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Nel 1917 Einstein propose una nuova forma
di energia dotata di proprietà gravitazionali insolite.
Successivamente egli stesso
ritrattò questa idea, definendola
“il mio più grande errore”.
Dati cosmologici recenti sembrano confermare l’intuizione di Einstein.
Cos’è questa energia “oscura”
che potrebbe determinare il destino ultimo dell’Universo?
Gabriele Veneziano CERN – Ginevra
Collège de France - Parigi
Gabriele Veneziano
Nato a Firenze il 7 Settembre 1942, coniugato, 2 figli Nazionalità Italiana, Residenza in Svizzera Studi Laurea in Fisica, Università di Firenze : 1965
Dottorato (Ph. D.) in Fisica, Weizmann Institute, Rehovot, Israele : 1967
Posizioni Professionali Postdoc e poi Visiting Associate Professor : MIT, Cambridge, Ma, USA, 1968-1972 Full Professor, Weizmann Institute, Rehovot, Israele : 1972-1976 Staff Member, Div. TH, CERN, Ginevra : dal 1976 ; Direttore della stessa : 1994-1997 Titolare di una « Chaire Condorcet », Parigi, 1994 Titolare di una « Chaire Blaise Pascal », Parigi, 2000-2002 Cattedra di « Particelle Elementari, Gravitazione e Cosmologia » al Collège de France, Parigi : dal 2004 Appartenenze Membro dell’ Accademia Nazionale delle Scienze di Torino: dal 1994 Membro dell’ Accademia Nazionale dei Lincei : dal 1996 Membro dell’Academie des Sciences, Francia : dal 2002 Distinzioni Premio I. Ya. Pomeranchuk, Mosca : 1999 Medaglia d’oro della Repubblica Italiana come Benemerito della Cultura, 2000 Premio Dannie Heineman della American Physical Society : 2004
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II EINSTEIN E L’ENERGIA OSCURA DELL’UNIVERSO: ERRORE O PROFEZIA?
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
L’ENERGIA OSCURA DELL’UNIVERSO
Gabriele Veneziano
CERN, Ginevra Collège de France, Parigi
Nel 1916, in un colpo di genio, Einstein
estese la sua già rivoluzionaria teoria della
Relatività Ristretta a quella della Relatività
Generale, una teoria che riduce la forza
gravitazionale a proprietà geometriche dello
spazio-tempo. Ben presto i fisici dell’ epoca
pensarono di applicare la nuova teoria all’
intero Universo. Si scoprì allora che la
Relatività Generale non ammetteva un
Universo statico, immutabile nel tempo,
come si pensava lo fosse : la forza di
attrazione gravitazionale lo portava
necessariamente a collassare su se stesso.
Einstein decise allora di modificare le sue
equazioni e introdusse la ormai famosa
« costante cosmologica ». Rappresentando
una forma di energia oscura, costante
attraverso lo spazio e nel tempo, la
costante cosmologica aveva l’insolita
caratteristica di fornire, al contrario di ogni
altra forma di materia, una forza repulsiva.
Anche se misera sulla scala del sistema
solare, questa forza repulsiva stabilizzava le
dimensioni dell’ Universo controbilanciando
l’attrazione dovuta a tutte le altre forme di
materia.
Ma nel 1929 venne la scoperta di
Hubble : l’ Universo non e’ statico, si dilata,
e allora Einstein ammise : è stato il mio
errore più madornale, ritorniamo alle mie
equazioni del 1916 e gettiamo nel cestino la
costante cosmologica. In sua assenza
l’attrazione regna sovrana ma questo
implica solamente che l’Universo deve
espandersi sempre più lentamente. Nacque
così la cosmologia del big bang : un
esplosione iniziale, violentissima, seguita da
un’espansione sempre piu dolce.
Per circa 70 anni la cosmologia è
andata avanti senza fare più appello a
quella costante ripudiata dal grande
maestro. Restava un interrogativo : quale
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principio generale impediva l’esistenza di
questa insolita forma di energia? Ma questo
preoccupava solo i soliti incontentabili
« teorici » …
Da qualche anno, però, varie indicazioni
sperimentali hanno creato la sensazione :
l’espansione attuale dell’ Universo è
tutt’altro che decelerata ! Come l’Universo
statico che voleva Einstein, anche uno
che accelera ha bisogno di una costante
cosmologica o comunque dell’energia
oscura ad essa associata. Ha questo reso
finalmente contenti i fisici teorici ?
Nemmeno per sogno ! Il mistero dell’
energia oscura si fa sempre più fitto, come
in un giallo : l’accelerazione c’è`, ma chi
mai sarà l’acceleratore ?
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EINSTEIN E LA RELATIVITÀ
Roberto Pettorino
Professore di Fisica Teorica
L’ UNESCO ha dichiarato il 2005
Anno Mondiale della Fisica. Ricorre il
centesimo anniversario dell’ “Annus
Mirabilis” di Albert Einstein che nel 1905,
impiegato tecnico di terza classe dell’ufficio
brevetti di Berna, scriveva cinque lavori che
avrebbero segnato gli sviluppi della Fisica
del ‘900. La memoria “Sull’elettrodinamica
dei corpi in movimento” e la breve nota
“L’inerzia di un corpo dipende dal suo
contenuto di energia?” avrebbero cambiato
radicalmente la maniera di concepire lo
spazio ed il tempo e, stabilendo
l’equivalenza tra massa ed energia,
aprivano all’umanità l’utilizzo dell’energia
atomica nelle sue conseguenze grandiose e
tragiche.
E=mc2 e’ la formula più popolare del
‘900, la sua rilevanza fu da subito ben
chiara ad Einstein stesso che, stupito,
nell’autunno del 1905 scriveva ad un amico
“la linea di pensiero e’ divertente ed
affascinante, ma non so se il caro
Padreterno non stia ridendo di me dopo
avermi preso per il naso...”.
Einstein ebbe, in vita, una fama
vastissima: paradossi ed alcune
conseguenze della Relatività colpivano
l’immaginazione popolare. Ma mentre le
conseguenze scientifiche del suo lavoro
furono da subito importanti, non si può dire
che il cambiamento nell’intuizione comune
dei fenomeni naturali si sia radicato. Per la
prima volta il tempo non e’ assoluto ed
eguale per tutti: due eventi che appaiono
simultanei a chi li osserva da fermo non
sono tali per un osservatore in rapido
movimento. A convincerci di ciò, che e’ un
fatto, non bastano i nostri sensi, e’
necessaria l’osservazione mediante
strumenti e questo rende più difficile
l’intuizione.
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Nonostante il carattere
straordinariamente innovativo, dal punto di
vista scientifico la Relatività speciale (o
ristretta) del 1905 era una teoria “matura”
per i tempi. Einstein dipanava con
semplicità la matassa di lavori ed
esperienze che si erano accumulate in
quegli anni: Minkovsky, Poincaré, Lorentz
avevano tutti contribuito alla costruzione
della teoria.
Ma per Einstein la Relatività Speciale
rappresenta solo un punto di partenza e
negli intensi anni successivi insegue una
formulazione relativistica della gravitazione.
Nel 1916 pubblica “I fondamenti della teoria
generale della relatività” e questa e’
certamente una sua ispirata “invenzione”,
largamente in anticipo sui tempi. Le
Equazioni di Einstein consentono, per la
prima volta, di fare scienza della
cosmologia studiando l’origine stessa del
nostro universo. La soluzione trovata da
Schwartzschild (nello stesso anno) consente
lo studio dei Buchi Neri, ma bisogna poi
aspettare il 1970, con i lavori di Penrose e
Hawking, perché si riaccenda l’interesse
della comunità scientifica per la Relatività
Generale. Gli sviluppi degli ultimi 30 anni
della fisica moderna sono segnati dalla
geniale intuizione di Einstein.
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ALIOTTA ED EINSTEIN
Giuseppe Cantillo
Professore di Filosofia Morale
L’impatto che la teoria della relatività
ha avuto sul pensiero filosofico – come ha
suggerito Ernst Cassirer nel suo ben noto
scritto Sulla teoria della relatività di Einstein
– può riassumersi nella piena
consapevolezza che la forma specifica del
campo degli oggetti della fisica è la loro
misurabilità e nella convinzione che la
scelta di un determinato sistema di
riferimento condiziona la misurazione dei
fenomeni e che non esiste alcun sistema di
riferimento assoluto. Se una tendenza
fondamentale della filosofia del Novecento è
stata quella di mettere radicalmente in
discussione, in campo gnoseologico e
soprattutto in campo etico, la possibilità di
produrre o trovare criteri validi
universalmente, sarebbe certamente
riduttiva una considerazione di questa
tendenza come una mera conseguenza
della teoria della relatività einsteiniana.
Tuttavia è senza dubbio fondata
l’osservazione di Ernst Troeltsch, ne Lo
storicismo e i suoi problemi , secondo cui “è
ben evidente che questa relatività storica
dei valori ha una certa analogia con la
dottrina fisica della relatività che è oggi
universalmente dominante”. Lo stesso
Troeltsch coglie, inoltre, un aspetto
importante della teoria einsteiniana per cui
essa non si configura come un relativismo
illimitato.
Non solo, infatti, Einstein afferma
l’invarianza della velocità della luce nel
vuoto rispetto a tutti i sistemi inerziali, ma
dimostra anche che da ogni posizione, per
quanto assolutamente singolare, è possibile
calcolare in termini matematici il sistema di
riferimento. In questo modo, secondo
Troeltsch “nel relativo viene conservato
l’assoluto”. La teoria einsteiniana non ha
mancato di esercitare il suo influsso anche
sui pensatori italiani. A Napoli, in
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particolare, non si può non ricordare la
riflessione ad essa dedicata da un maestro
dell’ateneo federiciano, Antonio Aliotta, che
ha posto il concetto di relazione alla base
della sua gnoseologia. Non è pensabile una
realtà in sé; l’universo è l’insieme o
l’integrazione di una pluralità di prospettive
relative ai diversi soggetti e alle loro
esperienze concrete. Sviluppando
l’indicazione data da Aliotta ne La teoria
diEinstein e le mutevoli prospettive del
mondo, si può dire che con la teoria della
relatività si afferma una concezione
pluralistica del mondo: non tanto un
relativismo, quanto un relazionismo etico,
che comporta la responsabilità morale per il
soggetto di abbracciare la concezione del
mondo in grado di sviluppare la sintesi più
ampia e armonica dei diversi punti di vista.
Ernst Cassirer (1874 – 1945)
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PLAY IT AGAIN, ALBERT
Renato Musto
Professore di Fisica Teorica
Albert Einstein è morto nelle prime
ore del 18 aprile 1955. Ancora il giorno
prima aveva richiesto i suoi ultimi calcoli
sulle teorie unificate. La morte vicina
doveva rendere più acuto il senso di
incompiutezza del suo lavoro e, forse, della
sua estraneità alla ricerca allora prevalente.
Oggi, invece, è ritornato centrale il
problema della costruzione di una teoria
unificata che allarghi la visione geometrica
della gravitazione alle altre interazioni:
all’elettromagnetismo, già considerato da
Einstein, ed alle interazioni debole e forte,
con la loro ricca fenomenologia, in larga
parte spiegata dal modello standard.
La svolta è venuta con l’abbandono
dell’idea di particella puntiforme che implica
valori infiniti, ovviamente inammissibili per
le forze e per altre grandezze fisiche. Nella
teoria della stringa, nata dal modello di
Gabriele Veneziano, il problema scompare.
Le particelle di materia ed i mediatori delle
interazioni fondamentali corrispondono alle
oscillazioni quantizzate di un sistema
esteso: una corda (o stringa) relativistica.
La dinamica quantistica della stringa
interviene nella determinazione della forma
dello spazio-tempo e delle sue dimensioni,
riaffermando aspetti delle teorie unificate di
Einstein: la presenza di altre dimensioni
spaziali ed, in esse, di nuove strutture
geometriche.
La verifica sperimentale della teoria
di stringa non appare immediata, anche se
il futuro acceleratore del CERN potrà dare i
primi segnali della sua validità. Resta quindi
attuale l’ idea guida di bellezza e coerenza
formale, seguita da Einstein nei suoi ultimi
anni.
A questa teoria si lavora anche a
Napoli, in particolare ad un risultato che
sarebbe piaciuto anche ad Einstein,
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scopritore di aspetti quantistici della natura
ma diffidente della loro formulazione:
sorprendentemente il comportamento
quantistico delle interazioni non
gravitazionali appare speculare alle
proprietà geometriche del settore
gravitazionale.
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LA RELATIVITÀ AL CINEMA: TRA TEMATIZZAZIONE E LINGUAGGIO
Corrado Calenda
Professore di Filologia Dantesca
L'interazione spazio-tempo
connaturata al mezzo audio-visivo, che
coniuga la durata temporale della storia alla
riproduzione spaziale per immagini, fornisce
un campo di sperimentazione quasi
naturale, in sede di manipolazione tecnico-
artistica (certo più di ogni codice verbale,
più di ogni immagine fissa), alle ipotesi
connesse alla teoria della relatività, o
magari ad essa abusivamente attribuite. E
si intenda qui proprio la forma classica del
linguaggio cinematografico, quella cioè
fondata sulla riproduzione, appunto, del
materiale profilmico, anche a prescindere
insomma dalle vertiginose possibilità offerte
oggi dalle più avanzate tecniche di
produzione autonoma del visivo.
La storia del cinema, infatti, si è
cimentata più volte, in maniera più o meno
esplicita, nell'adozione di quelle ipotesi,
secondo due fondamentali direttive: la
relatività è stata tematizzata, offrendosi
come argomento o spunto o condizione
della rappresentazione; o ha liberato, ad un
più sottile livello, potenzialità di linguaggio
già insite nel mezzo.
I modi della diretta irruzione della
relatività tra i temi cinematografici si
collocano su un versante di grandissimo
impatto semiotico e di sicuro esito
spettacolare: lo dimostra tra l'altro il fatto
che la loro adozione ha prodotto serie
cinematografiche di immenso successo
popolare. Il pensiero corre subito ai cicli di
Ritorno al futuro o di Terminator (per citare
solo i più universalmente noti). Cui peraltro
andranno almeno accostati film come La
vita è meravigliosa (1946) di F. Capra, o
Peggy Sue si è sposata (1986) di F. F.
Coppola, o The family man (2000) di B.
Ratner, che esibiscono quanto meno uno
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sfruttamento meno ovvio (non a caso nel
perimetro del cosiddetto cinema "d'autore")
delle risorse offerte dall'anomalo intreccio
spazio-temporale suggerito dalla teoria
della relatività.
Di gran lunga più produttivo, anche
se meno esplicito e talora poco più che
allusivo, il ruolo verosimilmente giocato
dalla relatività nello scompaginare le
convenzioni narrative, nel sovvertire la
successione lineare, nell' aggrovigliare piani
distinti del reale, contribuendo di fatto alla
formazione di uno specifico codice
comunicativo. Importando senza dubbio
dalle grandi avanguardie letterarie di primo
Novecento una parte cospicua delle sue
sperimentazioni espressive, che risentono
platealmente di una sorta di ambiguo
connubio tra le riflessioni freudiane e la
relatività eisteiniana, il cinema impone
nuovi parametri percettivi e nuove letture
della realtà, che sfruttano intensivamente
l'intreccio tra sviluppo temporale della
diegesi e uso materiale dello spazio. Si
liberano in tal modo inversioni,
sovrapposizioni, paradossi non più filtrati
dalla mediazione mentale o verbale, ma
fatti oggetto di concreta rappresentazione a
cimentare le potenzialità ricettive dello
spettatore. Prescindendo per ora da
elementi puntuali che investono la natura
stessa dello specifico filmico, basterà
esemplificare con pochissimi esempi, scelti
tra i più noti o i più recenti. Si pensi alle
celebri sequenze de Il posto delle fragole
(1957) di I. Bergman in cui l'anziano prof.
Borg interagisce con luoghi, personaggi e
situazioni della propria infanzia nella
concatenazione lineare della diegesi, senza
suggerimenti "onirici"; alle variazioni sul
tema del caso, nella formulazione "seria" di
Destino cieco (1982) di K. Kieslowski, o in
quella "brillante" di Sliding doors (1998) di
P. Howitt; alle audaci costruzioni à rebours
di Tradimenti (1983) di D. Jones,
sceneggiato da H. Pinter, o di Memento
(2000) di Ch. Nolan; ai geniali paradossi
temporali di Ricomincio da capo (1993) di
H.Ramis; alla pratica "oltraggiosa" del
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cinema di D. Lynch, soprattutto in quel
perturbante capolavoro che è Mulholland
Drive (2001). Gli esempi sarebbero
moltiplicabili all'infinito: al punto, si
sospetta, di non poter escludere che, come
in parte si accennava, la relatività finisca
per essere coinvolta nella stessa
grammatica del film, alle cui articolazioni
costitutive essa presterebbe sottilmente
parte del suo potenziale esplicativo. E
dunque le forme più esibite di sfruttamento
potrebbero configurarsi addirittura come
conferme di una profonda, originaria
vocazione.
È una traccia su cui varrà la pena lavorare.
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LA RELATIVITÀ E IL SUO DEBITO VERSO LA MATEMATICA
Antonio Romano
Professore di Fisica Matematica
Per comprendere la teoria della
Relatività occorre che il lettore conosca
alcuni concetti della Fisica classica.
L’andamento di un orologio e le misure di
lunghezza sono indipendenti dal moto. Un
riferimento I è inerziale se in esso ogni
corpo isolato o è in quiete o si muove di
moto rettilineo uniforme ed allora ogni altro
riferimento in moto traslatorio uniforme
rispetto ad I è anch’esso inerziale. Il
principio di Relatività di Galilei che afferma
che le leggi della Meccanica sono le stesse
in tutti i riferimenti inerziali, ossia che si
avrà lo stesso risultato se si esegue lo
stesso esperimento.
Alla fine del 1800 si provò che il
suddetto principio di relatività non poteva
estendersi ai fenomeni ottici ed
elettromagnetici. Einstein nel 1905, propose
una nuova Fisica fondata sui principi di
Relatività ristretta e di isotropia ottica.
Mentre il primo si presenta come una
naturale estensione a tutte le leggi della
Fisica del principio di Galilei, quello di
isotropia ottica, secondo il quale la luce, in
un riferimento inerziale e nel vuoto, si
propaga in tutte le direzioni con la stessa
velocità c, comporta una radicale revisione
delle nozioni classiche di spazio e tempo. Se
un riferimento inerziale è otticamente
isotropo, le leggi galileiane di composizione
delle velocità escludono che ogni altro
risulti anch’esso otticamente isotropo.
Inoltre, Einstein mostrò che i nuovi
postulati vietavano ad ogni agente fisico di
propagarsi a velocità maggiore di c, che le
leggi dell’elettromagnetismo si accordavano
con i principi della Relatività ristretta e
riformulò le leggi di Newton del moto per
adattarle ai suddetti princìpi.
La legge di gravitazione universale,
presuppone un’azione diretta a distanza e
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quindi una velocità infinita dell’interazione
gravitazionale. Molti e infruttuosi furono i
tentativi di “relativizzare” la legge di
gravitazione universale e la Relatività
generale nacque appunto dalla necessità di
superare questa contraddizione, oltre che
dalla richiesta che un principio di relatività
potesse formularsi per ogni osservatore
fisico, non soltanto inerziale.
Per comprendere come Einstein sia
giunto alla descrizione dell’interazione
gravitazionale, occorre ricordare che due
matematici, Poincaré e Minkowski, fornirono
una versione geometrica della Relatività
ristretta basata su uno spazio
quadridimensionale E4, lo spazio-tempo, in
cui ogni punto rappresenta un evento,
individuato da tre coordinate per il luogo e
da una per l’istante in cui accade.
Intanto, Einstein attraverso
argomentazioni euristiche, basate su
“esperimenti ideali” eseguiti in cabine di
piccole dimensioni liberamente gravitanti,
giunse al principio di equivalenza, secondo
cui i campi gravitazionali reali ed apparenti
(cioè quelli presenti nei riferimenti
accelerati) sono localmente equivalenti,
ossia sperimentalmente indistinguibili in
piccole regioni dello spazio e per brevi
intervalli di tempo. Einstein suppose che, in
queste regioni, la loro influenza su ogni
fenomeno fisico potesse eliminarsi
localmente e che le leggi della fisica
coincidessero con quelle enunciate in
Relatività ristretta. Inoltre, ipotizzò che lo
spazio-tempo avesse la struttura
geometrica di uno spazio “curvo” di
Riemann che, come lo stesso Riemann
aveva provato, ha la struttura di E4 soltanto
in un piccolo intorno di ogni suo punto
(evento).
Einstein si trovava di fronte ad un
problema fondamentale: assegnare la
struttura di questo spazio-tempo. Ipotizzò
che fosse determinata dalla distribuzione di
massa e di energia presenti nello spazio,
che, invece di essere un mero contenitore,
assumeva caratteristiche dipendenti dai
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corpi contenuti. Come scrivere le equazioni
che consentissero la determinazione della
struttura dello spazio-tempo? Einstein
rimase bloccato ben 10 anni perché la sua
soluzione richiedeva strumenti analitici che
solo in quegli anni furono approntati da
alcuni grandi matematici: Weyl, Ricci,
Beltrami, Bianchi, Levi-Civita. Grazie ad
essi, Einstein formulò nel 1916 le
celeberrime equazioni della gravitazione.
La prima soluzione di queste
equazioni per una sfera materiale
omogenea e isotropa, fu determinata da
Schwartzschild e consentì di spiegare lo
spostamento verso il rosso degli spettri
stellari, quello delle posizioni stellari in
prossimità del bordo solare nonché i residui
42” d’arco, non previsti dalla Meccanica
classica, dello spostamento del perielio di
Mercurio.
Questa nuova descrizione del campo
gravitazionale consente il superamento del
paradosso dei gemelli. Questo paradosso
nasce in Relatività ristretta ipotizzando che
uno dei due parta su un’astronave per un
viaggio spaziale, mentre l’altro rimane sulla
Terra.
Per effetto del rallentamento degli
orologi in moto, il tempo trascorso per
l’osservatore sull’astronave nel suo viaggio
di andata e ritorno è minore di quello
misurato sulla Terra, sicché il gemello
ritorna dal suo viaggio più giovane di quello
sulla Terra. Riapplicando il ragionamento al
gemello sull’astronave si arriva al risultato
opposto, pervenendo in tal modo ad un
paradosso. In effetti questo paradosso
nasce dall’applicare le formule della
Relatività ristretta sul rallentamento degli
orologi in moto al caso dell’astronave che
non è un riferimento inerziale. Infatti, per
effettuare il suo viaggio, l’astronave
accelera fino alla velocità di crociera quindi
decelera, si ferma e, per ritornare, deve
nuovamente accelerare e decelerare per
fermarsi sulla Terra. Pertanto, gli orologi
sull’astronave sono influenzati dal campo
gravitazionale in tutte le fasi di moto non
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uniforme. Un’attenta valutazione di questi
effetti, a partire dalle formule proposte da
Einstein in Relatività generale, consente di
confermare che il gemello che ha viaggiato
torna sulla Terra più giovane di quello che è
rimasto ad attenderlo.
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LA RELATIVITA’ NELLA LETTERATURA
Matteo Palumbo
Professore di Letteratura Italiana
Ogni grande scrittore ha bisogno di
idee che gli permettano di pensare il
mondo. Più nascosto, tuttavia, è il modo
con cui un sistema teorico agisce nella testa
di un autore, cambiando i paradigmi con cui
interpreta le cose della vita.
Un esempio di questa relazione
misteriosa, eppure vitalissima, tra la
scrittura letteraria e la riflessione può
essere ricavato da alcune osservazioni di
Italo Svevo. Come si sa, il rapporto che
l’autore della Coscienza di Zeno ha con la
psicoanalisi è fortissimo. Per illustrare in
che modo Freud abbia condizionato la
maniera di intendere la natura della
coscienza, egli enuncia un principio che
riguarda ogni grande rivoluzione teorica.
Proprio in un tale ragionamento un posto di
primo piano è riservato a Einstein e alla
relatività. Lo scienziato e la sua teoria
entrano prepotentemente nel quadro dei
principi che hanno modificato
irreversibilmente la percezione degli
avvenimenti: non solo nel campo specifico
delle scienze, ma anche nell’ambito
dell’immaginazione collettiva.
Dopo la definizione della relatività,
come dopo la psicanalisi o il darwinismo,
non è più possibile pensare come prima. Le
suggestioni che nascono forniscono il
sentimento di un’esperienza nuova.
Distruggono presupposti consolidati e
proiettano una luce sconosciuta sui
fenomeni. Perché questo processo si avvii,
non è necessario conoscere il linguaggio
preciso della teoria. Conseguenze
impensabili si possono produrre anche in
chi ignori la fisica e le formule della
matematica. Anzi, proprio in questo caso si
può apprezzare meglio la portata della
scoperta: «L’artista, voglio dire l’artista
letterato, e l’illetterato, dopo qualche vano
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tentativo di avvicinarsi, la mette in un
cantuccio di dove essa lo turba e l’inquieta,
un nuovo fondamento di scetticismo, una
parte misteriosa del mondo, senza la quale
non sa più pensare. È là, non dimenticata
ma velata, e ad ogni istante accarezzata dal
pensiero dell’artista».
Il quadro delle idee e delle parole
cambia definitivamente. Gli assi del mondo
vecchio vacillano. Il suo ordine, le leggi che
lo descrivono, il tempo che ne misura il
ritmo, diventano all’improvviso vuoti di
senso. Il soggetto guarda con sospetto ciò
che lo circonda. Non c’è più niente che
permanga stabile e definitivo. La relatività,
ormai, non l’abbandonerà più e il romanzo
ne porta i segni. L’universo discontinuo
dell’Ulisse di Joyce, le prospettive multiple
della Ricerca del tempo perduto di Proust, il
moto rallentato dell’Uomo senza qualità di
Musil conservano, ciascuno a suo modo,
l’eco di quella radicale, inquietante
epistemologia.
Italo Svevo (Trieste, 1861 - Motta di Livenza, Treviso, 1928)
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SPAZIO E TEMPO NELLE SCIENZE STORICHE
Giovanni Muto
Professore di storia moderna
Le teorie di Einstein hanno
certamente avuto grande influenza nelle
scienze esatte, fino a discuterne lo stesso
statuto disciplinare, ma è difficile affermare
che esse abbiano avuto la medesima
capacità di riorientamento sulle discipline
filosofiche o su quelle storiche. La
dimensione e la stessa esistenza del tempo
ha registrato in filosofia un’attenzione
continua, da Agostino ( il tempo come
‘distensione dell’anima’) a Kant (spazio e
tempo come realtà intuitive e perciò
percepibili dai nostri sensi) fino a Bergson
(il tempo come ‘durata’).
La modernità dei secoli XVII e XVIII
aveva affinato l’analisi meccanicistica e
quella deterministica, aprendo una lunga
stagione di ottimismo e fiducia sulla
capacità della conoscenza umana di
dominare i processi del reale. Il mito della
razionalità progressista era stato scosso
dalla crisi delle scienze esatte quando
Heisenberg aveva introdotto la categoria
della ‘probabilità’ e Bohr utilizzato quella di
‘casualità’ come possibili percorsi della
conoscenza fisica. I successivi sviluppi delle
scienze fisiche incrinarono la fiducia sulla
scienza come un sapere progressivo
caratterizzato da una sua costante lineare
capacità di avvicinarsi all’oggettività del
reale. Si fa strada l’idea che la scienza
proceda sempre per deduzione, ovvero che
essa si muova all’interno di un contesto
teorico che pre-determina l’oggetto da
conoscere; la scienza, insomma, sembra
procedere per ‘paradigmi scientifici’ che
nella loro evoluzione preparano e
accompagnano rotture epistemologiche (Th.
Kuhn). In qualche modo, dunque,
all’abbandono della visione progressista si
registra un’attenzione più spiccata ad un
approccio storicistico della scienza stessa.
Tutto ciò ha favorito l’errata confusione che
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le idee di Einstein abbiano funzionato da
supporto teorico al relativismo filosofico e
sociologico, nel senso di sostenere
l’impossibilità teorica di asserzioni
scientifiche univoche o che esse siano in
funzione di generiche variabili sociali.
Secondo la vulgata giornalistica, Einstein
sarebbe il padre di una visione del mondo
basata sul relativismo dei valori; tesi
ovviamente sbagliata, poiché il principio di
relatività, nello stabilire che le leggi della
fisica devono essere soddisfatte per una
stessa classe di osservatori equivalenti,
poneva le condizioni alle quali gli
osservatori dovevano sottostare se
volevano verificare le loro misure di spazio
e tempo.
Pur senza essere state mai
richiamate esplicitamente, le condizioni di
spazio e tempo sono da sempre le categorie
operative delle scienze storiche. La ricerca
storica da sempre lavora con dati fattuali
tratti dall’osservazione diacronica, sempre
che di essi resti una traccia negli archivi o
altre fonti documentarie; in questo senso,
perciò, si è registrata nell’ultima metà del
secolo passato una grande attenzione alla
tipologia delle fonti storiche, al fine di
ricostruire serie temporali quanto più
possibile omogenee. In qualche caso, a
partire dalle stesse fonti quantitative, si è
fatto persino ricorso a brillanti esercizi di
analisi controfattuale, oggi di gran moda in
articoli pubblicati dai giornali. Nelle scienze
storiche si è assistito forse ad un fenomeno
assai peculiare: la dimensione dello ‘spazio’
ha infatti di gran lunga sopravanzato quella
del ‘tempo’, nel senso che le scansioni
temporali sono state schiacciate sul fondo
assorbente delle strutture spaziali; in
questa direzione si sono mosse le Annales
di L. Febbre e M. Bloch e poi il paradigma
braudeliano della long durée.
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E = mc2
Giuseppe Zollo
Professore di Gestione Aziendale
Dopo i memorabili incontri del 1632 e del
1638, Salviati, Sagredo e Simplicio si
incontrano di nuovo il 2 agosto del 1911.
SAGR. Signori eccellentissimi, vi ho
chiamato a vagheggiare con ordinate
speculazioni le meraviglie di Dio,
distraendovi dall’ozio operoso ove con
maggior diletto consolate la sete del
sapere, sospinto da quanto negli ultimi anni
è accaduto. Si dà il caso che un sol uomo in
un solo anno, nell’annus mirabilis 1905, ha
sovvertito l’edificio del Massimo Sistema del
Mondo, di cui abbiamo a lungo discusso nei
nostri incontri dell’anno domini 1632.
SIMP. Cosa dunque va affermando di tanto
grave questo giovine signore?
SAGR. Egli afferma una sola cosa: mette in
disparte l’Osservatore assoluto di Newton e
conclude che necessariamente ogni
osservazione è solo una osservazione
relativa, nessuna possibilità essendovi di
assumere il punto di vista assoluto di Dio. È
dal 1905 che i filosofi naturali vanno
discutendo di questa nuova teoria e del
Nuovo Sistema del Mondo che se ne deriva.
SALV. Lasciamoli dunque discutere in pace.
SAGR. Sono d’accordo col signor Salviati.
Non disturbiamo il fertile lavoro dei filosofi
naturali. Io vi ho chiamato per un’altra
questione. L’Osservatore assoluto di
Newton è passato anche ad organizzare i
procedimenti del lavoro grazie all’opera
dell’Ing. Taylor. Vorrei provare a ragionare
su cosa dovrebbe accadere se, come ci
spinge a fare il signor Einstein,
all’Osservatore assoluto sostituisco una
moltitudine di Osservatori relativi.
SIMP. Non vi rendete conto, signor
Sagredo, che coi vostri dubbi state
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disordinando il mondo, e che da sempre
nelle cose umane c’è necessità di un
qualche riferimento assoluto intorno a cui
far perno per poter ordinare le attività
collettive, che altrimenti cozzerebbero
senza scopo e con grande dispendio di
energia, in balia ad individui spinti da
volgari passioni.
SALV. Eppure ritengo che il giovine Einstein
dischiuda una nuova e più genuina visione
del mondo, dove la summa delle speciali e
diverse abilità di cognizione e di esperienza
di ogni Osservatore Relativo con maggiore
pienezza può dare conto del nostro mondo
costruito. Queste volontà e queste abilità
possiamo chiamarle Motivazione e
Competenza individuale. Ed è solo la
congiunzione di questi due fattori a
disvelare le nuove energie incorporate nelle
Competenze organizzative di ogni umana
istituzione.
SAGR. Mi sovviene una formula sintetica
per esprimere il pensiero che il signor
Salviati va così entusiasticamente
svolgendo. L’ho presa in prestito da uno
scritto del signor Einstein del 1907, e spero
che l’autore non me voglia se la uso in
contraffatta maniera. La formula è:
E = mc2
che nel ragionamento di Salviati andrà a
significare:
Esito del lavoro = motivazione x
competenze individuali x competenze
organizzative.
SIMP. Egregi Signori, non vorrei distrarvi
dal vostro serrato argomentare. Spero
proprio che non vogliate costruire questa
vostra teoria qui su due piedi. Sia questa
definizione la chiusa de’ nostri ragionamenti
di questo giorno: ed essendo passate le ore
più calde, penso che io andrò a godere de i
nostri freschi in barca, visto che l’ultima
volta non fui da voi invitato.
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Il repertorio dell’ensemble della Federico II si basa su brani celebri classici come Stella by starlight, Fly me to the moon, Out of nowhere, Stardust, Out of this world, Star eyes, su brani di un grande innovatore nella storia del jazz, Miles Davis, una sorta di Einstein della musica, scopritore di nuovi generi e stili musicali, e su due composizioni di pianisti contemporanei, Herbie Hancock e Chick Corea, scoperti da Davis ma oramai autentiche celebrità del jazz moderno. I brani prescelti vogliono in qualche modo raccontare di viaggi, di stelle e di cose Out of this world.
Programma musicale
SOLAR (M. Davis) EAST OF THE SUN (Brooks Bowman) 500 MILES HIGH (C. Corea) OUT OF THIS WORLD (Arlen-Mercer) SO WHAT (M. Davis) STARDUST (Carmichael-Parish) STAR EYES (Don Ray-DePaul) UNIT 7 (Sam Jones) WHAT’S NEW (Haggart-Burke) FLY ME TO THE MOON (Howard) STELLA BY STARLIGHT (Young) TUNE UP (M. Davis) MAIDEN VOJAGE (Hancock) OUT OF NOWHERE (Green-Heyman) Ensemble dell’Orchestra Jazz Federico II GIULIO MARTINO sax BRUNO ROTOLI sax ENZA MARIA PAOLINO sax FLAVIO GUIDOTTI pianoforte GIOVANNI ROMEO batteria MICHELE FIORE contrabbasso