il significato del fumo nelle relazioni interpersonali

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CONVEGNO Le nuove disposizioni normative in materia di tutela della salute negli ambienti indoor. La problematica del fumo negli ambienti di lavoro. Roma, 13 marzo 2002 Relazione Il significato del fumo nelle relazioni interpersonali Angelo R. Pennella (*) Quando mi è stata comunicata l’ora in cui avrei dovuto tenere il mio intervento, ho pensato alla stanchezza che inevitabilmente si accumula in incontri densi di argomenti come quello a cui stiamo partecipando oggi. Ho quindi ritenuto opportuno cercare di alleggerire la mia relazione utilizzando delle piccole digressioni. La prima è una antica storia Sufi che ascoltai molti anni fa e che desidero raccontarvi, sia pure con una consistente “licenza poetica” che spero possa renderla più pertinente al discorso che intendo affrontare. In un paese di ciechi arriva una "grande cosa". Tutti vogliono toccarla per capire cos’è e quindi le si avvicinano. Il primo cieco ne tocca una parte e si rende conto che è un grosso cilindro che parte da terra e che dà la sensazione di qualcosa di rugoso e robusto, dice quindi:"è il tronco di un grande albero!". Un secondo cieco tocca un’altra parte di questa grande cosa e si rende conto che è molto ampia e flessibile, gli ricorda una grande foglia e dice: "è un enorme ventaglio per alleviarci dal caldo!". Un terzo cieco, che si era avvicinato alla cosa da un’altra direzione, tocca una sorta di tubo flessibile con dei fori nella parte finale e dice: "è un grosso tubo per inaffiare i giardini durante l’estate!" Un bambino che guarda la scena da un pò di distanza e che, fortunatamente per lui, è solo orbo dice: “Ma che dite! Se lo poteste vedere o toccare per intero vedreste che è un’unica cosa, è un grande animale". In effetti si trattava di un elefante. (*) Psicologo, psicoterapeuta, professore a contratto presso la Facoltà di Psicologia 1 dell’Università “La Sapienza” di Roma, Docente di Teoria e Tecnica del Colloquio Clinico presso la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica e Psicoterapia Psicoanalitica SIRPIDI di Roma.

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[...] Il fumo può essere affrontato [...] partendo da tre prospettive diverse che potremmo definire: 1) individualistica, 2) relazionale, 3) contestuale...

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CONVEGNO Le nuove disposizioni normative in materia di tutela

della salute negli ambienti indoor. La problematica del fumo negli ambienti di lavoro.

Roma, 13 marzo 2002

Relazione

Il significato del fumo nelle relazioni interpersonali

Angelo R. Pennella (*)

Quando mi è stata comunicata l’ora in cui avrei dovuto tenere il mio intervento, ho pensato

alla stanchezza che inevitabilmente si accumula in incontri densi di argomenti come quello a

cui stiamo partecipando oggi. Ho quindi ritenuto opportuno cercare di alleggerire la mia

relazione utilizzando delle piccole digressioni.

La prima è una antica storia Sufi che ascoltai molti anni fa e che desidero raccontarvi, sia

pure con una consistente “licenza poetica” che spero possa renderla più pertinente al

discorso che intendo affrontare. In un paese di ciechi arriva una "grande cosa". Tutti

vogliono toccarla per capire cos’è e quindi le si avvicinano. Il primo cieco ne tocca una parte

e si rende conto che è un grosso cilindro che parte da terra e che dà la sensazione di

qualcosa di rugoso e robusto, dice quindi:"è il tronco di un grande albero!". Un secondo

cieco tocca un’altra parte di questa grande cosa e si rende conto che è molto ampia e

flessibile, gli ricorda una grande foglia e dice: "è un enorme ventaglio per alleviarci dal

caldo!". Un terzo cieco, che si era avvicinato alla cosa da un’altra direzione, tocca una sorta

di tubo flessibile con dei fori nella parte finale e dice: "è un grosso tubo per inaffiare i

giardini durante l’estate!" Un bambino che guarda la scena da un pò di distanza e che,

fortunatamente per lui, è solo orbo dice: “Ma che dite! Se lo poteste vedere o toccare per

intero vedreste che è un’unica cosa, è un grande animale". In effetti si trattava di un

elefante.

(*) Psicologo, psicoterapeuta, professore a contratto presso la Facoltà di Psicologia 1 dell’Università “La Sapienza” di Roma, Docente di Teoria e Tecnica del Colloquio Clinico presso la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica e Psicoterapia Psicoanalitica SIRPIDI di Roma.

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Angelo R. Pennella

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Penso sia evidente a tutti: la storia sottolinea l’importanza della prospettiva che si utilizza per

conoscere gli oggetti o gli eventi a cui si assiste. In realtà, tutti e tre i ciechi avevano

descritto abbastanza bene la gamba, l’orecchio e la proboscide di un elefante, il loro errore

fu semmai quello di cercare d’immaginare l’animale tenendo conto solo di ciò che avevano

sentito ciascuno con il proprio tatto. La morale, se di morale vogliamo parlare, riguarda la

necessità di integrare le prospettive e collocarsi alla giusta distanza per avere una visione

d’insieme delle cose.

Quando ci si confronta con il tema del fumo, ci si trova in una situazione molto simile a

quella in cui si trovarono i nostri tre ciechi. Il fumo, infatti, può essere affrontato – e di fatto

lo è – partendo da tre prospettive diverse che potremmo definire: 1) individualistica; 2)

relazionale; 3) contestuale.

La prima è certamente quella più frequentata. In quest’ottica, il discorso si focalizza sulle

implicazioni e sul significato che il fumo e l’atto del fumare possono avere per il singolo

individuo.

La medicina, ad esempio, ha studiato con attenzione le patologie connesse al fumo di

tabacco ed ha individuato i nessi esistenti tra questo ed una ventina di malattie di tipo

oncologico, cardiovascolare e respiratorio. Si focalizza cioè la questione sulla salute del

singolo, rilevando, ad esempio, che il rischio di mortalità per cardiopatia coronarica in uomini

di età compresa fra 35 e 57 anni, a parità di età, pressione arteriosa e colesterolemia,

aumenta con l’aumentare del numero di sigarette fumate al giorno.

Si inscrive nella prospettiva individualistica anche l’inquadramento del fumo effettuato

dall’OMS: nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10), si considera infatti il

tabacco come una delle possibili cause, accanto all’alcool e agli oppioidi, delle cosiddette

sindromi di disturbi psichici e comportamentali connessi all’uso di sostanze psicoattive.

La prospettiva individualistica è diffusa anche in psicologia: in questo ambito si sottolineano,

infatti, le abitudini del singolo ed il suo rapporto con il fumo. Si parla della dipendenza,

psicologica appunto, che si instaura con la sigaretta e dei i rituali che si creano quando si

fuma. Per fare un esempio letterario, possiamo ricordare il legame tra Sherlock Holmes e la

sua pipa. Ne “La lega dei capelli rossi” il famoso investigatore disse all’amico Watson: “si

tratta di un problema che chiede non meno di tre pipate e la prego di non rivolgermi la

parola per cinquanta minuti”. Per Holmes il fumo è quindi a mezza strada tra il piacere in sé

e la possibilità di rilassarsi per concentrarsi sulle cose.

Per chiarire la prospettiva individualistica, possiamo pensare ai discorsi che si fanno a

proposito della motivazione. Si afferma che molti fumatori rimangono spesso in bilico tra la

sospensione e la prosecuzione del fumo proprio perché hanno una motivazione incerta. Li si

descrive come persone che, da un lato esprimono il desiderio di smettere di fumare e

dall’altro manifestano una motivazione fluttuante in funzione del momento e della situazione

in cui si trovano (Barbano, Latini, Nardini, 2000). Il problema è collocato, circoscritto al

singolo che non riesce a rivolvere, a scardinare la sua dipendenza dal fumo di tabacco.

Quando ci si colloca in questa prospettiva, si accetta l’ambivalenza e si lavora sul rinforzo

delle motivazioni al cambiamento. Le riflessioni e gli interventi si focalizzano quindi

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inevitabilmente sul tentativo di modificare le opinioni, gli atteggiamenti ed i comportamenti

individuali.

Pensate alle campagne d’informazione attuate in questi anni sui rischi connessi al fumo, un

esempio tra i tanti è quella sull’Informazione e l’educazione sanitaria attuata nelle scuole nel

2000-2001 (Paladini, 2000). Sebbene lo scopo sia quello di promuovere una maggiore

sensibilità dei cittadini sul tema, a ben guardare si tratta però sempre di iniziative che fanno

leva sugli atteggiamenti e sui comportamenti del singolo individuo.

La logica sottesa a questi interventi è quindi quella stessa che possiamo rintracciare negli

interventi di consueling, dei gruppi di auto-aiuto, delle psicoterapie in cui si può giungere a

fornire al fumatore che vuole smettere di fumare anche brevi istruzioni riassumibili, ad

esempio, nell’acrostico RIDE: RITARDARE l’accensione della sigaretta ad un momento

successivo a quello in cui lo si farebbe automaticamente; INVOLARSI dalle situazioni in cui –

ad esempio per la presenza di molti fumatori – si potrebbe essere portati a fumare;

DISTRARSI dal pensiero del fumo con immagini legate a situazioni piacevoli diverse;

EVITARE i luoghi in cui è elevata la frequenza di fumatori (Nardini, Casalini, Marino, Donner,

Richmond, 1998; Barbano, Latini, Nardini, 2000).

La debolezza di questa prospettiva, specie quando si cercava di far leva esclusivamente sugli

aspetti razionali, è però emersa con evidenza nel corso degli anni: dare informazioni sui

danni che il fumo può arrecare alla salute, evidenziare i costi economici di tale abitudine o

incrementare i divieti presenti in molti ambienti pubblici sembrano infatti avere un impatto

piuttosto limitato.

A scopo puramente esemplificativo, basterà ricordare che nei paesi anglosassoni, durante gli

anni ’90, quando erano ormai note una serie di ricerche sui danni provocati dal fumo, si

osservò un incremento nella percentuale di donne fumatrici. Oppure, ancora possiamo

notare che nel 1995, la prevalenza maggiore nel gruppo delle fumatrici (che

rappresentavano il 17,1% del totale dei fumatori italiani) era costituito da donne in una

fascia di età compresa tra i 35 ed i 44 anni e con residenza al Centro Nord: cioè proprio nelle

fasce sociali da cui ci si poteva attendere invece una maggiore sensibilizzazione al tema.

Questo dato sembrerebbe coerente con l’osservazione secondo cui in Italia lo stato di

fumatore si accompagna più spesso che in altri paesi a livelli sociali medi e medio-alti, anche

da un punto di vista culturale.

Si potrebbe osservare che la debolezza a cui facevo riferimento dipende dalla eccessiva

sottolineatura degli aspetti razionali. Il problema non risiederebbe cioè nel fatto di affrontare

il tema del fumo dal vertice individuale, ma nel fatto che si devono prendere in

considerazione anche le connessioni tra il fumo ed il mondo emozionale dell’individuo: l’atto

del fumare suscita, infatti, sensazioni, emozioni e sentimenti di tale rilievo da renderlo un

comportamento significativo per la persona, che non si può quindi pensare di ridurre o

annullare con delle semplici informazioni.

A questo proposito è interessante ricordare che circa il 42% degli utenti che hanno fruito

delle attività del telefono verde contro il fumo, servizio nato all’interno dell’Osservatorio

Fumo, Alcol e Droga dell’Istituto Superiore di Sanità, hanno dichiarato più tentativi volti a

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smettere di fumare, tentativi falliti forse perché la decisione era troppo cognitiva e non si

ancorava sufficientemente alla dimensione emozionale.

Ecco quindi emergere il tema delle emozioni che possono essere correlate al fumo: spesso i

fumatori riferiscono, infatti, che fumare è un modo per controllare ed alleviare spiacevoli stati

dell’umore e che la sigaretta li aiuta a sentirsi meno tesi ed irritati. Il fumo calma, quindi, i

nervi e riduce spesso lo stress che si accumula in ambito lavorativo, ma è anche un modo

per mantenere elevata la vigilanza necessaria quando si lavora fino a tardi o in situazioni in

cui si deve produrre o decidere rapidamente. La sigaretta si configura dunque come sorta di

valvola di sfogo, attraverso cui “bruciare” le emozioni spiacevoli, e come un mezzo per

indurne altre piacevoli o funzionali alla propria attività.

In un’esperienza organizzata nel 1999 dalla Società Italiana di Psico-Oncologia, che ha

coinvolto un gruppo di operatori di alcune strutture sanitarie lombarde (ad es. l’Istituto

Tumori di Milano e la clinica “S. Anna” di Brescia), è emerso con evidenza proprio l’uso del

fumo come mezzo per affrontare le caratteristiche pù faticose del proprio lavoro. Il forte

impatto emotivo suscitato dalle patologie, spesso gravissime, dei pazienti suscita infatti un

senso di impotenza, inadeguatezza che si ha la necessità di scaricare anche attraverso

semplici rituali, apparentementi distanti ma simbolicamente significativi come quello del

fumo.

Questo richiamo alla ricerca della SIPO ci introduce però alla seconda prospettiva a cui

abbiamo fatto riferimento in apertura: quella relazionale.

Il fumo può essere considerato, infatti, anche un mediatore interpersonale. Un esempio

evidente di questo ci viene dal mondo giovanile. Se guardiamo, ad esempio, la fascia d’età in

cui compare l’abitudine al fumo possiamo rilevare che la media si colloca tra i 14 ed i 18

anni. Per quale motivo? Cosa accade in questa fascia d’età?

Anche senza approfondire la questione, mi sembra piuttosto scontato associare l’avvio

dell’abitudine al fumo con le caratteristiche del periodo adolescenziale, in cui si rafforza

l’importanza del gruppo dei coetanei rispetto a quello familiare.

L’iniziazione alle sigarette è fortemente influenzata, sia nelle ragazze che nei ragazzi, da una

serie di pressioni di tipo sociale ed ambientale, su cui si innestano i bisogni psicologici tipici di

questa età. La prima sigaretta viene dunque consumata frequentemente con gli amici per

accreditare, all’interno del proprio gruppo di riferimento, un’immagine di maturità e per

rinforzare il senso di integrazione tra sé e gli altri. L’atto del fumare assume cioè una forte

valenza relazionale, in quanto aiuta a stabilire, mantenere e consolidare le amicizie. Nello

stesso tempo consente di accedere, anche se solo simbolicamente, a quel mondo adulto a

cui è invece difficile appartenere sul piano di realtà (basti pensare ai lunghi tempi di attesa

necessari per ottenere un lavoro).

Alcuni di questi aspetti, molto evidenti nelle interazioni giovanili, sono presenti anche nei

gruppi di lavoro delle organizzazioni produttive. Tutti noi conosciamo, ad esempio,

l’importanza relazionale di una serie di momenti informali, come la pausa caffè o quella per il

pranzo. Si tratta di momenti in cui l’attivazione del rito consente di condividere non solo la

concreta consumazione di un alimento, ma anche una serie di esperienze ed emozioni. Il

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pranzo, il caffé ma anche la sigaretta diventano, in questa prospettiva, un importante

momento di socializzazione.

Non a caso, alcuni fumatori segnalano, tra i motivi sottesi alla loro abitudine, non solo il fatto

che il fumo allevia la noia o lo stress (molto spesso lavorativo), ma anche il fatto che il fumo

è un’occasione e un aiuto alle proprie relazioni sociali.

A ben guardare, anche il concetto di dipendenza, così importante nella prospettiva

individualistica, perché segnala la difficoltà dell’individuo ad astenersi dall’uso di una

determinata sostanza anche quando si è coscienti della sua pericolosità, ha senso solo se lo

si considera come la risultante dell’interazione fra persona, sostanza (nel nostro caso la

nicotina) e situazione relazionale in cui essa si sviluppa.

Ritornando per un attimo alla ricerca della Società Italiana di Psico-Oncologia che citavo

prima, appaiono illuminanti alcune delle affermazioni fatte dai fumatori coinvolti in quella

esperienza: “…vado in automatico, mi telefonano, devo trovare un sostituto, il turno è

scoperto, le infermiere protestano, gli ausiliari protestano, le caposala protestano: accendo la

sigaretta…”; “…non sopportavo il fumo, accendevo la sigaretta solo per sentirmi bene con i

miei amici, ma da quando lavoro in oncologia medica il vedere certe situazioni mi ha spinto a

fumare ancora di più…” (Murru, Mazza, 2000).

Siamo quindi giunti a rilevare che il fumo non è un fenomeno circoscrivibile esclusivamente

all’ambito individuale, ma è un qualcosa che si radica nelle dinamiche relazionali in cui la

persona è inserita. In qualche modo, l’atto del fumare consente di aggregare e differenziare

le persone (basti pensare alle due grandi categorie fumatori/non fumatori), di “agire” le

emozioni e le tensioni che si sviluppano all’interno delle relazioni lavorative, di fungere da

mediatore interpersonale.

Tale constatazione ci conduce al terzo punto di vista che avevo segnalato all’inizio del mio

intervento: la prospettiva contestuale. Vi avevo promesso però due piccole digressioni e mi

sembra giunto il momento di proporvi la seconda: si tratta di una storiella.

Un signore si trova in casa un giovane pinguino, lo prende in braccio, scende in strada e chiede ad un vigile: «Ho trovato questo pinguino: cosa devo fare?» Il vigile risponde: «Lo porti allo zoo». Il giorno dopo, il vigile vede ricomparire il signore con il pinguino in braccio e gli chiede: «Ma cosa fa ancora con quel pinguino?» Sorridendo felice, il signore risponde:

«Ieri l’ho portato allo zoo, oggi lo porto al cinema».

Anche se è discutibile scomporre una barzelletta per individuarne il meccanismo umoristico,

può essere utile per il nostro discorso chiederci cosa, nella situazione descritta, ci ha fatto

sorridere. Penso che alla base vi sia la differenza con cui il signore ed il vigile rappresentano

lo zoo ed il pinguino. Il primo, ritiene infatti che il giardino zoologico sia un luogo di

divertimento ed il pinguino un cucciolo da intrattenere; il secondo pensa invece allo zoo

come ad un luogo in cui gli animali vivono in cattività ed in cui il pinguino può o dovrebbe

essere rinchiuso.

E’ l’incongruenza tra queste due rappresentazioni che genera il paradosso nella situazione ed

il sorriso nell’ascoltatore. Ma cosa c’entra tutto questo con il fumo? Ritengo che possiamo

utilizzare barzelletta, sia pure come metafora, per parlare di alcuni fenomeni in atto nella

nostra cultura e che interessano il tema del fumo.

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Iniziamo con il dire che il fumo di tabacco non è svincolato dai più vasti processi di

innovazione tecnologica e di trasformazione sociale. Basti ricordare, come esempio dei primi,

sia la tecnica di arrotolamento delle foglie e l’uso della carta all’esterno del cilindro di

tabacco, messa a punto dagli egiziani nel 1832, sia l’invenzione della macchina per la

produzione delle sigarette nel 1881.

Il significato e le valenze del fumo si modificano però anche in funzione dei costumi e dei

modelli sociali. Se guardiamo al consumo di sigarette nel sesso femminile, possiamo infatti

notare che ai primi del ‘900 le donne iniziarono a fumare per assecondare un modello

maschile, ma anche per evidenziare la loro sostanziale parità con il sesso forte. La sigaretta

poteva quindi rappresentare la rivendicazione di un diritto all’uguaglianza sociale e politica.

L’immagine del fumo di tabacco, spesso veicolata dalle comunicazioni pubblicitarie, ha

sempre associato la sigaretta all’idea di giovinezza, salute e prestanza fisica, ma anche

all’idea della natura e degli spazi aperti, che evocano a loro volta un senso di libertà e di

autonomia personale. Si propone la sigaretta, in altre parole, come un elemento espressivo

di competenza, indipendenza, realizzazione sociale, ma anche sensualità e seduttività

(Barbano, Enzo, Nardini, 2000; Casali, 2000).

Non è un caso che il consumo di sigarette sia in crescita in Asia ed in molti paesi in via di

sviluppo, dove è molto forte il desiderio di realizzarsi da un punto di vista personale e

professionale. Se ci soffermiamo ancora una volta sulle donne, possiamo facilmente

constatare che in quei Paesi la rappresentazione della sigaretta è fortemente associata ad

un’immagine di donna fisicamente snella, psicologicamente attraente e socialmente libera. In

questo tipo di rappresentazione, il fumo di tabacco assume cioè valenze molto positive, dal

punto di vista sociale, relazionale e psicologico.

Guardiamo ora la rappresentazione del fumo che emerge dagli studi scientifici e dalle recenti

normative in merito: la connotazione si capovolge immediatamente. Si parla, infatti, di

“epidemia da fumo”, si evidenziano i danni alla salute prodotti – sia a livello individuale che

collettivo – dal fumo di tabacco, si sottolinea – a volte in modo anche esageratamente

svalutativo – la dipendenza e l’assuefazione alla nicotina del fumatore: in sostanza si cerca di

limitare e censurare questo tipo di comportamento.

Non a caso, la legislazione italiana in tema di tabagismo può essere considerata tra le più

avanzate e complete tra quelle dei Paesi occidentali ed è stata la prima ad aver previsto il

divieto di pubblicizzazione dei prodotti di tabacco (ad onor del vero, la disposizione n° 165

del 1962 fu in seguito abrogata per essere approvata definitivamente solo nel 1983).

Appaiono perfettamente congruenti con questa rappresentazione del fumo anche gli obiettivi

del Piano Sanitario Nazionale per il triennio 1998-2000, che si proponevano la riduzione della

prevalenza di fumatori, della quantità quotidiana di sigarette fumate ma anche della

frequenza delle donne che fumano durante la gravidanza.

A prescindere dai risultati ottenuti, per alcuni aspetti piuttosto scarsi, l’aspetto più rilevante

di questo risiede nel fatto di evidenziare un modo di percepire e considerare il fumo

diametralmente opposto al primo. Così come il signore ed il vigile della nostra barzelletta

proponevano due diverse rappresentazioni dello zoo e del pinguino, in modo analogo il

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fumatore ed il non fumatore propongono rappresentazioni diverse per il fumo, la prima

facilmente condensabile nelle parole di Oscar Wilde, per il quale il fumo era “la perfezione di

un piacere perfetto”, la seconda sintetizzabile nelle frasi stampate sui pacchetti: il fumo

nuoce gravemente alla salute.

Un passaggio importante del processo socio-culturale che ha condotto all’attuale

contrapposizione, può essere identificato nell’emergere del concetto di fumo passivo (con cui

si indica il “respirare in presenza di fumo di tabacco veicolato nell’aria”). Negli anni ’60

l’attenzione dei ricercatori si concentrò, infatti, esclusivamente sui danni provocati alla salute

di chi fuma, e solo negli anni ’70 si iniziò a riflettere sulle possibili implicazioni di un fumo

indiretto. Le prime osservazioni e ricerche si focalizzarono sui bambini e gli adolescenti per

passare – ma siamo, ormai, agli anni ’80 – agli adulti.

Il concetto di fumo passivo o fumo involontario ha indotto una maggiore attenzione nei

confronti della questione – trasformandola in un “problema” ambientale – ed ha promosso

movimenti di opinione pubblica che hanno avuto come effetto l’esplicitazione di una serie di

restrizioni ai fumatori specialmente per quanto riguarda uffici ed enti pubblici, locali in cui è

previsto l’accesso del pubblico, alcuni mezzi trasporto (si pensi ai voli nazionali), ecc.

Ma per quale motivo i discorsi sul fumo passivo possono essere considerati un momento

importante nel cambiamento delle rappresentazioni sociali a proposito del fumo?

Sostanzialmente perché il concetto di fumo passivo ha trasformato questa abitudine da

un’attività squisitamente individuale, che al più poteva essere considerata fastidiosa per i non

fumatori, ad un’attività che incide sulla sicurezza, l’autonomia e la libertà delle persone. In

qualche modo, il fumo passivo ha rinforzato e reso evidente la frattura che si era

gradualmente strutturata tra le due grandi categorie con cui si è iniziato a differenziare il

mondo: i fumatori ed i non fumatori.

A questo punto è però necessario dare una qualche sostanza al discorso o, meglio, al

concetto di rappresentazione sociale che sto utilizzando. Si potrebbe infatti pensare che la

rappresentazione si trovi esclusivamente nella testa delle persone e che, conseguentemente,

non sia altro che una sommatoria di ciò che le persone percepiscono, vivono, pensano. Di

fatto la situazione è un po’ più complicata. Le rappresentazioni sociali non sono solo una

serie di concetti, affermazioni, spiegazioni che nascono nelle interazioni quotidiane, ma

esprimono anche il modo con cui noi acquisiamo le nostre conoscenze. In altre parole, non si

limitano ad essere solo una serie di “opinioni su…” qualcosa o “immagini di…” qualcosa, ma

si configurano come sistemi di valore attraverso i quali costruiamo ed interpretiamo la nostra

realtà sociale (Grasso, Salvatore, 1997).

Le rappresentazioni sociali possono essere quindi considerate come un tessuto di significati,

spesso dati per scontati e ritenuti condivisi e condivisibili da tutti, su cui si innestano le

relazioni sociali in cui siamo coinvolti: in questo senso possiamo parlare di una comune

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simbolizzazione affettiva su cui si sviluppa un processo collusivo (*) che normalmente non

viene messo in discussione ma a cui tutti fanno riferimento.

Torniamo quindi al fumo e alla contrapposizione delle rappresentazioni sociali a cui abbiamo

in qualche modo fatto cenno. Il fatto che lo stesso oggetto – il fumo di tabacco – possa

essere percepito, valutato ma anche – ed è questo un aspetto fondamentale – vissuto in

modo diametralmente opposto, non può che segnalare il crollo di una collusione.

Se nella barzelletta del pinguino, la presenza di due rappresentazioni sociali o, per meglio

dire, l’emergere di una frattura nella simbolizzazione affettiva relativa all’idea di zoo ha avuto

come esito quell’emozione che definiamo “divertimento”, nel caso del fumo la rottura del

processo collusivo costruito intorno e sulla sigaretta attiva invece emozioni forti e

potenzialmente dirompenti. L’altro è percepito, infatti, come un prevaricatore, un insensibile,

un egoista: in una parola, si configura come un “nemico”.

Ecco quindi spiegata la tendenza a ridurre il problema del fumo negli ambienti pubblici e

lavorativi alla contrapposizione tra ciò che si deve o non si deve fare, al controllo e alla

censura dei comportamenti inadeguati. Tale tendenza, spesso, non fa che attivare una

dinamica relazionale in cui si contrappongono in modo aggressivo le due rappresentazioni del

fumatore e del non fumatore e senza un processo di negoziazione.

In questo contesto, le relazioni interpersonali (specialmente in ambito lavorativo) vengono a

strutturarsi come una sorta di agiti emozionali, in cui ciascuno sente di combattere per la

propria libertà, in una lotta che sembra prevedere per tutti solo due possibilità: l’esclusione

dell’altro dalla relazione/contesto o la sua assimilazione alla propria categoria di

appartenenza.

Concludo questo intervento nella consapevolezza di essermi limitato a delineare solo alcuni

degli aspetti che caratterizzano il fenomeno del fumo in un’ottica psicologica, convinto di

aver sollevato forse più dubbi di quanti non sia riuscito a dirimerne. Spero, tuttavia, di avervi

offerto una prospettiva diversa rispetto a questa complessa problematica, troppo spesso

circoscritta ed esaurita in discorsi di tipo sanitario o individualistici. D’altra parte, prendendo

a prestito le parole di Confucio, “è sempre meglio accendere un piccolo lume piuttosto che

brontolare contro l’oscurità”.

(*) Possiamo intendere per collusione “la condivisione inconsapevole delle simbolizzazioni affettive evocate dal contesto comune da parte delle differenti componenti che condividono il contesto stesso.” (Carli, 1995, pag. 158).