i seminario lo stato dell’arte e la strategia · materiale costruttivo è documentato in diversi...

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MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 CONOSCENZE SCIENTIFICHE, SPERIMENTALI E TACITE E AZIONI DI CONSERVAZIONE DI ARCHITETTURE IN TERRA CRUDA DEL SUD. SVILUPPO, SPERIMENTAZIONE E VALIDAZIONE DI UNO STRUMENTO WEB BASED DI KNOWLEDGE MANAGMENT Coordinatore nazionale Prof. Saverio Mecca, Università di Firenze I SEMINARIO LO STATO DELL’ARTE E LA STRATEGIA Firenze, 16 e 17 maggio 2006 Le ricerche sulle tecniche costruttive locali in Sicilia: la terra cruda Maria Luisa Germanà Responsabile Unità di ricerca IV, Università di Palermo Premessa. L’interesse per la terra cruda tra attualità e passato Nell’ambito della ricerca, l’Unità locale IV ha il compito di sviluppare il tema Architetture in terra cruda nel territorio siciliano: processi conoscitivi e conservativi. L'interesse per l’uso della terra nelle tecniche costruttive tradizionali, in generale come relativamente a specifiche realtà locali, possiede almeno due importanti motivazioni, tra loro collegate e che possono sortire effetti indiretti e diretti. In primo luogo, tale interesse va riferito alla tendenza verso la sostenibilità in edilizia, tema che fornisce il quadro di riferimento complessivo entro cui si è inteso basare la ricerca. Infatti, ormai da diversi decenni si cerca un paradigma alternativo allo sviluppo tecnologico erosivo delle risorse naturali, dominato da modelli produttivi che hanno smarrito i legami con i ritmi biologici dell'essere umano e con le specificità dei contesti. A confronto con gli elevatissimi costi, non solo ambientali, degli edifici in cemento, acciaio, alluminio e derivati del petrolio, in tutte le latitudini la terra cruda costituisce la base di tecniche costruttive ancora valide e di irrisorio impatto sull'ambiente: basti pensare alla diffusa disponibilità del materiale ed al conseguente abbattimento dei trasporti, ai ridottissimi oneri energetici necessari alla trasformazione, all'azzeramento delle necessità di smaltimento e riciclaggio degli scarti di lavorazione e da dismissione. Da questo punto di vista, la ricerca sulle architetture in terra cruda ereditate dal passato si proietta verso il futuro, in quanto intende, nel lungo termine e per quanto indirettamente, contribuire a contrastare l'adozione indifferenziata nella comune produzione edilizia di tecniche costruttive di carattere globale, che risultano estranee ai contesti ed indifferenti alle identità locali, adozione che è stata - allo stesso tempo - fattore e conseguenza dell'annichilimento del bagaglio conoscitivo della tradizione, che invece era profondamente radicato nell'identità (fisica, ma anche culturale) dello specifico scenario produttivo. Ma, oltre a contribuire alle conoscenze finalizzate a comprendere forme sostenibili di costruzione riferite all’attualità, lo studio delle architetture in terra cruda ereditate dalla tradizione riveste un interesse diretto in quanto esse, per il loro valore storico, possono essere considerate a pieno titolo beni culturali, rispondendo pienamente alla definizione di testimonianza materiale avente valore di civiltà (Commissione Franceschini, 1967). I manufatti in terra cruda, considerati sotto il profilo documentale, pongono notevoli problemi conoscitivi, a partire dalla stessa individuazione, e conservativi, per la propria intrinseca vulnerabilità. Ciò motiva, ancor di più che per altre forme di Patrimonio Architettonico, una ricerca orientata alla gestione della conoscenza (knowledge managment). Infatti le testimonianze dell’uso della terra cruda ereditate dal passato costituiscono esempi assai eterogenei per epoca, tipologia e contesto, che pongono problemi diversi rispetto alla loro conservazione, e ancor più particolari se si pensa in termini di fruizione, di valorizzazione e di collegamenti con le potenzialità attuali di questo antico materiale costruttivo. 1

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MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 CONOSCENZE SCIENTIFICHE, SPERIMENTALI E TACITE E AZIONI DI CONSERVAZIONE DI ARCHITETTURE IN TERRA CRUDA DEL SUD. SVILUPPO, SPERIMENTAZIONE E VALIDAZIONE DI UNO STRUMENTO WEB BASED DI KNOWLEDGE MANAGMENT Coordinatore nazionale Prof. Saverio Mecca, Università di Firenze I SEMINARIO LO STATO DELL’ARTE E LA STRATEGIA Firenze, 16 e 17 maggio 2006 Le ricerche sulle tecniche costruttive locali in Sicilia: la terra cruda Maria Luisa Germanà Responsabile Unità di ricerca IV, Università di Palermo Premessa. L’interesse per la terra cruda tra attualità e passato Nell’ambito della ricerca, l’Unità locale IV ha il compito di sviluppare il tema Architetture in terra cruda nel territorio siciliano: processi conoscitivi e conservativi. L'interesse per l’uso della terra nelle tecniche costruttive tradizionali, in generale come relativamente a specifiche realtà locali, possiede almeno due importanti motivazioni, tra loro collegate e che possono sortire effetti indiretti e diretti. In primo luogo, tale interesse va riferito alla tendenza verso la sostenibilità in edilizia, tema che fornisce il quadro di riferimento complessivo entro cui si è inteso basare la ricerca. Infatti, ormai da diversi decenni si cerca un paradigma alternativo allo sviluppo tecnologico erosivo delle risorse naturali, dominato da modelli produttivi che hanno smarrito i legami con i ritmi biologici dell'essere umano e con le specificità dei contesti. A confronto con gli elevatissimi costi, non solo ambientali, degli edifici in cemento, acciaio, alluminio e derivati del petrolio, in tutte le latitudini la terra cruda costituisce la base di tecniche costruttive ancora valide e di irrisorio impatto sull'ambiente: basti pensare alla diffusa disponibilità del materiale ed al conseguente abbattimento dei trasporti, ai ridottissimi oneri energetici necessari alla trasformazione, all'azzeramento delle necessità di smaltimento e riciclaggio degli scarti di lavorazione e da dismissione. Da questo punto di vista, la ricerca sulle architetture in terra cruda ereditate dal passato si proietta verso il futuro, in quanto intende, nel lungo termine e per quanto indirettamente, contribuire a contrastare l'adozione indifferenziata nella comune produzione edilizia di tecniche costruttive di carattere globale, che risultano estranee ai contesti ed indifferenti alle identità locali, adozione che è stata - allo stesso tempo - fattore e conseguenza dell'annichilimento del bagaglio conoscitivo della tradizione, che invece era profondamente radicato nell'identità (fisica, ma anche culturale) dello specifico scenario produttivo. Ma, oltre a contribuire alle conoscenze finalizzate a comprendere forme sostenibili di costruzione riferite all’attualità, lo studio delle architetture in terra cruda ereditate dalla tradizione riveste un interesse diretto in quanto esse, per il loro valore storico, possono essere considerate a pieno titolo beni culturali, rispondendo pienamente alla definizione di testimonianza materiale avente valore di civiltà (Commissione Franceschini, 1967). I manufatti in terra cruda, considerati sotto il profilo documentale, pongono notevoli problemi conoscitivi, a partire dalla stessa individuazione, e conservativi, per la propria intrinseca vulnerabilità. Ciò motiva, ancor di più che per altre forme di Patrimonio Architettonico, una ricerca orientata alla gestione della conoscenza (knowledge managment). Infatti le testimonianze dell’uso della terra cruda ereditate dal passato costituiscono esempi assai eterogenei per epoca, tipologia e contesto, che pongono problemi diversi rispetto alla loro conservazione, e ancor più particolari se si pensa in termini di fruizione, di valorizzazione e di collegamenti con le potenzialità attuali di questo antico materiale costruttivo.

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MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 La terra cruda come materiale costruttivo nell’architettura tradizionale siciliana: lo stato dell’arte È noto che la terra cruda può essere utilizzata nelle costruzioni in diversi modi, riconducibili alle seguenti forme principali: − come materiale costituente mattoni (tecnica dell’adobe); − come unico componente delle strutture murarie (tecnica del pisè); − come fondamentale componente delle murature assieme a pietre di pezzatura irregolare (murature in pietra e taio); − come materiale utilizzato nelle finiture (intonaci; pavimentazioni). Inoltre essa è stata utilizzata come completamento di murature principalmente realizzate in pietra, sia nella listatura dei paramenti murari, sia nel riempimento tra cortine lapidee (murature a sacco), sia nella realizzazione di sistemi voltati. A confronto con altre Regioni italiane, in Sicilia l’architettura tradizionale documenta l’uso della terra cruda in modo diffuso, ma non immediatamente manifesto. La disponibilità di materiali lapidei nella maggior parte del territorio regionale infatti non ha creato i presupposti per costruzioni principalmente realizzate in terra cruda, ma piuttosto, a parte agli esempi di mattoni crudi presenti nei siti archeologici, l’uso di tale materiale si ritrova in edifici medievali e più recenti, nella forma della muratura in pietra e tajo oppure come importante completamento di murature a cortina, nei riempimenti delle intercapedini. Anche in Sicilia, quindi, il Patrimonio Architettonico che documenta l’uso di terra cruda, almeno negli esempi pervenuti sin noi, si presenta piuttosto eterogeneo. Tale eterogeneità si riflette puntualmente sui problemi conoscitivi: lo stato dell’arte della conoscenza del Patrimonio Architettonico in terra cruda presente in Sicilia evidenzia innanzitutto la mancanza di una trattazione sistematica, rivolta all’intero territorio regionale con l’obiettivo di documentare tutti gli impieghi di questo materiale presenti nell’architettura storica. Quella disponibile infatti è una conoscenza composita, che deriva da settori disciplinari diversi, tra cui sono inconsuete le occasioni di confronti e sinergie. A dissonanti orientamenti teorici e metodologici sul piano conoscitivo, corrisponde sul piano operativo, entro cui si collocano gli interventi conservativi, la varietà degli approcci adottati da operatori che si muovono in scenari paralleli, seguendo regie incoerenti se non apertamente conflittuali (Università, Sovrintendenze, Istituti di Ricerca). Anche se non intende affrontarlo, la nostra ricerca inevitabilmente si dovrà confrontare con tale esiziale nodo, che è stato alla base di una Tavola rotonda internazionale tenuta a Palermo nel 2002, su La conservazione affidabile per il patrimonio architettonico, frutto di una precedente ricerca finanziata dal MIUR. Lo stato dell’arte sulla conoscenza del Patrimonio Architettonico in cui è impiegata la terra cruda si deve quindi confrontare con fonti frammentarie. − Per quanto riguarda i contesti archeologici, i riferimenti sono prevalentemente collegabili alle discipline archeologiche ed alle attività già sviluppate dalle competenti Soprintendenze che fanno capo all’Assessorato regionale BB.CC.AA. Ulteriore fonte di conoscenza è costituita da studi sviluppati nell'ambito di alcune tesi di laurea e di un Dottorato di ricerca in Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi, attivo dal 2001 presso il Dipartimento di Progetto e Costruzione Edilizia dell’Università di Palermo, coordinato dal Prof. Alberto Sposito. − Per quanto riguarda le testimonianze più recenti, le informazioni derivano da fonti più disperse. In particolare sull’uso della muratura in pietra e tajo, alcuni dati sulla diffusione cronologica e geografica possono essere ricavati da diverse fonti archivistiche. Le tecniche costruttive della tradizione sono state studiate in tante occasioni ed all’interno di vari campi disciplinari: si tratta spesso di indagini riferite a specifici esempi circoscritti, svolte da studiosi di Storia dell’architettura, di Tecnologia dell’architettura o di Architettura tecnica, più individualmente che secondo unitarie strategie di ricerca. Fanno eccezione le meritorie ricerche condotte nell’ambito dell’edilizia rurale tra gli anni ’50 e ’70 dai geografi coordinati da Renato Biasutti, sviluppate in Sicilia da Giorgio Valussi per la parte occidentale e da Maria Teresa Alleruzzo Di Maggio per quella orientale, che però, per l’impostazione disciplinare che le connota, si fermano necessariamente a descrizioni di carattere generale. Studi maggiormente strutturati sono stati compiuti sulle “città di nuova fondazione”, esempi piuttosto omogenei di insediamenti, realizzati soprattutto tra il XVI e XVIII secolo in Sicilia per effetto delle politiche di colonizzazione dei latifondi incentivate dalla dominazione spagnola. Nulla sinora si è trovato sull’uso della terra nelle finiture; probabilmente per la scarsa diffusione e per la labilità del materiale negli impieghi più esposti agli agenti atmosferici ed all’usura. Ciò premesso, nel seguito verrà presentato lo stato dell’arte della conoscenza, riferito alle due casistiche maggiormente documentate (i contesti archeologici e le murature in pietra e taio e a sacco con intercapedine in terra). Si tratta di una documentazione ancora parziale, in quanto la fase di raccolta è ancora in corso di svolgimento, per la quale è stato fondamentale il contributo di alcuni Colleghi del mio Dipartimento di

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MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 afferenza, che ringrazio (Professori Sposito, Brancato, De Giovanni e Di Natale; Architetti Fernandez, Guglielmino e Scalisi). La terra cruda nei siti archeologici siciliani Facendo riferimento al Patrimonio Architettonico ereditato dal passato più remoto, l’uso della terra come materiale costruttivo è documentato in diversi siti archeologici siciliani, nella forma di mattoni crudi (tecnica dell’adobe) e come completamento delle costruzioni (pavimentazioni). Inoltre, in alcuni casi, è stata ipotizzata la presenza di tale materiale in parti non giunte a noi (come nelle coperture di alcune capanne dell’età del bronzo). Un esempio di epoca preistorica: Mokarta Da: Fonti varie (Sebastiano Tusa, Soprintendenza BB.CC.AA. TP; tesi di laurea relatore Prof. Sposito)) Il sito archeologico è ubicato nel Comune di Salemi (TP) ad una ventina di chilometri dal mare di Mazara del Vallo. L’insediamento, noto per la presenza dei ruderi di un castello medioevale posto sulla sommità dell’omonimo rilievo, fu identificato come sito di interesse archeologico-preistorico negli anni ’60. Gli scavi successivi hanno portato alla luce i resti di un insediamento sicano risalente all’età del bronzo, utilizzato tra i secoli XIII e XI a. C. Tale insediamento, paragonato a Pantalica, importante sito coevo nella parte orientale dell’isola, controllava una vasta porzione di territorio, pianeggiante e fertile, e le principali vie di comunicazione dell’epoca. Esso fu bruscamente distrutto, nel X sec. a. C., in seguito ad invasione degli Elimi.

Oltre alla necropoli (almeno 60 tombe con dromos scavata nel pendio roccioso), le indagini archeologiche hanno messo in luce un insediamento, in cui è stata notata come rilevante la compresenza di un sistema costruttivo più antico, la capanna circolare con doppio ingresso, e ambienti quadrangolari, attribuibili all’influsso egeo-miceneo. La capanna “Nina”, così chiamata dall’operaio che la portò alla luce insieme ai resti di una giovane donna, è costituita da un tamburo murario cilindrico, il cui diametro interno è di circa mt 5,52, e il diametro esterno (individuabile dalle differenti dimensioni delle pietre) di circa mt 6,10. È accessibile da Sud attraverso un ampio e doppio ingresso: quello interno, interruzione del tamburo murario, quello esterno, due braccia murari curvi che partono dallo stesso tamburo e formano una anticella a forcipe. Le dimensioni dell’anticella sono il doppio delle altre capanne; all’esterno del braccio occidentale e a questo addossato si è rinvenuto un lastricato formato da sfaldature calcarenitiche allineate. È sita in una zona in leggero pendio verso Sud, la parte a Nord del tamburo ha uno spessore maggiore e sul lato Ovest si assiste a un problema di spanciamento dovuto alle forze orogenetiche del terreno. La parte a Nord è la meglio conservata con 6-7 filari di pietra che vanno scemando fino ad arrivare ad uno soltanto nella parte a Sud in corrispondenza dell’ingresso. La tessitura muraria è molto semplice: pietre del luogo disposte in fila formanti un muretto a secco; solamente in due punti si riesce a individuare una disposizione a lisca di pesce, schema in voga nella tradizione Egea. Il pavimento è formato da un battuto sottile di marna combusta in superficie (cm 2-3) di colore giallastro, macinata e compattata. Si ha l’impressione che il pavimento fosse stato rifatto di recente, e che esso era ancora incompleto al momento della distruzione della capanna. Infatti, nelle altre strutture del sito in cui si è trovata distesa di marna, questa soggiace sempre al battuto vero e proprio formato da argilla più depurata e arrossata per combustione, che qui manca. Il fatto stesso che il battuto della Capanna 1 non presenti tracce di bruciato potrebbe confermare l’ipotesi che la capanna sia bruciata mentre era ancora in piedi e sia quindi crollata quando il

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MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 fuoco era quasi del tutto spento. Sotto il battuto si è trovato un più antico pavimento, del tipo consueto d’argilla più depurata arrossata per combustione, a conferma che il pavimento era stato rifatto Il centro della capanna era occupato dal focolare costituito da una distesa circolare d’argilla appena indurita dal fuoco, tanto da dare l’impressione che il manufatto fosse stato poco usato. Un secondo focolare (caso unico a Mokarta), simile ma decisamente arrossato per combustione, stava accanto al primo, parzialmente coperto da esso. (...) Particolare interesse riveste la copertura della capanna poiché non sono rimasti particolari costruttivi o elementi tali da poterne individuare l’alzato. Tra i pochi elementi vi è lo spesso strato di concotto rinvenuto con impronte di travetti lignei a sezione circolare dal diametro di 7-12 cm proprio nella capanna in esame. Tali impronte sono poste in serie parallele e si nota una serie di canne posta accanto all’impronta parallela di un travetto. Il concotto è formato da un impasto d’argilla e paglia, i cui pezzetti hanno un diametro di 1-4 mm. la conservazione delle fibre vegetali è eccezionale. Alcuni frammenti di concotto sono decisamente rossastri, altri biancastri. Sembra che la differenza consista nella maggiore o minore presenza di carbonato di calcio, non sappiamo se intenzionalmente mischiato all’impasto o se frutto d’infiltrazioni idriche nel tetto della capanna. Di sicuro c’è che nella zona centrale del deposito strati biancastri e rossastri (spessi ca. cm 10) si alternavano tra loro, quasi fossero stati posti ad arte con funzioni diverse. Rari frammenti hanno una superficie liscia, in almeno un caso curva, in altro convessa. Tutti i pezzi sono comunque mischiati ad un terriccio argilloso incoerente, dello stesso colore, certo costituito dal medesimo concotto disfatto. Alla base dello strato vi erano numerose chiazze carboniose, anche a sagoma allungata, che sembrano resti di una struttura lignea. Altre chiazze simili accompagnavano l’interfaccia tra lo strato di concotti e le pareti interne della capanna (sulle quali erano vistose fiammate). Lo strato di concotto (e dunque la copertura da cui si sarebbe originato) giaceva esclusivamente nell’area del tamburo centrale. L’anticella era invece occupata da uno strato limoso grigio, direttamente sovrapposto al battuto, ma anche allo strato di concotto lungo la fascia di tangenza tra i due depositi, sita nell’area dell’ingresso interno. L’assenza di tracce di copertura nell’area dell’anticella, conferma che questa ultima era, se non a cielo aperto, dotata di una copertura leggera. Il rinvenimento di tracce di tronchi bruciati di travi (Capanne 1 e 2) e al tempo stesso uno strato di materiale compatto a blocchi nella Capanna 1 a composizione pseudocoerente ma con peso specifico leggero (1.63 ton./mc) e resistenza misurata pari a 35.75 kg./cmq, ha indotto a calcolare la possibilità che i muri rinvenuti potessero sopportare le spinte derivanti dall’installazione di un tetto. Alcuni campioni rinvenuti presentano un particolare modellamento piatto ed una fascia chiara di alterazione dovuti a sali di calcio, simile ad una zonazione, probabilmente dovuti ad alterazione a causa dell’imbibizione continua di acqua meteorica e umidità che rendeva tale copertura impermeabile secondo una nota caratteristica meccanica delle argille che in presenza di acqua espandono il proprio reticolo strutturale saturando i legami e non consentendo oltre ulteriori legami con altre molecole di acqua. È abbondante la presenza in tutti i campioni di impronte di paglia o fascine dislocate parallelamente all’asse maggiore del manufatto e di piccoli tronchi polidimensionali di natura botanica generalmente non precisabile, con funzione di legante amalgamato all’argilla .

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L’esempio più noto: le fortificazioni di Gela Tra le testimonianze archeologiche in terra cruda presenti in Sicilia, le vestigia più note e studiate sono le fortificazioni del IV secolo a. C., presenti a Gela in località Capo Soprano, reperto monumentale (oltre trecentocinquanta metri di muratura), sconosciuto fino al 1948 in quanto coperto da una coltre di sabbia alta oltre 12 metri e che ha richiamato interesse anche per gli specifici problemi conservativi. Da: F. Scalisi, “Le strutture difensive delle colonie greche di Sicilia”, 2004, Tesi di Dottorato di Ricerca in Recupero e Fruizione dei Contesti Antichi (XVI Ciclo), Relatore Prof. Alberto Sposito. Le fortificazioni di Gela rappresentano un mirabile esempio di struttura muraria a tecnica mista, per la cui costruzione fu richiesto un grande impegno anche di natura economica. Diversi studiosi fanno risalire la sua costruzione ad età timoleontea, sulla base dei materiali ceramici e delle litre d’argento di Gela e di Siracusa circolanti proprio nella seconda metà del sec. IV a.C. e ritrovate nei depositi votivi alla base del muro. Gli stessi studiosi attribuiscono i successivi rifacimenti e le trasformazioni della cinta muraria ad Agatocle, sulla base dei reperti ritrovati nello strato di sabbia, che aveva in parte obliterato la struttura lapidea, e su una serie di osservazioni fatte sulla sopraelevazione in mattoni crudi, che subì aggiunte e occlusioni nelle merlature. Altri studiosi, invece, preferiscono datare l’opera muraria al sec. V a.C. ed attribuirne le trasformazioni o le modifiche agli eventi della guerra punica. Sul versante occidentale, nella località Piano Notaro, le mura avevano uno sviluppo articolato e delineavano quasi una penisola protesa sul territorio, a protezione del tratto centrale delle stesse mura, dove si apriva una delle porte principali della città in direzione di Agrigento. Il tratto meglio conservato di questa opera di fortificazione è stato messo in luce a Capo Soprano; esso ha uno sviluppo lineare di circa m 360, uno spessore di circa m 3,00 e si è conservato in buone condizioni, per un’altezza media di m 3,20, poiché rimase sepolto da una spessa coltre di sabbia. Infatti, il tratto Nord-Occidentale, rimasto scoperto, subì la spoliazione in epoca medioevale. La cortina muraria in luce è costituita inferiormente da due paramenti di blocchi di calcarenite, di diverse dimensioni, spesso bugnati sulla faccia esterna, con una struttura ad emplekton di pietrame e terra; la sopraelevazione è in mattoni crudi, disposti a corsi regolari, perfettamente isodomi, legati da argilla e sabbia di colore scuro, forse originariamente ricoperti da un’intonacatura di colore rosso. Gli archeologi hanno distinto nella sopraelevazione in mattoni crudi tre diverse fasi cronologiche: la prima contemporanea alle mura timoleontee in pietra, la seconda e la terza databili tra l’età di Agatocle e il 282 a.C. La sopraelevazione di età agatoclea, resasi necessaria probabilmente per l’insabbiamento della struttura muraria, aveva riportato il muro all’altezza originaria, che risultò così completato da un camminamento di ronda con merlature regolari. Ai camminamenti si accedeva mediante due rampe di scale, poste rispettivamente, una lungo il lato Nord-Occidentale e l’altra all’interno del lato meridionale del muro. Quest’ultimo era difeso da torri, a pianta rettangolare, distribuite lungo la cortina per rafforzare le difese degli ingressi; tre di esse sono disposte agli angoli dell’avancorpo occidentale, una in prossimità della cosiddetta fornace medievale, l’altra sulla sinistra della porta Ovest; la terza, quasi all’angolo del tratto Sud-Occidentale. Un’altra torretta proteggeva la postierla. Le prime due torrette furono costruite insieme alla struttura di fortificazione; le ultime due, invece, furono aggiunte in un momento successivo, forse nel momento della conquista di Agatocle e della creazione della sua base militare a Gela contro i Cartaginesi. A questi avvenimenti sono stati riferiti sia le brecce aperte sul versante meridionale della struttura, sia alcune casermette in mattoni crudi realizzate all’interno della cinta muraria. Nella cortina muraria si aprivano due ingressi: il primo è costituito da porta coperta da architrave, murata a più riprese con mattoni crudi; il secondo consiste in una postierla con copertura ad arco ogivale, che venne tamponata, per motivi di sicurezza, in un momento successivo alla sua stessa realizzazione.

(foto F. Scalisi)

(foto F. Scalisi)

(foto F. Scalisi)

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Rilievo fotografico 1998 (foto F. Fernandez)

Rilievo fotografico 1998 (foto F. Fernandez)

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MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 L’uso della terra nelle murature successive (pietra e tajo e a sacco) L’apparecchio murario a pietra e tajo costituisce una presenza largamente diffusa nell’architettura tradizionale siciliana, sia in contesti urbani che rurali. Tajo è un termine di origine araba (fango, argilla), ancora in uso nel dialetto calabro: nelle murature tale termine è utilizzato per designare una malta, in cui terra argillosa, talvolta addizionata con calce di scarsa qualità, veniva mischiata a paglia e cenere. Il tajo costituiva il legante di una muratura spesso di considerevole spessore, in cui teneva insieme pietrame grossolanamente sbozzato e varia pezzatura. Non risultano descrizioni di questa tecnica costruttiva a livello locale: sono stati citati alcuni riferimenti teorici che possono aiutare a ipotizzare come essa veniva posta in opera Da: T. Campisi S. Mutolo, 2003, Palermo pietra su pietra. Apparecchi murari dell’edilizia settecentesca, Ila Palma, Palermo pp. 68-69. Il Rondelet nel XIX secolo descrisse una tecnica di messa in opera che prevedeva la formazione di un legante a base di terra argillosa misto a paglia sminuzzata, da gettare in strati di pochi centimetri costipati a mezzo di battitura; il Carbonara riferisce in merito a questa antichissima tecnica della preparazione di un legante a base di terre specialmente argillose, con basso contenuto di sabbia, a cui si potevano aggiungere ghiaia e calce, o marna, per migliorare le caratteristiche del getto. Il tajo (o tayo) è molto spesso riscontrato negli archivi storici, nei contratti tra muratori e proprietari, sin dal XIV secolo: “Nella maggioranza dei contratti, viene specificato l’uso di pietra <<rustica>> (la pietra da taglio viene riservata per l’inquadratura delle porte) e di malta di calce o di <<tayo>> (...) Il materiale è povero e ci riconduce agli esempi di abitati rustici scavati a Brucato e a Calathamet: se le torri sono costruite a pietra e calce, non solo le case piccole, come nel contratto del 1425, vengono elevate a rusticum murum et a terra russa (con impasto argilloso senza calcina), ma anche la torre alta 11 m viene fatta a pietra e tayo, nel 1456, a riprova del mediocre interesse per le costruzioni fuori mura”. Da: Henri Bresc, La casa rurale nella Sicilia medievale. Massaria, casale e <<terra>>.. Nelle costruzioni realizzate nell’entroterra siciliano in concomitanza con i processi di popolamento delle campagne promosse dalla dominazione spagnola tra il XVI e XVIII secolo, l’apparecchio murario in pietra e tajo è ricorrente, come si può riscontrare dalle fonti archivistiche: i contratti tra i baroni che avevano ottenuto la licentia populandi e coloni spesso prevedevano, oltre all’assegnazione in affitto di un podere raggiungibile a dorso di mulo, l’attribuzione di un lotto, all’interno nel centro abitato di nuovo impianto, in cui lo stesso colono si impegnava a costruire la propria dimora in pietra e tajo. Tale tecnica è riscontrabile anche negli insediamenti rurali sparsi realizzati successivamente, come le masserie di impianto sette-ottocentesco. La diffusione della tecnica si deve alla relativa semplicità di realizzazione e soprattutto alla possibilità di realizzarla con materiali disponibili in loco. Da: G. Trombino, 1979, Materiali, tecniche e tipi edilizi nei nuovi insediamenti della Sicilia occidentale, in: Giuffrè, (cur.), 1979/81, Città nuove di Sicilia. XVI - XIX sec., 2 voll., Vittorietti, Palermo. “Formazioni argillose molto estese interessano quasi tutta la Sicilia; ma con particolare diffusione si incontrano argille sabbiose nelle provincie di Caltanissatta ed Agrigento, specialmente nella parte meridionale, e nell’area tra Trapani e Palermo; argille scagliose sono presenti invece nel trapanese (...) e nel palermitano (...) fino al messinese. Raramente però le argille siciliane sono naturalmente nelle condizioni adatte per la fabbricazione dei laterizi; un indice particolarmente importante è dato dalla quantità di sabbia, dalla quale dipende la distinzione in argille grasse (con sabbia abbondante) e magre (prive di sabbia); le prime si restringono troppo nella cottura e si screpolano, le seconde non acquistano la necessaria resistenza. Una corretta composizione si raggiunge mescolando alle argille magre della sabbia silicea”, p. 165. [cfr. anche: F. Pollastri, La Sicilia: la terra vol. I, Palermo 1948, pag 205]. “Infine non è infrequente, specie nell’edilizia più povera, l’uso della terra come sostanza cementante in murature grossolane, mescolata con tritume di paglia o canne. Il legante così ottenuto, che può essere considerato una malta di argilla, non offre evidentemente una grande resistenza, ed il suo impiego, generalmente in murature di grosso spessore, è dovuto alla necessità di riempire le sconnessure, garantendo un minimo di resistenza a pressione senza variazioni di volume”, p. 166.

Poggioreale (foto R. Guglielmino

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MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 La tecnica costruttiva in pietra e tajo si può considerare in via di estinzione. Dopo il XVIII secolo essa cadde in disuso se non nell’edilizia rurale. In seguito ad interventi successivi, dovuti ad esigenze di consolidamento, l’apparato murario originario, se non interamente sostituito, è stato oggetto di pesanti manomissioni che l’hanno reso spesso irriconoscibile. Da: T. Campisi S. Mutolo, 2003, Palermo pietra su pietra. Apparecchi murari dell’edilizia settecentesca, Ila Palma, Palermo. “Nel Settecento cadde in disuso, come già analizzato, la muratura in pietra e tajo, largamente impiegata nel periodo medievale ed ancora in uso nel XVII secolo. Questa tipologia costruttiva si era rivelata particolarmente inefficace a contrastare il sisma, perchè la sua resistenza era demandata esclusivamente alla debole coesione che il taio garantiva tra gli scarti di pietra di cui era costituita la cui distribuzione geometrica casuale escludeva, in assenza di filari, ogni resistenza per attrito. Inoltre, al di là della sua incapacità di contrastare forze orizzontali, presentava una intrinseca propensione al degrado determinato dal dilavamento prodotto dagli agenti atmosferici, una caratteristica che lo rendeva particolarmente inadatto alla realizzazione di paramenti esterni” p. 109-110. “(...) un tipico esempio di consolidamento, eseguito in presenza di muratura scadente, come quella in pietra e tajo, consisteva nella realizzazione di fodere di smarrato di buona qualità, dette contromuri. In un documento è addirittura illustrata l’esecuzione di due contromuri, uno per parte, poi collegati attraverso catene di ferro per raffrenare li mura novi con li vecchi”, p. 110. Figura successiva, tratta da p. 111, consolidamento di un setto murario del complesso monastico di Santa Chiara a Palermo.

Nelle murature dell’architettura tradizionale siciliana la terra è stata impiegata anche in un’altra tipologia costruttiva, che si differenzia dalla pietra e tajo per la disomogeneità della sezione. Il muro a sacco, com’è noto, è realizzato da due cortine di elementi regolari (di solito lapidei, in certi casi rinzeppati da scaglie minori o da frammenti di laterizi), realizzate simultaneamente con l’accortezza di predisporre i necessari collegamenti trasversali. Nello spazio risultante tra le cortine viene collocato uno strato di materiale incoerente, spesso terra mescolata a scarti di lavorazione. Tale tecnica, più evoluta e complessa rispetto a quella a pietra e tajo, produce un tipo murario caratterizzato da maggiori prestazioni e da un migliore comportamento alle sollecitazioni ed al semplice scorrere del tempo. Da. A. Pugliano, Criteri per il restauro strutturale e antisismico nell’edilizia storica, in F. Giovanetti, cur., 1997 Manuale del recupero del Centro storico di Palermo, Flaccovio, Palermo, p. 280 Murature con paramenti e nucleo Naturalmente la necessità di realizzare spessori murari maggiori della dimensione degli elementi lapidei disponibili impone l’uso di due paramenti murari e da un nucleo; ivi <<le facce delle mura si fanno di pietre quadrate legate assieme d’altre mura poste in chiave di traverso, ed il vano ripieno di sassi, e terra e calcina>>, da: Giovanni Biagio Amico, 1726, Architetto pratico, Palermo, lib. II f. 63.

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Mistretta dopo il terremoto F.S. Brancato, A. Argento, 1972

MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 Esempi di questo tipo di muratura sono diffusi in tutto il territorio siciliano. Un esempio particolarmente studiato è costituito dai dammusi di Pantelleria, in cui la terra, oltre che come riempimento tra le cortine murarie in pietra lavica, è utilizzata per la realizzazione delle tipiche coperture a volta. Da. G. De Giovanni, 1998, Pantelleria: materia e memoria, su: “Demetra”, n. 11, Alloro Ed. Palermo, p. 26. Ultimata la muratura fino alla linea di imposta del vano si disponeva una struttura orizzontale in legno (...). Su queste travi si ponevano delle pietre con l’aggiunta di tàiu (terra impastata con acqua) per formare la direttrice della volta. Contemporaneamente travetti orizzontali di legno si disponevano tra le direttrici della volta abbozzata e ad incrocio agli angoli. Tale struttura costituiva così l’intradosso della cassaforma e gli interstizi tra trave e trave venivano riempiti con tàiu e pietra; la volta infine veniva regolarizzata da un ulteriore strato di tàiu a formare il negativo della volta stessa. Definita la cassaforma si passava subito alla muratura in pietra ed alla finitura della muratura esterna riempiendo l’interstizio tra i muri e la volta con pietrame di risulta (...). Su queste pietre si inizia a stendere un manto di terra che modellava l’estradosso (...). La terra dell’estradosso costituiva una buona base per il successivo impasto ed assolveva all’importante funzione di ammortizzare la battitura, eseguita per diversi giorni con mazzuole di legno, dello strato impermeabile in calce e tufo, impastato generalmente un mese prima dell’utilizzo. Il tutto infine veniva reso più compatto e impermeabile con una o più mani di calce a pennello.

Pantelleria (foto G. De Giovanni)

Usi attuali della terra cruda nelle costruzioni: lo scenario siciliano Parallelamente alla ricerca sull’impiego della terra cruda nell’architettura tradizionale, sono state compiute indagini sull’uso di tale materiale nell’attuale scenario produttivo, con riferimento alla realtà siciliana. Si è potuto constatare che anche in Sicilia gli impieghi attuali della terra cruda nelle costruzioni riscuotono un crescente interesse. A testimonianza di ciò si cita l’attività della sezione locale dell’ANAB (Associazione Nazionale Architettura Bioecologica), che negli ultimi anni ha promosso nella Regione diverse iniziative divulgative e di sperimentazione. In particolare, sotto la guida di Sergio Sabbadini, sono stati condotti esperimenti di realizzazione di mattoni e intonaci a base di terra cruda, presso l’Antica Fornace Guglielmino, con sede a Catania, che hanno sortito risultati interessanti per le applicazioni nell’attuale produzione edilizia, sia di recupero che di nuova costruzione. La responsabile ANAB Sicilia, l’Arch. Adriana De Gregorio, sta organizzando un seminario sul tema che si svolgerà il prossimo giugno a Palermo, in collaborazione con l’Ente Scuola Edile PANORMEDIL.

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MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 Dallo stato dell’arte alla strategia L’avvio della prima fase della ricerca, mirata come programmato alla identificazione dell'ambito operativo e sperimentale ed alla specificazione degli strumenti, ha dimostrato che il campo da analizzare per raggiungere gli obiettivi prefissati è vasto e di difficile indagine, a causa della vastità, varietà e l’eterogeneità dei riferimenti. Allo stesso tempo, però, simile difficoltà rende ancora più significativo l’obiettivo di una conoscenza strutturata dell’impiego della terra cruda nel Patrimonio architettonico siciliano. Pertanto, sino a questo momento, si intende confermare la strategia che ci si era proposti durante la predisposizione del progetto di ricerca, che vede centrale la definizione, sperimentazione e validazione di un approccio integrato che sostanzi i processi conoscitivi e conservativi di questo materiale costruttivo, così antico e così attuale. Così come per qualunque bene culturale, anche per le testimonianze dell’uso della terra nelle costruzioni vale la considerazione che la conoscenza e la conservazione non possono essere azioni puntuali, circoscritte a un tempo limitato, ma devono possedere il carattere della ripetitività. Per questo motivo, sotto il profilo strategico, la ricerca ha da subito fatto riferimento alle nozioni di processo conoscitivo e processo conservativo [cfr. A. Sposito, 1995, Processi conoscitivi e processi conservativi, in: Sposito, cur., 1995 Natura e artificio nell’iconografia ennese, D.P.C.E., Palermo]. Infatti la nozione di processo conoscitivo, da una parte, rimarca il fatto che la conoscenza dei beni culturali non si può mai considerare definitiva, in quanto viene rinnovata da ogni generazione, assumendo nuovi significati a seconda degli approcci con i quali ad essi ci si accosta; dall'altra tale locuzione sottintende che la conoscenza, per aderire alla complessità degli oggetti su cui viene applicata, richiede di essere adeguatamente strutturata ed articolata. L'espressione processo conservativo evidenzia che la conservazione del patrimonio culturale non può consistere in azioni puntuali, effettuate una tantum senza alcuna programmazione: ciò è evidente soprattutto per le testimonianze architettoniche, esposte agli agenti atmosferici e sottoposte a fruizioni più usuranti. Il bagaglio di studi ed esperienze maturate sul campo ha dimostrato che, per essere davvero efficace, la conservazione deve possedere almeno due caratteristiche. La prima è che gli interventi devono tenere nel giusto conto i requisiti della durabilità e della affidabilità, già a partire dalla prima definizione delle scelte progettuali. La seconda è che, a lavori di restauro ultimati, le testimonianze del passato non devono essere abbandonate a sé stesse, come se avessimo saldato il debito morale della loro trasmissione alle generazioni future; al contrario, è indispensabile attivare continui ed accurati interventi manutentivi, in un quadro di efficiente gestione. In entrambi i casi, la visione processuale evidenzia l'opportunità di applicare alla conoscenza e alla conservazione del patrimonio architettonico in terra cruda una sequenza organizzata di fasi operative, dalle indagini preliminari, alla programmazione, alla progettazione articolata su più livelli di approfondimento, all'esecuzione, all'esercizio. In tal senso, tali nozioni trovano riscontro nel nuovo assetto legislativo riguardante le opere pubbliche e gli interventi sui beni culturali: la L. n. 109/1994 (Merloni) e successive modifiche ed integrazioni; il relativo Regolamento attuativo (D.P.R. n. 554/1999) ed in particolare il Titolo XIII segnatamente rivolto agli interventi sui beni culturali; il D. leg. n. 490/1999 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali). Ultimata l’attuale fase, relativa allo stato dell’arte, la strategia di ricerca prevede il rafforzamento della base conoscitiva del Patrimonio Architettonico siciliano che documenta l’uso di terra cruda, attraverso la raccolta strutturata di informazioni come: localizzazione; contesto geografico e antropico di riferimento; epoca; tipologia; materiale costruttivo; procedimenti e tecniche costruttive; riferimenti bibliografici; documentazione grafica e fotografica; esiti di eventuali prove in situ o in laboratorio già effettuate; prove da svolgere nell'ambito dell'attuale ricerca; documentazione su interventi conservativi già effettuati. Inoltre, affinché la conoscenza possa fornire un valido ausilio ai processi decisionali riguardanti la conservazione delle architetture in terra, essa dovrà essere integrata dai dati sulle condizioni di rischio che riguardano ogni testimonianza analizzata. Pertanto, si farà riferimento alla "Carta del rischio" redatta dall'Istituto centrale del Restauro, in cui vengono considerate due categorie di rischio: la "vulnerabilità individuale", cioè la suscettibilità al degrado derivante da condizioni intrinseche del manufatto architettonico storico (materiali e sistemi costruttivi originari; anamnesi delle trasformazioni e dei danni subìti), e la "pericolosità territoriale", i cui fattori sono suddivisi in rischio statico-strutturale; (derivante da eventi come sismi, inondazioni, frane, eruzioni vulcaniche), rischio ambientale-aria (clima ed inquinamento atmosferico) e rischio antropico (processi demografici, flussi turistici, furti e vandalismi). A simili forme di rischio occorre aggiungere anche per le architettura in terra il rischio tecnico, che in campo edilizio è stato definito come insieme di condizioni, riconducibili alle diverse fasi del processo, che possono impedire in tutto o in parte risultati soddisfacenti e che deriva dagli interventi che il patrimonio architettonico subisce a fini conservativi [S. Mecca, M. Masera, 2002, Il rischio nel progetto di costruzioni, ETS, Pisa].

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MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PRIN (PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE) 2005 PROGETTO DI RICERCA - prot. 2005089375 - 004 Rapporto Unità IV – 16/17 maggio 2006 La base conoscitiva sull'architettura in terra cruda non va considerata soltanto un elemento di valore documentario, ma anche una guida agli interventi futuri sul Patrimonio e in particolare quelli più comunemente prevedibili come quelli di manutenzione. Infatti, per programmare in termini concreti le operazioni manutentive, oltre a seguire alcuni criteri generali, occorre disporre di informazioni analitiche che dipendono dalle particolari caratteristiche di ogni singola testimonianza. Infatti sono rilevanti dati su: principali patologie o degradi innescati dal mancato intervento; modalità operative con riguardo a procedure, materiali, attrezzature ed utensili; durata e frequenza delle azioni manutentive; competenze progettuali e di direzione lavori; competenze esecutive; costi d'intervento. Un simile orientamento rispecchia le acquisizioni dei più recenti contributi sulla manutenzione edilizia, finalizzati ad affinare gli aspetti metodologici e processuali di tale attività, indicata come sistema di operazioni da programmare, al fine della migliore durata ed efficienza dei manufatti, piuttosto che insieme di attività improvvisate e scoordinate. Nel 1995 la Dichiarazione di Segesta, tra le misure di salvaguardia del patrimonio architettonico antico, citava la documentazione precisa e conseguente archiviazione degli interventi effettuati nell'ambito della manutenzione e del restauro. In effetti, senza tale documentazione, la programmazione degli interventi manutentivi rimane senza possibilità di attuazione, in termini completi. Quindi il nodo centrale rimane la predisposizione di un Sistema di Knowledge Management, un "Sistema Informativo" che raccolga informazioni, di ambito sia tecnologico che gestionale, e che sia specificatamente rivolto a questa particolare forma di manutenzione, senza la quale non vi è patrimonio che possa essere degnamente trasmesso ai posteri. Le ricadute concrete di questo lavoro , infine, devono essere ricondotte a recenti provvedimenti legislativi, che possono costituire uno strumento concreto per la conoscenza e la conservazione del Patrimonio Architettonico in terra cruda. Ci si riferisce, oltre che alla Carta ICOMOS del patrimonio costruito di architettura vernacolare del 1999: al dibattito che si è sviluppato sul tema di una normativa nazionale [M. Achenza, 2004, Terra 2002, Atti convegno Una normativa sulla terra cruda, Edicom, Monfalcone]; al disegno di legge nazionale “Provvedimenti per le costruzioni in terra cruda” (testo unificato proposte di legge C. 4019 Cossa e C. 2347 Lion); alla legge n. 378/2003 “Individuazione delle diverse tipologie di architettura rurale presenti sul territorio nazionale e definizione dei criteri tecnico-scientifici per la realizzazione degli interventi”. Palermo, 14 maggio 2006

Prof. Arch. Maria Luisa Germanà

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