fra le braccia del vento

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    Dalle numerose lettere che datempo mi inviano i lettori, mi

    sono reso conto che fra tantepassioni quella per il mare ètra le più forti e profonde.

    Leggendo le testimonianzedella gente si intraprende unviaggio senza ne che ci portain paesi lontani al di là delmare, per scegliere la rotta checi porterà in salvo dalletempeste della vita. Il mare èprotagonista di questo librodove si narra la storia di unuomo che si salva quando tuttopareva ormai nito. CarolWilson, un londinese cui è

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    stato diagnosticato un maleincurabile, decide di nire i

    suoi giorni nel mare che ama.Parte con il suo veliero e siada al vento che portandolo

    di isola in isola lo condurràattraverso incontri con personestraordinarie, a ripensare alla

    sua vita e a riconciliarsi conessa, gli farà ritrovare lasalute, la serenità e conoscere

    il vero amore. La storiadell’avventuroso viaggio pienodi sorprese, di prodigi, in uncontinuo dialogo con gliabitanti e la natura dei luoghi,

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    è quella che Carol rivela a ungiovane amico incontrato nel

    paese di Portovenere dove ègiunto insieme a Sanja, laragazza che lo ama e che,

    appassionata di lettura, avevaavuto notizia, nella sua terralontana, di questo paese

    d’amore e di poesia.In appendice ho volutoringraziare i lettori che miscrivono dei loro amori, deiloro drammi e mi fanno cosìpartecipe delle loro vite,riportando alcune delle mailche da anni ogni giorno mi

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    scrive per “La Nazione”. Al suonome è legata la

    manifestazione culturale “LaVersiliana”.

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    I libridi

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    Romano Battaglia

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    Rizzoli

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     Proprietà letteraria r iservata© 2012 RCS Libri S.p.A., Milano

    ISBN 978-88-58-62379-4

     Prima edizione digitale 2012 daedizione febbraio 2012

    [email protected]

    mailto:battaglia%40freeversilia.itmailto:battaglia%40freeversilia.it

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    In copertina:fotografia © Irene Lamprakou

    / Trevillion ImagesFotografia dell’autore ©Federico Neri

    Art Director: FrancescaLeoneschiGraphic Designer: Mauro De

    Toffolwww.rizzoli.eu

    Quest’opera è protetta dallaLegge sul diritto d’autore.

    È vietata ogni duplicazione,

    anche parziale, nonautorizzata.

    http://www.rizzoli.eu/

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    Le cose andarono così: dauna semplice coincidenza

    nacque una storia che nondimenticherò mai.Accadde un giorno quando

    un vecchio veliero, battentebandiera inglese, entrò nelporticciolo della baia diPortovenere al riparo dalvento di libeccio che da unaintera settimana agellava lacosta.

    L’imbarcazione faticò unpo’ a trovare uno spazio perl’ormeggio e si fermò a pochimetri dalla caletta. Cercai didare una mano all’anziano

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    marinaio e lo aiutai adormeggiare e a scendere a

    terra. C’era con lui unaragazza dai capelli neri e gliocchi a mandorla

    luminosamente azzurri.Dopo un lungo viaggioavevano raggiunto

    Portovenere, un paese di pocheanime che, per la sua bellezzae conservazione, è stato

    proclamato dall’UNESCO

    patrimonio dell’umanità.Il nome del borgo, abitato

    per lo più da pescatori, derivada un tempio, dedicato alla

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    dea Venere, che sorgeva nelluogo in cui ora s’innalza la

    chiesa di San Pietro. Il tempioera dedicato alla deadell’amore che, secondo la

    tradizione, era nata dallaspuma del mare come quellaprodotta dalle onde che si

    infrangono proprio sotto quelfaraglione.Il paese, frequentato da

    turisti di tutto il mondo, sorgesulla sponda occidentale delgolfo di La Spezia. Davanti cisono tre piccole isole:Palmaria, Tino e Tinetto. Il

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    profumo delle erbe selvatiche,che vi nascono, arriva con la

    brezza sino all’abitato.La storia che vi raccontoincominciò quel giorno di tanti

    anni fa. Era marzo, un fortelibeccio stava agellando tuttala zona. Anche Portovenere era

    in balìa delle folate gelide.Ero seduto come ognigiorno a un tavolo della

    trattoria “Il gabbiano”, luogofrequentato da pescatori euomini di mare che passavanole ore a parlare di avventure ea bere il vino bianco assieme

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    alla gassosa. Fu proprio lì cheil navigatore mi raccontò la

    sua storia.Diventammo amici. Gli dissidi chiamarmi Eugenio, di

    essere appassionato del mare edi aver fatto qualche piccoloviaggio nell’arcipelago

    Toscano. A quel tempo avevoventicinque anni e permantenermi agli studi, ogni

    notte facevo il guardiano delfaro all’isola del Tino.Ascoltando l’uomo del

    veliero si capiva che aveva unaprofonda conoscenza del mare

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    e che sapeva antiche leggenderipetute dalle varie

    generazioni, che si susseguonocome le onde lungo la riva, peraverne fatto tesoro nel corso

    degli anni.Esistono, infatti, moltiracconti di mare nati nelle

    bettole fumose dei cacciatori dibalene, altri provengono dalsud e perno dal mare del

    Giappone. Raccontano tutteche l’immensa distesa di acquaconserva ciò che nella vitaabbiamo perduto, quello chenon abbiamo avuto, tutti i

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    desideri infranti. Il mare,dicono i poeti, appartiene a

    coloro che credono nellabellezza dei propri sogni. Adistanza di migliaia di secoli il

    mare è ancora lì a testimoniareuna verità il cui signicatospesso ci sfugge.

    Nessuna conoscenza,nessuna sensazione, nessunaesperienza è superiore a quella

    del mare. I suoi occhi riesconoa leggere quello che è scrittonel cuore, scolpito sulle pietreo nascosto fra le onde.

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    Aver sperimentato questovuol dire aver scoperto il sogno

    a cui abbiamo anelato pertutta la vita. La storia delnavigatore solitario era quel

    sogno.L’uomo, che aveva scelto ilmare per morire, dopo un

    lungo viaggio approdò inquesto luogo di poesia dovesoggiornarono Lord Byron e il

    suo amico Shelley appassionatidi poesia e d’amore. Sopra laporta di una delle loro case erascritto: In questo golfo la libertàe l’amore non hanno catene.

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    Sulla barca di Byron si leggeva:avigate, sognate, amate.

    Cercavano la poesia e l’amore,amavano la vita, ma il destinoportò uno a morire in mare

    durante un forte naufragio abordo del veliero Ariel che erapartito da Livorno, l’altro a

    morire lontano dalla patriamentre si batteva in difesa deipopoli oppressi.

    Erano approdati su questacosta a bordo di imbarcazioni avela e vi rimasero per anniscrivendo pagine importantidelle loro opere.

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    Carol Wilson, così sichiamava il navigatore

    solitario, proveniente da unodei più popolosi quartieri diLondra, era approdato qui

    dopo un viaggio fatto perdifendersi dai venti e dalleamarezze della sua travagliata

    esistenza, ma in cui avevaritrovato la vita e l’amore.Avrà avuto poco più di

    cinquant’anni, un corposlanciato, magro, il visoscavato e i capelli lunghi egrigi come quelli del capitanoAchab alla ricerca della Balena

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    Bianca che gli aveva arrecatodolore e soerenza nel

    tentativo di togliergli la vita.Raccontava spesso dell’eroe diMelville e del tremendo odio

    che nutriva per la balenasimbolo delle forze del male edella natura maligna. E per

    questa ragione, con la suabarca, aveva deciso di dare lacaccia al cetaceo, nella

    speranza di poter liberare ilmare dalla sua terribilepresenza.

    La storia di Moby Dickparla del duro rapporto tra

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    uomo e natura, rappresentatadalla balena bianca, che riesce

    comunque ad avere la megliosul genere umano personicatodal capitano Achab e dalla sua

    ciurma: infatti essi niscono laloro vita nel profondo degliabissi.

    Non era possibilesconggere il gigante del mareperché secondo gli scritti di

    Melville, che hanno creato laleggenda, era una creaturamisteriosa come la distesad’acqua in cui viveva,l’immagine dell’inaerrabile

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    fantasma della vitacontrapposta a quella della

    morte. La storia di Achab, inqualche modo, assomigliava aquella di Carol.

    Spesso ci sedevamo a un

    tavolo di quella trattoria, “Ilgabbiano”, ritrovo di marinai edi poeti. Gli dissi che anch’io

    conoscevo tante cose del mare.Lui mi ascoltava, fumava lapipa e di tanto in tanto mi

    faceva qualche domanda.Proprio in uno di quei

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    lunghi pomeriggi decise dinarrarmi le sue vicende e

    rivissi, giorno, dopo giorno,tutte le avventure del suolungo viaggio.

    Mi confessò che i medici aLondra gli avevanodiagnosticato una grave

    malattia che lo avrebbe fattovivere ancora solo pochi mesi.Per questo motivo aveva

    pensato di andare a morire inmezzo al mare che avevasempre amato.

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    Carol non aveva rivelato lasua triste verità alla famiglia, li

    aveva solo informati cheintendeva fare una vacanza epartì adandosi alle braccia

    del vento e alle correntiimpetuose del mare e deglioceani.

    Parlando con lui venni aconoscere molti particolaridella sua vita. Mi disse che in

    casa, a Londra, era come unestraneo. Sua moglie eracompletamente disinteressata alui e anche suo glio loignorava. Ognuno faceva la

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    propria vita senza occuparsidegli altri.

    Una esistenza come la sua,aggiunse Carol, era di unaprofonda solitudine. A Natale

    appena un augurio e per lealtre ricorrenze nemmeno unaparola.

    Tutto era nito così pervarie incomprensioni e lostrappo non si era più ricucito.

    Carol ne parlava con unagrande tristezza nel cuore ecapiva che la sua vita era stataun fallimento.

    Ricordò suo padre,

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    commerciante di sete inInghilterra. Anche lui sempre

    in viaggio nei mercatid’Oriente aveva avuto una vitaavventurosa, ma senza aetti.

    La moglie, dopo ripetute liti, loaveva abbandonato.

    L’uomo parlava abbassandoogni tanto la pipa che spesso

    teneva spenta fra le labbra e inquei momenti restava insilenzio a riflettere.

    Lo ascoltavo con attenzionee uno dopo l’altro i pomeriggi,

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    mentre eravamo seduti allatrattoria, si trasformarono in

    un lungo racconto di dolore,amarezza, rimpianti. Unaresco dai colori densi, carico

    di luci e ombre.Lui a Londra lavorava inbanca e ogni tanto si

    concedeva una gita in barca. Ilveliero che possedeva era lasua passione. L’aveva

    comprato di seconda mano erestaurato da solo lavorandonelle ore libere e nei giorni difesta.

    Ne era attratto perché gli

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    avevano detto che a bordoaveva navigato per tanti anni

    un equipaggio leggendarioscomparso misteriosamentedurante una tempesta.

    I marinai di tutti icontinenti hanno sempreraccontato che le imbarcazioni

    abbandonate dai loroequipaggi continuano a vagareda sole, come se avessero

    un’anima.Un secolo fa, un velieroamericano fu visto avvicinarsia terra e dirigersi a forteandatura verso gli scogli.

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    All’ultimo momento riuscì adevitare l’ostacolo ed entrò

    nella baia fermandosi davantialla barriera. Alcuni pescatorisalirono a bordo e con grande

    meraviglia si accorsero che nonc’era nessuno: il veliero avevafatto tutto da solo e pensarono

    che fosse stato guidato da unequipaggio fantasma.

    Carol, il giorno della suapartenza, controllò

    minuziosamente lo scafo dacima a fondo. La sua passione

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    per il mare era talmentegrande che lui riusciva a capire

    l’anima delle imbarcazioni, laloro stabilità, la loro forza. Laprua e la poppa erano in

    ordine, l’asta sulla quale erafissato il timone reggeva bene.I anchi del veliero erano

    solidi e anche gli alberiavevano conservato la loroessibilità: quello di

    bompresso, di maestra, ditrinchetto, di mezzana e dipoppa avrebbero retto alletempeste. Erano statimantenuti dritti dalle sartie, le

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    grosse funi ancorateall’imbarcazione. Anche le vele

    erano in buono stato e gliornamenti erano intatti. Sottola polena, ragurante un

    angelo, erano ancora incisi duegrandi occhi intenti a scrutarel’infinita distesa d’acqua.

    Dopo una lunga revisionedi mesi il veliero fu pronto peraffrontare il mare.

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    La partenza

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    «Era l’alba di un mattino di

    giugno, il sole stava persorgere, in casa Wilson lamoglie e il glio di Carol

    dormivano. I gabbianivolavano bassi sul Tamigi, lacittà si stava risvegliando, una

    nebbia leggera rendeva ilpaesaggio ovattato.

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    «Non dissi niente, feci lestesse cose di tutti i giorni,

    andai a comprare il pane ediedi da mangiare ai passeriche ogni mattina venivano

    puntuali sul davanzale dellamia nestra. Quel viaggio eraun addio alle cose che amavo,

    a quei pochi amici che mierano rimasti, appartenevasoltanto a me. Quando salii a

    bordo mi si strinse il cuoreperché lasciavo, forse persempre, la città dove ero natoe vissuto.

    «Mentre la barca prendeva

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    il largo, mi passavano davantitutti i ricordi vicini e lontani

    della mia vita. Rivedevopersone, sentivo le loro voci,riettevo sui lati bui della mia

    esistenza, sui rimpianti, sututto ciò che non avevorealizzato, sulle paure che mi

    avevano condizionato, suglierrori, sui sentimenti.«Provavo le stesse

    sensazioni di quando, a diecianni, mi nascondevo in unabaracca di lamiere che avevocostruito dietro una fabbricaabbandonata. Era un posto

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    segreto dove potevofantasticare e guardare da

    vicino i gabbiani che siposavano sui li dell’altatensione. Una volta ne vidi

    uno cadere e morire. Gli altrigabbiani gli si fecero intorno,in cerchio lo sorarono con le

    ali, poi volarono via. Era illoro saluto. Ripensai aquell’episodio perché in esso

    c’era già il seme del mio futuro.Spesso il destino abita in unacapanna nascosta fra lelamiere.

    «Via via che il veliero si

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    allontanava dalla terraferma,quello stato di tristezza e di

    abbandono cedeva alla calmadel mare e al senso di libertàche si ingrandiva abbracciando

    l’orizzonte.«Avevo sempre sognato difare un lungo viaggio

    nell’oceano arontando i ventie le onde e provando quelleemozioni che avevo

    ininterrottamente immaginato.«Sapevo tante cose delmare, avevo letto decine dilibri, consultato carte nautiche,studiato l’andamento dei venti

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    e delle maree. L’occasione diun lungo viaggio per mare

    nalmente era arrivata anchese per un evento triste.«Il giorno della mia

    partenza» proseguì Carol dopouna breve interruzione «il cielodi Londra era grigio e un

    leggero vento spirava da nord.Forse avrei dovuto aspettarequalche giorno per maggior

    sicurezza, ma il mare eracalmo e non c’erano minaccedi temporali. Oltretutto ilvento avrebbe spinto le veleanche se sotto i ponti del

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    Tamigi c’è l’obbligo diabbassare gli alberi per poter

    proseguire. Conoscevo benequel tragitto: lo avevo percorsotante volte per raggiungere il

    mare.«In casa, qualche tempoprima, avevo detto che mi

    sarei concesso una vacanzafacendo un viaggio per marecon la mia barca. Mentii sul

    mio stato di salute per nonessere compassionato o noncreduto. Era già accaduto altrevolte di dover chiedere aiuto,ma tanto mia moglie che mio

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    glio non avevano mai fattoniente per me.

    «A che cosa sarebbe servitorimanere solo e malato inquell’inferno per morire senza

    una parola di consolazione?Salii a bordo della barca alleore nove del quindici giugno

    1963 ed issai le vele.«Quando si parte per mare,ogni colpo di vento ha il

    rumore di un cuore che batteper l’emozione. Navigando ciallontaniamo dalla fonte delmale, che ci ha resi vulnerabili,lasciandoci alle spalle i rovi e

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    le catene.«Chissà dove mi avrebbero

    portato i venti e le correnti, inquale luogo sarebbe giuntal’ora estrema della mia vita

    quando la luce si spegne e siprecipita in un buio, senzane, che segna il passaggio da

    una dimensione all’altra, oltreil quale si torna a vedere laluce?

    «Quella luce è il tutto, ilnito e l’innito, la continuitàdella vita che arrivadall’eternità e si trasferisce inun’altra eternità. È il segnale

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    del mondo, il più perfetto, ilpiù completo. La terra è luce

    come il sole, la luna e tutti glialtri pianeti.«Quando nasci vedi la luce

    e nella luce ritorni alla nedella vita terrena.«Questi erano in quel

    momento i miei pensierimentre la barca percorreva ilTamigi, il ume a cui è legata

    la storia di Londra. Rivedevo ipalazzi, le antiche costruzioniche si aacciano sull’acqua peroltre trecento chilometri. Miapparivano uno dopo l’altro i

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    vita, il mare e il ricordoincancellabile di Londra. Avrei

    portato nel cuore tutte le miesoerenze e sarei statosopraatto dall’amarezza in

    qualunque luogo avessi cercatodi andare. I giorni miavrebbero sempre travolto

    perché il male del qualesorivo era dentro la miaanima e dentro il mio corpo.

    Solo il mare poteva darmi unaiuto.«Secondo alcune leggende,

    il mare è il luogo di tuttoquello che abbiamo perduto, la

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    memoria sommersa delpassato, di quello che non

    abbiamo avuto, dei desideri,dei dolori, delle lacrime cheabbiamo versato.»

    Carol aveva deciso di

    raccontarmi tutti i momenti delsuo viaggio. Ero diventato perlui una specie di confessore al

    quale si può dire tutto perché siha estrema ducia di lui.Stando di guardia al faro tutte

    le notti, ero abituato asorvegliare il mare, le

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    tempeste, i venti. Dovevosapere tutto per comunicarlo ai

    naviganti attraverso segnali diluce durante il buio notturno.Così deve aver pensato che, se

    svolgevo con cura quel lavoro,dovevo essere totalmenteadabile. Sostava qualche

    minuto tra un racconto e l’altrocon la pipa in bocca e, solodopo averla allontanata dalle

    labbra, continuava a narrare:«Trascorsi la prima notte indormiveglia. Avevol’impressione di essereapprodato in un altro mondo.

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    prendere il vento. Mi trovavoin una località mai vista prima,

    nel cielo volavano uccellibianchi e dalle ciminiere dellefabbriche usciva fumo nero.

    «Quel lungo sogno mi lasciòsconcertato, ma con il tempoho capito che era pieno di

    signicati come le storie dimare che via via leggevomentre mi sentivo solo. Avevo

    portato con me tanti libri,erano la mia compagnia. Dinotte, spesso mi consolavaSirio, la stella più lucente delcielo che indica il cammino ai

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    naviganti e li aiuta a rietterenelle lunghe rotte della

    solitudine. Sirio, una notte, siinnamorò della terra e volevavederla da vicino. Pensava che

    fosse un luogo incantato, unparadiso per l’umanità, maquando si avvicinò si accorse

    che il globo terrestre eraouscato dai fumi neri dellefabbriche e dalle nebbie, che il

    traco uccideva anche i sognie la vita degli uomini non erameravigliosa come l’avevaimmaginata. Tornò al suoposto nel cielo e non volle più

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    vedere la terra da vicino.«Continuai ad ammirare la

    stella lontana che ogni sera siaccende per prima nel cielo efeci molte considerazioni sulla

    mia vita. Come era tristesapere che non avevo piùfuturo, che non avrei più

    rivisto le cose che amavo!Facciamo continuamente ungrande errore: corriamo dietro

    al presente, ci confortiamo conil rimedio della nostalgiamentre la vita scorre e cosìsfugge a noi il suo vero senso.L’uomo vive nelle abitudini, si

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    semi e aspettiamo duciosi cheil grano cresca e diventi pane.

    C’era scritto tutto questo nellaluce di Sirio che preferìallontanarsi dalla terra che pur

    aveva desiderato di conoscere.«Nell’aria percepivoqualcosa di misterioso, mi

    sembrava di sentire tante vociche mi chiamavano. Forseaccade così quando c’è l’alta

    marea e le onde cresconoemettendo un rumore costantecome di una folla lontana.

    «Amando il mare ho sempreavvertito il signicato della

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    sua voce, a volte stanca, altrevolte agitata per i

    cambiamenti del tempo, ilnascere del vento e il formarsidelle maree.

    «Il mare è come la nostraanima. Ci insegnacontinuamente qualcosa con il

    suo agitarsi o con i suoimomenti di calma assoluta. Lasua è l’eterna voce dell’innito

    e il tempo, i millenni, nonhanno cambiato nulla della suavita di mare: le stesse onde, lestesse maree, le stessetempeste. Tutto come all’alba

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    della creazione, quando la lunailluminava un mondo

    semideserto.

    «Cercavo consolazione a undestino inaspettato. La sceltache mi restava era l’estremo

    desiderio di un uomo che nonaveva più tempo per il tempo.La sentenza dei medici era

    stata come una nevicataimprovvisa che mi aveva coltoimpreparato proprio nel

    periodo di Natale quando tuttisono felici o cercano di esserlo

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    per la nascita di nostroSignore. Nella vita aspettiamo

    le grandi ricorrenze per aprirciagli altri e fare progettiassieme, ma spesso non

    abbiamo il tempo di dirci nullae quando il nostro cuorevorrebbe aprirsi ad un dialogo,

    è ormai troppo tardi, è giàscesa la sera e la neve hacoperto tutte le cose.

    «Ma la vita termina ancheprima che giunga la sera;succede se non si riesce più adecifrare il linguaggiodell’amore, questo sublime

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    sentimento che fa superaredifficoltà e affanni.

    «Stavo percorrendo la rottadelle mie riessioni. Sembravache il cielo si fosse chiuso sopra

    di me in un palpito eterno divita ed i suoi occhi azzurri,circondati di luce, invece, si

    fossero aperti sul mondo dopoun lungo sonno.«Mi rendevo conto di non

    aver dedicato il temponecessario a me stesso, al nedi capire il perché dimutamenti di umore,incoerenze, errori e difetti.

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    «Rapito dai miei falsibisogni, correvo

    instancabilmente dalla mattinaalla sera, viaggiavo,incontravo gente che, come

    me, in una corsa inarrestabile,era all’aannosa ricerca diprestigio e potere. Inseguivo le

    mie ambizioni perché solo cosìmi sembrava di esserequalcuno ma,

    inconsapevolmente, avevo soloindirizzato la mia vita versol’infelicità. E quel che è piùtriste, ero rimasto sordo, cieco,muto a anco di creature che

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    giorni: sopportiamo imbroglied ingiustizie senza protestare,

    evitando responsabilità erischi. La mia vita in casa eracosì: un groviglio di stati

    d’animo senza un principio néuna fine».

    Carol proseguiva nelracconto con la foga di chi, nel

    sonno, è scampato a unpericolo e si rende conto,svegliandosi, che era solo un

    sogno.Intanto lungo la caletta di

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    Portovenere che costeggia ilmare, passavano ragazze e

    ragazzi con i visi sorridenti e levoci squillanti. È sempre cosìquando arriva l’estate e si

    riversano nel paese ivilleggianti. Si aggirano neicaruggi fra le case colorate

    oppure scelgono le isole vicinericoperte di erbe selvatiche cheinondano l’aria di menta e

    rosmarino.L’atmosfera dell’anticopaese che Byron denì “il piùbello dell’universo”, piacemolto ai giovani che fanno di

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    questo luogo mitico unacornice per le loro storie

    d’amore.Molti acquistano da viviuna sepoltura nel piccolo

    cimitero che si aaccia sulla“grotta Byron” dove lo scrittoreinglese si recava a scrivere e

    ad ammirare le onde che inquel punto si frangono con unrumore assordante.

    Il racconto di Carolappariva quasi inverosimile inquello scenario che aveva lesembianze di un presepe sulmare.

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    Lo scelsero in molti, quelluogo, per trascorrervi l’ultima

    parte della vita. È il rifugio diuna mente stanca che cerca labellezza e la pace.

    Qualcuno raccontava chenella parte più alta dell’isolaPalmaria viveva un uomo con

    degli strani poteri, cheandavano al di là delle coseterrene, e narrava di aver visto

    passare le antiche naviromane.

    Dopo le consuete pause

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    Carol riprendeva il racconto ela sua vicenda si andava

    addentrando nelle storie delmare.

    «Una notte lessi in un librouna favola bellissima. Un

    navigatore si inabissò con ilsuo veliero per ritrovare il suogrande amore.

    «Seppi che l’uomo eraarrivato in fondo al mareseguendo le correnti e la sua

    imbarcazione si era adagiatadolcemente in mezzo alla

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    vegetazione marina. Nel librosi narravano altri particolari

    della sua vicenda umana,ragurazione di una storiaquasi impossibile che suggeriva

    molte domande e riessioni.Forse – era scritto – siamosoltanto delle contraddizioni

    che vagano come ombre spintedal vento della vita o forsepeccatori in cerca di espiazione

    e di amore vero.«Crediamo di essereilluminati e consapevoli delmistero della creazione, masiamo invece dei selvaggi

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    capaci di mentire a noi stessi eagli altri.

    «Crediamo di essereindispensabili, ma in realtàsiamo l’illusione del nostro

    egoismo.«La vita non è che unacommedia recitata a caso

    perdendo a volte il lo e ilsenso del discorso. Quello chediciamo somiglia a una storia

    che raccontiamo senza esserneconvinti.«L’unica forza risolutiva – si

    diceva nel libro – è l’amore. Iosono qui che aspetto la donna

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    che ho amato da molti anni esono sicuro che la rivedrò: i

    grandi amori non muoionomai.«Nel libro si raccontava

    ancora che due forze non sonomai mutate dall’inizio delmondo: il movimento delle

    onde e il cammino dell’amore.«Scendere negli abissisignica fuggire, cambiare il

    nostro modo di pensare perchétutto ciò che prima cercavamosotto il cielo, adesso lotroviamo in fondo al mare.

    «È il luogo dove giacciono i

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    segreti, tutto ciò che deveessere tenuto nascosto. La

    profondità del mare è come lavita che ci permette dirinascere tornando in

    superficie.«Così diceva quel libro: Iltuo veliero ti condurrà dove

    troverai l’essenza di ciò che haismarrito.«Mentre ero intento a

    correggere le vele che stavanoprendendo troppo vento,pensavo all’uomo in fondo almare. Dopo aver conosciuto lagrandezza del mare e gli

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    enigmi della vita, nulla mifaceva più paura, neanche le

    tempeste e nemmeno la balenagigante Moby Dick. Ero come ilcapitano Achab che arontava

    con coraggio il suo destino.»

    Parlando con il navigatore,compresi che si era aezionatoal paese di Portovenere ed ai

    suoi abitanti. Diceva di avertrovato in quel luogo valoriumani che non conosceva. Lo

    salutavano tutti: qualcuno almattino appoggiava un lone

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    di pane fresco sulla barca doveviveva e a lungo visse con la

    sua compagna.Qualche anno dopo il suoarrivo attò una piccola casa

    nei caruggi, la riempì di pianteselvatiche e di oggetti di legnotrovati in mare e nelle isole.

    C’era anche una bambola daicapelli neri e gli occhi azzurri.Conobbe gli aetti che gli

    erano sempre mancati, fucircondato da vera amicizia ediventò un mito.

    Il giorno di San Venerio,festa del paese, quando le

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    imbarcazioni raggiungono inprocessione l’isola del Tino per

    gloricare il protettore, c’erasempre anche lui con il suoveliero pieno di ori e la

    compagna Sanja che per anniaveva sognato di essere in quelpaese sempre amato solo

    attraverso i libri. Le campanedi tutte le chiese suonavano adistesa, i lumi a olio

    rimanevano accesi per tutta lanotte.Il lungo viaggio di mare

    aveva portato Carol in unmondo di sentimenti e di fede

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    dove il suo sguardo potevaspaziare come non mai al di là

    del tempo.

    Un giorno, in uno di quegliincontri pomeridiani, ilnavigatore solitario mi

    raccontò di essere giunto inun’isola dei mari del Nord e diaver conosciuto una creatura

    splendida con la qualetrascorse un mese felice. Laragazza, glia di pescatori, fra

    tante cose gli raccontò unafavola. Voleva lasciare un

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    ricordo della gente della suaisola che aveva appreso la

    lezione del mare.

    «Una storia molto vecchiache esaltava a tal punto ilcoraggio delle persone da

    portarle a compiere impreseleggendarie, pur di riuscire arealizzare i propri sogni.

    Risaliva a tanti anni fa,quando, in un paese dipescatori, le notti diventarono

    buie perché qualcuno avevarubato le stelle per venderle ad

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    altri che avevano poche stelle ecieli senza luce.

    «Nei luoghi dove le stelleerano sparite, la gente eraspaventata e non usciva più di

    casa per paura del buio. Leammelle non bastavano arischiarare le notti e le candele

    scarseggiavano.«Alcuni pescatori coraggiosidecisero di ritrovare le stelle

    rubate e si misero in viaggioper mare orientandosi con ilchiarore della luna.

    «Dopo aver navigato alungo, entrarono nalmente in

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    una zona dove il cielosplendeva di stelle. Chiesero

    notizie ad altri pescatori cheincrociarono sulla rotta evennero a sapere che si

    trovavano nei pressi dell’isoladel grande cielo dove c’eranotutte le stelle rubate. Ad una ad

    una le riportarono nel paeserimasto al buio e tutta la genteringraziò i pescatori che

    avevano ritrovato il cielo diuna volta.«Nelle parole della ragazza

    c’erano i tratti allegorici dellamia storia: ero partito anch’io

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    per mare allontanandomi dallanotte della mia vita per cercare

    la luce che mi era stata rubata.«A proposito di stelle, una

    notte attraversai una zona dimare dove i cieli stellati eranodiversi da tutti gli altri cieli eprovai una strana sensazionedi pace innita. Ebbil’impressione di essere sospesonel nulla e anche i pensieriandavano e venivano leggericome il vento che sorava leonde.

    «Navigando si vivonomomenti in cui il passato si fa

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    presente; in quel presentetroviamo tutte le spiegazioni

    che attendevamo e il segretodella vita sembra essere aportata di mano.

    «In un libro della miapiccola biblioteca di bordotrovai un’altra leggenda che mi

    colpì in modo straordinario.

    «C’era un vecchio poveroche viveva in una capanna diun’isola lontana, proprio dove

    niva il cielo e incominciava ilmare. Partiva all’alba con la

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    sua barca per pescare il pesceche gli serviva per sfamarsi.

    «Rimaneva lunghe ore sullariva a guardare le onde eimmaginava frotte di pesci che

    uscivano dall’acqua enuotavano veloci verso di lui.Era un’illusione perché il più

    delle volte la barca rimanevavuota e lui si cibava di quelpoco che trovava.

    «Ogni sera raccontava agliamici di aver pescato tanto diquel pesce che la sua barca nonriusciva a contenerlo, di averavuto splendide avventure in

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    acque calme del mare con pescilucenti che soravano la sua

    barca. Ogni sera diceva unanuova storia e tutti gli amicipescatori ascoltavano in

    silenzio i racconti diquell’uomo povero e la suacapanna diventò un luogo di

    racconti, di illusioni e diriessioni. Quando c’eraburrasca andava ugualmente

    sulla riva e pregava il mare dicalmarsi perché non sapevacome sbarcare il lunario.

    «Lo ascoltò un giovane chesi trovava da quelle parti e

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    decise di aiutarlo.«Si recò al largo e con forze

    misteriose trascinò dietro di séfrotte di pesci sino alla riva, inmodo tale che le onde li

    depositassero sulla sua barca,trascinò a riva i pesci lucenti ele tempeste si fermarono al suo

    comando.«Il pescatore cercò ilgiovane per ringraziarlo e

    seppe che nella zona non si eravisto mai nessuno come l’uomoche lui descriveva.

    «Era quel nessuno che civiene incontro quando

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    abbiamo bisogno di aiuto.L’entità misteriosa che riempie

    le nostre mani di pesci lucentie fa accadere l’impossibilequando tutto sta naufragando.

    «Leggendo la storia delpescatore mi passarono nellamente gli anni trascorsi aLondra e rividi i giorni grigi daimpiegato di banca sempre acontatto con gente interessatasoltanto ai soldi e agli aari.Pensai anche ai miei ritorni acasa ogni sera quandoincontravo mia moglie e mioglio già seduti al tavolo per la

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    cena. Non mi aspettavanoquasi mai, ero per loro solo un

    fantasma. Mai un saluto o unaparola di conforto. Solorimproveri, parole fredde,

    cattiverie. Mi chiedevo perchéero rimasto in quella casa pertanto tempo senza prendere la

    decisione di andarmene.«È quello che accade agliuomini come me che

    rimangono nell’inferno perpaura del giudizio della gente,per un’incertezza innata e lamoralità delle personeperbene.

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    «Ci sono volute la malattiae le parole dei medici per farmi

    prendere una decisioneestrema: quella diabbandonare tutto e partire

    con la mia barca per morire inmare.

    «Stavo navigando versoovest, il mare mi apparivasempre più grande, immenso.La distesa d’acqua, illuminatadalla luna, sembrava unacascata d’argento. Guardavo levele silenziose che simuovevano come ali di unafarfalla posata su un fiore.

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    «Avvertii un rumoreindistinto, quasi un lamento.

    Mi accorsi che qualcosa simuoveva sulle sartie. Miavvicinai e mi resi conto che

    era il gabbiano che mi seguivan dall’inizio del viaggio.Emetteva deboli stridii, si

    muoveva a fatica.«Lo presi in mano, tremava.Lo portai sottocoperta e alla

    luce mi accorsi che erasoerente. Lo avvolsi in unpanno caldo, lo feci bere e lolasciai riposare. Dopo qualchegiorno di cure l’uccello ritrovò

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    le forze e volò di nuovo sulpennone.

    «Bisogna saper cogliere ipiccoli doni che la vita ci oreogni giorno: un uccello caduto

    dal nido, una carezzaaettuosa, una parola buona,una passeggiata in campagna,

    il primo caè del mattino, unaboccata d’aria fresca, il versodi un gabbiano.

    «Ci sono invece grandidolori che lacerano il cuore: isensi di colpa verso noi stessi, irimpianti che non vorremmomai avere quando ci sembra

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    che la barca della nostra vitastia naufragando in mezzo alla

    tempesta. Nel momento in cuile vele sembrano non resistereal vento e le onde minacciare

    le ancate, una forzamisteriosa si leva a raddrizzarel’albero maestro e il timone

    guida la nave verso il marecalmo e aperto.«Guardando il cielo sopra di

    me ero portato continuamentea riettere, mi rendevo contoche la notte stellata non è solouno spettacolo aascinante,ma lo spazio sterminato nel

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    quale sono scritte migliaia discoperte scientiche e di

    antiche storie. I nostri antenatitrovarono nel cielo conoscenzeutili alla sopravvivenza,

    impararono a orientarsi inmare o nei deserti, a costruireorologi e calendari, a sfruttare

    i cicli stagionali per i lavori deicampi. Incantati dalmovimento degli astri e dei

    pianeti, intimoriti dalle eclissio dalle comete, popolarono ilrmamento di dèi ed eroi chene spiegassero il mistero.

    «Forse ciò è dovuto al fatto

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    che il cielo è sentito comeirraggiungibile, il conne oltre

    il quale non possiamoavventurarci, se non con ilpensiero, come la siepe

    nell’ Infinito  di Leopardi. Lasensazione che provoca lavisione del cielo genera in noi

    una mescolanza di sentimentidi ammirazione e al tempostesso di angoscia, nel

    momento in cui confrontiamola nostra limitatezza umanacon l’infinito suo mistero.

    «Una visione avvincente trai segreti, i sogni e le paure

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    degli antichi che riposero fragli astri le loro favole più belle,

    frammenti della nostra vita edel nostro futuro.«Quella notte pensai che il

    mio viaggio era fatto di stelle,maree, venti impetuosi. Avevonel cuore un gran pianto

    perché il mio destino, comeavevano detto i medici, erasegnato.»

    Carol, quel giorno, smise

    improvvisamente di parlareper seguire il volo dei gabbiani

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    che soravano l’acqua propriodavanti a noi. Ripensò a “coda

    bianca” che era rimasto con luiper tutto il viaggio.

    «L’avevo chiamato così» miraccontò «perché aveva le

    penne della coda bianche comela neve. Alla ne del viaggio siposò sul timone per salutarmi.

    Si fece accarezzare poi siallontanò nel cielo. Ne avevovisti molti lungo le scogliere e

    nei loro spostamenti avevoimmaginato tutto quello che ci

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    impedisce di volare per librarciin un cielo pulito. Soltanto con

    la fantasia possiamo sollevarcida terra quanto basta peressere sempre giovani. Si

    invecchia soltanto quando nonabbiamo più un sogno e le alisi sono spezzate.

    «Navigando si vivonomomenti in cui si trovano tuttele spiegazioni lungamente

    attese e il segreto della vitasembra essere a portata dimano, ma la felicità a cui sianela può soltanto esseresorata come i gabbiani fanno

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    con l’acqua.»

    Carol, sorseggiando labirra, la sua bevanda preferita

    che lo rendeva leggermenteeuforico e aperto al dialogo,ebbe una lunga pausa. Nei suoi

    occhi passarono strane ombre ela sua voce diventò grave.

    «Una notte, mentre la miavecchia imbarcazione

    avanzava lentamente nelleacque dell’Atlantico, le acque

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    mi apparivano sempre piùvaste. Ero partito a cercare un

    po’ di consolazione per il miocuore aranto e triste perchédovevo dire addio alla vita.

    Ero solo in mezzo all’oceano.«Sotto la chiglia l’acquaemetteva rumori diversi, voci

    di cui volevo distinguere leparole. Sembrava che il cielostellato si fosse schiuso sopra di

    me in un palpito eterno di vita.«Il mare era calmo, nonc’era un lo di vento, potevoriposare tranquillo e leggerealtre storie nei libri che avevo

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    portato con me.«Ne trovai una breve bella

    come un sogno. Era legata daili sottili della fantasia cheportavano a una verità

    nascosta dietro la luna.«Un uomo trovò la felicitàdopo aver compiuto un viaggio

    per mare e una bambinasorrise ai pesci lucenti che sierano avvicinati alla riva.

    Tutto era dolce intorno, l’acquadel mare si era fatta chiaracome l’aria e non nascondevapiù insidie e incertezze. Era unattimo di quel mistero che

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    alberga nella calma delle veleche si aosciano come se

    fossero stanche e sognano. Lastoria di quell’uomo e dellabambina era un miraggio.

    «Il mio viaggio continuava,il canto del mare si faceva viavia più intenso. Le onde si

    muovevano come in unadanza. Intorno, nello spazioblu, guizzavano pesci di tutte

    le razze come in una festaimprovvisa per l’arrivo dellapioggia.

    «Davanti ai miei occhipassavano tutti i mari del

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    mondo, tutte le stelle dei cieli epoi l’umanità con un grande

    interrogativo negli occhi.«Tutte le verità e lemenzogne danzavano al suono

    della stessa melodia. Gli amicied i nemici si stringevano lamano dimenticando i dolori.

    «Ascoltavo anche la voce dimia madre che mi chiamava dalontano. Spero che conservi

    per sempre la sua saggezza dimadre e mi chiami ogni voltache mi allontano.»

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    L’isola del destino

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    dei passeri sui rami degli ulivie un forte profumo di erbe

    selvatiche. Si respirava un’ariadiversa, riposante, misteriosa,di una calma estrema.

    «Mi apparve il primo segnodi vita: vidi sulla parte più altadell’isola, quasi nascosta dagli

    ulivi, una abitazione bassa erozza. Dal camino usciva unfilo di fumo azzurro.

    «Dopo essermi guardatointorno, cercai di raggiungerla.Era fatta di calce, a formarotonda, ricoperta di lastre dipietra ben ancorate per

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    resistere al vento.«Mi avvicinai all’ingresso e

    prima di bussare rimasi insilenzio per qualche istante. Miguardai in giro e notai mucchi

    di legna, ricavati da barche indisuso, che qualcuno avevatrasportato fin lassù.

    «La porta di legnomassiccio si aprì lentamente eapparve una donna molto

    anziana avvolta in una copertadi lana bianca logorata daltempo. Mi ssò con quei suoiocchi chiari che spiccavano inun viso pieno di rughe come un

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    campo arato. Mi fece entrare.C’era il fuoco acceso nel

    camino, un tavolo con duesedie al centro della stanza,pelli e coperte arrotolate in un

    angolo che dovevano servireda giaciglio. Appesi alle paretivi erano pesci seccati, radici,

    agli, pentole e posate. Ladonna mi invitò a sedere.«Stette a lungo immobile a

    osservarmi, i suoi occhi chiari eprofondi trapassavano il miosguardo. Poi incominciò aparlare.

    «“Per quale motivo ti sei

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    spinto n quassù? C’è qualcosanella tua vita dalla quale

    vorresti fuggire? Hai un dolorenel cuore così grande? Èaccaduto anche a me di vagare

    come un’anima in pena allaricerca di un po’ di pace che mipermettesse di vivere. È stata

    un’impresa dicile, ma nonimpossibile. Se ascolti quelloche ti dirò ti renderai conto che

    anche nell’ultimo istante dellavita si può cambiare il nostrodestino.

    «“Venni in questo eremoche una voce mi aveva indicato

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    e da quel giorno sono rimastasempre qui in meditazione e

    contemplazione. Vedi, questo èil mio piccolo mondo. Sonoormai tanti anni che vivo qui,

    da quando nella mia vita tuttocambiò: perdetti in un attimol’uomo che amavo e la mia

    giovane glia che era con lui.Accadde per un incidente inuna strada della Provenza

    mentre andavano a iscrivere alliceo la ragazza. Non si potéfare nulla per loro.

    «“In un attimo la mia vitacambiò, precipitai in un

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    baratro dove avrei volutomorire anch’io.

    «“Smisi di insegnare ed ognialtra mia attività, non mi curaipiù della mia vita, non chiesi

    aiuto a nessuno e mi lasciaitrascinare dall’indierenzaverso tutti e verso tutto. Me ne

    andai da casa, divenni unadelle tante persone disperate esole che popolano i bassifondi

    delle città. In quegli anniabitavo a Saint Paul de Vence.Incominciai a bere e ben prestol’alcol danneggiò la miamente: vissi in un mondo di

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    orrori.«“Dormivo nella strada o

    nei enili dei contadini. Almattino qualcuno mi dava unpo’ di latte caldo e con quello

    tiravo avanti per tutto ilgiorno. Chiesi l’elemosina agliangoli delle strade e mi resi

    conto di quanto poca umanitàci fosse nel cuore dellepersone.

    «“Vissi per lungo tempo inquello stato pietoso, conobbi ilmondo dei ladri, deidelinquenti, dei poveri e deidisperati come me.

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    «“Quando faceva moltofreddo accendevo un fuoco con

    la poca legna che trovavo eintorno a quella amma siavvicinavano anche gli altri

    derelitti. Eppure anche in quelmondo di miseria accadevanofatti che ti davano il coraggio

    di sopportare e di tirareavanti.«“Ricordo un barbone che

    teneva un passero nella tascadella giacca. L’aveva raccoltoin un giorno di pioggia mentrestava morendo. Lo curò no afarlo guarire e lo portava con

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    sé anche quando chiedeval’elemosina. Ogni mattina lo

    nutriva e metteva briciole dipane sopra un muriccioloanche per gli altri passeri. Si

    toglieva il pane di bocca persfamarli.«“La mia vita peggiorava.

    Continuavo a bere e ormail’alcol era diventato il miounico sostentamento. Quando

    mi mancava stavo male,deliravo, cadevo a terra e virimanevo per delle ore. Miconsideravo una donna nita.Ricordavo la mia gioventù, il

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    mio amore, mia glia e ilprofumo intenso della lavanda

    che cresceva nei campi intornoalla città.«“Una sera decisi di porre

    ne a quella misera esistenza,non avevo più nessuno a cuiaggrapparmi. Mi incamminai

    barcollando verso la chiesa diSaint Paul de Vence dove alladomenica andavo a messa con

    i miei. Desideravo, prima dimorire, domandare perdono aDio.

    «“Avevo bevuto più delsolito senza toccare cibo, le luci

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    della città mi apparivanosfocate, avevo freddo, un

    tremito continuo mi scotevasino alle ossa.«“Ad ogni passo un pezzetto

    della mia vita mi scorrevadavanti e provavo una penainnita di dover nire così, ma

    non mi restava altra soluzione.«“La facciata della chiesaera illuminata, intorno

    regnava un grande silenzio, laporta era aperta. Entraibarcollando, mi appoggiai aduna colonna, a stento riuscii afarmi il segno della croce,

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    caddi in ginocchio. Scoppiai apiangere a dirotto, i miei

    singhiozzi echeggiavano nellachiesa deserta.«“Allora chiesi perdono e

    pregai perché qualcuno miaiutasse a non soffrire troppo alungo nelle acque gelide del

    ume dove avevo deciso digettarmi.”»

    «La vecchia» continuò Carol«interruppe il suo racconto

    perché nell’isola stavaavvenendo qualcosa di insolito.

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    Improvvisamente si levò unleggero vento, gli ulivi

    diventarono d’argento e ilmare brillò di una luceaccecante.

    «Era uno di quei rari casidicili da spiegare. Intorno anoi c’è qualcosa che vive, che

    palpita in una dimensionesconosciuta.«Quante persone hanno

    trovato la fede in un alito divento, nello spuntare del sole,nel buio della notte, nella valledelle giunchiglie, nelle notti diluna, in una bambina che

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    stringe al cuore un piccoloscoiattolo, ma soprattutto

    nell’ascoltare il silenzio!«Dopo una lunga pausa, lavecchia riprese a parlare.

    «“Mentre ero in ginocchio,improvvisamente la chiesa siilluminò di un grande chiarore

    e al fondo della navata miapparve la gura di unmendicante. Nell’aria avvertii

    il solito profumo di lavandache avevo sentito più volte nelmio errare nei campi vicino aSaint Paul de Vence.

    «“Il mendicante che mi era

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    apparso era trascurato,indossava un abito sdrucito,

    aveva il volto emaciato. Rimasicolpita da quella visione,pensai che fosse un’

    allucinazione dovuta all’alcol,ma mi resi subito conto che ilmendicante era proprio lì,

    vicino a me. Si presentavadavanti ai miei occhi nellaverità di uno qualunque, nello

    stato di povertà in cui sitrovano milioni di persone.«“Si avvicinò, mi guardò,

    sorrise, mi fece una carezza poiincominciò con una voce bassa

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    e dolce mentre mi guardavacon occhi aettuosi: Non

    piangere, ascoltami. Adessonon hai più nulla da temereanche se di te è rimasto

    soltanto un brandello di vita.Proprio quello che ti hasalvato. Conosco il dolore che

    ti tragge il cuore e che ti haportato alla disperazione. Seicaduta più volte durante la tua

    Via Crucis, ma stasera,rialzandoti, hai trovato la forzadi cercarmi. Non è mai tardiper imboccare la strada giustaquando un minuto di verità

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    vale più di mille preghiere.«“Hai accettato il dolore

    come il prezzo di tante gioie edhai sdato con tutte le tueforze le ombre voraci che

    cercavano di sopraarti.L’istinto di sopravvivenzabisogna cercarlo in noi stessi

    anche se ciò che si può fare hasolo la forza di una piccolagoccia nel mare. Può darsi che

    sia proprio quella a dare unsignicato alla nostraesistenza.

    «“Non credere che io siamigliore di te, ho peccato, sono

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    stato abbandonato, tradito erinnegato. Ho camminato nella

    polvere, fra le pietre roventidelle strade assieme aidisperati. La mia vita per

    lungo tempo è stata simile allatua. Sono stato agellato,deriso e tradito, ma poi sono

    risorto.«“Ciascuno di noi puòcambiare la propria vita anche

    all’ultimo istante: in qualunquegiorno, in qualunque ora,purché lo desideri con le pocheforze che gli rimangono.

    «“È una lezione di ducia in

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    noi stessi a dispetto dei dolori edelle sventure che abbiamo

    subito. Nonostante tutto la vitaè ancora nelle nostre mani epossiamo fermarci sull’orlo del

    baratro. In quell’attimoestremo possiamo rivedere lenostre decisioni e cambiare

    direzione al camminointrapreso.«“Davanti ai nostri occhi si

    apre un quaderno sulle cuipagine bianche bisognariscrivere la nostra vitacorreggendo, cambiando,aggiungendo.

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    «“Tu stasera sei quellapagina bianca.

    «“Quando uscii dalla chiesa,la città mi apparve diversa:c’era poca gente nelle strade,

    gli accattoni erano spariti, ifuochi erano spenti e le bettoledeserte. Continuai a

    camminare ripensando alvecchio emaciato che mi eraapparso improvvisamente e a

    quello che mi aveva detto.«“I miei pensieri tornaronochiari, la mente serena, ladisperazione era scomparsaper lasciar posto a una calma

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    interrogativo.

    «Anche nel momentoestremo della vita» disse con

    aria grave «bisogna pensareche intorno a noi qualcuno ciprotegge, accarezza le nostre

    mani, ssa il suo sguardo nelnostro, ci è stato vicino mentrenoi stavamo perdendoci. Dopo

    questi segnali alcuni siincamminano lungo la viadell’occulto, altri scelgono la

    fede come arma di difesa e disperanza, oppure si

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    abbandonano al destino comeè accaduto a me.

    «Quando decisi di ripartiree abbandonai l’isola di Kiros,

    ebbi l’impressione di esseresfuggito al tempo e di seguirelibero la rotta dei gabbiani chedanno un senso alla loro vitaamando il compagno sino allane per poi morire con lui. Èl’amore che ci dà il coraggio dimorire e non il dolore.

    «Il fascino del mare portacon sé il desiderio di scoprirel’ignoto e la convinzione diincontrare quella verità che

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    sulla terraferma ci è sfuggita.»

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    L’isola della vita

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    «L’incontro con la donna

    eremita mi aprì il cuore. Mifece capire che, se non cifortichiamo all’interno di noi,

    le vele non si alzeranno e inqualunque mare cercheremo dinavigare le onde ci

    travolgeranno e saremodestinati alla deriva.

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    «È una ruota che gira nellostesso verso. Quello che era

    accaduto a me ora si ripetevacon la famiglia che mi eroformato, dove le cose non

    andavano bene e mio glio nesoffriva.«Il viaggio continuò fra

    venti e maree, cieli stellati enuvole, orizzonti di luce epiogge torrenziali. La mia

    barca reggeva ai cambiamentidel tempo e non diede maisegni di cedimento.

    «Ogni giorno del viaggio misi aprivano nuovi orizzonti e

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    mi rendevo conto di quanto ilmare e il cielo fossero belli.

    Spesso nel nostro piccolomondo aggrappato allanormalità ci illudiamo che tutto

    cambi, ma quel giorno nonarriva mai e quasi semprediventiamo troppo vecchi e

    stanchi per poter volare inalto. Era sempre stata questala mia paura.

    «Per me quel volo, chedoveva essere l’ultimo, si eratrasformato in una speranza.

    «Mentre mi allontanavodall’isola del destino si alzò il

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    vento e una pioggia ttaouscò il cielo. Il rumore delle

    gocce sulle vele pareva unmormorio di disapprovazionenei miei confronti.

    Sembravano dirmi: Dove staiandando? Sei sicuro della tuarotta? Sappi che incontrerai

    altri temporali come questo ele onde indeboliranno glialberi e le vele. Conoscerai

    anche i mostri del mare e lesirene ti canteranno canzonitristi. Vedrai passareall’orizzonte stormi d’uccellineri e i gabbiani piangeranno

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    in volo come anime in pena.«La pioggia sembrava

    ancora mormorarmi: Sei sicurodi non voler tornare indietro?Sei ancora in tempo, fra poco

    il temporale nirà e potrairiettere con più calma. Stavocombattendo con me stesso

    come aveva detto alla donna ilmendicante nella chiesa,rivivevo tutte le soerenze

    passate e soprattutto cercavoquel lo sottile che ci segue pertutta la vita legandoci allemani dell’ignoto. Siamo comeaquiloni colorati che si

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    spingono sempre più in altovicino al cielo. Spesso, però, il

    lo si rompe e l’aquilone cadefra i rovi. Bisogna cercare dirimetterlo assieme e farlo

    volare ancora. È questa la lottache dobbiamo portare atermine.

    «Il temporale cessò, il maredivenne calmo e una nuovavisione della vita si spalancòdavanti ai miei occhi. Accadecosì durante le maree cheinuenzano la nostra esistenzano al punto di aondarla ofarla risorgere. Anche il mio

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    compagno di viaggio codabianca sembrava più sollevato.

    Sceso a prua, becchettava lagalletta sbriciolata. Era il suopasto preferito e la cambusa

    era ben rifornita di cibi e dibevande.«Dopo aver mangiato

    spiccò il volo e fece un lungogiro seguendo l’imbarcazione.Il gabbiano era il mio

    portafortuna o forse l’anima diqualcuno che cercava diaiutarmi. I gabbiani volano amigliaia sopra i mari delmondo, imprevedibili nel loro

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    comportamento. Sono capacidi lunghi percorsi, ma anche di

    tornare continuamente in unluogo e di affezionarsi all’uomooltre misura.

    «Avevo letto che nel mardel Giappone c’era un’isola dinome Kanascima dove spirava

    sempre un vento leggero cheallungava la vita degli abitantie faceva sbocciare i ori in

    tutte le stagioni.«Impiegai parecchi giorniper raggiungerla. Le mie cartenautiche, come sempre, nonfallirono la rotta.

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    «Era l’isola della vita. Nonera grande, ma si poteva

    notare a distanza per la suafolta vegetazione costituita daalberi secolari e campi di ori

    azzurri che si confondevanocon il cielo. Mi avvicinailentamente alla spiaggia in un

    mattino di sole e, prima discendere dal veliero, rimasi acontemplare da vicino il

    paesaggio che aveva l’aspettodi un’apparizione in mezzo almare.

    «Dopo qualche istante unacampana, con il suono

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    squillante, incominciò ascandire rintocchi lenti e di lì a

    pochi minuti si riversò sullaspiaggia un gruppo di personeche erano venute a darmi il

    benvenuto.«Sui loro volti c’era ilsorriso delle creature buone,

    accoglienti, per nienteinvidiose o aggressive.«Una ragazza si avvicinò

    alla barca entrando nell’acquasino alla cintura, facendomisegno di scendere sull’isola.

    «Il veliero si dondolavadolcemente sul mare calmo,

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    alcune persone da terra siinoltravano nell’acqua con il

    desiderio di salire a bordo.»

    Ascoltavo Carol con lameraviglia di un bambino a cuivengono raccontate favole e

    mi perdevo nella bellezza diquell’odissea vissuta dalnavigatore solitario. Il giorno

    in cui Carol attraccò aPortovenere avevo venticinqueanni, studiavo e di notte

    prestavo servizio al farodell’isola del Tino. Conobbi

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    tanti marinai e le loro vicende.Guardando il mare di notte mi

    pareva che tutto a questomondo avesse una vita isolata,separata come il mare, il cielo,

    le stelle.Le navi passavano lontanesorandosi solo per un attimo,

    un saluto poi più niente. Tuttequelle immagini mi facevanopensare alla vita che trascorre

    in un attimo senza darci iltempo di riettere. APortovenere si sono semprerifugiati tutti coloro chedovevano difendersi dai venti e

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    dalle burrasche. Così latrattoria “Il gabbiano” davanti

    al porticciolo divenne un luogodi incontri e racconti fantasticiquasi tutti legati al mare.

    Carol, durante quei pomeriggi,non mancava mai dicontinuare il suo racconto.

    «Trascorsi la notte di Natalein navigazione e accadde unacosa strana. Una grande

    medusa luminosa come unacometa attraversò il mare e sifermò proprio sotto la barcache era diventata una culla.Dal cielo incominciarono a

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    cadere occhi di neve: siadagiavano ad uno ad uno

    sulle vele che avevano assuntola forma di veli sopra la barca.«Quel tratto di mare

    intorno al veliero si eratrasformato in uno sciame diluci.

    «Pensai: Perché tuttoquesto? È forse una luce nellanotte che scivola sul mare e si

    perde all’orizzonte peravvertirmi di un cambiamentodi rotta? È una voce vicina?Chi mi ha parlato? Un delno,oppure un’entità celata sotto le

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    sembianze della creatura piùdocile del mare?

    «La voce ha volutoricordarmi che dobbiamocondare in Dio e che soltanto

    nella libertà innita è possibileincontrarlo. Fino a quandosaremo legati agli interessi

    della terra non è possibilevederlo né sentirlo.«Dio è la sola forza che ci

    tiene in vita e che regola ilusso delle maree, le orbite deipianeti, il levarsi del sole edella luna.

    «Il delno gigante ha

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    vicende, ma come quella diCarol non ne ricordo altre.

    Il navigatore il giorno chemi andava descrivendo il suoNatale, era molto teso, la sua

    sensibilità al massimo in tuttele direzioni, si interrompevaspesso per riaccendere la pipa

    che continuava a spegnersi.

    «Decisi di scendere sullaterraferma dell’isola della vitae, dopo aver sistemato

    l’ancora, raggiunsi la spiaggia.Fui circondato da ragazzi,

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    ragazze e persone anziane.Avevano tutti un bel sorriso e

    cercavano di dirmi qualcosanella loro lingua. Come avevoletto in un libro che parlava

    dei misteri del Giappone, fuiaccarezzato da un vento lieveche infondeva serenità e

    leggerezza. Proveniva dallegrandi foreste e passava tra leerbe selvatiche dei prati. Aveva

    un potere calmante e tutti gliabitanti ne traevano beneciper la salute.

    «Anch’io avvertii unbenessere come quello che

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    subentra in noi dopo laguarigione da una lunga

    malattia che ci ha tenuti a lettoper tanto tempo.Completamente rinati,

    avvertiamo il profumodell’aria, ci sentiamo piùleggeri e abbiamo voglia di

    vivere. Era tanto tempo chenon avvertivo un tale stato dibenessere. Mi sentivo rinato

    come un albero seccato a cuierano spuntate ancora tutte lefoglie. Era evidente chequalcosa c’era nell’ariadell’isola e il tenue vento che

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    spirava per tutta la giornatatrasportava il seme della vita.

    Le case erano quasi tutte dipietra, piccole, le stradestrette, le piazze minuscole. Di

    grande c’era solo il sorrisodella gente, il loro cuore e lagenerosità.

    «Sicuramente quel climaebbe un eetto positivo sullamia salute che migliorava

    giorno dopo giorno. Gliabitanti erano tutti longevi,lontani da qualsiasi forma diegoismo, sempre sorridenti efelici, semplici e forti come la

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    quando nell’isola accadevaqualcosa e richiamava gente

    anche dai luoghi più lontani. Isuoi rintocchi si facevanosentire appena qualcuno aveva

    abbandonato l’isola persempre.«La sua voce veniva udita

    distintamente da coloro che sierano perduti in mare, durantele tempeste.

    «Ogni volta che la campanasuonava smossa dalmovimento delle onde, igabbiani volavano sopral’acqua quasi volessero portare

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    lontano quel suono in modoche tutti potessero udirlo.

    «La campana sommersadella torre era il conforto degliisolani perché in quei rintocchi

    ritrovavano il coraggio perandare avanti e per nonsentirsi soli.

    «Un giorno la campana infondo al mare non diede piùsegno di sé e i pescatori,

    disperati, attesero diriascoltare i suoi rintocchi chesembravano venire dall’altromondo. Tutti piansero per averperduto “la voce di Dio” e ogni

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    giorno si recavano dove untempo sorgeva la torre, ma

    non sentivano altro che ilrumore delle onde e il richiamodei gabbiani.

    «Dopo qualche tempo sisparse la voce che alcunipescatori avevano sentito

    ancora il suono della campanasommersa e altri invece non sierano accorti di nulla.

    «Chiesero spiegazioniall’uomo più saggio dell’isolache rispose: Solo chi saascoltare con umiltà la voce delmare potrà udire per sempre

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    anche la voce di Dio.

    «La ragazza che mi avevafatto da guida sapeva tantecose della vita ed era di una

    profonda saggezza. Sembravapersino che avesse frequentatocorsi speciali sulla realtà delmondo e su quanto vi accade.Era stato però il contatto conla natura che l’aveva apertaalla sapienza e alla bellezza.

    «Un giorno mi accompagnònel bosco della poesia dove,sulla corteccia degli alberi, gliabitanti avevano inciso parolebellissime.

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    «Kalis, così si chiamava laragazza, mi raccontò che quel

    luogo era sacro erappresentava la fede in Dio enella natura. Chi cercava la

    verità la poteva trovare inmezzo agli alberi.«Mi disse che ogni giorno

    che nasce è una continuarivelazione e molte cose belledi questo mondo sono

    sconosciute ai più.«Tornai più volte acamminare in quel bosco e laragazza mi mostrò alberigiganteschi sulla cui corteccia

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    erano state intagliate parole.“In queste frasi c’è il pensiero

    profondo dell’isola,” disse,“parole semplici che possonocapire tutti. Fra gli alberi c’è

    un continuo fruscio di desiderilegati al cielo. Mentrepercorriamo il bosco può

    avverarsi un sogno rimasto peranni impigliato fra i rami.Ogni albero, ogni foglia e ogni

    germoglio racchiude in sé lapromessa e la speranza dellaesistenza di Dio. La freschezzadelle foglie e la luce delle stellenon si risparmiano né hanno

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    pentimenti. Attraverso la lorototale donazione sprigionano

    l’energia che dà origine alladanza dell’universo: i ramisono le braccia, le foglie le

    mani, i pensieri il cuore. Lefoglie non hanno paura delvento, le stelle non hanno

    timore di palpitare, l’erba nonteme la rugiada del mattino etu non devi più temere la vita”.

    «Non appena Kalis ebbeparlato passò un lo di ventoed io avvertii ancora ilprofumo di lavanda che giàavevo sentito più volte, in

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    diversi luoghi. Mi sono semprechiesto quale signicato

    potesse avere quella fraganzache a volte era molto intensa,altre volte più attenuata.

    «“Vedi” disse ancora Kalis“qui la vita viene concepita inmaniera diversa, lontana daglischemi soliti secondo i quali simuove il mondo. Anche glialberi agiscono diversamentenei confronti delle foglie, chedurano più a lungo sui rami.Ogni abitante sa che deverispettare certe regole e ognigiorno che nasce è un nuovo

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    giorno che non si ripeterà maipiù.

    «“Uno dopo l’altro i giorni,al levarsi del sole, devonorappresentare il passato di cui

    dobbiamo trattenere solo leesperienze positive. L’oggi nelquale è opportuno cercare di

    vivere nella maniera migliore.Il domani è la speranza. Iltempo della maturità ci

    insegna a dare il meglio di noistessi. Il periodo dellavecchiaia è quello che deveessere vissuto con pazienza eserenità. Poi c’è il simbolo

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    della ne che spesso ci coglieimpreparati. L’ultimo periodo è

    quello che rappresenta ilgrande mistero dell’aldilà incui potrebbe incominciare una

    nuova vita.”

    «Mi resi nalmente eindubitabilmente conto diessere approdato sull’isola

    della vita che rappresenta quelpezzo dell’anima che conservai valori del mondo e ci fa

    capire quel perché checontinua ad echeggiare fra due

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    eternità: quando apriamo gliocchi sul mondo e li chiudiamo

    nel buio di una notte senzane per riaprirli poi nella lucedi Dio.

    «Avvertii che anche la terraaveva impronte buone. Eranogià passate da lì persone piene

    di luce che avevano lasciato illoro alone dappertutto. Isentieri erano come le pareti di

    antiche chiese che avevanoassorbito nel tempo la forza dimigliaia di preghiere e la fedeche pervade l’umanità. C’eraad ogni passo un clima nuovo,

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    sereno e di sera tutto taceva difronte al silenzio delle stelle.

    «Dietro la cattedrale verdedel bosco, le voci sispengevano e persino il vento

    si addormentava fra le dune disabbia come i gabbiani chevolano su spiagge solitarie

    nascondendosi fra i cespugli dierbe e di canne. Loro nonpensano, ma avvertono i

    luoghi dove regna la calma deltempo.«La mia spiaggia deserta la

    trovai nell’isola dove, tra leorme nella sabbia, si

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    dipanavano tutti i ricordi vicinie lontani. Rivedevo persone,

    sentivo le loro voci, riettevosui lati bui della mia esistenza,sui rimpianti, su tutto ciò che

    non avevo realizzato e avreivoluto fare, sulle paure che miavevano condizionato, sugli

    errori, sui sentimenti.«Mi sentivo al sicuro nelpiccolo spazio circondato da

    folte siepi e alcuni giovanialberi dalla corteccia blu.«Nascosti nel silenzio capita

    di assistere a qualcosa digrande e irripetibile che

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    generalmente ci sfugge. Vedereun passero a pochi centimetri

    di distanza mentre si pulisce lepiume e si guarda intornoincuriosito non è cosa di tutti i

    giorni.«Nei numerosi villaggi cheattraversammo quasi nessuno

    parlava, le voci erano lontane,l’atmosfera incantata. Erogiunto nel luogo dove si crede

    ancora nella poesia e nellefavole. Il bosco era l’esempiodi qualcosa che non esiste più,lontano anni luce da una realtàfragorosa e piena di perché

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    che volavano continuamentelungo la riva.

    «Parlai con gli abitanti,visitai le loro case e mialimentai con i loro cibi

    semplici e buoni. Trascorsiquasi due mesi respirando labrezza leggera che sicuramente

    possedeva sostanze vitalibeneche che allungavano lavita.

    «I vecchi ogni sera siradunavano sulla riva del mareper ringraziare il Dio dellesolitudini mentre cantavanouna canzone malinconica e

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    lenta che i cuori faceva tuttisognare di un sogno venuto dal

    mare.«Giunse il giorno in cuidecisi di continuare il mio

    viaggio solitario e lo fecicapire agli abitanti dell’isola.La notizia li rattristò e il

    mattino della mia partenzavennero tutti alla spiaggia persalutarmi e la ragazza di nome

    Kalis pianse. Si era aezionataa me, alla mia storia, al miodestino. Mi aveva fattoscoprire grandi valori con lasua semplicità di ragazza nata

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    in un’isola dei mari del mondo.Quel soggiorno lo ricordo come

    una musica di canne lungo ilfiume.«Tornò anche coda bianca

    con un volo planato perposarsi sui tiranti delle vele.Faceva così ogni volta che

    attraccavo in qualche porto eabbassavo le vele. Lui sparivaquando arrivavo e tornava

    quando cercavo di catturare ilvento favorevole anchél’imbarcazione riprendesse larotta.

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    «Mentre il veliero siallontanava l’isola era piena di

    luce, i gabbiani bianchi miseguirono a lungo. Codabianca li guardava incuriosito.

    «Si erano risvegliati glialisei, i “venti del sogno” comeli chiamano i naviganti.

    Spingevano il veliero piùvelocemente del solito, il cieloe il mare erano di un azzurro

    cristallino.«Il mio amico gabbiano siera posato vicino all’albero dipoppa. Mi guardava come sevolesse parlarmi. Chissà da

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    dove era venuto e perché erarimasto con me. Se avesse

    potuto parlare quante cose miavrebbe raccontato!«Il senso del tempo e

    dell’orientamento degli uccelli,che volano giorni e giorni perraggiungere terre lontane, è

    uno dei misteri della naturache ci lasciano meravigliati.«Alcuni di loro muoiono in

    volo, altri si perdono nel cielocome aquiloni senza spago, mai più arrivano sempre adestinazione. Ho cercato piùvolte di avvicinarmi a coda

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    bianca per riuscire adaccarezzarlo, ma soltanto

    l’ultimo giorno si è lasciatoprendere fra le braccia quasicome per un addio.»

    Carol fece una pausa per

    ammirare Portovenere che neltardo pomeriggio diventamagico. L’ultimo sole tingeva

    di rosa i muri delle case e ilpercorso della caletta,specialmente nei giorni di

    festa, si riempiva di gente chepasseggiava avanti e indietro

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    fra le vecchie barche in secca,di gatti che stazionavano

    davanti alle trattorie e ai bar.Il mio amico Carol avevamomenti di silenzio, durante i

    quali ripensava al suo viaggio,a tutto ciò che era accaduto, aipaesaggi che aveva conosciuto,

    a coloro con i quali avevaparlato.A volte, alla trattoria “Il

    gabbiano” veniva anche Sanja,la ragazza che amava e cheaveva portato con sé dall’isoladell’amore. Hanno semprevissuto qui dal giorno in cui il

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    veliero si era fermato alporticciolo per ripararsi dal

    vento.«Dopo il soggiorno all’isoladella vita» esordì un

    pomeriggio Carol «la miasalute migliorò. Quel senso distanchezza che ogni tanto

    avvertivo, si attenuò giornodopo giorno sino a scompariredel tutto. Entrò in me una

    forza nuova e tutto quello cheavevano previsto i medici aLondra non si stava avverandoma, anzi, accadeva ilcontrario.

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    «Erano già trascorsi sei mesiabbondanti da quando ero

    partito e della malattianeanche l’ombra.«Ero stupito, pensavo che il

    lungo viaggio per mare miavesse allontanato dalla guranera della morte che non

    perdona. Ero felice, tuttoquello che avevo provato miaveva incoraggiato e la

    speranza era tornata dentro dime.«Ci sono momenti e fatti

    che ci inducono a tentare dicapire che cos’è la nostra vita.

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    Ci poniamo mille domande ecerchiamo di scoprire se

    abbiamo dimenticato qualcosadurante il viaggio che ci haconsentito di crescere e

    diventare uomini. La nostracondizione umana è uncontinuo alternarsi di

    convincimenti e delusioni,vittorie e scontte,incomprensioni e

    dimenticanze. Un giorno,nalmente, ci rendiamo contoche il segreto della nostrafelicità non dipende dallericchezze che abbiamo

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    accumulato, ma consiste nelcapire che la vita è un dono

    infinito.»Nei momenti di pausa diCarol approttavo per

    riettere, a volte quando ciattardavamo, mi fermavo aguardare la luna spuntata nel

    cielo ancora chiaro. Pensandoa quel mondo lontano che haaascinato l’uomo sin dai

    primordi della vita, mi vienespontanea una riessione.Sulla luna sono rimaste le ormedell’uomo, tutto il mondo le havedute. Rimarranno a lungo a

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    testimoniare il coraggio dicoloro che hanno sdato

    l’ignoto.Ma nel cammino della vitaci sono altre impronte, come

    quelle del navigatore solitario,lasciate in silenzio da chi hasdato il pericolo per salvare

    la propria vita. Sono le ormedel coraggio, della sda agliavvenimenti, che non verranno

    mai cancellate dal tempo.

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    L’isola dell’amore

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    Ci trovavamo al

    “Gabbiano” quasi ogni giorno eil navigatore continuavasempre il suo racconto. Il

    giorno successivo, come se sifosse appena interrotto, Carolriprese da dove si era

    interrotto la sera precedente.«Mentre seguivo i miei

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    pensieri mi accorsi che stavoavvicinandomi a un’isola

    dell’oceano indiano.«Guardai le carte nautiche emi resi conto che doveva essere

    Cyelos, l’isola dell’amore, laterra che i navigatori cercanospasmodicamente. Pochi hanno

    la fortuna di incontrarlaperché è protetta da unabarriera corallina che la rende

    invisibile ai più.«È una terra evanescentecome un giardino incantatodove splende sempre il sole eregna una grande pace. Alcuni

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    navigatori aermano di averlavista nell’azzurro orizzonte del

    mare simile ad una magicavisione. Sostengono che eraavvolta da nuvole bianche che

    la facevano sembrare unparadiso in mezzo al mare.Molti di coloro che cercano di

    raggiungerla tornano delusiperché, mentre le imbarcazionicredono di avvicinarla, l’isola

    si allontana sempre più ediventa irraggiungibile comeun’illusione.

    «Seguendo la miaconvinzione abbassai un poco

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    le vele e cercai di entrare inuna insenatura della scogliera.

    L’isola era montuosa, le cimeazzurre rilucevano inlontananza. Non c’era nessuno,

    sembrava un mondo popolatodi fantasmi. Qua e là un lo difumo azzurro di qualche

    camino acceso, nei piccolisentieri un grande silenzio, glialberi immobili. Scesi dal

    veliero e mi incamminai lungola spiaggia bianca come unapianura di neve e mi diressiall’interno. Percorsi sentieripolverosi, incontrai gente che

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    andava e veniva, donne chesorreggevano bambini sulle

    spalle, vecchi con grandicanestri di giunco cheprocedevano lentamente.

    Raggiunsi il primo villaggiofatto di case di legno e dibambù. Gli abitanti erano

    gentili e sempre disponibili,nessuno mi chiese che cosacercassi. Sorridevano quando

    mi incontravano eabbassavano il capo in segnodi rispetto.

    «Dopo tanto camminare frasentieri e villaggi incontrai

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    sulla porta della sua casa unaragazza molto bella con gli

    occhi azzurri e i capelli neri.Era seduta su una panca, stavaleggendo un libro.

    «Mi sorrise, mi invitò asedermi e mi fece capire cheSanja era il suo nome: lo

    scrisse su una pietra.«Era vestita con una speciedi saio bianco e teneva le mani

    poggiate sul petto come segnodi rispetto per me. Incominciòa parlare, conosceva qualcheparola della mia lingua eriuscii a capire che

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    accompagnava i visitatori ascoprire i luoghi più suggestivi

    dell’isola. Le chiesi se potevafarlo anche per me ed accettòfelice. Il suo sorriso era

    radioso, infondeva una grandeserenità.«Sapeva mettere d’accordo

    la realtà della vita con il suomondo interiore pieno dipoesia e di fantasia. Non

    possedeva niente, ma riuscivaa trasformare la vita di tutti igiorni in una splendida aba.Parlava della natura come diun fiore sbocciato nel cuore e si

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    commuoveva se incontrava sulcammino un uccello caduto dal

    nido per il troppo vento. Sisforzava di diventare ognigiorno migliore e in quel

    cercare stava tutta la suabellezza. Ogni giorno miapriva un pezzo del suo mondo

    componendo così una raccoltagioiosa di parole.«Ero felice di essere

    approdato a Cyelos doveesisteva una creatura così.«Ogni giorno incontravo

    Sanja e assieme a lei visitavo iluoghi più belli di quel piccolo

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    mondo in mezzo al mare.Diventammo amici e giorno

    dopo giorno qualcosa di più. Ciinnamorammo e la nostrastoria divenne profonda pur

    conservando la semplicità dellepiccole cose.«Anche Sanja era semplice e

    umile come tutte le personeche nascono povere e siportano dietro per tutta la vita

    un vestito logoro. Infatti eratimida, insicura, piena diincertezze. Anche se un giornofosse diventata ricca,all’interno del suo animo

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    «Un’innità di pensierinascevano in me durante le

    lunghe passeggiate con Sanja.Mi ero rifugiato in un luogosolitario ed avevo arontato

    un lungo viaggio in mare perstaccarmi da tutto, per entrarein contatto con anime buone

    che sanno darci qualcosa dellaloro purezza per farcidiventare quello che eravamo

    nell’età migliore della vita.«A Cyelos avevo incontratol’amore ed ero diventato unuomo felice.

    «Il lungo viaggio che avevo

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    intrapreso senza speranza miaveva portato in un’altra

    dimensione dove si può capiretutto ciò che è misterioso.«Sanja mi raccontò la sua

    vita facendosi intendere con igesti e quelle poche parole checonosceva. Un giorno mi disse

    che sapeva del mondo per averletto tanti libri che parlavanodi luoghi lontani disseminati

    sul globo terrestre. Parlò anchedell’Italia, del suo mare e dellebellezze artistiche. Mi chiese seconoscevo Portovenere con lesue case colorate e il cimitero

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    sulle rocce, dove fanno il nido igabbiani.

    «La ragazza aveva scopertola chiave del destino di questastoria parlando di Portovenere

    abitato un tempo da duescrittori inglesi che lo reserocelebre: George Gordon Byron

    e Percy Bysshe Shelley. Quasidue storie parallele la mia e laloro: però mentre il veliero

    degli scrittori navigava allaricerca di sogni, il mio lofaceva per sfuggire a una neannunciata. In quell’isolalontana era stata svelata una

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    verità che nessun naviganteavrebbe mai immaginato. Due

    storie inglesi, due velieri, lostesso amore per il mare, ilfascino dell’arte.

    «Un giorno Sanja micondò che viveva come lepiante di grano che sorridono

    al cielo felici di poter dare ilpane al mondo. Poi aggiunse:“Ti voglio bene senza

    conoscere quello che è stata latua vita. Quando ti parlo sentoche il tuo cuore mi rimandal’eco e i nostri pensieri siuniscono come le piante di

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    giunco che nascono vicine almare. Anche se è passato poco

    tempo mi sei necessario comeil vento che spinge le vele dellebarche. Ricorda sempre questo

    luogo dove i sentimenti sonopuliti e il mare è azzurro comeil primo giorno di vita”. Sanja

    era una ragazza intelligente ecolta. Durante le sue lungheattese di persone da

    accompagnare in giro perl’isola, mi confessò, leggevalibri di tutti i generi. Erano lasua consolazione, lo stupore, lagioia.

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    «Un giorno mi fece notare ilvolo basso dei gabbiani.

    “Signica” disse “che il tempocambierà come gli umoridell’uomo. Non temere perché

    nemmeno la più grandepioggia potrà allontanarti dalmio cuore. Il mio vecchio

    nonno mi raccontava sempreuna favola che aveva unamorale:

    «“C’era un’isola dove da

    mille anni vivevano la felicità,la t