giornale aprile 2015 - la tenda
DESCRIPTION
Giornale Aprile 2015 - La TendaTRANSCRIPT
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
1
Dis
trib
uit
o s
enza
sco
po
di l
ucr
o
Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo con-cluso la quaresima. Per la nostra comunità è stato veramente un momento forte a livello celebrativo, con il momento setti-manale della Via Crucis, vissuta anche per le vie del nostro paese, con grande parteci-pazione ed entusiasmo da parte dei mem-bri delle nostre parrocchie. I momenti di adorazione e il meraviglioso itinerario svolto nelle strade della rappresentazione sacra della Passione, morte e risurrezione del Signore che ha visto partecipare tutto il paese nella commozione e nel proposito di essere migliori, di compiere un cammi-no di conversione per poter dire insieme all’Apostolo Paolo “il mio vivere è Cristo”. Grande affluenza anche alle confessioni che ci hanno preparato, nella settimana santa, a vivere più pienamente e meno indegnamente la Pasqua del Signore. La domenica delle Palme e la Settimana San-ta, specialmente il Triduo Pasquale, centro dell’Anno Liturgico, dell’anno della vita della Chiesa, è stato il momento più forte per la nostra vita di fede che si deve tra-durre in vita vissuta e offerta per la gloria di Dio, il bene dei fratelli e la nostra santi-ficazione. Non è mancata l’attenzione ai poveri della nostra comunità parrocchiale e la vicinanza agli anziani e ammalati, visi-tati, come sempre si è soliti fare, portando loro la consolazione della Parola di Dio e l’Eucaristia. Meditare ogni anno questo Mistero d’Amore, di Dio che, fattosi uo-mo, muore in Croce per noi, portando con Se i nostri peccati e donandoci la salvezza nella Risurrezione, infonde nel nostro ani-mo tanta speranza e consolazione. (SEGUE)
Dalla Croce alla Luce
A Lanciano, una cittadina in provincia di Chieti, è conserva-
ta la reliquia del corpo eucaristico di Cristo, trasformatosi
in carne durante la celebrazione della santa messa di Nata-
le. La storia narra di un sacerdote che, durante l’elevazio-
ne, colto da un forte dubbio, negò la presenza di Gesù eu-
caristia nell’ostia e nel vino. Proprio in quel momento l’o-
stia nelle sue mani si trasformò in un pezzo di carne san-
guinante e il vino nel calice divenne sangue. Dopo molti
esami approfonditi, il pezzo di carne si rivelò essere parte
di un cuore umano: più specificatamente il ventricolo sini-
stro, la parte più profonda del cuore.
È con questa storia che è stata introdotta la
“Rappresentazione della Passione, morte e resurrezione
vivente di Gesù”, svoltasi il 29 Marzo e il 1 Aprile nello sce-
nario della villa comunale e del monte di San Vito, con la
speranza che questa iniziativa avrebbe toccato la parte più
profonda del cuore di ogni partecipante. E così è stato.
La piazza della villa comunale ha fatto da sfondo alla ripro-
duzione dell’ultima cena, scena curata nei minimi dettagli e
che ha visto come protagonisti Gesù e i dodici apostoli. La
lavanda dei piedi, il pane spezzato e condiviso tra i dodici,
la consapevolezza che quei gesti sarebbero stati la fine e
l’inizio di un grande mistero, hanno dato vita alle sacre
scritture. Tra scale e viali, la folla ha assistito in un clima
che sembrava riportare nel cenacolo, insieme a Gesù.
©Anna Maria Ettori
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
2
Ogni anno riviviamo questo passaggio: passaggio dalla morte alla vita! Sta a noi cercare di far si che questo passaggio sia concreto nella nostra quotidianità, che questo passaggio sia concreto nel nostro agire e nel nostro vivere. Chiediamo allora al Signore che ci faccia uomini e donne nuovi, risorti con Lui dal peccato, grazie alla misericordia del Padre. Appare, evi-dentemente provvidenziale, che il Santo Padre Francesco abbia deciso di annuncia-re un Anno tutto dedicato alla Misericor-dia del Padre: un Giubileo che, se già or-dinariamente, per sua natura, è legato al perdono dei peccati e delle colpe, ci vuole far meditare e sperimentare ancor più pro-fondamente l’Amore misericordioso di Dio per noi. E proprio da questo Amore misericordioso di Dio vogliamo partire e ripartire per crescere nella nostra Fede e vivere con Lui, in Lui e per Lui. E la do-menica dopo Pasqua celebriamo proprio la festa della Divina Misericordia, fortemente voluta dal Papa San Giovanni Paolo II: tante le occasioni, dunque, che ci spingo-no a tener presente questo meraviglioso Amore per noi. La gioia dell’annuncio: “Cristo è Risorto” non possiamo tenerla per noi: come i Testimoni della Risurre-zione diffusero nel mondo intero il rac-conto di questo salvifico prodigio, anche noi siamo chiamati a testimoniare con le parole e le opere la Risurrezione di Cristo al mondo intero. E non serve andare lon-tano, basta iniziare dalla nostra famiglia, dai nostri amici, dai nostri colleghi, dalla nostra comunità di San Vito Romano. Colgo la gradita occasione di porgere, uni-tamente ai sacerdoti, miei collaboratori, e ai seminaristi, a tutti voi Sanvitesi il mio augurio più sincero, per una Santa Pa-squa. Affidiamo al Signore tutte le nostre inten-zioni e chiediamo la Sua Benedizione. San Vito Romano, 05.04.2015, Santa Pasqua
Don Carmelo Salis, parroco
Edito
riale
I personaggi si sono poi spostati nella parte superiore della
villa, dove ha preso vita la scena dell’orto degli ulivi seguita
dall’arresto di Gesù e dal
giudizio dinanzi a Caifa e
agli altri membri del sine-
drio. Scenografie e inter-
pretazioni hanno trasfor-
mato San Vito nei luoghi
di un tempo, grazie ad un
gioco di luci e di ombre
che sembrava invitare la
platea a pregare per le
ultime ore di vita di Gesù.
Il susseguirsi degli eventi è
noto ai nostri lettori: dalla sentenza di Pilato alla rimessa in
libertà di Barabba, passando alla flagellazione per mano dei
centurioni e delle guardie. Quello che merita di essere mes-
so in risalto è la bravura e l’impegno dei vari interpreti che
hanno saputo fronteggiare delle parti così importanti. Ve-
dere i nostri compaesani nelle vesti di Gesù e degli altri per-
sonaggi, ha dimostrato quanti siano i talenti riposti in ognu-
no e quanti i cuori disposti a mettersi al servizio. Tra i mo-
menti più suggestivi la via del calvario è sicuramente uno di
questi: le tre cadute di Gesù, La Veronica e l’aiuto del Cire-
neo rappresentano le cadute di ognuno, i pesi dell’umanità,
ma allo stesso tempo la spinta a rialzarsi, la mano sempre
tesa di chi abbiamo accanto.
“Dalla croce alla Luce”. Questa la frase posta su un’insegna
all’entrata della villa che conduce al monte di San Vito, un
perfetto Golgota alla cui sommità spiccavano le tre croci
con i due ladroni e Gesù al centro. Questa la riproduzione di
una delle scene più commoventi e forti di sempre: il pianto
di Maria e delle pie donne, l’agonia e la morte di Gesù.
Quando ormai tutto sembrava concluso e si era pronti a
dirigersi verso la Chiesa di San Vito per ascoltare le parole
conclusive del parroco, ecco che la rappresentazione ha
preso di nuovo vita. Una porta, quella della Chiesa, chiusa
da un muro, il muro del sepolcro, simbolo di tutti i nostri
muri, di tutte le nostre difficoltà. È Gesù a romperlo e ad
uscire vittorioso donando alla platea un messaggio impor-
tante: la Sua Resurrezione. La Speranza. Quella vera. Il cam-
mino dalla villa al monte di San Vito è stato proprio questo:
un grande messaggio di Speranza, una scalata verso il Bene.
La rappresentazione della Passione vivente di Gesù è stato
un evento che rimarrà nelle menti e nei cuori di tutti e sì, ha
toccato veramente la parte più profonda del cuore di ognu-
no. La redazione
©Anna Maria Ettori
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
3
Parole di Vita «Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?». «La tomba
del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli
suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speran-
za, è risorto: precede i suoi in Galilea». Così termina la
sequenza che precede il Vangelo di oggi, Pasqua di Resur-
rezione. Il sole ancora non sorge e Maria, la Maddalena va
al sepolcro a trovare il corpo del suo Gesù. Ma un Impre-
visto la sorprende: la pietra è rimossa dal sepolcro e Gesù
non c'è. Allora Maria corre, va di fretta, quella fretta che
sa di meraviglia e paura insieme : «Hanno portato via il
Signore e non sappiamo dove l'abbiano posto». Con que-
ste parole irrompe nella giornata di Simon Pietro e di Gio-
vanni che trascinati dagli stessi sentimenti della Maddale-
na corrono anche loro al sepolcro. Il Sepolcro è vuoto: ci sono solo le bende distese e il sudario
piegato. Davanti all'evidenza come si fa a non credere? È l'evidenza di un Imprevisto: la Resur-
rezione. È un Imprevisto perché umanamente è qualcosa di inspiegabile. Gesù è veramente ri-
sorto, Gesù ha vinto la morte, l'ha vinta per ridare a noi la vita, per farci essere come Lui, per
farci risorgere con Lui. Giovanni e Pietro vedono e credono, non dubitano, neanche un istante.
La paura e la meraviglia si trasformano in fede, in entusiasmo, in testimonianza. Maria Madda-
lena, Giovanni, Pietro sono i primi testimoni, sono i primi fedeli. Impariamo da loro a credere,
all'istante. Impariamo da loro a credere a quell' Imprevisto che accade nella nostra vita e la ren-
de un capolavoro. Domandiamo a loro un aumento di fede, quella fede che ci fa dire quotidia-
namente nella nostra vita: «Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto»!
Francesca Micocci
"Pace a voi!" È questa l'esclamazione e il dono che risuona per ben tre volte nel Vangelo di que-
sta domenica. Il Signore è risorto, ma sceglie di mostrarsi di nuovo ai suoi discepoli perché co-
nosce i loro cuori e vuole donargli ancora qualcosa: LA PACE. Soltanto accogliendo lo Spirito
Santo questi fratelli, che hanno condiviso la loro vita con Gesù, potranno donare al mondo la
gioia e la speranza della fede! Non tutti però scelgono di accettare l'amore di Gesù, un po’ co-
me fa Tommaso, assente "la sera di quel giorno”. La paura di rischiare e di metterci in gioco nel-
la nostra vita, non ci rende sereni e fa allontanare sempre di più quella fede nell'unica persona
che potrà realmente salvarci da ogni inquietudine, tormento o rimorso...insomma dal peccato e
dai nostri continui dubbi e smarrimenti. L'invito del Vangelo è chiaro: riconoscere Gesù come
"Mio Signore e mio Dio!". Pur non toccandolo con mano, la bellezza è che avremo una ricom-
pensa anche stavolta: "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". È credendo che
avremo la vita.
Marta Iacovacci
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
4
Spesso è difficile comprendere il modo in cui Dio ope-
ra nelle nostre vite. Nel Vangelo di Luca i due discepo-
li, di ritorno da Emmaus, riferiscono agli altri ciò che
gli è accaduto lungo la via e come hanno riconosciuto
Gesù nello spezzare il pane. È indicativo il modo in cui
Gesù apparve loro, così inaspettatamente, in un luogo
qualsiasi, senza preavvisi; infatti, nonostante Egli fosse
in carne ed ossa, i discepoli non lo riconobbero. Anche
noi non sappiamo come si presenta Dio nelle nostre
vite e come opera lungo il nostro cammino, ma siamo
certi che Egli c’è e che attraverso segni più o meno
evidenti ci invita a fare delle scelte, ci ammonisce o ci incoraggia. Gesù è una presenza costante ma è
sempre nelle nostre mani la libertà di scegliere se accogliere la Sua presenza e ridisegnare la nostra
strada secondo la Sua volontà. Come per i discepoli, la maggior parte delle volte, è Gesù che viene in-
contro a noi e noi non lo riconosciamo, lo allontaniamo o siamo troppo impegnati a percorrere la stra-
da che ci siamo prefissati per accorgerci della Sua presenza. Così proseguiamo per il cammino che rite-
niamo giusto per la nostra vita e spesso inciampiamo, a volte cadiamo bruscamente, allora Dio ci rin-
corre, ci aiuta ad alzarci, è con noi come nessun’altro anche se non siamo in grado di accorgercene e
siamo increduli. Nel Vangelo, infatti, Egli dice: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro
cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha
carne e ossa come vedete che io ho”. I discepoli pensavano di vederlo solo in spirito, sono dubbiosi,
ma Lui li salva dall’incredulità dei loro occhi e dalla schiavitù del loro cuore e li manda a predicare a
tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati. Gesù risorto ha vinto i limiti umani, Egli è con
ognuno di noi in ogni momento della nostra storia e possiamo toccare con mano i Suoi doni. Egli ci
vuole far comprendere che la Sua presenza non è astratta, non è solo nella nostra mente ma è visibile,
è reale, ed è viva.
Eleonora Cenci
E’ forse uno dei vangeli più famosi, Cristo che si paragona al “buon pastore” . Giovanni ci ri-
porta quelle parole di Gesù secondo le quali noi siamo un gregge, siamo il gregge di Dio. Il pa-
dre ci conosce e ci ama uno a uno.
Un pastore non solo conosce ciascuna delle sue pecore, ma le cura, le nutre, le ama.
Dio però non è solo un pastore, Dio è il pastore buono, è il pastore che ci dà anche la vita. Dio
non sarà mai come il mercenario che appena vede il lupo scappa lasciando le pecore da sole,
Dio, all’arrivo del lupo resta con noi, ci protegge, Dio è lì in prima linea a difenderci e ad
affrontare il lupo.
Il Padre ci conosce, di noi conosce ogni particolare. Lui ci ha creati e lo ha fatto in sé. Siamo le
pecore di un Buon Pastore, siamo miracoli di Dio.
Il Vangelo di questa domenica manda un forte messaggio. Come pecore di Dio dobbiamo for-
mare un solo e unico gregge, che ascolta e ama il proprio pastore. E come gregge dobbiamo
stare uniti, amarci e rispettarci gli uni gli altri. Cosicché se una pecora dovesse smarrire la stra-
da noi saremo insieme al nostro Buon Pastore a cercarla e a ricondurla nel gregge di Dio.
Lucia Testa
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
5
2 Aprile 2005-2 Aprile 2015: 10 anni di memoria La chiesa è gremita di gente, per la
maggior parte genuflessa. Mani
giunte, rosari sgranati, occhi chiusi.
È il 2 Aprile 2005 e a San Vito, come
nel resto d’Italia e di parte del mon-
do, si prega, col cuore in attesa. I
ricordi sono quelli di una bambina
di 11 anni che ha saltato la cena per
andare nella Chiesa di Santa Maria
e “vegliare”, come le aveva spiega-
to la mamma. La tensione si può
quasi toccare con mano, la speran-
za sentire nei sospiri della gente.
Le condizioni di salute di Giovanni Paolo II si sono aggravate durante la notte, ma i fedeli di
tutto il mondo sono certi che ce la farà, che supererà anche questa. È la forza della fede,
che va oltre le scoperte scientifiche, i referti medici e le innovazioni tecnologiche. Le Ave
Maria si rincorrono, interrotte solo dai Padre Nostro e i Gloria. Niente parole inutili, nessun
chiacchiericcio. Solo preghiera. E la chiesa si fa Chiesa. Tutte le preoccupazioni, le liti, la
stanchezza passano in secondo piano, per riunire i cuori nella speranza della guarigione.
Ma alle 21.45 circa la terribile notizia: il Papa è tornato alla casa del Padre.
Silenzio. Nessuno ha il coraggio di parlare. Nell’incredulità generale le prime lacrime co-
minciano a scorrere sul viso di qualcuno, la tristezza, il dolore, la paura si fanno lentamente
spazio nelle menti. E una domanda prima di tutte affiora: “perché?” Per quanto si possano
usare logica e razionalità, non si riesce mai a farsi una ragione della morte. Dopo le ore di
veglia, i chilometri percorsi dai pellegrini per raggiungere piazza San Pietro e pregare con e
per il Papa, non si comprende perché la morte. Che senso ha la preghiera se la morte poi
ha sempre l’ultima parola? E l’interrogativo è legittimo. Quante volte si prega, si spera in
qualcosa e puntualmente se ne verifica un’altra, triste e dolorosa? Sembra quasi che a vol-
te Dio se ne rimanga lì a guardare, impassibile, senza far niente.
Ma le risposte arrivano, ora come dieci anni fa. Nei giorni successivi alla morte di Giovanni
Paolo II Roma è diventata il centro dell’universo: tre milioni di persone provenienti dai più
disparati paesi del mondo si sono messe in viaggio per un ultimo saluto al Papa della pace,
dell’amore, della fede e della pietà. Ed ecco la risposta: tra quei tre milioni molti sono
ebrei, protestanti, musulmani, atei. La fede, quella vera, unisce, non divide. E sì, forse Dio è
rimasto a guardare. Per godersi lo spettacolo di ciò che l’Amore, il Suo, attraverso le parole
e i gesti di un uomo, è riuscito a fare.
La morte mai avrà l’ultima parola, c’è sempre un disegno più grande, un progetto di felicità
a lungo termine di cui godere a tempo debito.
Sofia Testa
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
6
Il Nostro è uno sport che con-vince perché educa
La Squadra Parrocchiale nasce come attività della pastorale dello sport e tempo libero
Lo sport ha le sue radici nel gioco, che è l’attività per eccellenza dei bambini, attraverso la
quale imparano e crescono. Nel gioco prevale la spontaneità, la creatività, il piacere fine a
se stesso; nello sport subentrano obiettivi più mirati e tecnici finalizzati ad un migliora-
mento di prestazioni, nonché alla vittoria. Il ragazzo dovrebbe fare lo sport come gioco,
con la spensieratezza e il divertimento propri della sua età e nello stesso tempo sviluppa-
re quelle abilità e capacità psico-fisiche che gli permettano di far emergere le sue doti at-
letiche. Lo sport permette di apprendere e potenziare qualità personali utili nella vita:
· imparare a resistere alla fatica fisica, allo sforzo e al dolore, fortificando il corpo e stimo-
lando le difese naturali;
· imparare a conoscere il proprio corpo e le sue potenzialità;
· imparare a stare con gli altri, a comunicare, a condividere idee ed emozioni;
· imparare a collaborare con gli altri, uscendo dal proprio egocentrismo;
· imparare il senso delle regole e della disciplina;
· imparare il senso della giustizia, della lealtà, del rispetto dell’altro (soprattutto di chi è
nell’altra squadra);
· vivere esperienze emozionali molto forti: l’ansia per una gara importante; la paura di
non farcela, la soddisfazione per una buona prestazione, la sorpresa della vittoria o della
sconfitta, la rabbia e la frustrazione per non essere riusciti così come si desiderava, la de-
lusione e la tristezza per un mancato risultato o per un comportamento scorretto proprio
o degli altri, l’imbarazzo e la vergogna per un errore, l’orgoglio di aver superato un pre-
sunto limite e tante altre ancore;
· imparare a controllare la propria impulsività;
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
7
· imparare ad ascoltare e a seguire le
indicazioni degli educatori;
· imparare a pensare, a ragionare e a
creare idee per risolvere i problemi.
Grande Esempio per me e chi mi colla-
bora è Don Bosco con il Suo Sistema
Preventivo: “l’educazione è cosa di cuo-
re” e anche l’allenatore - se vuole edu-
care i ragazzi attraverso lo sport e allo
sport – deve considerare che ogni ragaz-
zo è prima di tutto una persona che va
accolta, amata, incoraggiata e valorizzata nella sua unicità, originalità e preziosità perché in
ciascuno c’è “un punto accessibile al bene” che va riconosciuto ed è su questo che si deve
far leva. “Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama”. Su questo principio si
basa l’autorevolezza e l’autenticità dell’allenatore, testimonial di valori forti e vitali. In que-
sto modo l’attività sportiva può davvero concorrere alla promozione della persona e alla
prevenzione del disagio e della sofferenza esistenziale, offrendo ai ragazzi opportunità pre-
viamente organizzate e finalizzate per sviluppare le potenzialità insite in ciascuno. Il siste-
ma è preventivo perché non è lasciato al caso ma è guidato dalla ragione, dalla religione,
dall’amorevolezza e da una fiducia smisurata nella preziosità di ognuno.
Di seguito riporto alcune espressioni dei ragazzi:
In questa squadra ho trovato spirito di amicizia e non competizione, fare bene le cose sem-
plici di noi ragazzi e farle diventare speciali grazie al cammino formativo (Niccolò)
Mi diverto e sto bene con tutti, sto crescendo. (Gabriele Mastrogiacomo)
Questa squadra è speciale, inizialmente presa da me sottogamba, in seguito ne sono rima-
sto entusiasta. E’ stata creata per far divertire i ragazzi , farli stare insieme e soprattutto
non esistono i più forti e i più deboli ma tutti siamo protagonisti.
(Samuele Giustiniani)
La squadra ci trasmette speranza, unità
e fraternità, ci stiamo educando a stare
insieme ed amarci. (Samuele Trinchieri)
Si vive il senso vero dell’amicizia.
(Fabio Paoliani)
Gerardo Diglio
Gianni Giustiniani
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
8
C’era una volta... C’era un tempo in cui i contadini di San Vito Romano si recavano ai loro campi alzandosi la mattina
di buon’ora, prima che sorgesse il sole, tutti a piedi o con muli e cavalli, perché non c’erano, come
adesso, le automobili e le ampie strade per accedere alle campagne, ma soltanto dei tracciati, delle
stradine di comunicazione che attraversavano i terreni, chiamate vie mulattiere. Su questi percorsi
era tutto un andirivieni di persone ed animali da soma da mattina a sera.
Al tramonto, dopo una giornata di pesante lavoro, ogni contadino riportava a casa ciò che serviva:
chi la legna, chi la frutta, la verdura o altre cose utili alla famiglia. Lungo la via del ritorno, stanchi del
lungo cammino, avevano dei punti di riferimento dove riposare e dire una preghiera, per poi ripren-
dere la strada fino a casa.
Con l’avvento del “boom economico” e del benessere, tutti hanno cominciato a creare strade d’ac-
cesso nelle campagne, con il conseguente abbandono delle vecchie vie mulattiere e così anche di
quei vecchi punti di sosta e riposo, lasciati a se stessi in stato d’abbandono. Questi luoghi di ritrovo
sono situati lungo le strade intorno al paese: sono cappellette con all’interno raffigurate immagini
sacre. Al momento avrebbero bisogno urgente di una sistemazione, dato il loro stato di decadimen-
to.
Spero che il racconto serva a far comprendere che abbiamo un patrimonio appartenente alle nostre
origini ed a stimolare i Sanvitesi a creare un gruppo di volontari per il ripristino di queste caratteristi-
che cappelline, molto utili in passato. Occorrerebbe, dunque, manodopera, un gruppo di coordina-
mento lavori, una raccolta fondi per l’acquisto di materiali. Sperando altresì nella collaborazione da
parte del comune per il disbrigo delle pratiche burocratiche necessarie all’attuazione degli interven-
ti. In questo momento di crisi in cui stiamo perdendo le “nostre” caratteristiche culturali, le “nostre”
connotazioni storico-geografiche in nome della globalizzazione, sarebbe bello pensare, seppure nel
rispetto delle altre culture, ad una collaborazione per il ripristino di ciò che ci accomuna nelle radici.
Per partecipare a questa iniziativa, contattare i numeri 3337481363 e 069571643
Giovanni Carrarini
SACRIFICIO Dal latino SACRUM ‘sacro’ e FICIUM che sta per FACERE, ‘fare’: ‘rendere sacro’, ’fare sacre le
cose’. La parola trova le sue origini nei riti sacrificali nei quali, per ottenere benefici, si immola-
vano animali a Dio. Si rinunciava, per così dire, a qualcosa di proprio per offrilo a Dio. Con il
tempo, quindi, la parola è divenuta quasi sinonimo di rinuncia, assumendo una connotazione
non del tutto positiva. Tale concetto, pur essendo molto presente, non è però l’unico significato
contenuto nella parola. Sacrificare, ancor prima di ’rinunciare’, significa ’fare sacre le cose’. La
rinuncia, per così dire, è una conseguenza del sacrificio, ma non per questo la parola deve assu-
mere un significato negativo. Rinunciare al proprio tempo, rinunciare un po’ a se stessi significa
donarsi. Essere disposti a fare spazio all’altro dimostrandogli quanto sia importante per noi.
Ecco quindi che sacrificio vuol dire donare importanza a quanto abbiamo, celebrare la sacralità
di tutte le cose. Dare loro il valore che contengono. Renderle, per l’appunto, sacre.
Adriana Rossi
Semi di parole...
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
9
La testimonianza del mese
La testimonianza del mese
Mi è stato chiesto di raccontare il mio viaggio in Colombia, nella missione “Madre Letizia” e, dopo
averci pensato un po’, ho deciso di accettare perché credo che le cose belle vadano condivise.
Non so se nei giorni che ho trascorso a Ocaña ho fatto esperienza di missione, ma sicuramente ho
fatto esperienza di Dio. Quello che ho visto, provato, vissuto non sarebbe possibile se non fosse
opera di Dio, se non ci fosse Lui a vegliare sulle suore che ogni giorno devono affrontare mille
difficoltà, ma lo fanno sempre con il sorriso; se non ci fosse Lui a vegliare sui bambini ospiti della
missione, che vengono da situazioni di sofferenza, ma che trasmettono la gioia di vivere; se non ci
fosse Lui a “ispirare” tanti amici e benefattori a sostenere con il loro aiuto materiale e con la loro
vicinanza i progetti che nascono per aiutare i bambini ad avere una vita serena; se non ci fosse la
Sua Provvidenza. Tante persone che ho incontrato in questi giorni mi hanno chiesto cosa ho fatto
in missione e quando rispondo che ho fatto molto poco, mi guardano sorpresi. Ho messo a dispo-
sizione il mio tempo, ho giocato con i bambini, li ho ascoltati, mi sono persa nei loro abbracci. Ma
quello che ho ricevuto è stato molto di più e sicuramente migliore di qualunque cosa potessi desi-
derare. Ho ricevuto tanto da parte di tutti, dalle suore che mi hanno accolta e fatta sentire a casa
dal primo momento; dai bambini che hanno abbattuto ogni mia paura semplicemente con un sor-
riso o un abbraccio; dalle persone che ho incontrato e che mi hanno trattata come una di loro. E
soprattutto ho vissuto l’ amore di Gesù per i più piccoli, per chi si affida, per me. Ho avuto la pos-
sibilità di passare tanto tempo in compagnia di Gesù Eucaristia, nella cappella che è il centro della
missione, dove iniziano e finiscono le giornate e dove spesso si passa anche solo per un breve mo-
mento. Sembra strano ma a volte bisogna fare migliaia di chilometri per apprezzare quello che
abbiamo a portata di mano ogni giorno! In quella cappella ho trovato l’amore e la pazienza per
avvicinare i bambini che danno tutto ma anche vogliono tutto, da sola non ce l’avrei fatta. In quel-
la cappella c’è la forza della missione.
Uno dei momenti più belli e che ricordo con più nostalgia è il rosario che i bambini e le suore reci-
tano ogni sera davanti all’Eucaristia: c’è confusione, si salta qualche Ave Maria, ma senti che Gesù
è lì, presente e vivo. Uno dei momenti più difficile è stato dover accompagnare una ragazza alla
stazione dei pullman, perché aveva deciso di tornare a casa, anche se l’aspettava una situazione
difficile. Ma amare è anche rispettare le decisioni degli altri e lasciare andare.
La missione “Madre Letizia” si trova a Ocaña, una città a nord della Colombia. Le Suore Figlie di
Nostra Signora dell’Eucaristia accolgono bambini e bambine che vengono abbandonati o portati
in missione dagli stessi genitori che non possono tenerli per mancanza di lavoro o perché fuggono
da zone dove c’è la guerriglia. In missione trovano persone che li amano, la possibilità di studiare
e avere un futuro migliore, ma soprattutto una casa che sarà sempre la loro casa, anche quando
prenderanno il volo. Ci sono bambine piccole come Yureini o Sail che frequentano l’asilo nido, e ci
sono ragazze che frequentano l’università. La maggior parte dei bambini e delle ragazze va a
scuola la mattina, quindi il pomeriggio si sta insieme e ho potuto avvicinare molti di loro. Vorrei
poterli nominare tutti, perché tutti sono speciali e hanno lasciato un segno in me, ma sarebbe un
elenco molto lungo, al momento ci sono più di cinquanta bambini in missione. Come in ogni fami-
glia, ognuno ha il proprio compito e questo è fondamentale perché non sia il caos a regnare.
Lasciare Ocaña e tornare a casa è stato difficile, e credo che una parte di me sia rimasta lì, in atte-
sa che vada a recuperarla. Ringrazio tutte le persone che mi hanno sostenuta e accompagnata
con la loro preghiera. Ma soprattutto ringrazio Dio per il dono immenso che mi ha fatto facendo-
mi vivere questa esperienza e mettendomi accanto persone speciali che mi hanno trasmesso il
Suo Amore.
Annarita Gentilezza
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
10
Lo spunto culturale del mese
L’inferno non è diavoli e forconi. Non è fiamme e
torture. Non è fuoco e dannati. L’inferno è il gelo
totale che non lascia penetrare l’amore. E niente
brucia più di questo.
“L’inferno è pura sottrazione, è togliere tutta la
vita e tutto l’amore da dentro le cose”. Così scrive
Alessandro D’Avenia, giovane scrittore e autore di
“Ciò che inferno non è”, un libro che tocca le corde
più profonde sin dalle prime righe.
1993. Palermo, lo scenario su cui si apre il roman-
zo. Ed in questa città si snodano vie che portano in
quartieri “infernali”, come Brancaccio, dove imper-
versa la mafia e la malavita.
Vivere a Brancaccio significa fare i conti con la
dittatura del pizzo; soprusi e minacce per chi non ci
sta. La vita sarebbe ancora più amara per i bambi-
ni, se non ci fosse Don Pino Puglisi, umile servo di
Dio, ma anche grande uomo e professore. E già.
Perché Don Pino non si occupa solo di togliere i
ragazzi del suo quartiere dalla strada, ma insegna
anche religione al liceo Vittorio Emanuele II. “Si era
presentato con una scatola di cartone. L’aveva
messa al centro dell’aula e aveva chiesto cosa ci
fosse dentro. Nessuno aveva azzeccato la risposta.
Poi era saltato sulla scatola e l’aveva sfondata.
<<Non c’è niente. Ci sono io. Che sono un rompi-
scatole.>>“
Federico è uno dei suoi studenti. Amante della
letteratura, delle parole. “Mi piace cercare le paro-
le giuste. Le parole e il loro suono mi salvano. […]
Con le parole metto l’àncora a tutte le cose che se
ne vanno alla deriva nel mare che è dentro il cuo-
re, le ormeggio nel porto della testa. Solo così
smettono di sbattere tra loro, di arenarsi, di spac-
carsi.” L’estate è alle porte. Lo aspetta una vacanza
studio ad Oxford. Cosa desiderare di più a dicias-
sette anni? Eppure, in mezzo a queste certezze che
la sua vita da liceale ignaro del mondo reale gli
offre, “ci sono giorni in cui il vuoto morde il petto e
il nulla logora le viscere”. Non gli manca nulla, ma
non è veramente felice. Poi un giorno, una
proposta inattesa di Don Pino lo catapulterà in una
dimensione di contraddizioni: non la Palermo
“bene”, ma la Palermo dell’infanzia negata, della
spensieratezza rubata, delle violenze subite in se-
greto. Brancaccio non è solo questo. È anche il luo-
go dove la speranza si annida, cresce e si nutre dei
gesti d’amore di Don Pino, di Lucia, una ragazza dal
cuore grande, di Federico e di quanti provano a
cambiare anni di sopraffazioni nel piccolo.
Il romanzo offre un piccolo spaccato dell’opera di
Don Pino, uno splendido ritratto di un uomo di fe-
de, dipinto nel suo coraggio, ma anche nelle sue
piccole fragilità. Un uomo che ha provato a spezza-
re un mondo dilaniato dall’ignoranza e dalla cru-
deltà, calato in una realtà difficile, che vive la sua
missione fino in fondo, amando anche in punto di
morte: come dimenticare il prete che seppe sorri-
dere davanti al suo assassino?
Questo è stato Don Pino Puglisi, “uno che rompe le
scatole in cui ti nascondi, le scatole in cui ti ingab-
biano, le scatole dei luoghi comuni, le scatole delle
parole vuote, le scatole che separano un uomo da
un altro uomo.” Colui che ha saputo riconoscere
tra le brutture ciò che inferno non è.
Giada Cianfriglia, Michela Colaneri,
Sara Testa
Ciò che inferno non è
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
11
La rubrica musicale Ho visto la gente della mia età andare via,
lungo le strade che non portano mai a niente. Cer-care il sogno che conduce alla pazzia,
nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già.
Dentro le notti che dal vino son bagnate, dentro le stanza da pastiglie trasformare,
lungo le nuvole di fumo, nel mondo fatto di città
essere pronti ad ingoiare la nostra stanca civiltà È un Dio che è morto. ai bordi delle strade
Dio è morto nelle auto prese a rate
Dio è morto nei miti dell’estate
Dio è morto. Mi han detto che questa mia generazione
ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede, nei
miti eterni della patria e dell’eroe, perché è venuto ormai il momento di negare tutto
ciò che è falsità: le fedi fatte di abitudine e paura,
una politica che è solo far carriera, Il perbenismo interessato,
la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col
torto, È un Dio che è morto. Nei campi di sterminio
Dio è morto Con i miti della razza
Dio è morto Con gli odi di partito
Dio è morto. Ma penso che questa mia generazione
è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi,
perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge.
In ciò che noi crediamo Dio è risorto.
In ciò che noi vogliamo Dio è risorto
Nel mondo che faremo Dio è risorto.
Dio è morto— Francesco Guccini
Nietzsche, Guccini, Nomadi: a voi “Dio è morto”. Morto?
“Ho visto”
gente che ha ucciso, represso, sepolto Dio con le sua falsità, malvagità, perversità, nella mente e nel cuore.
“M’han detto”
che una generazione è nella corruzione, nell’indigenza, nella meschinità.
Credenti in “Dio denaro”, discepoli di falsi miti e falsi dei.
“Io penso”
che c’è un’altra generazione. Forte, pronta, capace. capace di affrontare un mondo nuovo, un’idea, un credo.
una speranza appena nata, che dà fiducia che dà coraggio, che dà forza.
Una speranza che in fondo non muore mai
e anche se muore è solo apparenza perché basta una piccola scossa, un alito di vento e rinasce in noi. Risorge in noi.
Dire speranza è dire Dio, perché Dio è amore, vita, speranza vera. Vito Sallusti
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
12
La poesia... Pasqua Il tocco del campanile
Annuncia Gesù è risorto
Che tra noi è presente
È a festa imbandito il desco.
Nel mezzo primeggia l’ulivo
In memoria del bagliore divino
L’Agnello è il prediletto cibo
In segno di armonia e di pace.
Oggi è presente è vivo
La Pasqua è nell’aria
Primeggi negli animi vivi.
Tenendo i cuori uniti
Il tocco del campanile lontano
Porta il rintocco del vento
Annuncia Gesù redento
Mario Liparoti
Valore di un sorriso Donare un sorriso
rende felice il cuore,
arricchisce chi lo riceve
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante
ma il suo ricordo rimane a lungo.
Nessuno è così ricco
Da poterne fare a meno
Né così povero da non poterlo donare.
Il sorriso crea gioia in famiglia
Dà sostegno nel lavoro
Ed è segno tangibile di amicizia.
Un sorriso dona sollievo a chi è stanco
Rinnova il coraggio nelle prove
E nella tristezza è medicina.
E se poi incontri chi non te lo offre
Sii generoso e porgigli il tuo:
Nessuno ha tanto bisogno di un sorriso
Come colui che non sa darlo.
P. Faber
Lo sapevi che... La parola PASQUA deriva dall’aramaico *PASHA che significa ‘passaggio’, perché la Pasqua
ebraica era stata istituita per commemorare l’uscita degli ebrei dall’Egitto.
Il giorno di Pasquetta ricorre il lunedì successivo alla Domenica di Pasqua ed è detto “lunedì
dell’Angelo”: Gesù risorto appare per la prima volta ai due discepoli che si dirigevano verso il
villaggio di Emmaus. È per questo che tale giorno viene di solito festeggiato con una gita fuori
porta.
Il pesce, simbolo del 1 Aprile, giorno del cosiddetto “Pesce d’Aprile”, è simbolo con il quale in
molte raffigurazioni viene rappresentato Gesù. Dall’acrostico del greco “pesce”, ICTUS, infatti,
deriva proprio il nome di Gesù. Il greco ICTUS sta per: Iesus—Christos—Theu—Uios—Soter
che significa ‘Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore.
Il 25 Aprile viene celebrata la festa di San Marco, patrono della città di Venezia. Si dice che
durante la cerimonia di consacrazione della Basilica al Santo, avvenuta il 25 Aprile 1094, si
svolte un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per ottenere il ritrovamento delle reliquie
dell’Evangelista che erano state trafugate. Dopo la Santa Messa in suo onore, il marmo di ri-
vestimento di un pilastro della navata destra si spezzò e comparve la cassetta contenete le
reliquie. Il simbolo dell’Evangelista è costituito da un leone alato. San Marco è patrono dei
notai, degli scrivani, dei vetrai, dei pittori su vetro e degli ottici.
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
13
I “PassaTenda”
Un carabiniere di Catania a Pa-
squa entra in un negozio di ali-
mentari e fa: -Scusi vorrei una
colomba pe favuri!
E il negoziante: -Motta?
- E che me la vuole dare viva?
- Qual è il colmo per un idrauli-
co? Non capire un tubo.
-Qual è il colmo per un altopar-
lante? Sentirsi male.
- Qual è il colmo per un denti-
sta? Essere incisivo.
- Qual è il colmo per un di-
spettoso? Non ve lo dico!
- Ma “colomba” è maschile o
femminile?
- Maschile! Si chiama Pasquale!
ORIZZONTALI
1. La colomba è il suo simbolo 6. La fine dell’ulivo 7. In
quello di cioccolata c’è la sorpresa 8. Su quello di San Vito
c’è la chiesa…di San Vito 11. Suonano a festa la mattina di
Pasqua 12. Quella cipollina si usa in cucina 15. Il cuore
della ricerca 17. Doppie in fuoco 18. Donare il proprio
cuore a qualcuno.
(Marianna Carrarini)
VERTICALI
1. Devota 2. In mezzo alla fava 3. Quella che si mangia a
Pasqua non vola 4. Il giorno del Signore 5. Liberò gli ebrei
dalla schiavitù in Egitto 8. …e separò le acque del…Rosso
9. Carponi allo specchio…senza dispari 10. L’ultima fetta…
di pizza lievita 11. Quello Pasquale si accende durante la
veglia 12. I giorni che trascorsero tra la morte e la risurre-
zione di Gesù 16. Vero senza estremi
CRUCIUOVO
Lo schiacciamo ma non gli fac-
ciamo male. Cos’è?
Un pisolino!
Aurora Trinchieri
Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua
14
Pizza di Pasqua
700 gr di farina 4 uova 30 gr di lievito di birra Scorza grattugiata di un li-
mone ½ kg di zucchero Anice q.b. 1 bicchiere di sambuca ¼ di latte ½ bicchiere d’olio Un pizzico di sale
Sciogliere il lievito nel latte tiepido.
Sbattere le uova con lo zucchero e
aggiungere la farina un poco alla
volta. Aggiungere, mescolando il
lievito sciolto, l’anice, la scorza
grattugiata di un limone, l’olio, il
sale e la sambuca. Mettere il com-
posto in una teglia imburrata. La-
sciare lievitare e Infornare a 180°
per 30/45 minuti.
Per informazioni o curiosità relative al
giornalino è possibile contattare:
Adriana Rossi cell. 3345811927
(mail: [email protected])
Marzia Nini cell. 3934339613
Michela Colaneri cell. 3665465573
(mail: [email protected])
Scacchione
Giulia Luzzi
LA LETTERA
Eliminate da ogni parola una lettera in modo da ottenere altre
parole di senso compiuto. Le lettere eliminate, scritte nelle ca-
selline grigie, formeranno un messaggio.
Avvisi Catechesi Catechesi, preghiere di guarigione e liberazione con Dario Gritti nei giorni 28 e 29 Aprile presso Chiesa di Santa Maria de Arce.
Riffa parrocchiale Il giorno 26 Aprile, dopo la messa delle 10.30, verranno estratti i numeri della riffa parrocchiale presso la Chiesa di Santa Maria de Arce.
2 Kg di farina 4 uova Una scorza di limone
grattato 2 dadi di lievito di birra 1 bicchiere di olio Anice q.b. 1 bicchiere di olio Una vaniglia 6 hg di zucchero 1 litro di latte
Una volta ottenuto un composto
omogeneo realizzare la forma la
forma del cosiddetto “scacchione”,
tipico dolce pasquale sanvitese:
uno strano animale a sei zampe e
una coda. Spennellare il tutto con
un uovo e lasciare, all’altezza
dell’addome dell’animale, una ca-
vità nella quale poter inserire un
uovo sodo.
REBUS
SOLUZIONE REBUS: Felice Pasqua