estratto corso ecdl gis mod. 1
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Estratto corso ECDL GIS mod.1TRANSCRIPT
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Dott. ing. Antonio Barsottini
e-mail: [email protected]
Appunti per il corso ECDL GIS
Modulo 1 – La rappresentazione cartografica
Quantum GIS 1.8.0
Data: Marzo 2013 Versione: 2.0
55 Antonio Barsottini Appunti ECDL GIS
1.5 Modelli digitali di elevazione
La rappresentazione cartografica tradizionale dell’informazione altimetrica ricorre all’utilizzo di
una serie discreta di elementi direttamente rilevati o ricavati per interpolazione dalle misure di
campagna. Fanno parte del primo gruppo i punti quotati e del secondo le isolinee delle quote
(che sono chiamate curve di livello), costituite da punti aventi la medesima quota.
L’informazione altimetrica è dunque concentrata in una serie di elementi e non è direttamente
nota nei punti diversi da quelli di tali elementi. Un modello di questo tipo è inadatto alle
elaborazioni, il che ne rappresenta il limite principale.
La rappresentazione informatizzata dell’altimetria avviene invece attraverso una copertura
completa dello spazio, utilizzando quello che si chiama un modello a mosaico. Si possono
distinguere due famiglie di modelli a mosaico: quelli a maglia regolare e quelli a maglia
irregolare. Nel primo caso si può pensare di sovrapporre allo spazio una serie di celle di
uguali dimensioni e di associare a ciascuna di esse una quota rappresentativa dell’altimetria
della zona che essa viene a modellare.
Nel secondo si ricorre invece ad una serie di elementi, generalmente di forma triangolare, le
cui dimensioni variano a seconda della zona, essendo calcolate in base a prefissati criteri per
far in modo cha la rappresentazione che producono sia affidabile. Ciascuna faccia ha una
propria giacitura tridimensionale e racchiude le informazioni relative alla quota di tutti i suoi
punti, che può essere ricavata per interpolazione, nonché della pendenza ed esposizione
(direzione in cui si manifesta la massima pendenza). Così nella figura seguente la quota del
generico punto P interno alla faccia delimitata dai vertici 1,2,3 può essere calcolata in base a
quella dei vertici stessi, applicando delle opportune relazioni matematiche.
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Come vedremo più avanti il primo approccio è quello del modello raster mentre il secondo di
quello vettoriale. Entrambi i modelli producono un dato altimetrico di tipo continuo, che si
presta quindi ad essere elaborato.
Si parla propriamente di modello digitale di elevazione o modello digitale delle quote (DEM –
Digital Elevation Model) quando si rappresenta la morfologia naturale e/o antropica di un
territorio; in alcuni casi si utilizza anche il sinonimo modello digitale del terreno (DTM - Digital
Terrain Model). Si parla invece di modello digitale della superficie (DSM - Digital Surface
Model) se si considera anche la presenza degli elementi naturali ed antropici che insistono
sopra la superficie di campagna, quali ad esempio la vegetazione d’alto fusto, gli edifici, le
opere infrastrutturali (rilevati stradali, attraversamenti quali ponti, viadotti, ecc.). Generalmente
il primo modello viene ottenuto per interpolazione di punti quotati e curve di livello, mentre il
secondo si ottiene dall’elaborazione di immagini telerilevate, aerofotogrammetria o
interferometria radar.
I modelli digitali di elevazione possono essere ottenuti o a partire da curve di livello e punti
quotati provenienti da mappe digitalizzate o da cartografia numerica, attraverso un processo
d’interpolazione. L’interpolazione, in generale, consiste nel calcolo di un attributo (in questo
caso la quota) di un punto non campionato a partire da una serie di misure disponibili nell’area
di studio; la sua esecuzione esistono diversi algoritmi che producono risultati in generale
diversi a parità di dati di input. Questo è un caso che si presenta abbastanza di frequente
quando si voglia ottenere un DTM raster: la procedura di calcolo richiede per prima cosa la
trasformazione verso il formato raster dei dati di input (punti quotati e isoipse) e
successivamente l’esecuzione dell’interpolazione spaziale per il calcolo della quota dei pixel
privi di attributo. In questo caso diverse sono le cause di errore oltre a quelle insiste nel dato di
partenza, che risiedono sia nella fase di vettorializzazione o digitalizzazione delle curve di
livello, che nella relativa rasterizzazione che, infine, in quella d’interpolazione, per cui il
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prodotto finale deve essere sottoposto a dei controlli che, peraltro, non sono di semplice
esecuzione.
I punti di quota nota, nel caso di estensioni territoriali modeste, possono anche provenire
direttamente da misure di campagna, ed essere state eseguite sia con strumentazione
terrestre (stazione totale, livello) che satellitare (GPS).
Le curve di livello possono essere ottenute a partire da coppie stereoscopiche di
aerofotogrammi o di immagini telerilevate attraverso procedimenti fotogrammetrici. La
fotogrammetria è il complesso dei procedimenti e delle relative strumentazioni che permettono
di ricavare da fotogrammi (cioè fotografie metriche) che soddisfino prefissati requisiti relativi
alla modalità di presa (quota, angolo di campo, sovrapposizione, risoluzione), le informazioni
metriche e descrittive del territorio ripreso e di darne un’immagine tridimensionale numerica.
Infine può essere fatto ricorso alla tecnologia LIDAR (Light Detection And Ranging) che
prevede l’esecuzione di una scansione del territorio mediante telemetro laser aviotrasportato e
dotato di sistema posizionale/inerziale: il sistema di bordo acquisisce dati posizionali e di
intensità di risposta attraverso una semina di impulsi, di cui il telemetro laser misura la
distanza sulla base del tempo di risposta. Viene restituita una nuvola di punti per ciascuno dei
quali è nota la posizione plano-altimetrica e l’intensità di risposta. L’elaborazione dei dati
raccolti permette di ottenere una rappresentazione della superficie fisica del suolo priva di
vegetazione, edifici e manufatti sospesi o di quelle riflettenti.
I possibili utilizzi riguardano l’archiviazione delle quote del territorio, con la possibilità di
eseguirne una rappresentazione tridimensionale. Come detto sopra, oltre alla funzione di
stoccaggio dei dati vi è anche quella della loro elaborazione per il calcolo di numerosi
parametri geomorfologici, quali la pendenza, l’esposizione (direzione in cui si verifica la
massima pendenza), la forma (cambio di pendenza a breve raggio che permette di distinguere
zone concave da zone convesse). Da un DTM è possibile generare delle sezioni e quindi i
profili longitudinali lungo prefissate direzioni, calcolare i volumi compresi tra la superficie del
terreno ed un’altra superficie assegnata, il che si rivela utile in numerose applicazioni
progettuali ingegneristiche, quali ad esempio il calcolo dei volumi di uno spianamento del
terreno oppure al calcolo dei movimenti di terra legati alla realizzazione di un manufatto
stradale o ancora al calcolo della curva altezza – volume di un invaso delle acque (struttura di
ritenuta, cassa di espansione, …).
I DTM possono essere utilizzati a supporto di elaborazioni idrologico – idrauliche di bacini
imbriferi, per la determinazione delle direzioni del deflusso superficiale delle acque meteoriche
lungo i versanti (Local Drain Direction - ldd), per la determinazione delle zone di accumulo
delle acque di ruscellamento, l’estrazione della rete idrografica e la delimitazione dello
spartiacque dei bacini imbriferi. Tutti questi dati possono poi confluire come input in specifici
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codici di calcolo per la simulazione idrologica, che vengono utilizzati in svariate applicazioni
quali lo studio della trasformazione afflussi – deflussi o l’esecuzione di bilanci idrologici.
Un altro importante utilizzo risiede nella ortorettifica di immagini satellitari o di aerofotogrammi,
attraverso la correzione delle distorsioni angolari e del relief displacement. Si tratta di utilizzare
il DTM per calcolare e correggere gli spostamenti planimetrici delle entità causati dalle
differenze delle relative altimetrie. La figura seguente esemplifica la relazione geometrica che
esiste tra il dislivello tra due punti (h), la lunghezza sul fotogramma dell’immagine del
segmento che li unisce, cioè lo spostamento dell’immagine dovuta al dislivello (l), la distanza
dell’estremo più lontano del segmento dal centro del fotogramma (L) e la quota di presa del
fotogramma (H):
I DTM possono inoltre essere utilizzati per la valutazione di impatti visivi di opere in progetto,
attraverso lo studio della visibilità o nella valutazione ottimale della posizione di ripetitori per
telecomunicazioni, in funzione della massima copertura del territorio. Un ulteriore utilizzo
risiede nella presentazione dei risultati di un’elaborazione, nella qual fase il DTM può essere
utilizzato come base sulla quale drappeggiare l’output per una visualizzazione tridimensionale.
Abbiamo visto sopra che un DTM può essere costruito secondo il modello raster o secondo
quello vettoriale.
Nel caso del modello raster l’attributo dei pixel è una quota rappresentativa dell’area che esso
modella.
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Il vantaggio principale di tale metodo risiede nella possibilità di integrare il modello del terreno
con altri strati informativi raster e nella capacità di elaborazione a cui esso si presta.
Uno degli svantaggi principali di tale approccio è legato all’impossibilità di adattare la
dimensione della maglia in funzione dell’accidentalità della morfologia (a meno che non si usi
una griglia a passo variabile). Zone in cui la morfologia è molto mossa e zone molto uniformi
vengono infatti modellate ricorrendo alla stessa “quantità” di informazione, quando invece
sarebbe meglio dettagliare maggiormente il modello ove maggiore e la variabilità della quota e
risolvere con minore dispendio di informazione la descrizione di una morfologia regolare.
Bisogna inoltre osservare che la discretizzazione in celle, all’interno delle quali la quota è per
definizione costante, comporta un’attenuazione dei picchi e delle valli all’interno di un pixel
stesso. I punti misurati (ad esempio acquisiti in campagna durante le operazioni di rilievo) non
necessariamente vengono conservati nel prodotto finale dell’elaborazione, vista che si ricorre
ad un’interpolazione dei dati di input. Legato alla natura stessa del modello adottato vi è poi
l’inconveniente della distorsione delle strutture lineari e più in generale dell’anisotropia di
gestione informazione, poiché sono privilegiate le direzioni parallele ai lati dei pixel a discapito
delle altre. Si tratta in ogni caso di una struttura non topologica.
La precisione richiesta ad un DTM raster dipende dall’uso che ne viene fatto. Per applicazioni
ingegneristiche, quali lo studio delle aree soggette ad esondazione delle acque, oppure per la
generazione di ortofoto a grande scala si può raggiungere una precisione in altezza di 0.3 m,
con passo della griglia di 5 m ed accuratezza planimetrica dei punti misurati di ± 0.3m. Per
altre applicazioni le precisioni richieste decrescono e ad esempio per modelli di supporto a
studi ambientali o per la generazione di ortofoto a piccola scala si possono dare le seguenti
specifiche: precisione in altezza ±5m, passo della griglia: 20m.
Secondo l’approccio vettoriale il terreno viene modellato attraverso una superficie poliedrica
costituita da un insieme di facce triangolari piane contigue; il calcolo dei parametri del modello
di terreno è basato sulle coordinate tridimensionali dei vertici di tali facce.
I vertici della superficie possono essere distribuiti nello spazio in modo irregolare (random)
senza necessità di interpolazione o ricampionamento. Ciò consente di introdurre
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esplicitamente elementi fisici rilevabili che rappresentano una discontinuità morfologica del
territorio (breaklines) oppure, in riferimento all’altimetria, i valori in corrispondenza dei quali si
manifesta una brusca variazione o un’inversione della pendenza
In questo modo si riduce la ridondanza d’informazione, in quanto zone morfologicamente
uniformi possono essere modellate con minore dispendio d’informazione (triangoli più grandi),
mentre zone più accidentate possono essere dettagliate maggiormente, aumentando il numero
delle facce presenti. Picchi, depressioni, zone pianeggianti, elementi di discontinuità (linee di
cresta, incisioni dovute ai corsi d’acqua) possono essere rappresentati con precisione. Gli
svantaggi principali risiedono nella complessità degli algoritmi utilizzati per il loro calcolo e
nella complessità della struttura dati di cui si avvalgono.
La costruzione di un TIN (Triangulated Irregular Network) richiede la scelta dei punti da
utilizzare per il calcolo e l’utilizzo di una procedura automatica che da essi estrae le facce del
mosaico. Per questa seconda operazione esistono diversi algoritmi; il più comune è la
triangolazione di Delaunay che si basa sul criterio che un qualsiasi cerchio passante per i tre
vertici di un triangolo non debba contenere nessun altro nodo, in modo che la forma dei
triangoli tenda a quella equilatera. Nella figura seguente è presentato il caso in cui si abbiano
quattro punti da collegare mediante due facce triangolari: se la suddivisione avviene come nel
caso di sinistra il cerchio tracciato per i punti 1,2,3 conterrebbe anche il punto 4 e quindi non è
accettabile; congiungendo i punti come a destra nessuno dei due cerchi passante per tre dei
quattro punti contiene il quarto vertice, quindi la soluzione è quella valida; come si può vedere
le facce hanno in quest’ultimo caso un assortimento più bilanciato.
Tali procedure sono in genere pressoché automatiche nei software GIS correntemente in uso.
Anche da questo modello, come da quello raster, è possibile generare delle mappe di
pendenza, delle mappe ad isolinee, delle sezioni, delle mappe di visibilità o delle
rappresentazioni shaded relief, sebbene esse risentano della triangolazione all’origine del
DTM. È anche possibile la sovrapposizione (overlay) tra la struttura TIN e strati vettoriali
topologici di una mappa tematica.
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La struttura TIN utilizza come entità principale i nodi e permette la costruzione di una
sovrastruttura topologica attraverso l’utilizzo di puntatori da ogni nodo verso i suoi nodi vicini.
La lista dei nodi vicini viene costruita a partire dalla direzione Nord ruotando in senso orario. Il
database è costituito da tre tabelle che riportano, rispettivamente, le informazioni relative ai
nodi, ai loro vicini ed alle facce triangolari. la lista dei nodi riporta per ciascun nodo
(rappresentato da un record) le coordinate, il numero dei vicini ed un identificativo che rimanda
alla tabella dei puntatori. Quest’ultima elenca i vicini di ciascun nodo della prima tabella. La
tabella dei triangoli riporta infine, per ciascuno spigolo l’identificativo della faccia posta alla sua
destra. L’area situata all’esterno di quella rappresentata viene rappresentata attraverso un
nodo ed un puntatore speciale. L’ultima tabella viene utilizzata solo per condurre elaborazioni
avanzate quali la creazione della mappa della pendenza o l’associazione di nuovi attributi al
TIN.
È possibile eseguire sia una conversione da DTM raster a vettoriale che viceversa.
I dati utilizzati per generare un DEM possono provenire da rilievi diretti del territorio eseguiti
utilizzando strumentazione terrestre (stazioni totali) o satellitare (GPS), da rilievi
fotogrammetrici, da sistemi di scansione aviotrasportati o satellitari o, infine, dalla
digitalizzazione delle curve di livello disegnate sulle mappe. A seconda dei casi è necessario
che venga eseguita la correzione geometrica del dato per eliminare le distorsioni legate alla
curvatura terrestre, al moto dello strumento di presa, all’influenza delle condizioni
atmosferiche, all’effetto delle variazioni altimetriche del terreno ed eseguire l’adattamento al
sistema geodetico-cartografico utilizzato.
Nella maggior parte dei casi la fonte del dato è numericamente consistente e questo
suggerisce, in generale, di preferire tecniche di interpolazione di tipo lineare piuttosto che
adottarne di più complesse. Nel caso in cui si utilizzino dati fotogrammetrici devono essere
utilizzati opportuni metodi di campionamento per la selezione dei punti da utilizzare, che
riducano anche la soggettività dell’operazione. Nel caso in cui si utilizzino curve di livello
digitalizzate è opportuno ricorrere ad algoritmi di calcolo specificamente pensati per questa
operazione.
1.6.Global Positioning System (GPS)
Il sistema GPS è un sistema di posizionamento basato sull’interpretazione di emissioni
elettromagnetiche emesse da satelliti artificiali in orbita, da parte di una ricevente che viene
posizionata sul punto da rilevare. L’analisi del segnale ricevuto permette di ricavare
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informazioni relative alle distanze tra i satelliti e la ricevente attravero le quali si viene a
realizzare un posizionamento tridimensionale del punto di stazionamento.
Il sistema si compone di tre unità:
Sezione spaziale: è costituita da una costellazione di 32 satelliti che trasmettono dei
segnali verso la Terra. La geometria della costellazione garantisce la visibilità di
almeno 4 satelliti da ogni punto del pianeta
Sezione di controllo: è la centrale operativa che gestisce il sistema ed è costituita da
diverse stazioni dislocate sui diversi continenti. Il compito di tale segmento è quello di
definire la posizione dei satelliti istante per istante, fornendo le loro effemeridi, e di
gestirne il funzionamento;
Sezione utente: è costituita da un’antenna e da una ricevente che acquisisce ed
elabora i segnali satellitari. I ricevitori sono muniti di un sistema, basato su un orologio,
che genera una replica del segnale emesso dai satelliti che viene utilizzata per
calcolare la distanza tra la ricevente ed i satelliti stessi.
I vantaggi principali del sistema GPS sono:
1) semplicità di esecuzione delle misure;
2) precisione dei risultati e rapidità del rilievo: le precisioni sono confrontabili con quelle delle migliori strumentazioni tradizionali;
3) non necessaria intervisibilità tra i punti da misurare;
4) possibilità di operare di notte o in presenza di condizioni meteorologiche sfavorevoli (pioggia, foschia, ecc.).
Per contro i limiti principali sono:
1) necessità di visibilità dei satelliti che rende difficile l’impiego della strumentazione GPS in zone urbane o coperte da vegetazione;
2) sensibilità ai disturbi elettromagnetici ed alla presenza di masse metalliche o superfici riflettenti le onde elettromagnetiche;
3) altimetria espressa in termini di quote ellissoidiche e non geoidiche;
4) necessità di occupare i punti da rilevare, che rende difficile l’impiego del sistema in certi casi (punti materializzati da elementi di edifici, spigoli di muri, ecc.);
5) Inquadramento del rilievo in un sistema geodetico diverso da quello cartografico, con necessità di eseguire la relativa trasformazione.
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Il principio di funzionamento del sistema si basa, come sopra accennato, sull’esecuzione di
una trilaterazione spaziale, ovvero sulla determinazione della posizione di un punto incognito,
sul quale viene posto lo strumento, mediante la misura di più distanze. Geometricamente tale
trilaterazione può essere interpretata come la ricerca del punto d’intersezione tra tre sfere
centrate su altrettanti satelliti ed aventi come raggio la distanza tra il satellite ed il punto da
rilevare. La determinazione delle distanze tra satelliti e ricevitore si basa sulla misura dello
sfasamento temporale che esiste tra il segnale emesso dai satelliti rispetto alla replica
generata dalla ricevente stessa; poiché infatti il segnale satellitare si propaga ad una velocità
nota, dalla misura di tale sfasamento è possibile ricavare la distanza della sorgente. Per poter
eseguire il posizionamento occorre che siano visibili almeno quattro satelliti.
Il segnale emesso dai satelliti utilizza due onde portanti di diversa frequenza; tale scelta risiede
nella diversa interazione che queste ultime subiscono con i vari strati dell’atmosfera, che viene
sfruttata per valutare e quindi correggere in fase di elaborazione, gli errori che da tali
interazioni discendono e che degradano la qualità della misura. Le portanti sono poi modulate
secondo diversi codici, in modo da trasportare tutte le informazioni necessarie al sistema (quali
l’identificativo del satellite, il suo stato di funzionamento, i parametri di correzione degli orologi,
le effemeridi di calcolo, ecc.).
La posizione del punto viene riferita al sistema WGS84 e viene espressa attraverso le sue
coordinate rettangolari (coordinate cartesiane X,Y,Z) o quelle ellissoidiche (latitudine,
longitudine, quota ellissoidica). Come già descritto nella parte relativa ai datum, per lo sviluppo
delle applicazioni tecniche, si può porre il problema della conversione delle quote ellissoidiche
in quote ortometrica.
Gli errori del sistema GPS sono: - Errori strumentali: derivano dalla modalità di funzionamento dei satelliti e dei
ricevitori; - Errori di modello: sono gli errori sistematici insiti nel modello di rilevamento GPS; - Errori di osservazione: sono gli errori accidentali che si verificano nell’acquisizione
del segnale da parte del ricevitore; - Degradazione intenzionale del segnale: il Dipartimento della Difesa degli U.S.A.,
che gestisce il segnale GPS, si riserva la possibilità dell’uso esclusivo o della degradazione del segnale in qualunque momento.
Tra gli errori strumentali si rammentano:
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• Sfasamento degli orologi dei satelliti: è l’errore che affligge la generazione dei segnali satellitari; è eliminabile con osservazioni differenziali (cioè con due ricevitori);
• Errore orologio del ricevitore: è l’errore che affligge la generazione della replica dei segnali del ricevitore; è eliminabile eseguendo osservazioni simultanee ad almeno quattro satelliti;
• Rumore del ricevitore: si tratta degli ineliminabili disturbi sul segnale replicato causati dal funzionamento delle componenti elettroniche.
Tra gli errori strumentali di modello:
• Indeterminazione dell’orbita dei satelliti: è lo scostamento delle reali traiettorie dalle
effemeridi predette, a causa delle asimmetrie del campo gravitazionale;
• Sincronismo (offset) degli orologi dei ricevitori e dei satelliti: è la mancata
contemporaneità dei segnali satellitari e delle loro repliche;
• Perturbazione del segnale nella propagazione attraverso l’atmosfera: il segnale
attraversando i vari strati dell’atmosfera subisce delle interferenze elettromagnetiche
che ne degradano la qualità;
• Ambiguità di fase: la demodulazione del segnale operata in fase di confronto, causa la
perdita dell’informazione relativa al numero totale dei cicli di onda contenuti nel
percorso satellite – ricevitore; tale incognita è chiamata ambiguità di fase.
Tra gli errori di osservazione i principali sono:
• Cycle slip: è l’interruzione della ricezione del segnale durante una sessione di misura
causata dall’interposizione di un ostacolo opaco;
• Multipath: è un aumento del rumore causato dalla ricezione dei segnali riflessi da
superfici circostanti l’antenna GPS (alberi, edifici, tralicci, …).
Il posizionamento può essere eseguito utilizzando una sola ricevente ed operando sulle
portanti modulate del segnale satellitare: in tal caso si parla di GPS assoluto e la misura
effettuata in tale modalità è detta pseudo-range. Tale tecnica è affetta dall’errore di
sincronizzazione degli orologi dei satelliti e della ricevente (su cui si basa la generazione del
segnale), dall’alterazione del segnale causata dalla sua interazione con l’atmosfera e da altre
cause, e permette di definire la posizione del punto in tempo reale con precisioni dell’ordine di
alcune decine di metri. Tale tecnica non consente quindi di raggiungere le precisioni
necessarie per le applicazioni geo-topo-cartografiche.
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Per questi ultimi fini viene invece utilizzata la tecnica differenziale che prevede l’utilizzo
contemporaneo di due riceventi che acquisiscono i segnali di almeno quattro satelliti da esse
visibili.
Tale tecnica si basa sulla determinazione, con grande precisione, della posizione relativa di un
punto rispetto ad un altro di posizione nota, cosicchè anche del secondo possa calcolarsi la
posizione con precisioni compatibili con gli scopi richiesti. Il segmento che unisce i due punti è
chiamato baseline.
L’elaborazione della misura delle fasi dei quattro segnali satellitari acquisite da ciascun ricevitore avviene in post – processing, tranne nel caso in cui si utilizzi un servizio di posizionamento. Una stazione di posizionamento si compone di un ricevitore e della relativa antenna, in acquisizione continua, monumentata stabilmente. Attraverso le stazioni fisse viene erogato un servizio di rete che deve essere in grado di stimare gli errori ed i disturbi sulle singole stazioni; modellizzare gli errori ed i disturbi nel tempo e nello spazio; distribuire all’utenza i dati ed i modelli, in modo che questa possa correggere le proprie misure e stimare correttamente la propria posizione.
La precisione raggiungibile dipende da molti fattori tra i quali: distanza dei due punti,
caratteristiche delle riceventi, modalità di esecuzione delle misure e configurazione dei satelliti
all’atto della misura. Le analisi dei segnali acquisiti dalle riceventi possono essere più o meno
complesse e parallelamente permettere la compensazione degli errori insiti nella misura
eseguitra in modo più o meno preciso.
Riassumendo quanto detto sopra, le tecniche di rilievo GPS si differenziano in base:
al tipo di posizionamento in assoluto o relativo;
al tipo di misura: in true-range o pseudo-range;
al tipo di elaborazione: in real time o in post-elaborazione.
Oltre a ciò è possibile distinguere le modalità in statiche o cinematiche a seconda che le
riceventi vengano stazionate per tempi più o meno lunghi sui punti da rilevare. Tra le modalità
di posizionamento dinamico quella più utilizzata è denominata stop and go e prevede l’utilizzo
di un ricevitore fisso su un punto di riferimento in modalità di registrazione e l’altro che viene
posizionato sui punti da rilevare sui quali si staziona pochi secondi. L’operazione richiede una
fase preliminare di inizializzazione, da realizzarsi in modo statico, che serve per risolvere le
ambiguità della post-elaborazione; durante tale fase viene infatti eseguita una misura accurata
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di una baseline con grande precisione, in modo da determinare l’entità delle correzioni da
apportare anche alle misure acquisite nei tempi successivi.
In fase di pianificazione della campagna di misura occorre valutare con attenzione la
configurazione di visibilità dei satelliti nella zona del rilievo per il periodo temporale di
esecuzione dello stesso. Tale parametro è infatti decisivo per la fattibilità della campagna ed
influenza la qualità delle misure eseguite. La qualità della configurazione dei satelliti viene
misurata da parametri denominati DOP (Diluition of Precision); bassi valori di DOP
corrispondono a buone configurazioni dei satelliti e viceversa alti DOP sono relativi a
disposizioni dei satelliti sfavorevoli. Valori superiori a 7 sono inaccettabili mentre valori
compresi tra 2 e 3 sono relativi ad una configurazione satellitare ottimale.
Per scopi topografici occorre utilizzare ricevitori a doppia frequenza capaci di registrare le due
portanti (di diversa frequenza) su cui viene costruito il segnale, in modo da poter correggere
l’errore dovuto alla sua propagazione nell’atmosfera; il numero di canali deve essere maggiore
di 4 in modo che sia possibile registrare in modo continuo altrettanti satelliti;
Le coordinate GPS possono essere archiviate come waypoints, tracks e route. Gli waypoints
sono posizioni puntuali rilevate, i tracks sono sequenze di posizioni acquisiste in modo
automatico nel tempo e le routes sono sequenze di waypoints dotate di ordinamento e che
vengono utilizzate per la navigazione. Agli waypoints spesso sono associate informazioni
descrittive rese a mezzo di fotografie o testi, visto che essi sono punti espressamente rilevati.
Nella maggior parte delle riceventi GPS è possibile scegliere di generare delle tracks
specificando l’intervallo di tempo tra due successive acquisizioni (ad esempio ogni 10 minuti)
ovvero la distanza tra due successive acquisizioni (ad esempio ogni 300 metri).
I dati rilevati possono essere importati connettendo direttamente lo strumento GPS al
computer ovvero esportando i dati in un file di testo delimitato ASCII (American Standard Code
for Information Interchange). In QGIS un file di testo delimitato contente dati GPS può essere
importato mediante il plug-in “Testo delimitato”.