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© Copyright DayOne - The Business Design Company, 2011 1 IL VOLO DELL'AQUILA: Innovare con il Business Design di Alberto Balestrazzi (*) e Elena Toffetti (*) L’unica cosa che sappiamo è che domani sarà diverso (Peter Drucker) Negli ultimi anni una serie di grandi cambiamenti hanno modificato radicalmente le aziende, le organizzazioni ed i mercati. Fenomeni quali la globalizzazione, strumenti organizzativi come l'outsourcing, una serie di profonde innovazioni tecnologiche e, purtroppo non da ultimo, la crisi finanziaria, stanno ridisegnando lo scenario economico mondiale e più in generale stanno trasformando il nostro modo di vivere, di pensare e di agire. Un mondo più aperto, competitivo e trasparente ci costringe a ripensare al modo in cui fare business, in cui organizzarci e soprattutto a chiederci quale vogliamo che sia il nostro futuro; se è vero che conoscenza, flessibilità ed innovazione sono le armi vincenti, come pensiamo di svilupparle all'interno delle nostre aziende ? Nel libro "Messaggio per un'aquila che si credeva un pollo" il gesuita indiano Anthony De Mello racconta: "Un uovo d'aquila, messo nel nido di una chioccia si schiuse e l'aquila, cresciuta insieme ai pulcini, per tutta la vita fece quel che facevano i polli nel cortile. Un giorno vide sopra di lei un magnifico uccello: «Chi è quello?», chiese al vicino. «È l'aquila, la regina degli uccelli, ma non ci pensare. Tu ed io siamo diversi da lei». Così l'aquila non ci pensò e morì pensando di essere una gallina" Molte aziende si trovano nella stessa situazione, abituate da anni a pianificare, a progettare, a produrre, a vendere sempre nello stesso modo, cieche o quantomeno incapaci di agire rispetto alle nuove dinamiche di mercato e quindi destinate ad un progressivo - oggi sempre più probabile e rapido - declino. Le ragioni di questa incapacità di emergere, di "rompere il guscio" sono molteplici e sicuramente per ogni azienda possiamo trovare ragioni culturali, ambientali o storiche differenti; ma se ci astraiamo dal particolare della singola realtà aziendale, dobbiamo riconoscere che in generale gli strumenti manageriali che oggi utilizziamo, focalizzati sui problemi di efficienza, non sono sufficienti ad affrontare il necessario salto di livello - da gallina ad aquila - che le aziende che vogliono continuare a competere devono compiere. Si noti che abbiamo detto che gli strumenti attuali "non sono sufficienti" e non "inadeguati", come spesso invece sentiamo ripetere; ciò significa salvaguardare in pieno gli strumenti che la scienza (o l'arte ?) del management hanno prodotto negli ultimi anni, ma affiancare a questi nuovi strumenti, nuovi approcci e più in generale un nuovo modo di pensare. * Partner, DayOne

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IL VOLO DELL'AQUILA: Innovare con il Business Design di Alberto Balestrazzi (*) e Elena Toffetti (*)

L’unica cosa che sappiamo è che domani sarà diverso (Peter Drucker)

Negli ultimi anni una serie di grandi cambiamenti hanno modificato radicalmente le aziende, le organizzazioni ed i mercati. Fenomeni quali la globalizzazione, strumenti organizzativi come l'outsourcing, una serie di profonde innovazioni tecnologiche e, purtroppo non da ultimo, la crisi finanziaria, stanno ridisegnando lo scenario economico mondiale e più in generale stanno trasformando il nostro modo di vivere, di pensare e di agire. Un mondo più aperto, competitivo e trasparente ci costringe a ripensare al modo in cui fare business, in cui organizzarci e soprattutto a chiederci quale vogliamo che sia il nostro futuro; se è vero che conoscenza, flessibilità ed innovazione sono le armi vincenti, come pensiamo di svilupparle all'interno delle nostre aziende ? Nel libro "Messaggio per un'aquila che si credeva un pollo" il gesuita indiano Anthony De Mello racconta: "Un uovo d'aquila, messo nel nido di una chioccia si schiuse e l'aquila, cresciuta insieme ai pulcini, per tutta la vita fece quel che facevano i polli nel cortile. Un giorno vide sopra di lei un magnifico uccello: «Chi è quello?», chiese al vicino. «È l'aquila, la regina degli uccelli, ma non ci pensare. Tu ed io siamo diversi da lei». Così l'aquila non ci pensò e morì pensando di essere una gallina" Molte aziende si trovano nella stessa situazione, abituate da anni a pianificare, a progettare, a produrre, a vendere sempre nello stesso modo, cieche o quantomeno incapaci di agire rispetto alle nuove dinamiche di mercato e quindi destinate ad un progressivo - oggi sempre più probabile e rapido - declino. Le ragioni di questa incapacità di emergere, di "rompere il guscio" sono molteplici e sicuramente per ogni azienda possiamo trovare ragioni culturali, ambientali o storiche differenti; ma se ci astraiamo dal particolare della singola realtà aziendale, dobbiamo riconoscere che in generale gli strumenti manageriali che oggi utilizziamo, focalizzati sui problemi di efficienza, non sono sufficienti ad affrontare il necessario salto di livello - da gallina ad aquila - che le aziende che vogliono continuare a competere devono compiere. Si noti che abbiamo detto che gli strumenti attuali "non sono sufficienti" e non "inadeguati", come spesso invece sentiamo ripetere; ciò significa salvaguardare in pieno gli strumenti che la scienza (o l'arte ?) del management hanno prodotto negli ultimi anni, ma affiancare a questi nuovi strumenti, nuovi approcci e più in generale un nuovo modo di pensare.

                                                                                                               *  Partner, DayOne  

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Da questo tipo di considerazioni, nasce il concetto di business design, che approfondiremo in seguito. Per il momento, diciamo che il business design rappresenta il punto di incontro di due approcci strategici attualmente prevalenti:

o da una parte la scuola di pensiero rappresentata da alcune delle principali società di consulenza e da alcuni dei maggiori esperti di teorie del management contemporaneo che ritiene che sia necessario sostituire l'approccio basato su intuito imprenditoriale e istinto per gli affari con una strategia basata sul rigore analitico quantitativo. Questo modello utilizza il "pensiero analitico" per arrivare, attraverso un rigoroso e ripetitivo processo logico (deduttivo o induttivo a secondo dei casi), a prendere decisioni strategiche basate su fatti certi e veri;

o dall'altra la scuola di pensiero in un certo modo opposta e che ha rappresentato

una reazione all'approccio del management analitico, è imperniata sulla prevalenza della creatività dove si sostiene che la vera innovazione è il frutto dell'intuito e della capacità inventiva. Questo modello utilizza il "pensiero creativo" e il " pensiero laterale" per produrre soluzioni originali.

E' nostra convinzione che né la sola analisi né il solo intuito permettono di definire le strategie per una performance di business ottimale. L'obiettivo del business design è proprio quello di riconciliare il pensiero analitico e il pensiero creativo, raggiungendo un giusto bilanciamento fra rigore e originalità nel progettare il business.

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Non si può mai pianificare il futuro pensando al passato (Edmund Burke)

All'inizio del suo libro "The Design of Business", Roger Martin, rettore della Rotman Business School presso l'Università di Toronto, riporta la tabella di fig. 1 dove si distingue fra le due principali attività in cui un'azienda si deve impegnare: la prima è l'exploration, la ricerca di nuova conoscenza: la seconda, l'exploitation, cioè la massimizzazione del profitto che deriva dalla conoscenza. Entrambe queste attività possono creare un enorme valore per l'azienda ed entrambe sono critiche per il successo. Tuttavia - dice sempre il professor Martin - è difficile impegnarsi in entrambe contemporaneamente; quasi sempre le organizzazioni scelgono di concentrare i propri sforzi sull'una escludendo l'altra con conseguenze spesso disastrose. Ad esempio, è tipico delle start-up focalizzarsi solamente sull'exploration (l'invenzione del business), ma questo è anche uno dei motivi per i quali solo una start-up su dieci sopravvive. D'altra parte, se le aziende che dedicano tutte le proprie risorse alla sola exploitation (l'amministrazione del business) probabilmente vivono un po' più a lungo delle start-up, sono comunque destinate all'esaurimento o ad essere schiacciate dai costi necessari a continuare ad estrarre valore da un business diventato obsoleto. Solo un piccolo numero di aziende è capace di bilanciare le proprie risorse fra exploration e exploitation, reinventando continuamente se stesse pur continuando a generare valore attraverso una efficiente gestione del proprio patrimonio, tangibile ed intangibile. Ma qual è la ragione per cui molte aziende che sono state capaci di grandi innovazioni e sono state create da fondatori geniali (exploration) si ritrovano a non essere più capaci di ritrovare lo slancio iniziale e si trasformano in pesanti macchine amministrative ingessate da processi, regole e organizzazioni ? La ragione principale è da ricercarsi nel fatto che le organizzazioni - o più esplicitamente, le persone che costituiscono le organizzazioni - sono abituate (dovremmo dire "educate dalla nostra cultura manageriale") a ragionare in modo

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analitico: partiamo da una serie di elementi certi per trarne conseguenze certe. Ma questo tipo di approccio funziona nell'exploitation (per fare il budget del prossimo mese è sicuramente fondamentale basarsi sui risultati del mese precedente), mentre l'exploration richiede un modo di pensare creativo, fuori dagli schemi e non necessariamente logico (almeno nei termini della logica classica, quella aristotelica per intenderci). Tra l'altro - nota sempre Roger Martin - il concentrarsi sull'exploitation proprio per la sua caratteristica di essere basata su strumenti analitici e quindi "affidabili", evita ai decision maker la paura dell'ignoto, riduce il rischio di fallimento e l'incertezza della casualità. Per riprendere la nostra metafora, è più sicuro continuare a comportarsi da gallina anziché cercare di imparare a volare.

Sempre in tema di metafore ornitologiche, una serie di interessanti considerazioni sul tema della casualità degli eventi e sulla nostra difficoltà a predirli si trovano nel testo del filosofo ed ex-trader Nassim Nicholas Taleb, "The Black Swan", il Cigno Nero. Taleb parte dall'espressione Black Swan che storicamente veniva utilizzata nella lingua inglese

per indicare un evento impossibile (si potrebbe tradurre con l'"asino che vola"); l'esistenza di un cigno nero era considerata impossibile. Questa convinzione era basata sul fatto che tutti i cigni osservati erano bianchi: tuttavia, con la scoperta dell'Australia furono anche scoperti dei cigni neri ! Il problema, ci dice Taleb in una profonda ma piacevolissima dissertazione, è riconducibile al problema della logica induttiva che fa derivare regole generali da un certo numero di fatti osservati, senza considerare la possibilità che il numero dei fatti osservati non sia esauriente. Senza volerci addentrare nei dettagli delle teorie di Taleb, rimane il fatto che molti fenomeni sociali (dalle guerre ai best seller letterari) sono eventi che riusciamo a spiegare ex post mentre non abbiamo nessuno strumento che ci permetta di comprenderli ex-ante, rimanendo quindi "sorpresi" rispetto al verificarsi di eventi non previsti. L'innovazione segue esattamente la logica del cigno nero e tutte le teorie e gli strumenti analitici che utilizziamo quando cerchiamo di pianificare strategicamente il futuro della nostra azienda sono come uno specchietto retrovisore utilizzato per capire dove stiamo andando. Anche su questo ritorneremo più avanti: per il momento concentriamoci sui meccanismi dell'innovazione.

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La vera scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel vederli con nuovi occhi (Marcel Proust)

Ci sono ovviamente molti tipi di innovazione, ma per semplicità consideriamone solamente due: innovazione dell'offerta - ad esempio le nuove funzionalità di un prodotto, e innovazione di mercato - ovvero la capacità di offrire i propri prodotti a nuovi segmenti. Se guardiamo il grafico di fig. 2, ispirato ai lavori di Jacoby e Rodriguez possiamo vedere che le possibili strategie di crescita possono essere tre: 1. incrementale, basata sulla capacità di gestire al meglio il prodotto esistente per

offrirlo in maniera competitiva allo stesso segmento di clienti (o se letto dalla parte delle vendite, di gestire al meglio il proprio segmento di mercato per continuare ad offrire un prodotto competitivo);

2. evolutiva, che richiede la capacità di estendere le funzionalità del prodotto da offrire al proprio segmento di riferimento o invece di adattare il prodotto a nuovi segmenti di mercato (pensiamo all'internazio-nalizzazione, per esempio):

3. radicale, che richiede la capacità di offrire un nuovo prodotto ad un nuovo mercato.

Per inciso, la prima e la seconda strategia sono tipiche del Oceano Rosso mentre la terza è quella che permette di nuotare nelle acque tranquille dell'Oceano Blu ! (*) Per attuare la strategia incrementale, le aziende hanno oggi a disposizione moltissimi strumenti sicuramente adeguati (dai benchmark ai modelli di pricing, al sourcing per ridurre i costi, ad esempio). Le difficoltà aumentano quando si cerca invece di attuare la strategia evolutiva che richiede la capacità di far leva sui trend tecnologici o di sviluppare un "posizionamento" (la selling proposition), in grado di cogliere le opportunità dei nuovi mercati.

                                                                                                               (1)  Il riferimento è ovviamente al bestseller di Kim Chan e Renée Mauborgne "Blue Ocean Strategy", Harvard Business School Press, 2005  

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Infine, poche aziende sono in grado di attuare una strategia radicale che richiede di saper "creare" un nuovo business; non per mancanza di capacità innovativa (se le aziende sono nate ed hanno avuto successo nel passato è perché sono riuscite a creare un nuovo business - in fondo tutte almeno una volta sono state delle start-up !), ma perché si cerca di utilizzare lo specchietto retrovisore - gli strumenti che vanno bene per la strategia incrementale - per affrontare il nuovo, l'incerto, il cigno nero.

l miglior modo di predire il futuro è inventarlo (Alan Kay)

Per capire come attuare una strategia innovativa è necessario fare alcune considerazioni. La prima riguarda i costi dell'innovazione; spesso si sente ripetere che l'innovazione costa molto, richiede investimenti notevoli e, soprattutto in tempi di crisi, le aziende sono restie a investire senza avere un certo ritorno sull'investimento. Innanzitutto, in questo modo ci si dimentica della tipica curva ad "S" del ciclo di vita (dei prodotti e di conseguenza delle aziende che li producono) che per poter essere "allungata" costringe ad adottare una strategia incrementale (tipo 1), creando pressione sui margini e spostando solamente nel tempo la necessità di passare ad una strategia evolutiva (tipo 2), con in più il rischio che qualcun altro ci arrivi prima. Ma soprattutto, l'affermazione che l'innovazione costa non è necessariamente vera. Nella tabella di fig. 3, tratta da un recente studio della società di consulenza internazionale Booz & Company, troviamo la spesa in ricerca e sviluppo delle dieci società più "innovative"; le prime tre sono particolarmente interessanti: la loro spesa in R&D si colloca molto al di sotto della spesa di altre società. Questo è vero anche se se guardiamo la percentuale di spesa sul fatturato: ad esempio, Apple spende in R&D circa la metà della spesa media nel settore informatico (IBM è esattamente nella media).  

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Forse ancora più significativa è la tabella di fig. 4, dove si evidenzia che i primi dieci "Top Innovator" hanno fatturati, margini e capitalizzazione superiore ai primi dieci "Top Spender". La conclusione dello studio di Booz è a questo punto lapalissiana: "... il successo nell'innovazione non è determinato da quanto si spende, ma da come si spende." Un'altra considerazione riguarda la confusione che spesso si riscontra nelle aziende fra il processo di innovazione e la creazione dell'innovazione come obiettivo strategico. Quasi tutte le aziende strutturate hanno definito al loro interno un processo di innovazione, che spesso parte dalla R&D, passa attraverso le funzioni aziendali quali produzione e marketing ed arriva alle vendite. Nulla di sbagliato, anzi. Sicuramente, un'azienda priva di un processo strutturato avrebbe difficoltà a gestire l'innovazione ed estrarne valore per sé e per i clienti: tuttavia, il processo di innovazione, così come lo troviamo nelle aziende o descritto nei testi di management, non genera idee; di solito le seleziona, al più le valorizza. In altre parole, siamo nel campo dell'exploitation, non dell'exploration; dell'approccio analitico e non dell'approccio creativo. Nelle aziende siamo abituati a pensare in modo "convergente": si parte da una serie di possibilità e, attraverso un processo che ne valuta fattibilità ed economicità, si selezionano le migliori. Se questo è apprezzabile e corretto, il problema a monte rimane: come faccio a creare le idee ? Ancora una volta quello che è necessario acquisire è un modo di pensare (e quindi strumenti ed approcci) diverso; quello che serve è la capacità di un pensiero "divergente".

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Un'ultima considerazione riguarda le persone: anche in questo caso esiste un "mito da sfatare", quello che dice che per essere creativi bisogna essere particolarmente dotati, furbi, gli anglosassoni direbbero "smart". Il fondatore di Diesel, Renzo Rosso, risponderebbe che, al contrario, è necessario essere "stupid". Al di là della provocazione, Rosso ha illustrato anche in un libro uscito quest'anno e che ha lo stesso titolo della nota campagna "Be Stupid", quello che lui, come altri suoi colleghi imprenditori "creativi" hanno sempre fatto: sfidare le convenzioni, seguire la passione, agire d’istinto, essere coraggiosi. Molti degli slogan utilizzati da Diesel illustrano effettivamente bene le caratteristiche della creatività: vedere ciò che potrebbe essere rispetto a vedere quello che c'è, usare il cuore anziché la testa, avere le buone domande anziché le risposte giuste, e così via. Forse il più rappresentativo è quello che dice che "stupid might fail, smart don't even try"† perché descrive bene la contrapposizione fra chi di fronte alla paura di sbagliare preferisce richiudersi nel proprio guscio e chi invece sa che i potenziali errori sono esperienze che fanno imparare e butta il cuore oltre l'ostacolo.

Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni (Eleanor Roosevelt)

A questo punto possiamo tornare al concetto di approccio analitico rispetto all'approccio creativo. Il processo di innovazione(‡) può essere genericamente schematizzato in quattro fasi (fig. 5):

o ideazione, ovvero la generazione delle idee, o concettualizzazione, dove le idee vengono schematizzate e rese "visive", o validazione, finalizzata a dimostrare che un’idea è percorribile ed

economicamente vantaggiosa, o implementazione, cioè la trasformazione finale dell'idea in una soluzione di

business

                                                                                                               (†) "Lo stupido può sbagliare, il furbo non prova nemmeno". E' interessante notare che il termine "failure", pur avendo la stessa etimologia, nell'inglese del business non ha la stessa connotazione di "fallimento" (to go bankrupt). In presenza di una cultura di tipo protestante forse vi è maggiore indulgenza verso gli errori imprenditoriali. (‡) Si tratta di una schematizzazione e di una conseguente semplificazione: nella realtà le fasi non sono strettamente consequenziali e i confini così netti. Si noti inoltre che questo processo non riguarda solamente l'innovazione di prodotto, ma in generale l'innovazione di business; ad esempio è applicabile alla creazione di un nuovo canale distributivo online.

 

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Continuando nella schematizzazione (e quindi semplificazione), possiamo dire che le prime due fasi appartengono al campo dell'exploration, mentre le altre due a quelle dell'exploitation. Come si è visto in precedenza, le teorie del management contemporaneo più consolidate si adattano bene all'exploitation essendo basate su un approccio di tipo logico-analitico-quantitativo. Di fatto esistono due modi di procedere nell'approccio logico-analitico, deduttivo ed induttivo:

o l'approccio deduttivo parte da un possibile modello, costituito da una serie di ipotesi e va alla ricerca di quegli elementi fattuali che possono confermare (o invalidare) e le ipotesi e quindi il modello;

o l'approccio induttivo parte da una serie di elementi fattuali, evidenzia le eventuali correlazioni ricorrenti (pattern), a partire dalle quali formula delle ipotesi che costituiscono il modello di riferimento.

Per uscire un attimo dal business e semplificando al massimo, prendiamo l'esempio del processo medico-diagnostico. Nel primo caso partiamo da alcuni pochi sintomi e formuliamo l'ipotesi che il paziente abbia l'influenza e quindi facciamo tutta una serie di esami che convalidano o invalidano le ipotesi. Nel secondo caso, partiamo invece da un check-up il più completo possibile e andiamo a ricercare valori e relazioni fra le evidenze cliniche che possono portare ad indicare una certa patologia. Entrambi i metodi hanno ovviamente vantaggi e svantaggi che non stiamo a discutere in questa sede; ciò che invece è importante qui sottolineare è che entrambi sono finalizzati alla ricerca di una risposta "affidabile". Nelle prime due fasi (ideazione e concettualizzazione) invece, non possiamo ottenere una risposta affidabile; il modello dell'idea innovativa non esiste (altrimenti non sarebbe più innovativa) e i dati passati non sono utili (effetto specchietto retrovisore). Quello che invece possiamo ottenere è una risposa "valida", cioè corretta. Per esemplificare: un sondaggio elettorale valido è un sondaggio che predice correttamente il risultato finale. Non è affidabile, cioè ripetibile nel tempo con gli stessi risultati, ma è valido.

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Per ottenere la validità utilizziamo un approccio che potremmo chiamare "creativo" ma che in realtà sarebbe più corretto definire euristico.(§) Questo consiste essenzialmente nel fare una serie di osservazioni della realtà, estrarne delle regole probabilistiche, definire dei possibili modelli e da questi derivarne degli scenari. Ad esempio, a partire dall'osservazione che molte persone si portano in borsa un cellulare, un computer e un lettore MP3 possiamo immaginare che sarebbero attratti da un oggetto in grado di racchiudere tutte queste cose e quindi produrre un prototipo che chiamiamo iPhone di cui andiamo a verificare la "desiderabilità" da parte dei consumatori e ... peccato, forse siamo arrivati tardi !

Non si tratta di pensare di più, quanto di pensare diversamente (Jean-Marie Domenach)

Concludendo, i due approcci, logico-analitico e creativo non sono affatto in contrapposizione, ma anzi riteniamo siano assolutamente complementari e necessari l'uno all'altro per poter fornire soluzioni valide ed affidabili ai problemi aziendali. Il business design (fig. 6) fondendo insieme pensiero analitico e pensiero creativo risponde esattamente all'esigenza di un modo nuovo per affrontare le sfide del business di oggi e di domani.

D'altra parte, come diceva una persona che possedeva sicuramente sia intuito che rigore scientifico, "non possiamo risolvere i nostri problemi con lo stesso sistema che abbiamo usato quando li abbiamo creati" (Albert Einstein).

                                                                                                               (§) Si definisce procedimento euristico un metodo di approccio alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso, ma che si affida all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare nuova conoscenza. È opposto al procedimento algoritmico