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Universit` a degli Studi di Napoli “Federico II” FACOLT ` A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea Magistrale in Fisica Tesi di Laurea Magistrale Sviluppo di un microscopio confocale per la litografia e la spettroscopia ad elevata risoluzione Candidato: Emanuele Orabona Matricola 358/18 Relatori: Prof. Pasqualino Maddalena Dott. Antonio Ambrosio Correlatore: Prof. Raffaele Velotta Anno Accademico 2007–2008

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Universita degli Studi di Napoli “Federico II”

FACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Tesi di Laurea Magistrale

Sviluppo di un microscopio confocale per la litografiae la spettroscopia ad elevata risoluzione

Candidato:Emanuele OrabonaMatricola 358/18

Relatori:Prof. Pasqualino Maddalena

Dott. Antonio Ambrosio

Correlatore:Prof. Raffaele Velotta

Anno Accademico 2007–2008

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Indice

Introduzione 5

1 La microscopia 91.1 Risoluzione nella microscopia ottica . . . . . . . . . . . . . . . 11

1.1.1 Diffrazione da un’apertura circolare . . . . . . . . . . . 121.1.2 Diffrazione da una lente . . . . . . . . . . . . . . . . . 151.1.3 Potere risolutivo del microscopio . . . . . . . . . . . . . 171.1.4 Principio di Heisenberg . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

1.2 Microscopia a scansione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191.2.1 Microscopia confocale a scansione . . . . . . . . . . . . 20

1.3 Microscopia a scansione di sonda . . . . . . . . . . . . . . . . 211.3.1 STM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211.3.2 AFM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

1.4 SNOM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241.4.1 Principio di funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . 251.4.2 Un po’ di storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251.4.3 L’onda evanescente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261.4.4 Tipologie di microscopia in campo prossimo . . . . . . 28

2 Microscopia confocale 332.1 La nascita della microscopia confocale . . . . . . . . . . . . . . 332.2 Principio di funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 342.3 LSCM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372.4 Risoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

2.4.1 Risoluzione assiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382.4.2 Point Spread Function . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

2.5 Ricostruzione tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.6 Componenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

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Indice

2.6.1 Stadio scanner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402.6.2 Fascio laser come scanner . . . . . . . . . . . . . . . . 422.6.3 Il pinhole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 422.6.4 Altri componenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

2.7 Fluorescenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 432.8 I campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 442.9 Applicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 442.10 Tecniche alternative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

2.10.1 Disco di Nipkow . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 452.10.2 Microscopia a due fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . 462.10.3 STED . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

3 Realizzazione di un microscopio confocale laser a scansione 493.1 Il progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

3.1.1 Il microscopio confocale laser a scansione . . . . . . . . 493.1.2 Il microscopio in campo prossimo . . . . . . . . . . . . 50

3.2 L’apparato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 503.2.1 Il microscopio invertito e lo stadio scanner . . . . . . . 533.2.2 Lo spettrometro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 543.2.3 L’elettronica e il software . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

3.3 Ottimizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 553.3.1 Le nanoparticelle d’oro . . . . . . . . . . . . . . . . . . 563.3.2 Gli interstizi d’oro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

4 Litografia 694.1 L’azobenzene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 694.2 Formazione dei rilievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

4.2.1 Effetto della polarizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . 744.3 Prove di scrittura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75

4.3.1 Polimero “Y-azo” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 764.3.2 Polimero azo con l’aggiunta di un cromoforo . . . . . . 85

Conclusioni 95

A Funzione matlab 97

Ringraziamenti 101

Bibliografia 102

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Introduzione

La “litografia ottica” e quella tecnica che fa uso della luce per indurre laformazione di rilievi (o avvallamenti) sulla superficie di materiali fotosensibili.Il termine litografia, dal greco lithos = pietra e ghraphe = scrittura, sta adindicare la sua somiglianza con l’analoga tecnica di scrittura che fa uso diuna pietra per la riproduzione meccanica delle immagini. Una delle molecolein uso per questo tipo di applicazioni e l’azobenzene, grazie alla proprieta di“fotoisomerizzazione”, se illuminata a determinate lunghezze d’onda la molecolapuo cambiare la sua struttura tra gli isomeri cis e trans. Questo processocomporta la migrazione della massa nelle zone sottoposte ad illuminazioneed e quindi possibile cambiare la morfologia della superficie di un campionecontenente tali molecole, fornendo cosı una tecnica per creare qualsivogliastruttura. Numerose sono le applicazioni, che fanno uso di questa metodologia,come ad esempio la realizzazione di dispositivi ottici di archiviazione dati,la costruzione di reticoli di diffrazione etc. In tutte queste applicazioni edi fondamentale importanza poter realizzare delle strutture che siano le piupiccole possibili, in modo da aumentare le prestazioni del dispositivo che sivuole costruire. La tecnica chiamata “SNOL” (Scanning Near-field OpticalLithography) utilizza un microscopio in campo prossimo, anche detto SNOM(Scanning Near-field Optical Microscope), capace di superare il limite didiffrazione di Abbe, per estendere la litografia ottica su una scala nanometrica.

Questa tesi e parte di un progetto, il cui obiettivo finale prevede larealizzazione di un microscopio SNOM per la microscopia e la litografiasu scala nanometrica. In particolare in questo lavoro si e completato lostadio per la scansione del campione e la linea di raccolta del microscopio incampo prossimo, i quali hanno permesso, tramite l’aggiunta di due sorgentilaser, l’implementazione di un microscopio confocale. Per questo motivo ilmicroscopio SNOM puo essere visto semplicemente come un’estensione diquello confocale, in quanto puo essere realizzato a partire da quest’ultimo

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Introduzione

mediante il montaggio di una testa per la generazione del campo prossimo.Il microscopio confocale basa tutto il suo principio di funzionamento su unapiccola apertura che effettua la selezione dei raggi provenienti soltanto dalfuoco geometrico dell’obiettivo, creando delle immagini con un contrastomaggiore rispetto a quelle ottenibili con la microscopia convenzionale. Ilmicroscopio sviluppato e stato poi utilizzato per testare le proprieta litografichedi due campioni contenenti molecole di azobenzene, forniti dal gruppo delprof. Roviello del Dipartimento di Chimica dell’Universita degli Studi diNapoli “Federico II”.

La tesi inizia nel primo capitolo con una trattazione sulla risoluzione di unsistema ottico e sulla sua dipendenza esclusiva dalla diffrazione: si parte dalcalcolo della diffrazione da una apertura circolare, lo si estende al caso di unalente e poi finalmente si arriva al caso del microscopio. Il capitolo proseguedando una panoramica generale sulle varie tecniche di microscopia, da quellaclassica a quella a scansione di sonda, soffermandosi, per ovvie ragioni, sullamicroscopia in campo prossimo. Di questa ne e stato spiegato come riesce asuperare il limite di diffrazione di Abbe, il principio di funzionamento e levarie soluzioni implementative.

Il secondo capitolo e stato interamente dedicato alla microscopia confocale,partendo dalla sua origine negli anni ’50 ad opera di Minsky, fino alle soluzionimoderne. Ne e stato spiegato il principio di funzionamento, evidenziandoquali fossero i principali vantaggi rispetto alla microscopia convenzionale,soffermandosi in maniera particolare sulla risoluzione laterale ed assiale edella rappresentazione di queste tramite un’unica funzione: la “point spreadfunction”. Sono stati descritti tutti i componenti necessari per realizzare unmicroscopio confocale a scansione e per ognuno ne sono stati elencati pregi edifetti. Il capitolo termina con una piccola rassegna sulle principali tecnichedi microscopie alternative alla microscopia confocale.

Il terzo capitolo si apre con l’esposizione del progetto nel quale e statoinquadrato questo lavoro di tesi e sulla sua divisione in due parti: la realiz-zazione di un microscopio confocale e la sua estensione ad un microscopioin campo prossimo. Segue quindi la descrizione di tutto l’apparato speri-mentale realizzato, ovvero il microscopio confocale laser a scansione, scrittacon maggior riguardo verso i suoi componenti principali. In questo capitoloviene riportata anche tutta la parte relativa all’ottimizzazione dell’apparato,compiuta con l’ausilio di un campione di nanoparticelle d’oro e di uno conmicrostrutture anch’esse d’oro.

Infine l’ultimo capitolo riguarda la litografia su materiali contenenti azoben-zene. Il capitolo comincia con una piccola trattazione teorica sulla molecoladi azobenzene e sul processo di fotoisomerizzazione responsabile in parte delprocesso di formazione dei rilievi. Sono stati elencati i modelli teorici piu

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Introduzione

importanti sulla formazione delle strutture, dando per ognuno di essi unapiccola descrizione. Sono inoltre riportati tutti i risultati ottenuti con i duecampioni a disposizione. In particolare, grazie alla fluorescenza presente nelsecondo campione, si prospetta l’utilizzo di una tecnica innovativa per lalettura delle strutture formatesi nel processo di scrittura.

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Introduzione

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Capitolo 1La microscopia

Un’indagine storica dell’evoluzione nel corso dei secoli dei diversi strumentiottici “associati all’occhio”, dell’evoluzione del microscopio come “protesi perun’indagine piu ravvicinata della natura” (S. Freud) appare sorprendentementevariegata, a tratti quasi contraddittoria. Di fatto, e storicamente accertatoche vi fu un forte ritardo nell’impiego e nell’ulteriore sviluppo di dispositiviottici esistenti gia da tempo: la tecnologia di cui si e valsa la microscopianei secoli XVII e XVIII e anche in gran parte del secolo XIX era gia notada secoli, basti pensare che alcune delle prime grandi scoperte nel campodella biologia e delle scienze naturali nel corso di tali secoli furono compiute,in realta, osservando i preparati attraverso una semplice lente convergente,o microscopio semplice, nota fin dal XIII secolo. Gli obiettivi dei primimicroscopi (come quelli adoperati da Galileo stesso, da C. Drebbel, R. Hookeed altri ricercatori del tempo) erano costituiti da lenti semplici, affette danumerose aberrazioni e sorrette da stativi in legno o cartone approssimativi etraballanti. Nonostante la precarieta di un tale assemblaggio delle componentie la scarsa praticita di utilizzo, esse diedero, come detto, risultati eccellenti perle ricerche dell’epoca. Quando si cominciarono a fabbricare i primi obiettiviacromatici e si svilupparono adeguati strumenti matematici per lo studioe l’analisi quantitativa dell’ottica, anche gli obiettivi usati nei microscopisubirono un’evoluzione via via piu rapida.

La svolta si ebbe nel 1873 con Abbe [1] che con la sua teoria sull’immaginedegli oggetti illuminati getto le basi di quella che e considerata la modernamicroscopia. L’idea di fondo e stata sempre quella di costruire un dispositivoche sia in grado di sfruttare la radiazione ottica, trasmessa o riflessa, dall’og-getto sotto osservazione per fornirne un’immagine quanto meno verosimile:e questo il cosiddetto microscopio ottico che puo essere considerato comeuna sorta di antenato di quelli presenti ai giorni nostri ed in continua via di

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sviluppo. Esistono infatti dispositivi concepiti per sfruttare anche altri tipidi interazioni con la materia investigata o radiazioni quali fasci di elettroni(microscopio elettronico, al quale si assimilano i microscopi ad emissione dicampo) oppure fasci di raggi X (microscopio a raggi X).

Il motivo di questa ricerca costante non risiede tanto nel tentativo diottenere ingrandimenti sempre maggiori, quanto nella necessita di aumentareil potere risolutivo dello strumento, che limita di fatto la possibilita di metterein evidenza le particolarita dell’oggetto sotto osservazione anche quandosi sia riusciti ad aumentare notevolmente l’ingrandimento. Per ottenerel’ingrandimento desiderato, ogni microscopio opera sul fascio di radiazione peril quale e progettato in base alle caratteristiche intrinseche delle varie radiazioniche entrano in gioco, sfruttando la dispersione del fascio di radiazione emessodalla sorgente, in modo da raccoglierne l’immagine ad una distanza convenienteaffinche essa risulti sufficientemente ingrandita e “leggibile”. D’altra parte,poiche il meccanismo secondo il quale si forma, nell’immagine, il contrasto fra iparticolari del campione osservato cambia a seconda della radiazione impiegata,esso potra essere esaltato mediante una conveniente preparazione del campionestesso: questa fase preliminare e di particolare importanza nel caso di materialibiologici e nella microscopia per trasmissione, anche se il concetto ha validitadel tutto generale. Nell’ambito della microscopia ottica, la preparazioneconsiste prevalentemente (quando necessita) nella colorazione selettiva dioggetti di per se ‘trasparenti’ in modo che la radiazione venga diversamenteassorbita, in funzione della lunghezza d’onda, in zone diversamente coloratee quindi il fascio originario giunga al rivelatore differenziato, per intensita elunghezza d’onda, a seconda dei punti del preparato dai quali proviene.

Nell’ultimo decennio si sono sviluppate, in seno alla microscopia ottica,tecniche avanzate di analisi quantitativa dei campioni, basate fondamen-talmente sull’utilizzo di molecole fluorescenti. Tra di esse la microscopiaconfocale (oggetto principale di questa tesi), e quella con eccitazione a duefotoni, assumono particolare rilievo per la loro capacita di fornire strumentiadatti allo studio della delicata problematica della relazione tra struttura efunzione nei sistemi biologici. Infatti, se, da un lato, tecniche come quella dellamicroscopia elettronica o anche del tipo a scansione di sonda (in particolareSTM, Scanning Tunnelling Microscoy e AFM, Atomic Force Microscopy)hanno recentemente permesso di indagare dettagli risolti su scala molecolaree atomica, dall’altro si sono rilevate inefficienti quando l’indagine si rivolga supreparati biologici dei quali siano peculiari le informazioni legate alla strutturatridimensionale, visto che, come nel caso di una molecola proteica, strutturae funzione sono intimamente intrecciate. Di fatto, l’analisi di un sistemabiologico condotta per mezzo di un microscopio ottico puo essere effettuata,come gia accennato in precedenza, sia sfruttando direttamente l’interazione

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1.1. Risoluzione nella microscopia ottica

delle sue strutture con la radiazione luminosa, che marcando specificamente ilcampione (o parti di esso) oggetto di studio con sostanze in grado di interagirecon la radiazione luminosa ( ad esempio sonde fluorescenti ). Nonostantecio, un comune microscopio ottico risulta di per se inadeguato all’analisitridimensionale, in quanto fornisce tipicamente un’immagine bidimensionaledel campione costituita dalla mera sovrapposizione di regioni del campionea fuoco e fuori fuoco. E proprio questa la problematica che, almeno in li-nea di principio, puo essere risolta dall’impiego della microscopia confocale,che, illuminando selettivamente il campione punto per punto e raccogliendola sola risposta fornita dal piano a fuoco, permette, previa una successivarielaborazione (tipicamente offline) delle informazioni raccolte, la completaricostruzione tridimensionale dell’oggetto osservato. Attraverso l’impiego diun tale dispositivo (descritto in dettaglio nel seguito), non si sono solo apertinuovi orizzonti nell’imaging in vivo di preparati biologici, ottenendo informa-zioni morfometriche impensabili nell’ambito della microscopia convenzionalema si e pure migliorato il limite di risoluzione, arrivando, in particolare, ad unsignificativo aumento della risoluzione assiale (vedi par. 2.4.1), legato proprioalla drastica riduzione dell’informazione fuori fuoco presente in ogni singolaimmagine acquisita.

1.1 Risoluzione nella microscopia ottica

E ragionevole pensare che qualsiasi sistema ottico non possa fornire delleimmagini con una risoluzione infinita. Tale limite della risoluzione e dovutoprincipalmente alla dimensione finita delle lenti presenti nel sistema. Unalente e in grado solo parzialmente di raccogliere la luce emessa da un oggettopuntiforme. Il suo bordo circolare limita la porzione del fronte d’onda della luceincidente ed e questa la causa della comparsa del fenomeno della diffrazione.La diffrazione e un fenomeno fisico associato alla deviazione della traiettoriadelle onde quando queste incontrano un ostacolo sul loro cammino. E tipicadi ogni genere di onda, come il suono, le onde sulla superficie dell’acqua ole onde elettromagnetiche come la luce o le onde radio. Qualitativamente, sipuo dire che i fenomeni diffrattivi siano fenomeni di interferenza di un raggioluminoso con se stesso, cioe fenomeni di interferenza fra diverse parti di ununico raggio luminoso. Ne segue che l’immagine di una sorgente puntiformenon sara mai un punto, bensı una macchiolina circolare. Solo una lente conun raggio infinito potrebbe essere in grado di raccogliere tutto il fronte d’ondaincidente per dare una perfetta immagine puntiforme della sorgente: ma soloin un sistema ideale possono esistere lenti del genere e purtroppo nella realtanon potranno mai esistere.

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1.1. Risoluzione nella microscopia ottica

Figura 1.1: Configurazione alla Fraunhofer di una apertura circolare con unoschermo posto a grande distanza.

Nel caso in cui vi siano due sorgenti puntiformi, e necessario che ledue immagini da esse derivanti non si sovrappongano, altrimenti risulterebbedifficile, se non impossibile, risalire alla presenza di due oggetti. Di fatto quindiper affrontare questo genere di problematiche e di fondamentale importanzacalcolare il limite di risoluzione di un sistema ottico. Per far cio e necessarioprima affrontare il problema della diffrazione da una fenditura circolare,per poi successivamente estenderlo al caso della lente ed infine a quello delmicroscopio.

1.1.1 Diffrazione da un’apertura circolare

Si consideri un’onda monocromatica diretta lungo la direzione x, incidente suuno schermo Σ, con al centro una apertura di forma circolare ed a grandedistanza un altro schermo σ [2]. Tale configurazione, illustrata in figura1.1, rispecchia le cosiddette condizioni di Fraunhofer. Secondo il principiodi Huygens-Fresnel ogni punto di un fronte d’onda si comporta a sua voltacome una sorgente secondaria di onde sferiche con la stessa frequenza dellaprimaria, il che implica che ogni elemento di area dS dell’apertura puo essereconsiderato come una sorgente coerente puntiforme di onde sferiche. Si indichicon r la distanza tra l’elemento dS individuato dalle coordinate (0, y, z) e il

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1.1. Risoluzione nella microscopia ottica

generico punto P sullo schermo di coordinate (X, Y, Z). Per definizione

r =[X2 + (Y − y)2 + (Z − z)2

]1/2che puo essere riscritta come

r = R

[1 +

y2 + z2

R2− 2

Y y − ZzR2

]1/2

avendo indicato conR =

[X2 + Y 2 + Z2

]1/2la distanza del punto P dall’origine. Nel caso in cui R e molto maggioredelle dimensione dell’apertura (condizione di Fraunhofer) il termine y2+z2

R2 ecertamente trascurabile, per cui

r ' R

[1− 2

Y y − ZzR2

]1/2

,

che di nuovo si puo approssimare con

r ' R

[1− Y y − Zz

R2

].

La perturbazione totale sul punto P sara data dal contributo delle infinitesorgenti coerenti presenti nell’apertura e sara scrivibile quindi in termini diun integrale

E =εAR

∫aperture

ei(kr−ωt)dS,

che diventa, utilizzando l’espressione precedente di r

E ' εAei(ωt−kR)

R

∫aperture

eik(Y y+Zz)/RdS. (1.1)

Avendo a che fare con un’apertura circolare risulta molto conveniente descri-vere il problema introducendo le coordinate sferiche

z = ρ cosφ, y = ρ sinφ,

Z = q cos Φ, Y = q sin Φ.

Cosı l’elemento di area differenziale diventa

dS = ρ dρ dφ.

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1.1. Risoluzione nella microscopia ottica

Sostituendo nella (1.1) si ottiene

E ' εAei(ωt−kR)

R

∫ a

ρ=0

∫ 2π

φ=0

ei(kρq/R) cos(φ−Φ)ρdρdφ. (1.2)

Il sistema cosı costruito ha simmetria cilindrica, per cui la soluzione deveessere necessariamente indipendente da Φ. Non si perde di generalita e sisemplifica di molto il calcolo ponendo Φ = 0.

L’introduzione delle funzioni di Bessel e necessaria per poter risolverel’integrale nella (1.2). La funzione di Bessel all’ordine m viene espressa come

Jm(u) =i−m

∫ 2π

0

ei(mv+u cos v)dv,

ne consegue che all’ordine zero ha la forma

J0(u) =1

∫ 2π

0

eiu cos vdv,

che ricorda l’espressione del campo elettrico (1.2) appena scritta e che quindipuo essere riscritta in termine delle funzioni di Bessel come

E ' εAei(ωt−kR)

R2π

∫ a

0

J0(kρq/R)ρdρ.

Se si utilizza una proprieta delle funzioni di Bessel chiamata “relazione diricorrenza” che afferma che

d

du[umJm(u)] = umJm−1(u),

e per m = 1 ∫ u

0

u′J0(u′)du′ = uJ1(u),

si ottiene

E(t) ' εAei(ωt−kR)

R2πa2(R/kaq)J1(kaq/R). (1.3)

Essendo interessati a trovare la figura di diffrazione e necessario ricavarel’intensita I nel punto P , legata al campo elettrico dalla relazione

I =1

2Re(EE∗) =

1

2EE∗.

Tramite la (1.3) si ottiene

I =2ε2AA

2

R2

[J1(kaq/R)

kaq/R

]2

,

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1.1. Risoluzione nella microscopia ottica

dove A = πa2 e l’area dell’apertura circolare. Volendo calcolare il valoredell’intensita per q = 0, cioe al centro dello schermo, basta notare che

limu→0

J1(u)

u=

1

2,

e si ha quindi

I(0) =2ε2AA

2

2R2,

che permette di scrivere l’espressione dell’intensita in modo piu semplice

I = I(0)

[2J1(kaq/R)

kaq/R

]2

.

Inoltre essendo sin θ = q/R l’espressione finale dell’intensita risulta

I = I(0)

[2J1(ka sin θ)

ka sin θ

]2

,

il cui andamento e riportato in figura 1.2. A causa della simmetria assiale lafigura di diffrazione sara data dalla rotazione della curva attorno al massimocentrale. Come si vede in figura 1.3, al massimo corrisponde un’area circolarechiamata disco di Airy. Il disco e circondato da un anello scuro corrispondentealla zona in cui I = 0, che avviene per

I = 0⇐⇒ J1(kaq1/R) = 0⇐⇒ kaq1

R= 3.83

Questo primo anello scuro delimita il disco di Airy e percio permette didefinirne il raggio.

q1 = 1.22Rλ

2a. (1.4)

Si nota quindi che quanto piu piccola e l’apertura tanto piu grande sara ildisco di Airy, per a ∼ λ/2 il raggio del disco di Airy diventa q1 = 1.22Re l’apertura puo essere approssimata ad una sorgente puntiforme di ondesferiche. Effettuando una integrazione dell’intensita sul disco di Airy si trovache esso contiene l’84% della radiazione passante attraverso l’apertura, mentreil 91% della radiazione e contenuto entro il secondo anello scuro.

1.1.2 Diffrazione da una lente

Gli effetti causati dalla diffrazione da una apertura circolare si ritrovano inmoltissimi sistemi ottici, perfino in quelli piu semplici, come per esempio

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1.1. Risoluzione nella microscopia ottica

Figura 1.2: Andamento dell’intensita I in funzione di ka sin θ della figura didiffrazione da una apertura circolare.

Figura 1.3: Figura di diffrazione da una apertura circolare. Il massimocentrale viene chiamato “disco di Airy”.

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1.1. Risoluzione nella microscopia ottica

le lenti. Queste anche se corrette da tutte le possibili aberrazioni hannocomunque una dimensione finita e per questo intercettano solo una partedi luce proveniente da un’ipotetica sorgente puntiforme. Il bordo circolaredella lente limita la porzione del fronte d’onda incidente e per questo motivocompie un ruolo analogo alla apertura circolare. Cosı se tramite una lente sifocalizza un’onda piana su uno schermo, cioe si pone lo schermo alla distanzafocale f , si ottiene l’immagine di un disco di Airy con raggio pari a

q1 = 1.22fλ

2a

con a questa volta pari al raggio della lente [3]. Le stesse considerazioni aproposito del disco di Airy fatte per un’apertura circolare valgono anche peruna lente.

1.1.3 Potere risolutivo del microscopio

La diffrazione, come detto in precedenza e come visto nel paragrafo 1.1.2 nelcaso della lente, limita notevolmente le prestazioni degli strumenti ottici. Sidefinisce “potere risolutivo” la capacita di produrre immagini separate di dueoggetti puntiformi vicini. Proprio a causa della diffrazione l’immagine di unpunto non potra mai essere un punto stesso ma sempre una macchiolina piuo meno estesa. Qualora le due macchioline si sovrappongano diventerebbedifficile distinguere l’una dall’altra. A tal proposito viene in auto il criteriodi Rayleigh: due immagini formate da un sistema ottico possono essereconsiderate risolte quando il massimo principale di una delle due coincidecon il primo minimo dell’altra. Allora per un microscopio qual e la minimadistanza tra due oggetti tale che le loro immagini siano distinguibili? Il calcolopuo essere effettuato molto semplicemente nel caso di illuminazione incoerente.Con riferimento alla figura 1.4 si indica con δ la distanza tra i due oggetti econ δ′ la distanza tra le immagini di questi. Applicando il criterio di Rayleighi due punti saranno distinguibili se disteranno di una distanza pari almeno alraggio del disco di Airy ((1.4)), quindi

δ′min = q1 = 1.22fλ0

2n′a

ma come si nota dalla figura 1.4 a = f sinα′

δ′min = q1 = 1.22λ0

2n′ sinα′(1.5)

Per essere in grado di produrre immagini nitide deve essere valida la relazionedei seni [4]:

nδmin sinα = n′δ′min sinα′

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1.1. Risoluzione nella microscopia ottica

Figura 1.4: Relazioni angolari per l’obiettivo di un microscopio.

e si puo quindi riscrivere la (1.5) in funzione delle grandezze dello spaziooggetto:

δmin = 1.22λ0

2n sinα= 0.61

λ0

NA(1.6)

avendo introdotto l’apertura numerica del microscopio NA = n sinα. Peravere un’idea dell’ordine di grandezza di δmin e sufficiente sostituire nella (1.6)dei valori tipici, come NA = 1.4 (apertura numerica di un tipico microscopio)e λ0 = 632.8 nm (laser He-Ne). Si arriva ad un valore di δmin = 276nm. Laquantita 1/δmin viene indicata come potere risolutivo del microscopio.

Un risultato analogo fu ottenuto con un procedimento diverso gia nel 1873da Ernst Abbe [1]. Egli dimostro come la diffrazione della luce da parte delcampione, e dalle lenti dell’obietivo, determina la risoluzione dell’immagine.Inoltre stabilı le condizioni necessarie alla costruzione di una lente per avereuna risoluzione limitata dalla diffrazione piuttosto che limitata dalle aberra-zioni cromatiche e sferiche. Considerando allora l’oggetto come un reticolo,Abbe fu in grado di trovare un’espressione per la risoluzione di un microscopio

δmin =1.22λ

NAobj +NAcond

dove in questo caso δmin e intesa come la distanza minima, tra due linee delreticolo, che puo essere risolta. Come si puo osservare egli sottolineo il ruolodell’apertura numerica del condensatore NAcond, oltre a quello dell’obiettivoNAobj , nel calcolo della risoluzione [5]. Nel caso in cui NAcond = NAobj alloral’espressione di Abbe per la risoluzione si riconduce alla (1.6) precedentementetrovata.

1.1.4 Principio di Heisenberg

Tutto cio che e stato trattato finora e stato visto solo da un punto di vistapuramente classico, facendo riferimento appunto solo al fenomeno della diffra-

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1.2. Microscopia a scansione

zione. In termini della meccanica quantistica il limite della risoluzione di unsistema ottico puo essere ricavato facendo ricorso al principio di indetermina-zione di Heisenberg [6]. Secondo questo principio la posizione ed il momentodei fotoni sono correlati dalla relazione

∆xi · |pi| ≥ ~

dove con il pedice i si e indicata la proiezione sul generico asse (x, y, z).Sapendo che pi = ~ki, la relazione di indeterminazione puo essere scritta come

∆xi ≥1

|ki|

che potrebbe essere considerato come il limite fisico delle dimensioni di unfascio focalizzato e quindi della risoluzione ottica raggiungibile. I valori di kisono limitati dalla relazione

k2 =∑

i∈{x,y,z}

k2i .

Nel caso di onde propaganti 1 deve valere la seguente espressione

|ki| ≤ |k| =2π

λ, (1.7)

sostituendo

∆xi ≥λ

2π, (1.8)

che analogamente alla (1.6) fissa un limite fisico alla risoluzione di un sistemaottico.

1.2 Microscopia a scansione

Nella microscopia a scansione l’illuminazione e/o l’osservazione del campioneviene fatta in sequenza, scansionando appunto il campione linea per linea.L’immagine viene poi ricostruita punto per punto come una matrice di pixel,il cui numero contribuisce alla risoluzione dell’immagine acquisita (vedi figura1.5). Il vantaggio immediato consiste nell’assenza di segnale nel rivelatore dazone non illuminate, che possono “sporcare” l’immagine, diminuendo cosı ilcontrasto. Solo la piccola zona di interesse viene illuminata e solo quella zonaproduce un segnale nel rivelatore. Invece nella microscopia classica, dove ilcampione viene completamente illuminato, l’immagine viene presa con una

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1.2. Microscopia a scansione

Figura 1.5: Schematizzazione del funzionamento della microscopia a scansione.Il campione viene investigato punto per punto, per formare un’immagine dia× b pixel.

sola acquisizione. Uno svantaggio della microscopia a scansione consiste in unaumento del tempo di acquisizione dell’immagine, legato alla risoluzione (equindi al numero di pixel) con la quale la si vuole acquisire. In genere questatecnica viene realizzata mantenendo fisso il campione e muovendo su di essoil fascio ma in linea di principio puo essere realizzata anche al contrario con ilfascio fermo. Di fatto essa costituisce la base per la microscopia confocale ascansione (par. 1.2.1) e per la microscopia a scansione di sonda (par. 1.3),spiegate dettagliatamente nei rispettivi paragrafi.

1.2.1 Microscopia confocale a scansione

La microscopia confocale a scansione differisce dalla microscopia conven-zionale per la possibilita di selezionare solamente un piano focale. Questoavviene tramite l’utilizzo di un diaframma delle dimensioni di alcune decinedi µm(chiamato “pinhole”), posto immediatamente prima del rivelatore comesi vede in figura 1.6. Il pinhole, posto nel fuoco della lente, e in grado dibloccare tutti i raggi provenienti dal campione che non sono originati nelpiano focale. Quella che si ottiene e quindi un’immagine che corrisponde aduna sezione ottica del campione, avendo selezionato solo la luce provenientedal piano focale [7]. Ne consegue quindi che le immagini prodotte con unmicroscopio confocale risultano molto piu nitide, rispetto a quelle che sipossono produrre con la microscopia classica. Inoltre trattandosi di sezioniottiche e possibile, cambiando la distanza obiettivo campione, raccoglieretutte queste immagini per elaborare una figura a tre dimensioni del campione

1Si dicono propaganti quelle onde che hanno tutte le componenti di k reali. Si dicono nonpropaganti quelle che hanno almeno una componente di k immaginaria. Questo concettoverra approfondito nel paragrafo 1.4.

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1.3. Microscopia a scansione di sonda

Figura 1.6: Schema di un microscopio confocale.

in esame. La microscopia confocale verra trattata con maggior dettaglio nelcap. 2.

1.3 Microscopia a scansione di sonda

La microscopia a scansione di sonda, spesso indicata con l’acronimo SPMdall’inglese Scanning Probe Microscopy, e una branca della microscopia carat-terizzata dall’utilizzo di una “sonda” per indagare i campioni. Come nellamicroscopia a scansione (par. 1.2) l’immagine si forma linea per linea grazie almovimento meccanico della sonda rispetto al campione (o viceversa). Nume-rosi sono i microscopi che rientrano in questa categoria, quelli piu importantie quelli di interesse per questa tesi sono:

• STM - microscopio a scansione a effetto tunnel;

• AFM - microscopio a forza atomica;

• SNOM - microscopio a scansione a campo prossimo.

1.3.1 STM

Il microscopio a scansione a effetto tunnel (Scanning Tunneling Microscope)fu inventato da Gerd Binnig e Heinrich Rohrer 1981 e fu oggetto di un premioNobel nel 1986. Il suo funzionamento e basato sull’esistenza dell’effetto tunnel:l’STM sonda la densita degli stati di un campione attraverso una misura

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1.3. Microscopia a scansione di sonda

Figura 1.7: Schema di un microscopio a scansione a effetto tunnel.

della corrente di “tunneling”. Quando la punta si avvicina ad una superficiemetallica (tipicamente ad una distanza di 4 - 7A), esiste una probabilita finitache gli elettroni dalla punta al campione (“tunneling“) (vedi figura 1.7). Lamisura di questa corrente e una funzione della conduzione del campione nelpunto. Un tubo piezoelettrico permette alla punta di muoversi nelle direzionix, y e z, e di effettuare la scansione del campione.

Due sono le modalita con le quali e possibile lavorare:

corrente costante la distanza relativa punta - campione viene regolataattraverso un sistema di retroazione per far si che la corrente misuratarimanga sempre costante

altezza costante la distanza relativa punta - campione viene lasciata co-stante e questa volta l’immagine viene creata elaborando la variazionedella corrente.

La risoluzione che puo raggiungere un STM e dell’ordine di 0.1 nm nel pianoe 0.01 nm in profondita ed e strettamente legata alla qualita della punta. Imateriali piu utilizzati per la fabbricazione di quest’ultima sono il tungstenoe il platino-iridio.

1.3.2 AFM

Il microscopio a forza atomica (dall’inglese: Atomic Force Microscope) puoessere considerato come il successore dell STM del quale si e parlato nel prece-dente paragrafo. Il cuore dell’AFM, su cui si basa tutto il suo funzionamento,

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1.3. Microscopia a scansione di sonda

Figura 1.8: A sinistra: Schema di un microscopio a forza atomica. A destra:Immagine SEM della punta di un cantilever.

consiste in una microleva (in inglese cantilever) con una piccola punta alla suaestremita. Quando questa viene fatta avvicinare al campione la forza di Vander Waals provoca una piccola deflessione della leva in accordo con la legge diHooke. Tipicamente il movimento del cantilever viene misurato otticamentetramite una leva ottica, ovvero facendo incidire un fascio laser sul cantilevered utilizzando un fotodiodo a quadrante per intercettare il raggio riflesso(figura 1.8). Se la punta viaggiasse ad altezza costante si potrebbe avere unimpatto con il campione, con il conseguente danneggiamento di entrambi. Perevitare cio gli AFM usualmente hanno un sistema di retroazione collegato adun tubo piezoelettrico per regolare la quota del campione.

Due sono i regimi nel quale un microscopio a forza atomica puo operare:

• regime repulsivo;

• regime attrattivo.

Come si vede dalla figura 1.9 queste modalita di lavoro sono caratterizzateognuna da una propria distanza e da una forza punta - campione, che nelprimo caso e di natura repulsiva e tende ad allontanare la punta dal campione,mentre nel secondo caso e attrattiva e tende ad avvicinare la punta al campione.Un microscopio a forza atomica fornisce vere immagini tridimensionali conuna risoluzione della frazione del nanometro. I campioni per essere analizzatinon hanno bisogno di nessun trattamento che potrebbe in parte danneggiarli.Un AFM lavora perfettamente con i campioni cosı come sono in qualsiasiambiente essi si trovino (vuoto, aria, acqua ecc.). Tutte queste caratteristiche

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1.4. SNOM

Figura 1.9: Andamento della forza di Van der Waals al variare della distanzapunta-campione.

rendono l’AFM uno dei migliori strumenti per l’analisi e per la manipolazionedi materiali su scala nanometrica.

1.4 SNOM

A differenza di tutti i microscopi SPM lo SNOM e un microscopio ottico, ilcui acronimo sta per Scanning Near-field Optical Microscope (microscopio incampo prossimo a scansione). Come abbiamo visto in parte nei precedentiparagrafi, numerose sono le tecniche per aumentare la risoluzione di un’imma-gine fornita da un microscopio ottico ma tutte devono “ubbidire” al limite didiffrazione (vedi par. 1.1). Sembrerebbe impossibile migliorare ulteriormentela risoluzione, stando all’espressione (1.6)

δmin = 0.61λ

NA.

I gradi di liberta a disposizione sui quali e possibile “giocare” sono l’aperturanumerica del microscopio e la lunghezza d’onda della luce. Nelle miglioricondizioni si puo avere una risoluzione ∼ 200 nm, utilizzando un obiettivocon grossa apertura numerica (NA ∼ 1.45) e una radiazione con una piccolalunghezza d’onda per l’illuminazione (λ ∼ 400 nm). L’esistenza di talelimite non e da imputare all’apertura numerica, o alla lunghezza d’ondadella luce, ma alla natura della radiazione luminosa. Infatti il principio diindeterminazione di Heisenberg, come visto nel par. 1.1.4, conferma l’esistenza

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1.4. SNOM

del limite, seppur con un’espressione leggermente diversa (1.8). Tuttavia ed’obbligo ricordare che questo limite e stato trovato ipotizzando che tuttii ki fossero reali. Qualora un’onda avesse una componente di k complessarenderebbe non valide le condizioni (1.7) e (1.8)

|ki| ≤ |k| =2π

λ;

∆xi ≥λ

2π.

Questo implica che un’onda con un ki complesso puo superare il limitedi diffrazione e potrebbe essere usata come mezzo d’indagine per scendereal di sotto dei 200 nm di risoluzione. Un’onda di questo tipo viene dettaevanescente, mentre il campo ad essa associato e detto prossimo.

La principale differenza tra un’onda evanescente ed una normale ondarisiede tutta nell’assenza di un carattere propagativo ed ondulatorio. Nelladirezione del ki complesso l’argomento dell’esponenziale eikiri diventa reale,l’onda perde tutta la sua natura oscillante ed il campo in questa direzionediventa esponenzialmente decrescente. Per questo motivo solitamente si indicacon l’aggettivo propagante le normali onde elettromagnetiche, mentre connon propaganti le onde evanescenti.

1.4.1 Principio di funzionamento

Un microscopio che lavora in campo prossimo basa il suo principio di funzio-namento sull’utilizzo di un’onda evanescente. Il campione da osservare vienesottoposto al campo di tale onda e viene raccolto il segnale, questa voltapropagante, prodotto dall’interazione del campo prossimo con il campione.In questo modo puo essere ricostruita una mappa delle proprieta ottichedella superficie del campione con una precisione dell’ordine delle decine dinanometri. Come precedentemente detto anche lo SNOM e un microscopio ascansione di sonda ed in questo caso la sonda e costituita dalla punta insiemeal suo campo prossimo.

1.4.2 Un po’ di storia

Il primo tentativo di costruzione di un microscopio a campo prossimo fu fattoda E.H. Synge [8] che nei primi del ‘900 penso di utilizzare il campo luminosoproveniente da una apertura di dimensioni piu piccole della lunghezza d’ondadella luce, per illuminare una zona molto vicina al campione e raccogliere laluce riflessa o diffusa. Purtroppo a causa della scarsita di mezzi in quell’epocanon gli fu possibile realizzare la sua idea. Furono Ash e Nichols nel 1972 [9] i

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1.4. SNOM

Figura 1.10: Creazione di un’onda evanescente per riflessione totale. a)Un’onda evanescente si crea in un mezzo se un’onda piana incide ad un angoloθ1 > θc. b) Realizzazione sperimentale tramite un prisma.

primi a superare il limite di diffrazione di Abbe, utilizzando delle microondecon λ = 3cm, riuscirono ad ottenere una risoluzione di λ/60. Dodici annidopo Pohl, Denk e Lanz riuscirono a ripetere l’esperimento con radiazionenel visibile, attraverso un’apertura a punta metallizzata ed un meccanismo difeedback per mantenere costante la distanza punta campione [10]. Il primoSNOM era ufficialmente nato!

1.4.3 L’onda evanescente

Un’onda evanescente puo essere descritta come un’onda piana E = ei~k~r con

~k, vettore d’onda, avente almeno una componente immaginaria [11]. Nelladirezione di questa componente l’onda non si propaga ma decade esponenzial-mente. La sua presenza e sempre collegata alla presenza di inomogeneita delmezzo, le onde evanescenti non possono formarsi in mezzi omogenei. L’esem-pio piu semplice di una inomogeneita e rappresentato da un’interfaccia pianache si viene a creare tra due mezzi. Si consideri un raggio incidente su di essa(fig 1.10), per le leggi di Snell questo dara vita ad un raggio riflesso e ad unorifratto le cui ampiezze sono descritte dai coefficienti di Fresnel. In condizionidi riflessione totale

n1 > n2, sin θi >n2

n1

= sin θc

si viene a creare nel secondo mezzo, in corrispondenza della superficie diseparazione, l’onda evanescente. Si indica con

k1 = (kx, ky, kz1), k2 = (kx, ky, kz2)

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1.4. SNOM

rispettivamente il vettore del raggio incidente e di quello riflesso. Le compo-nenti x e y di k1 e k2 sono uguali perche per continuita deve essere ugualel’argomento degli esponenziali all’interfaccia (z = 0). E semplice dimostrareche

kz1 =√k2

1 − (k2x + k2

y) kz2 =√k2

2 − (k2x + k2

y)

valide in generale, mentre in caso di riflessione totale

kz1 = k1

√1− sen2θi kz2 = k2

√1− n2sen2θi

dove n = n1/n2. Si puo osservare quindi che kz2 per θi > θc e immaginario.Il campo elettrico uscente dal secondo mezzo sara della forma

~E2 ∝ eikxxeγz

conγ = k2

√n2sen2θi − 1

che rappresenta un’onda che si propaga lungo la superficie (nella direzionex) ma che decade esponenzialmente nel mezzo (nella direzione z). Per avereun’idea delle dimensione entro la quale l’onda svanisce, si consideri il caso incui n1 = 1.5 (vetro) e n2 = 1 (aria), θ1 = 45◦ > θc, si ottiene

γ = 2.22/λ

il che implica che ad una distanza di ' λ/2 l’ampiezza si riduce di un fattore1/e.

Un’onda evanescente puo essere convertita in un’onda propagante nelprocesso di interazione con la materia. Per capire quando questo fenomenopuo avvenire, si considerino tre mezzi posti in successione, con superfici diseparazioni piane e con indici di rifrazione n1, n2, n3 tali che n2 < n3 < n1

(figura 1.11). Si prenda inoltre il secondo mezzo di dimensioni d dell’ordinedella lunghezza di decadimento. Un sistema del genere per esempio puoessere facilmente creato posizionando due prismi ad una distanza d. Dataun’onda piana nel primo mezzo si va a studiare la “propagazione” di questanel secondo e nel terzo mezzo. Tre sono i casi possibili a seconda del valoredell’angolo di incidenza, di seguito si indica con θi,jc l’angolo critico tra ilmezzo i e il mezzo j.

1. θ1 < θ1,2c i campi sono tutti propaganti e non vi e alcuna dipendenza

sostanziale dell’intensita dalla distanza d;

2. θ1,2c < θ1 < θ1,3

c il campo nel mezzo 2 e evanescente ma nel mezzo 3 econvertito in propagante. L’intensita dell’onda trasmessa nel mezzo 3decresce con la distanza d;

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1.4. SNOM

Figura 1.11: Trasmissione di un’onda piana attraverso un sistema di dueinterfacce parallele. In opportune condizioni l’onda evanescente creata all’in-terfaccia B e parzialmente convertita in un’onda propagante dall’interfaccia A.a) Configurazione e definizione dei parametri. b) Realizzazione sperimentaleattraverso due prismi affacciati.

3. θ1 > θ1,3c le onde nel mezzo 2 e nel mezzo 3 sono evanescenti.

Si ha una migliore comprensione dei tre casi se si considera il vettore d’onda

kjz = kj

√1−

(k1

kj

)2

sin2θ1

Il secondo caso e quello piu interessante per la microscopia ottica in campoprossimo, perche vi e la necessita di convertire l’onda evanescente contenentele informazione provenienti da un eventuale campione in un’onda propagante.C’e da considerare il fatto che nel secondo mezzo l’onda evanescente che siviene a creare ha un andamento che si discosta dal semplice esponenziale mae della forma

c1e−γz + c2e

γz

dove il secondo termine deriva dalla componente riflessa dall’interfaccia tra imezzi 2 e 3 [11].

1.4.4 Tipologie di microscopia in campo prossimo

Con il termine microscopia in campo prossimo si indica quella microscopiache utilizza un’onda evanescente per ottenere informazioni su un campione.Non e possibile descrivere univocamente il suo funzionamento perche non vie una sola soluzione implementativa ma due che differiscono l’una dall’altraper moltissimi aspetti. Quindi e necessario fare una distinzione tra:

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1.4. SNOM

• “aperture”-SNOM;

• “scattering”-SNOM.

Aperture-SNOM

Negli SNOM con sonda ad apertura l’onda evanescente viene ottenuta inviandouna radiazione in una piccola apertura (con diametro al di sotto della lunghezzad’onda). Tipicamente le sonde vengono realizzate a partire da una fibra otticache viene “appuntita” e metallizzata, per far si che la radiazione vengaconfinata all’interno della punta. Materiali tipici con i quali viene effettuataquesta operazione sono l’oro, l’argento, l’alluminio, ecc. Due sono le modalitanelle quali una sonda ad apertura puo operare:

• illumination mode - modalita di illuminazione;

• collection mode - modalita di raccolta.

Nella prima modalita viene iniettata della radiazione all’interno della fibra,in modo che alla sua estremita si produca un campo prossimo. Questointeragisce con il campione e lo trasforma in campo propagante che puo essereraccolto in riflessione o in trasmissione tramite l’ausilio di una lente. In altreparole l’illuminazione del campione viene effettuata tramite il campo prossimodella sonda. Nella modalita di raccolta invece il campione viene illuminatoesternamente da una radiazione, che puo essere sia propagante che non e lasonda in questo caso funge da rivelatore.

In entrambe le modalita e necessario che la punta si trovi sempre alladistanza di pochi nanometri dal campione, poiche, come detto nel paragrafo1.4.3, l’onda evanescente svanisce entro una distanza pari alla lunghezzad’onda λ della radiazione. Allora trattandosi di una microscopia a scansionee necessario che esista un sistema per la stabilizzazione della distanza, perevitare che a causa delle irregolarita della superficie del campione la puntapossa o avvicinarsi troppo, rischiando di danneggiarsi, o possa allontanarsitroppo, rendendo nullo l’effetto dell’onda evanescente. Il sistema piu utilizzatoe quello della rivelazione della cosiddetta shear-force, una forza di carattereviscoso che comincia ad essere non trascurabile ad una distanza di 10 nmdal campione. La punta quindi viene messa in oscillazione tramite unaforchetta al quarzo, detta tuning fork (vedi figura 1.13) e viene monitoratala sua ampiezza di oscillazione. Quando la punta comincia a risentire dellashear-force, la sua ampiezza di oscillazione, monitorata dal segnale elettricofornito dalle stessa forchetta, diminuisce ed il circuito di feedback regola latensione che stabilisce l’altezza geometrica della punta [12]. Cosı, mantenendo

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1.4. SNOM

Figura 1.12: Rappresentazione delle varie modalita di funzionamento di unaperture-SNOM. a) Il campo prossimo viene generato tramite la punta, lasua interazione con il campione, sotto forma di radiazione, puo essere raccoltaesternamente sia in riflessione che in trasmissione. b) L’apertura e utilizzatacome un pinhole per raccogliere la radiazione provieniente dal campioneilluminato esternamente. c) Un’onda evanescente creata esternamente perriflessione totale viene utilizzata per investigare il campione e la punta raccogliela radiazione prodotta.

costante l’ampiezza di oscillazione, e possibile mantenere costante anche ladistanza punta-campione. L’introduzione della tuning-fork ha reso obsoletii sistemi ottici per la rivelazione della ampiezza di oscillazione, nei quali lapunta, fatta vibrare da un tubo piezoelettrico, veniva posta all’interno di uninterferometro.

Scattering-SNOM

Le sonde a scattering hanno un diverso principio di funzionamento, in quantovengono impiegate come nano-diffusori o nano antenne per produrre uncampo prossimo che possa investigare il campione. Le sonde sono realizzatemetallizzando punte come le leve impiegate nei microscopi a forza atomica(vedi par. 1.3.2), oppure usando punte metalliche come quelle per gli STM(vedi par. 1.3.1). E possibile dimostrare che la risoluzione di uno SNOM diquesto tipo dipende molto dal raggio di curvatura della punta,e per questomotivo si possono raggiungere risoluzioni superiori a quelle di uno SNOM ad

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1.4. SNOM

Figura 1.13: Schema di una tuning-fork con una fibra incollata ad un suolato.

Figura 1.14: Immagine topografica di un cd-rom ottenuta tramite rivelazionedella shear-force di un microscopio SNOM.

apertura. Tuttavia realizzare un microscopio del genere non e affatto banalee molte sono le problematiche in cui si puo incorrere.

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1.4. SNOM

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Capitolo 2Microscopia confocale

In questo capitolo verranno trattati vari aspetti della microscopia confocaledei quali alcuni gia anticipati nel par. 1.2.1. Il termine confocale ricorda lacondizione che impone a due lenti di essere posizionate con i fuochi coincidentinello stesso punto. Analogamente in questo tipo di microscopia il termine siriferisce alla presenza di un pinhole confocale, ovvero posizionato nel fuoco diuna lente. Per “pinhole”, letteralmente “foro di spillo”, si intende un foro dipiccolissime dimensioni, solitamente dell’ordine della decina di micron. Lasua presenza e fondamentale e fornisce numerosi vantaggi alla microscopiaconfocale rispetto a quella convenzionale. Tra questi si ha:

• la possibilita di controllare la profondita di campo;

• l’eliminazione o riduzione delle informazioni di background lontane dalpiano focale;

• la capacita di acquisire sezioni ottiche di campioni tridimensionali.

Tutto cio viene effettuato tramite un filtraggio spaziale per eliminare la lucefuori fuoco, del quale si parlera in seguito.

2.1 La nascita della microscopia confocale

Il concetto alla base della microscopia confocale fu sviluppato originariamenteda Marvin Minsky intorno al 1950 [13] (brevettato nel 1961), durante il suo“postdoc” all’universita di Harvard. Minsky voleva osservare delle reti neuralisu dei tessuti cellulari e fu guidato dal desiderio di costruire uno strumentoche permettesse di visualizzare gli eventi biologici cosı come avvengono neisistemi viventi. L’apparato da lui costruito (vedi figura 2.1) effettuava una

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2.2. Principio di funzionamento

Figura 2.1: Schematizzazione semplificata del microscopio confocale realizzatoda Minsky. Con le lettere maiuscole si e indicato con: A il pinhole dellalampada; B il pinhole del rivelatore; C il condensatore; D il fuoco; E unpunto sul campione fuori fuoco; O l’obiettivo; P il rivelatore; S il campione. Ilpinhole permette di selezionare soltanto i raggi passanti per il fuoco, gli altriraggi come g-h vengono bloccati e pertanto non concorrono alla formazionedell’immagine.

ricostruzione dell’immagine punto per punto, come nella microscopia a scan-sione (vedi par. 1.2), focalizzando su ognuno di essi della luce. Illuminandoun punto alla volta Minsky evito di raccogliere gran parte della luce nonvoluta proveniente da diffusione quando tutto il campione era illuminato allostesso tempo. Per ricostruire l’immagine Minsky preferı muovere il campionepiuttosto che i raggi luminosi. Inoltre la luce proveniente in trasmissione dalcampione veniva fatta passare attraverso un pinhole, in modo da bloccare iraggi provenienti non direttamente dal punto focale. I raggi “buoni” invecevenivano raccolti attraverso un fotomoltiplicatore. Sfortunatamente per lui,solo dopo la scadenza del suo brevetto cominciarono ad essere sviluppati iprimi microscopi confocali a scansione. Dopo parecchi anni furono compresele vere capacita della microscopia confocale ed ebbe un enorme successo graziealla sua facilita di realizzazione e di impiego, soprattutto in campo biologicoper la scansione di cellule e di tessuti. I moderni microscopi confocali hannomantenuto i punti chiave dell’idea di Minsky: il pinhole per raccogliere la lucee la scansione punto per punto del campione. Sostanziali cambiamenti si sonoavuti invece nell’elettronica e nell’ottica grazie al progresso avvenuto neglianni a seguire. Oggi la maggior parte dei microscopi confocali operano inriflessione, o rivelando la luce diffusa, o l’eventuale fluorescenza del campione(molto usata per applicazioni biologiche).

2.2 Principio di funzionamento

Per comprendere meglio il principio di funzionamento su cui si basa la micro-scopia confocale si consideri la coppia di lenti mostrata in figura 2.2. I raggi

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2.2. Principio di funzionamento

Figura 2.2: Confronto del principio di funzionamento tra un microscopioconvenzionale ed uno confocale. Come si puo notare un pinhole e in grado diselezionare solo i raggi provenienti dal fuoco della lente L1. I raggi provenientidalla stella e dal quadrato vengono bloccati in quanto gli oggetti non sitrovano nel fuoco di L1.

verdi focalizzano la luce dal punto focale F1 della lente L1, al punto focaleF2 della lente L2. Questi raggi forniscono una corretta immagine del cerchioverde, che si trova appunto nel fuoco della prima lente. Se da altri punti,rappresentati dalla stella rossa e dal quadrato viola, emergono altri raggi,allora questi effettueranno un percorso diverso dai precedenti, perche nonprovenienti dal punto focale F1. Ovviamente questi formeranno le immaginidella stella e del quadrato in punti diversi da quello dell’immagine del cerchio.Questa e una schematizzazione di cio che avviene nella microscopia ottica,considerando la lente L1 come l’obiettivo del microscopio e L2 come la lenteusata per inviare la luce verso il rivelatore. Nella microscopia convenzionaletutti i raggi provenienti da oggetti che rientrano nel campo di lavoro dell’o-biettivo, che riescono a raggiungere il rivelatore, concorrono al processo diformazione dell’immagine. Nella microscopia confocale, invece, lo scopo eraccogliere un’immagine soltanto dell’oggetto posto nel fuoco dell’obiettivo,rappresentato in questo caso dal cerchio verde. Come si vede il pinhole bloccai raggi provenienti dalla stella rossa e dal quadrato viola, perche posti in

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2.2. Principio di funzionamento

Figura 2.3: Schematizzazione di un microscopio confocale nella modalita“epi-illuminated”. Solo i raggi che passano per il punto D giungono al rivelatore.

posizioni lontane dal fuoco F1. Ricapitolando, quindi, la presenza del pinhole,nella microscopia confocale, permette di selezionare solo i raggi provenientidal punto focale dell’obiettivo del microscopio.

Questa premessa era necessaria per poter affrontare una descrizione piudettagliata del funzionamento dell’apparato utilizzato da Minsky illustrato infigura 2.1. L’illuminazione viene fornita da una lampada ed il suo campo diilluminazione viene limitato da un pinhole, posizionato sull’asse del micro-scopio. La luce raccolta dal condensatore viene proiettata sul campione, chedara origine ad una parte di radiazione diffusa alla stessa lunghezza d’ondadi quella incidente [5]. Se poi il campione presenta una fluorescenza daravita ad una parte ad una lunghezza d’onda diversa da quella di eccitazione.Il percorso del fascio ottico e fissato ed e il campione a muoversi per essereinvestigato punto per punto. La lente (o il sistema di lenti) che precede l’o-biettivo viene scelto in modo che il fascio illumini tutta la pupilla di ingressodi quest’ultimo. Il campione solitamente alloggia su uno stadio scanner xy,in modo da poter effettuare la scansione punto per punto. Questa radiazioneviene catturata dall’obiettivo e lanciata su un secondo pinhole (in posizioneconfocale), che si occupa del filtraggio spaziale di cui si e parlato piu sopra.Alla fine del percorso ottico un fotomoltiplicatore rileva il segnale, che vienepoi amplificato e passato all’elettronica per la formazione dell’immagine.

Il microscopio confocale puo essere utilizzato anche nella modalita “epi-illuminated”, ovvero con l’illuminazione e l’osservazione del campione dallostesso lato, come si vede in figura 2.3. Lo stesso obiettivo che viene usatoper focalizzare la luce e utilizzato anche per raccoglierla, evitando cosı didover allineare l’uno con l’altro due obiettivi. Per separare i due fasci si puofare ricorso ad uno specchio dicroico se si vuole esaminare la fluorescenza,ad un beam-splitter polarizzante se c’e una variazione della polarizzazione, o

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2.3. LSCM

molto piu semplicemente ad un normale beam-splitter non polarizzante. Ilfascio uscente dall’obiettivo una volta isolato viene focalizzato da una secondalente su un pinhole, analogamente al caso precedente, per poi inviarlo ad unrivelatore.

2.3 LSCM

Solitamente vengono utilizzati uno o piu laser come sorgenti per la microscopiaconfocale. In questo caso quindi si parla di microscopia confocale laser ascansione indicata spesso con l’acronimo LSCM. I vantaggi che si hannopreferendo una sorgente laser ad una lampada sono:

• un’elevata intensita;

• un elevato grado di monocromaticita;

• un’elevata polarizzazione del fascio;

• un alto grado di coerenza.

Tutti questi fattori rendono il laser la sorgente preferita per moltissimeapplicazioni di microscopia confocale.

Lo schema di un semplice microscopio confocale laser a scansione e il-lustrato nella figura 2.4 e non differisce molto dal caso con lampada vistonella figura 2.3. Analogamente qui la luce laser interagisce con il campione eproduce luce riflessa e diffusa alla lunghezza d’onda di eccitazione e a quelladi una eventuale fluorescenza. In quest’ultimo caso il vantaggio principale nel-l’utilizzo di un laser risiede nella monocromaticita della sorgente. E possibilescegliere oppurtunamente la sorgente per eccitare solo una data transizione edeffettuare la rivelazione tramite un fotomoltiplicatore, bloccando facilmente ilfascio di eccitazione con l’ausilio di un filtro.

2.4 Risoluzione

Nel paragrafo 1.1 e stato ampiamente trattato l’argomento sulla risoluzione diun sistema ottico. Si e giunti alla conclusione che per un microscopio otticovale l’espressione

δmin[x, y] = 0.61λ0

NA, (2.1)

dove si intende con λ0 la lunghezza d’onda nel vuoto, con NA l’aperturanumerica dell’obiettivo e con [x, y] che la risoluzione e valutata sul piano focale.Tale limite continua a valere anche nel caso della microscopia confocale.

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2.4. Risoluzione

Figura 2.4: Schema di un microscopio confocale laser. Anche qui e possibilenotare la discriminazione dei raggi, effettuata dal pinhole, non provenientidal piano focale.

2.4.1 Risoluzione assiale

In un microscopio confocale oltre alla risoluzione nel piano xy data dalla (1.6),si puo parlare anche di una risoluzione assiale, cioe lungo l’asse z dell’obiettivo.Per introdurre la risoluzione assiale si puo procedere analogamente a quantofatto per la risoluzione laterale calcolata nel paragrafo 1.1.3 tramite il criteriodi Rayleigh. Ne consegue che la risoluzione assiale puo essere definita come ladistanza minima tra due punti disposti lungo l’asse del microscopio affinchele loro immagini siano risolte. Per definire la distanza minima si utilizzaancora una volta la figura di diffrazione di una sorgente puntiforme, percercare le dimensioni per l’analogo del disco di Airy lungo l’asse z. Si puodimostrare [11] che la risoluzione assiale e data dall’espressione

δmin[z] = 2nλ

NA2. (2.2)

Questa quantita e anche chiamata profondita focale e rappresenta la minimadistanza entro la quale due sorgenti puntiformi, poste lungo l’asse ottico,produrranno un segnale nel rivelatore. Come detto all’inizio di questo capitolo,con questo tipo di microscopia e possibile creare delle immagini 3D di uncampione, con una risoluzione nel piano xy data dalla (2.1) e lungo z datadalla (2.2). Come si puo notare mentre la risoluzione laterale scala linearmentecon NA quella assiale va come NA2.

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2.5. Ricostruzione tridimensionale

2.4.2 Point Spread Function

Un indicatore del grado di risoluzione viene fornito dalla Point Spread Function.La PSF, letteralmente “funzione di sparpagliamento dei punti”, descrive larisposta di un sistema ottico ad una sorgente puntiforme. L’introduzionedi questo concetto e molto utile nella microscopia confocale. Il grado di“sparpagliamento” del punto oggetto e una misura del potere risolutivo delsistema ottico, quindi piu stretta sara la PSF migliore sara la risoluzione.Un punto nello spazio (x, y) e caratterizzato da una delta, mentre la suatrasformata avra uno spettro infinito di frequenze spaziali kx, ky. Nellapropagazione vengono bloccate le alte frequenze, usualmente quelle associatea valori complessi di k per i quali (k2

x +k2y) > k2. La riduzione dello spettro fa

si che risulta impossibile ricostruire perfettamente l’immagine del punto e perquesto motivo essa non sara puntiforme ma avra una dimensione finita. Unpunto nello spazio oggetto apparira come una macchia di dimensioni finitenello spazio immagine. L’immagine di un oggetto esteso puo essere vistacome la somma delle immagini dell’insieme di punti che costituisce l’oggetto,ovvero la convoluzione della PSF per ogni punto.

La forma della PSF dipende dal sistema ottico ed e una funzione tridi-mensionale di x, y e z, con quest’ultimo asse coincidente con quello ottico.La distribuzione della PSF nel piano del fuoco e descritta dal disco di Airy. Acausa della simmetria cilindrica delle lenti del microscopio, le due componentilaterali (x e y) del disco di Airy sono equivalenti ed il disco rappresenta ladistribuzione laterale come una funzione della distanza dall’asse ottico. Nelcaso della microscopia confocale la sua forma e ellissoidale, mentre nel casodella microscopia convenzionale e a forma di clessidra. In figura 2.5 vi e ilconfronto tra le point spread function di queste due tipi di microscopia proiet-tate sul piano xz [7]. Come si puo notare nel caso confocale vi e una drasticariduzione in intensita delle “ali” presenti invece nel caso convenzionale.

2.5 Ricostruzione tridimensionale

Le immagini che si ottengono dalla microscopia confocale sono sezioni ottiche,perche attraverso il pinhole si selezionano solo le informazioni provenientidal piano focale del campione. Ne consegue quindi che cambiando la “messaa fuoco”, o equivalentemente cambiando la posizione alla quale si trova ilcampione, e possibile ottenere varie sezioni ottiche dello stesso campionee da queste ricostruire una immagine tridimensionale. La risoluzione diquesta ricostruzione nel piano xy sara data dalla (2.1), mentre lungo z saradata dalla (2.2). In figura 2.6 vi sono illustrate varie sezioni di un grano di

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2.6. Componenti

Figura 2.5: Confronto della point spread function proiettata sul piano xz perla microscopia convenzionale (a sinistra) e per quella confocale (a destra).

polline catturate tramite la microscopia confocale ed in figura 2.7 vi e la lororicostruzione tridimensionale [14].

2.6 Componenti

L’implementazione di un microscopio confocale e abbastanza semplice. Inquesto paragrafo verranno descritti i vari possibili modi in cui e possibile rea-lizzare il principio del confocale. Innanzitutto, trattandosi di una microscopiaa scansione (si veda il par. 1.2), l’idea principale e muovere la luce focalizzatasu un oggetto, in modo da ricostruirne l’immagine. Generalmente questoviene fatto sequenzialmente: ogni elemento dell’immagine richiedera un certotempo di acquisizione, solo dopo il quale potra essere acquisito un nuovoelemento. L’acquisizione contemporanea di piu punti avviene invece tramitel’utilizzo di scanner a disco del quale parleremo verso la fine del capitolo (par.2.10.1).

2.6.1 Stadio scanner

Il modo piu semplice per ottenere una scansione del campione e lasciare fissole ottiche e muovere l’oggetto. Questa modalita comporta alcuni vantaggi:

• tutte le ottiche lavorano sul proprio asse;

• la grandezza della zona di scansione non dipende dalla dimensione delleottiche;

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2.6. Componenti

Figura 2.6: Sezioni a diverso z , distanti 3 µm, di un grano di polline ottenutetramite un microscopio confocale a fluorescenza. Le dimensioni di un granodi questa specie possono variare da 20 a 40 µm.

Figura 2.7: Ricostruzione tridimensionale di un grano di polline, a partiredalle sezioni ottiche mostrate in figura 2.6.

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2.6. Componenti

Figura 2.8: Schema di un microscopio confocale a scansione che usa duegalvanometri per muovere il fascio.

• la posizione e le dimensione dell’oggetto possono essere conosciuteassolutamente, piuttosto che ricavate dal trasferimento ottico.

Non c’e da meravigliarsi quindi del fatto che i primi microscopi confocaliutilizzassero degli stadi scanner per la scansione del campione. L’unicosvantaggio comune con tutti i microscopi a scansione e il tempo di acquisizioneche risulta strettamente legato ai tempi di movimento dello scanner e al tempodi integrazione del segnale.

2.6.2 Fascio laser come scanner

Per avere uno strumento piu veloce puo avere senso muovere il fascio laserpiuttosto che l’oggetto. I microscopi che usano questo tipo di approcciohanno due specchi montati su dei galvanometri, come mostrato in figura (2.8).Uno effettua il movimento in X, l’altro in Y e muovono il fascio laser lineaper linea come gli elettroni in un tubo catodico. Il fascio pero attraverserale ottiche fuori il proprio asse e l’area di scansione sara limitata dalle lentidell’obiettivo [15].

2.6.3 Il pinhole

La capacita di un microscopio confocale di fornire sezioni ottiche deriva tuttadall’utilizzo del pinhole che blocca i raggi fuori fuoco, ne consegue che dalle suedimensioni dipende la risoluzione assiale delle immagini. Si potrebbe pensareche la scelta migliore risieda nel prendere un pinhole il piu piccolo possibilema si deve considerare che riducendo le dimensioni del foro si riduce anche ilnumero di fotoni che arriva al rivelatore. Inoltre e stato dimostrato che la

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2.7. Fluorescenza

risoluzione assiale non migliora considerevolmente prendendo un pinhole condiametro piu piccolo del disco di Airy [16], la cui espressione, si ricorda, edata dalla (1.4)

q1 = 1.22Rλ

2a.

La scelta migliore quindi consiste nell’utilizzare un pinhole che abbia ildiametro circa uguale alle dimensioni del disco di Airy.

2.6.4 Altri componenti

Ovviamente un microscopio confocale a scansione non e fatto solo da unpinhole e da un sistema scanner ma sono richiesti anche altri componenti deiquali pero non si parlera in maniera dettagliata. Per raccogliere il segnale enecessario utilizzare un rivelatore, tipicamente un fotomoltiplicatore, oppurein alternativa dei fotodiodi a valanga. I fotomoltiplicatori sono i rivelatoriideali per la microscopia confocale, grazie alla loro velocita, sensibilita ed unelevato rapporto segnale rumore. Come sorgente viene utilizzata in genere unlaser ed il fascio deve riempire tutta l’apertura del microscopio.

Se il microscopio lavora utilizzando la fluorescenza del campione sarannonecessari anche dei filtri da porre subito prima del rivelatore, in modo dabloccare la lunghezza d’onda del laser e lasciar passare la fluorescenza. Unavolta che il segnale e stato raccolto vi e bisogno di un’elettronica che loamplifichi e che ricostruisca le immagini dalle informazioni su ogni singolopixel. Inoltre sempre l’elettronica deve occuparsi di muovere lo scanner e difar si che l’acquisizione sia sincronizzata con il movimento.

2.7 Fluorescenza

La fluorescenza e un processo radiativo con cui si puo verificare il rilassamentodi una molecola eccitata. A temperature ordinarie la maggior parte dellemolecole si trovano nei loro stati di energia piu bassa. Esse possono assorbireun fotone (per esempio nel blu) che incrementa la loro energia causandoun salto ad uno stato eccitato. In figura 2.9 questo livello e rappresentatodalla linea orizzontale piu alta. Tipicamente la molecola dissipa rapidamente(entro 10−8 sec) parte dell’energia assorbita attraverso collisioni con le mole-cole circostanti, causando il passaggio dell’elettrone ad un livello energeticoinferiore (linea al centro nella figura). Se le molecole circostanti non sono ingrado di accettare tutta l’energia assorbita, allora puo essere emessa tramite“emissione spontanea” ad una lunghezza d’onda piu alta (per esempio nel

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2.8. I campioni

Figura 2.9: Meccanismo della fluorescenza. Le linee orizzontali indicano ilivelli energetici di una molecola. La luce emessa e ad energia piu bassa diquella assorbita.

verde). La fluoresceina e un tipico fluoroforo che si comporta in questo modo,emette nel verde ed assorbe nel blu.

La fluorescenza nella microscopia confocale porta alcuni vantaggi. Traquesti la possibilita di rivelare il segnale privo di informazioni di background,utilizzando un filtro per tagliare la lunghezza d’onda di eccitazione.

2.8 I campioni

Nella microscopia confocale, come in quella convenzionale, e necessario cheil campione che si voglia analizzare dia una forma di contrasto ottico trale sue varie zone, in particolare quindi che riflettano o assorbano in mododiverso la luce. Di maggiore utilita invece e la capacita del campione dimostrare una fluorescenza a determinate lunghezze d’onda. Se poi il campionenon mostra ne alcuna fluorescenza, ne contrasto ottico, e sempre possibileattaccare delle molecole di flouroforo al campione, rendendolo visibile a certelunghezze d’onda di eccitazione.

2.9 Applicazioni

La microscopia confocale e utilizzata in una grande varieta di settori scientificima in particolare ha avuto un enorme successo in campo biologico comestrumento per la visualizzazione delle cellule viventi. Spesso viene realizzatafacendo ricorso ad una proteina fluorescente nel verde o ad altri fluorocromiattaccati ai componenti cellulari, rilevando la loro posizione o il loro movi-

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2.10. Tecniche alternative

Figura 2.10: A - Schema semplificato di un disco di Nipkow con pochi pinhole.B - Area investigata dai pinhole del disco posto in rotazione a velocita costante.

mento. Inoltre questo tipo di microscopia ha la capacita di ricreare immaginitridimensionali dei campioni, caratteristica che manca alle altre tecniche dimicroscopia.

2.10 Tecniche alternative

La microscopia confocale non e l’unico tipo di microscopia che permette dicatturare immagini legate strettamente al piano focale. Qui di seguito sipassano in rassegna le principali tecniche di microscopia alternative.

2.10.1 Disco di Nipkow

La nozione che la microscopia confocale debba obbligatoriamente usare sor-genti laser per l’illuminazione e accettata a causa dell’enorme diffusione diapparati commerciali per la microscopia laser a scansione. Tuttavia non eassolutamente vero che un microscopio confocale richieda esclusivamente unasorgente laser. Minsky (l’inventore del primo microscopio confocale) uso perl’illuminazione una lampada allo zirconio per il prototipo che costruı intornoal 1950. Molti microscopi confocali “a disco rotante” utilizzano sorgentinon-laser perche solo questo tipo di sorgenti possono illuminare un’ampiazona. Questo tipo di microspia si basa sull’utilizzo del disco di Nipkow, dalnome del suo inventore. Nipkow voleva trovare un metodo per convertireun’immagine bidimensionale, in un segnale elettrico unidimensionale.

Il Disco e composto da numerosi pinhole disposti su una spirale, dallafigura 2.10 si puo intuire il principio di funzionamento del disco: una voltamesso in rotazione, i fori, posti ad angoli costanti e ad una distanza dal

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2.10. Tecniche alternative

centro che diminuisce costantemente, effettuano una scansione dell’oggetto.Illuminando il disco con una lampada si illumina il campione attraverso ipinhole ed il segnale che viene raccolto, in riflessione o in trasmissione, daun rivelatore contiene in sequenza ogni singolo elemento della scansione. Inquesto modo Nipkow realizzo la conversione di una immagine estesa in unsemplice segnale elettrico [5]. Sostanzialmente le tecniche di microscopia adisco rotante, sono tecniche di microscopia confocale ma sono state considerate“alternative” per la loro profonda differenza con la tecnica standard fin quidiscussa.

2.10.2 Microscopia a due fotoni

Una eccellente alternativa alla microscopia confocale e la microscopia adue fotoni, basata sulla rivelazione della fluorescenza delle molecole. Nellamicroscopia confocale la fluorescenza viene eccitata da un solo fotone, mentrein questo tipo di microscopia sono due i fotoni (ad energia piu bassa) richiestiper eccitare quella transizione. Un singolo fotone a bassa energia non puoessere assorbito, perche non ha energia sufficiente per eccitare la molecola equindi non puo provocare fluorescenza. Se invece un altro fotone raggiungeil precedente entro un tempo pari a 10−16 sec, allora si raggiunge la sogliaper provocare l’eccitazione della fluorescenza. Ovviamente questo tipo diassorbimento, essendo un processo al secondo ordine, ha una probabilitamolto bassa di avvenire e quindi una sezione d’urto molto piccola. Per avereun’idea su quanto sia raro come evento si tenga presente che la molecola“rodamina B” se esposta alla luce del sole, assorbira un fotone al secondo,mentre ne assorbira due alla volta ogni dieci milioni di anni. Essendo questaprobabilita proporzionale al quadrato dell’intensita della radiazione a cui ilcampione e esposto, si utilizzano per questi scopi laser impulsati (< 10−12

sec). Solo con questi tipi di laser che emettono nell’infrarosso (tipicamenteil titanio-zaffiro) si riescono a raggiungere intensita tali da poter rendere lafluorescenza a due fotoni un fenomeno osservabile. Inoltre c’e da dire che laprobabilita dell’assorbimento di due fotoni e diversa da zero solo nelle strettevicinanze del piano focale, dove nel fascio si ha una densita estremamentealta di fotoni. Per cui questa tecnica rende superfluo l’utilizzo del pinhole, inquanto il suo ruolo di selezione dei raggi viene automaticamente effettuatodai fotoni.

Perche allora non rimpiazzare la microscopia confocale con quella a duefotoni? Si deve ricordare che questa tecnica ha senso solo se il campionepossiede una fluorescenza, mentre la microscopia confocale puo essere utilizzataanche nel caso di semplice riflessione o trasmissione. Il principale svantaggio

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2.10. Tecniche alternative

risiede poi nelle sorgenti laser impulsate, essendo molto costose e “scomode”da usare rispetto ai comuni laser in continua.

2.10.3 STED

Un altro metodo per ottenere microscopia confocale e chiamato STED (STi-mulated Emission Depletion). Il principio alla base dello STED consistenell’usare l’emissione stimolata per ridurre selettivamente la popolazione deglistati eccitati che potrebbero dar vita alla fluorescenza. La “spopolazione”avviene dovunque, tranne che in prossimita del piano focale. L’apparatoe costituito allora da due sorgenti laser impulsate, una usata per indurrel’eccitazione (ad un fotone), la seconda, piu potente della prima per indurrel’emissione stimolata. Quest’ultimo laser viene scelto in modo che la lun-ghezza d’onda non possa produrre fluorescenza. L’attuale “record mondiale”di 33 nm di risoluzione nella microscopia con onde propaganti, e detenutoproprio da uno STED [17].

Il fascio di “svuotamento”, ovvero quello che provoca emissione stimolata,e elaborato in modo da avere intensita zero nel fuoco geometrico dell’obiettivo(vedi figura 2.11). Questo garantisce che il fascio spopoli gli stati eccitatidovunque, tranne in una piccola regione contenente il fuoco. Il risultato eche si raggiunge una risoluzione legata alle dimensioni di quest’area, che puoessere resa piu piccola del limite di diffrazione [11].

Anche qui, come nella microscopia a due fotoni, e obbligatorio dire cheuno strumento del genere oltre ad essere utilizzabile solo per campioni chepresentano fluorescenza, risulta essere anche molto dispendioso poiche richiedela presenza di due sorgenti impulsate.

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2.10. Tecniche alternative

Figura 2.11: Microscopia con tecnica STED. a) Schema dell’apparato, conrappresentazione dell’intensita dei due fasci focalizzati. b) e c) confronto trale risoluzione di un microscopio STED ed uno confocale.

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Capitolo 3Realizzazione di un microscopioconfocale laser a scansione

Questo capitolo e dedicato al lavoro sperimentale svolto preliminarmente alleoperazioni di misura. Si analizzeranno gli obiettivi preposti, i passi eseguiti perraggiungerli ed il lavoro finale conseguito. Si cerchera di illustrare l’apparatosperimentale ed il suo processo di realizzazione, in maniera dettagliata perevidenziare la complessita del lavoro svolto.

3.1 Il progetto

L’obiettivo di questo lavoro di tesi consiste nel completamento della primaparte di un ampio progetto, che ha come fine ultimo la realizzazione completadi un microscopio a scansione in campo prossimo. Schematicamente il progettopuo essere diviso in due parti:

• realizzazione di un microscopio confocale laser a scansione;

• realizzazione di una testa per la microscopia in campo prossimo.

Qui di seguito verranno analizzati nel dettaglio entrambi i passi.

3.1.1 Il microscopio confocale laser a scansione

Prima parte del progetto e oggetto di questo lavoro di tesi, e la realizzazionedi un microscopio confocale laser a scansione, la cui teoria e stata affrontata inmaniera approfondita nel cap. 2. In particolare si e costruito un microscopioconfocale con due sorgenti laser, che opera in riflessione, con un percorsoottico fissato, uno stadio scanner per effettuare la scansione del campione e

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3.2. L’apparato

due canali di rivelazione. Il primo canale e caratterizzato dalla presenza diun fotomoltiplicatore mentre l’altro da uno spettrometro. Proprio grazie aquesti due canali il microscopio e in grado di rivelare sia la componente discattering del fascio laser, sia la componente di una eventuale fluorescenza delcampione ed inoltre grazie allo spettrometro e possibile acquisire gli spettridei singoli punti di una immagine.

Una volta completata la realizzazione di questo microscopio si e procedutoa testarlo con alcuni campioni di nanoparticelle e di microstrutture d’oro, perverificarne il funzionamento e per migliorarne le potenzialita. Naturalmenteil lavoro non si e esaurito qui: l’apparato costruito e stato utilizzato pereffettuare delle scansioni di alcuni polimeri aventi proprieta litografiche maquesto argomento sara materia del prossimo capitolo.

3.1.2 Il microscopio in campo prossimo

Secondo obiettivo, che non e stato oggetto di studio di questo lavoro di tesi,e la realizzazione di un microscopio a scansione in campo prossimo, la cuiteoria e stata trattata in precedenza nel paragrafo 1.4. La progettazionedello SNOM non e stata compiuta separatamente da quella del microscopioconfocale, entrambi i microscopi faranno parte dello stesso apparato: ilmicroscopio a campo prossimo sara una estensione di quello confocale. La suaimplementazione avverra tramite il montaggio di una “testa” sopra l’obiettivodel microscopio confocale, questa sara costituita da tre motorini passo-passoper il movimento in x, y e z ed ospitera la punta per la generazione del campoprossimo. Molto probabilmente la sonda montata sara del tipo “aperture”-SNOM (vedi par. 1.4.4) ma che in futuro potrebbe anche essere rimpiazzatacon una “scattering”-SNOM (trattata sempre nel par. 1.4.4). Tutto il sistemaottico, che adesso funge da microscopio confocale, diventera la parte dirivelazione dello SNOM.

3.2 L’apparato

L’apparato sperimentale realizzato nel corso del lavoro di tesi e rappresentatoin figura 3.1, il modo piu sensato per intraprendere una descrizione di questoe quello di partire dalle sorgenti, seguire il percorso della luce lungo le varieottiche, per poi arrivare alle linee di rivelazione. I laser utilizzati come sorgentiper l’illuminazione del campione sono due, uno ad He-Ne, che emette allalunghezza d’onda di 632.8 nm, ed uno ad Argon, che emette invece a diverselunghezze d’onda. Le righe piu intense di quest’ultimo, che poi sono state leuniche ad essere utilizzate, sono quelle alle lunghezze d’onda di 488.0 nm e

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3.2. L’apparato

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3.1:

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3.2. L’apparato

514.5 nm, tra le quali e possibile passare variando l’angolo di incidenza delfascio su un reticolo di diffrazione interno al laser. Le motivazioni che hannospinto ad utilizzare dei laser per la microscopia confocale sono state espostenel paragrafo 2.3. Su ogni linea dei laser e stato posto un polarizzatore percambiare a piacimento la potenza del laser e la direzione di polarizzazione.Le linee viaggiano separate, ognuna attraverso un proprio sistema di lenti peringrandire le dimensioni dei fasci, fino al primo beam splitter, che svolge lafunzione di sovrapporre i due raggi laser. Uniti, i due fasci vengono direttiverso il microscopio, preceduto da un “chopper” per la modulazione del fasciolaser. Le potenze massime in ingresso al microscopio sono riportate nellatabella che segue.

Lunghezze d’onda 488.0 nm 514.5 nm 632.8 nmPotenza massima 1128 µW 1364 µW 200 µW

Il microscopio e in configurazione invertita ed ospita un obiettivo 100×per focalizzare il fascio sul campione, giacente su uno scanner piezoelettricoxy, necessario per effettuare la scansione del campione punto per punto.Di questo scanner, e delle motivazioni che hanno spinto a sceglierlo, se neparlera con maggiore attenzione nel par. 3.2.1. Il campione, posto su unacoverslip da 125 µm, e direttamente osservabile sia dall’oculare, come in tuttii microscopi, sia da una telecamera CCD appositamente posizionata, che puoessere utilizzata per fotografare l’area sottoposta a scansione. La componentediffusa della radiazione incidente, e l’eventuale fluorescenza del campioneeccitato, percorrono in senso inverso il percorso fatto dalla luce. Una parte diquesta viene deviata dal secondo beam splitter verso le due linee di raccolta,che possono essere selezionate individualmente semplicemente rimuovendo oposizionando uno specchio.

Una linea di raccolta e quella che ospita alla sua estremita un fotomoltipli-catore (anche detto “fototubo”). Lo strumento in questione e un “HamamatsuR7400U-20”, un fototubo di tipo “head-on” con otto dinodi ed una finestraspettrale dai 300 nm ai 900 nm. La radiazione raccolta dal rivelatore e tra-smessa dal pinhole1 preceduto da una lente a corta focale, ed il segnale elettricoprodotto dal fotomoltiplicatore viene poi inviato ad un lock-in, collegato alchopper, per l’amplificazione del segnale. L’altra linea di raccolta utilizza lospettrometro come strumento di rivelazione della luce; questa linea e partico-larmente utile quando si desidera avere delle informazioni sullo spettro delcampione. Nel caso poi che il campione mostri una fluorescenza alle lunghezzedi eccitazione dei laser, e possibile rivelare tale segnale senza dover fare ricorso

1Della necessita di utilizzare un pinhole nella microscopia confocale se ne e parlato inprecedenza nel cap 2.

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3.2. L’apparato

Figura 3.2: Foto del banco ottico su cui e stato realizzato il microscopioconfocale.

a dei filtri. Su questa linea non vi e la presenza di un pinhole, il suo ruoloviene effettuato dalla fenditura dello spettrometro, del quale parleremo inmaniera piu dettagliata nel par. 3.2.2.

Come si vede nella foto in figura 3.2, tutto il banco ottico e stato copertoda una cupola, costruita per l’occasione, per isolarlo otticamente ed acustica-mente dall’ambiente circostante. L’isolamento acustico non e di fondamentaleimportanza per questa prima parte del lavoro ma lo sara successivamente per ilfunzionamento del microscopio in campo prossimo. Nei paragrafi che seguonosi passa ad una descrizione dettagliata di ogni componente, richiamando ovenecessario la teoria formulata nel cap. 2.

3.2.1 Il microscopio invertito e lo stadio scanner

Come base per l’osservazione dei campioni si e utilizzato il microscopioinvertito “Zeiss Axiovert40” con un obiettivo 100×. Nella configurazioneinvertita l’illuminazione avviene dall’alto mentre l’osservazione del campioneavviene dal basso: tale scelta e stata dettata in previsione dello sviluppo e delmontaggio di una testa SNOM sul microscopio, che potesse operare dall’altosul campione. Nel nostro caso l’illuminazione tramite il condensatore non estata utilizzata per effettuare le scansioni dei campioni, tranne che in un solocaso, mostrato in fig. 3.12. In tutte le altre scansioni i campioni sono stati

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3.2. L’apparato

illuminati attraverso l’obiettivo per mezzo dei laser e nel processo di misural’obiettivo espletava sia il suo ruolo, che quello del condensatore.

Il supporto per i campioni e stato modificato in modo da ospitare unostadio scanner piezoelettrico “PI P-733.3DD”, per poter effettuare la scansionedei campioni nel piano xy. Questo dispositivo permette una scansione diun’area di 30x30 µm2 con una risoluzione di 0.1 nm; e equipaggiato inoltredi un sistema di retroazione, per far in modo che tutti gli spostamenti sianolineari e ripetibili. E chiaro che nella microscopia confocale l’uso di talestrumento risulta eccessivo, in quanto la risoluzione raggiungibile non puoessere inferiore a circa 200 nm. Al suo posto si sarebbe potuto usare inveceun altro stadio scanner con una risoluzione piu bassa e magari con un’areadi scansione piu grande di 30× 30 µm2. Tuttavia si e preferito scegliere loscanner guardando principalmente alla finalita del progetto: il microscopioin campo prossimo. In uno SNOM la risoluzione delle immagini e molto piuelevata di quella raggiungibile con un microscopio confocale ed uno scannerdi questo tipo risulta certamente adeguato per un sistema del genere.

3.2.2 Lo spettrometro

Elemento fondamentale della seconda linea di raccolta e lo spettrometro“Andor shamrock SR-303i” collegato alla CCD “Andor iDus DU401”. Que-sto strumento puo essere utilizzato in alternativa al fotomoltiplicatore, perl’osservazione di spettri e per l’elaborazione di immagini. In ingresso allospettrometro vi e una fenditura, che svolge lo stesso ruolo del pinhole presentesulla linea di raccolta del fotomoltiplicatore, la cui ampiezza puo variare dai10 µm ai 2 mm. A seguire vi e un “otturatore”, che puo essere utilizzatoper impedire l’accesso della luce nello spettrometro, in modo da poter effet-tuare misure di fondo. Tramite un sistema di specchi il fascio luminoso vaad incidere su uno dei tre reticoli di diffrazione disposti su una “torretta”,caratterizzati dai seguenti parametri in tabella.

Reticolo Linee/mm Ampiezza spettrale (nm)1 150 ∼ 5702 600 ∼ 1303 1200 ∼ 60

A seconda del reticolo desiderato la torretta ruota la propria posizionefino a far incidere la luce sul reticolo richiesto. La luce, dispersa nelle suecomponenti spettrali dal reticolo di diffrazione, viene diretta sulla CCD, chetramite una cella Peltier, capace di abbassare la temperatura fino a −70◦C,effettua la misura vera e propria dello spettro. Infine, utile in questo lavoro di

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3.3. Ottimizzazione

tesi e stata la possibilita di utilizzare un segnale esterno (chiamato “trigger”)per sincronizzare il tempo di acquisizione con quello della scansione.

Trattandosi di una microscopia a scansione, lo spettrometro per ogni puntodella figura acquisisce uno spettro: per ottenere un’immagine di 128× 128pixel sono necessari 128 × 128 = 16384 spettri. Le immagini vengono poicreate attraverso una piccola funzione realizzata in “MATLAB” (vedi par3.2.3).

3.2.3 L’elettronica e il software

L’elettronica costituisce ormai una parte fondamentale in ogni tipo di mi-croscopia, nel caso in esame essa e necessaria per controllare il processo discansione e sincronizzarlo al processo di acquisizione. Il controllo dello scannerpiezoelettrico da parte dell’utente avviene tramite un’interfaccia “LabVIEW”.Quando si utilizza la linea di raccolta del fotomoltiplicatore l’acquisizioneavviene sempre tramite il programma in LabVIEW, che si occupa anche digenerare le immagini sotto forma di matrici. Per l’elaborazione di queste estato poi utilizzato il programma “WSxM” della “Nanotec Electronica” [18].Invece quando e in funzione la linea di raccolta dello spettrometro, il processodi acquisizione viene sincronizzato a quello di scansione tramite l’ingressodel trigger dello spettrometro. Per realizzare delle immagini a partire dalleinformazioni spettrali e stata realizzata una piccola funzione in MATLAB,che, previo inserimento dell’intervallo di lunghezze d’onda desiderato, effet-tua la conversione. Mediante una sola scansione e possibile creare fino a1024 immagini, corrispondenti al numero di lunghezze d’onda acquisite dallospettrometro. Il codice sviluppato della funzione si trova nell’ appendice A.

3.3 Ottimizzazione

Questa e stata forse la parte piu importante del lavoro svolto, perche inquesta fase si e reso veramente operativo il microscopio confocale e sono staticompresi quali fossero i parametri da variare per migliorarne le prestazioni.Due sono stati i campioni utilizzati per testare ed affinare le potenzialita delmicroscopio e cioe:

• nanoparticelle d’oro

• interstizi d’oro tra sfere

Per entrambi sono state eseguite varie prove per l’ottimizzazione dello stru-mento, esposte qui di seguito.

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3.3. Ottimizzazione

3.3.1 Le nanoparticelle d’oro

Nel primo caso si e utilizzata una sospensione di nanoparticelle d’oro conun diametro circa di 13 nm. E stata posta qualche goccia di questa sospen-sione su una coverslip e si e aspettato il tempo necessario per far aderire lenanoparticelle alla cover, in modo da evitare che le strutture cambiasseroforma durante l’osservazione. Il campione sulla coverslip e stato posto sulloscanner xy montato sul microscopio, tra l’obiettivo 100× e la coverslip e statointerposto dell’olio “Zeiss Immersol 518” con un indice di rifrazione n = 1.518per evitare riflessi ed effettuare un “matching” tra i mezzi. Le scansioni sonostate eseguite sia facendo uso del fotomoltiplicatore, che dello spettrometro.

Raccolta segnale tramite il fotomoltiplicatore

Tutte le scansioni effettuate con il fotomoltiplicatore sono state eseguite im-postando un tempo di integrazione per ogni punto di 100ms. Le prime misuresono state effettuate senza l’utilizzo del pinhole, illuminando il campione conil laser a He-Ne. In questa modalita il microscopio non funge da confocalema bensı come un normale microscopio convenzionale. Come previsto ilrisultato ottenuto, mostrato in figura 3.3, e abbastanza deludente ma non perquesto privo di informazioni. Questa scansione risulta utile per confrontare leprestazioni di un microscopio confocale con uno convenzionale. In figura 3.4vi e l’immagine catturata tramite la CCD della zona di interesse.

Posizionato il pinhole nel fuoco della lente che precede il rivelatore, si eproceduto ad effettuare una nuova scansione, sempre della stessa zona. Ilrisultato e mostrato in figura 3.5. Come si puo vedere l’immagine e piudettagliata, si possono scorgere particolari prima nascosti e la risoluzionedell’immagine e aumentata nonostante non si siano cambiati il numero dipixel costituenti l’immagine. Questo conferma cio che era stato descrittoteoricamente nel capitolo 2, cioe la presenza del pinhole permette di avereimmagini piu nitide e con un maggior grado di risoluzione. Tutto questoperche come gia detto il pinhole permette di selezionare solo i raggi provenientidal piano focale dell’obiettivo. Da notare inoltre che il contrasto, rispettoall’immagine 3.3, e invertito, a dimostrazione del fatto che vi e una forteriduzione del segnale di fondo. Per comprenderne meglio il motivo si devericordare che la rivelazione del segnale ottico avviene in riflessione, pertantoa contribuire maggiormente sono i raggi provenienti dalle nanostruttured’oro e dalla superficie superiore della coversplip. La superficie inferioredi questa contribuisce solo in minima parte grazie all’uso dell’olio citato inprecedenza. Il pinhole effettua una selezione solo dei raggi del piano contenentile nanostrutture (essendo quella la zona messa a fuoco) e blocca tutti gli altri.

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3.3. Ottimizzazione

Figura 3.3: Immagine 128× 128 pixel di una struttura di nanoparticelle d’orodi 28× 28 µm2. La scansione e stata eseguita senza l’utilizzo del pinholeraffigurato nello schema in figura 3.1.

Figura 3.4: Immagine catturata tramite la CCD della struttura dinanoparticelle d’oro in figura 3.3.

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3.3. Ottimizzazione

La superficie superiore della coverslip, trovandosi su un piano diverso dallenanostrutture non contribuisce alla formazione dell’immagine e per questomotivo il contrasto risulta invertito.

Sulla stessa zona e stata eseguita ancora un’altra misura, questa voltaaggiungendo una goccia dell’olio, utilizzato per l’obiettivo, sopra il campione.Come previsto questo piccolo intervento ha apportato un maggiore contrastoall’immagine (figura 3.6). Ancora una volta per comprenderne questo fenome-no si deve ricordare che nelle zone prive di strutture l’olio diminuisce la partedi luce riflessa, perche viene a mancare la superficie piana di separazione tracoverslip e aria, mentre nelle zone con nanostrutture l’olio non sortisce alcuneffetto, in quanto l’oro riflette la luce prima che questa possa arrivare allasuperficie dell’olio.

Confermato quindi il funzionamento dello strumento, si e proceduto adinvestigarne i suoi limiti. Si e spostato il campione su una nuova zona esono state effettuate delle nuove scansioni sempre utilizzando il laser a He-Ne.La prima scansione effettuata di un’area di 28× 28 µm2, mostrata in figura3.7, contiene tre piccole strutture di aggregati di nanoparticelle d’oro. Diqueste tre piccole strutture sono stati effettuati tre ingrandimenti, mostratiin figura 3.8, al fine di misurare il potere risolutivo del microscopio. Come sipuo notare il secondo e il terzo gruppo di nanostrutture hanno una strutturacomplessa, non sono costituiti da un semplice aggregato di particelle ma dapiu aggregati.

Come detto in precedenza oltre al laser ad He-Ne e stato utilizzato ancheun laser ad Argon alle lunghezze d’onda di 488.0 nm e 514.5 nm. Per poterverificare che le scansioni effettuate con l’Argon fossero congruenti a quelle conl’He-Ne e stata scelta una piccola struttura ed e stata sottoposta ad entrambi ilaser per la scansione. Nelle figure 3.9 e 3.10 sono illustrate rispettivamente lescansioni con il laser ad He-Ne a 632.8 nm, con il laser ad Argon a 488.0 nm e514.5 nm. Le piccole differenze morfologiche nelle strutture non sono rilevanti,in quanto inferiori al limite di risoluzione del microscopio confocale, ed allorae possibile affermare che la zona di indagine e la stessa, il che conferma labonta dell’allineamento dei due fasci laser, entro circa 300 nm.

Questo strumento non sara mai in grado di fornire immagini delle singolenanoparticelle, la loro dimensione di circa 13 nm va ben al di sotto del limitedi risoluzione di un qualsiasi microscopio ottico. Per adesso non e possibilesapere se i cluster di 200 nm hanno veramente tali dimensioni, o sono piupiccoli. Un’ipotesi da non scartare e che possano essere quelle, le singolenanoparticelle e che a causa della diffrazione si vedano come particelle piugrosse. L’unica cosa che si puo affermare e che la risoluzione di questostrumento e vicina al limite di diffrazione e conferma la bonta del lavorosvolto in questa tesi.

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3.3. Ottimizzazione

Figura 3.5: Immagine 128× 128 pixel di una struttura di nanoparticelle d’orodi 28× 28 µm2. La scansione e stata eseguita con l’utilizzo del pinhole cheprecede il fotomoltiplicatore.

Figura 3.6: Immagine 128×128 pixel della struttura di nanoparticelle d’oro di28× 28 µm2 con una goccia d’olio sulla superficie del campione. La scansionee stata eseguita con l’utilizzo del pinhole che precede il fotomoltiplicatore.

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3.3. Ottimizzazione

Figura 3.7: Immagine 128×128 pixel di tre piccole strutture di nanoparticelled’oro di 28× 28 µm2 con una goccia d’olio sulla superficie del campione.

Figura 3.8: Ingrandimenti delle tre strutture della figura 3.7.

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3.3. Ottimizzazione

Figura 3.9: Scansione 128 × 128 pixel effettuata con il laser a He-Ne a632.8 nm di una piccola strutture di nanoparticelle d’oro di 1.5× 1.5 µm2

con una goccia d’olio sulla superficie del campione.

Figura 3.10: Scansioni 128 × 128 pixel effettuata con il laser ad Argona 488.0 nm (a sinistra) e a 514.5 nm (a destra) della stessa struttura dinanoparticelle d’oro in figura 3.9.

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3.3. Ottimizzazione

Solo per curiosita e stata effettuata un’altra misura, questa volta intrasmissione, illuminando il campione con il condensatore del microscopio.Essendo l’apertura numerica del condensatore di molto inferiore a quelladell’obiettivo, le immagini che si ottengono non potranno mai avere unarisoluzione pari a quelle ottenute con illuminazione laser. In figura 3.12 vi eappunto una scansione di 128× 128 pixel di una zona di 28× 28 µm2, mentrein figura 3.11 vi e la scansione della stessa porzione del campione effettuata,come nei precedenti casi, con il laser a He-Ne.

Raccolta segnale tramite lo spettrometro

Per testare il funzionamento dello spettrometro e stato rimosso uno specchio,posto su un supporto magnetico, in modo da cambiare la linea di raccolta dautilizzare. Sempre con le nanoparticelle d’oro e stata effettuata una scansionedi 128 × 128 pixel con il laser ad He-Ne, con emissione a 632.8 nm, di unazona di 5× 5 µm2, con una goccia d’olio sulla superficie del vetrino per au-mentare il contrasto. Non essendo interessati allo spettro delle nanoparticelled’oro, ma solo alla componente diffusa “all’indietro”, si e utilizzato il terzoreticolo, che ha la finestra spettrale piu piccola. La scansione e stata eseguitaimpostando un tempo di integrazione per ogni punto a 50 ms, una ampiezzadi 40 µm per la fenditura e portando la CCD alla temperatura di −60 ◦C. Ilrisultato e mostrato in figura 3.13, ottenuto per mezzo della funzione scrittain MATLAB (vedi appendice A), sommando le informazioni spettrali da614.3 nm a 651.8 nm.

3.3.2 Gli interstizi d’oro

Il secondo campione utilizzato per la fase di test e stato quello contenentedegli interstizi d’oro formatisi tra sfere di polisterene del diametro di 2 µm.Questi interstizi hanno la forma di piccoli triangoli, dovuta alla struttura chesi viene a creare tra le sfere, le quali, una volta rimosse, lasciano sul campionesoltanto le microstrutture d’oro. Il processo di creazione di queste strutture eschematizzato in figura 3.14. Come per le nanoparticelle d’oro, anche questocampione e stato posto sullo scanner xy con l’olio interposto tra la coversplipe l’obiettivo 100×. Le scansioni effettuate sono state eseguite utilizzandounicamente la linea di raccolta del fotomoltiplicatore.

La prima scansione e stata effettuata su una zona di 28× 28 µm2 in cuivi era un’alta densita di microstrutture, il risultato e illustrato in figura3.15(a). Nella figura adiacente 3.15(b) e illustrato invece un ingrandimento di5× 5 µm2 sulla stessa area. Il campione a disposizione presentava anche dellezone “complementari” agli interstizi d’oro, ovvero zone dove sono in evidenza

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3.3. Ottimizzazione

Figura 3.11: Immagine 128 × 128 pixel di una struttura di nanoparticelled’oro di 28× 28 µm2. La scansione e stata eseguita illuminando il campionecon il laser ad He-Ne.

Figura 3.12: Immagine 128× 128 pixel della stessa struttura di nanoparticelled’oro di 28× 28 µm2 in figura 3.11. La scansione e stata eseguita illuminandoil campione con il condensatore del microscopio.

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3.3. Ottimizzazione

Figura 3.13: Immagine di 128× 128 pixel di una struttura di nanoparticelled’oro di una zona di 5× 5 µm2. La scansione e stata eseguita illuminando ilcampione con il laser ad He-Ne a 632.8 nm e ponendo una goccia di olio sullasuperficie del campione.

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3.3. Ottimizzazione

Figura 3.14: Processo di creazione delle microstrutture d’oro. L’oro prende laforma di piccoli triangoli, essendo questo il profilo dello spazio a disposizione.

le sfere di 2 µm e non le microstrutture d’oro. Scansioni su queste aree sonovisibili nella figure 3.16(a) e nel suo ingrandimento 3.16(b) di dimensionirispettivamente di 28× 28 µm2 e 5× 5 µm2. Non e possibile sapere conesattezza se quelle siano effettivamente le particelle sferiche rimaste incollatesul campione, oppure semplicemente la loro sagoma sull’oro.

Regolazione distanza lente pinhole

Il suddetto campione e stato molto utile per la messa a punto del microscopio,in particolare per la regolazione della distanza della lente dal pinhole, da cuidipende la messa a fuoco del campione. Per ottenere un’immagine nitida ilpinhole dovrebbe essere posizionato nel fuoco della lente che lo precede, perraccogliere solo i raggi provenienti dal fuoco dell’obiettivo. In pratica questaconfigurazione e molto difficile da realizzare; per questo motivo, per trovarela giusta posizione, la lente e stata posta su un traslatore che permette divariare la sua distanza dal pinhole. Variando questa distanza di 200 µm allavolta si e osservato come cambiasse la messa a fuoco e quindi il contrastodell’immagine. Per fare cio e stata scelta una piccola zona di 5× 5 µm2,mostrata in alto a sinistra nella figura 3.17, costituita solo da due particelleadiacenti e sono state effettuate delle scansioni di 64 × 64 pixel al variaredella distanza lente pinhole. Come si vede dalle immagini mostrate, al variaredi questa distanza, cambia la messa a fuoco dell’oggetto e per ottimizzare leprestazioni del microscopio, la lente e stata posizionata nella posizione chepermetteva di produrre immagini le piu nitide possibili.

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3.3. Ottimizzazione

(a) (b)

Figura 3.15: Scansioni 128× 128 pixel di interstizi d’oro con il laser a He-Ne.A sinistra una zona di 28× 28 µm2, a destra un ingrandimento di questa di5× 5 µm2.

(a) (b)

Figura 3.16: Scansioni 128× 128 pixel delle particelle incollate (o delle lorosagome) sull’oro con il laser a He-Ne. A sinistra una zona di 28× 28 µm2, adestra un ingrandimento di questa di 5× 5 µm2.

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3.3. Ottimizzazione

Figura 3.17: Regolazione distanza lente-pinhole. In alto a sinistra, immagineCCD della zona utilizzata per le scansioni. Il resto delle immagini sono lescansioni 64× 64 pixel dell’area di 5 µm variando la distanza lente-pinhole di200 µm alla volta.

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3.3. Ottimizzazione

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Capitolo 4Litografia

Negli ultimi anni vi e stato un crescente interesse verso i dispositivi otticiper l’immagazzinamento di informazioni. Questo sviluppo e stato possibileproprio grazie alla litografia ottica su materiali fotosensibili, come quelli basatisull’azobenzene. In generale vi e una tendenza a miniaturizzare sempre dipiu le strutture scrivibili, in modo da aumentare le capacita di memoria diquesti supporti. In questo capitolo, sono riportati i test effettuati su alcunipolimeri contenenti molecole di azobenzene, realizzati dal gruppo del Prof.Roviello del Dipartimento di Chimica dell’Universita degli Studi di Napoli“Federico II“. In particolare uno di questi campioni ha permesso l’utilizzodi una tecnica innovativa per la scrittura e la lettura di dati su supportiottici: tramite la presenza di fluorescenza, e possibile eccitare il campioneper “leggere i dati” ad una lunghezza d’onda diversa da quella incidente. Infuturo, al completamento del progetto menzionato nel par. 3.1, sara possibile,tramite il microscopio in campo prossimo SNOM, estendere la scrittura suipolimeri azo ad una scala nanometrica. Questa tecnica viene chiamata SNOL(Scanning Near-field Optical Lithography).

4.1 L’azobenzene

L’azobenzene e un composto chimico costituito da due anelli fenili collegati daun doppio legame N=N (figura 4.1). Il termine azobenzene o semplicemente“azo” viene utilizzato per indicare tutte le molecole che abbiano una strutturacome l’azobenzene ma che differiscono da esso per i gruppi funzionali collegatiagli anelli fenili. L’azobenzene e attualmente la molecola piu studiata ed usataper applicazioni litografiche, grazie alla proprieta piu importante di questamolecola: la fotoisomerizzazione. Attraverso questo processo la molecola

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4.1. L’azobenzene

Figura 4.1: Struttura chimica dell’azobenzene

Figura 4.2: Fotoisomerizzazione di una molecola di azobenzene, tra la formatrans (a sinistra) e la forma cis (a destra). La distanza tra i gruppi funzionalivaria da 0.90 nm a 0.55 nm.

puo cambiare struttura tra gli isomeri cis e trans (vedi fig. 4.2) tramitel’illuminazione a determinate lunghezze d’onda: con luce UV si eccita latransizione π − π∗ e la molecola evolve dalla forma trans a quella cis, mentrecon luce blu si eccita la transizione n− π∗ e la molecola transisce da cisa trans. Inoltre tale processo comporta una variazione della distanza tra igruppi funzionali della molecola, che passa da 0.90 nm per la forma trans, a0.55 nm per la forma cis [6, 19]. La configurazione cis e meno stabile di quellatrans : a temperatura ambiente il cis-azobenzene si trasforma spontaneamenteper rilassamento termico nel trans-azobenzene. Spettroscopicamente quindile molecole sono caratterizzate da due bande di assorbimento, corrispondentialle transizioni elettroniche n− π∗ e π − π∗. L’identita dell’isomero, cis otrans, puo essere rivelata dalla lunghezza d’onda alla quale vi e il massimodell’assorbimento [20]. Le esatte lunghezze d’onda alle quali avviene questoassorbimento, e le rispettive intensita delle bande ad esse associate, dipendonodalla particolare struttura della molecola azo, ovvero dai gruppi funzionali adessa collegati [21]. In particolare, sostituendo i due gruppi funzionali con ungruppo accettore ed uno donore, le bande di assorbimento π − π∗ e n− π∗si sovrappongono e diventa possibile con una sola lunghezza d’onda indurredelle transizioni cicliche (trans-cis-trans) tra i due isomeri della molecola.

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4.1. L’azobenzene

Figura 4.3: In un ciclo trans-cis-trans la polarizzazione tende ad orientare lemolecole di azobenzene perpendicolarmente alla sua direzione. Macroscopica-mente comporta la nascita di una birifrangenza nel campione sottoposto allaradiazione.

Il processo di fotoisomerizzazione e estremamente veloce, avviene in tempidell’ordine del picosecondo, mentre il rilassamento termico nella forma cisavviene su tempi piu lunghi che possono andare dai secondi alle ore, a secondadella struttura dell’isomero.

Un ciclo completo trans-cis-trans puo essere ottenuto, come spiegato inprecedenza, tramite il processo di fotoisomerizzazione trans-cis combinatoo al processo inverso di fotoisomerizzazione o alla transizione spontaneacis-trans, essendo l’isomero cis uno stato metastabile della molecola. Se laluce a cui viene sottoposto l’azobenzene, inizialmente nella forma trans, elinearmente polarizzata, allora questo ciclo ha come risultato finale quello diorientare perpendicolarmente alla polarizzazione l’isomero trans, attraverso ilpassaggio nella forma cis (vedi figura 4.3). Questa luce, se applicata ad uncampione contenente molecole di azobenzene, isotropicamente distribuite nellospazio, provoca l’orientazione macroscopica delle molecole lungo la direzioneperpendicolare all’orientazione del campo elettrico. Questo comporta uncambiamento dell’indice di rifrazione e quindi la nascita di una birifrangenzanel campione [6, 22].

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4.2. Formazione dei rilievi

Nei polimeri basati sull’azobenzene, i gruppi molecolari contenenti lemolecole di azobenzene possono essere inserite sia lungo la catena polimericasia di lato alla catena e da questo posizionamento e possibile compiere unaprima classificazione. Generalmente possono avere sia una fase amorfa siauna fase a cristalli liquidi, a causa della struttura a “bastoncino” dell’isomerotrans. Esponendo un film di un polimero azo all’interferenza di due fascilaser, si sono realizzati con successo alcuni reticoli di diffrazione con efficienzesuperiori al 20% [23]. Questa proprieta puo essere utilizzata per realizzare dellememorie ottiche, cambiando selettivamente l’indice di rifrazione dei polimericontenenti molecole di azobenzene. I “dati” scritti in questa forma possonoessere facilmente cancellati sia portando il campione sopra la sua temperaturadi transizione vetrosa sia illuminandolo con una luce polarizzata circolarmente,capace di distruggere l’ordine creato nell’orientamento delle molecole. Nellafase successiva all’illuminazione avviene un rilassamento termico nel campioneche solitamente conduce ad una parziale perdita della birifrangenza indotta.E stato dimostrato tramite sorgenti impulsate al nanosecondo che la crescitae la perdita della birifrangenza dipende fortemente dall’intensita degli impulsilaser.

4.2 Formazione dei rilievi

Nel 1995 Kim e i suoi collaboratori furono i primi ad osservare un cambionella morfologia sulla superficie di un polimero azo esposto alla figura diinterferenza di due fasci laser [24]. Nel loro esperimento poterono osservareche in corrispondenza delle frange luminose si crearono degli avvallamenti,mentre in corrispondenza di quelle scure dei piccoli rilievi. Come si puovedere dall’immagine AFM in figura 4.4 la struttura finale che si formo esimile ad un reticolo. Tipicamente nei polimeri azo le strutture topografichecreate tramite illuminazione sono dovute ad un fenomeno di migrazione dimassa e non ad un cambiamento del volume del campione. La formazionedi strutture topografiche mostra una grossa dipendenza dalla polarizzazionedel fascio incidente: quando la polarizzazione e perpendicolare alla direzionedel gradiente di intensita, nessuna struttura puo essere creata. Le strutturepossono sorgere solo se la polarizzazione ha una componente lungo il gra-diente. Inoltre l’osservazione riportata da Kim sulla formazione di “valli” incorrispondenza delle zone illuminate non e sempre vera; si e constatato cheall’aumentare dell’intensita della luce incidente sul polimero vi e un’inversionedel comportamento: formazione di solchi in corrispondenza delle zone buie,mentre rilievi in corrispondenza delle zone illuminate.

L’esatto meccanismo di formazione dei rilievi nei polimeri azo non e stato

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4.2. Formazione dei rilievi

Figura 4.4: Reticolo creato da Kim [24] su un polimero azo facendo interferiredue fasci laser. (a) Immagine AFM della struttura a forma di reticolo e (b)una sua sezione.

ancora ben compreso ed e tutt’oggi oggetto di indagine per molti ricercatori.Le uniche certezze su questo fenomeno sono solo due: il processo viene attivatodalla luce ed e una diretta conseguenza della fotoisomerizzazione dell’azoben-zene. Diversi sono stati i modelli proposti nel corso degli anni, tuttavia ancoraoggi nessuno di questi permette di spiegare interamente il fenomeno. Lefined il suo gruppo di ricerca proposero un modello a “verme” per la diffusionedell’azobenzene lungo la direzione di polarizzazione del fascio, costituito dalleoperazioni consecutive di rilassamento-contrazione-rilassamento della molecolache si verificano nelle trasformazioni trans-cis-trans [25]. Questo modelloriesce a spiegare molto bene la dipendenza sperimentale della formazione deirilievi con luce polarizzata. Il modello prevede rilievi nelle regioni buie dellafigura di interferenza, verificato in caso di illuminazione a bassa intensita. Pe-dersen invece ha analizzato il fenomeno della migrazione di massa come causadi forze generate dall’interazione tra molecole azo orientate e lo ha sviluppatomatematicamente attraverso una teoria di campo medio [26]. Questa analisiprevede la dipendenza dei rilievi dalla polarizzazione e la formazione di questiin corrispondenza dei massimi intensita della luce, come si verifica in caso diilluminazione ad alta intensita.

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4.2. Formazione dei rilievi

Kumar ha descritto le migrazioni di massa come causa del gradiente diintensita della luce [27], secondo il quale l’illuminazione dovrebbe spostare lamassa dalle regioni buie verso le regioni illuminate, in accordo con i risultatiad elevata intensita di illuminazione. Questa descrizione matematica concordacon l’osservazione sperimentale che le migrazioni di massa si verificano soloquando la luce polarizzata e parallela alla direzione del gradiente ottico.Invece Bian ha sottolineato che le forze basate sul gradiente potrebbero anchespostare il materiale da regioni piu luminose a quelle meno, in conformitacon risultati di bassa intensita di illuminazione [28]. Il verso delle forze cheprovoca la migrazione di massa puo anche dipendere dalla combinazione diparametri delle matrici polimeriche e dei gruppi azobenzenici. In un ulterioremodello Barrett ed i suoi collaboratori hanno interpretato la formazione dirilievi superficiali come la formazione causata da gradienti di pressione attivatadall’aumento del volume libero richiesto per la trasformazione dell’isomerotrans in quello cis [29]. Nello stesso articolo Barrett ha proposto per laprima volta l’utilizzo delle equazioni di Navier-Stokes per descrivere il flussodi materiale nel fenomeno della migrazione di massa. Questo approccio si epoi stato ulteriormente sviluppato da Sumaru cercando di descrivere il flussodel materiale qualunque sia la forza trainante [30]. Un altro modello e statoproposto di Bublitz, nel quale la formazione delle strutture di superficie estata descritta matematicamente in termini della statistica dell’orientamentodelle molecole di azobenzene presenti lateralmente ad un polimero [31].

4.2.1 Effetto della polarizzazione

Per comprendere meglio gli effetti della polarizzazione sui polimeri azo, e utileillustrare l’esperimento realizzato da Bian e Kumar [28, 32] il cui apparatoutilizzato e rappresentato in figura 4.5(a). Un laser a He-Ne, con emissionea 544 nm e con un profilo di intensita gaussiano, e focalizzato da una lentesferica, su un polimero azo (PD03). Lo stato della polarizzazione e l’intensitadel fascio possono essere cambiati inserendo rispettivamente una lamina diritardo (WP) e dei filtri neutri (NF). Il film del polimero azo, posizionato nelpiano focale della lente, e stato esposto 70 minuti al fascio con un raggio di3.0 µm e intensita di 328 mW cm−2 sulla superficie del campione. Le figure4.5(b) e 4.5(c) mostrano il risultato di una scansione ottenuta tramite unAFM (vedi par. 1.3.2) di questi campioni sottoposti rispettivamente ad unapolarizzazione lineare e ad una circolare. Come si puo notare la dipendenzadella deformazione dalla direzione di polarizzazione e evidente: lungo questadirezione si osserva la crescita di due “lobi” lateralmente al punto. Il modelloteorico proposto sempre da Bian e Kumar, basato sulla forza di gradiente,riesce a spiegare molto bene questo fenomeno: la deformazione non dipende

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4.3. Prove di scrittura

Figura 4.5: Esperimento sulla dipendenza dei rilievi dalla direzione di pola-rizzazione, realizzato da Bian e Kumar [28, 32]: (a) Apparato sperimentale.NF: filtro neutro, WP: lamina di ritardo e L: lenti. Immagini AFM dellesuperfici deformate dal fascio con (b) polarizzazione lineare (c) polarizzazionecircolare.

dall’intensita del fascio laser ma e proporzionale invece alla sua derivataseconda.

4.3 Prove di scrittura

I campioni sui quali sono state effettuate delle prove di scrittura sono statidue, entrambi contenenti polimeri con molecole di azobenzene ed entrambiforniti dal gruppo del Prof. Roviello del Dipartimento di Chimica dell’Uni-versita degli Studi di Napoli “Federico II”. La “scrittura” sui polimeri e stataeseguita tramite l’apparato realizzato e descritto nel capitolo 3, in particolarefacendo uso delle sorgenti laser e del microscopio con il suo stadio scanner.

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4.3. Prove di scrittura

Quest’ultimo ha permesso di “disegnare” strutture complesse sui polimeri,focalizzando il fascio laser sul campione con l’obiettivo del microscopio emuovendo il campione attraverso lo scanner piezoelettrico. Per quasi tuttele strutture realizzate sono state effettuate delle scansioni con il microscopioconfocale, rilevando il contrasto ottico prodotto dal processo di scrittura eper alcune delle scansioni tramite un microscopio AFM.

4.3.1 Polimero “Y-azo”

Il primo campione utilizzato e stato un film di un polimero azo [33], lacui struttura e rappresentata in figura 4.6(a). Le molecole di azobenzenesono contenute nel cromoforo (figura 4.6(b)), a forma di “Y” (in ingleseY-shaped), che fa parte della catena polimerica. Con il termine cromoforo sidefinisce, in senso ampio, un gruppo di atomi capaci di conferire colorazionead una sostanza. Piu specificamente, un cromoforo rappresenta un gruppo lacui configurazione degli orbitali molecolari consente transizioni elettronichedovute all’assorbimento di radiazione visibile e assorbimento nell’UV nonlontano. Le transizioni responsabili del carattere cromoforo sono dei seguentitipi: π − π∗; n− σ∗ e n− π∗.

Per distinguere questo polimero da tutti gli altri “azo”, contenenti azo-benzene, questo polimero verra chiamato “Y-azo”, per indicare la presenzadel cromoforo “Y” e si utilizzera questo nome nel resto del testo per identifi-carlo. Lo spettro di assorbimento, riportato in figura 4.7, mostra un piccointorno ai 500 nm, dovuto al processo di fotoisomerizzazione delle molecole diazobenzene presenti nella catena. L’attivazione di tale processo e necessariaper provocare la formazione di strutture sulla superficie del polimero. Comespiegato nel paragrafo 4.2, la formazione dei rilievi e strettamente connessaalla fotoisomerizzazione della molecola. Per questo motivo per la scritturadel polimero si e utilizzato il laser ad argon a 488.0 nm, la cui lunghezzad’onda ricade perfettamente entro il picco di assorbimento mostrato in figura4.7. Al fine di poter analizzare le strutture create, sono state effettuate perqueste zone delle scansioni tramite il microscopio confocale laser, utilizzandosempre per questo tipo di polimero la linea di raccolta del fototubo, essendointeressati a raccogliere semplicemente la luce diffusa.

Le prime prove di scrittura sono state effettuate focalizzando semplice-mente il fascio del laser ad argon a 488.0 nm e a 1128 µW di potenza, tramitel’obiettivo 100×, sul campione, per accertarsi dell’effettiva capacita del po-limero di cambiare la morfologia della superficie. Sul campione la potenzarisulta ridotta a circa 45 µW, indice del regime di bassa intensita nel quale sista operando. Tramite l’oculare del microscopio la struttura creata apparecome un singolo punto, mentre attraverso il microscopio confocale si posso-

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4.3. Prove di scrittura

(a)

(b)

Figura 4.6: Struttura del primo polimero utilizzato per le prove di scrittura.(a) La catena polimerica e costituita da un cromoforo y-shaped (b) contenentedue molecole di azobenzene.

no apprezzare le sue dimensioni finite. La figura 4.8 illustra una scansione128× 128 pixel di un’area di 5× 5 µm2 attorno al punto creato, effettuatatramite il laser ad He-Ne. Da questa scansione si nota come il processo discrittura produca una forma di contrasto ottico nel polimero: il punto creatocon il laser ad argon diffonde piu luce del resto del polimero ed e quindivisibile tramite il microscopio confocale a scansione.

Sempre con il laser ad argon a 488.0 nm e con un obiettivo 40× sonostati disegnati degli anelli concentrici posizionando “fuori fuoco” il fascio sulcampione, come si puo vedere nella foto in figura 4.9(a) catturata tramitela telecamera CCD. Di questi tre anelli due sono stati sottoposti a scansio-ne (figure 4.9(b) e 4.9(c)), sempre con il laser ad He-Ne su delle zone di28× 28 µm2 con una risoluzione di 128× 128 pixel.

Sperimentalmente si e potuto constatare che il polimero Y-azo risultascrivibile in un ampio range di lunghezze d’onda, anche attraverso il laser

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4.3. Prove di scrittura

400 800 1200 1600 20000.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

Abso

rban

ce

wavelength (nm)

Figura 4.7: Spettro di assorbimento del polimero. Il picco si trova circa a500 nm.

ad He-Ne utilizzato per la scansione del polimero. Tale comportamentoe spiegabile semplicemente osservando che, nello spettro di assorbimentodel polimero (fig. 4.7), la lunghezza di 632.8 nm si trova sulla coda delpicco e questo rende possibile la formazione di strutture, anche se in formaminore rispetto ad esempio alla lunghezza di 488.0 nm. Ne consegue chequando si effettua una scansione di una zona contenente una struttura, inparte la si “sovrascrive”, con il rischio di danneggiarla. Per questo motivoe necessario far si che la potenza dell’He-Ne sia di molto inferiore a quelladell’argon, per evitare di “cancellare” le strutture. Questo effetto e statoindagato ulteriormente eseguendo una scansione di 128× 128 pixel di un’areadi 5× 5 µm2, contenente un punto creato con il laser ad argon. Dalla figura4.10 catturata con la telecamera CCD dopo la scansione, risultano chiare leconseguenze di quest’ultima: tutta l’area di scansione risulta “scritta” dallaser ad He-Ne ma, avendo limitato la sua potenza, il punto creato con il laserad argon risulta ancora visibile.

Per poter valutare le caratteristiche litografiche del polimero Y-azo si escritto su di esso una matrice di punti al variare della potenza e del tempo diesposizione del laser ad argon a 488.0 nm. Tramite lo scanner piezoelettrico estato possibile creare con precisione tutti i punti della matrice, variando lapotenza da 5.9 a 260 µW ed il tempo di esposizione da 5 a 25 secondi. Le

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4.3. Prove di scrittura

Figura 4.8: Scansione 128× 128 pixel di un’area di 5× 5 µm2 tramite il lasera He-Ne, in cui e stato “scritto” un punto esponendo per 5 secondi il campioneal laser ad argon a 488.0 nm con potenza di 1128 µW.

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4.3. Prove di scrittura

(a)

(b) (c)

Figura 4.9: Creazione e scansione di anelli posizionando “fuori fuoco” il laserad argon a 488.0 nm attraverso un obiettivo 40×. (a) Immagine di tre anellifuori fuoco catturata con un obiettivo 20× tramite la telecamera CCD; (b) e(c) scansioni 128× 128 pixel di aree di 28× 28 µm2 tramite il laser a He-Ne.

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4.3. Prove di scrittura

Figura 4.10: Effetto del laser He-Ne nel processo di scansione: ImmagineCCD effettuata dopo una scansione di 128 × 128 di un’area di 5× 5 µm2

contenente un punto creato con il laser ad argon.

potenze e i tempi di esposizione per ogni singolo punto sono indicate nelloschema rappresentato in figura 4.11(a). Di questa matrice ne e stata presaun’immagine con la telecamera CCD (fig. 4.11(b)) e ne e stata eseguita unascansione 256× 256 pixel con il laser ad He-Ne (fig. 4.11(c)).

Analisi tramite un microscopio AFM

Al fine di valutare meglio l’entita delle strutture realizzabili sul polimero Y-azosono stati preparati tre campioni, con ognuno una struttura particolare, peressere analizzati da un microscopio AFM. Di queste strutture non sono stateeseguite scansioni tramite il microscopio confocale al fine di non cancellarlee/o alterarle con il laser ad He-Ne. Sul primo campione e stata scritta unamatrice simile a quella in figura 4.11(a), sempre con il laser ad argon alvariare della potenza e del tempo di esposizione, la cui immagine presa con latelecamera CCD e mostrata in figura 4.12(a). La scansione tramite AFM infigura 4.12(b) mostra la vera forma dei punti della matrice: in corrispondenzadei punti colpiti dal laser si sono create dei piccoli avvallamenti nel polimero,la cui grandezza e profondita risultano proporzionali alla potenza e al tempodi esposizione. Come detto nel paragrafo 4.2, la formazione di queste “buche”e dovuta alla bassa intensita del laser che non supera mai gli 1.2 mW. I rilieviche si notano sulla superficie non sono da imputare al laser ma piuttostoalle irregolarita della superficie del polimero. Sul secondo campione e statascritta una matrice analoga alla precedente, questa volta utilizzando peroil laser ad argon a 514.5 nm, capace ancora di indurre la formazione distrutture perche la sua lunghezza d’onda rientra nel picco di assorbimento infigura 4.7. L’immagine CCD e l’analisi tramite AFM di questa matrice sonomostrate nelle figure 4.12(c) e 4.12(d). Sul terzo campione infine sono stati

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4.3. Prove di scrittura

(a)

(b) (c)

Figura 4.11: Creazione di una matrice di punti con il laser ad argon a 488.0 nmal variare della potenza e al variare del tempo di esposizione. (a) Schemadella matrice creata; (b) immagine CCD della matrice; (c) scansione 256×256pixel della zona di 12× 12 µm2 contenente la matrice.

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4.3. Prove di scrittura

(a) (b)

(c) (d)

(e) (f)

Figura 4.12: Strutture di punti realizzate con il laser ad Argon ed investigatecon un microscopio a forza atomica. (a) Immagine di una matrice di punticreata a 488.0 nm e (b) sua scansione tramite AFM. (c) Immagine di unamatrice di punti creata a 514.5 nm e (d) sua scansione tramite AFM. (e)Immagine di quattro anelli creati con il laser a 488.0 nm fuori fuoco e (f)scansione di uno di questi tramite AFM.

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4.3. Prove di scrittura

creati quattro anelli, disposti ai lati di un quadrato, al variare del tempo diesposizione, facendo incidere su di esso il laser ad argon a 488.0 nm “fuorifuoco” (fig. 4.12(e)). Particolarmente suggestiva e l’immagine AFM, riportatain figura 4.12(f), di un solo anello, dalla quale si puo studiare bene la strutturaad anelli concentrici. In corrispondenza delle zone illuminate si e avuta laformazione dei solchi ad anello, mentre in corrispondenze di quelle buie lacrescita di rilievi, a dimostrazione del fatto che non vi e un cambiamento divolume nel polimero ma solo migrazione di massa.

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4.3. Prove di scrittura

Figura 4.13: Spettro della fluorescenza del cromoforo y-shaped, eccitatotramite radiazione a 500 nm. Il picco si trova circa a 700 nm.

4.3.2 Polimero azo con l’aggiunta di un cromoforo

Il secondo campione utilizzato e invece costituito da un sistema “recettore-ospite” (detto host-guest), dove la specie ospite e costituita dal cromoforoin figura 4.14(b) e la specie ospitante (recettore) dal polimero 4.14(a). Ilcromoforo si trova disperso nel campione, costituisce il 30% in peso di esso ede sempre a forma di “Y”, sebbene sia diverso da quello presente nel primo po-limero. A contenere le molecole di azobenzene questa volta non e il cromoforoma il polimero lateralmente alla catena principale. La peculiarita di questocampione consiste nella presenza di una fluorescenza, data dal cromoforo,con emissione intorno ai 700 nm (come si vede nel grafico in figura 4.13) e lacui eccitazione avviene tramite radiazione a circa 500 nm. Un cromoforo conquesto tipo di comportamento viene anche chiamato “fluoroforo”.

Poiche la fluorescenza diminuisce con il processo di fotoisomerizzazione, siosserva una variazione di emissione tra le zone in cui sono presenti strutture,realizzate con una radiazione intorno ai 400 nm, e quelle senza. In questomodo si ottiene un elevato contrasto ottico nelle misure di fluorescenza basatesull’eccitazione del cromoforo. In altre parole si sfruttano le molecole diazobenzene presenti nel polimero per “scrivere” sul campione e si eccita lafluorescenza per “leggere” cio che si e scritto in precedenza. Tale proceduraoffre alcuni vantaggi, in quanto non viene utilizzata la luce diffusa per laricostruzione delle strutture ma la fluorescenza, che ha il vantaggio di essere ad

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4.3. Prove di scrittura

(a)

(b)

Figura 4.14: Il secondo campione utilizzato per le prove di scrittura e compostoda un sistema host-guest contenente (a) un polimero azo, piu (b) un cromoforoy-shaped al 30% in peso.

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4.3. Prove di scrittura

una lunghezza d’onda diversa da quella di eccitazione. Con l’utilizzo di filtri(o, come nel caso in esame, di uno spettrometro) e possibile selezionare solole lunghezze d’onda relative alla fluorescenza, permettendo cosı una drasticariduzione delle informazioni di fondo.

Nel nostro caso si e utilizzata la lunghezza d’onda di 488.0 nm del laserad argon per la formazione dei rilievi, mentre la lunghezza d’onda a 514.5 nmdello stesso laser per eccitare la fluorescenza raccolta tramite il microscopioconfocale a scansione. La lunghezza d’onda della sorgente del microscopio hapermesso di effettuare le scansioni delle strutture senza alterarle, essendo ilpicco di assorbimento delle molecole di azobenzene molto stretto e di poterraccogliere il segnale di fluorescenza e quello di scattering contemporaneamen-te, essendo quest’ultimo sufficientemente lontano dal picco della fluorescenza.Per questo scopo si e utilizzata la linea di raccolta dello spettrometro, inmodo da ottenere allo stesso tempo un’immagine per ogni intervallo spettraledi interesse.

La prima struttura impressa sul campione, e stata ottenuta disegnandoquattro linee verticali, distanti 7 µm lunghe 20 µm, sempre con il laser adargon 488.0 nm a 1082 µW di potenza. Le linee, la cui immagine CCD e infigura 4.15(a), sono state realizzate semplicemente focalizzando il fascio emuovendo sopra di esso il campione in un tempo di 55 secondi. Di questastruttura e stata effettuata una scansione 128 × 128 pixel della zona di28× 28 µm2, contenente le quattro linee, che ha prodotto le immagini relativealla luce laser diffusa (fig. 4.15(b)) e alla fluorescenza (fig. 4.15(c)). Daqueste si nota come con la fluorescenza vi sia un aumento netto del contrastodell’immagine. La analisi tramite il microscopio AFM, in figura 4.16, hannopotuto rivelare ulteriori dettagli nelle strutture, poco evidenti al microscopioconfocale. Dalla ricostruzione tridimensionale (fig. 4.16(b)) si nota che incorrispondenza delle zone illuminate il laser ha “scavato il campione” e lamassa si e spostata sui lati creando dei piccoli rilievi. Come gia detto, ilprocesso di formazione delle strutture e dovuto solo ad una migrazione dimassa e non ad un cambiamento del volume del campione.

A causa della dimensione finita delle linee, se poste troppo vicine, puorisultare difficile distinguere le une dalle altre, come nel terzo caso in figura4.17: la struttura contiene sei linee verticali, costruite pero questa volta a2 µm di distanza (fig. 4.17(a)). Anche questa struttura e stata analizzatatramite un microscopio a forza atomica che ha prodotto le immagini in figura4.18. Come si puo osservare il laser ha dato vita ad una struttura compostada una sequenza di rilievi ed avvallamenti, dovuta alla stretta vicinanza conla quale si sono disegnate le linee. La sezione, in figura 4.18(b) effettuataperpendicolarmente alla linee mostra in maniera piu evidente il cambiamentodi morfologia della superficie. La distanza tra due minimi della curva e

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4.3. Prove di scrittura

(a)

(b) (c)

Figura 4.15: Creazione di quattro linee distanti 7 µm e lunghe 20 µm con illaser ad argon a 488.0 nm a 1082 µW. Il tempo di realizzazione di una lineae di circa 55 secondi. (a) Immagine CCD della struttura; (b) e (c) Immaginirelative alla parte diffusa e alla fluorescenza della scansione di 128× 128 pixeldella zona di 28× 28 µm2 realizzata attraverso il microscopio confocale con illaser ad argon a 514.5 nm.

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4.3. Prove di scrittura

(a)

(b)

Figura 4.16: Analisi AFM delle quattro linee in figura 4.15. (a) ImmagineAFM della struttura; (b) Ricostruzione tridimensionale della struttura.

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4.3. Prove di scrittura

(a)

(b) (c)

Figura 4.17: Creazione di sei linee distanti 2 µm e lunghe 20 µm con il laserad argon a 488.0 nm a 1082 µW. Il tempo di realizzazione di una linea edi circa 55 secondi. (a) Immagine CCD della struttura; (b) e (c) Immaginirelative alla parte diffusa e alla fluorescenza della scansione di 128× 128 pixeldella zona di 28× 28 µm2 realizzata attraverso il microscopio confocale con illaser ad argon a 514.5 nm.

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4.3. Prove di scrittura

(a)

(b)

Figura 4.18: Analisi AFM delle sei linee in figura 4.17. (a) Ricostru-zione tridimensionale della struttura; (b) Profilo della struttura eseguitoperpendicolarmente alle linee.

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4.3. Prove di scrittura

Figura 4.19: Immagine CCD di una stuttura contenente quattro punti, alvariare del tempo di esposizione, creati con il laser ad argon a 488.0 nm a259 µW.

di 2 µm, coerentemente con la distanza tra due linee impostata in fase direalizzazione.

Un’altra struttura e stata realizzata focalizzando sul campione il laser adargon a 488.0 nm su quattro punti, disposti su un triangolo isoscele rettangolo,a vari tempi di esposizione, indicati nella figura 4.19 presa dalla telecameraCCD. Da notare inoltre che in questa immagine si intravedono lateralmenteai quattro punti, dei piccoli “lobi” laterali, che ricordano quelli mostratiprecedentemente in figura 4.5 a proposito della dipendenza delle strutturedalla polarizzazione. Per verificare questa dipendenza si sono creati tre punti,variando ogni volta la direzione di polarizzazione di 45◦. Dall’immagine presadella CCD, in figura 4.20, si nota come questi lobi siano disposti ognuno sulladirezione di polarizzazione del fascio che li ha creati, esattamente come erastato discusso nel paragrafo 4.2.1.

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4.3. Prove di scrittura

Figura 4.20: Creazione di tre punti con il laser ad argon a 488.0 nm, variandola direzione di polarizzazione di 45◦. In figura e indicato per ogni punto ladirezione di polarizzazione e la potenza associata.

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4.3. Prove di scrittura

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Conclusioni

Questo lavoro di tesi e stato dedicato allo sviluppo di un microscopio confocalelaser a scansione ed al suo utilizzo per la litografia su polimeri contenentimolecole di azobenzene. I punti di forza del microscopio realizzato sonodiversi, ed in particolare risiedono nelle sorgenti e nelle linee di rivelazionedella luce. Il microscopio ha a disposizione due sorgenti laser, che fornisconotre diverse lunghezze d’onda per l’illuminazione del campione, a 488.0 nm,514.5 nm e 632.8 nm, utili, per esempio, per eccitare contemporaneamentedue fluorofori con picchi di eccitazione diversi. Inoltre le due linee di raccolta,una utilizzante un fotomoltiplicatore, l’altra uno spettrometro, lo rendono unostrumento flessibile, adatto anche ad applicazioni spettroscopiche: e possibileinfatti ottenere da una sola scansione fino a 1024 immagini a lunghezze d’ondadifferenti.

Il microscopio e stato testato con dei campioni di nanoparticelle d’oro deldiametro di 13 nm e con delle microstrutture d’oro, originate dagli interstizivuoti tra sfere di 2 µm di raggio. Sebbene fosse impossibile rilevare le singolenanoparticelle del primo campione con il microscopio confocale, e statopossibile invece accertare che la risoluzione sperimentale del microscopiofosse molto vicina a quella teorica di ∼ 213 nm (calcolata per la lunghezzad’onda di 488.0 nm), ricavabile dal limite di diffrazione. Le microstruttured’oro, grazie alla loro forma ben definita, sono state utilizzate per regolarela distanza lente-pinhole, in modo da ottenere delle immagini le piu nitidepossibili.

Il microscopio confocale e stato usato per testare le proprieta litografichedi due campioni, basati sull’azobenzene. Per il primo campione, un polimero“Y-azo”, si e studiato il cambiamento della morfologia della superficie sia grazieal microscopio confocale sia grazie ad un microscopio a forza atomica. Questopolimero si e dimostrato estremamente valido per applicazioni litografiche,in quanto le strutture creabili sono estremamente precise, e non presentano

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Conclusioni

“sbavature”. Del secondo campione, costituito da un polimero azo e da uncromoforo disperso all’interno di esso, ne e stata studiata soprattutto lacapacita di emettere fluorescenza. Si e osservato che questa non svanisce conil processo di fotoisomerizzazione, il che implica la possibilita di effettuare dellescansioni di alcune strutture, precedentemente realizzate con una radiazioneintorno ai 500 nm, eccitando la fluorescenza del cromoforo. In altre parole sipossono sfruttare le molecole di azobenzene presenti nel polimero per “scrivere”sul campione ed eccitare la fluorescenza per “leggere” cio che si e scrittoin precedenza. Tale procedura offre alcuni vantaggi, in quanto non vieneutilizzata la luce diffusa per la ricostruzione delle strutture ma la fluorescenza,che ha il vantaggio di essere ad una lunghezza d’onda diversa da quella dieccitazione. Selezionando solo le lunghezze d’onda relative alla fluorescenzasi ha una drastica riduzione delle informazioni di fondo: il risultato e unaimmagine delle strutture con un contrasto di gran lunga maggiore a quellericavate raccogliendo la luce diffusa.

Al completamento del progetto, il microscopio in campo prossimo potraessere utilizzato anch’esso per la litografia su campioni basati sull’azobenzene,con il vantaggio di estendere questa tecnica ad una scala nanometrica. Comegia detto nell’introduzione, questa tecnica viene chiamata SNOL (ScanningNear-field Optical Lithography).

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Appendice AFunzione matlab

Per convertire in immagini le informazioni raccolte dallo spettrometro si esviluppata una funzione nel linguaggio ”MATLAB”. Tale funzione caricatutti gli spettri acquisiti, uno per ogni punto della scansione, e chiede perquale intervallo spettrale si desidera creare l’immagine. Tramite una solascansione e possibile creare fino a 1024 immagini, corrispondenti al numerodi lunghezze d’onda acquisite dallo spettrometro, indipendentemente dalreticolo scelto. Nel processo di scansione ogni riga viene acquisita due volte,una all’andata (da sinistra verso destra) ed una al ritorno (da destra versosinistra), permettendo cosı alla funzione di elaborare due immagini per ognifinestra spettrale.Segue il codice della funzione:

function yasif(file_name)

% YASiF "Yet Another Sif2image Function" Converte spettri in immagini

% converte una serie di spettri raccolti durante una scansione in 2

% immagini i1 (avanti) e i2 (indietro), rappresentanti l’intensita ‘ entro

% un determinato intervallo spettrale.

% I dati in ingresso devono essere generati da:

% Andor "export to ASCII -conversion" con i seguenti parametri:

% Delimiter: tab

% Output file options: one file for all frames

% multiple columns , no header

%

% YASIF(file_name)

% file_name = nome file ASCII

if nargin ~= 1

error(’Errato numero degli argomenti ’)

end

h = input(’Inserisci il numero di linee della scansione ’);

b = input(’Inserisci il numero di colonne della scansione ’);

%==========================================================================

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% caricamento del file

%==========================================================================

a = load(file_name ); % vengono caricati i dati nella matrice a

lambda = a(:,1); % copia la colonna relativa alle lunghezze d’onda

a(: ,1)=[]; % elimina la colonna relativa alle lunghezze d’onda

mt = 2*h*b;

[nt , mt2] = size(a); % mt = numero di punti per lunghezza d’onda , nt =

% numero di lunghezze d’onda

if mt ~= mt2

error(’Errato inserimento del numero di linee e di colonne.’)

end

%==========================================================================

% Intervallo spettrale

%==========================================================================

plot(lambda ,a(: ,200));

lstart = input(’Inserisci la prima lunghezza di onda ’);

lstop = input(’Inserisci la ultima lunghezza di onda ’);

for q=1:nt

if (lambda(q) > lstart)

xstart = q;

break;

end

end

for q = xstart:nt

if(lambda(q) > lstop)

xstop = q;

break;

end

end

%==========================================================================

% somma su tutti gli spettri da from xstart a xstop , ovvero quelli nella

% finestra spettrale

%==========================================================================

for m = 1:mt

area(m)=0;

for k = xstart:xstop

area(m)=area(m)+a(k,m);

end

end

% Il primo pixel contiene informazioni errate

area (1)=( area (2)+ area (4)+ area (3))/3;

%==========================================================================

% Conversione di area in 2 immagini ’i1’ e ’i2 ’ per ogni finestra

% spettrale

%==========================================================================

indexspec =1;

for m = 1:h

for n = 1:b

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t = b-n+1;

i1(m,t)=area(indexspec );

indexspec=indexspec +1;

end

for n = 1:b

i2(m,n)=area(indexspec );

indexspec=indexspec +1;

end

end

% % AC-correction in y-direction

% in1=i1;

% in2=i2;

%

% for i=1:h

% m1=0;

% m2=0;

% for j=1:b

% m1=m1+in1(i,j);

% m2=m2+in2(i,j);

% end

% in1(i,:)= in1(i,:)-m1./b;

% in2(i,:)= in2(i,:)-m2./b;

% end

%

% % AC-correction in x-direction

% xdir =1;

% if xdir ==1;

% for i=1:h

% m1=0;

% m2=0;

% for j=1:b

% m1=m1+in1(j,i);

% m2=m2+in2(j,i);

% end

% in1(:,i)=in1(:,i)-m1./b;

% in2(:,i)=in2(:,i)-m2./b;

% end

% end

%

%

% fig(q+200)= figure(q+200);

% set(fig(q+200),’Position ’ ,[170 ,400 ,400 ,400]);

% set(fig(q+200),’Colormap ’,hot);

% h3=image(in1 ,’CDataMapping ’,’scaled ’);

% %daspect ([1 1 1]);

% axis ([1 b 1 h]);

% xlabel(’pixel ’);

% ylabel(’pixel ’);

%

% fig(q+300)= figure(q+300);

% set(fig(q+300),’Position ’ ,[320 ,400 ,400 ,400]);

% set(fig(q+300),’Colormap ’,hot);

% h4=image(in2 ,’CDataMapping ’,’scaled ’);

% %daspect ([1 1 1]);

% axis ([1 b 1 h]);

% xlabel(’pixel ’);

% ylabel(’pixel ’);

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%==========================================================================

% Creazione delle figure ’i1’ e ’i2’ per ogni finestra spettrale

%==========================================================================

fig (2)= figure (2);

set(fig(2),’Position ’ ,[170 ,40 ,400 ,400]);

set(fig(2),’Colormap ’,hot);

set(fig(2),’Name ’,’Forward ’);

h1=image(i1 ,’CDataMapping ’,’scaled ’);

%daspect ([1 1 1]);

axis ([1 b 1 h]);

xlabel(’pixel ’);

ylabel(’pixel ’);

title([’\bf From ’, num2str(lambda(xstart)), ’ nm to ’,

num2str(lambda(xstop)), ’ nm ’]);

fig (3)= figure (3);

set(fig(3),’Position ’ ,[620 ,40 ,400 ,400]);

set(fig(3),’Colormap ’,hot);

set(fig(3),’Name ’,’Backward ’);

h2=image(i2 ,’CDataMapping ’,’scaled ’);

%daspect ([1 1 1]);

axis ([1 b 1 h]);

xlabel(’pixel ’);

ylabel(’pixel ’);

title([ ’\bf From ’, num2str(lambda(xstart)), ’ nm to ’,

num2str(lambda(xstop)), ’ nm ’]);

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Ringraziamenti

Fin dal primo anno universitario mi e stato sempre detto e ripetuto quantofosse inappropriato inserire nei ringraziamenti i relatori scelti all’inizio dellatesi, in quanto essi svolgono soltanto il loro lavoro. Tuttavia in questasocieta comincia a diventare piuttosto difficile trovare persone che compianocorrettamente il proprio lavoro ed impossibile quasi trovarne altre che faccianopiu di quello per cui vengono retribuite. Per questo motivo e d’obbligo daparte mia ringraziare il Prof. Pasqualino Maddalena ed il Dott. AntonioAmbrosio non per cio “che erano tenuti a svolgere” ma per tutto cio che nonrientrava nei loro compiti e che hanno fatto solo per me.

Ringrazio inoltre il Dott. Antonio Carella ed il Dott. Fabio Borbone,appartenenti al gruppo di ricerca del Prof. Roviello del Dipartimento diChimica dell’Universita degli Studi di Napoli “Federico II”, che hanno svi-luppato i campioni per la litografia, usati in questo lavoro di tesi. Grazieanche al Dottor Andrea Camposeo del “National Nanotechnology Laboratory”di Lecce, che invece ha fornito le immagini AFM, delle strutture scritte sulpolimero Y-azo.

Il ringraziamento piu affettuoso va pero alla mia ragazza, la persona piuimportante della mia vita, per avermi aiutato in tutti i modi possibili adaffrontare questo lungo lavoro di tesi. Ad i miei amici Amalia “caffee”, Carmelala bionda, Daniela&Gaetano, Daniele “’o cumpagniell”, Dario l’americano,Deborah Katia ed i suoi gatti, Ilaria la danzatrice del ventre, Luca “’o mukkus”,Mariano l’imperatore, Nicola l’economista, Rossella l’attrice, Stefano “ohm”,la dolce Valery, Viiiiincy e a tutti quelli che non sono stati citati, non avendotrovato un appellativo adeguato, devo dire: “grazie di esistere, siete stati unpunto di riferimento nella mia vita”. Infine un ringraziamento particolareva alla mia famiglia, che mi ha permesso di arrivare dove sono senza maiostacolarmi o rallentarmi e che e stata sempre pronta ad aiutarmi ogni voltache ne ho avuto bisogno.

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Ringraziamenti

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