futur iuris - prima uscita

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A bbiamo deciso di avviare lʼesperienza di un giornale uni- versitario imperniato sulle più importanti novità giuridiche, politiche ed amministrative perché sentivamo la necessità di esprimerci sui fatti più in- teressanti cercando di dare un contributo costruttivo al- lʼanalisi degli eventi. Il pri- mo argomento trattato “IL TESTAMENTO BIOLO- GICO” è scottante, smuove le coscienze e proprio per questo deve essere affron- tato. Io mi limito a dire che mai nessuno deve ergersi a moralizzatore, nessuno può accusare o additare coloro che la pensano in maniera diversa; in Italia non cʼè un partito della vita ed uno della morte, ci sono solo co- loro che si pongono degli interrogativi, si danno delle risposte e lasciano agli al- tri la libertà di scegliere, e ci sono coloro che interrogativi non se ne pongono e che cercano di opprimere la libertà degli altri obbligandoli a seguire le loro “non scelte”. Colui che sceglie di rifiutare un accanimento terapeutico è da rispettare come colui che non lo fa. Sottoscrivendo un testamento biologico ci sarà chi potrà decidere per lʼ accanimento e chi invece potrà decidere per il naturale decorso della vita. Io non penso che tutti deb- bano decidere di rifiutare lʼaccanimento terapeutico, ma chi vuole deve poter far- lo senza che ci siano poi le fiaccolate dei movimenti che, a dirla tutta, non sono “pro-vita”, ma “anti-libertari”. Dopo questa breve osservazione desidero rin- graziare la nostra Preside Rita Tranquilli Leali, da poco diventata Rettore del nostro Ateneo, alla quale rivolgiamo un grosso augurio affinchè riporti lʼuniversità di Te- ramo ad essere un punto di riferimento per tutto il Centro Italia. Ringrazio la Signora Mina Welby, che si è dimostrata subito di- sponibile ad inviarci il suo contributo nonostante non ci conoscessimo di perso- na ed il Dott. Gianguido Dʼ Alberto che ci ha fornito una lettura costituzionale del tema. Lʼ obiettivo è chiaro e spero che dalla lettura degli articoli possiate trovare degli spunti per riflettere sempre di più e per esprimervi su tutto quello che vi interessa. Affrontiamo la vita uni- versitaria con spirito di partecipazione e non lasciamo che gli altri decidano per noi; noi ci stiamo provando, è difficile, ma se ci darete una mano possiamo farcela; non guardiamo gli altri come sconosciuti ma avviciniamoci, discutia- mo, parliamo, solo così costruiremo lʼ università che vogliamo. Dopo enormi difficoltà siamo riusciti a dare unʼaltra impostazione alla nostra associazione, distaccandoci definitivamente da ogni appartenenza partitica, facendo capire chiaramente di non essere una succur- sale dei potentati politici ma di essere un gruppo di studenti universitari che vivono nel mondo e che cercano di dare un contributo per cambiare, nel loro pic- colo, la realtà che li circonda. Certo il nostro orientamento è di centro-sinistra, ma quel centro-sinistra che cerca di fare della ricerca continua, dello studio e dellʼimpegno sociale un caposaldo del vivere quotidiano, battendosi e rifiutan- do favoritismo ed asservimento becero. Studio, Merito, Impegno Sociale, sono questi i capisaldi del nostro vivere quo- tidiano, se anche tu li condividi unisciti a noi, insieme costruiremo una grande università. Andrea Monsellato (resp. Udu Te) “Studio, me- rito, impegno sociale sono questi i ca- pisaldi del nostro vivere quotidiano” L a mia profonda vici- nanza affettiva agli studenti e la consape- volezza della loro centralità nella vita dellʼAteneo mi inducono ad essere sempre più orgogliosa delle mie ragazze e dei miei ragazzi quando vengono intraprese iniziative, come la nascita di questo giornale (rivista), tese ad esprimere la vivacità intellettuale, la capacità ed il consapevole interesse a contribuire fattivamente alla loro formazione e, dunque, a costruire il loro futuro, un vero futuro. Dʼaltro canto, lʼUniversità è la sede più ido- nea, in quanto laboratorio di pensieri e sa- peri, per essere luogo di scam- bio dialettico. Tale profilo assume una rile- vanza decisamente primaria ed irrinunciabile in questo momento storico, nel quale il nostro Ateneo, al pari di molti altri Atenei, è sottopo- sto ad una politica di tagli nei finan- ziamenti mini- steriali - tagli, tra lʼaltro, fondati su parametri inattua- li e, soprattutto, non aderenti alle diverse real- tà territoriali - che finiscono per riverberarsi su un vostro pieno sviluppo intellettuale, sociale e personale. Questo giornale (rivista) sia sempre oggettiva espressione del vostro talento, care ragazze e cari ragazzi dellʼUDU. Auguro un grande successo alla vostra iniziativa, che, sono sicura, vedrà ulteriori sviluppi. Rita Tranquilli Leali SALUTI PERCHE’ NASCE FUTURIURIS “Questo gior- nale sia sem- pre espressio- ne del vostro talento” In evidenza pag 1 Prof.ssa Rita Tran- quilli Leali pag. 2 Mina Welby pag. 5 Dott. Gianguido DʼAlberto

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Il periodico dell'Udu Teramo

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Page 1: Futur Iuris - Prima Uscita

Abbiamo deciso di avviare lʼesperienza di un giornale uni-versitario imperniato sulle più

importanti novità giuridiche, politiche ed amministrative perché sentivamo la necessità di esprimerci sui fatti più in-teressanti cercando di dare un contributo costruttivo al-lʼanalisi degli eventi. Il pri-mo argomento trattato “IL TESTAMENTO BIOLO-GICO” è scottante, smuove le coscienze e proprio per questo deve essere affron-tato. Io mi limito a dire che mai nessuno deve ergersi a moralizzatore, nessuno può accusare o additare coloro che la pensano in maniera diversa; in Italia non cʼè un partito della vita ed uno della morte, ci sono solo co-loro che si pongono degli interrogativi, si danno delle risposte e lasciano agli al-tri la libertà di scegliere, e ci sono coloro che interrogativi non se ne pongono e che cercano di opprimere la libertà degli altri obbligandoli a seguire le loro “non scelte”. Colui che sceglie di rifiutare un accanimento terapeutico è da rispettare come colui che non lo fa. Sottoscrivendo un testamento biologico ci sarà chi potrà decidere per l ̓accanimento e chi invece potrà decidere per il naturale decorso

della vita. Io non penso che tutti deb-bano decidere di rifiutare lʼaccanimento terapeutico, ma chi vuole deve poter far-lo senza che ci siano poi le fiaccolate dei movimenti che, a dirla tutta, non sono “pro-vita”, ma “anti-libertari”. Dopo questa breve osservazione desidero rin-graziare la nostra Preside Rita Tranquilli

Leali, da poco diventata Rettore del nostro Ateneo, alla quale rivolgiamo un grosso augurio affinchè riporti lʼuniversità di Te-ramo ad essere un punto di riferimento per tutto il Centro Italia. Ringrazio la Signora Mina Welby, che si è dimostrata subito di-sponibile ad inviarci il suo contributo nonostante non ci conoscessimo di perso-

na ed il Dott. Gianguido D ̓Alberto che ci ha fornito una lettura costituzionale del tema. L̓ obiettivo è chiaro e spero che dalla lettura degli articoli possiate trovare degli spunti per riflettere sempre di più e per esprimervi su tutto quello che vi interessa. Affrontiamo la vita uni-versitaria con spirito di partecipazione e non lasciamo che gli altri decidano per noi; noi ci stiamo provando, è difficile, ma se ci darete una mano possiamo farcela; non guardiamo gli altri come sconosciuti ma avviciniamoci, discutia-mo, parliamo, solo così costruiremo l ̓

università che vogliamo. Dopo enormi difficoltà siamo riusciti a dare unʼaltra impostazione alla nostra associazione, distaccandoci definitivamente da ogni appartenenza partitica, facendo capire chiaramente di non essere una succur-sale dei potentati politici ma di essere un gruppo di studenti universitari che vivono nel mondo e che cercano di dare un contributo per cambiare, nel loro pic-colo, la realtà che li circonda. Certo il nostro orientamento è di centro-sinistra, ma quel centro-sinistra che cerca di fare della ricerca continua, dello studio e dellʼimpegno sociale un caposaldo del vivere quotidiano, battendosi e rifiutan-do favoritismo ed asservimento becero. Studio, Merito, Impegno Sociale, sono questi i capisaldi del nostro vivere quo-tidiano, se anche tu li condividi unisciti a noi, insieme costruiremo una grande università.

Andrea Monsellato (resp. Udu Te)

“Studio, me-rito, impegno sociale sono questi i ca-pisaldi del nostro vivere quotidiano”

La mia profonda vici-nanza affettiva agli studenti e la consape-

volezza della loro centralità nella vita dellʼAteneo mi inducono ad essere sempre più orgogliosa delle mie ragazze e dei miei ragazzi quando vengono intraprese iniziative, come la nascita di questo giornale (rivista), tese ad esprimere la vivacità intellettuale, la capacità ed il consapevole interesse a

contribuire fattivamente alla loro formazione e, dunque, a costruire il loro futuro, un vero futuro.Dʼaltro canto, lʼUniversità è la sede più ido-nea, in quanto laboratorio di pensieri e sa-peri, per essere luogo di scam-bio dialettico.Tale profilo assume una rile-

vanza decisamente primaria ed irrinunciabile in questo momento storico, nel quale il

nostro Ateneo, al pari di molti altri Atenei, è sottopo-sto ad una politica di tagli nei finan-ziamenti mini-steriali - tagli, tra lʼaltro, fondati su parametri inattua-li e, soprattutto,

non aderenti alle diverse real-

tà territoriali - che finiscono per riverberarsi su un vostro pieno sviluppo intellettuale, sociale e personale. Questo giornale (rivista) sia sempre oggettiva espressione del vostro talento, care ragazze e cari ragazzi dellʼUDU. Auguro un grande successo alla vostra iniziativa, che, sono sicura, vedrà ulteriori sviluppi.

Rita Tranquilli Leali

SALUTI

PERCHE’ NASCE FUTURIURIS

“Questo gior-nale sia sem-pre espressio-ne del vostro talento”

In evidenzapag 1 Prof.ssa Rita Tran-

quilli Leali

pag. 2 Mina Welby

pag. 5 Dott. Gianguido DʼAlberto

Page 2: Futur Iuris - Prima Uscita

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Sono ormai molti anni che si cerca di legife-rare sulle dichiarazio-

ni di volontà anticipate sui trattamenti sanitari. Per dire il vero vi è una grande scelta di disegni di legge in questa materia e ci sono dei testi buoni e che avrebbero da tanto potuto risolvere gravi problemi che sottovoce ma-nifestano i cittadini. L̓ ultimo DDL, redatto dal Sen. Raffaele Calabrò, scel-to sulla scia della vicenda pubblica di Eluana Englaro, è stato discusso in Senato ed è stato votato con un maquil-lage rifatto, ma i contenuti sono rimasti gli stessi. Sono tre i punti largamente av-versati: lʼimposizione della NIA (nutrizione e idratazione artificiale), la decisione ulti-ma sulle terapie lasciata al medico curante, anche contro unʼeventuale decisione del comitato etico dellʼospedale, infine tutta la legge è fatta per le persone in stato vege-tativo. Questo poi mi viene confermato da un intervento del sottosegretario Eugenia Roccella in Commissione Affari Sociali. Manca com-pletamente una parte impor-tante sulle terapie del dolore e sulle cure palliative. Ho accennato a gravi problemi che i cittadini manifestano sottovoce. In genere si tratta di esperienze di persone che hanno accompagnato nel morire, per lungo tempo e in condizioni disperate, qualcu-no dei loro cari o amici. Della morte non si parla volentieri, quasi per tenerla lontana. La morte è tabù. Di fronte alla sofferenza immane la morte diventa un porto di appro-do, si spera che il finire del giorno non sia altro che la promessa di unʼalba vicina. (Welby Piergiorgio)La tecnica medica e la far-macopea dispongono di in-finite possibilità per curare, guarire, ridare vita. Infatti, la nostra vita si è allungata, per molti in piena efficienza, anche se gli anni avanzano. Per molti, una volta dinamici e operosi, una vita inattiva,

in seguito a grave disabilità, non ha significato di un vive-re dignitoso. E ̓diventata sof-ferenza profonda dellʼanima e spesso non cʼè dolcezza e cura che riesca a convincerli che il loro essere e la loro semplice presenza, il solo poterli amare e curare dà loro dignità. La consapevolezza di molti che hanno curato

persone in minima coscienza o in uno stato puramente di vita biologica manifestano la volontà di non accettare mai uno stato, per loro non dignitoso. Altro ancora sono le malattie degenerative dove già alla diagnosi ti crolla il mondo e ogni giorno ti trovi con una capacità motoria in meno. Usi tutte le strategie per poter almeno ancora mangiare senza essere im-boccato, lavarti da solo an-che le tue parti intime e fare tante piccole cose. Ma una ad una ti viene a mancare la collaborazione di ogni anche piccolissimo muscolo, inizia lʼincapacità di deglutizione e la respirazione diventa gior-no per giorno più affannosa. Anche la parola ti viene a mancare: sei diventato muto. L̓ insufficienza respiratoria ti porta al pronto soccorso, sei intubato e riprendi coscienza. Sei messo di fronte alla scelta della tracheotomia per poter essere collegato a un ventila-tore automatico e continuare a vivere. Ma per vivere devi

anche nutrirti. Ma cʼè la PEG, un sondino direttamen-te inserito chirurgicamente nel tuo stomaco. Evviva, la tua vita è salva! Non voglio infierire oltre su chi legge. Ma questa è la cruda realtà. Chiedo solo al lettore di cer-care di immedesimarsi nel malcapitato. Mi dirai che il malato è libero di scegliere

le terapie. Ti rispondo: sì, sulla Carta Costituzionale della nostra Repubblica al-lʼarticolo 32 che recita: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dellʼindividuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposi-zione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Abbiamo il diritto alla salute, diritto a ricevere terapie ma non il dovere a sottoporci. Rileggi il secondo comma! Questa tua possibilità di non accettare delle terapie è affer-mato dallʼart. 1 della legge 180/78: Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono vo-lontari. Cʼè da sperare che il medico ti ascolti e rispetti la tua volontà di lasciarti mori-re, dopo averti sedato per non farti sentire la sofferenza del soffocamento. Una malattia inguaribile può essere man-

tenuta solamente se il malato accetta queste condizioni al limite di sopportazione, non vi può essere costretto.Eluana Englaro aveva scelto e si era espressa di non voler essere mantenuta nello stato vegetativo in cui aveva visto due suoi amici. Ne erano te-stimoni i suoi genitori e tre amiche. I giudici di Milano avevano confermato queste testimonianze. Non voglio entrare qui nelle controversie tra magistratura, parlamento e governo di quel periodo. So che negli USA la delega per decisioni cruciali in caso di malattia terminale va per legge ai genitori o al coniuge o al fratello. L̓ adempimento della volontà di Eluana è stato il primo caso pubblico di un biotestamento eseguito nel nostro paese. Ci sono alcuni comuni in Italia che hanno istituito un registro per i testamenti biologici, altri stanno per at-tivarli su richiesta di cittadini che firmano mozioni, delibe-re, petizioni per lʼistituzione di detto registro. Questi scritti hanno tutti valore le-gale anche contro una legge promulgata contro la volon-tà espressa nel testamento biologico. La gente comune ha capito, il Parlamento no, almeno non la maggioranza dei parlamentari.Qui ha gioco lʼobiezione di coscienza di molti che non sanno immedesimarsi nella sofferenza delle persone arrivate al bivio. Si obbietta che la vita è sacra e indispo-nibile. Sì è indisponibile a essere torturata da terapie che prolungano soltanto un lento morire. Una vita puramente biologica senza possibilità di ritorno a vita umana di relazione non ha ragione di essere mantenuta se la perso-na ha lasciato scritto che non accetta simile esistenza. Che si promulghi una legge non impositiva di terapie e che rispetti il diritto di auto-determinazione di tutti i citta-dini, altrimenti no ha ragione di esserci.

Mina Welby

IL TESTAMENTO BIOLOGICO VISTO DAI CITTADINI

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La legge n. 102 varata dal Gover-no il 3 agosto del corrente anno, permetteva la regolarizzazione di

colf e badanti, “aiuti alla persona” di cui la società italiana sembra non poter più fare a meno.Questa categoria rappresenta una for-ma di lavoro domestico, che si specifica per fornire assistenza a persone che non hanno requisiti di pie-na autosufficienza o che comunque hanno bisogno di aiuto in ragione di con-dizioni di salute o di età. In un Paese che invecchia e nel quale i servizi di sicurezza e sostegno alle persone anziane sono sempre stati quasi inesistenti (si pensi che i ricoveri costituiscono una realtà marginale a causa dei costi che superano i 2000 e sfiorano i 5000 euro per casi di non autosufficienza grave) queste figure sono diventate indispensabili per il buon funzionamento delle famiglie. Da qui è nata lʼesigenza del Governo per una regolamentazione ad hoc che ha riguardato quasi di 300.000 persone tra colf e badanti (le regolarizzazioni sono state 294.744). Riportiamo di seguito le condizioni richieste dalla normativa l. 102/2009. I datori di lavoro potevano dichiarare, dal 1° al 30 settembre 2009, la sussistenza del rapporto di lavoro, di lavoratori irregolari da almeno tre mesi alle loro dipendenze ed inoltre richiama-va il CCNL di categoria per stabilire un ulteriore requisito ossia che il lavoratore svolgesse le proprie mansioni, presso un solo datore per non meno di 20 ore settimanali.Il lavoratore doveva essere registrato presso:lʼIstituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per il lavoratore italiano o per il cittadino di uno Stato membro dellʼUnione europea, mediante apposito modulo;b) lo sportello unico per lʼimmigrazione, di cui allʼarticolo 22 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, per il lavoratore extracomunitario, mediante lʼapposita dichiarazione.c) lʼattestazione, per la richiesta di assunzione di un lavoratore, addetto al lavoro domestico di sostegno al bisogno

familiare, del possesso di un reddito im-ponibile, risultante dalla dichiarazione dei redditi, non inferiore a 20.000 euro annui in caso di nucleo familiare com-posto da un solo soggetto percettore di reddito, ovvero di un reddito comples-sivo non inferiore a 25.000 euro annui

in caso di nucleo familiare composto da più soggetti con-viventi percettori di reddito. La dichiarazione di emersione andava presentata previo pa-gamento di un contributo for-fetario di 500 euro per ciascun lavoratore. Il contributo non e ̓deducibile ai fini dellʼimposta

sul reddito. La dichiarazione andava presentata se-condo le modalità informatiche richieste dalla normativa e nei termini suddetti.I clandestini, da parte loro, non dove-vano aver avuto guai con la giustizia, infatti specifica la normativa che “non possono essere ammessi alla procedura di emersione prevista dal presente arti-colo i lavoratori extracomunitari:a) nei confronti dei quali sia stato emes-so un provvedimento di espulsione; b) che risultino segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore per lʼItalia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato;c) che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dellʼarticolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice.Inoltre non sarebbero stati inquisiti in ogni caso durante la procedura né il lavoratore da regolarizzare né il datore di lavoro. La riforma, che è stata accolta con molto entusiasmo dagli interessati, in realtà ha aperto molti interrogativi.Il requisito delle 20 ore è apparso essere il primo problema perché non ha tenuto conto della realtà. I lavoratori cumulano molto spesso più di venti ore settimanali presso più datori, se la normativa avesse tenuto in considerazione questo aspet-to, non si sarebbero esclusi tutti quei lavoratori che di fatto hanno dovuto rinunciare. In seconda analisi il pagamento dei 500 euro necessario a sottoscrivere la dichia-

razione. Questa cifra scelta aprioristica-mente, ha comportato il licenziamento di alcune lavoratrici e lavoratori prima della regolarizzazione e, secondo alcune ricerche, molti hanno pagato di tasca propria questa somma pur di ottenere i documenti e mantenere il lavoro.Il terzo problema ha riguardato lʼelevato costo della regolarizzazione. Unʼassi-stente familiare co-residente è costato alle famiglie, contributi compresi, tra i 1000/1300 euro al mese, con lʼaggiun-ta delle spese di vitto e alloggio ci si avvicina anche ai 1500 euro mensili. Decisamente oneroso anche per fami-glie in cui rientra più di un reddito. Una soluzione poteva essere il fondo “non auto-sufficienti” (l. 328/2000), ma è già stato dimenticato in Parlamento a causa della mancanza di sovvenzioni per il suo finanziamento.L̓ ultima questione riguarda il fatto che la regolarizzazione sia stata limitata solo a questo tipo di categoria lavorativa e non sia stata estesa anche ad altre, al-trettanto utili in diversi settori produttivi quali commercio, industria ed agricol-tura che ugualmente contribuiscono alla ricchezza economica del Paese, ma continuano ad essere clandestini ri-schiando, non solo di essere perseguitati dalle forze dell ̓ordine, ma anche di in-correre in multe fino a 10mila euro con conseguente comparsa davanti ad un giudice per lʼespulsione immediata (L. 125/2008 c.d. pacchetto sicurezza). Non sarebbe stato più giusto prima che logi-co, prevedere la regolarizzazione di tutte le categorie lavorative? O forse si è vo-luto agevolare solo la parte di elettorato attiva che risulta essere la più popolosa, cioè quella degli anziani?Concludendo, la presenza di badanti in nero o di regolarizzazioni in grigio, è rimasta una costante a causa di una Stato che non garantisce unʼassistenza sociale e che offre, come unica alter-nativa, lʼaiuto da parte di un membro della famiglia (donna nel 99%dei casi), con il conseguente ritiro dal mercato del lavoro. I lati oscuri che questa legge paventava, sono rimasti e di fatto ne ha creato altri. Per ora possiamo solo aspettare di vede-re se le nostre riflessioni siano lʼinizio di un aperto dibattito democratico.

Luisa Di Genni e Anna Nora Angelone

BADANTI E COLF DAVVERO VERSO LA REGOLARIZZAZIONE?IL LATO OSCURO DELL’EMERSIONE DEL LAVORO IN NERO

“La riforma lascia an-cora molti dubbi”

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“Chiunque cagiona la morte di un uomo, con il consenso di lui è punito con la reclusione da 6 a 15 anni ”: è questo il reato di omicidio del consenziente, regolato dallʼart. 579 del c.p., il cui elemento specializzante rispetto al comune reato di omicidio è rappresentato dal consenso del soggetto passivo. Consenso come rinuncia ad un bene assoluto e persona-lissimo, la vita, che il codice penale definisce indisponibile nellʼipotesi di uccisione di sog-getto consenziente e non anche nellʼanaloga ipotesi di rinuncia alla vita qual è il suicidio, com-portamento non rilevante dal punto di vista penale. Nella ricostruzione della fat-tispecie del reato di omicidio del consenziente due risultano essere gli elementi chiave : il consenso fornito dal titolare del bene vita ed il comportamento di chi asseconda tale consenso, procurandone materialmente la morte. Dunque, quale respon-sabilità? Emblematico, a tal proposito è, nel rapporto medico-paziente, il consenso allʼinterruzione di trattamenti sanitari di soprav-vivenza, quando essi risultino eccessivamente invasivi o quando la sopravvivenza sia solo una labilissima speranza: qui viene in gioco non solo il diritto di disporre di un bene as-soluto, ma anche il diritto alla tutela della salute di cui allʼart. 32 della Costituzione, inteso come diritto di ciascuno di pre-servare la propria salute ricor-rendo alla cura più efficace, che potrebbe essere anche una “non cura”. Nella situazione di cui si tratta, se la soluzione consi-ste nellʼagire, ad esempio nel praticare un ̓ iniezione letale al paziente (eutanasia attiva), si realizza la fattispecie delittuosa di omicidio del consenziente, se invece la soluzione consi-ste nel non agire, ad esempio nellʼomettere di alimentare il paziente (eutanasia passiva)

non si ha alcuna fattispecie penalmente rilevante. Per superare questi dilemmi etico-penali potrebbe ricorrer-si al “testamento biologico”, dichiarazione anticipata di volontà del testatore, in condi-zioni di lucidità mentale, circa le terapie che intenda o non intenda accettare ove dovesse divenire incapace di manifesta-re il proprio diritto di acconsen-tire o non acconsentire alle cure proposte, per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversi-bili o invalidanti. Il riferimento normativo è rappresentato,oltre che dal già citato art. 32 della Cost.,dalla “Convenzione di Oviedo sui diritti dellʼuomo e sulla biomedicina” (1997) che allʼart. 5 sancisce come regola generale: “un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e infor-mato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dellʼintervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può in qualsiasi momento liberamente ritirare il proprio consenso.”Dunque, condizione fonda-mentale del testamento biolo-gico è un consenso informato, serio, consapevole, ponderato, espresso sulla base di tutte le informazioni che il paziente possa aver ricevuto sul suo stato di salute e, soprattutto, sulla prospettabile evoluzione di tale stato. Il profilo problematico eviden-ziato dalla dottrina riguarda la fermezza e il perdurare nel tempo di tale consenso, poi-chè si profila inevitabilmente il rischio di un ripensamento nel soggetto interessato, ri-pensamento che, magari , non può essere reso noto proprio a causa di mancanza di lucidità del paziente… e allora non si può tornare indietro….

Francesca Di Lanzo

PROFILI GIURIDICO-PENALI IN TEMA DI TESTAMENTO BIOLOGICO

QUANDO IL VUOTO È TROPPO PIENO

“Quella libertà pura in uno Stato di Diritto” conti-nua a vivere di Marta Ferrara

Ci risiamo. Di nuovo quel talento tutto italiano di confondere i piani e annebbiare i concetti.L̓ ideologico col giuridico. Il pubblico col privato. Il dovere con la scelta.IL Ddl Calabrò è un balzo indietro nel tempo a prima dellʼAssemblea costituente, o, peggio, della Magna Charta.Ci voleva la sentenza del Tar Lazio (n.8560/09) per rimettere punti fermi alla inutile Babele giuridica sviluppatasi intorno al biotestamento.Troppo rumore per nulla: basterebbe tutelare il principio di autodeterminazione e quel rispetto della persona che secondo lʼarticolo 32 della Costituzione costituisce limite invalicabile per i trattamenti obbli-gatori. Il ricorso portato dinanzi al Tar Lazio dal Movimen-to difesa Cittadini contro lʼordinanza Sacconi –che, emanata nei giorni del caso Englaro,vietava la so-spensione di alimentazione e idratazione ai disabili - è stato rigettato per difetto di giurisdizione, in quanto materia spettante al giudice ordinario. Una censura formalmente negativa, ma assiologica-mente di rilievo perchè riconoscendo la giurisdizione ordinaria colloca la questione del fine “Non mettere-mo nè faremo metter la mano su lui vita nellʼalveo dei diritti personali soggettivi e, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari come tali, insopprimibili dal potere pubblico. e secondo la legge del paese.”Dunque, lʼinterruzione di alimentazione e Magna Charta, 1215 idratazione per i soggetti in stato vege-tativo persistente rappresenta una scelta individuale effettuabile anche ex post.Nella sentenza viene inoltre richiamato il princi-pio di uguaglianza in favore dei disabili contenuto nellʼarticolo 25, lettera f della “Convenzione delle Nazioni Unite dei disabili” secondo cui è necessario “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza me-dica o di cure e servizi sanitari o di cibo e fluidi sulla base della disabilità”.Si tratta di un richiamo già operato dallʼordinanza Sacconi – quando la Convenzione non era ancora esecutiva nel nostro ordinamento - che ne ha fatto baluardo dellʼobbligatorietà del trattamenti di idrata-zione e alimentazione per i pazienti in stato vegetati-vo, stravolgendone il significato.Non esiste il presunto vuoto normativo che il Ddl Calabrò vuole colmare. Esistono, piuttosto, norme di peso come la Costituzione, che impongono limiti forti e invalicabili a quel pubblico che si arroga il diritto a decidere per lʼuomo, prima che per il cit-tadino.La sentenza del Tar non ha valore vincolante perchè priva di giurisdizione,. nè, dʼaltro canto, può censu-rare la legge in via di approvazione in Parlamento sostituendosi alla Corte Costituzionale, ma profuma di “ libertà pura dello Stato di Diritto” (cit. Beppino Englaro parlando di Eluana) e di pienezza dei valori Costituzionali.

Marta Ferrara

Page 5: Futur Iuris - Prima Uscita

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Quando si affrontano questioni così delicate come il rapporto tra la vita e la morte, quando lo stato

decide di entrare con i suoi provvedimen-ti nella vita delle persone, lo scontro sulle questioni etiche e morali diventa inevitabile. Il testamento biologico che consente di dettare disposizioni anticipate sul proprio fine vita non può che suscitare lʼintervento della Chiesa Cattolica, o meglio delle gerarchie vaticane, che da sempre esercitano il controllo sui momenti fondamentali del-lʼesistenza umana. Il problema al centro delle discussioni sugli aspetti morali, che hanno animato il dibattito politico (e non solo) negli ultimi mesi, è quello di sta-bilire a chi appartiene la nostra vita. Per la Chiesa essa appartiene a Dio, lʼuomo pertanto non ha la libertà di disporne ma solo il dovere di custodirla e proteggerla; può rifiutare le terapie inefficaci per la sua guarigione che servono solo a pro-lungare la sua sofferenza. Il docente di bioetica Don Giovanni Del Missier af-ferma che lʼaccanimento terapeutico “ è una distorsione dellʼarte medica che per-de di vista il bene della persona per oc-cuparsi semplicemente della patologia e

dei dati clinici ”. Possono essere rifiutate dunque le cure “ sproporzionate rispetto ai risultati attesi ” , ma mai lʼidratazione e la nutrizione, anche se artificiali, perché

considerate non sussidi terapeutici ma le più elementari forme di sostegno della vita. Visione questa che però si pone in contrasto con il parere delle principali società scientifiche per le quali la nutrizione e lʼidratazione artificiali sono da considerarsi trattamenti medici. Se-

condo quanto affermato dalle massime autorità ecclesiastiche inoltre, i medici hanno lʼobbligo di rispettare la volontà del paziente ( in coerenza con il codice di deontologia medica ), ma anche di pre-servare la vita non potendo mai sospen-dere lʼidratazione e la nutrizione.Il ddl Calabrò già approvato al Senato sembra essere la traduzione legislativa della morale cattolica negli articoli in cui sancisce il diritto alla vita “inviolabile ed indisponibile”, vieta lʼaccanimento terapeutico ma riconosce lʼidratazione e la nutrizione come forme di “sostegno vi-tale” che non possono formare oggetto di Dichiarazione anticipata di trattamento. Questʼultime inoltre non sono né obbli-

gatorie né vincolanti e possono essere disattese dal medico.E ̓un disegno di legge che priva il cit-tadino di ogni diritto sulla propria vita, che lo espropria della libertà di scelta, rimettendo al medico lʼultima decisione sulla sua vita. Posto che la Chiesa non solo può, ma deve aver voce; non solo ha il diritto ma anche il dovere di render noti i principi morali di cui è portatrice, le istituzioni di uno stato laico (quale dovrebbe essere lʼItalia) hanno anchʼesse un dovere che è quello di difendere la laicità dello stato, di impedire che una morale religiosa si trasformi in una mo-rale di stato. Uno stato laico è uno stato libero dalle influenze esterne comprese quelle religiose, che lascia ai cittadini libertà di scelta e di azione prima fra tutte quella su se stessi. I cittadini dovrebbero essere liberi di perseguire le loro convin-zioni personali sulle questioni morali che riguardano la loro vita. Ma se le gerarchie vaticane possono esercitare unʼinfluenza tanto forte sulla legislazione di uno stato è perché dallʼaltra parte cʼè una classe politica tanto debole che ha abbandona-to la visione pluralistica rispettosa delle diverse culture morali per abbracciare unʼunica morale religiosa, trasferendola nella legislazione civile.

Daniela Di Pancrazio

TRA MORALE CATTOLICA E LAICITA’ DELLO STATO

“Meglio la mor-te che una vita amara, il riposo eterno che una malattia cronica”Bibbia Sir 30,17

La complessità strutturale del diritto alla salute, lʼunico espressamente qualificato come “fondamentale” dalla Carta costituzionale, richiederebbe unʼanalisi compiuta

ed approfondita che esula dalle finalità del presente scritto. L̓ ar-ticolo 32 della Costituzione, ancorando le sue previsioni ai prin-cipi supremi sanciti dagli articoli 2 e 3 Cost., traccia i caratteri essenziali del diritto alla salute riconoscendolo e garantendolo sia come diritto di libertà che come diritto a prestazione. Sotto il primo profilo, esso integra una prete-sa negativa della persona a che altri soggetti, siano essi pubblici o privati, si astengano dal-lʼadottare comportamenti pregiudizievoli della sua integrità psichica, fisica e sociale; come di-ritto a prestazione, invece, assume la natura di pretesa positiva a che la Repubblica predispon-ga mezzi e strumenti necessari che, garantendo cure gratuite agli indigenti, rimuovano gli osta-coli di ordine economico e sociale ad una tutela adeguata del bene salute, presupposto irrinunciabile per lʼesercizio di tutti i diritti costituzionali e più in generale per la piena realizzazione della persona umana in ossequio al principio di eguaglianza so-stanziale di cui allʼart. 3, c.2, Cost. In merito alla non agevole configurazione della nozione di salute, e consequenzialmente degli oggetti che vanno ricompresi nel relativo diritto, la dot-

trina prevalente ha accolto la lettura estensiva che si ispira alla linea indicata dallo stesso atto costitutivo dellʼOrganizzazione mondiale della Sanità, secondo cui per salute non si intende meramente la condizione di assenza di malattia o di infermità, ma il più generale stato di completo benessere fisico, psichico

e sociale, attribuendo rilevanza costituzionale alla complessiva socialità della persona e non limitando la tutela alla mera integrità fisica di cui allʼart. 5 del codice civile. Tra le molteplici declinazioni del diritto alla salute come libertà assume particolare rilievo il profilo della co-siddetta “libertà di scelta terapeutica”, il quale, a sua volta, può essere coniugato nella duplice forma del diritto di scegliere tra le diverse pos-sibilità di cura e del diritto a non essere curato. Pertanto, lʼimpianto costituzionale del diritto alla salute si regge essenzialmente sul princi-pio dellʼautodeterminazione individuale, non

potendosi rinvenire nel nostro ordinamento un vero e proprio dovere di mantenersi in salute. Come autorevolmente affermato (Crisafulli), a norma dellʼart. 32 della Cost. la libertà dellʼindi-viduo di rifiutare un determinato trattamento sanitario, e quindi la volontarietà del trattamento stesso, costituiscono la regola, la quale rinviene la sua eccezione in ipotesi circoscritte la cui previsione, come si dirà in seguito, incontra significativi vincoli

L’OBBLIGATORIETÀ DEI TRATTAMENTI SANITARI E IL DIRITTO AL RIFIUTO DELLE CURE NEL QUADRO DELL’ARTICOLO 32 DELLA COSTITUZIONE

“Nessuno può essere obbiliga-to a un determi-nato trattamento sanitario se non per disposizio-ne di legge”

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formali e sostanziali. Tale assunto trova esplicita conferma nellʼart. 33, comma 1, della legge n. 833 del 1978 ai sensi del quale “gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari” e, pertanto, personali, liberi e revocabili. Ovvia-mente, quale presupposto indefettibile di un corretto esercizio del diritto al rifiuto delle cure si pone il cd. diritto al consenso (dissenso) libero ed informato, in virtù del quale ogni manife-stazione di volontà da parte del singolo in merito alla propria salute richiede, oltre al pieno possesso delle facoltà mentali e alla capacità giuridica, la chiara prefigurazione da parte del medico della sua situazione diagnostica, delle conseguenze di ogni sua determinazione e delle eventuali alternative terapeuti-che. Per quanto concerne lʼipotesi di paziente in condizioni di incoscienza, nellʼassenza di una specifica disciplina legislativa, è controversa la questione della legittimità delle cd. “dichiara-zioni di volontà anticipate”, stilate e sottoscritte in un momento di coscienza e di pieno possesso delle facoltà mentali, in merito a cure che intende o non intende accettare nellʼeventualità in cui dovesse trovarsi nella impossibilità di esercitare il suo pote-re di scegliere se sottoporsi o meno alle cure medesime. Come è noto, la tesi dellʼattuale validità delle dichiarazioni anticipate di trattamento, pur nel silenzio normativo, è risultata prevalente nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha conferito inequivocabile legittimazione ad una volontà espres-sa anticipatamente, ammettendo nella fattispecie una sua rico-struzione mediante lʼanalisi della personalità, dello stile di vita e dei convincimenti del paziente non cosciente che denotino il suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, lʼidea stessa di dignità della persona (C 2007/21748). Una tale interpretazione giurisprudenziale, che va inevitabil-mente a colmare una colpevole lacuna legislativa non giustifi-cata bensì aggravata dalla complessità della materia e dalle im-plicazioni bioetiche del bilanciamento dei valori costituzionali ad essa sottesi, trova conforto sul piano del diritto positivo nel principio sancito dallʼarticolo 9 della Convenzione sui diritti dellʼUomo e sulla biomedicina il quale stabilisce che “debbano essere prese in considerazione le volontà precedentemente espresse nei confronti dellʼintervento medico se il paziente non è in grado di esprimere la sua volontà”. La configurazione del diritto costituzionale alla salute come situazione individuale di libertà “negativa”, implica una cor-retta definizione del concetto di “trattamento sanitario”, ovvero lʼintervento medico che può essere oggetto di rifiuto se non imposto attraverso determinate e rigide garanzie. In stretta connessione con la citata evoluzione del concetto di salute, la nozione di trattamento sanitario, in merito alla quale le letture offerte dalla dottrina e dalla giurisprudenza non sono apparse sempre concordi, ha assunto una connotazione particolarmente ampia, includendo non solo i trattamenti curativi e riabilitativi, ma anche quelli volti a prevenire malattie, risultando superata la distinzione tra trattamento, intervento chirurgico, sotto-posizione a controllo medico e somministrazione anche alla luce delle leggi nn. 180 e 833 del 1978 le quali, assimilando accertamenti e trattamenti, consentono di fatto lʼestensione del concetto non solo alle attività terapeutiche ma anche quelle diagnostiche ed in generale a tutti gli interventi medici che abbiano una chiara e diretta relazione con la tutela della salu-te del soggetto. In questo contesto si inserisce la controversa questione della inquadrabilità fra le attività terapeutiche ex art. 32 Cost. dei cosiddetti trattamenti di “nutrizione e idratazione artificiale” che, come è noto, sta animando il dibattito politico e scientifico, incontrando le resistenza di coloro che, configuran-do tali tipologie di intervento come “sostegni vitali”, rientranti in quel prendersi cura minimo che deve essere garantito ad ogni persona affinché non muoia di fame o di sete, escludono la pos-

sibilità di far valere legittimamente la volontà di rifiutarli. Con-trariamente, la giurisprudenza di legittimità ha perentoriamente affermato “che lʼidratazione e lʼalimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscono un trattamento sanitario”, integrando esse “un trattamento che sottende un sapere scien-tifico, che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come composto chimico implicanti procedure tecnologiche” (ancora, C 2007/21748).Siffatta qualificazione, che si ritiene corroborata dalla comunità scientifica internazionale, estende a tali fattispecie lʼapplicazione del regime di tutela del diritto alla salute, quale situazione giuridica soggettiva di libertà, pre-visto dallʼarticolo 32 della Costituzione, il quale, sotto questo profilo, si pone come norma speciale rispetto allʼart. 13 Cost. che disciplina le garanzie costituzionali della libertà personale. L̓ art. 32 della Costituzione, nella lettura combinata dei due commi che lo compongono, consente limitazioni alla libertà dellʼindividuo di rifiutare le cure, conferendo carattere obbliga-torio ad un determinato trattamento sanitario, esclusivamente se previste dalla legge, se rispettose della persona umana e se predisposte al fine di tutelare la salute, individuale o collettiva. Per quanto concerne il primo profilo, non vi è unanimità tra gli studiosi sulla natura della riserva di legge contenuta nel secon-do comma dellʼarticolo: alcuni autori ne sostengono il carattere relativo, affidando al legislatore la determinazioni delle norme generali e riconoscendo allʼamministrazione spazi di discrezio-nalità in merito allʼindividuazione specifica dei trattamenti e delle relative procedure (in questo senso, ex multis, Crisafulli, Modugno, Luciani, Panunzio); altra dottrina ha interpretato la riserva come assoluta, investendo la legge del compito di defi-nire una materia così delicata nella sua interezza (cfr., in par-ticolare, Barile, Pace, Caretti). Non vi è discussione, invece, in merito al carattere “rinforzato” della riserva, essendo imposto alla legge un vincolo costituzionale di contenuto, consistente giustappunto nel rispetto della dignità della persona umana, in ossequio al principio personalista stabilito dallʼart. 2 della nostra Carta fondamentale. Infine, secondo la dottrina maggio-ritaria, alla base di un determinato trattamento sanitario “obbli-gatorio” la Costituzione richiede la sussistenza contemporanea dei due requisiti della finalizzazione del trattamento stesso alla salute del singolo sottoposto e alla salute collettiva (ex multis, Vincenzi Amato). Va ricordato, infatti, che la salute è concepita dal primo comma dellʼart. 32 della Cost., anche come interesse della collettività e sotto questa forma può porsi in reciproca tensione con il diritto alla salute del singolo. In questo senso, come emerge da consolidata giurisprudenza costituzionale, “solo lʼesigenza di tutelare la dimensione collettiva della salute può legittimare il sacrificio della sua dimensione individuale tramite lʼimposizione di trattamenti sanitari” (Corte cost., sen-tenza n. 307 del 1990). In tali ipotesi, quindi, la limitazione del diritto allʼautodeterminazione può trovare il suo fondamento esclusivamente nel dovere dellʼindividuo “di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nellʼeguale protezione del coesistente diritto degli altri”. In sostanza, “le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormen-te con gli interessi essenziali della comunità”, i soli che posso-no richiedere la soggezione della persona umana a trattamenti sanitari obbligatori (in questo senso, v. Corte cost., sentenza n. 218 del 1994).

Gianguido DʼAlberto(Dottore di ricerca in diritto

costituzionale italiano ed europeo)

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Il disegno di legge Calabrò si insinua in un momento storico caratterizzato da un forte scontro tra alcuni poteri

forti che cercano di imporre la loro visione del mondo a tutta la collettività, una classe politica pronta a scendere a patti su tutto vista lʼimpos-sibilità di scelte coraggiose, ed il popolo, completamente assorbito dai gossip di questo o quel po-litico piuttosto che essere interessato ad argomenti vitali per la sua crescita (vedi

la necessaria riforma del mercato del lavoro, del sistema sanitario inefficiente, del mondo della scuola e dellʼuniversità,

dellʼimmigrazio-ne) problemi che continuano ad essere rimandati aspettando un futuro migliore. Ho cercato di

analizzare i punti del disegno di legge Calabrò che mi hanno colpito in maniera particolare e nellʼimpossibilità di poter

fare unʼanalisi completa vi sottopongo alcuni articoli: L̓ art. 5 punto 6 recita “Alimentazione ed idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze e non possono formare oggetto di Dichiarazione Anticipata di Trattamento”. Questo articolo sembra imperniato fortemente sul caso Englaro in quanto prima di allora il problema dellʼalimentazione ed idratazione non

UN DDL PER UN SISTEMA IMMATURO

“Il rischio è che ad ogni cambio di maggioranza cam-bi anche la legge”

Approvato nel marzo scorso dal Senato, il disegno di legge Ca-

labrò sul fine vita è approdato allʼesame della Commissione Affari Sociali della Camera. Il testo varato a Palazzo Ma-dama risente pesantemente dei violenti scontri ideologici esplosi in occasione del triste epilogo della vicenda di Elua-na Englaro.In quei giorni la decisione di interrompere lʼalimentazione artificiale della Englaro, in ottemperanza ad una sentenza della Suprema Corte, spacco il Paese dividendolo tra pro e contro. Il testo nasce così, come ri-sposta legislativa alle ripetute pronunce giurisprudenziali (si ricordi anche il caso Welby) che hanno affermato “il diritto del paziente di vivere le fasi finali della propria esistenza con dignità, e finanche di la-sciarsi morire”.Nella sua prima parte il prov-vedimento elenca i principi generali su cui si fonda (in-violabilità e indisponibilità della vita umana, tutela della salute, alleanza terapeutica tra paziente e medico), afferman-do il rifiuto sia della eutanasia che dellʼaccanimento terapeu-tico, mentre a seguire detta una normativa dettagliata (dalla forma alla efficacia del-le dichiarazioni di volontà, dal ruolo del fiduciario al rapporto medico-paziente) ed impone per legge il ricorso alla idra-

tazione ed alla alimentazione artificiale, trattamenti che il testo considera come mere forme di assistenza e che pertanto esclude dalla disponibi-lità dellʼindivi-duo.Oggi, a distanza di mesi dal caso Eluana, placate (ma fino a quan-do?) le passioni i d e o l o g i c h e , sembra essersi avviato un con-fronto più serio e responsabile sui temi del fine vita e dellʼaccanimento tera-peutico.Mentre lʼopposizione parla-mentare chiede di espungere dal testo il divieto e riconosce-re la natura terapeutica della alimentazione artificiale, voci di dissenso si levano anche allʼinterno della maggioranza dove da più parti (in primis il Presidente della Camera Fini) si contesta lʼimpianto illibera-le del provvedimento e la iper-regolamentazione giuridica che lo caratterizza.Le aperture politiche nonchè quelle che provengono dall ̓AMCI (Associazione dei medici cattolici) e da illustri rappresentanti del clero (uno su tutti il cardinale Martini), rendono oggi possibile una re-visione del testo approvato dal Senato, assolutamente impen-sabile fino a pochi mesi fa.

Non bisogna però illudersi. Sulle sorti del disegno di legge pesano infatti le vicende della politica: la preoccupazione

del Governo di garantirsi tramite la legge sul fine-vita il sostegno dalla Chiesa, la fron-da di Gianfran-co Fini allʼin-terno del Pdl, lʼinteresse della o p p o s i z i o n e ad acuire le divisioni della maggioranza. L̓ importanza

del tema imporrebbe un passo indietro della politica: avverrà mai?Occorre avviare una riflessio-ne seria e condivisa, scevra da dogmi e contrapposizioni ideologiche, capace di conci-liare la tutela della vita con il sacrosanto diritto a morire dignitosamente.La riflessione sulla fine della vita non è, e non può essere, una riflessione filosofica tra teologi sulla vita e sulla morte, essa investe invece lʼesistenza quotidiana di migliaia di per-sone che soffrono, e vedono soffrire i propri cari, impotenti davanti allʼaggravarsi della malattia ed allʼapprossimarsi dellʼepilogo della vita. Dinanzi a tutto questo è le-gittimo domandarsi se non sia forse più giusto prendere atto della irreversibilità di

una condizione vegetativa interrompendo le cure medi-che, piuttosto che prolungarle allʼinfinito aggravando le sof-ferenze e i dolori del malato. Personalmente scelgo la pri-ma, nella convinzione che sce-gliere della propria vita sia un diritto di ciascuno e che ciò non equivalga “a procurare la morte della persona, ma più semplicemente ad accettare di non poterla impedire”.Recitava Paolo VI in una lette-ra del 1970:“Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza in-stancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse unʼinutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad al-leviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo. Anche in questo il medico deve rispetta-re la vita”.Il dibattito è aperto!

Luca Scarpantoni

DDL CALABRÒ: INIZIA IL DIBATTITO SUL FINE VITA

Più ombre che luci sul Ddl Calabrò

Sul golgota

- ma non dove-va risorgere il terzo giorno?- meglio uno stato vegetati-vo eterno!

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era mai stato nemmeno sfio-rato e quindi mi sembra di vedere in questo un chiaro scambio tra potere politico e potere religioso alla luce delle manifestazioni di intolleranza verso la scelta della famiglia Englaro di sospendere le cure invasive nei confronti della figlia. Ma, tolto il dilemma politico, rimane il fatto che alimentazione ed idratazione non significa mangiare pane e bere acqua, ma ricevere in maniera forzata mediante son-dino diretto agli organi vitali sostanze liquefatte che servo-no a “tirare avanti” soprattutto quando il corpo è completa-mente scollegato da qualsiasi funzione celebrale. Quanti di noi sarebbero disposti ad accettare una pratica invasiva e restare come dei vegetali sul letto per il resto della nostra esistenza? L̓ art. 6 punto 4 enuncia “Sal-vo che il soggetto sia divenuto incapace, la Dichiarazione ha validità di tre anni, termine oltre il quale perde ogni effi-cacia. La dichiarazione antici-pata di trattamento può essere indefinitamente rinnovata.”Nella concezione generale di testamento la dichiarazione ha validità indefinita fino a quando il testatore non muore, o fino a quando non decide di modificarlo; con questa dispo-sizione, invece, si induce il soggetto a dover ripensare con

cadenza triennale al futuro non tenendo in considerazione la difficoltà morale di rinnova-re la scelta compiuta.Ulteriore quesito, qualora il soggetto perda le proprie capacità cognitive in prossi-mità dello scadere del termine triennale del rinnovo della dichiarazione anticipata, que-stʼultima può considerarsi ancora valida o il soggetto verrà obbligatoriamente sot-toposto ad alimentazione ed idratazione forzata? Ed in caso di malattia degenerativa che osti il rinnovo? Il Ddl sul punto tace.Il vero paradosso sta tutto nell ̓art. 8 circa il ruolo del medi-co: questʼultimo deve indicare le motivazioni che lo hanno spinto ad eseguire la volontà del dichiarante e non può con-siderare indicazioni che cagio-nino la morte del paziente, che saranno valutate in “scienza e coscienza” ( automaticamente la vita del soggetto A, che ma-gari ha delle convinzioni di-verse dal soggetto B, è rimes-sa nelle mani della coscienza del secondo). Questo è para-dossale, è come andare dal fruttivendolo, voler comprare limoni, voltarsi un attimo e ritrovarsi nella busta cicorie, e perché? perchè la coscienza del fruttivendolo suggerisce che i limoni non sono buoni. Al punto 3 è previsto che la scienza e coscienza del

medico prevalga nei casi di estrema urgenza; ma sbaglio o il fine vita è sempre un caso di estrema urgenza? ; infine, il rispetto per la libertà viene di nuovo calpestato poiché il medico può disattendere le in-dicazioni fornite dal paziente qualora ci sia una prospettiva di evoluzione sulla tecnica medica da applicare. Questa è follia in quanto se un soggetto dispone per il suo futuro lo fa nella lucida consapevolezza della possibilità di progresso scientifico . Il punto 5 però è la ciliegina sulla torta in quanto prevede che lʼeventuale controversia sulla dichiarazione – anzi la semi-certa, vedi caso Englaro con ministri che si produceva-no in mirabolanti ricorsi per evitare di far rispettare la scel-ta di una donna -sarà rimessa ad un collegio di medici. In definitiva, la vita di un uomo è rimessa ad un collegio di estranei che avrà il potere di scegliere per gli altri.Ho cercato di riassumere bre-vemente i punti cardine del ddl Calabrò che non inerisce il testamento biologico, ma la DICHIARAZIONE ANTICI-PATA DI TRATTAMENTO .Spero che nessuno me ne voglia per lʼesempio del frut-tivendolo, a solo scopo esem-plificativo. La libertà dei soggetti è sacra, inviolabile. È vitale avere

unʼidea in merito, ma occorre scavare nella propria coscien-za per decidere. E quando cia-scuno di noi avrà deciso per la propria vita, dovrà lasciare con rispetto la stessa libertà agli altri. Oggi, purtroppo, non mi sembra di vedere questo; al contrario, lo spettacolo è vera-mente triste, con fantomatici movimenti per la vita che si ritengono portatori della veri-tà rivelata a noi, poveri uomini nelle tenebre della morte…A voi il giudizio su cosa sia il rispetto per la vita. Lasciarla andare via naturalmente così come è venuta, o legarla ed in-trappolarla ad un tubo di rame che le invia la corrente? Penso proprio che rispetto per la vita rientri nella prima ipotesi. Mi hanno sempre preoccupato gli integralismi, così come il tentativo di obbligare gli altri a scegliere non in libertà, ma secondo ideologie preconcet-te. L̓ atteggiamento su questo problema rischia di sfociare in una contrapposizione peri-colosa ed antistorica, se è vero che una legge deve rappresen-tare la sintesi delle varie istan-ze, soprattutto sui temi etici. Il rischio è che al cambio di maggioranza cambi di nuovo la legge, creando sempre dei delusi dal sistema, eviden-temente incapace, su queste tematiche, di essere adulto.

Andrea Monsellato

Coste Sant’Agostino, c/o Facoltà di Giurisprudenzae-mail: [email protected] - [email protected] 339/7458178

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LʼUdu Teramo augura buon lavoro alla nuova Preside della Facoltà di Giursprudenza Prof. M. F. Cursi

Intervieni alla diretta sul “testamento biologico” del 9/11/2009 h. 17.30 chiamando i numeri 0861/266472 o 338/9865528