, piccole libre-rie italiane.

mi sono dimenticato i racconti. perché sono ben più che strani. matthew licht, scrit-tore anglo-fiorentino, ci conduce nelle ore graffiate passate su un bus messicano. alla fine, questo non è un editoriale, è un sommario. nicole Janigro, una scrittrice epsicoterapeuta croata, ha ricordato luca rastello nella rivista doppiozero. lo ha ri-cordato con le parole di luca. eccole: In un remoto casolare coperto di stoppie dove vivo costantemente impe-gnato a lottare contro le afflizioni della cattiva salute e di altri mali della vita con learmi del buon umore, essendo fermamente persuaso che ogni volta che un uomosorride, ma più ancora quando ride, aggiunge un granello a questo breve frammentoche è la nostra vita.Già. Grazie, luca. Grazie, andrea. per i sorrisi. per le risate.

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LIBRI V

OLANTI

ERODOTO108

CASALTA EDIZIO

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PROMETEO E IL CARNEVALE

FOTOGRAFIE DI MARINA BERARDI

TRICARICO

Ps: erodoto108 ha dimostrato che si possono fare anche prodotti di carta. abbiamopubblicato in cento copie un piccolo libretto fotografico: prometeo. È il racconto diuno dei più bei carnevali d’italia, la storia drammatica ed emozionante di tori e vac-che a tricarico, paese della lucania. È il lavoro di marina Berardi, giovane fotografalucana, ‘triCariCo, prometeo e il CarneVale’. non cercatene una copia:sono finite tutte e cento in dieci giorni. non abbiamo idea se ristamparlo o meno. latentazione è forte.

Andrea Semplici,con interventi di Silvia La Ferrara e Letizia Sgalambro

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le foto che faretemessico, oaxaca el dia de los muertos, 1-2 novembreFotografia di Vittore Buzzi

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le foto che fareteFestival di internazionale, 2/4 ottobreFotografia di andrea Semplici

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le foto che faretela raccolta delle olive in toscanapodere novoli di Giuseppe zani, Certaldo.Fotografia Guido Cozzi

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il racconto di MATTHEW LICHT

La corriera era al buio, il riscaldamento nonfunzionava, e il vecchio messicano chemi sedeva dietro non voleva stare zitto.

Blaterava insistentemente a voce bassa. Nondava al suo interlocutore, chiunque fosse, al-cuna possibilità di pronunciare una sola silen-ziosa parola. Non faceva gesti, era difficle capirese vi fosse un senso al Rio Grande di parole chescorreva come l’autostrada ignota sotto legomme del bus.

La corriera era quasi piena. Il bizzarro chiac-chierone aveva accanto a sé l’unico posto libero.La persona accovacciata alla mia destra era giàaddormentata quando montai, separato dalmondo da un poncho-sìndone. Non si mossequando presi il posto. Forse era un cadavere.Avevo trascorso sufficienti Días de los Muertosal sud da sapere che per molti messicani, o per-lomeno quelli che non parlano spagnolo, i mortioccupano parecchio spazio nel nostro mondo eci osservano. Il riso dei morti ha il suono delvento nel deserto, con l’aggiunta di api, coyotee crotali. Forse il vecchio parlava con la donnache l’aveva reso vedovo, o quella che l’avevaespulso dal corpo per farlo stare nel mondo deivivi, che gli aveva preparato a schiaffi le tortil-las, e che gli sculacciava il culetto marrone senon andava a scuola. Forse stava interrogando ul-teriormente lo sciamano del suo villaggio, che gli

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EL BUS DE DIOS….sterzò per evitare qualche fantasmadi roadrunner notturno, poi tornò dallasua parte della linea gialla a tratti chesignifica in codice Morse che ti staiavvicinando alla meta, oppure che nonstai andando da nessuna parte. Credetti quasi che mi indicasse coldito la piccola insegna che vietava di parlare col conducente. ‘Che c’è?’

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aveva rivelato dove tengono nascosto l’oro, lassùal Norte. Forse i fantasmi lo ascoltavano. Forsestava dicendo qualcosa che avrei dovuto sentireanch’io, proprio al volume necessario per im-possibilitare il sonno. Unendomi al pubblico delle presenze dei morti,sentii un sermone sulla bellezza del mondo, unaversione con salsa chile delle rapsodie dei quac-cheri su uccelli, alberi, fiori, montagne e miele,su acqua, amore e luce e le varie invisibili coseche rendono dolce e possibile la vita.

Il vecchio parlava con dio, cantava le sue lodi, loringraziava.

Sarebbe stato bello, in un altro momento. Sefossi entrato nella cattedrale della capitale, per

esempio, ma non quando ti trovi su un autobusche forse torna alla realtà, e i tuoi occhi non sela sentono di restare aperti, tanto non c’è nulla davedere.

Il guidatore evitava con calma le buche, gli ar-madillos e i tumbleweeds, i rotolacampo, che at-traversano la strada ignorando le strisce inesi-stenti. Era giovane, dai meravigliosi capellimessicani patinati come ali di corvo o un mantodi pelliccia d’orso da sciamano.Vado d’accordo con gli anziani. Non tantoquanto coi bambini, ma i vecchi le loro vite lehanno vissute. Di solito sono felici di raccontarele loro storie, puoi imparare dai loro trionfi, er-rori e disastri. Il vecchio che parlava con dio o di dio non avevavalige o sacconi nella rete sopra il suo cappelloda campesino. Forse il suo fagotto da vagabondoera sotto il sedile dinnanzi a lui, quello che reg-geva il mio sedere stanco di viaggiare. Oppureera un viandante in cerca di verità, che rifiuta gliingombri materiali della vita. Forse il vecchiomormorante non aveva intenzioni di tornare daovunque andasse.

Forse tornavo a Santa Cruz dopo un lungo sog-giorno nel vecchio Messico, perché sentivo di ca-varmela bene con lo spagnolo. ‘Mi scusi, si-gnore’, dissi, non abbastanza forte da disturbaregli altri passeggeri che non sembravano avereproblemi a dormire nonostante ronzanti peane alparadiso terrestre e la scintilla vitale che muovel’universo, ‘le dispiacerebbe smettere di par-lare? Sono stanco, vorrei dormire. Grazie’.

Non mi sentì. Non mi considerò. Un solitariopaio di fari illuminò il suo viso di cuoio, i suoiocchi pallidi con i cerchi della vecchiaia attornoalle iridi, le sue labbra sottili che non schiuma-vano di bava ma che non stavano mai ferme.

Che divina idea, creare le donne, e gli animaliche saranno il nostro cibo, e il fuoco per cuocerlie per scaldare i nostri rozzi wigwam. Forse lo fissai. Mi chiedevo se magari fossimorto, laggiù nel Messico. Alcune persone civanno apposta per trovare la morte, e non è dif-

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ficile. Il limbo era un luogo di sterminati viagginotturni in autobus, durante i quali un vecchiobarbuglia con deità invisibili, o con gli spiriti deibaccelli morti e dormienti sparpagliati attorno asé, per impedirgli di attingere alla pace del pa-radiso.

‘Ehi’, dissi, sempre in spagnolo e più forte, ‘staizitto’.Allora mi notò. ‘Nossignore non starò zitto. Dioè così grande che devo raccontare della sua ma-gnificenza, devo lodarlo e ringraziarlo per ilmondo che ci regala ogni giorno. Non posso ta-cere di tanta bellezza’.

Avrei potuto sferrargli un gancio destro al mento,scuotergli la testa, allungargli la spina dorsalequanto bastava per indurgli qualche ora di comabeato, ma non è da gentiluomini, e non sono pu-gile. Il vecchiaccio poteva avere in tasca unaColt arruginita, o un coltello a scatto corroso.

Passare quel poco che mi rimane di vita in car-cere per aver freddato un infedele non mi spa-venta, o Signore. Tre pasti caldi al giorno, finchénon abbandono questo corpo e salgo per rag-giungerti nel cielo pulito e rovente, o dio.

Non me la sentivo di andare verso il retro per cer-care di dormire nel fetido cesso, o di allungarminel corridoio usando la giacca come cuscino ocoperta. L’unica opzione era di rompere concerti prinicipi filosofici di vita. Mi alzai e mi di-ressi a tentoni verso il guidatore, gli toccai laspalla.

Sussultò. Sterzò per evitare qualche fantasma diroadrunner notturno, poi tornò dalla sua partedella linea gialla a tratti che significa in codiceMorse che ti stai avvicinando alla meta, oppureche non stai andando da nessuna parte. Credettiquasi che mi indicasse col dito la piccola insegnache vietava di parlare col conducente. ‘Che c’è?’‘C’è uno che parla’, dissi, come una spia daterza elementare.Il guidatore tenne gli occhi sulla strada. ‘Digli dismettere’.Forse passò un miglio. ‘L’ho fatto. Non smette’.

Passammo un distributore dall’aspetto barocco,ma non volli distogliere lo sguardo dalla favolosacapigliatura del guidatore. Forse pensavo di po-terlo indurre all’azione tramite inesistenti poteripsichici. Ebbi tempo per pensare a quanto sa-rebbe stato preferibile trovarmi nel diner di queldistributore, con bisteccone e birra, e la came-riera ragazza-madre che mi vuole portare unafetta della torta che ha cucinato con le sue ma-nine marroni, anziché su questa puzzolente cor-riera con un maniaco religioso che non vuolechiudere la bocca.

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Il conducente sbuffò. Chiaramente il passeggeroscocciante non sarebbe tornato al suo posto, nonl’avrebbe lasciato in pace, non avrebbe stoica-mente accettato una situazione meno che idealedi cui non aveva colpa. Fece durare per oltredue miglia la manovra di accostare. Il segnale di-venne un metronomo di tempo sprecato, unconto alla rovescia degli sfigati che credono cheil costo di un biglietto di autobus gli dia dirittoa un trattamento stile Concorde.

Mi fece restare in piedi nella zona dove non do-vrebbero sostare passeggeri. Teatralmente rias-settò la divisa, stiracchiò le gambe, risistemò ilpacco e si diresse nell’area cargo della vetturasotto il suo comando.Il vegliardo mangiafagioli avrebbe potuto fingeredi essere KO. Mi avrebbe fatto fare una figura di

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merda, ma dio era troppo degno di lode, nella suatesta, per tali melodrammi di ripicca. Continuòa parlare con chi l’aveva creato mentre incom-beva su di lui il guidatore.

Giusto e imparziale come si addice a un capitanodi corriera, il guidatore captò com’erano messele cose e meditò quale azione intraprendere,semmai. Il vecchio persistette nel suo inno ron-zinante, il suo sombrero di paglia da vaquero ba-sculava piano.Il conducente tornò al suo posto. Mi guardòcome se fossi uno stronzo di cane fresco di gior-nata, con sopra del vomito caldo. ‘Sta pregando’.

quelle mummie intabarrate di serape, la mono-tona litania del vecchio costituiva una ninna-nanna. Non riuscii a sentire ciò che disse, o se ilvegliardo gli rispose. Non sentivo di avere il di-ritto di intromettermi in quella conversazione,perché ero schizzinoso e pure spia.

Il vecchio fece cenno di sì con la testa. Il suosombrero s’immobilizzò. Il conducente tornò apasso di cowboy. ‘La pregherei di tornare al suoposto’, disse, con accento messicano da cartoneanimato.

‘Ho grande rispetto per gli anziani, ma...’

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Forse sospirai. Forse l’autobus fece scapparearia. A volte lo fanno, come tutti.‘Lo so che sta pregando. Ed è fantastico. Vorreisolo che pregasse in silenzio. Tanto il Signore losente comunque’.‘Non sembra che rechi fastidio agli altri passeg-geri’. Indicò la folla addormentata con una manoinguantata, da pilota super-professionista.

‘Sta disturbando me’, dissi. ‘Gliel’ho già chiestocortesemente. Qui l’autorità competente è Lei’.Scosse la testa. Il passeggero rognoso non glidava spazio per manovrare. Esalò, un suono si-bilante come un copertone pugnalato, e tornò nelretro per sistemare il vecchietto devoto e inof-fensivo.Mantenne un atteggiamento rispettoso e la vocebassa, per non disturbare i dormienti. Forse per

Le altre parole si persero quando riaccese il mo-tore. Non mi diede il tempo di tornare al mio po-sto, sgommò e svirgolò sull’autostrada. Dovettiaggrapparmi ai sedili per non cadere, ma quandomi risedetti, tutto era quiete e pace. Non perce-pii raggi di morte né coltelli a scatto imbrattati dimerda diretti alla mia medulla oblongata. Ombredi cactus sfrecciarono ritmati. Chiusi gli occhi.La ragazza che amai così tanto al liceo mi chiesedi aiutarla a trovare i fiori che aveva perdutosulla spiaggia.

‘Il tuo amore fa bruciare le stelle’, disse il vec-chio, forte quanto bastava. ‘La tua luce ci illu-mina la strada giusta da prendere. Ci hai datooceani di sangue caldo, che ci permette di amarticon maggiore sincerità’.Becky Raven e io non li trovammo mai, quei

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fiori. Né riuscii a spogliarla della muta da subtrasparente. Non sentii le sue mani fresche emorbide sui boccoli biondi e lunghi che mi eranomagicamente ricresciuti nel sogno.

‘Tu sei così buono, e noi così peccaminosi, ma-lati di avidità, ingrati per il mondo-paradiso checi hai dato. Non meritiamo di amarti, ma nondobbiamo smettere mai di farlo, perché altri-menti non esiste speranza’.

Lo spagnolo messicano è così schietto, semplicee umano. Forse è proprio quel suono che mi at-tirò tanto spesso a sud del confine. C’entravanoanche i tacos di pesce, e i vulcanici panini ce-mitas. Amavo il modo di vestire delle messi-cane, e il loro amore a cuore aperto per il mondo,nonostante la durezza delle loro vite. Amavo ildeserto di Sonora, così pulito e colorato, mal-grado il sole arrostisce a morte la sua vastità. Maecco questo vecchio testa di cazzo messicano chenon vuole chiudere il fottuto becco riguardo allafottuta gloria del Signore.

Mi girai per contrastare il dignitoso nemico. Ab-bozzai un sorriso. Il suo volto s’illuminò di rosasantificante. Forse passavamo accanto a un altrosfavillante distributore, o forse era in arrivol’alba. Alba Rosen era un’altra ragazza che mifaceva sangue a Hollywood High, ma ora nonimportava. ‘Prego señor’, sussurrai tenero. ‘Soche il tuo amore per dio è forte, ma dovresti an-che amare tuo fratello al punto di permettergli disonnecchiare durante questo viaggio attraverso laceleste notte scura che dio ci dona affinché pos-siamo riposare’.

Non c’era indizio che avesse assorbito una solaparola. Era sordo come un crotalo, o quell’altraculebra che striscia a zig-zag attraverso il desertodi Sonora. Sordo come una velenosa lucertolaGila. Nessun suono, a parte il ronzìo elettricodelle terre aride e spoglie, vespe, formiche, scor-pioni, e il caldo, secco vento che fa levitare corvie avvoltoi.

‘Mi hai tolto i figli, o dio, per ragioni che sai solotu. Le mie mogli mi hanno lasciato per unirsi a

te perché naturalmente ti amano più di quantopotevano amare un uomo mortale che le ha resegravide di bambini che poi non si poteva per-mettere di nutrire. Hai mandato le malattie ner-vose per mettere alla prova la mia forza. Hai cau-sato la divina tempesta e alluvione che portò viala casa che costruii con queste mani. Grazie pernon avermi ancora accecato. Grazie per avermilasciato la voce che mi permette di dedicare il re-sto della mia umile vita a cantare le tue lodi conla povera musica della mia anima che ti adora.Grazie per il dono della morte, che attendo conpazienza e certezza’.

La morte è il fratello maggiore del sonno. Ilvecchio rompiballe sicuramente non dormivanemmeno lui. Non poter dormire duranteun’odissea in corriera dopotutto non è nulla.Che importava, se la vita a cui ero ridiretto odalla quale cercavo di fuggire non era comequella illustrata nelle riviste patinate. Nessunamoglie o fidanzata ad attendere il mio ritorno a

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casa, o a sperare che fossi sparito per sempre.Niente bambini che mi avrebbero assomigliato,e che avrebbero parlato con la mia voce quandosarei montato sulla corriera chiamata Crepa.Forse non avere significa non dover perdere. Forse il vecchiaccio era impazzito. Difficile ca-pirlo, fissando a mo’ di duello quegli occhi cer-chiati dalla brina della vita e del tempo in un au-tobus scuro che scorreva attraverso una zonapriva di luce sull’orlo di un altro giorno. ‘Solo tu sai creare’, dissi, o forse lo pensai sol-tanto. ‘Noi ci ostiniamo a distruggere, anche sesappiamo che è male’. Ora guardavamo nellastessa direzione. Cercai di vedere che aspettoavessero i miei occhi, nello specchio nero del fi-nestrino che il destino mi aveva assegnato.C’erano cerchi di cristalli di ghiaccio atmosfe-rico attorno a sorella luna. La vecchiaia umanaè irrisoria, in termini cosmici. ‘La terra è tal-mente antica, ma non invecchia. Noi, suoi figli,le causiamo pensieri, le facciamo venire le rughe,ma lei ci nasconde le sue pene, per non impaurirci.Tu bruci tramite il sole per darci luce e vita, ma noici rifiutiamo di guardarti, per paura di restare ab-bacinati dalla tua brillantezza. Abbiamo paura divederti. Abbiamo paura di vivere e di morire, cimuoviamo senza sosta verso fini per noi inconce-pibili, incapaci di restare fermi e contenti nella lucedel sole, indisposti a perdurare il bel fresco e la se-rena oscurità del deserto di notte’.

Becky Raven si era tolta l’invisibile muta dasub. I fiori che credeva di aver perso sulla spiag-gia erano sparsi tra i suoi folti e disordinati ca-pelli neri. La sabbia era un prato al sole, scintil-lava dei suoi fluidi femminili, dolci come larugiada. Il mazzolino di fiori che mi porse eranoi nostri figli, i loro piccoli visi erano vivi d’amoreper noi e per il sole. Il mare era pieno di luce chebrillava in forma di onde. L’acqua era l’aria cherespiravamo. Fiori profumarono Becky e mementre ci abbracciavamo e diventavamo una solacosa vivente nella luce, nell’aria e nell’acquadove il tempo non esisteva e dove avevamo tuttoil tempo.Becky non mi avrebbe mai dato uno spintonecosì violento. Cosa ho fatto di male. Cosa hodetto per farla incazzare?

Il conducente mi guardava come se avesse pre-ferito pisciarmi addosso anziché toccarmi an-cora, come se avessi insozzato la tappezzeriastile Tijuana della sua vettura con vomito, orina,muco e feci.

‘Siamo arrivati a destinazione’, disse. ‘Nonposso finire il turno finché non scendi e per-metti ai nuovi passeggeri di salire a bordo. Vor-rebbero partire in orario, señor’.Tremai, massaggiai le palpebre, mi alzai tutto in-tirizzito per prendere la mia roba dalla rete soprai sedili. Ma non c’era nulla. Qualche ladro man-giafagioli se l’era svignata con la mia borsa. Ro-vistai nelle tasche della giacca, ma erano state ri-pulite. Derubare un fesso in coma che rotolarussando attraverso il deserto di Sognilandia nonrichiede grande abilità di borsaiolo.

Non sarebbe servito a nulla urlare aiuto! polizia!al conducente d’autobus sprovvisto di pistola, di-stintivo o manette. ‘Merda. Non mi hanno la-sciato nulla’.‘Non siamo responsabili per la proprietà perso-nale, señor’. Indicò una targhetta che esprimeva,appunto, quel concetto. Ci doveva per forza essere un posto di polizianella zona circostante la stazione degli autobus.L’avrei scoperto presto.

‘Quel vecchio signore che le recava tanta mole-stia mi ha chiesto di augurarti buona fortuna, edi dirti che dio ti ama, nonostante i tuoi peccati’,disse il guidatore. ‘Avrebbe voluto dirle questecose di persona, ma non voleva interrompere ilsuo sonno. Scendi. Devo pisciare’.La stazione degli autobus puzzava di piscio. Per-lomeno sarebbe stato bello uscire da lì.

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Matthew Licht, 55 anni, è vissuto a los angelesnegli anni 80. ha girato in lungo e largo il Messico. ha mangiato quintalate di tacos, cemitas e tamales. di prossima pubblicazione i suoi libri elettronici TheWithering Fire (Spider & fish), e Il museo della polvere(Spider & fish).

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TESTO E FOTO DI

FRANCESCO FARACI

ROSSELUCI A CATANIA

ITALIA/SUD

A un passo da via Etnea, centro della città, il quartiere di San Berillo

Un fotografo siciliano viaggia nel labirinto delle strade delle puttane. E ritrova Fabrizio De Andrè al Sud: le belle non hanno inganni, offrono sesso e una improvvisa dolcezza. Tutti gli uomini sono passati di qui e molti si sono innamorati…

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nella nera Catania, a pochi passi dallacentrale via etnea, si snoda un dedalodi strette vie circondate da basse case

e antichi palazzi nobiliari ormai in rovina: è SanBerillo.per i catanesi è il quartiere delle puttane. il sim-bolo dello scandalo, della perdizione e dellaperversione. È odiato, eppure tutti, almeno unavolta nella vita, ci hanno messo piede. Senzadifferenze di classe o di ceto: avvocati, medici,operai e semplici perdigiorno, nessuno resisteal piacere ammaliatore della carne. alcuni sen-tono il bisogno di un brivido, altri invece cer-cano soltanto un gesto d’affetto che gli facciadimenticare le asprezze della vita. amori chenascono e muoiono nello spazio di un am-plesso, coperti dal segreto custodito dalla lucedelle candele appena cala il buio. Gli uominicamminano con il passo di chi ha fretta, senzaincrociare gli sguardi degli altri passanti, quasistrisciando fra i muri di mattoni rossi ricopertida scritte tentatrici. San Berillo è un calcio al perbenismo dell’italiamaschilista, benpensante e sessuofobica.

il regno incontrastato delle prostitute e dei tran-sessuali, immersi in un’atmosfera romantica edecadente, degna della migliore opera felli-niana. Stordisce il silenzio, interrotto solo dalmiagolare dei gatti che popolano, a centinaia,

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il quartiere. le edicole votive agli angoli dellestrade popolate di madonne e di lustrini ve-gliano alla luce flebile dei ceri sempre accesi.Ci sono loro, le belle, sedute sui marciapiedi diquesti vicoli odoranti d’amore e di piscio, sugliusci delle case in subaffitto, senza corrente esenza acqua, dalle mura crepate ricoperte dimuffa e di sesso, fra gli specchi rotti, le len-zuola ben ordinate e sempre pulite, i preserva-tivi ancora impacchettati sparsi sui letti e leimmagini dei Santi appese alle pareti. Stannoli, davanti alle porte, con le braci accese perscaldarsi, ad attendere i clienti, col passaredegli anni sempre meno numerosi, con i loroproblemi e le loro storie tormentate alle spalle.l’affetto e i sorrisi, la loro disponibilità e dol-cezza, la loro delicatezza anche, volendo esat-tamente essere ciò che sono, senzanascondersi dietro filtri o ipocrisie. È facile in-namorarsi di rosaria, ornella, Brigitte e di Ve-ronica, anche per chi è meno disposto. Bastaimmaginare che dietro quelle labbra pronun-ciate, sotto i vestiti succinti, il mascara e il ce-rone vivono esseri umani, che hanno amato,che hanno sofferto e vissuto intensamenteogni attimo di questa cosa che noi chiamiamovita e che nulla ancora chiedono se non che siparli di loro, per non sentirsi dei diseredati, di-menticati e osteggiati da tutti per le loro scelte.

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Francesco Faraci, 30 anni, scrittore e foto-grafo siciliano, vive e lavora a Palermo, realtà chequotidianamente ritrae fuori dagli itinerari turisticiper evidenziarne contrasti e contraddizioni.

Studioso di etnografia e antropologia documentariti e tradizioni della sua terra e del Mediterraneocon un occhio particolare alle minoranze.

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TESTO E FOTO DI

‘CANACCA’

NERANOTTE AMATERA

ITALIA/SUD MATERA

‘canacca’ fotografa perla prima volta. Usa ilcellulare per raccontarele ore del buio nella suacittà. apre uno spiragliosu un’invisibile ‘societàsegreta dei ragazzi’. e cimostra i sassi oltre laloro bellezza: le oredella noia, gli appunta-menti a suicidio, labirra, le canne…siamodi fronte allo specchionel quale non vogliamorifletterci.

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TESTO E FOTO DI

‘CANACCA’

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Èandata così: sera di fine primavera a Ma-tera, l’estate è a un passo. Giorno finale del

corso ‘handle with care - indagine sulla societàsegreta dei ragazzi’. C’è una piccola mostra fo-tografica. Piccole immagini, formato quasi pola-roid. Molto scure, molto buie. Attirano subitol’attenzione. Perché raccontano. Perché sonouna storia. Perché mostrano qualcosa che noinon vediamo. È la Matera nascosta, invisibile.

Ho conosciuto così ‘Canacca’ e i suoi 19 anni. Proviamo a parlarci. Ci vediamo unpaio di volte. Al bar di Franco, in piazza Sedile. Da Loris, alla cicchetteria di piazzadella Frutta. Ci vediamo di giorno, a mezzogiorno, ora insolita e sconosciuta per lui.Le sue foto ci hanno colpito. Volevamo pubblicarle in questo strano mondo di Ero-doto. Per narrare del Sud, di un Sud che noi nemmeno immaginiamo. Queste fotonon hanno trucchi. Ci piacerebbe far viaggiare la piccola mostra di‘Canacca’. (as)

‘Strano stare in piazza a mezzogiorno. Starei dormendo se nonavevo appuntamento con te. mi fa bene uscire. ma io amo la notte.le ombre. il buio. la notte è il mondo. il giorno non lo conosco. miritiro tardi. a volte, non troppo, le una, le due e allora mi guardo unfilm in garage. mio padre, a volte, sclera. lui trasporta i giornali perla lucania. esce di casa alle quattro e se non sono a casa si in-cazza. ma spesso sono a casa di amici, in garage. a guardare film,mica nient’altro. non facciamo niente. ora c’è matera 2019, ma cisiamo anche noi qui. i ragazzi. C’è la notte a matera. abito nei quartieri. Su un con-fine, mai saputo bene in quale rione sono nato. Fra Spine Bianche e Serra Venerdì.qualche volta mi prendevano in giro per questo. mio padre viene dai Sassi, non sene sarebbe andato da là, se avesse avuto casa. poi si è fatto un gran mazzo percomprarsi una casa sua. ho 19 anni. e un fratello maggiore: lui con i suoi amici trat-tava nel rione. adesso è un deserto. in pochi anni tutto è cambiato. non si tratta piùa Spine Bianche, si va in centro nei Sassi. là si sta tranquilli, ci sono luoghi nascosti.io, come faceva mio fratello, non mi muoverei dal rione, ma rimarrei solo e allora ve-niamo fra i Sassi. andiamo al Suicidio. a volte, in cima, attorno alla cattedrale. op-pure sotto le scale, alla volta. là stiamo. Birre e canne. Canne e birra. a rotazione. Ciannoiamo. li chiamano posti loschi. losk life. avvolte scendiamo in Via ridola, lì vedi

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le due facce di matera, turisti di giorno,ragazzi la notte. Vado a scuola. ultimo annodel professionale. Servizi sociali. ma non mi ci vedo con vecchi e bambini. mi piacestare con i ragazzi. mi piacerebbe sapere le storie dei ragazzi di altri posti. Farò qual-cos’altro, non farò l’educatore o l’assistente. qualunque cosa. per sfamarmi da solo.Voglio andar via di qua. Si inventassero gli altri cose da fare, io voglio andare in Ger-mania. a Berlino. anche un lavapiatti là è pagato bene. là amano i motori. C’è il di-vertimento, le discoteche. qui siamo tutti mortini. non facciamo niente. le solitefacce. un tempo c’era l’amicizia. ora ci si trova per trovarsi. perché non sappiamocosa fare. per fortuna siamo andati via a ferragosto. almeno a ferragosto. nelbosco. abbiamo sempre voglia di fare qualcosa. lo scorso anno lavoravo al magaz-zino delle medicine. due settimane. almeno i soldi per andare al mare. quest’anno,niente. di giorno dormo, la sera esco. ero l’unico ad ascoltare le lezioni di fotografiadi raffaele. Gli altri non erano interessati. a me piace la fotografia. raffaele mi di-ceva: ‘Scatta, scatta’. le foto le ho fatte con il cellulare. quasi tutte nella prima setti-

mana del corso. poi non mi è andato più. quelle che dovevo fare,le ho fatte. non accade mai niente. avrei fotografato le stesse si-tuazioni, non mi andava. questa estate ho portato in giro il vecchiopitbull di raffaele. Bel cane. Vecchio, ma bello. poi non è più volutouscire. Si scavalca un cancello. per starsene in pace. per starsene fra noi.non facciamo niente. Stiamo lì. una volta quel cancello lo aprimmocome una scatoletta di tonno. mi piace la velocità, le macchine, imotori. mi piacciono le armi. mi piace la musica. i Superretards. ilrap mica è solo criminale. È anche dolcissimo. a volte, i ragazzifanno a gara a cantare su una base. Finiscono a insultarsi. non so

suonare. mi piacerebbe fotografare le gare delle macchine. Conosco uno che ha unkalashnikov e un po’ di pistole a casa. roba da softair, ma fanno male se ti pigliano.mi piacciono i graffiti. qualcuno bello a matera, c’è, ma sono venuti da fuori a farli.hanno persino chiesto il permesso. mica hanno fatto niente d’illegale. qui c’è unoche si chiama toxer. non ho ancora capito chi sia, ma in tutta matera c’è qualchesuo piccolo schizzo. in Germania, fanno graffiti bellissimi’.

Mi paga la birra, Canacca. Una Peroni per lui, una Raffo, per me.

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conto vederla con i tuoi occhi. e,soprattutto, vederla con gli occhidi Francesco. Come molti altri,quando ho visto la mostra dellesue foto, scattate con un cellu-lare, durante un tirocinio con ilfotografo materano raffaele pe-tralla, ho avuto un balzo. eranonere, scure, notturne. Stampatein piccolo formato, appese a unaspalliera di legno. ho scoperto inun momento l’altra matera. hovisto un racconto, un film, unastoria. le foto di ‘Canacca’hanno aperto uno spiraglio e mihanno fatto entrare oltre la cittàdelle cartoline. ho voluto sa-perne di più. ho cercato di nondimenticare la differenza fra mee ‘Canacca’: io, giornalista delnord, animale diurno, più vec-chio di suo padre e lui un ra-

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gente: per mesi e mesi, hoaperto gli occhi sulla meravigliadei Sassi. ma so, lo vedo, cheesiste un altro suo volto: io vo-levo conoscere la notte dei ra-gazzi, il non-detto, il non-scritto.Volevo sapere della ‘città segretadei ragazzi’. intuivo che esisteva.È così che ho scoperto il buio, lanoia, l’energia profonda e im-mota di chi oggi ha meno di ventianni. ho scoperto le birre e ledroghe. lo stare lì, seduti su unapietra, cappellini, felpe, pinoc-chietti in estate, tutto un po’punk (ma questa non è la parolaesatta: anche loro non sannodefinirsi. da altre parti usereb-bero la parola ‘hipster’ ), smar-tphone in mano, musica di bassicome colonna sonora. nienteche non immaginavo, ma è altro

matera è la mia città. perché l’hoscelta. lo scorso anno ho gioitoe saltato in piazza quando èstata nominata Capitale europeadella Cultura per il 2019. È statoun giorno di felicità pura. È statoed è un orgoglio.Cerco di vivere il più vicino pos-sibile ai Sassi. Vengo da fuori,per questo voglio vivere neiSassi, non so nulla della vita deirioni dai quali arriva, invece, ‘Ca-nacca’. in questa estate, appena pas-sata, ho visto l’urto del turismosulla fragilità di matera. ho letto ireportage e gli articoli che neraccontano la bellezza. Vi è sem-pre qualcosa di stonato e fretto-loso nelle agiografie.

la bellezza di matera è avvol-

la SoCietà SeGretadei raGazzi‘Canacca’ ha preso parte a una serie dicorsi organizzati, fra il 2013 e il 2015, dalloiac, centro arti integrate, ‘handle with care- indagine sulla società segreta dei ragazzi’,tenuti da andrea Santantonio, nadia Casa-massima e raffaele petralla con il sostegnodell’ufficio del servizio sociale per i mino-renni di matera e la collaborazione dell’isti-tuto professionale ‘isabella morra’. i corsihanno coinvolto in due anni, quaranta ra-gazzi fra i 12 e i 18 anni. i corsi hanno cer-cato di ‘far emergere i desideri deiragazzi…attraversando assieme il vuoto’.Scrivono andrea e nadia: ‘abbiamo cer-cato di conoscerci, costruire legami, dareforza al sentimento. non è stato facile, nonè stato semplice ma è stato vero e ab-biamo creato qualcosa’.

GloSSario per matera

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gazzo dei rioni e della notte. ep-pure, spero, sia scattata unasorta di complicità. lui vedeva, econtinua a vedere, qualcosa chei miei occhi non possono nem-meno immaginare. adessotocca a voi: mentre camminateper la bellezza di matera, sap-piate che vi è anche un’altracittà. non fate finta di niente,guardatela. ha molto da inse-gnare.

matera 2019. È l’anno nellaquale matera sarà Capitale eu-ropea della Cultura.

Serra Venerdì e SpineBianChe. Sono due quartieripopolari dei cinque rioni ‘nuovi’di matera. Costruiti dai miglioriurbanisti italiani fra gli anni ’50 e

Suicidio è uno dei posti più bellidi matera, affaccio struggentesul Sasso Barisano e sul campa-nile della chiesa di san pietro. làqualche anno fa, Giosuè, un ra-gazzo, si buttò nel vuoto. piscia-toio non ho capito bene dov’è.Ce ne devono essere almenodue. uno è dalle parti di Santamaria de armenis.

raFFaele è raffaele petralla fo-tografo originario di matera chevive e lavora a roma. www.raf-faelepetralla.com per sei mesi hatenuto un corso di fotografianella città dei Sassi. Francescoera il più attento dei suoi allievi.

il Bar di FranCo è in piazzadel Sedile. luogo storico dellacittà, bar che resiste alla moder-nità in uno dei cuori antichi dellacittà. Se volete saperne di mu-sica (classica) e di calcio (del ma-tera), questo bar è perfetto.

la CiCChetteria di loriS. Èin quella che è conosciuta comepiazza della Frutta. luogo delmercato (verdure, pesce, conta-dini) dei Sassi. luogo della notte.il cicchetto è un piccolo bic-chiere di roba alcolica (qualsiasi):costa un euro. non farete intempo a conoscerlo: diventeràuna enoteca. la cicchetteria sisposterà di pochi metri in unnuovo locale. 45

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’60, per gli abitanti costretti a la-sciare le antiche abitazioni deiSassi.

Via ridola. epicentro dellostruscio materano. Via dei bar,dei pub, dei caffè. del miglior ge-lato della città. la strada cambiacon le ore: turisti durante ilgiorno, famiglie fino a sera, poi anotte, fino alle tre, folla di giovanida cocktail in piedi. difficile fen-dere la calca nei mesi dell’estate.

trattare. nella lingua di ma-tera, vuol dire: vedersi, frequen-tarsi, stare assieme

SuiCidio e piSCiatoio. Sono‘luoghi’ (spiazzi, terrazzi, affacci)dei Sassi di matera. nascondiglidei ragazzi.

‘canacca’, è il sopran-nome di un ragazzo di 19anni di Matera. frequental’ultimo anno di una scuolaprofessionale. e ha sem-pre amato la fotografia e lanotte.

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avesse fatto amare la poesia?penso ai ragazzini del nicaragua, il terzo paese più povero dellatinoamerica, che sognano di diventare poeti da grandi erecitano i versi di ruben darìo, il cantore di quel paese.

ho una risposta troppo banale alle mie domande. troppo, per scriverla. So che quando aGranada, in nicaragua, una notteho ascoltato il poeta FranklinCaldera recitare ungaretti, hocapito di aver smarrito storieimportanti. il Sud del mio paese miha aiutato a ritrovarle. al Sud hoascoltato i poeti. Giuseppe

da quando passo del tempo alSud ho (ri)scoperto la poesia.qualcosa non ha funzionato nellescuole che ho frequentato daragazzo. perché leopardi (checolpa!), Carducci, ungaretti,quasimodo non sono un buonricordo dei miei anni diadolescente? perché la poesia nonha fatto irruzione nella mia vitaquando ogni senso era pronto areagire? a volte penso che avreifatto altre scelte se qualcuno mi

il tentativo della poesia

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Semeraro, poeta di lecce, mi hadonato un libro e vi ha scritto una dedica: ‘la poesia serve adisordinare gli ordini’. il braccioche, qui sopra, vedete agitare unfoglio colmo di versi è di aureliodonato Giordano, potente poetalucano. e poi alfonso Guida,Franco arminio, Silvana Küthz,domenico Bracale…ascolto questipoeti, lasciano tracce, segnano

camini che riconducono ad ameliarosselli, a Giovanni raboni, a patrizia Valduga, a mariangelaGualtieri. a uno stuolo di poeti che diventa un quarto Stato incammino. la poesia è un tentativo.proviamo anche noi a tessere un filo, andando a trovare i poeti,provando a raccontarli, afotografarli, a dirvi delle loro storie.dal piccolo nicaragua all’italia, unavolta tanto senza confini fra nord e Sud. da milano alla lucania. i poeti sono capaci di miracoli (as)

il tentativo della poesia

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LE SEI VITE DI ERNESTO CARDENALCRONACA DIUN’INTERVISTAMAI AVVENUTA

GLI OCCHI D

I ERODOTO

Valeva la pena venire fin qui per farsi mandare a quelpaese da un monaco, poeta e rivoluzionario di novantaanni? Sì, valeva la pena. attraversare un oceano, at-terrare in una città invisibile come managua, svegliarsie, nella prima mattina di nicaragua, stordito dalla di-versità dell’ora, ritrovarsi, per caso e presagio, nel Cafède los poetas. allora i piccoli miracoli sono possibili, misono detto: dietro il bancone, c’è un grande quadro az-zurro, il tuo ritratto accennato con maestria. inconfon-dibile è la tua barba bianca, i capelli lunghi e candidi, lacamicia di cotone con un solo bottone, il basco nero.

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INCONTRO CON ERNESTO CARDENAL

e fuori, appeso a due palme, uno striscione ricorda ilcompleanno di ernesto Cardenal festeggiato, con glo-ria, lo scorso gennaio. aggiungo io altre parole a quelleche lui usa per definirsi: il poeta, monaco e rivoluzio-nario, è anche scultore, ribelle, mistico, sacerdote, po-litico, profeta. e io sono venuto fino in nicaragua perincontrare la sua leggenda. per stringere la mano cheha scritto versi che lasciano a metà il respiro. e ben sa-pevo che l’incontro non sarebbe stato facile. anzi, im-possibile.

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ernesto è stato uno dei protagonisti della teologiadella liberazione latinoamericana. È da anni can-didato al premio nobel per la letteratura, le sue

poesie più celebri (hora cero, orazione per marylinmonroe, gli epigrammi…) sono amate da generazionidi ragazzi e ragazze. a Granada, la più antica città co-loniale dell’america centrale, cammino per la stradaassieme ad alfredo ulloa, poeta costaricense: ha ses-santa anni, una bella barba bianca e indossa un cap-pello di paglia. una ragazzina si avvicina con timidaspudoratezza e chiede: ‘usted es el poeta Cardenal?’.ridiamo di gusto, io e alfredo. e lui si scusa di non es-serlo. le poesie d’amore di ernesto, le poesie di unmonaco, sono state la serenata di migliaia e migliaia dicorteggiamenti. la ragazzina se ne va, felice di aversolo sfiorato un poeta che appena gli assomiglia.

ernesto è un uomo ruvido, collerico,solitario, taciturno, a volte rabbioso.C’è una parola centroamericana chenon è traducibile: jodido. ernesto è ‘jodido’.insopportabile. Sfiorarlo è come toccare un’ortica. maquesto poeta ha lasciato dietro a se le tracce di unarivoluzione, di una liberazione, di una presa di co-scienza straordinaria. ha aperto cuori e menti. ha lot-tato e sofferto. ha visto morire i suoi compagni di

battaglia, è sopravvissuto al suo maestro, il misticothomas merton, ai suoi allievi, è stato cacciato dai go-verni rivoluzionari di cui aveva fatto parte, è stato umi-liato in maniera teatrale e pubblica, sotto i flash deifotografi, da papa Giovanni paolo ii (ed era il 1983)sulla pista dell’aeroporto di managua, è stato sospesodal Vaticano, non ha smesso di pregare, di essere ‘in-namorato’ di dio. oggi dice: ‘papa Francesco è unmiracolo’. a novanta anni è amato e detestato, è in-trattabile e dolcissimo, viaggia ancora per il mondo (eniente lo rende più nervoso dei viaggi, lui, viaggiatoreinstancabile, detesta prendere un aereo), ama la soli-tudine ed è sempre in mezzo alla gente, lotta ancora,con ostinazione. e scrive, per nostra fortuna, scrive.l’ultima sua battaglia è contro il Gran Canal, il canaleche i cinesi, un’impresa privata di hong Kong, hannogià cominciato a costruire per tagliare il nicaragua indue e collegare l’atlantico al pacifico. ‘una mostruo-sità’, grida Cardenal. a Granada, al festival di poesia,

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‘non mi fare domande difficili’.

e quali sono le domande facili?

‘quelle per le quali non devo pensare

prima di rispondere’.

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l’ho visto innalzare, davanti a una piazza commossa,la carta del ‘suo’ lago nicaragua, destinato a esseretrafitto dal Canale. lo ha fatto di fronte a un immobileministro del governo che ha autorizzato la sua costru-zione. ernesto, quella sera, era orgoglioso della suadisobbedienza.

alle nove e trenta del mattino, lo vedo arrivare al suoufficio. al Centro degli Scrittori di nicaragua, in unastrada tranquilla di managua. Conosco il suo autistapedro e la sua assistente luzmarina. ernesto si fidasolo di loro. So che questa è stata prima la sua casae poi la galleria per le sue sculture. Sono belle: aironi,garzette, forme che si allungano, pietre rotonde. qual-cuno mi ha detto: ‘la poesia di Cardenal è rotonda’.una piccola statua di una garzetta bianca vale oltre400 dollari. È molto bella. Cardenal scultore. attorno,dispersi ovunque libri di ernesto Cardenal, su ernestoCardenal, attorno a ernesto Cardenal.

il vecchio attraversa il piccolo giardino

appoggiato al suo bastone, è un uomocurvo e dall’equilibrio incerto e osti-nato. Si ribella alla vecchiaia, si arrabbia con stizza.‘È molto scomodo avere questa età. non l’auguro anessuno’, liquida chi vuole fargli ancora gli auguri. in-dossa la sua uniforme: oltre la camicia bianca a unsolo bottone e il basco nero, ha sempre jeans e zoc-coli (in gioventù aveva stivali ai piedi, poi sandali fran-cescani). da mezzo secolo, ernesto, non cambiaabbigliamento. lo immaginavo un uomo alto, impo-nente. invece è piccolo, basso, gli anni lo hanno comeripiegato su se stesso, un tempo era magro come unchiodo, ora tende a ingrassare. ha un naso da falco.penso che il tempo, nonostante quel che lui ne pensi,gli ha fatto un dono e ha sfatato una regola: ernestoè un mito che tocca i cuori, e allora non è necessariomorire giovani come l’altro ernesto che lui ama, erne-sto Che Guevara, per essere capaci di contagiare i ra-gazzi con le proprie parole.

So che è sveglio da ore. la sua disciplina è ferrea. mo-nastica. alle tre del mattino è il tempo delle orazioni,della meditazione, del silenzio. Forse appunta un fram-mento di verso su un pezzetto di carta. mille fogliettiche disperde. la colazione alle otto. poi arriva pedro,poche centinaia di metri fino all’ufficio. la sua poltronabianca è la stessa sulla quale sedeva, quaranta annifa, al ministero della cultura. deve essere appartenutaalla figlia del tiranno Somoza, l’ultimo erede della fe-roce dinastia che per quasi mezzo secolo ha posse-duto il nicaragua. il ministero aveva occupato l’ultimopiano della sua casa. oggi, la scrivania di ernesto èsommersa dalle sue statue: cactus e garzette che ri-cordano i tempi della comunità utopica da lui fondatanell’isola mancarròn, la più grande del remoto arcipe-lago di Solentiname, all’estremo Sud del lago nicara-gua. Già, ernesto è stato un giovane ricco einquieto, giramondo, sciupafemmine,figlio di una delle famiglie più importantidel paese. Studi eccellenti all’estero. Contempla-tivo, dilaniato fra vocazioni contrapposte, poeta. let-

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tore accanito di ezra pound e dei poeti nordamericani,senza mai tradire rubén darìo, il cantore principe delnicaragua e del latinoamerica. a 33 anni, nel 1956,ernesto cambiò vita: si fece monaco trappista, di-venne novizio del filosofo thomas merton, nel severomonastero di Gethsemani, nel Kentucky. a quarantaanni fu ordinato sacerdote e tornò al suo paese perfondare, incoraggiato dal maestro, la Comunidad diSolentiname. merton sapeva che quell’uomo non erafatto solo per il silenzio. lui avrebbe voluto seguirlo.lo mandò come in avanscoperta. Sperava, un giorno,di potersi ricongiungere con l’allievo. ernesto, dal1966 al 1977, ha vissuto con i pescatori e i contadinidi quelle isole lontane. ‘eravamo sconcertati – ricordadoña esperanza, 59 anni, una delle protagoniste dellastoria di Solentiname – era un prete che non volevaessere pagato per i battesimi e i matrimoni. non vo-leva essere chiamato padre. non contava i nostri ro-sari. Ci ammonì: i vostri figli non muoiono per volontàdi dio, muoiono di diarrea, vittime della ingiustizia degliuomini. possono essere salvati. Ci soprese. Chiamòmaestri per scuole che mai vi erano state nelle nostreisole. le sue messe erano una festa, ogni domenicadiscutevamo assieme, per ore, le pagine del Vangelo.poi mangiavano assieme, suonavamo, cantavamo.imparammo altri mestieri: diventammo artigiani, arti-sti, perfino poeti. ernesto ci entrò nel sangue’.

Solentiname fu una delle cento scintille della rivolu-zione sandinista, uomini e donne che, nel nome di au-gusto Sandino, il primo ribelle del latinoamerica del‘900, si batterono contro anastasio Somoza. ‘la poe-sia di ernesto è stata la colonna sonora della rivolu-

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zione’, dice Gioconda Belli, grande scrittrice nicara-guense. ‘le sue parole hanno incoraggiato chi com-batteva, i guerriglieri le leggevano nelle foreste’, è certoSergio ramirez, altro scrittore celebre di queste terre.nel 1977, la chiesa di Solentiname fu distrutta dai sol-dati di Somoza, i ‘figli’ di ernesto caddero uno dopol’altro. muore elvis, muore donald, muore alejandro,alla fine muore anche laureano, il prediletto, il conta-dino analfabeta che gli aveva detto: ‘io non credo indio, ma dio è in ogni uomo’. le famiglie di Solenti-mane erano riuscite a fuggire in Costarica prima dellerappresaglie del tiranno. infine, nel 1979, la rivolu-zione trionfò. e la chiesa di nuestra Señora de Solen-tiname fu ricostruita. mi appare bellissima, colorata,splendente.

a cinquant’anni, ernesto Cardenalaveva già vissuto quattro vite. divenneministro della cultura nel primo go-verno sandinista. S’inventò scuole popolari dipoesia, l’arte primitivista di Solentiname divenne cele-bre. Fu osteggiato dal mondo delle università, ma luifu testardo: ‘tutti possono scrivere poesie, Soprattuttoi più indifesi: bambini e anziani, carcerati e infermi’. dif-fuse la poesia fra militari e poliziotti. a sessanta anni,viene castigato dall’intransigenza del Vaticano di KarolWoijtila, gli viene proibito di salire su un altare. infine,oggi, a novanta anni, la battaglia ambientalista, la di-fesa della terra del nicaragua dalla minaccia del GranCanal. una nuova trincea dove gli amici di un tempo,ora sono avversari potenti e implacabili. Sono le feritee le cicatrici della vita, di una vita lunghissima. di seivite. tutte unite dal filo rosso dei suoi versi della suapoesia.

ora ho davanti a me quest’uomo, ho un appunta-mento fissato da un mese. e lui si divincola come unleone in gabbia, ha un borbottio da lupo, mi scansa,tira fuori gli aculei come un istrice. mi evita con ungesto e mi dice dietro: ‘non ho tempo’. l’urgenza deltempo. ‘parlare mi toglie tempo. tempo nel qualedevo scrivere’. e se davvero vincesse il nobel? unasciagura. lo sa anche lui: ‘quei soldi mi servirebberoper aiutare molta gente, ma penso con orrore alle in-terviste, alle scomodità, al tempo che perderei’. iltempo deve essere un incubo per lui. So che a 85 anni

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ha fatto un corso di lettura veloce per leg-gere tutto quello che ha ancora da leggere.Fra i suoi esercizi di ogni giorno: leggere alvolo le targhe delle automobili e ripetere nu-meri e lettere dieci minuti dopo.

non ho attenuanti, ero stato avvertito: ‘odiale interviste’. ama il silenzio. eppure ernesto è unuomo pubblico, sale sui palcoscenici, dà conferenze,è attorniato da gente, viaggia. e detesta tutto questo.le sue contraddizioni sono irrisolte. ‘noi sappiamocome restituirgli allegria’, mi dirà doña maria, 65 anni,sorella di esperanza, all’isola di San Fernando. mariaed esperanza hanno vissuto gli anni della Comunità.Forse solo i contadini-pescatori di Solentimane, isolesolitarie, sono capaci di regalare pace a ernesto. amancarròn, mi assicurano, ernesto abbandona la suaseverità. Giurano di vederlo sorridere e, qualche volta,molto tempo fa, lo hanno convinto a ballare. Felice.ernesto, naturalmente, mi risponde di odiare il ballo.

ernesto si accartoccia nella sua sedia,le sue statue sono un sipario insupe-rabile, ammiro la perfezione del collo delle garzette di pietra. mi incanta la sua arte. un uomo di parole cheha saputo lavorare la pietra, il legno, il metallo. So,però, che non era bravo né come pescatore, né comecontadino. ‘Ci provava - mi raccontano a Solentiname– ma perdeva sempre i suoi raccolti di mais e fagioli’.la faccia di ernesto è aggrottata. Si nasconde dietrouna valigetta nera. mi alzo, vado al suo fianco. Se po-tesse mi prenderebbe a calci. Vedo che tira fuori gior-nali e tre copie della rivista time. nella sua vita damonaco, ernesto diceva che era una fortuna nonavere giornali: ‘Così potevamo avere una visione piùchiara della totalità’. nel 1970 dichiarò che nonavrebbe mai più letto time: ‘non volevo più farmi in-gannare su Cuba’. Cuba, per lui, fu una ‘seconda conversione’. oggi, nelmosaico incomprensibile della politica latinoameri-cana, professa odio per daniel ortega, il presidentedel nicaragua e suo antico compagno di battaglie,passione per Chavez e dubbi su Fidel Castro.

questa mattina lo osservo mentre si immerge nella let-tura dei giornali e sfoglia con avidità le pagine di time.e io rimango in piedi. Gli chiedo dei suoi anni perchénon so che altro chiedere. ‘può darsi che io sia cam-biato. non lo so’. nostalgie? ‘Sì, ho nostalgia della ri-voluzione’. ernesto ha scritto tre volumi di unabellissima autobiografia: il primo è ‘la vita perduta’,l’ultimo è ‘la rivoluzione perduta’. perdi sempre, er-nesto? ‘leggi luca – mi risponde quasi con furia –

Colui che perde la vita per me, la sal-verà. io ho guadagnato una vita. la ri-voluzione, no, l’abbiamo persa sulserio. trent’anni fa. per colpa degli Statiuniti e nostra. e oggi viene tradita ognigiorno’. i poeti non sono stati capaci digovernare un paese? ‘non c’entrano i

poeti, la rivoluzione è stata fatta da un popolo. i poetierano metafora’. non sono d’accordo, ernesto. neiprimi governi sandinisti c’erano cinque poeti, tre preti,e tutti i ministri scrivevano poesie. persino il severo da-niel ortega, che, quarant’anni dopo, è ancora al po-tere, scriveva poesie. la tua nemica di oggi, la mogliedi ortega, rosario murillo, era un’eccellente poetessa.persino il rude tomàs Borge, eroe della rivoluzione,scrisse poesie splendide in cui spiegava che la ven-detta più bella era il perdono. in nicaragua, hai la sen-sazione che la poesia sia nell’aria. no, hai torto,ernesto. ma non ho il coraggio di dirtelo.

È infastidito: ‘non mi fare domandedifficili’. e quali sono le domande facili?‘quelle per le quali non devo pensareprima di rispondere’. Scrivi ancora, er-nesto? ‘a volte. quando ho qualcosadi nuovo da dire. non tutti i giorni’. non è vero,lo so. hai sempre detto che i poeti devono essereumili, è così? ‘non so, non so. non arriviamo da nes-suna parte a questa maniera. preferisco non parlare’.ernesto non è umile. È vanitoso, orgoglioso. pensoalla regola del silenzio nel monastero trappista: gli vie-tarono anche di scrivere. ‘lo sapevo, non mi impor-tava’, ricorda. penso alle parole infinite che ha poiscritto. penso alla sua poesia: ‘i poeti devono scrivereversi comprensibili, semplici, essenziali. Bisogna ca-pire, non essere enigmatici, prendere ispirazione dallarealtà, dai cartelli stradali, dai supermercati, dalla pub-blicità, dai trattori. la poesia deve contenere storia,economia, dati, geografia, politica, statistiche’. hai im-parato bene le lezioni di uno dei tuoi maestri, il poetanicaraguense Coronel urtecho: ‘i poeti devono man-giare del buon pesce e devono scrivere buone poesie.e avere buona fede. devono essere uomini di fede’.eppure io so che ernesto ha amato profondamento ilpiù ostico e intricato degli scrittori latinoamericani, l’ar-gentino Julio Cortàzar. penso all’ultimo, immenso librodi ernesto. le cinquecento pagine di Canto Cosmico,opera smisurata che vaga ai confini fra scienza e dio.e ne afferma la stessa sapienza, la stessa ricerca, lostesso misticismo.

uomo dalle mille contraddizioni, ernesto: sì, gli annihanno affilato il suo carattere come una lama. Gli

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14. e, per lei, scrisse versi meravigliosi; tornò dal mes-sico con una camarita fotografica solo per fotogra-farla. e il suo ricordo più sensuale è quando l’aiuta adattraversare una strada di Granada e le sfiora un go-mito. ernesto amava la bellezza delle donne. ma poi,di colpo, di fronte alle onde leggere del lago managua,capì che la bellezza assoluta era dio. Si vide con laveste da benedettino. Si consegnò a dio. ha rivistoCarmen settanta anni dopo. e luzmarina mi assicurache era emozionato come un bambino.

alla fine, ti alzi. e dici: ‘me ne vado’. pedro si incam-mina verso la macchina. a ogni passo sembri cadere.ma stai in piedi. Claudia ti guarda con qualche ap-prensione. e io sono qui. Fermo sulla porta. Felice diessere qui. Felice dei tuoi modi bruschi e delle tuenon-parole che sembrano una lima sopra un legno.hanno la stessa forza con le quali le donne, nei mer-cati del nicaragua, raspano il ghiaccio per poi met-

strappo un sorriso con papa Francesco: ‘Sta cam-biando la chiesa. questa è la chiesa che Giovanni XXiiiaveva già provato a costruire. È una rivoluzione’.Come deve amare questa parola, ernesto. non az-zardo a chiedergli di Giovanni paolo ii, non voglio unatempesta sopra di me. Sono contento che sorrida.non voglio perdermi il suo sorriso. mi dicono chequando va alla mascota, ospedale pediatrico di ma-nagua, a parlare di poesia con i bambini colpiti dallaleucemia, è il più tenero dei nonni. e i pescatori di So-lentiname mi parlano di lui con inarrivabile dolcezza.

dalla valigetta nera saltano fuori fogli battuti a mac-china, foglietti colmi di parole scritte con calligrafia il-leggibile, libri, opuscoli, pezzi di carta. ernesto cerca didividerli per sfuggire alla mia presenza. quasi graffia iltelefono che lo insegue. a tutti ripete: ‘non ho tempo’.Claudia, giovane segretaria, sa come calmarlo. loprotegge, impedisce che le telefonate lo raggiungano,firma lei gli autografi che in mille, ogni giorno, gli chie-dono.

luzmarina mi dice: ‘no, non chiederàla revoca della sospensione a divinis.più volte mi ha spiegato che lui non è diventato prete per dire messa, ma per amore di dio, per la Sua contemplazione, per la bellezza di dio’. Guardo fuori, il cielo azzurro, disperso dinuvole del nicaragua. Sì, questo paese ha i più beitramonti del mondo. la loro bellezza è inarrivabile. er-nesto ha rinunciato a tutto per la bellezza di dio. eraossessionato dalla bellezza. le sue poesie hanno lostupore della bellezza di Carmen, la donna che più haamato nella sua vita. e lui aveva appena 18 anni. lei,

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terci sopra uno sciroppo dolcissimo. la granita, qui, sichiama raspados. parole raspadas. parole per unabevanda di miele. Cosa hai detto una volta? Che ‘lasolitudine è amara e dolce, come un coktail martini.Così deve essere’.

te ne vai e io, posso giurarlo, vedo che hai appena af-ferrato una parola che ti era sfuggita. e so che oggi fi-nirà in un minuscolo foglietto. Che, forse, diventeràframmento di poesia. So che hai dato ordine che letue carte siano bruciate dopo la tua morte, se la poe-sia dovesse rimanere non finita. e so che luzmarina,con le lacrime agli occhi, ubbidirà.

non ho una foto assieme a te, non ti ho chiesto unautografo. eppure come me avevo un libro del 1969che ho ritrovato negli scaffali della mia libreria: alcunetue poesie sono anonime perché, anche in italia, c’erachi, allora, voleva proteggerti dal tiranno. a te non nefregherà un bel niente, ma ho scritto questa non-in-

tervista nella tua isola, ho visto l’alba dalla verandadella tua casa, ho pregato nella tua chiesa dal pavi-mento di terra, ho conosciuto i figli dei tuoi ‘figli’, hovisto volare le garzette che tu hai fermato nella pietra,ho ascoltato il canto instancabile dei tuoi uccelli (e nonso come riprodurlo con le parole, tu sapresti farlo), homangiato il riso, i platanos fritti, i fagioli e perfino il ma-iale di doña maria (e so che per questo mi invidierai).e mi sono bagnato nelle acque del lago nicaragua. questa è stata la più bella intervista della mia vita.

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andrea seMpLici, 62 anni, giornalista e foto-grafo. cerca di coordinare il lavoro di redazione dierodoto108. a volte, solo a volte, ci riesce. Qual-che mese ‘Il Messaggero di Sant’antonio’ lo hamandato in Nicaragua a intervistare ernesto car-denal. e questo ha dato senso a un mestiere chenon esiste più. è stato il ritorno in latinoamerica, inNicaragua. Un nuovo inizio.

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le parole disperse da ernesto Cardenal,poeta nicaraguense, candidato al premionobel, hanno trasvolato l’oceano atlantico.

meglio: hanno cominciato a viaggiare da un latoall’altro del mondo. Cardenal non ha mai avutodubbi: ‘in ogni essere umano esiste un poeta po-tenziale’. quando era ministro della cultura delsuo paese, organizzò straordinari talleres depoesia, laboratori di poesia nelle carceri, negliospedali, nelle caserme. la poesia liberava emo-zioni. la poesia, semplicemente, liberava…

Giuseppe masera, pediatra a monza e poeta, co-minciò a seguire il filo teso da ernesto Cardenalben trenta anni fa. lo afferrò. Gli andò incontro.offrì al vecchio poeta centroamericano la possi-bilità di una meraviglia: fare poesia con i bambinimalati di tumore e leucemia all’ospedale la ma-scota di managua, la capitale del nicaragua. ilvecchio, grande poeta e uomo scontroso, si rad-dolcì e i bambini intuirono la possibilità di una sal-vezza. in molti, padri e figli, cominciarono ascrivere poesie. e oggi la poesia appare nei pro-tocolli terapeutici di quell’ospedale.

perché non provare anche in italia? lontano daitropici. nei reparti di ematologia. nei luoghi deldolore dei bambini. perché non tessere il filo dellapoesia fra gli anziani, fra gli uomini e le donne fra-gili, fra gli uomini e le donne offese dalla malattiae dalla solitudine? i poeti escono così Fuori Strada. abbandonano laseverità della metrica, delle rime, delle asso-nanze. il verso è una conquista libera e può farbattere il cuore di chi temeva che non ci fosse piùniente dentro il suo petto. i poeti salgono fino al-l’undicesimo piano dell’ospedale San Gerardo di

monza. È il reparto di oncologia pediatrica. lapoesia come un’attenzione, uno scambio fra unapoetessa e un bambino. e poi, gli anziani: i poetivarcano la porta della Casa di Cura San pietro,sempre a monza. e provano a cercare emozioniperdute. Vittore Buzzi, fotografo milanese, cercadi catturare questa improvvisa libertà. ‘ho vistouomini e donne feriti sorridere come bambini –spiega Vittore – la poesia è un grimaldello del-l’anima. tira fuori risorse insospettate. Si parlavadella pioggia o dei giochi dei bambini e, lenta-mente, riaffiorava la vita di questi uomini e di que-

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POETIFUORISTRADAun filo di rosso vola sopral’oceano. Versi liberi dal nicara-gua all’italia, da managua amonza. la poesia fra i bambiniammalati di leucemie. e poi gli anziani: le parole danzano attorno a un tavolo in una Casa di riposo. l’emozione come terapia e sollievo. per credere nella vita.i poeti escono dalle regole evanno in cerca degli uomini edelle donne. i poeti e chi haascolta hanno ‘cura’.

TESTO DI ARTURO VALLEFOTO DI VITTORE BUZZI

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ste donne’. È come se ogni timore oscillasse difronte al gioco delle parole. la poesia come via diuscita. Come istante che regala una felicità inat-tesa. Seduti attorno al tavolo, con un poeta, unapoetessa a ‘facilitare’.

Scrive milton Fernandez, poeta, attore ed editoreuruguayano, da anni a milano: ‘dobbiamo spo-gliarci di tutto, persino della nostra condizione dipoeti. non andiamo a insegnare nulla, ma vo-gliano solo far capire che la poesia è un bene co-mune, come l’aria che respiriamo. e perfino undiritto, come quello di poter guardare in avanti

con occhi nuovi’.antonetta Carrabs, insegnante e poetessa,donna irpina che oggi vive a monza, ha un entu-siasmo che contagia. i bambini le avevanomesso addosso una straordinaria voglia di vivere.Gli anziani le hanno regalato allegria (sono i poeti,i fotografi, i medici a ricevere doni da chi affrontail dolore). ‘nei primi giorni dei nostri incontri eranotitubanti, forse diffidenti – racconta – poi hannoscoperto una grande libertà, hanno ritrovatoun’affettività imprevista’. la poesia ha scavato nell’anima. Gli anziani nonscrivono, raccontano. poi assieme il poeta e chi

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in questa foto intorno ad antonetta Carrabs i partecipanti e i facilitatori del laboratorio di poesia tenuto presso la casa di cura San pietro a monza.nelle immagini seguenti dei momenti dei laboratorio in cui affiorano ricordi ed emozioni.

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ascoltano provano a giocare con una parola. Ècosì che la pioggia diventa un verso. la pioggiadiventa l’odore forte della terra bagnata. la piog-gia diventa una canzone che tutti si ritrovano acantare. e poi appare il mare, il cielo. antonettamostra foto, legge alcuni versi di montale e di luzi.e il gioco si fa bellissimo. un anziano racconta diun amore lontano. non trova le parole per dire dicome si sono baciati e amati in un bosco. alla fine,per un miracolo, afferra un’immagine: ‘abbiamocalpestato l’erba’. ho i brividi addosso, io, chesolo ascolto questo microracconto da antonetta.ecco, la poesia è questo brivido.

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in questa foto intorno ad antonetta Carrabs i partecipanti e i facilitatori del laboratorio di poesia tenuto presso la casa di cura San pietro a monza.nelle immagini seguenti dei momenti dei laboratorio in cui affiorano ricordi ed emozioni.

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Vi è leggerezza, cuore, gioia nella poesia che esce fuoristrada. Che sperimenta nuovi cammini, che si confondecon i bambini e con gli anziani. la poesia offre un’altra pos-sibilità a chi pensa di non averne. e, persino, anche a chicertamente non ne avrà. alessandra, pochi anni di vita e lacondanna della malattia, era rannicchiata nel suo silenzio.nessun riusciva a scalfire la sua disperata solitudine.‘Certo, è accaduto per caso. io le mostravo delle foto e aun certo punto vi era la foto di un cane. di un cane pa-store’, ricorda antonetta. alessandra mi guardò e ruppe ilsuo mutismo. disse. ‘anche io un cane, si chiama alex’. eallora antonetta le chiese di scrivere al suo cane. da allora,e per il tempo che le rimase, la bambina scrisse ognigiorno.

alla Casa di riposo San pietro di monza, l’appuntamentosettimanale con i poeti è sacro.

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VITTORE BUZZI, 46 anni,milanese, preferisce questamicrobiografia: ‘comincia afotografare nel 1992. Non haancora smesso’.aggiungiamo:‘ha studiato fotografia conroberta Valtorta, ha vintoprestigiosi premi internazionali difotografia. fra cui, nel 2013, unWorld Press Photo’. Se voleteconoscere i suoi lavori:www.facebook.com/pages/Vittore-Buzzi-fotografo/146792108433" organizza workshop (www.corsifotografia.it) ed èconsiderato fra i migliori fotografidi matrimonio al mondowww.fotografomatrimoni.bizartUro VaLLe, 35 anni, avvo-cato pugliese. è nato a Gallipoli,ma vive e lavora a Biella. e nonpuò immaginare due luoghi cosìdiversi. divide il suo tempo fra laclownerie e la contabilità. e sognauna casa sulle colline di oaxaca,in Messico.

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Sono andata a trovare mario Vespignanie gli ho detto che avevo conosciuto lateodorani; ha ridacchiato e ha rispo-

sto “al furmighini…”. mario ha più di no-vant’anni, ha scritto che “quânt un e’ sént l’ar-ciâm dla puèsì/e la necesitè ad butê’ zô/chesentiment ch’e’ prôva in che momént,/un’gn’è munéda ch’ pôssa cumpénsél”(quando uno sente il richiamo della poesia /e la necessità di buttare giù / quel sentimentoche prova in quel momento / non c’è monetache possa ricompensarlo), ed è stato a lungo l’anima dei trebbi orga-nizzati da “la piê”, la rivista fondata nel 1920da Beltramelli, Balilla pratella e Spallicci chelui ovviamente ha conosciuto. anche unocosì a novant’anni suonati può essere un po’bollito, però poi non trovando le formiche neilibretti della teodorani gliel’ho chiesto pro-prio a lei, espressamente, e mario aveva ra-

gione.nella prima raccolta, Par senza gnént (pernulla), luisè, 1999, annalisa scrive della fur-mighìna che rientra di corsa in casa come seavesse “i gim s’e’ fugh” (i tegami sul fuoco) epare “meinc d’una macìna/sòura la pèla dlatèra (meno di una macchiolina sulla pelle dellaterra) ma con una briciola di pane più grandedi lei “e’ pèr ch’la ténga sò e’ mònd” (paresorreggere il mondo).ecco perché mario aveva riso e poi avevafatto una tirata contro le donne di oggi, for-michine molli e senza nerbo, mentre invece learzdòre, le reggitrici, tenevano su la casa, laromagna intera e tutto l’universo. la furmi-ghìna della teodorani icona della debosciatanouvelle vague femminile romagnola… Sogno che questi due poeti possano incon-trarsi e magari anche riconoscersi in quellalingua fatta di cose che è il romagnolo e che

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ANNALISA TEODORANI

“FURMIGHINI” CHE REGGONO IL MONDO E FETTINE SOTTILI DI LUNA

Cumè la léunata n pu dmandèd’andè dalòngh da te.e una cumè la léunatal nòti ad me u s vòiduna fitina stóila.

testo di Silvia la FerraraFoto di Salvatore di Vilio

(Come luna. non puoi chie-dere/ di andare lontano da testesso./ una come la luna/nelle notti di me si vede/ unafetta sottile.)

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65le foto ritraggono annalisa teodorani insieme a ivanFantini, 43 anni, nato a morciano di romagna. epifa-nia dell’essenza romagnola, ivan è cuoco e pensa-tore severo degli ingredienti, critico geopolitico dellacucina, contadino. prima di dedicarsi a Boscosto-’orto, dove lavora come raccoglitore e preparatore di

confetture, ha impastato la sua arte in atti performa-tivi, installazioni e manipolazioni gastronomiche,spettacoli, relazioni e interventi pubblici, gestione dispazi. nel 2014 ha pubblicato Anonimo fra gli ano-nimi, edizioni Barricate.

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permette ad annalisa di scriverla bene la vita,qualcosa “che piò ta i mèt al mèni dròinta/epiò che ta gni tróv un vérs” (che più ci mettidentro le mani e più non le trovi un verso, unsenso). Vita come un impasto, stanza da riordinare,una vita non da guardare ma da metterci lemani. da lasciare stare “a lè / do ch’ a m’avóivést /cumè cla zèsta /s’i ghéffal ad lèna / s’iférr instécch” (lì/ dove mi avete vista/ comequella cesta/ coi gomitoli di lana/ coi ferri in-filzati) o da ritrovare dove non ti aspetti,quando “dal vólti ta t sint sparguiéd / e t fiu-réss t’un fòs” (A volte di senti sparso/ e fiori-sci in un fosso).e che si comprende nella sua vicinanza aquella degli animali, delle formichine appunto,o delle tartarughe, che “a l chèmpa una màsaperché li n zcòr” (campano molto perché nonparlano) e delle vongole “puràze” o “pava-raze”, le “poveracce” tipiche dell’adriaticoche ormai non si trovano più sostituite dallecoltivabili filippine: “ta m dé la sudisfaziòun/d’una puràza svóita” (Mi dai la soddisfa-zione/ di una vongola vuota).i caratteri e i sentimenti sono vegetali, terra-gni: le zie “a gli à la scórza di arzipréss / equant al pienz /resna e mél” (hanno la scorzadei cipressi/ e quando piangono/ resina emiele) e l’amore “Fa còunt e’ Vajònt / unamuntàgna ch’la va zò tl’àqua” (Immagina ilVajont/ una montagna che frana nell’acqua).ha il gusto dei crolli, la teodorani, drammaticie domestici insieme: “Sta vóita che par pre-cipóizi / l’à la spònda d’un lèt /o la róiva d’unpensìr” (Questa vita che per precipizio/ ha la

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annaLisa teodorani, 37 anni, ènata a rimini e vive a Santarcangelodi romagna. esordisce nel 1999 conla raccolta di versi in dialetto roma-gnolo Par sénza gnént (Per nulla),rimini, Luisè, cui fanno seguito Lachèrta da zugh (la carta da gioco),2004 e Sòta la guàza (Sotto la ru-giada), 2010 entrambe per i tipi diPonte Vecchio di cesena. Nel 2014esce La stasòun dagli amòuri biénchi(la stagione delle more bianche),carta canta editore.

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sponda di un letto/ o la riva di un pensiero). dell’ultima raccolta, la stasòun dagli amòuribiénchi, le more bianche “ch’al chésca dapar lòu / da la disperaziòun” (che cadono dasole / per la disperazione), mi piace più ditutte Cumè la léuna, per il filo leopardianoche la regge forse, o forse soprattutto per la“fitina stòila”, la fettina sottile che per me èsempre stata quella del prosciutto, mai avevopensato alla luna o all’apparenza fragile e ap-partata di qualcuno.

siLVia La Ferrara, 48 anni, irpina,romagnola e da più di vent’anni emiliana. Insegna, viaggia e quandopuò canta il gregoriano.saLVatore di ViLio, fotografo, 58anni, è nato e vive a Succivo, in terra di caserta. ha studiato architettura. Interrompe la sua università per dedicarsi solo alla fotografia. dal 1980è presente nei settori della ricerca fotografica. www.salvatoredivilio.it

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un’attrice del Sud racconta alfonso Guidail poeta vive in una casetta, l’eremo,di San mauro Forte.attorno il paesaggio abbacinantedella lucania. quadernoni fitti diparole. poesie spedite agli amici via sms. Versi complessi, che affaticano e poi le parole che ‘rimettono a posto’

Testo di Nadia Casamassima

Foto/frame da un video di Andrea Foschi e Tommaso Orbi

ALFONSO GUIDA

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non ricordo quando, per la primavolta, ho conosciuto alfonso Guida.Credo che fu in una birreria. né io

né lui ricordiamo granché, per fortuna c’èun amico che ricorda l’impermeabile nero dipelle di alfonso, i capelli lunghi, le poesie.

(Mi distraggo: mi viene in mente che neltempo dimenticheremo alcune facce, situa-

zioni, dimenticheremo noi stessi in quel mo-mento, quello che provavamo, come sta-vamo, in quale felicità o tristezza o seeravamo innamorati oppure no. Dimenti-cheremo moltissime cose. Forse qualcunoci aiuterà a ricordare, forse ci sarà una fotoo delle parole. Nella maggior parte dei casinon ci sarà niente)

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SULL’ORLO DI UN BURRONE

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anni fa, una mia amica poetessa, anni fa,mi aveva chiesto se conoscessi un certo al-fonso Guida, un bravissimo poeta, giovanee vivente. e io non lo conoscevo, non loavevo mai letto.

anche adesso, pur avendo tutti i libri di al-fonso non li ho mai letti per intero.

la sua poesia è complessa, molto alta, affa-tica e poi arrivano le parole che rimettono aposto. È una poesia che ti accompagnasull’orlo di un burrone, che mette le vertigini.ma io non sono un’esperta di poesia e nonsaprei dire altro. più che leggere la poesia di alfonso, mipiace ascoltarla.

quando parlo con alfonso, ho la sensa-zione di arrivare velocemente all’essenzadelle cose. lui parla quasi in versi, si avvi-cina con il viso grande guardandoti dasopra agli occhiali. Con il suo accento pae-sano e non solo. a volte, quando dice qual-cosa di segreto o di imbarazzante abbassala voce. Sorride spesso, sorridiamo moltoinsieme. ridiamo anche. non so quanti anniabbia, forse 41, ma a me sembra un ra-gazzino, un adolescente, con tutto il bello eil brutto degli adolescenti. alfonso è nato aSan mauro Forte, un paesino della Basili-cata, dove si ammazza il maiale e dove ilbar è il luogo di ritrovo. nel periodo dell’uni-versità si è trasferito a roma, studiava tan-tissimo, mi racconta, ha studiato tutti ipoeti, a fondo.

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Sono andata a trovare alfonso nell’eremo,come lo chiama lui, una piccola casetta conuna porticina per entrare, tanti libri di poe-sia, il vino rosso, sospesa su un paesaggioaperto, sconfinato, abbacinante come tantiin Basilicata.

È qui che alfonso passa molto tempo scri-vendo. quadernoni a quadretti fittissimi diparole, che si consumano in breve tempo.Scrive tantissimo alfonso, e se sei fortunatopuò capitare che parlandoci al telefono, tilegga la sua ultima poesia. nell’eremo i di-scorsi si fanno fitti, i racconti della vita, lamadre, la famiglia, l’ospedale psichiatrico,gli amori, il lupo e il passare rasente ai muri.

alfonso non ama la semplicità. non ama lafacilità. non ama i poeti semplici, facili. la

superficialità non serve. Bisogna andare afondo. la sofferenza serve invece. È’ ne-cessario vivere profondamente. È necessa-ria la caduta. e che ci sia la ferita e ilsangue e che qualcuno curi, accompagni,metta a dormire. È necessaria la solitudine.ed è necessaria la poesia.

alfonso era un maestro, ma dice che nonpuò dare niente ai bambini. Campare con la poesia non è facile. pur-troppo in italia.adesso è da qualche parte, con un amoreo forse no e sicuramente sta scrivendo.

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ALFONSO GUIDA nasce a San Mauro Forte,paese della Lucania, nel 1973. Ama DarioBellezza, Amelia Rosselli e Paul Celan.Maestro elementare. Nel 1988 vince il premiospeciale Opera Prima-Dario Bellezza con laraccolta Il sogno, la follia, l’altra morte. Scrivesu grandi quaderni. Per Poiesis ha pubblicatola raccolta Il dono dell’occhio e lo splendidoIrpinia. Con Nino Aragno, ha pubblicatoA ogni passo del sempre.

nadia casaMassiMa, 35 anni, quasi. Vive a Materaed è attrice e performer teatrale. Si occupa di produ-zione e promozione culturale presso Iac • centro arti In-tegrate. fb: Nadia casamassima; fb: Iac - centro artiIntegrate

le foto di questo articolo sono, in realtà, dei frame. deifotogrammi. tratti da ‘appunti per un viaggio in lucania’,progetto di film documentario di andrea foschi e tom-maso orbi

toMMaso orbi, 35 anni, vive e lavora a Montevarchi,in provincia di arezzo. laurea in Storia e critica del ci-nema al dams di firenze. regista e montatore di filmdocumentari, tra i quali ricordiamo “I racconti della drina”al quale ha collaborato come montatore e co-sceneggia-tore e “Noi non siamo come James Bond” al quale hacollaborato come montatore. è fra i fondatori di Macma,

associazione con sede in Valdarno che si occupa a li-vello locale e nazionale di produzioni, eventi, rassegne eprogetti di formazione. è ideatore e direttore artistico delfestival di cinema documentario ‘Sguardi sul reale’.

andrea Foschi ci ha lasciato a 35 anni nel dicembredello scorso anno. era nato a Venezia, abitava fra romae il Valdarno. fotografo freelance, regista e direttoredella fotografia di film documentari. laurea in teoria dellaletteratura a Valencia. ha vissuto in Spagna e in Bosnia. Socio e stretto collaboratore di MacMa e tra i fondatoridi Nova Skola, associazione attiva a roma e a livello na-zionale nel campo della produzione e formazione in ci-nema documentario. tra le varie produzionidocumentaristiche ricordiamo “I racconti della drina” dicui ha curato la regia e la fotografia e “Noi non siamocome James Bond” di Mario Balsamo, a cui ha lavoratocome direttore della fotografia.

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Percy Shelley, poeta ro-mantico, sosteneva chebisogna essere inna-

morati della morte per es-sere sepolti in un luogodolce come il Cimiteroacattolico di Roma. Nelquartiere Piramide, via CaioCestio, dietro al monu-mento funerario alto qua-ranta metri risalente aitempi dell’Impero, un can-cello arrampicato da un gli-cine apre l’ingresso a uncontro-spazio tra la terra e ilcielo. Sul frontone, una pa-rola invita a entrare: Resur-recturis, a coloro che stannoper risorgere. Un participiofuturo che abbraccia tutta latemporalità. Con una caraamica, poetessa, nel giornodel mio compleanno, com-pio un pellegrinaggio laicotra le trame segrete chestringono cinque vite. Quisi ha l’impressione di sfio-rare il mistero.

Superato l’arco in pietra, viè la parte più antica del se-polcreto: un morbido pratoall’inglese seminato di la-stre e croci bianche, incor-rotte, ordinate. Sulla sualapide John Keats non havoluto che si scrivesseesplicitamente il suo nome.L’epitaffio recita: Thisgrave contains all that wasMortal of a Young EnglishPoet. Here lies One WhoseName was write in Water.Un nome che si è cancellato

nell’acqua, la paura deltempo che trascorre, l’os-sessione inquieta di non la-sciare memoria.

Sono tanti quelli che si fer-mano davanti al giovanepoeta morto di tubercolosinel febbraio del 1821 a soliventisei anni. Lo ha fattoOscar Wilde, quando si è la-sciato ispirare per ore i suoisonetti. Lo fa oggi una ra-gazza che, seduta su unapanchina, gli scrive una let-tera commossa che lasciasull’erba. Passo, e ringraziola persona che mi ha fattoconoscere quelle poesie. Fasentire più vivi pensare, qui,ai vivi.

L’acqua è anche l’elemento

del destino di Percy ByssheShelley. Aveva cantato alvento e sognato la legge-rezza, è morto naufrago atrent’anni, sorpreso da unabufera nel golfo di La Spe-zia mentre navigava sullasua barca. Si chiamavaAriel quel legno, come ildemone buono della Tem-pesta di Shakespeare. Ilcorpo di Shelley fu ritrovatosulla spiaggia di Viareggioda Gordon Byron, poeta elord, e riconosciuto per unlibro di sonetti nella tasca,un libro di Keats. Un cer-chio di morte chiude in séuna generazione. Sulla sualapide, dopo alcuni versitratti dalla Tempesta, è in-ciso “Cor cordium”, ilcuore di tutti i cuori, l’ul-timo sigillo di un uomo checon l’umanità ha condivisoil suo strazio e la risalita alcielo.

Mi getto nel fitto dei corpitra limoni, fragole e pepe-roncini, e mentre cerco tuttigli altri mi lascio distrarredalle tombe che parlano alvisitatore. Una chiede, conun’unica incisione: “No-vità?”. Tra arbusti e fioritrovo August, il figlio diGoethe, e l’ingegnereGadda, Gramsci e JoyceLusso, moglie di EmilioLussu e grande traduttricedel poeta turco Nazim Hik-met. Gregory Corso, tra ipiù importanti poeti con-temporanei d’America, fu-rioso dall’immaginazionestupefatta di classicismo esurrealismo e forse il piùsregolato tra gli sgretolatidella Beat Generation, hachiesto a Fernanda Pivano,prima di morire, di esseresepolto vicino al suo Shel-ley, che gli aveva datonuova vita nella parola du-rante un periodo di deten-

STOR

IEDI CIMITERI

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una donna scrive al poetaromantico e lascia il suomessaggio sulla suatomba. Shelley morì conun libro di Keats in tasca eora i due ragazzi si fannocompagnia. qualcuno, da sottoterra, chiede: ‘novità’? e poi Gadda,Gramsci, Joyce lussu,Gregory Corso, dario Bellezza, amelia rosselli. il viaggio di una scrittricenell’ultima casa dei poeti.

Testo e foto di Francesca Cappelli

il Cimitero aCattoliCo di roma

una letteraper KeatS

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zione nel carcere minoriledi New York.

Ritrovo la mia compagna inuna nicchia scavata tra leMura Aureliane, con vistasull'intero sepolcreto. Cifermiamo a leggere, osser-vando i gatti del cimiteroche chissà cosa sentonomentre pestano questa terra.Impariamo da loro a muo-verci flessuose, ad accarez-zare con i piedi. Sullatomba di Dario Bellezza sitorna a parlare di cuori. Vi

sono incisi i primi versi diuna sua poesia: “Addiocuori, addio amori / foste ibenvenuti, gli adorati /ascoltati meno”. Nel ’68,Bellezza e Franco Cordelli,sopra una lavagna della Sa-pienza, università romana inrivolta, mentre tutti si alza-vano per scrivere VivaLenin, scrivevano VivaProust. È stato l’inizio diun’amicizia, mentre non socome sia nata quella conAmelia Rosselli, poetessaromana morta suicida nel

1996 a cui Bellezza ha de-dicato molti versi. Sonostati coinquilini in vita, sitrovano ora vicini nellamorte. Poco più in là Ame-lia trova pace. Con unatomba essenziale, vaga-mente trascurata, ma pro-tetta da un piccolomelograno.

Una poetessa lascia un fiorea una poetessa, cita deiversi: I fiori vengono indono e poi si dilatano / unasorveglianza acuta li silen-zia / non stancarsi mai deidoni. Rimaniamo da Ame-lia, con altri versi mi faccioraccontare la sua storia diperdita del senso di sé: Ilnemico le strappa le vesti /la felicità è un micro-orga-nismo nell’interno / dell’in-felicità / nel cimitero / nonsa smettere di essere felice.

Suona della musica classicache con false carezze ci in-dica l’uscita. Sono appenale cinque del pomeriggio, ladirettrice del cimitero ciscorta severa. Apre il can-cello, lo richiude. Riser-viamo a lei tutta la nostrastizza. Ci sentiamo smar-rite, il tempo aveva smessodi scorrere, mentre ora cisfreccia accanto e ha ilsuono di motori. Penso aFoucault e alle sue etero-topie, le utopie localizzate,quelle che credi di poter vi-vere, ma non è che un mo-mento. Rimarrai semprefuori. O almeno finché saraivivo.

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FrancescacappeLLi 24 annistudentessa in lettereModerne, crede che un giorno farà lagiornalista, che saràuna viaggiatrice e crede nellecoincidenze.

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SILVANA KÜHTZ

Testo di Teresa Manuzzi

POESIA A BARI‘I poeti non stiano con le mani in mano’

PAROLE A OCCHI CHIUSI

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avete mai visto parole, come aeroplanidi carta, prendere il volo staccarsidalla lingua e dai denti di chi è al mi-

crofono, sul palco, per librarsi nell’aria e at-terrare nelle orecchie, nel cuore e nellamente del pubblico presente? avete vistopoeti “invadere la città/ con quel magmainafferrabile che/ è regalare soffio lucesogno furore animale/ che si insinua in ognidove”? avete visto quartieri periferici, pa-lazzi abbandonati, scuole di danza, porti,castelli, pieni di gente che legge poesie,balla, suona? avete mai preso parte a unconcerto sensoriale? avete mai assaggiatoun dessert poetico? avete mai assistito auno spettacolo a occhi chiusi?io sì, e ho conosciuto Poesia in azione pro-prio grazie ad uno spettacolo che ho se-guito a occhi chiusi. era ottobre e sugliocchi avevo un foulard giallo legato strettodietro la nuca, respiravo lentamente, final-

mente libera dalla dittatura della vista. eronella città vecchia di Bari, un musicista jazzmuoveva sapientemente le dita sulla ta-stiera di un pianoforte nero a coda. È lì chela voce calda e avvolgente di Silvana Kühtzmi ha colpita e affondata. mentre vivevo leemozioni che lo spettacolo mi regalava hodovuto chiedere in prestito a massimo troisile parole giuste per descrivere quello chesentivo: ‘mi so' sentito come una barcasbattuta in mezzo a tutte queste parole’.tutto questo è normale amministrazione perchi conosce e frequenta il progetto di diffu-sione della lettura poesia in azione, guidatoda Silvana Kühtz, poetessa, scrittrice e do-cente all’università della Basilicata, che contanti altri artisti, lettori, musici e volontari se-mina e sparge in tutta italia, ormai da diecianni, versi e parole in strade, garage, can-tine, case di riposo, B&B, balconi… ilgruppo, per dirla in due parole, ha deciso di

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Silvana Kühtz, poetessabarese, dice e raccontapoesie nei luoghi della vitadi ogni giorno. i versiinvadono la città assiemealla musica. È un dessertpoetico. e poi si gioca aClessidra: rincorrere unaparola una volta al mese,mentre il tempo scorre…

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mettere in atto la lezione di John Keating, ilprofessore del film L’attimo fuggente: ‘qua-lunque cosa si dica in giro, parole e ideepossono cambiare il mondo’.le parole, per Silvana Kühtz e i suoi, sonomateria plastica, malleabile, duttile, model-labile, sono strumento di condivisione e diconfronto, di suggestione e di liberazione.per questo Silvana ha ‘dichiarato guerra’ ailibri di poesia quando sono solo esercizio diego e lavora per ridare vitalità alla parolapoetica con spettacoli, performance, letturecondivise, giochi sensoriali e corsi di letturaespressiva, usando i libri come uno spartito.per Poesia in azione la parola poetica hasenso soprattutto se viene raccolta e custo-dita nella vita degli ascoltatori, per questo la‘semina’ poetica avviene chiedendo agliascoltatori anche di chiudere gli occhi, esempre comunque di amplificare i sensi conpiccoli assaggi, camminate, esplorazioni. a occhi chiusi è più facile assaporare la mu-sicalità, il significato autentico, delle parole egustare sino in fondo il midollo della poesia.la richiesta di chiudere gli occhi diventaquindi necessaria per poter far approdarel’ascoltatore ad un sentire diverso. abban-donare per qualche minuto la vista non sot-trae nulla ma aiuta ad acquisire una nuovapercezione del quotidiano. Così l’ascolta-tore è sempre il protagonista delle azionipoetiche e la poesia non è più quella ma-

tassa incomprensibile che spesso ci vienepropinata sui banchi di scuola, ma profumadi pane caldo, di prodotti per pulire i vetri, digelsomino, di patate al forno, di piccoli do-lori e abbandoni. la poesia delle piccolecose vive in maniera attiva, è sempre pre-sente nella nostra vita e Poesia in azione ciaiuta riconoscerla.tra le tante attività del progetto la più lon-geva, insieme ai concerti sensoriali, è ilgioco democratico di letture condivise:Clessidra. da più di cinque anni a Bari, unavolta al mese, un gruppo di persone si daappuntamento in un luogo sempre diversodella città. potrete quindi vedere gli ospizi,le piazze, i porti, le sale comunali improvvi-

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Poesia in azione ci può far scoprire un allucciolìo di stelledentro l’ali dell’azzurra libelluladentro un punto lontano sulla costadentro la bella e la brutta stagione,dentro la cioccolata con la panna e il vento battente,in tutte le piccole cosenei sogni dei viaggiatori, nei nostri respiri.

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samente popolarsi di gente con libri, fogli,appunti, fotografie, video. quando tuttisono arrivati ci si siede in cerchio e si co-mincia, uno alla volta, a leggere o a mo-strare ai presenti la foto, il video, l’oggettoche si è scelto a seconda del tema. il tuttosenza applausi e cercando di rispettare iltempo a propria disposizione che è scan-dito proprio dallo scorrere della sabbia diuna clessidra. il gioco si è diffuso in altrecittà italiane e in alcune scuole.Se siete golosi non potete rinunciare al des-sert poetico da assaporare al termine dellospettacolo di presentazione della raccolta dipoesie di Silvana Kühtz dal titolo 30 giorniuna terra e una casa, edita da Campanottoe vincitrice del premio di poesia alfonsoGatto 2014. il tour ha già toccato tante cittàitaliane e si avvale della formula Letto perletto, che prevede uno spettacolo di letturee musica in cambio di vitto, alloggio espese di viaggio. ogni appuntamento èun’esperienza diversa perché i musicisti che

accompagnano le letture non sono mai glistessi. Se volete ospitare un concerto sen-soriale fatevi avanti!Poesia in Azione è anche una collana dipoesia, corso di lettura espressiva, pro-gramma radiofonico. insomma, Poesia inAzione è una squadra che ‘ha intenzione’perché, come diceva luigi pintor, ‘le inten-zioni sono magari un polline che non fiori-sce, ma profuma l’aria’.

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SILVANA KÜHTZ preferisce non dire i suoi anni.Ha fra i 20 e i 90 anni. È barese. Insegna ‘Lin-guaggi, futuro e possibilità’ all’Università dellaBasilicata. Nella sua vita c’è sempre stata lapoesia. A sei anni registrava la sua voce su unregistratore nero a tracolla. Per Silvana la poesiaè musica per tutti. Tutti possono cantarla e do-narla. Per questo ha creato il progetto di diffu-sione della lettura Poesia in Azione.

teresa ManUzzi, 29 anni, pugliese di Modu-gno, in provincia di Bari. è tornata al Sud dopotre anni passati a roma per studio e lavoro. Gior-nalista pubblicista, incuriosita dalle narrazioni chemi restituiscono la complessità di un evento ap-parentemente chiaro.

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l’alberto Casiraghy, con la y fi-nale per distinguersi tra i tantidella zona, vive a osnago, fra-

zione di lecco. nel cuore della Brianza. appena attraversi la soglia di casa unuccellino automatico ti saluta.dopodichè ti immergi in una qualchetonnellata di libri di varia cultura, centi-naia di quadri, disegni, incisioni dellepiù svariate grandezze e forme, decinedi sculture, in particolare scure ma-schere africane. un lungo corridoio,una stufa a legna, nera. ‘Qui nulla siperde, ma si smarrisce molto’, mi dice. entri in cucina dove sul frigo è adagiato

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IL BUON PANETTIERE

ALBERTO CASIRAGHY

un vecchia macchina da stampa tipografica. Che stampa con i caratteri a piombo. un libro al giorno. quattro pagine per una poesia. uno stampatore poeta e la più straordinaria casaeditrice d’italia. e sta in Brianza.

in poCo più di trent’anni ha puBBliCato oltre noVemila liBrini

testo di Stefano BusolinFoto di Grazia de Cesaris

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un vecchio violino. e un gatto bianco enero che fa da guardiano al tutto: il pa-drone di casa. a lato della cucina tro-neggia una audax nebiolo che sforna‘librini’ come li chiamava alda merini,‘stretta amica’ dell'alberto per circaventi anni. quasi un ‘librino’ al giorno,da ‘buon panettiere, l'unico chestampa in giornata’ come lo ha definitoun altro caro suo amico, l'indimentica-bile editore Vanni Scheiwiller. poi si va su grazie a una scala che tiaccompagna nella camera dove l'al-berto custodisce il suo tesoro: dal1982 ad oggi oltre novemila e due-

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cento ‘librini’, edizioni del Pulcinoele-fante, che avvolgono tutte le pareti.

in fondo al letto un ciuchino di legno agrandezza quasi naturale.

Siamo in una vera e propria ‘casa edi-trice’, nel senso che i ‘librini’ l'albertose li stampa proprio a casa con quelmarchingegno ferroso, l'audax nebiolo,che pare non dare segni di cedimentomalgrado lo sforzo più che trentennale.ogni ‘librino’ ha un formato 13,5x19,5a quattro pagine compreso il frontespi-zio. quasi sempre una pagina è impre-

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ziosita da un omaggio di un artista. ti-ratura massima di trenta, trentacinquecopie. Caratteri mobili di piombo, re-galo delll'amico Giorgio lucini. preferiti:i Bodoni e i Garamond. e oltre 1500meravigliosi cliché di legno di cedro odi pero realizzati dal maestro adrianoporrazzi. Carta pregiata hahnemuhle,prodotta in Germania. ‘Credo sia l'unico editore che abbialetto quello che pubblica, anche perchèpubblica una poesia alla volta’, ebbe ascrivere ironicamente nico orengo annifa. prima di inaugurare questa vera epropria gioia della tipografia si deve sa-pere che l'alberto lavorava come com-positore stampando quotidiani come"L'Avanti" o "Il Giornale" di montanelli.un giorno decise di lasciare il lavoro egrazie ai soldi della liquidazione acqui-stò la casa-atelier-tipografia nella qualevive oggi. nei primi anni stampò librettisuoi o degli amici, poi l'incontro con lamerini gli aprì le porte della grande edi-toria e dei personaggi collegati. non acaso tra i suoi più cari amici troviamoroberto Cerati, presidente della ei-naudi. e dalla merini in poi i libretti di-ventarono ‘librini’ che vedevano ilcoinvolgimento e l'amicizia di figurecome Baj, nespolo, paladino, munari,dorfles, Cattelan...scrittori e poeti, arti-giani di aforismi, morti e viventi, a centi-

naia, migliaia. diciamo pure che la me-rini approfittò di quell'amicizia vera, co-stante e lunga nel tempo. infatti conl’alberto ha pubblicato circa 1500 suoi‘librini’. e non sarebbero tutti: perchèl'alberto ha trascritto e raccolto neglianni ben tremila fogli di frasi, aforismi,pensieri vari che la poetessa gli dettavaal telefono ogni santo giorno o al sa-bato quando regolarmente si incontra-

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“quando Senti un uoVo Che ti Guarda È ora di Capire”

alberto casiraghy

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e non è finita qui: l’alberto è anche exliutaio, ex scenografo e suona discreta-mente il violino. Sì, perchè l'idea che cisi fa frequentandolo è che tutto quellofinora descritto è surclassato daun’arte Superiore: la musica.Soprattutto Gustav mahler, anche luiimmortalato in una foto in cucina, quasifosse uno di casa, un amico, un pa-rente. ‘Uno che ha frequentato solo gli

abissi’, ci tiene a precisare con un sor-riso l’alberto. dimenticavo l’orto-giar-dino dove, a fine estate,giganteggiavano zucche enormi e uvadal pergolato. e in fondo, dietro un ti-mido recinto due belle galline. ‘Quandosenti un uovo che ti guarda è ora di ca-pire’, sentenzia in uno dei suoi aforismi.non sapendo bene io come chiuderedata la mole di curiosità che suscital’alberto vi dò una anticipazione: il regi-sta Silvio Soldini ha da poco girato undocumentario sull’alberto e la suaopera. È alla fase di montaggio. Comesi dice, prossimamente su questischermi.e invece l’alberto chiude così salu-tando i lettori di Erodoto 108: ‘Il rap-porto che si instaura con le persone èla cosa più importante, la mia è unaesperienza antropologica basata sull'in-contro umano’. Se non ne avete abba-stanza: su Facebook Edizioni PulcinoElefante e/o Alberto Casiraghy oppureedizionipulcinoelefante.tumblr.com

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2steFano bUsoLin, 59 anni, nonostante ilcognome, è nato a firenze. Precisamente aPonte a ema da madre chiantigiana e padreveneto. Gino Bartali è stato il suo padrino.Scrive libri di poesia. Si crede l’odierno Mon-tale, ma nessuno lo sa. lo sa lui e gli basta.Non lo chiamatelo scrittore. Non è neppureun saggista, e nemmeno saggio. è iscrittoall’albo dei Giornalisti professionisti ma havotato per lo scioglimento dell'ordine.

Grazia de cesaris. 54 anni, nata nellanotte del 23 marzo a Merate in provincia dilecco. Il desiderio di viaggiare e conoscerealtre culture e nuove lingue è una costantedella sua vita. ha trascorso alcuni anni alcairo e ad helsinki ed ama il Brasile. Insegna Scienze Umane, in una scuola Se-condaria di lecco.

vano. Su di una parete è ancora ap-peso un quadretto dove si legge solen-nemente, e forse con un malcelatosollievo: ‘Oggi, 9 settembre 1993 AldaMerini non ha telefonato!’

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DI RITRATTOST

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una Vita preSaCon il VentoContrarioun calamaio intinto nel cielo.applausi, perché anche la folliane merita molti. da milano a ta-ranto. i manicomi e la ribellione. la vita notturna dei poeti, fino aquando le parole non ti cercano, lottano contro la stanchezza eportano alla luce la bellezza.

FOTO DI MARIA DI PIETRO TESTO DI SANDRO ABRUZZESE

‘Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto diquello che vanno dicendo sul manico-mio. Io la vita l’ho goduta perché mi

piace anche l’inferno della vita e la vita èspesso un inferno…. per me la vita è statabella perché l’ho pagata cara’.

alda merini in questi pochi versi riporta la miamemoria a Le città invisibili di italo Calvino:“L'inferno dei viventi non è qualcosa chesarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui,l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che for-miamo stando insieme. Due modi ci sono pernon soffrirne. Il primo riesce facile a molti: ac-cettare l'inferno e diventarne parte fino alpunto di non vederlo più. Il secondo è ri-schioso ed esige attenzione e apprendimentocontinui: cercare e saper riconoscere chi ecosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e

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le Collane di alda meriniFOTO DI MARIA DI PIETRO

TESTO DI SANDRO ABRUZZESE

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farlo durare, e dargli spazio.”

la poetessa dei navigli, ancora ragazzina,visse la seconda guerra mondiale. la sua fa-miglia perse tutto ciò che possedeva in se-guito ai bombardamenti sulla città di milano.in età adulta arrivarono i problemi psichici,l’allontanamento dei figli e l’esperienza degliinternamenti a milano e a taranto. “Mi ha sal-vata mio marito che veniva a trovarmi, per-ché chi non aveva nessuno scomparivaall’improvviso nel nulla”, così, in parte, rac-conta la sua vicenda.

testimoniò ciò che aveva visto e vissuto neimanicomi. lasciò a margine, per sé, l’indici-bile. in una lirica ribadì di trovare i suoi versi‘intingendo il calamaio nel cielo’. qui la meriniidealmente incontra le parole di Calvino, cer-cando strenuamente di dare spazio a ciò chenell’inferno, inferno non è, attraverso la suanudità, l’amore per la vita, il coraggio anti-convenzionale, l’appariscenza ribelle e deli-cata, la profonda umanità.

osservo questa sua foto, è uno scatto dimaria di pietro. Spiccano le rughe profondeai lati della bocca, lo sguardo attento copregli occhi di bambina, nasconde la vecchiafragilità. Sul petto scendono le amate col-lane, scendono senza riuscire a modificarequell’aria semplice e affabile che si porta die-tro. alda e l’amicizia con manganelli, quasi-modo. oppure il suo bilocale straripante dioggetti, immagini, sogni. la donna che donale sue poesie e spende il denaro racimolatocol primo, faticoso successo, aiutando amicie clochard, incapace di quantificare e gestirele sue risorse finanziarie, sempre sull’orlo, lì,verso porta Genova, ai margini, lontana e vi-cina. una vita presa con il vento contrario,quella della merini, piegata al conforto dellapoesia, alla sua lenta litania. una vita in bi-lico, percorsa su una lama tagliente che è ilbaratro della malattia, fatta di improvvise ri-cadute, di povertà, gioie, di rinunce e fati-cose risalite.

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"Candide decorazioni che scivo-lavano al soffitto, raccoglie-

vano voci sussurrate cheattendevano di ascoltare musica illu-minata dalla luce delle stelle che en-trava da due finestroni.Scala, duomo di San lorenzo,Costa amalfitana, seduta a un barcon un dolce caffè a gustarmi il pa-norama, una passeggiata fuori pro-gramma con un caro amico. ignara che da lì a poco avrei realiz-zato il più bel ritratto, uno dei mieipiù grandi desideri: ascoltare la vocedelle sue creazioni, in un angolo diparadiso con la musica che aleg-giava in frammenti infiniti di poesia.arrivò a passo lento, il suo visostanco dal tempo era pieno di gioiain quel momento di vita, tra le maniun ventaglio. Si sedette su una sediacome una regina tra un´orchestra diotto elementi e coro.quando tutti uscirono e il duomorestò in silenzio, ferma "davanti adun altare vuoto", la raggiunsi perchiederle un abbraccio.posò il ventaglio, e quell'abbraccio loricordo ogni volta che mi perdo tra lepagine di un suo libro."Maria Di Pietro

ARRIVÒ A PASSO LENTO...

Maria di pietro, 36 anni, foto-grafa napoletana, laurea all'accade-mia di Belle arti. Nel 2009 vince,nella categoria eyes wide shut, il fe-stival del cinema dei diritti Umani diNapoli/ Buenos aires. Insegna foto-grafia nelle scuole. ha progetti sulleperiferie Nord di Napoli.

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il suo ritorno a casa, dopo le cure, è del1979. l’equilibrio psichico resta debole. nonl’aiuta la morte del marito, solo quattro annidopo, con cui negli anni aveva avuto quattrofiglie. nell’83 sposa in seconde nozze il me-dico e poeta michele pierri, si trasferisce conlui a taranto. Sembrano anni tranquilli, tutta-via anche questa volta non andrà bene.

“Quando ci mettevano il cappio al collo / e ci buttavano sulle brandine nude / insieme acocci immondi di bottiglie / per favorire l'autoannientamento, / allora sullefronti madide / compariva il sudore degli ortisacri ,/ degli orti maledetti degli ulivi”, questialcuni versi che ricordano l’internamento.

Forse è vero quello che sostiene in uno deisuoi aforismi: ‘anche la follia merita i suoi ap-plausi’. la grazia di alda, quel modo di stareal mondo fuori dalle regole, dai ricatti. il viverenotturno dei poeti, quando la terra vociante diuomini si placa, avrebbe detto. poi le paroleche traboccano e scivolano dentro, sono ingrado di raggiungerti, ti cercano, scavano consemplicità disarmante, lottano contro la stan-chezza, portano alla luce la bellezza.

Sulla facciata della sua casa milanese, ai na-vigli, vi è una lapide che la ricorda. alda me-rini muore nel 2009, dopo una lunga etravagliata esistenza, a settantotto anni. dellasua vecchiaia scrisse: ‘Ho la sensazione didurare troppo, di non riuscire a spegnermi:come tutti i vecchi le mie radici stentano amollare la terra. Ma del resto dico spesso atutti quelli, che quella croce senza giustiziache è stato il mio manicomio non ha fattoche rivelarmi la grande potenza della vita’.Sandro Abruzzese

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La poesiaserve a disordinare gli ordini

Giuseppe Semerarosandro abrUzzese, 37 anni,irpino.Insegna italiano a ferrara.Scrittore e blogger, cura il progettoraccontiviandanti.

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ERODOTO GIOCA

foto tratta dal blog ‘la scuola di bollenti spiriti’

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Testo di Marco MontanaroFotografie di Daniele Argentieroe Gabriele Fanelli

L’INCREDIBILE,FOLLE STORIA DELFIFFAINDASTREET

Sud/Puglia

quella sera, giovedi 12 marzo del 2012, il bar Chopin aveva chiuso presto…

tutto è cominciato a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi.C’era il vuoto in paese e allora…poiè leggenda più che cronaca. il più straordinario campionato di calcio d’europa (e latinoamerica).tre contro tre. a porticine. in mezzoalle strade. decine e decine di squa-dre. Centinaia di giocatori. il contagiodel pallone e delle felicità di una par-tita: Fiffa è una ragione per vivere alSud (ma ora si gioca dal piemontealla patagonia).

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la storia, ormai, la conoscono tutti.quella sera il bar Chopin aveva chiusopresto. andrea e massimiliano Chirico,

fratelli-camerieri, avevano chiesto a un amicodi andare a prendere le porte. quelle piccole,da allenamento. Gli altri erano stati allertati viatelefono. era buio quando si sono trovati alparchetto di via mangia, periferia di Franca-villa Fontana, provincia di Brindisi. dodici per-sone, tre squadre da tre: Simone avrebbearbitrato, marino avrebbe interpretato il ruolodell’unico spettatore non pagante e danieleargentiero, primogenito del proprietario delbar Chopin, avrebbe fatto le foto.Verso mezzanotte l’arrivo, inevitabile, dei ca-rabinieri, e così quella prima edizione del Fiffainda Street non avrebbe avuto una finale. treanni e molte finali dopo, il torneo di calcio trecontro su asfalto avrebbe contato centinaiadi partecipanti. È difficile dire cosa c’è statonel mezzo: come per tutto ciò che è affinealla leggenda più che alla scarna cronologia,le diverse versioni di questa storia non sem-pre coincidono. l’unica cosa certa è che laprima volta si trattava di un giovedì sera dimarzo 2012, e che tutto quello che è venutodopo è successo sempre e solo – rigorosa-mente – di lunedì.Bisogna tener conto di quello che è Franca-villa Fontana, del contesto: vent’anni di go-verno di un’area politica erede di unademocrazia Cristiana eterna e persistente,peraltro nel buco nero di una provincia a suavolta buco nero di un’intera regione – anchenel momento in cui la puglia cominciava aesistere sulla cartina geografica d’italia. nes-suna iniziativa culturale, nessuna politica so-ciale particolarmente memorabile. il vuoto,per farla breve. e allora, suggerisce qual-cuno, è stato proprio per via di quel vuoto,forse, che è nato il Fiffa inda Street; una ri-sposta involontaria, indiretta, anarchica nelnon porsi neppure la classica domanda sulche fare: ci andava di farlo, lo abbiamofatto. punto.

oggi Francavilla, in cui si giocano le principaliedizioni – i volumi – del Fiffa, è ancora unacittadina meridionale di quarantamila abitantiche non ha deciso se diventare città o restarepaese; in cui le statue delle madonne che nelmese mariano girano di casa in casa convi-vono con gli screenshot degli status dei po-litici su Facebook scambiati in gran segretotra amici su What’s app.

la tecnologia e i social sono stati determi-nanti anche per il Fiffa inda Street. dopo iprimi volumi, in cui le squadre cominciano amoltiplicarsi, massimiliano, allora ventenne,apre la pagina Facebook dedicata. il rac-conto e l’ironia dei suoi post, insieme coi tage i video da smartphone delle persone che sisfidano in quei rave improvvisati di calcio dastrada, fanno il resto. un tempo si chiamavapassaparola, adesso si dice virale. lo spiritodel Fiffa, in ogni caso, è contagioso. il torneo,tuttora gratuito e aperto a chiunque, è unostrano miscuglio tra parodia del calcio vero

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(cominciano a spuntare veri e propri team, si-mili a franchigie da sport americani) e sem-plice voglia di stare insieme, di tornare perstrada in una città che ha molti locali allamoda e poca gente in giro. perché ovvia-mente Francavilla è anche uno di quei postida cui si emigra, come in ogni altro paesemeridionale.tre anni dopo, durante il Gran Galà 2015 delFiffa inda Street – anche questa una parodiadel calcio vero, in cui si premiano, con coppeda pochi euro riciclate dagli amici, i miglioricampioni e bidoni dell’anno – massimilianodirà dal palco che il torneo, per qualcuno, èstato forse un motivo in più per restare. tantole cose vanno male per tutti, sia qui che al-trove: ma almeno qui abbiamo qualcosa dafare, qualcosa a cui appartenere. ad ascol-tarlo ci sono circa duecento persone. non

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mente, è quella di imparare la lingua, mettereun po’ di soldi da parte e poi decidere cosafare.Se glielo chiedi, massimiliano risponde chesoprattutto all’inizio è stato suo fratello, il mo-tore principale del Fiffa. andrea, ventiquattroanni quando tutto ha avuto inizio, è uno cheha visto il pallone ovunque, sin da piccolo.Con un po’ di fortuna avrebbe potuto farestrada. in campo è un mancino compatto, ilche nel Fiffa significa che puoi essere un ot-timo attaccante e un eccellente difensore.perché col tempo nel torneo sono venuti fuoriruoli, tattiche, strategie. e certamente andreaha fatto da richiamo per molti altri che, come

sono grandissimi numeri, per la verità: du-rante il Fiffarrone, volume speciale del torneo,si arriva a mille persone tra giocatori e pub-blico. anche il Fiffarrone e il Galà, inutile dirlo,si tengono rigorosamente di lunedì.qualcun altro, qualche decennio prima, èperò andato via a tutti gli effetti. inizio anni ’70del secolo scorso: luciano argentiero, di-ciassettenne con la passione per il disegno ele parole, è partito da Francavilla per la Ger-mania come molti suoi coetanei. C’è que-st’altra leggenda che vuole parecchifrancavillesi gelatai tra i tedeschi, in queglianni. e così anche luciano comincia la suagavetta come cameriere. l’idea, probabil-

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lui, avrebbero voluto fare carriera col pallone.ragazzi che nel Fiffa hanno trovato molto piùdi un ripiego: tanto da disertare gli allena-menti delle scuole calcio pur di passare unpomeriggio sui campi da strada, tracciati neltempo con la calce, col gesso o con la sab-bia. del resto, se di lunedì puoi alzare un tro-feo, per quanto farlocco, davanti a trecentopersone, perché andare a sbattersi per unnoiosissimo allenamento che ti porterà co-munque in panchina la domenica succes-siva? a quel punto, qual è il calcio vero?

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Marco Montanaro, 33 anni, vive a francavilla fon-tana in provincia di Brindisi. ha pubblicato la raccolta diracconti Sono un ragazzo fortunato (lupo) e i romanziLa Passione (Untitl. ed) e Il corpo estraneo (caratteriMobili). Suoi testi sono apparsi su minima&moralia, inu-tile, Scrittori Precari e altre riviste. Il suo blog è  www.malesangue.comdanieLe arGentiero 36anni, barman e fotografo,nasce a herford, in Germania, per tornare a francavillafontana, provincia di Brindisi, a sei anni. circa vent'annidopo si sposa con arianna e con la fotografia. Nel 2012si inventa il fiffa inda Street con due suoi cugini e altriamici. ad oggi è ancora felicemente sposato e ha duefigli, convive con la macchina fotografica a fasi alterne eannovera piccole pubblicazioni in giro per testate giorna-listiche e per il web.GabrieLe FaneLLi 29 anni, è laureato in filosofia. Sioccupa di fotografia di scena e reportage. ha partecipatoalla mostra collettivathrough Waters (Pechino, tianjin,Sarajevo). Nel 2014 ha frequentato il corso annuale difotografia documentaria presso l’agenzia fotografica lUZa Milano.

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San Vincenzo, sette-mila residenti, astare abbondanti, in

inverno. quattro voltetanto in estate. indifferentia questa invasione i solitiamici di sempre, ognigiorno, sono lì a giocare abasket sull'asfalto delpiazzale esterno al palaz-zetto dello sport. una,due, cinque partite. poi afine estate il conto dellevinte e delle perse e laproclamazione del re delCampino. da qui l'idea diorganizzare un torneovero e proprio che, colpassare degli anni, è di-ventato un’istituzionedello streetball, basta dareun'occhiata ai social. È ilpiù importante in toscana.Con tanto di corona escettro per i vincitori chesu quell'asfalto saltano,

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Toscana / San Vincenzo

testo di alessandro BartoliniFoto di mauro Sani

LA GLORIA DELLO STREETBALL

Giocare a basket sull’asfalto di un piazzale. e lì si ferma Bob mc adoo, campione nba. e allora, ogni estate, a un passo dal mare, ci si dà battaglia sotto canestro per una corona e uno scettro

IL RE DEL CAMPINO

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giocatori così numerosi dacostringere gli organizza-tori ad aggiungere, loscorso luglio, una se-conda tribuna.

‘Col passare degli anni èaumentata la qualità, cisono giocatori di serie a,difficile capire come an-dare oltre. abbiamo sfrut-tato una lacuna intoscana, dove ancoranon c'era un torneo dialto livello. ora l'interesseè cresciuto e per noi èuno stimolo ad andareavanti’. dedicandoci sicu-ramente più tempo diquanto avevano preventi-vato quando sono partiti:‘Siamo in sei – dicemarco, che non facevaparte del piccolo gruppoiniziale - ci ritroviamo du-rante le vacanze di nataleper buttar giù le primeidee. poi per quattro cin-que-mesi un paio d'ore al

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2aLessandro bartoLini,42 anni, fiorentino, giornalistasportivo, "malato" di pallacane-stro. dal 2012 segue, per to-scana Basket live(www.toscanabasketlive), tuttoquello che succede nel mondodella palla a spicchi della re-gione.

MaUro sani, 59 anni, fioren-tino. Per la prima comunione,riceve in regalo una ferraniaeurorapid a pellicola. e’ la scin-tilla di una passione. a 17 annimonta la sua prima cameraoscura per i suoi scatti e co-minciare a realizzare il suosogno: ‘da grande voglio es-sere un bravo fotografo’.

giorno e, naturalmente,quattro giorni di ferie per iltorneo’.

la palla a spicchi conti-nua a mangiare, passodopo passo, l'asfalto delcampino.

sgomitano e protestanocon gli arbitri come fosseuna finale scudetto. ‘una scelta presa così,quasi una scommessa. eadesso a distanza di ottoanni possiamo dire diaverla vinta’, raccontamarco Vangelisti, unodegli organizzatori odierni.una scommessa baciataanche dalla fortuna, conun certo Bob mc adoo(passato illustre in nbaprima e nel campionatoitaliano poi) a bordocampo nell'edizione inau-gurale. ‘era in vacanza daqueste parti, gli abbiamodetto del torneo e che ciavrebbe fatto piacere sefosse passato. Certo nes-suno si aspettava di tro-varselo davvero alcampino..’. un segnale,insomma, che la cosa po-teva davvero funzionare. ecosì è andata, oltre leaspettative: pubblico e

IL RE DEL CAMPINO

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Piergiorgio Paterlini michiama al telefono per-ché sono in ritardo e lui

dev’essere altrove entrotrenta minuti, essendosi ap-pena liberato un posto dalmedico. Sul divano ho persoil senso del tempo, ma balzofino a casa sua, quasi difronte al mio portone e cito-fono in un attimo. A questopunto abbiamo 24 minutiper parlare di basket, l’argo-mento sul quale lui sta scri-vendo un libro e invece ionon so niente di niente. Mi

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l’ebbrezza di fermare il tempo. 24 minuti con lo scrittore piergio paterlini a parlare della vecchia palla a canestro. 24 secondi per terminare un’azione. ‘e fino all’ultimo secondo si può ribaltare una partita e la vita’.

testo di irene russoFoto di Giuseppe Boiardi

IL BASKET È UNO SPORT FILOSOFICAMENTE PAZZESCO

ERODOTO GIOCA

Foto di MaUro sani

‘SE MANCANO BEN 10 SECONDI...’

siedo al tavolo della sua cu-cina e lascio che parli piùveloce che può, trattenendoil desiderio di interromperload ogni frase.

‘la differenza tra il basket etutti gli altri sport è che nelbasket puoi fermare iltempo’, mi spiega. ‘per l’in-tuizione geniale di qualcuno,il cronometro si bloccaquando si blocca il gioco.Così, i 24 secondi in cui sisvolge un’azione possonodurare un’infinità, mentre lasituazione si ribalta più

COLLOQUIO CON PIER GIORGIO PATERLINI

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modo in cui il calcio tenta diriparare al tempo perduto.

Mentre Piergiorgio mi spiegai fondamentali, il suo cellu-lare manda alcune sfilze dinotifiche, segno che daqualche parte c’è qualcunoa cui serve la sua attenzione.Si spazientisce, ma ‘po-trebbe trattarsi di qualcosadi urgente’, mi dice per scu-sarsi quando interrompe laconversazione. Poi riprendeil filo dove si era lasciato.

nel gioco del basket, cosìcome nella pallavolo, esiste

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un’altra forma miracolosa disospensione del tempo: iltime out, la pausa invocatain una fase di sofferenza eche ha il potere di ricaricarel’animo dei giocatori con lasola imposizione delle pa-role. quando tutto va a ro-toli, c’è sempre una chancedi riprogrammare l’atteggia-mento mentale e ci sonocasi clamorosi di rimontadopo l’arringa dell’allena-tore.

questa scansione del tempo avrebbe il suo effetto perfino sugli

‘SE MANCANO BEN 10 SECONDI...’

volte’’ questo miracolo paresi svolga con una certa fre-quenza, fino ad assumere iconnotati di una vera e pro-pria caratteristica della disci-plina. non ci sono altri sportpopolari dove si vince perquantità di punti in propor-zione al tempo realmenteimpiegato. alcune disciplinesuddividono i match in setdai punteggi definiti, mentrealtre arrangiano dei correttiviforfettari per compensare losperpero di secondi dei mo-menti più sfilacciati della par-tita. i tre minuti di recuperooltre il novantesimo sono il

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spettatori. ‘mi sono convinto che fino all’ultimo secondo c’è la possibilità di rivoltare il risultato esistenziale di unavita - spiega piergiorgio -‘l’esperienza di un tempovelocissimo e dilatato all’infi-nito, che faccio alle partite,mi ha guarito dall’ansia. Semancano ben 10 secondi,bisogna rallentare: è il con-trario del panico’.

Nel libro che sta scrivendo,applica alla vita quotidianaalcune esperienze che si vi-vono durante le gare, con ri-sultati a suo diresorprendenti. Forse lo intito-lerà Essere Dio per il fattoche il giocatore sperimentaquesta condizione supero-mistica ed eccezionale, lasospensione dello scorreredel tempo nell’attesa chetutto sia pronto per ricomin-ciare, e l’arbitro fischi l’iniziodella prossima azione.

‘il basket ha deciso che,quando non sei parte attivadella tua vita, il tempo vienefermato’, conclude. tra i requisiti superiori deigiocatori c’è anche la que-stione più appariscentedell’altezza, quella che mi facredere che i miei vicini ce-stisti non mi salutino perstrada perché vivo al disotto del loro raggio visivo.per quanto mi riguarda, sitratta di centimetri di corpoin più a cui corrispondonomilioni di cellule, dunque unapiù ampia superficie poten-zialmente esposta ai traumie un aumentato rischio disbattere contro agli stipiti.

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tutte quelle cellule continue-ranno comunque a invec-chiare – penso – mentre iltempo si ferma.

L’intervista sta per conclu-dersi perché l’ora sul cellu-lare segna che si è fattotardi.

‘Chissà se chi ha avuto l’in-tuizione geniale della so-spensione’ - si domandapiergiorgio sulla porta dicasa - ne aveva chiare tuttele implicazioni’.

Chissà chi è stato, mi do-mando, a un certo puntodella storia del basket, a de-cidere che 30 secondi perun’azione fossero troppi,che in fondo potessero ba-starne appena 24. ha sceltoil numero delle ore delgiorno, invece dei giorni delmese: cambiando la cifra, lafuria verso il canestro si faancora più vorticosa, e lasensazione è che dall’albaalla notte il tempo non siamai troppo breve per ficcarcidentro un milione di cose.

irene rUsso, 36 anni, siciliana, ècopywriter specializzata in storytellinge green marketing. Si dedica a di-verse attività legate al mondo dell’artee della comunicazione: ha coordinatoprogetti fotografici partecipati per fo-tografia europea (tra cui tutti i luoghiil luogo, 2015), ideato app (Via romatrip) e libri interattivi (e se fosse…,ed. de agostini), creato libri d’artista(tra cui fotoscopia, self-published). Sidedica inoltre a blogging e socialmedia marketing, insegnamento,scrittura creativa.

pierGiorGio paterLini, 61 anni,è nato a castelnovo di Sotto, reggioemilia. è stato tra i fondatori della rivi-sta cuore e ha pubblicato libri tradottiin francia, Spagna, olanda, StatiUniti. Il suo long seller è ragazzi cheamano ragazzi(1991). ha scrittoun'autobiografia a quattro mani conGianni Vattimo, Non essere dio(2006). Nel 2013 ha pubblicato, pereinaudi, fisica quantistica della vitaquotidiana. 101 microromanzi; nel2014, I brutti antroccoli; nel 2015, la-sciate in pace Marcello. ha scrittoprogrammi per radiorai e per raidue,raitre e la7, e testi per il teatro (fracui l'adattamento de la califfa, di al-berto Bevilacqua). ha sceneggiato ilfilm Niente paura, presentato fuoriconcorso alla Mostra del cinema diVenezia nel 2010. oggi scrive per «larepubblica» e per l'edizione onlinede «l'espresso», dove tiene il blogd'autore «le Nuvole».

GiUseppe boiardi, 51 anni, reg-giano, fotografa per raccontare e solodopo lunghe chiacchierate e frequen-tazioni. ha ideato e coordinato Int'lanudda, progetto fotografico collettivosulla montagna reggiana e ha parteci-pato al circuito off di fotografia euro-pea 2015 con la raccolta pop-vintageBaci da via roma.

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‘Gli uomini scappano. Ri-mangono solo le donne.Rimaniamo solo noi. Gli

uomini escono. Appena possonovanno al bar. Le donne hanno più re-sponsabilità. Io e mia madre si dor-miva a terra pur di badare al pane’.Domenica ha 40 anni; sua madre,Antonia, ne ha 65. So che sono inpiedi dalle due del mattino. So chelavoreranno fino alle otto, le nove disera. Davanti ai loro quattro forni alegna. A fare il pane. A fare un paneoggi celebre e amato dai cuochi egiornalisti di cibo: è il pane di Cer-chiara di Calabria, ottocento abitanti(è quanto mi dicono, i censimenti uf-

ficiali ne contano poco oltre due-mila), paese aggrappato ai contraf-forti orientali della montagna delPollino.

Questa è una storia di donne. È lastoria del loro pane. Sono otto i pani-fici del paese e, in tutti, trovate unadonna a impastare, avere cura del lie-vito madre, infornare, sorvegliare lacottura. ‘Ci potevo andare all’università –dice Domenica – ma non ho voluto.Vedevo la fatica di mia madre e vo-levo dare mano. Non ho rimpianti: mipiace il pane, è una passione, unamore e voglio farlo bene’. Dome-

nica ha un marito e due figli. Unterzo sta per arrivare. Amicizia deitempi della scuola. Dieci anni di fi-danzamento. E poi lui ha vissuto annilontano dal paese fino a quando, dueanni fa, il lavoro al Nord è svanito e,allora, è tornato a casa. Che sta soprail forno. ‘Il mio uomo è buono. Hapazienza con me’, dice Domenica.Gli orari non esistono nel lavoro dipanettiere. C’è da ravvivare il fornoin piena notte e poi da impastare. Bi-sogna aspettare la lievitazione, c’ètempo per un’ora di riposo, poi co-mincia la danza dell’infornare. Al-meno tre giri di pane prima dimezzogiorno. Dieci quintali ognigiorno. Forme normali da due chili emezzo. Poi ci sono i taralli da tirare amano, le frese con le farine integrali,i biscotti…

Una storia quasi normale per ledonne del pane di Cerchiara. Il panesi è sempre fatto in casa. Lo facevaCeleste, mamma di Antonia e nonnadi Domenica. Gli uomini andavano acercare lavoro fuori dal paese. Il pane qui dura a lungo. Due setti-mane, venti giorni. E, alla fine, i vi-cini di casa ti chiedevano di fare ilpane anche per loro. Il forno, in anniduri, diventa un’economia informale.Fino a venti anni fa. È negli anni’80, che la famiglia di Antonia di-venta impresa. Madre, figlia e zia siritrovano, ogni notte, a impastarequintali di farina, a fare pizze e fo-

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DI CIBOST

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in questo paese del pollino, fare il pane è storiafemminile. otto panifici, otto donne davanti ai forni.instancabili, brave, appassionate. hanno creato una nuova economia e un futuro. incontro con domenica e antonia.

CERCHIARA DI CALABRIA

le donne del pane

testo di andrea Semplici

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cacce, taralli e frese. Gli uomini la-sciano fare. ‘Mio padre ha fatto ilmuratore. Ha lavorato, ma se avevaun’ora libera stava lontano dal forno’,ricorda Domenica. Oggi è diverso:fratelli e marito danno aiuto. ‘Maloro difendono la loro libertà, i giornidi vacanza. Qui dentro rimangono ledonne. Mi rimproverano: sempreforno, sempre forno. Ma come si fa?C’è il pane e io non mi stanco mai’.

Niente vacanze. Due giorni a Firenzee due a Roma per viaggio di nozze.Quattro giorni al mare in estate (chesta a trenta chilometri) per i bambini.‘I divertimenti non ci sono stati - sor-ride Domenica – Niente pub, nienteviaggi. A volte mi manca, ma èun’idea, non ci penso’. La casa èqualche gradino sopra il negozio, lascuola dei bambini è davanti. Tutto inpoche decine di metri. C’è da fare ilpranzo per i figli. Ogni giorno è unagiostra. E vorresti che tua figlia fa-cesse questo lavoro? ‘È già brava afare i taralli. Farà ciò che vorrà. Fareil pane è fatica, ma lei ha fortuna: quic’è un forno, può stare qui, invece diandarsene’. È un lavoro pesante, im-possibile per me. Ma ha l’aria del la-voro bello. Domenica mi apparefelice (e stanca, anche se lei nega) difronte al pane.

Sto due ore al forno di Antonia e Do-menica. Arrivo che stanno togliendoil pane dal forno. Le forme vannonegli scaffali del piccolo negozio.Oppure sul camioncino che le porterànelle città vicine. Pane fresco al po-meriggio per la gente di Trebisacce odi Castrovillari. Alcune grandi pa-gnotte arriveranno anche lontano. Siricomincia a infornare. Domenicamanovra la pala da panettiere comeun timone. La zia sistema la pasta lie-vitata e con un gesto rapido la nipotela fa sparire nella pancia del fuoco.Le mani di Antonia non si fermano:arricciano, con gesti esperti e di abi-tudine, i taralli. Le dita della zia lavo-rano le frese. Alla fine s’impastanuovamente, girando e rigirando lenuove forme con un movimento damusicista delle mani. Le facce delle

donne si spolverano di farina. Il panedi Cerchiara ha la gobba: è scanato.Dicono che assomiglia al Sèllaro, lamontagna sopra il paese. È fatto confarina, sale, pasta madre e acqua disole. Lo ammetto, in questa storia didonne, appare anche Pino, il fratellodi Domenica. È lui, maestro di mar-keting, a parlarci dell’acqua di sole,l’acqua dura di un paese di monta-gna, una delle ragioni della bontà diquesto pane. Domenica guarda il fra-tello con un sorriso conciliante: ‘Alui piace parlare. Io sono silenziosa’.E controlla la cottura. Io penso che

bisognerebbe mormorare una pre-ghiera di fronte, al pane di Dome-nica, davanti a un tarallo intrecciatoda Antonia.

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tti ROBERTO INNOCENTI

LA CASA E IL TEMPO

Andrea Rauch. “la Casa nel tempo” è un libro checontinua, per così dire, la tua ricognizione, ormaipiù che un dato stilistico, sul territorio, sulle sue lo-giche e sulla sua topografia. Ci vuoi dire come ènato?

Roberto Innocenti. l'inizio de “la Casa nel tempo”sta in un vecchio disegno di molti anni fa. un dise-gno che non è servito a niente ma che poi ha de-terminato, come a volte succede, il cominciare diun racconto. la Casa è un rudere seicentesco amezza costa, una colonica abbandonata ai mar-gini di un bosco, campi angusti sostenuti da ter-razzamenti di pietra. la mia Casa viene"rioccupata" all'inizio del novecento da una fami-glia contadina ed è scena e attore dei fatti del se-colo scorso. davanti alle sue pietre passa lagrande storia, la prima Guerra mondiale, il Fasci-smo, la Seconda Guerra e la lotta di liberazione,il passaggio del fronte e l'arrivo degli alleati, il nuovoabbandono e il recupero di una comunità hippiedegli anni sessanta, poi il finale, che potrei dire tra-gicomico, con il riattamento borghese e funzionaleda seconda casetta residenziale, completa di ar-chetti tosco-goticheggianti, piscina, macchina dilusso e nani da giardino a completare una storiache si segnala, alla fine, come storia di nuova de-cadenza.

andrea rauch/roberto innocenti.conversazione fra due uominicon la matita in mano

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Venne costruita nel '600. da qualche parte, sugli appennini fra to-scana ed emilia. Fu abbandonata. i contadini vi tornarono nel '900. Vide il passaggio di due guerre, visse gli anni del fascismo e offrì rifugio a partigiani. negli anni '60, ospitò una comunità hippie. poi divenne la villa nei boschi di una famiglia di città....la storia e lepietre, un secolo breve, il pozzo, l'albero come testimone e il passaredelle stagioni. andrea rauch e roberto innocenti siedono su un gradino fuori dalla casa e si interrogano. andrea fa le domande, roberto risponde. in uno strano gioco di memoria e nostalgia. entrambi stringono fra le mani parole e matite.

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ROBERTO INNOCENTI

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Rauch. ma la Casa non scandi-sce solo la grande storia del no-vecento. ricorda, per chi ha ovuole avere memoria, anche lepiccole storie della società.

Innocenti. È una colonica che sipone chissà dove sulla lineaGotica, rifugio di poveracci, diuna delle tante famiglie conta-dine molto più ricche di boccheda sfamare che di mezzi per sfa-marle. Contadini che non hannoterra buona, ma che devonostrappare ai primi contraffortidella montagna un lembo dicampo per piantare un filare divite, qualche olivo. È una casadove l'elettricità arriverà tardi,forse negli anni sessanta. C'è unnucleo familiare che fatica la vita,nel corso del tempo, e che vienetenuto insieme dalle donne,mentre gli uomini se ne vanno

coscritti verso le guerre che nongli appartengono, quelle delCarso nel '15-18, o quelle chegli appartengono, come la lottapartigiana del '43-44. e infatti lafine sarà segnata dalla morte edal funerale della vecchiamamma che serve da raccordosignificativo per tutta una storiadel secolo.

Rauch. dopo la fine della vec-chia famiglia contadina (i figli sa-ranno andati in città, in fabbricao chissà dove) la storia cambieràe potrà essere raccontata dainuovi ricchi che ristrutturerannola casa in pacchiano look neo-californiano.

Innocenti. non potrà più essere,però, la stessa storia; mancheràdella continuità con il passato,perché per raccontare quell'altra

storia, c'è bisogno di chi quellevicende le ha vissute e che co-nosce quei luoghi, quei campi,quei boschi.

Rauch. dice Stephen King chelui scrive del maine perché, infondo, è l'unica comunità checonosce bene, la sua.

Innocenti. ecco, qui è un po' lastessa cosa, bisogna cono-scerla quella comunità per po-terla raccontare, conservarne,non con nostalgia, ma con unasorta di onestà narrativa e visiva,la memoria possibile. intorno allacasa ci sono pochi elementi co-stanti che ne mantengono, neltempo, il carattere e lo "stile". Cisono le pietre dei muri e dei mu-retti, pochi mattoni rossi, ilpozzo, i terrazzamenti strappatial greppo. il mondo avvertito e

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conosciuto è tutto lì e c'è la cer-tezza del racconto topograficodel territorio. il resto è vicino maestraneo, ci sono pochi contattianche con il paese che si pre-sume vicino, un poco più inbasso, con l'altra gente che siraduna solo per le occasioni im-portanti, un matrimonio, la libe-razione, un funerale. È la storiadi quello che si conosce e chemagari si guarda senza nostal-gia, ma con una sorta di epocaledistacco oggettivo.

Rauch. una storia locale che di-venta storia esemplare.

Innocenti. può essere una storiaesemplare. È il racconto dellatrasformazione di una comunità.io sono nato a Bagno a ripolinel 1940. per andare in cittàc'era solo il tram, il 33, e le vie

intorno a quelli che oggi sonoviale Giannotti e viale europa,erano a sterro. i campi eranofuori dell'uscio di casa e passa-vano i barrocci tirati dai bovi.quella Firenze è scomparsadopo l'alluvione. i quartieri sisono dissolti, il tessuto socialedella comunità si è disgregatonelle periferie dormitorio. daglianni settanta Firenze non c'èpiù. poteva essere salvata,forse, ma non è stata salvata. iquartieri popolari (Santa Croce,San Frediano, San lorenzo...)che avevano composizionemista, ceti alti e bassi insieme,hanno perso ruolo, funzione,identità. quello che c'è adessosi vede bene e non è, a mio pa-rere, un bel vedere. Firenze haperso l'anima e lo possiamo af-fermare anche senza quella no-stalgia che sembrerebbe

inevitabile nelle parole.

Rauch. Sembra di capire, dalleparole, che i tuoi disegni si pon-gono come un mezzo per l'ana-lisi critica della società...

Innocenti. Con questi disegninon credo di voler fare l'analisicritica o politica di un mondo edi una società in trasformazionecostante, né voglio rifugiarmi inun "amarcord" stucchevole efuori luogo. Si tratta però, que-sto sì, di un'analisi visiva e an-tropologica. questo era, questonon è più. per ricordare e riflet-tere.

(da FFF numero 1, 2009)

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roBerto innoCenti75 anni, è nato aBagno a ripolialle porte di Fi-renze.È uno dei più fa-mosi illustratoridel mondo. tra lesue opere fonda-mentali si pos-sono ricordarepinocchio, Cantodi natale, Schiac-cianoci, oltre aidue grandi libri'politici' rosaBianca e la sto-ria di erika. nel2008 ha vinto,unico italianonella storia delpremio, l'ander-sen ibby award,una sorta dinobel dell'illu-strazione mon-diale. the house(la Casa neltempo) è statopubblicato nel2009 dall'editoreamericano Crea-tive editions e initalia da la mar-gherita

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CON GLI OCCHI DI UN UCCELLO

GUIDO COZZI

il gioco del fotografo. punto, e basta.Vista, l’opposto: lo sguardo in cerca di un racconto. due parole e un genitivo in mezzo. punto di vista.l’abitudine delle parole qualche volta ti confonde, il punto di vista è illinguaggio del tuo racconto. due fotografi e un grafico: Guido Cozzi eVittore Buzzi e andrea rauch guardano il mondo con occhi diversi,quelli di un uccello, un uomo, un bambino; anche una donna, unabambina. in queste pagine ci parlano del loro vedere, parole eimmagini. Guido Cozzi e andrea rauch, il grafico, hanno una visioneda osservatori: le fotografie dall’alto descrivono forme e paesaggi (‘ledistanze si dilatano, i vari punti della scena entrano in una relazione piùchiara e in una sola inquadratura si raccolgono tutti gli elementi’),quelle scattate a livello-terra confrontano l’uomo all’ambiente urbano(‘le piazze sono quasi metafisiche, le vie sono deserte e impongonosoggezione, a volte sgomento’). Vittore Buzzi è il bambino, e le sue immagini risultano vicineall’immediatezza del quotidiano (‘non si tratta di una vicinanza solo intermini di centimetri, ma di cuore e di empatia di amore per la vita e diaccettazione’).

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i “punto di ViSta”

ANDREA RAUCH

L’UOMO È LA MISURA DELLE COSE

VITTORE BUZZI

LO SGUARDO DELPICCOLO PRINCIPE

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“le cose belle, viste dall’alto, sono an-cora piú belle”. doveva aver pensato

così Justus Van utens quando fu chiamatoalla corte dei medici per dipingere le pro-prietà della famiglia, rappresentate poi inquattordici lunette che andarono a decorarel’archivio di Villa petraia. i dipinti dovevanoessere documentativi, belli, moderni. utensfece una scelta coraggiosa e usò una tec-nica innovativa, mischiando assonometria eprospettiva. Soprattutto si inventò un puntodi vista inedito, che necessariamente sfug-giva allo sguardo degli uomini, ma non allaloro immaginazione: la veduta aerea. aquell’epoca - siamo a fine del '500 - nonesisteva nessuna macchina volante e lasola idea di veduta aerea era pura astra-zione. Così la pittura di utens, avvalendosidi uno sguardo privilegiato, in un solocolpo d'occhio poteva essere narrativa estupefacente, documento e sogno, astratto

‘le cose viste dall’alto sonoancora più belle’. l’uomo hasempre cercato di guardare ilmondo dalle nuvole (o dalla finestra di una grattacielo).adesso i fotografi rimangonoa terra e fanno volare le loromacchine. da Justus Vanutens ai droni, dagli alinari al wireless.

Con GlioCChi di unuCCello

FotoGraFare dal Cielo

roma, piazza navona

Siena, abbazia di San Galgano

laboratorio martelli, Firenze

testo e foto di Guido Cozzi

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e abstract: racconto, sogno, sintesi. la meraviglia di quello sguardo è ancora in-tatta. oggi che volare è diventato atto abi-tudinario, massificato nella sua ovvietà, nonsi è spento il sogno umano del volo indivi-duale, utopia di liberta e leggerezza,sguardo dall'alto. al di là della fotografiaaerea di alta quota, interessante il fatto cheoggi è diventato facile raggiungere un puntodi vista poco usuale: troppo bassa per es-sere aerea, già abbastanza alta da staccarsidalla fisicità terrestre. probabilmente è l'al-tezza alla quale ci muoveremmo se non fos-simo prigionieri della gravità: quella parte tracielo e terra che appartiene al mondo degliuccelli, e solo a loro. perché dai dieci ai set-tanta metri da terra la percezione del

sguardo e nasconde prospettive. allora ci sieleva un po’ sopra il livello stradale: bastanocinque, sei metri che le linee dei palazzi tor-nano a tracciare una strada, la prospettivasi trasforma da incognita in racconto, gentenella folla tornano ad essere persone, dipiù: personaggi. mi considero un veterano di questo tipo diriprese. e se una volta non c'era altra possi-bilità che affacciarsi dalla finestra di qualchepersona gentile che ti faceva entrare in casa(quanti campanelli ho suonato:....signora,mi fa salire per favore che dovrei fare unafoto della piazza?.....) oggi ci si può avvaleredi tecnologie più sofisticate, veri e proprisostituti di superpoteri: droni che volano,colonne in carbonio, macchine controllatein wireless. queste attrezzature non fanno

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reggello, coltivazione di iris

mondo è tutta particolare: da lì sopra le di-stanze si dilatano, i vari punti della scenaentrano in una relazione più chiara e in unasola inquadratura si raccolgono tutti gli ele-menti. lo sapevano bene gli alinari, famosi foto-grafi fiorentini dell'ottocento, che usavanopesanti piattaforme per poter scattare daposizioni elevate le loro immagini. perchéfotografare dall'alto (ma non troppo) è piùuna questione di tecnica narrativa che disemplice punto di vista. tecnica utilissimanel paesaggio urbano, quando per esempiovuoi fotografare una strada, ma la teoria dipedoni diventa massa informe, occlude lo

miracoli: alla base c’è sempre una capacitàdi astrazione e di intuizione, perché con i si-stemi a controllo remoto, se l'inquadraturaè sbagliata, le correzioni che puoi fare sonominime. però tutta questa tecnologia pianopiano ci aiuta a avvicinarsi al sogno, all'illu-sione di essere un po’ più liberi e un po’ piùleggeri, e vedere il mondo come lo vedonogli uccelli: dall'alto, ma non troppo.

GUido cozzi 53 anni, fiorentino, per l’editoria harealizzato servizi fotografici di carattere geogra-fico, etnografico e turistico. Nel 1991 è tra i fonda-tori di atlantide Phototravel, specializzata nelreportage di viaggio. adesso racconta il territoriofotografando dall’alto, dai 3 metri in su.

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Firenze, loggia dei lanzi Castiglion della pescaia

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natura, architettura, arte. e l’uomo. unparticolare secondario, quasi. piccolo, in

campo lungo o lunghissimo, defilato,distante. una presenza ‘estranea’ che toglie alleimmagini un po’ del ‘patinato’ cheinevitabilmente ‘le cartoline’ si portano dietro. le piazze sono quasi metafisiche, le vie sonodeserte e impongono soggezione, a voltesgomento. i luoghi sono appena percorsi dafremiti di vita. l’uomo è comunque sempre il metro diriferimento per verificare l’incombenza dellanatura, la maestosità delle rovinearcheologiche, la misura dei percorsicittadini. l’uomo affronta e si confronta con ilcontesto. Con ogni contesto. e diventa protagonista unico e prepotentedelle immagini, punto focale cui fareimmediato riferimento.

È davvero misura di tutte le cose.

miSuradelle CoSetesto e foto di andrea rauch

londraBritish museum

la reggia di Caserta

Firenze,via san Gallo

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metropolitana di napoli, la linea metro1

livornoterrazza mascagni

andrea raUch, 66anni, nato a Siena, daventicinque anni vive inValdarno. ha collaboratocon la Biennale di Veneziae il centre Georges Pom-pidou. I suoi manifesti (neha disegnati oltre 500)sono al Museum of Mo-dern art di New York.Nel 1993 è stato conside-rato, dalla rivista giappo-nese Idea, fra i miglioricento grafici al mondo. Noi lo amiamo per i suoiPinocchio, per topolino,per il Gatto felix e per il suo giornalino di GianBurrasca.

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roma,ara pacis

Bordighera

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Èuna dedica che mi ha sempre fatto piangere,anche quando l’ho letta per la prima volta una

quarantina di anni fa. Con gli anni mi ha fattomolto riflettere, fino a che non ho cominciato a ri-trovare nel mio modo di fotografare un punto divista leggermente dal basso, la visione di un bam-bino…non è stata una scelta cosciente, né la voglia distupire con una ‘angolazione strana’ o inconsueta,ma una sensazione che è cresciuta piano dentro

lo SGuardodel piCColoprinCipetesto e foto di Vittore Buzzi(con la collaborazione di antoine de Saint exupéry)

‘a leone Werthdomando perdono ai bambini di aver dedi-

cato questo libro a una persona grande. ho una scusa seria: questa persona grande

è il miglior amico che abbia al mondo. ho una seconda scusa.

questa persona grande può capire tutto,anche i libri per bambini; e ne ho una terza:

questa persona grande abita in Francia, ha fame, ha freddo e ha molto bisogno

di essere consolata.e se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al bambino che

questa grande persona è stato. tutti i grandi sonostati bambini una volta

(ma pochi di essi se ne ricordano).perciò correggo la mia dedica:

a leone Werthquando era un bambino.

( antoine de Saint exupéry)’.

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Un fotografo deve ritrovare lo stupore infantile. Non basta essere vicini con il proprio obiettivo, ma è una storia di cuore e di empatia. Bisogna innamorarsi di tutto…

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di me nel mio modo di rapportarmi alla re-altà e alla sua restituzione con la fotografia.Cosa è rimasto del nostro stupore infantilequando tutto era nuovo, da conoscere e daesplorare?la fotografia è per me questo avvicinarmi aquello che racconto con la mente il più li-bera possibile da preconcetti: aprirmi almondo, essere vicino, libero. non si tratta diuna vicinanza solo in termini di centimetri,ma di cuore e di empatia di amore per lavita e di accettazione… questo mi porta adun’altra frase celebre del piccolo principe

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detta dalla volpe: ‘non si vede bene checol cuore, l’essenziale è invisibile agliocchi’.

il punto di vista dal basso è un ritornoall’infanzia, a quel mondo dorato in cui cisi innamorava di tutto, un piccolo déjàvu, un riportare lo sguardo a pochi cen-timetri da terra, trascinare l’adulto che èin noi in dietro al fanciullino solo il tempodi un battito di ciglia per scoprire cheniente è più come era…

VITTORE BUZZI, 46 anni, milanese, preferisce questa microbiografia: ‘comincia afotografare nel 1992. Non ha ancora smesso’. Possiamo aggiungere? ‘ha studiatofotografia con roberta Valtorta, ha vinto prestigiosi premi internazionali di fotografia diricerca e di reportage. fra cui, nel 2013, un World Press Photo’. Se volete conoscere isuoi lavori: www.facebook.com/pages/Vittore-Buzzi-fotografo/146792108433" organizza workshop ( www.corsifotografia.it) ed è considerato fra i migliori fotografi dimatrimonio al mondo www.fotografomatrimoni.biz

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LA DECIMA LIBRERIA

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in un giorno di settembre, un sabato pomeriggio, a due passi dall’arno, centro di Fi-renze, un gruppetto di ragazzi ha aperto le porte della decima libreria. libreria dal gustofrancese; Rive Gauche fiorentina hanno subito titolato i giornali. noi di erodoto siamo ri-masti incerti: articolo già impaginato, ora tocca smontarlo e rimontarlo perché nuovi libraicoraggiosi vogliono riempire di scaffali un’altra libreria. avevamo già contato nove piccolelibrerie a Firenze e ora ne apriva una decima proprio mentre stavamo chiudendo questonumero della rivista.

non siamo certi del nostro censimento, ma la libreria Clichy, in via maggio, è la decima li-breria che apre nel giro di pochi anni a Firenze. e ben la metà si trovano nel quadrilateroSan Frediano-ognissanti, quartieri ancora resistenti del capoluogo toscano. Cinque libre-rie in meno di un chilometro quadrato. troppo per pensare alla follia di librai incapaci distaccarsi dalla carta. È vero, abbiamo un po’ barato: la libreria Claudiana, via ognissanti,ha aperto ben quindici anni fa e ha una storia particolare, ma per dignità e resilienza, nonpoteva mancare dal nostro elenco. tutte le altre librerie hanno pochi anni di vita e ad-dosso la vivacità di adolescenti coscienti della loro meraviglia. Strana geografia, cinque li-brerie affollano le sponde dell’arno, le altre si disperdono nella prima periferia: le Cure, iconfini di rifredi, la zona dello Statuto, a San Jacopino…quartieri di cittadini veri, digente che lì vive e sta costruendo una storia contemporanea di rioni. le librerie vivonodegli abitanti delle case attorno, diventano luogo di incontro e di ritrovo. questa è unabella storia di relazioni.

È altrettanto vero che, a Firenze hanno chiuso le grandi librerie: il porcellino e la edison.ha chiuso Feltrinelli international, ma una nuova effe ha aperto alla stazione. hannochiuso, a dare retta a una malinconica contabilità, ben ventisette librerie in pochi anni. hachiuso la marzocco/martelli e al suo posto vi è eataly. matteo renzi, ex-sindaco di Fi-renze, si presentò all’inaugurazione del negozio della catena di oscar Farinetti e spiegòche un pretenzioso alimentari di lusso prendeva il posto dei libri perché nessuno ne com-prava più. dieci librai stanno cercando di dimostrare che è possibile vivere vendendolibri. Grazie a questi dieci librai, tutti giovani, Firenze è più bella.

noi di erodoto abbiamo un desiderio che è un piccolo progetto: riunire i dieci librai in unaserata in cui festeggiare loro, le piccole librerie e soprattutto i libri.

(Adesso davvero chiudiamo il numero. Non ce la facciamo ad aspettare oltre. Non abbiamo collaboratoridisposti a correre, all’ultimo minuto, in altre tre librerie che ci sono state segnalate. Se ci saranno prossiminumeri, giuriamo che dedicheremo loro attenzione: sono Leggermente in via Talenti; Libreria dei lettori invia della Pergola; Farollo e Falpalà in via del Pollaiolo. E chissà quante altre. A chi abbiamo dimenticato lenostre scuse e i nostri applausi)

(ma in realtà sono almeno tredici)

testi di andrea Semplici, Isabella Mancini, francesca cappelli, letizia Sgalambro,lucia Zambelli, Matthew licht. foto di alessandro lanzettaPag. 126 Giovanni Breschi ‘librerie’

LA DECIMA LIBRERIA

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Clichy è molto più di una libre-ria: è una casa editrice, ma èanche la dimostrazione chel’entusiasmo e la tenacia pos-sono vincere la crisi.Clichy nasce dalle ceneri dellacasa editrice Barbès, marchiodella libreria Edison, fallita unanno fa. Barbès funzionava,ma è stata ugualmente chiusa. Iredattori ne hanno raccoltol’eredità e hanno aperto unanuova casa editrice, mante-nendo grafica e linea edito-riale, legata alla letteratura

grandi incassi su uno o due ti-toli, ma non avvicina le per-sone alla lettura. Le librerie diquartiere, giocando sulla rela-zione, hanno invece proprioquesta funzione. Il lettore nonè attratto solo da un prezzo piùbasso, ma piuttosto da una di-versa offerta culturale’.È così che sono andate in crisile librerie storiche fiorentine:in sei anni hanno chiuso benventisette librerie. Adessoqualcosa sta cambiando: non èun caso che quest’anno nesiano state aperte più di unadecina, c’è più coscienza daparte dei librai e degli editori.La libreria è in Via Maggio,una delle strade più elitarie nelquartiere dell’Oltrarno fioren-tino, abitata da molti stranieri(almeno un terzo di chi entraalla Clichy è forestiero). Duestanze, una piccola corte,un’altra sala per la casa edi-trice. I libri sono divisi primaper edizione e quindi per or-dine alfabetico. Trovi lo stessoautore in più spazi. Due pol-trone per sedersi a legge, unbollitore per il tè. Un invito aleggere con tranquillità. I consigli:Walter Cutolo:Fabio Genovesi, Chi manda leonde. Marco Vichi, Nel giar-dino di Boboli.Geoff Dyer, Na-tura morta con custodia di saxTommaso Gurrieri:Pratolini, Lo scialo.VictorKlemperer, LTI La lingua delterzo Reich. Francois Sagan,Can che dorme.

L.S.

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LA VOGLIA DI ESISTERE LIBRERIA CLICHY

Via maggio 13r Firenzetel 055 2646025

[email protected]

rieri, direttore editoriale. E ag-giunge che in realtà sentivanoil bisogno di rendersi più visi-bili, soprattutto a Firenze dovehanno la sede, ma dove sonomeno conosciuti che altrove. La maggior parte dei redattorie i due librai vengono dal-l’esperienza della Edison cheper Firenze ha significato libre-ria di qualità. ‘La crisi del libro è frutto dipolitiche sbagliate da parte deidistributori – dice il libraioWalter Cutolo - Vendere libri aisupermercati può portare a

francese. E la scommessa stafunzionando, Clichy (è il nomedi un quartiere di Parigi conti-guo a Barbès) è una dellepoche case editrici fiorentinedistribuite su tutto il territorionazionale (su sessanta che cene sono a Firenze, questo suc-cede solo a tre o quattro) e haun bel catalogo, anche di libriper bambini.Perché una nuova libreria? ‘Èla cosa più bella che si puòfare’, risponde Tommaso Gur-

Walter Cutolo

Foto di Massimo D’Amato

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Todo Modo, nata a fine otto-bre 2014, è la libreria indi-

pendente più grande diFirenze. Non ce ne rendiamoconto se solo ci fermiamo da-vanti alla vetrina. Si entra inuna piccola libreria e si passain un altro mondo: quindici-mila titoli; un teatro per le pre-sentazioni di libri e per piccolispettacoli, e UQBAR, il caffè-enoteca della libreria.

Maddalena, classe 1981, è lapiù piccola dei sette soci diTodo Modo (tutti under-40,tranne uno). Le abbiamo fattoqualche domanda:

Coraggiosa, l’idea di aprireuna libreria mentre tante, bellee storiche, hanno chiuso. Comevi è nata?Non c’era una libreria indipen-dente a Firenze con una sele-zione di editori indipendenti,che facesse una politica di li-breria di quartiere. Volevamoprescindere dalla logica di ve-trina, vendere libri che ci sem-

brano validi, essere selettivi,non solo commerciali. Non è piccola, Todo Modo: ab-biamo libri per tutte le esi-genze. Abbiamo deciso diinstallare il caffè per offireconforto e ospitalità ai clienti,ma siamo una libreria-caffè,non un caffè-libreria.

Come mai l’avete chiamataTodo Modo? Più che altro, per l’eufonia delnome. Siamo grandi ammira-tori del romanzo di LeonardoSciascia e del film di Elio

Petri, ma ci piace anche l’ideadi Sant’Ignazio riguardo la ri-cerca della verità. Questa ri-cerca è complessa, appuntoperché siamo in sette.

Sembrate particolarmente at-tratti dagli autori sudameri-cani...Siamo appassionati di lettera-tura sudamericana perché èuna scrittura che tiene contodei classici e quasi mai ne pre-scinde.

Alcuni libri per i nostri lettori?Mi è piaciuto molto Carte false(Nuova Frontiera), della scrit-trice messicana Valeria Lui-selli.

A Pietro (la barba più bella diFirenze), socio di Todo Modononché marito di Maddalena, èpiaciuto Benedizione (EdizioniNNE), dello scrittore statuni-tense Kent Haruf. Entrambi raccomandano Storiadel denaro (Edizioni Sur),dello scrittore argentino AlanPauls.

M.L.

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L’ALTRO MONDO IN VIA DEI FOSSI

LIBRERIA TODO MODO

Via dei Fossi 15 rosso, Firenzetel. 055 [email protected]

Pietro Torrigiani

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Pasquale Iacobino, 50 anni,libraio in Borgognissanti,

tarantino di origine, migrato aFirenze da giovane per i mesidell’obiezione di coscienza,sorride e impugna un libro diDietrich Bonhoeffer, teologoluterano tedesco, ucciso da na-zismo: ‘Resistenza e resa’.‘Dobbiamo resistere e avere at-tenzione alle rese’, mi dice. Lapiccola libreria Claudiana, a unpasso dall’Arno, è specializ-zata in cultura religiosa: è fi-glia della grande tradizioneprotestante e della storica eomonima casa editrice. Nel2000, questo editore torinese(oggi la casa editrice ha comesoci le principali chiese prote-

operatore culturale, percussio-nista (suona nel gruppo PuertoSureño), vince un bando e di-venta libraio. Libraio solitario:da quindici anni è solo a tenerein piedi questa bella libreria.Almeno otto, dieci ore di la-voro ogni giorno. Se si am-mala, la libreria non apre. Libridi cultura religiosa e una variascelta con attenzione e cura.‘Cerco di leggere i libri checonsiglio ai lettori’, spiega Pa-squale. ‘Questo è decisivo:ogni sera, nello zaino, mi portodietro libri da leggere. Un li-braio deve conservare il pia-cere della lettura’. LaClaudiana è anche libreria diquartiere. Clienti abituali.Clienti di passaggio. Libri ininglese. Ma non può mettersiun secondo libraio, nemmeno ametà tempo. Si resiste, ap-punto. Con i libri per ragazzi,con i libri di musica, con lacura di ogni lettore. E con levendite per corrispondenza.‘Perdere le librerie del centro,la Martelli, l’Edison e la Feltri-nelli International, è statograve. Si sono persi lettori – ècerto Pasquale – Le nuove li-brerie sono una ricchezza, masono anche un tentativo di ri-spondere alla crisi’. ‘A Natale,i lettori vengono qui quasicome una risposta agli scontidelle grande catene. La biblio-diversità è una garanzia di li-bertà’.

Libri consigliati: Julian Barens Livelli di vitaElisabeth Strout Resta con meFranco Cassano Pensiero meridiano

A.S.

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‘RESISTENZA E RESE’LIBRERIA CLAUDIANA

Borgo ognissanti, 14 r.tel. 055.282896

e-mail: [email protected] www.librerieclaudiana.it

stanti) decide di riaprire la li-breria fiorentina che avevachiuso negli anni ’20 del se-colo scorso dopo sessanta annidi attività. Pasquale, educatore,

Pasquale Iacobino

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Più che una libreria di quar-tiere, è un portale mistico e

metafisico che dà accesso al-l’universo parallelo della materiaoscura. La musica è forte, ed èfantastica. Due gufi giganteschisimboli della notte silenziosadella letteratura, invitano a so-gnare saggiamente. O forse sonopiù semplicemente gli animali-totem di Margherita (24enne almassimo) e Gabriele (così a oc-chio, meno di trent’anni), gli spi-riti custodi di questa primavera(tutt’altra che nera) delle nuovelibrerie di Firenze.

Black Spring contiene oceani diinchiostro di china... mi sembradi vedere tutto alla luce ultravio-letta... Primavera nera? o sor-gente di fertile fluido nero?Black Spring deriva dal titolo diun romanzo di Henry Miller, au-tore che apprezziamo molto!

Non credo di essere mai entratoin una libreria dove ho subitovoluto poter trasferire l’interocontenuto in casa mia con un

chiamo di supportare autori chesi autoproducono, illustratori in-dipendenti, street artist, disegna-tori...Senza dimenticare mai lepiccole editrici importantissimeche spaziano dalla narrativa allasaggistica, alla controcultura ealla musica!

Perché regna suprema la musicaheavy metal?Se ti riferisci ai titoli che ab-biamo in libreria è perchè qual-che amico ce li ha richiesti manoi siamo per la PSICHEDE-LIA!!!

Avete delle velleità artistiche?Margherita traffica con le foto(Guardate www.margheritacesa-retti.com) e Gabri con musica evideo (da indagare... sicura-mente spacca parecchio).

Libri consigliati: Tutti i libri di Bunker!!!Get in the van di Henry Rollins!

M.L.

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GLI SPIRITI CUSTODIDEI LIBRI

BLACK SPRING BOOKSHOP

Via di Camaldoli 10 rosso, Firenze

[email protected]

raggio trattore stile Star Trek...Così gli ospiti vedrebbero la miacollezione di fumetti e pensereb-bero: ficooooo.

Piu che per i fumetti il nostro in-teresse va all'immagine e alle suediverse forme espressive e appli-cazioni: l'illustrazione, la foto-grafia, per esempio, la stampa ola serigrafia. Ne consegue unascelta di titoli che nelle normalilibrerie hanno poco risalto. Osono proprio sconosciuti. Il ma-teriale migliore è sotterraneo,poco conosciuto e quindi cer-

Margherita Cesaretti

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Niente fotografie, peccato.Perché quando spunta da

una feritoia di libri, AndreaAstucci, 63 anni, potrebbe es-sere l’icona del libraio perfetto.Ma non vuole essere fotografo.Di nuovo, peccato, perché An-drea è stato capace di trasfor-mare i ventiquattro metriquadrati della sua edicola dipiazza Tasso, confine del quar-tiere di San Frediano, cuorepopolare di Firenze, in una pic-cola, preziosa libreria. Specia-lizzazione in gialli, in noir,come direbbero i francesi.‘Non sono molti a leggere –spiega Andrea – E non possoobbligare chi si avvicina a unlibro, a sfogliare Dostoevskij, eallora Camilleri e Sciascia midanno una mano: loro raccon-tano bene questa società’.Come Jean Claude Izzo o Ge-orge Simenon: ‘È il migliore,ha narrato la condizioneumana’, è certo Andrea. Che èun libraio appuntito. Ha comeuna missione da compiere: in-vogliare a leggere.

Edicola dagli anni ’80: ‘Hosempre avuto la doppia li-cenza’. Trentacinque anni dimestiere. Sempre in uno spi-golo di questa piazza, allespalle di un semaforo, là doveun tempo c’era un vinaio.Sull’insegna ci sta scritto ‘LaNazione’ in bianco e ‘Libre-ria’, in rosso. Fuori ci sono lelocandine (compreso il Verna-coliere), ma, in giallo, vengonostrillati i titoli degli ultimi libri.Quindici ore di lavoro ognigiorno, per Andrea. Arriva allecinque e trenta del mattino, sene va alle otto e trenta di sera.

Giornalaio e libraio. ‘Ma con igiornali e le riviste a un euronon si vive e allora preferiscovendere libri più che gadget’. Epreferibilmente i libri che ama:‘Vorrei leggere di più, ma nonc’è mai il tempo – dice – Equando mi innamoro di unlibro, lo suggerisco a chi entraqui dentro’. Lo osservo, mentredescrive il commissario Ric-

ciardi di De Giovanni a unadonna di mezza età: ‘È un po-liziotto napoletano, crepusco-lare, tormentato, intimista’. Ladonna compra il libro. Il buoncliente? ‘Quello che compradue, tre libri al mese’. E an-cora: ‘So ben poco dei libri inclassifica. Non li conosco, neho una copia, ma non la vendo.E sono felice di non venderla.Mi trovo a suggerire libri dadieci euro e sconsigliarne altrida venti’. Andrea non ha tempoper andare dai distributori: or-dina le copie per telefono.‘Anche loro sanno chi sono imiei lettori’. Ci si vive? ‘Si so-pravvive. Se ci si accontenta,io non ho ancora finito di pa-gare il mutuo’.

Libri consigliati:Maurizio De Giovanni Per mano mia. Pierre Lemaitre Vediamoci lassù.Andrea Mole-sini La primavera del lupo

A.S.

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NOIR IN PIAZZATASSO ATTUCCI

LIBRI& GIORNALIviale petrarca 2 tel. 055 224150

[email protected]

Andrea Attucci

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L'alzaia è una fune, grossa,massiccia, con cui si tirano,dalla riva, controcorrente, lebarche lungo un fiume. Unaparola di un’altra epoca, giustaperò per battezzare una nuovalibreria. Ha aperto a gennaio laAlzaia Libreria Caffè, ottantametri quadrati a fianco del ci-nema Stensen, settemila titoli eun banco aperitivo e dolci.Aperto dal martedì alla dome-nica, dalle 10 alle 22.

Sono arrivata in libreria chestavano presentando ZagaraScarlatta con Carlo Colmone,autore e vice prefetto di Prato,e Don Andrea Bigalli di Li-bera; il cinema era pronto perla proiezione pomeridiana e ilbanco cominciava a riempirsidi olive, pomodorini e schiac-ciate per l'aperitivo. Mi son fermata a parlare di Al-zaia con uno dei due soci, En-rico Ricci, 34 anni, l'altra èGiusy Muratore, 35 anni, unpassato di lavoro nel settore so-ciale, poi la voglia di cercareun progetto proprio e l'incontrocon lo Stensen.

Ma chi glielo ha fatto fare?‘Qualcosa che sta fra sogno eamore. Del bar mi piacel'aspetto della socialità, la li-breria è un porto di mare e poiavevo voglia di cambiare. LoStensen aveva chiuso la libreriache c'era prima, e allo stessetempo aveva lanciato una pro-posta: abbattere il muro che ladivedeva dal cinema e creareun ambiente completamentenuovo. Un’idea eccellente. Ab-biamo un unico polo culturale,originale, in cui gli sforzi ditutti servono per remare nellastessa direzione’.

Mi guardo attorno, ci sonotanti e bellissimi libri per bam-bini ma anche saggi: ‘E' una li-breria generalista. Alla finesono i clienti che fanno le no-stre selezioni e il pubblicodello Stensen è un pubblico at-tento, esigente!’.

Ma si sente un libraio? ‘No,credo di no, ci sono molti chesi posso fregiare, a ragione, diquesto appellativo. Mi ci sentoquando sono in libreria, manon vengo da questa espe-rienza professionale e, onesta-mente, ci sono tanti clienti chemi sorprendono per le cono-scenze che hanno’.Ci sono anche le “divagazioni”da Alzaia: misture di arte, spet-tacolo, danza, musica da mi-xare ancora con prodottibiologici, cupcake e muffin,frullati di frutta fresca.Enrico ci suggerisce di leggere“Terra degli uomini” di An-toine de Saint-Exupéry, scrittonel 1939, dove l'uomo sereno èl'uomo che compie la missionedi tutti: unire gli uomini.

I.M.

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IN DIREZIONE OSTINATA

E CONTRARIALIBRERIA ALZAIA

Viale don Giovanni minzoni, 25, 50129

Firenze www.alzaia.org

Enrico Ricci

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Cuccumeo, un richiamo perrapaci di suoni e imma-

gini. Il nome si trasforma inuna civetta con il corpo aforma di lettera che assicura,sfiziosa e provocatoria, chel’ingresso non è vietato agliadulti. Ad accogliervi troveretetre giovani donne che dalmarzo 2011 hanno intrapresoun viaggio alla scoperta di unanuova professionalità. Proven-gono da regioni, esperienze eformazioni diverse: Elena èuna cantante lirica professioni-sta italo-francese, Teresa èsarda e ha sempre lavorato nel-l’editoria per ragazzi, Biancaha studiato Storia dell’Arte aMilano. Immaginatevi un solo

spazio, un saliscendi di piani ecolori, capace di racchiuderetutta la loro sensibilità, culturae diversità: i libri sono raccoltiper tematiche che vanno dallastoria all’astronomia, dallapoesia alla cucina, dalla pauradel buio all’amicizia, con parti-colare attenzione alle illustra-zioni. E non è solo una libreria,mi dicono. Lavorano nel terri-torio proponendo reading espettacoli, mostre di libri illu-strati, attività indirizzate ascuole e biblioteche, corsi diformazione e servizi editoriali.E così avvertono: ‘Le librerieindipendenti creano dipen-denza’.

F.C.

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IL RICHIAMO PER I LIBRI CUCCUMEO, LIBRERIA

PER RAGAZZIVia enrico mayer 11-13/r * 50134Firenze * tel. 055 483003 * libre-

[email protected] *www.cuccumeo.it

Bianca Berardinelli

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Martina ha scelto On theroad, il libro più celebre

della Beat Generation, comenome della sua libreria. Si af-fretta a precisare: ‘Ho deciso dichiamare così la libreria perchéessere sulla strada vuol dire es-sere capaci di cambiare’. Mar-tina Castagnoli, 33 anni, haaperto la sua libreria di libri diviaggio alla fine del 2013. Inpiazza Giorgini, confine fra ilcentro e la periferia di Firenze.Penso: ‘Qui devo decidere di ve-nire apposta, non vi passerò maiper caso davanti’. Martina mismentisce e mi parla della gentedel quartiere che guarda incurio-sita a questa giovane libraia. Martina ha fatto la scenografaper sette anni. A Roma. Poi hadeciso che era tempo di tornarea Firenze. I ‘nuovi’ libraihanno, spesso, storie simili:hanno voglia di cambiare vita eun coraggio sventato. Si apreuna libreria perché si da retta aun desiderio, una passione.

Martina, per mesi e mesi, si èchiesta: cosa voglio fare? Cosami dà piacere? ‘Viaggiare eleggere’, è stata la risposta. Eallora non rimaneva che aprireuna libreria di viaggi. Senzafarsi dissuadere dalle difficoltà.Aveva appena chiuso La StellaAlpina, storica libreria deiviaggiatori fiorentini. È uncambio di generazione fra li-brai. Vi è un piccolo spazio dimercato. Le coincidenze, a

volte, sono talismani. Martinafa una breve esperienza allabella libreria Gulliver di Ve-rona. Trova il locale di piazzaGiorgini. Seicento euro di af-fitto, un buon prezzo. Para-dosso: Martina scopre che perun bel po’ di tempo non potràviaggiare. È sola nella sua li-breria. Magazzino ridotto al mi-nimo. Sugli scaffali solo i libriche lei vuole leggere. Poi leguide e i mappamondi. Maanche molta narrativa: ‘Ho sco-perto libri meravigliosi’. On theroad è una bottega colorata,piena di oggetti, di maschereafricane e una valigia in vetrina. Lascio parlare lei: ‘Fremo pernon poter viaggiare, mi aiuta lafantasia. Qui entrano personeche hanno dei sogni e io cercodi aiutarli per un pezzo dellaloro strada. Si affidano a meper capire cosa scoprire in unpaese’. Quasi una missione.

F.C.

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UNA LIBRAIA ON THE ROAD

LIBRERIA ON THE ROADVia Vittorio emanuele ii, 32 a/r

tel. 055.471461

www.ontheroadlibreria.it" [email protected]

Martina Castagnoli

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In apertura del sito hanno vo-luto la frase di Stefano Benni,da Romano Montroni in Ven-dere l'anima, il mestiere del li-braio: ‘Lo scrittore è l’arco, illibro è la freccia, il cliente è lamela, il libraio è quello chetiene in testa la mela’. Tanto perchiarire subito il ruolo che sisono scelte. Le ragazze di Pun-tifermi sono cinque: Ilaria,Maria, Natascia, Barbara, An-gela, tutte intorno ai 40 anni.Una società, diresti, invecel’imprenditrice è Ilaria, le altresono dipendenti. ‘Ma è come senon lo fossero – dice Ilaria, cheparla per tutte – Le conoscevo,avevo stima e fiducia, che an-cora mi pare ben riposta e sperocontraccambiata. Mentre met-tevo a punto il progetto avevoun bimbo di un anno e unabimba in arrivo, e avevo biso-gno di coprire l’orario di aper-tura avvalendomi di colleghe. Eloro avevano bisogno di un la-voro part time’. Essere riferi-mento librario del quartiere

chio privilegiato alla letteraturaper l'infanzia e alla presenza digiochi intelligenti, abbiamomolti piccoli clienti. E con gransoddisfazione si affaccianoormai anche adolescenti e ra-gazzi’. Molti i clienti abituali:‘È una delle parti più divertentidel lavoro. Si intrecciano com-menti, sappiamo chi ha i gustisimili, ci cerchiamo, ci scon-triamo.... piacevolissimo. Iclienti sanno dare molto’. Gliaffari? Il futuro? ‘Coi libri nonsi guadagna, ma siamo state su-bito autonome, e col tempo sisono affacciati degli utili. Chilegge davvero legge tutto ecompra dappertutto. Il pro-blema è che molti non fannoabbastanza per promuovere lalettura’.

Libri consigliati:Romain Gary, La vita davanti asé, Neri Pozza Emmanuel Car-rère, L'avversario, AdelphiClara Usòn, La figlia, Sellerio

L.Z.

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LE CINQUE LIBRAIECHE TENGONO INTESTA LA MELA

LIBRERIA PUNTIFERMIvia Giovanni Boccaccio 49r

tel. e fax 055.3840513www.libreriapuntifermi.it

[email protected]

delle Cure, ‘un quartiere ancorareale, non solo residenziale,grazie al mercato, alle scuole, aigiardini... un po’paesone’. Que-sto l’obiettivo quando la libreriaè nata, in via Boccaccio angoloPonte alle Riffe: ‘col fondo èscattato il colpo di fulmine, l'hovisto e già me lo immaginavocome sarebbe stato’. Obiettivoraggiunto, la libreria è semprepiena: ‘Le donne sono le princi-pali lettrici, ma possiamo van-tare anche un buon numero dilettori uomini. Grazie a un oc-

Ilaria Guidelli

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Maria, Marida, Vincenzo,Daniele, Lorenzo e Si-

mone. Lavoravano alla libreriaEdison, in pieno centro. Libre-ria oggi chiusa. Assieme hannoattraversato un guado:‘L'unione fa la forza, è propriovero!’, dice Maria nel raccon-tarci la loro decisione di aprireuna cooperativa, la MaterialiResistenti, e poi una libreria. ‘Ilnostro è stato un percorso a ten-toni. Eravamo senza lavoro e al-lora ci siamo chiesti che cosavolevamo fare da grandi, ed ec-coci qua’. La Marabuk ha aperto la scorsaprimavera in via Maragliano,una quasi periferia di Firenze.‘Gli affitti troppo alti ci hannospinto fuori dal centro storico.In questa strada, a memoria diuomo e di donna, non c'era maistata una libreria. È un quar-tiere residenziale, con trescuole, abitato da gente attenta

e vivace. Siamo contenti di que-sta scelta’. Centinaia di personesono accorse per l'inaugura-zione, molti erano i vecchiclienti della vecchia Edison.Molti gli abitanti del quartiere. Narrativa, saggi, i libri a metàprezzo, sugli scaffali: ‘Sicura-mente il settore che tira di più è

quello dedicato ai bambini. Videdicheremo attenzione e labo-ratori. L'Atlante bizzarro deiWu Ming, Cantalamappa, è unodei testi che più ha avuto suc-cesso. Ma vendiamo molta nar-rativa e, con nostra piacevolesorpresa, anche molti saggi’.Ma che cosa vuol dire oggi fareil libraio? ‘Per me la vita – diceMaria – ho cominciato appenafiniti gli studi. Nel 1980, allaMarzocco, poi Marzocchino,infine la Edison. Un libraio nondeve conoscere solo i libri, macreare un rapporto con chi aprequesta porta. E' uno scambiobellissimo, è una relazione chea volte arriva anche alle confes-sioni!’. E Marabuk? ‘Buk è un fiorenti-nismo, da book. E la primaparte del nome viene dal-l'unione del mio, Maria, e diquello di Marida. Suonavabene’.

I.M.

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LONTANO DAL CENTRO,

L'AMORE PER I LIBRIMARABUK

Via maragliano, 29, 50144 Firenzetel. 055.360437

Maria Romani

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Ariete21 Marzo -19 AprileQua le stelle parlan chiaro, è un autunno molto vario quello che sta già arrivando. E non chiederti mai quando ci sarà stabilità, ecco un’altra verità: sol se avrai tanta pazienza puoi imparare a farne senza e scoprire che ballare ha più gusto del sostare Consiglio poetico: E. Hanson, Tu non sei i tuoi anni

Toro20 aprile -20 maggioÈ arrivato il tuo momentodi far pace col passatoPer poter infine dire: questo

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LE STELLE DELL’AUTUNNO

Come sempre l’oroscopo di questo numero prendespunto dal tema portantedella rivista. Abbiamo parlatodi poesie, le stelle questavolta si esprimono in rima e consigliano ad ogni segno una lirica particolare.

che ti ha preso la man/.Se la sfidi e le resisti non ottieni un cambiamento,se l’accogli e la conosci volavia al primo vento.Questo è il trucco che al momento puoi sforzarti di imparareE una volta che lo hai appreso, non potrai dimenticare. Consiglio poetico: C. Bukowski, Rhum e Pera

Leone 23 Luglio - 22 AgostoQuesto autunno ormai è sicuro cambierà il tuo futuro.Son le stelle qua a parlare:non ti puoi più rifiutaredi cambiare la tua vita,anche se un po’ una salita, il cammino che ti aspettati farà arrivare in vetta.Consiglio poetico: G. Lorca, Saprai che nont’amo e che t’amo

Vergine 23 Agosto - 22 SettembreAlla fine dell’estate il solcambia il suo tramontoE ben presto ti ritrovi perl’inverno ormai già pronto

l’ho dimenticato!Seppellisci sotto terra tutto ciò che è stato guerra.Cancellar vecchi dolori per aprirsi a nuovi amori.Il segreto te lo dico è piantarci sopra un fiore che ti allieti col profumo e risplenda di colore.Consiglio poetico: T.S. Eliot, I Quattro Quartetti

Gemelli 21 Maggio -20 GiugnoSe ti piace assai viaggiarenon dovresti rinunciare,butta via la tua paura per la prossima avventura che ben presto arriverà e farà il tuo sogno diventare realtà. Panorami mozzafiato ed un gran cielo stellato, una buona compagniafai lo zaino e parti, via!Consiglio poetico: K. Athanasulis, Ti lascio …(Testamento)

Cancro21 Giugno – 22 LuglioOgni volta che ti accadequalche fatto un poco stranoLa sfortuna ti rincorre, par

O R O S C O P OLetizia Sgalambro

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Ma i colori dell’autunnocosì accesi e variegati/Posson dar l’ispirazione persuccessi inaspettati/Non temere allor il buio chepian piano adesso arriva,/là nel fondo del tuo cuoreuna fiamma brucia viva./Consiglio poetico: J. L. Borges, Amicizia

Bilancia23 settembre - 22 ottobre-Quando vien l’ispirazione, o il coraggio da leonedi riaprire certe porteche son state chiuse forte, non si deve più esitare senzamai però forzare. Con pazienza e con dolcezza,tu ritrovi la fierezza che ti fa di certo osare e le porte spalancare.Consiglio poetico: N. Hikmet, Il più bello dei mari

Scorpione23 ottobre - 21 novembrePer raggiungere una gioiache non venga mai a noiaButta a mare il tuo sospettoche distrugge ogni dilettoSperimenta la fiducia e ti accorgerai, non brucia!

Corri il rischio dell’amore e vedrai che gran sapore.Consiglio poetico: J. Prevert,Canzone del Carceriere

Sagittario22 novembre - 21 dicembreLa vendemmia è già iniziata,l’uva ormai diventa vinoanche l’olio molto presto,avrà un gusto sopraffino.Maturati tutti i frutti sotto il sole dell’estateanche le tue aspirazioni pos-son dirsi realizzate.È il momento di goderedel raccolto effettuatosenza stare a rinvangarequel pericolo scampato.Consiglio poetico: E. Montale, poesia n. 5 di Xenia II

Capricorno22 Dicembre -19 GennaioChe tu voglia soldi o amore,il lavoro o affar di cuoreil momento è qui arrivato eil tuo sogno realizzatoBasta prenderne coscienzaper non farne poi più senzaIl segreto è nel sorriso che ti porta in Paradiso.Consiglio poetico: A. Merini, Le osterie

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Acquario20 gennaio- 18 febbraioSe si inizia lentamente acambiar la propria vitaForse a volte può sembraretroppo ardua la salitaSe si inizia con la corsa pre-sto viene anche l’affannoSe si sta un po’ troppo fermi,si giustifica l’ingannoÈ il momento che il tuopasso trovi ritmo a te adeguatoConsiglio poetico: M. Quintana, Canzone delgiorno di sempre

Pesci19 febbraio - 20 marzoNon mi dire caro Pesci che da tempo tu non riesci a trovar la soluzione per l’annosa situazione. Se tu ascolti attentamente il tuo cuor, che mai ti mente, la tua strada troverai, sarà facile, vedrai!Consiglio poetico: V. Cardarelli, Gabbiani

O R O S C O P O

Letizia sGaLaMbro 52 anni, sagitta-rio, counselor ed esperta di processiformativi. crede che per ognuno sia giàscritto il punto più alto dove possiamoarrivare in questa vita, e che il nostro li-bero arbitrio ci fa scegliere se raggiun-gere quel traguardo o meno.L'oroscopo? Uno strumento come altriper illuminare la strada.