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INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………………………...…………..pag. 2 SCOPO DELL’ ELABORATO…………………………………………………..……pag. 3 Ia SEZIONE: Ambito della ricerca
1.1 Definizione e storia della disabilità………………...………..……………….pag. 3
1.2 Dati sui disabili…………………………………………….………………...…pag. 5
1.3 Classificazione IPC……………………………………………………………pag. 6
1.4 L'amputato transtibiale e transfemorale……………………………..……..pag. 7
1.5 La struttura della protesi (da cammino e da corsa)………………...……..pag. 8
IIa SEZIONE: Strumenti e Metodi
2.1. Strumenti e tecniche di analisi del movimento…………………….……..pag. 11
2.2 Analisi della corsa di atleti normodotati…………………….….…………..pag. 13
IIIa SEZIONE : Risultati e discussione
3.1 Analisi della corsa di atleti amputati monolaterale ……...…….……….pag. 15
3.3 Analisi della corsa di atleti amputati bilaterale ……….…………………pag. 20
IVa SEZIONE: CONCLUSIONI
4.1 Il caso Pistorius, proposta di uno studio più approfondito……………….pag. 23
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………...…….pag. 25
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INTRODUZIONE
La prestazione atletica viene influenzata e condizionata da una serie di fattori che
hanno un peso diverso a seconda dell’attività sportiva svolta: fattori anagrafici,
antropometrici, psicologici (attitudine, motivazione) ambientali (temperatura,
altitudine), organico-funzionali (caratteristiche metaboliche) e fattori specifici di ogni
sport (attrezzi da gara, tattica di gara) [1]. L’intervento di tutti questi fattori e il ruolo
da essi svolto è sintetizzato valutando la prestazione come il prodotto tra la potenza
che l’atleta è in grado di esprimere e il costo energetico della prestazione [2]. Nel
caso di atleti amputati esiste un fattore aggiuntivo che influenza la prestazione:
l’ausilio protesico. A tal proposito, viste le molte possibilità di scelta tra i componenti
della protesi, è di grande utilità, per un corretto allenamento statico e dinamico,
l’analisi della corsa con i sistemi optoelettronici. I risultati di alto livello in ogni sport, al
giorno d’oggi, sono il frutto, non solo di talento naturale, ma di una preparazione
tecnico atletica sempre più scientifica e metodica: i sistemi optoelettronici sono ausili,
che consentono di valutare la prestazione e di monitorare l’allenamento al fine di
ottimizzare la performance dell’atleta, sia questo normodotato o protesizzato.
Sull’ analisi della corsa di atleti amputati monolaterali, esperti del settore del calibro
di Buckley, Cerniecky o Geil, hanno compiuto studi pubblicati nel corso degli ultimi
dieci anni sulle più autorevoli riviste scientifiche mondiali [3,4,5,6,7,8,9,10,11,12,13].
Questi studi ci dicono che l’efficienza dei piedi meccanici è dell’ 80% contro il 241%
della caviglia umana e l’articolazione dell’anca di un soggetto protesizzato compie un
lavoro di circa tre volte superiore rispetto al lato dell’arto sano. Sono pochi invece gli
studi relativi a soggetti amputati bilaterali, se si escludono quelli fatti relativamente al
cammino e l’indagine commissionata dalla IAAF dopo il caso Pistorius.
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SCOPO DELL’ELABORATO
Sono pochi i disabili che praticano sport ad alti livelli e, forse per questa ragione,
sono pochi gli studi in letteratura sull’analisi della corsa di atleti amputati.
Nei paesi di cultura anglosassone (Usa,Gran Bretagna,Australia) esistono dei
programmi di inserimento sportivo subito dopo il trauma nel caso di soggetti invalidi
in seguito ad incidente e fin dall’infanzia nel caso di disabilità dalla nascita, mentre
invece negli altri paesi occidentali la diffusione dello sport tra i disabili è inferiore
perché meno supportata dalle istituzioni: infatti in Italia solo 20.000 disabili praticano
lo sport agonistico come iscritti al Comitato Paralimpico [23], solo l’1% dei 2.600.000
disabili presenti in Italia, secondo il censimento ISTAT del 2001 [24].
Per quanto riguarda poi gli amputati bilaterali, la carenza di studi scientifici e la
questione relativa alla partecipazione di Pistorius alle Olimpiadi di Pechino con i
normodotati, ha reso necessario un approfondimento sull’argomento.
Partendo quindi dagli studi presenti in letteratura, da quelli compiuti dall’Ing. Bonacini
e dal Dott. Brüggemann, si vuole elaborare una proposta di uno studio più
approfondito sul caso Pistorius.
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Ia SEZIONE: AMBITO DELLA RICERCA
1.1 Definizione e storia della disabilità
La definizione di disabile si basa sulla proposta dell’Organizzazione mondiale della
sanità che nel 1980 pubblicò un primo documento dal titolo International
Classification of impairments, Disabilities and Handicaps (ICDH) [25]. In tale
documento si faceva l’importante distinzione tra “menomazione” (impairment), intesa
come qualsiasi perdita o anomalia a carico di strutture o funzioni psicologiche o
anatomiche; la disabilità (disability) è considerata come qualsiasi limitazione o
perdita della capacità di compiere attività considerate normali e l’handicap come la
condizione di svantaggio sociale che si manifesta a seguito dell’interazione con
l’ambiente. Mentre la menomazione ha carattere permanente, la disabilità dipende
dall’attività che l’individuo deve esercitare e l’handicap esprime lo svantaggio che ha
nei riguardi degli altri individui. Nel 2001 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha
elaborato un nuovo strumento, l’ICF: International Classification of Functioning,
Disability and Healt. Il nuovo documento sostituisce i vecchi termini “impairment,
disability e handicap” con altri termini, che fanno riferimento ad uno stato più
generale di salute: le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi
corporei, incluse le funzioni psicologiche; le strutture corporee sono le parti
anatomiche del corpo; l’ attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione, la
partecipazione è il coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita. Si tratta
quindi di una classificazione “positiva”, che parte dal funzionamento, per dire se, e
quanto, ciascuno se ne discosta: la limitazione delle attività implica le restrizioni alla
partecipazione. La classificazione elenca anche i fattori contestuali che interagiscono
a determinare una situazione di disabilità. La disabilità viene infatti definita come la
conseguenza di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, i
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fattori personali e i fattori ambientali. [14] L’inserimento di individui con disabilità in un
contesto sportivo è un fatto recente: ha inizio dopo la seconda guerra mondiale in
Inghilterra, presso l’ospedale militare di Stoke Mandeville ad opera del prof. Ludwing
Guttman che avviò la sport-terapia come attività riabilitativa per lesionati midollari e
amputati, dando il via anche ai primi Giochi Internazionali per Disabili (le
Paraolimpiadi). In Italia, il prof. Manlio Antonio, allora direttore del centro INAIL [26]
di Ostia, negli anni ’50 iniziò un lavoro specifico di riabilitazione basato anche
sull’attività sportiva. Nel 1960 si svolse la prima Olimpiade per disabili a Roma. Alle
Paraolimpiadi del 1976 a Toronto parteciparono per la prima volta anche atleti ciechi
e amputati. Nel 1982 le varie associazioni per disabili (amputati, ciechi, para-
tetraplegici e cerebrolesi) si unirono fondando un loro comitato internazionale (ICC)
per il coordinamento delle manifestazioni internazionali. Negli anni il movimento
Paraolimpico è notevolmente cresciuto e nel 1989 fu fondato a Düsseldorf, in
Germania, il Comitato Paraolimpico Internazionale (international Paralympic
Committee – IPC) che sostituì il precedente ICC. [27] In Italia, all’inizio degli anni ’80,
la vecchia Federazione Italiana Sportiva Disabili (ANSPI), si trasformò in FISHa –
Federazione Italiana Sport handicappati – in seguito riconosciuta dal CONI. La
circolare del Ministero della sanità (24 ottobre del 1988) sulla “Tutela sanitaria dello
sportivo portatore di Handicap” ha dato un nuovo riconoscimento all’attività sportiva
degli atleti disabili, riconoscendo agli sportivi disabili la qualifica di atleti agonisti a
pieno titolo e comunicando le norme relative alla concessione dell’idoneità sportiva.
Nel 1990 la FISHa ha cambiato nuovamente nome diventando FISD, Federazione
Italiana Sport Disabili che rappresenta e riunisce tutte le disabilità in campo sportivo.
Lo Stato ha attribuito compiti aggiuntivi alla FISD individuandola quale Comitato
Italiano Paraolimpico [23] (legge istitutiva del CIP: n° 189 del 15 luglio 2003) e ha
riconosciuto a questo organismo una valenza sociale, il cui obiettivo è di promuovere
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la massima diffusione della pratica sportiva per disabili in ogni fascia di età e
popolazione.
1.2 Dati sui disabili
È molto difficile riuscire a reperire dati quantitativi e qualitativi affidabili sulla
popolazione disabile in Italia e ancor più difficile avere un numero degli sportivi non
agonisti; è inoltre difficile per gli operatori che effettuano questo tipo di censimenti,
ottenere informazioni più dettagliate e precise delle famiglie dei disabili (tante
famiglie compilano i questionari dei censimenti omettendo la disabilità dei figli) [24].
NUMERO DI PERSONE DISABILI DI 6 ANNI E PIU’ CHE VIVONO IN FAMIGLIA, PER SESSO E CLASSI DI ETA’. ANNO 1999-2000. DATI IN MIGLIAIA. Età 6-14 15-24 25-44 45-64 65-74 75 e più totale Maschi 40 27 81 153 204 389 894 Femmine 40 32 82 209 323 1.035 1.721
Totale 80 59 163 362 527 1.424 2.615
Tab. 1 Censimento ISTAT 2001, indagine sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, 1999-2000
La principale fonte di dati utilizzata per stimare il numero di disabili presenti in Italia è
l’Indagine ISTAT sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari. Da quanto
risulta da questi documenti i disabili sono circa 2.615.000, pari quasi al 5% della
popolazione e di essi 1.204.000 hanno disabilità motorie e il 5% ha meno di 44 anni.
La categoria degli amputati di arto inferiore comprende individui amputati in seguito
ad incidenti stradali, ad infortuni sul lavoro e in seguito a problemi vascolari, in
prevalenza dovuti a diabete. La fascia più numerosa è quella di anziani soggetti a
diabete. Secondo le certificazioni INAIL nel 2006 i soggetti con lesione di arto
inferiore, in seguito ad infortunio sul lavoro erano 144.000. Non si conosce la cifra
relativa ai soggetti amputati. Per quanto riguarda gli invalidi civili non abbiamo dati
precisi, ma secondo stime ufficiose, in funzione dei dati forniti dalle officine
ortopediche e dal Fioto [28] si raggiunge quasi il mezzo milione di individui. L’1% di
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disabili pratica attività sportiva ed il 60% di questi ha un’età compresa tra i 6 e i 44
anni. Sono circa 20.000 i disabili tesserati al CIP (Comitato Italiano Paraolimpico)
che praticano sport nel nostro paese.
1.3 Classificazione IPC
L’obiettivo di ogni sistema di classificazione è raggruppare insieme atleti con lo
stesso potenziale motorio, psichico e sensoriale, in modo da consentire un confronto
equo tra atleti con le stessa capacità funzionali residue. La classificazione di un
atleta (disabile fisico) si effettua con una valutazione di carattere medico (forza
muscolare e mobilità articolare) e una di carattere funzionale (gesto atletico). [27]
Ad oggi si distinguono le seguenti categorie ( T : Track, la corsa, F: Field, i lanci):
tetraplegici T51 – T52 paraplegici T53 – T54 amputati T41 – T42 – T43 – T44 – T45 – T46 nani T40 cerebrolesi T31 – T32 – T33 – T34 – T35 – T36 – T37 – T38 dir-a T20 ipovedenti e non vedenti T11 – T12 – T13 Dopo Seul 1988 la riduzione delle categorie ha comportato l’emarginazione delle
patologie più gravi nell’ambito di una stessa disabilità: purtroppo il fine agonistico e
spettacolare promuove la ricerca del limite della performance dell’atleta e perciò
favorisce individui con limitazioni funzionali inferiori.
Ecco una descrizione più dettagliata delle categorie degli amputati: [27]
T40 Nani (Dwarf athletes), T41 bilaterali trans femorali, T42 Unilaterali trans femorali, T43 bilaterali trans tibiali, T44 Unilaterali trans tibiali, T45 bilaterali di braccio T46 Unilaterali di braccio Vengono inseriti in queste classi i Les Autres, ossia coloro che hanno una
funzionalità articolare compromessa a livello di ginocchio o caviglia, considerati
equivalenti, dal punto di vista funzionale, agli atleti amputati di coscia o gamba.
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1.4 L’amputato transtibiale e transfemorale
La perdita di un arto o di una parte di esso in seguito a processi patologici, traumi o
malformazioni, sconvolge il normale modello motorio di un individuo e rappresenta
oltre ad una limitazione funzionale dell’autonomia personale, anche un grave trauma
psicologico. Il recupero psico-fisico deve essere accompagnato dalla presa di
coscienza e dalla consapevolezza dei movimenti che il moncone, la parte residua
dell’arto amputato, può svolgere [16,17]. Con il termine amputazione s’intende la
resezione del segmento distale di un arto, ottenuta sezionando lo scheletro nella sua
continuità; per disarticolazione invece si intende la demolizione fatta attraverso
un’interlinea articolare. Il chirurgo deve conoscere il grado di vitalità dei tessuti
dell’arto ed in particolare della cute: tale conoscenza influenza direttamente il livello
di amputazione. La ferita infatti, può non cicatrizzarsi con successo se la cute ed i
tessuti più profondi non hanno una sufficiente irrorazione sanguigna. L’amputazione
dovrebbe essere eseguita in modo tale da fornire un moncone che conservi una
buona mobilità con una muscolatura funzionale e con un efficiente circolazione. Le
cicatrici operatorie devono essere perfettamente chiuse e non dolenti, in modo da
permettere l’utilizzo di una protesi ben tollerata e funzionalmente efficace. La ricerca
in campo protesico nasce dall’esigenza di fornire all’amputato una protesi idonea dal
punto di vista anatomico, biomeccanico ed estetico, in grado di consentire il recupero
dell’autonomia compromessa e quindi di favorire il suo reinserimento nella vita
sociale e lavorativa. L’efficacia della protesizzazione del paziente dipende dalla
fornitura di un efficiente e confortevole prodotto e allo stesso tempo da un buon
addestramento all’uso della protesi: solo dal connubio tra il trattamento protesico e
quello riabilitativo si ottiene un buon risultato. Tra le amputazioni di arto inferiore
distinguiamo a seconda del livello: le amputazione di piede, di gamba, le
disarticolazione del ginocchio, le amputazione di coscia e le disarticolazione
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dell’anca. La scelta del tipo di protesi dipende da numerosi fattori: dalle condizioni
del moncone, dal numero e dalla mobilità delle articolazioni residue, dall’unilateralità,
dalla mono o bilateralità dell’amputazione, dal livello dell’amputazione, dalle
condizioni psicofisiche del paziente, dall’età, dal peso e dallo stile di vita del paziente
prima del ricovero.
1.5 La struttura della protesi
I componenti principali delle protesi ortopediche di arto inferiore sono I seguenti:
cuffia, invaso, struttura tubolare, piede e cover (rivestimento estetico).
Fig 1 Protesi Fig 2 Protesi trans femorale Fig3 Cuffia e invaso Fig 4 Allineamento invaso-piede Transtibiale per transfemorale protesi trans tibiale da correre
L’invaso è la parte soggettiva della protesi, realizzata su misura del paziente su
modello di gesso positivo del moncone. L’invasatura può essere realizzata a pareti
rigide o flessibili: l’invasatura a pareti rigide è realizzata con calze tubolari di fibra di
carbonio (per creare un invaso sottile e leggero, ma resistente) con resina acrilica da
laminazione. L’invasatura a pareti flessibili (ISNY) fu ideata nei primi anni ’80
dall’islandese Ossur Kristinsson in collaborazione con G.Holmgren (Svezia) e
l’University Medical School di New York. Questo tipo di invasatura è costituita da
pareti flessibili, sottili, trasparenti, e da un telaio portante in fibra di carbonio che
trasmette i carichi alla parte meccanica della protesi. L’adozione dell’invasatura
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flessibile comporta una riduzione del peso della stessa, pari circa al 12-15% rispetto
a quella a pareti rigide e una maggiore adattabilità, seppur limitata, alle variazioni di
volume del moncone a seguito delle contrazioni muscolari. [16,17]
Le cuffie o liner sono “calze” di materiali morbidi ed elastici (polimerici, silicone,
urtano e stirene), con la funzione di proteggere il moncone da traumi e urti durante la
camminata. Per la corsa, l’applicazione più utilizzata è la cuffia in poliuretano di Otto
Bock [29], che garantisce un buon confort e soprattutto piccole deformazioni sotto i
carichi elevati esercitati durante la corsa. L’invaso e il piede sono collegati da tubi di
titanio o fibra di carbonio (struttura tubolare) con attacchi a piramide o a forma di “L”
o “T” a seconda delle esigenze. La parte attiva della protesi è rappresentata dai
piedi, ormai, quasi tutti realizzati in fibra di carbonio, che sono definiti dinamici o “a
restituzione di energia”. L’utilizzo dei tessuti in fibra di carbonio deriva da
un’applicazione tecnologica del settore aeronautico militare: i famosi B52 e gli
Stealth dell’aviazione statunitense. Questa innovazione ha comportato un sensibile
miglioramento nella qualità della vita degli individui amputati, perché il piede assorbe
energia nel caricamento del peso durante la fase di stance e restituisce questa
energia durante la fase di swing che consente una camminata più fluida, con una
maggiore stabilità e una riduzione dei traumi al moncone e della fatica per l’utente.
La struttura delle protesi da correre è differente e più semplice rispetto a quelle da
camminare perché comprende solamente una cuffia, un invaso e un piede in fibra di
carbonio a forma di falce , fissato all’invaso tramite una staffa.
I piedi più utilizzati per la corsa da soggetti amputati trans tibiali sono il Cheetah di
Ossur (Fig 6) e lo Springlite di Otto Bock (Fig 7) che si differenzia dal precedente per
un flesso in prossimità del punto di contatto con il terreno in modo da offrire
un’ammortizzazione maggiore. Gli amputati transfemorali utilizzano piedi a forma di
“L” o “C”. Le protesi transfemorali da cammino sono costituite dalle stesse
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componenti di quelle transtibiali con l’aggiunta del ginocchio che può essere
meccanico o elettronico, mentre quelle da correre utilizzano solo ginocchi meccanici.
Fig. 5 Esempio piede cammino Fig 6 Piede da correre Cheetah Fig 7 Piede da correre Springlite
Il peso corporeo viene trasmesso all’invasatura quasi esclusivamente tramite la
tuberosità ischiatica. Il ginocchio tecnologicamente più avanzato per il cammino è
quello a controllo elettronico, il C-LEG, che dispone di un sistema elettronico capace
di controllare automaticamente l’articolazione (flessione e estensione) in funzione
delle sollecitazioni, grazie ad un sofisticato microprocessore.
IIa SEZIONE: STRUMENTI E METODI
2.1 Strumenti e tecniche di analisi del movimento
La Gait analysis (GA) o analisi computerizzata della deambulazione [18] è un’analisi
integrata multifattoriale che permette di acquisire contemporaneamente dati relativi
alla cinematica (per es. le traiettorie del movimento e gli angoli delle articolazioni),
alla dinamica (per es. lo scambio di forze al terreno) ed all’attivazione muscolare
(elettromiografia o EMG). L’unità di misura di base della Gait Analysis è il gait cycle,
definito dall’istante di contatto di un piede con il terreno, fino al contatto successivo
dello stesso piede al suolo. Il Gait cycle può essere diviso in due fasi principali:
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� La stance phase o fase di appoggio: l’intervallo di tempo durante il quale il piede
è a contatto con il terreno. Nel cammino di soggetti normali è circa 60%
� La swing phase o fase di volo: l’intervallo di tempo durante il quale il piede non è
a contatto con il suolo, rappresenta circa il 40% del gait cycle.
Tra le tecniche di studio del movimento ci sono i sistemi optoelettronici, tra cui il
sistema VICON (di cui è distributore per l’italia l’azienda AURION [30] e l’ELITE di
BTS [31]). I sistemi optoelettronici sono in grado di misurare le coordinate
tridimensionali di marker cioè elementi di materiale catarifrangente che vengono
apposti in particolari punti di repere anatomici (landmarks). I marker sono illuminati
ad intervalli regolari da una sorgente di luce in prossimità dell’infrarosso proveniente
da ciascuna telecamera ed il riflesso viene “catturato” dalla telecamera stessa che
attraverso la Workstation ricava elabora la posizione dei marker. Note le coordinate
tridimensionali dei marker è possibile quindi calcolare traiettorie, gli angoli (flesso-
estensione, abdo-adduzione e extra-intra rotazione), le velocità e le accelerazioni di
tutte le articolazioni (cinematica del movimento). Le telecamere devono essere
disposte in modo che in ogni momento sia possibile vedere una coppia di marker e
ciascun marker deve essere visibile da almeno una coppia di telecamere (analisi
simultanea da più punti di vista). [18] E’ stato utilizzato per l’analisi cinematica il
sistema optoelettronico VICON Motion System. Per ricavare i dati relativi alla
dinamica, vengono utilizzate le piattaforme di forza Kistler, sistemi in grado di
misurare le forze scambiate al terreno quando il piede va a contatto con la pedana.
Le pedane di forza misurano la forza in Newton (0,986 kg = 1N), lungo tre assi: X,
asse antero-posteriore, Y, asse medio-laterale, Z, asse verticale. Il risultato della Gait
Analysis è quindi un report che contiene:
� I parametri antropometrici, nel caso del Vicon, secondo il protocollo Kadaba:
altezza, peso, lunghezza gamba (distanza tra cresta iliaca ed il punto intermedio
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tra malleolo interno ed esterno), distanza tra i condili femorali (diametro del
ginocchio), distanza tra i malleoli (diametro della caviglia), distanza tra le creste
iliache anteriori (larghezza del bacino) e spessore del bacino per quanto riguarda
gli arti inferiori.
� I parametri spazio temporali: larghezza e lunghezza del passo dei due arti,
cadenza (numero di passi al minuto – 129 step/min nella norma), velocità del
cammino (1m/s nella norma), durata della fase di stance e della fase di swing.
� I grafici degli angoli (cinematica), delle forze e dei momenti (dinamica) del bacino,
dell’anca, del ginocchio e della caviglia sui diversi piani.
� I dati elettromiografici: acquisizione del segnale elettronico associato alla
contrazione dei muscoli, su cui vengono posizionati degli elettrodi superficiali
(forniscono una misura del lavoro muscolare).
2.2 Analisi della corsa di atleti normodotati
La corsa è una consecuzione di passi in cui, a momenti di appoggio singolo dei piedi
a terra, si succedono momenti di volo, in una sequenza di movimenti delle gambe
che si ripetono in maniera omologa alternata. Lo sprint è un tipo di corsa che si
sviluppa su brevi distanze ad alte velocità: l’obiettivo dello sprint è coprire brevi
distanze nel minor tempo possibile. [19] La durata della fase di stance diminuisce in
modo inversamente proporzionale alla velocità della corsa: da circa il 60% durante la
camminata, al 30% nel running (mezzofondo e fondo), fino a circa il 20% nello sprint
di atleti professionisti. Di conseguenza, la fase di swing aumenta (diventa circa il
80%) e non esiste più la fase di double support, in quanto il contatto avviene sempre
solo con un piede, anzi esiste la fase di double swing in cui entrambi gli arti sono in
volo. [2] Il ciclo dello sprint di un atleta normodotato inizia quando un piede tocca il
terreno e termina quando lo stesso piede dopo la fase di volo entra nuovamente in
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contatto con il terreno (fasi di stance e swing). La stance phase è a sua volta
suddivisa in due sottofasi: absorpition phase, dall’initial contact (IC) al Mid Stance
(MSt) e generation phase o fase propulsiva, dal Mid Stance al Toe-Off (TO). Allo
stesso modo avviene per la fase di Swing.
Fig. 8 Suddivisione in fasi dello sprint cycle Fig 9 Variazione della quota del COG rispetto al terreno
Nell’initial contact, il centro di massa (COG) assume la posizione più vicina al
terreno, quando l’avampiede tocca il suolo, l’anca è flessa, il ginocchio quasi
completamente esteso e la caviglia, grazie alla contrazione del tibiale anteriore è in
posizione dorsiflessa. Questa fase è definita come “absorption phase”, fase di
assorbimento, poiché prevalgono le forze di decelerazione: infatti la forza propulsiva
è anteriore rispetto alle articolazioni anca e ginocchio, eccetto alla caviglia rispetto
alla quale è posteriore e crea un momento di flessione plantare. La forza propulsiva è
uguale e contraria alla forza di reazione scaricata al terreno ed è responsabile della
flessione o estensione delle articolazioni. Nell’istante di Mid Stance quando le
articolazioni di anca e ginocchio avanzano rispetto alla caviglia e soprattutto rispetto
alla forza di reazione scaricata al terreno, inizia la “generation phase”, la fase
propulsiva. La fase di stance termina con il toe-off, il momento di distacco del piede
dal terreno. Nella fase di Mid Swing l’anca è flessa e la tibia è in posizione verticale
e perpendicolare al terreno sotto controllo del quadricipite; in questo momento finisce
la fase di swing generation e inizia la fase di swing absorption. In questa ultima fase
l’arto si trova ormai in avanzamento, si prepara al contatto con il terreno; gli estensori
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dell’anca favoriscono la ricerca dell’appoggio nel più breve tempo possibile (evitando
eccessiva decelerazione). In preparazione allo shock per l’impatto al suolo, si attiva
il quadricipite e l’anca, che prima era in abduzione, si avvicina alla mediana in
adduzione. Per massimizzare la propulsione orizzontale ed evitare perdite di velocità
il bacino ruota esternamente prima dell’initial contact.
IIIa SEZIONE : RISULTATI E DISCUSSIONE
3.1 Analisi della corsa di atleti amputati monolaterali
Le analisi che verranno descritte sono il risultato dell’attività di ricerca svolta dall’ Ing.
Bonacini durante il Dottorato di Ricerca in Disegno e Metodi di Sviluppo prodotto
presso il Politecnico di Milano, con referente il Prof. Cugini, mirato alla realizzazione
di un nuovo piede da correre in fibra di carbonio. Gli studi e le acquisizioni sono state
realizzate con la collaborazione di Aurion,Kistler e dell’Istituto di Scienza dello Sport
del CONI. Daniele Bonacini, oltre che ingegnere meccanico è un atleta di alto livello:
amputato sotto il ginocchio da ormai 15 anni in seguito ad un incidente stradale, è
campione italiano 2007 dei 100m ed ha partecipato alle olimpiadi di Atene 2004. Il
suo lavoro si basa sugli studi scientifici compiuti negli ultimi venti anni in questo
campo e sull’analisi della corsa lanciata di un campione di quattro atleti amputati (tre
sotto il ginocchio e uno sopra il ginocchio) in confronto con tre atleti normodotati.
La strumentazione utilizzata per effettuare l’analisi comprende il sistema
optoelettronico VICON a 10 telecamere e una pedana piezoelettrica KISTLER. Sono
state effettuate tre sessioni di acquisizione: presso il palazzetto indoor della
Fratellanza di Modena (24 novembre 2005), presso il Centro di preparazione
Olimpica di Formia (15-18 dicembre 2005) e presso il palazzetto indoor della Società
Osa Saronno (20 gennaio 2006) . Durante il ciclo della corsa di atleti amputati, come
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avviene per i normodotati, si verificano fasi di assorbimento e generazione di energia
durante lo stance e lo swing. Per gli amputati si ha una riduzione del valore
massimale della forza di reazione dell’arto protesico rispetto all’arto sano che genera
chiaramente un’asimmetria delle spinte propulsive dei due arti. [3,5,15].
La riduzione della forza propulsiva dell’arto protesico è dovuta ad una serie di fattori:
Meccanici: minor efficienza e quindi minor risposta elastica del piede in fibra di
carbonio rispetto al piede sano: infatti i piedi da corsa hanno un’efficienza (rapporto
tra potenza assorbita e potenza rilasciata) di circa l’80% rispetto al 241% di un piede
umano con un attiva e efficace plantarflessione. [10,12,13]
Ortopedici: l’efficacia della protesi dipende da un corretto allineamento del piede
rispetto all’invaso e dalla scelta della classe di piede, infatti la rigidità del piede
dipende dal peso e dalla forza muscolare dell’atleta .e nel caso trans femorale del
ginocchio.
Energetici: l’assorbimento di energia da parte del moncone e della cuffia di
materiale polimerico all’interno dell’invaso diminuisce l’efficienza della corsa.
Muscolari: la muscolatura dell’anca dal lato della protesi deve avanzare in modo
compensare una forza contraria alla direzione di avanzamento, ricevuta dal terreno
nel momento del contatto al suolo: infatti la forza di reazione è anteriore rispetto alle
articolazioni di anca e ginocchio e per questo motivo l’articolazione dell’anca dal lato
della protesi compie un lavoro di due o tre volte superiore rispetto al lato dell’arto
sano (compensa l’ assenza della plantarflessione propulsiva del piede meccanico).
Inoltre, i piedi in commercio presentano una componente negativa della forza
contraria alla direzione di avanzamento durante il caricamento che comporta un
maggior lavoro per l’articolazione dell’anca. [15]
Tecnico-atletici:Utilizzo poco efficace della protesi (atleti principianti) e un recupero
dal trauma/potenziamento muscolare non efficace.
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La completa estensione del ginocchio durante il contatto iniziale con il terreno
comporta un grande dispendio energetico per l’amputato in assenza di
plantarflessione della caviglia. Quando l’articolazione dell’anca e ginocchio avanzano
rispetto alla caviglia, inizia la “generation phase”, in cui, gran parte della forza
propulsiva è generata dal volo dell’arto controlaterale e dal movimento degli arti
superiori. Dopo la fase di distacco da terra avviene la massima flessione del
ginocchio in fase di calciata dietro: nel caso di protesi transtibiale il valore massimale
è inferiore a quello dell’arto sano a causa dei vincoli dell’invaso. L’angolo di flessione
del ginocchio dell’arto protesizzato dipende dalla lunghezza del moncone e dalla
tipologia dell’invaso utilizzata: per monconi corti la flessione del ginocchio è inferiore
di 20-30° e nel caso di amputati transfemorali si aggiunge il rendimento
dell’articolazione meccanica del ginocchio. Nell’analisi dello sprint sono necessarie
almeno 10 telecamere a infrarossi con una frequenza di 100-400 Hz. L’area di
performance o area di cattura utilizzata è lunga 12m e larga 5m; l’altezza massima
coperta è di 2 metri ed è scelta in funzione dell’altezza degli atleti. Dopo la
misurazione dei parametri antropometrici sono stati posizionati i marker nei punti di
repere previsti dal protocollo Kadaba. L’acquisizione consiste in una serie di corse
lanciate con riconoscimento dei marker da parte delle telecamere e successiva
ricostruzione in grafica 3D delle figure segmentarie.
Tab 2 parametri spazio-temporali
18
Per quanto riguarda i parametri spazio temporali ecco le considerazioni rilevate:
l’amputato allarga la corsa rispetto al normodotato, per ricercare un maggior
equilibrio e per ragioni morfologiche del moncone (nei casi di monconi prossimale è
evidente la postura leggermente a “X”); l’amputato rimane un tempo più lungo
sull’arto sano per effettuare tutte le correzioni d’equilibrio dovute all’utilizzo della
protesi; la lunghezza della falcata è inferiore ai soggetti normali per i limiti funzionali
legati alla protesi, limitata flessione di ginocchio e anca e assenza di plantarflessione
alla caviglia; la velocità dello sprint è inferiore per i limiti funzionali legati alla protesi.
Tra gli amputati transtibiali, l’asimmetria tra l’arto protesizzato e l’arto sano è ben più
marcata rispetto alla differenza fisiologica tra i due arti degli atleti normodotati. Ecco i
dati relativi alle articolazioni dell’arto inferiore:
Bacino: Il Range of Motion del Pelvic Tilt ossia l’oscillazione del tronco durante la
corsa, è proporzionale al consumo energetico. Gli atleti protesizzati presentano un
Range of Motion (ROM) di circa 25, mentre la media degli atleti normali è di 10. Il
bacino si abbassa in maniera accentuata dal lato della protesi durante la fase di
stance e presenta una intrarotazione che compensa l’abduzione dell’anca in modo
da consentire l’avanzamento. Rispetto all’arto protesizzato, il bacino nella fase di
swing presenta una andamento accentuato di arretramento del tronco dovuto ad una
scarsa flessione dell’anca e del ginocchio [21].
Fig 10 Pelvic Tilt Fig 11 Flesso-estensione ginocchio Fig 12 Dorsi-plantarflessione della caviglia
19
Anca: l’arto sano presenta un anticipo nel raggiungimento della massima flessione
dovuta ad una strategia di compensazione (a causa del vincolo dell' invaso). L’anca
dell’arto amputato evidenzia una estensione prossima allo zero, minore rispetto ai
normodotati (60°) in corrispondenza del toe-off e un valore minore del picco di
flessione durante la fase di swing dovuta ai limiti biomeccanici della protesi.
Nel piano frontale durante la fase di contatto al terreno, l’anca dell’arto amputato va
in abduzione, contrariamente alla normalità, per compensare l’intrarotazione del
ginocchio e nel piano orizzontale compensa l’abduzione del ginocchio con una
extrarotazione.
Ginocchio: Il ginocchio dell’arto sano evidenzia un andamento sinusoidale nella
norma, con la sola eccezione di un lieve anticipo nel raggiungimento del picco di
massima della flessione (140°) dovuto ad un meccanismo di compensazione dell’arto
protesizzato: l’invaso della protesi non consente una flessione del ginocchio
superiore a 110° e per questo motivo il ginocchio dell’arto sano deve ruotare più
velocemente. Il ginocchio dell’arto amputato non presenta l’andamento discendente
in estensione dell’arto sano per il fatto che l’allineamento tra invaso e piede conserva
sempre una certa flessione di circa 30°. Il ginocchio dell’arto amputato presenta una
intra-rotazione costante dovuta al scarsa lunghezza e alla morfologia del moncone.
Caviglia: Il grafico dell’angolo della caviglia del piede meccanico presenta un tratto
iniziale durante la fase di appoggio con una minore dorsiflessione dovuta alla forma a
“J” e dall’elasticità del piede meccanico, un tratto quasi orizzontale durante la fase di
volo dovuto al mantenimento dell’angolo fissato dal profilo del piede. [15]
Per quanto riguarda le forze scaricate al terreno, misurate con le pedane di forza
KISTLER, si può affermare che le forze scaricate dal piede protesico sono inferiori
all’arto sano (15-30% in più rispetto al piede protesico). Inoltre è presente una
componente negativa della Fx contraria alla direzione dell’avanzamento legata al
20
caricamento del piede protesico pari a circa il 10% della Forza Fx massima (2/3 del
lavora a carico della muscolatura dell’amca). Anche il tipo di piede utilizzato incide
sulla forza scaricata al terreno: nel caso del Cheetah (Ossur) la forza (Kgf) in
rapporto al peso del soggetto, è circa il 60% della forza scaricata con il piede umano
e nel caso dello Springlite (Otto Bock) il
70 %.
Fig. 13 Confronto fra Fz arto protesi di diversi atleti Fig 14 Confronto fra arto sano e piedi diversi dello stesso atleta
Dalle Fig.13 e 14 si può notare l’assenza di un picco massimo della curva della Fz in
funzione di una curva più ampia e più bassa, indice di una minor efficienza di corsa.
E’ evidente l’asimmetria nelle spinte propulsive tra i due arti durante la corsa: i
normali hanno una Fz pari a 2600-3500 N, gli amputati di 2500- 3200 N per l’arto
sano e di solo 2400-2550 N nel caso di arto con protesi.
3.2 L’ amputato bilaterale (Gli studi del Dott. G.P. Brüggemann)
Per quanto riguarda l’analisi della corsa di atleti amputati bilaterali non ci sono molti
studi in letteratura, ma dalla ormai celebre gara dei 400m dell’atleta paraolimpico
sud africano Oscar Pistorius al Golden Gala del 13 Luglio a Roma, è nata
l’esigenza di approfondire l’argomento. La IAAF (International Association of Athletics
21
Federations) si è avvalsa della consulenza del Dott. Gert Peter Brüggemann,
direttore dell’istituto di biomeccanica dell’università di Colonia, per redigere una
relazione tecnica sui vantaggi/svantaggi che l’atleta ha nei confronti di atleti normali
[22]. L’analisi è stata effettuata sull’ atleta amputato transtibiale bilaterale Oscar
Pistorius (medaglia d’oro alle paraolimpiadi di Atene 2004, best time sui 400m:
46.34) e cinque atleti normodotati con prestazioni più scarse rispetto a Pistoius
(range best time 46.50- 49.26). E’ stata effettuata l’analisi cinematica, il confronto
della potenza metabolica tra l’atleta amputato e i normodotati, l’analisi delle forze
scaricate al terreno e l’esame delle caratteristiche meccaniche dei piedi da correre
utilizzati da Pistorius (le “Cheetah”). Per valutare la capacità aerobica e anaerobica
degli atleti, è stato chiesto loro di eseguire una prova sottomassimale di 400m (con
maschera K4) per rilevare il consumo di ossigeno (VO2), prelevando un campione di
sangue prima e dopo la prova, per la valutazione del lattato prodotto. Pistorius ha
compiuto la prova in 51,3 s e gli altri normodotati tra 50,5s e 55,4 s. I dati respiratori
(VO2, VCO2, VE) e cardiaci sono stati misurati anche attraverso un test a rampa su
cicloergometro e con il Wingate test (pedalare con cadenza costante per 60s contro
alta resistenza). Per questi ultimi due test, l’atleta amputato ha utilizzato le protesi da
cammino e quelle da correre con le famose “Cheetah”. Dai test in pista e sul
cicloergometro con protesi da cammino è emerso che il consumo di ossigeno di
Pistorius è circa il 25% inferiore rispetto agli altri atleti, quindi secondo Brüggemann,
Pistorius riuscirebbe a correre con le protesi alla stessa velocità degli altri ,ma con
minore spesa energetica. La valutazione del lattato post esercizio non ha
evidenziato differenze tra l’atleta amputato bilaterale e i controlli, ma secondo
Bruggeman, vista la minore massa muscolare di Pistorius rispetto ai soggetti sani,
Oscar avrebbe una produzione relativa inferiore di lattato, rapportata alla massa
inferiore e perciò compierebbe lo stesso forzo dei soggetti normali con un minor
22
dispendio energetico. Ecco altre considerazioni evidenziate nel report di
Brüggemann: l’arto artificiale ha una massa di circa il 48% inferiore rispetto alla
gamba di un arto sano, che comporta una minore resistenza alla rotazione sul piano
sagittale. Dalle prove meccaniche effettuate sulle Cheetah è emerso che, se
sottoposte ad una forza di 1550 N, si ha una piccola dissipazione di energia che si
traduce in un alta percentuale di energia di ritorno (92% contro il 41.4 %
dell’articolazione della caviglia). [22]
Fig 15 Consumo ossigeno prova 400m (Report Bruggemnan)
Non è stata valutata la deformazione del piede e la dissipazione di energia in
condizioni di esercizio, a circa 2500N-3000 N. Il test non tiene conto della
plantarflessione della caviglia dell’arto sano e del fatto che il piede protesico può
solamente flettersi come una molla, ma non può ruotare. Per l’analisi biomeccanica
della corsa e delle forze scambiate con il terreno, i soggetti presi in esame hanno
compiuto degli sprint massimali e sub-massimali su 70m e 50m. I dati sono stati
rilevati utilizzando il Vicon Motion System con 12 telecamere al alta velocità (250 Hz)
e quattro pedane di forza (Kistler AG).
La lunghezza del passo di Oscar Pistorius è inferiore (2.26 m di media),come già
scritto sulla Gazzetta dello Sport dall’equipe dell’Istituto di Scienza dello Sport del
CONI, in seguito al Golden Gala, ma secondo Bruggeman in modo non significativo.
23
Il picco di forza verticale registrato da Pistorius nella fase di stance è minore rispetto
ai soggetti normododati (2600N contro 3100 N, quasi il 20% in meno); la forza in
direzione di avanzamento scaricata al terreno da Pistorius è pari a 800 N contro
1600 N dei normali, di conseguenza è minore la forza propulsiva e la potenza
sviluppata per avanzare da parte di Pistorius. E’ minore anche l’accelerazione
orizzontale del CoG. La perdita di energia durante la fase di stance delle lamine delle
Cheetah è valutata intorno all’8% ed è più bassa di quella della caviglia umana
(41.1%) Inoltre, il lavoro positivo e la restituzione di energia è quasi tre volte
maggiore con la “caviglia artificiale” rispetto all’articolazione dell’atleta sano; questo
significa che c’è un vantaggio meccanico di oltre il 30%. Durante la fase di recupero,
il 92% dell’energia immagazzinata è riutilizzata attraverso i piedi protesici.
Brüggemann conclude affermando che correre con le “gambe artificiali” (Cheetah) è,
da un punto di vista biomeccanico, una “bouncing locomotion” ed è
significativamente differente dalla corsa di atleti normodotati, è un tipo diverso di
locomozione ad un minore costo metabolico. [22]
VIa SEZIONE: CONCLUSIONI
4.1 Il caso Pistorius, proposta di uno studio più approfondito
La carenza di studi scientifici sull’analisi della corsa degli atleti amputati bilaterali e la
questione relativa alla partecipazione Pistorius alle Olimpiadi di Pechino con i
normodotati ha occupato per lungo tempo le pagine dei giornali e reso necessario un
approfondimento sull’argomento. Pistorius (primato sui 400m: 46,34) ha nel tratto
finale dei 400m una velocità di corsa costante rispetto agli atleti normali, corre veloce
quando gli altri rallentano; il tutto è provato dai rilevamenti fatti dall’ equipe del dott.
Faina dell’Istituto di Scienza dello Sport del CONI al Golden Gala 2007 e contenuti
24
nell’articolo apparso il giorno dopo sulla Gazzetta dello Sport. Pistorius, come da
report dell’ Ing. Dalla Vedova, è più lento nei primi 200m perché ha una falcata
inferiore ai soggetti normali (causata dall’instabilità nei primi appoggi con i piedi
protesici) e solo nei secondi 200m, avvicina solamente, senza mai raggiungere i
tempi e le velocità dei soggetti normodotati di primo livello. E’ comparso sui giornali
un confronto tra la performance di Pistorius e una delle migliori di Wariner che era
stata analizzata: attraverso il confronto dei parziali è possibile comprendere le
differenze tra l’atleta amputato e normodotato: nei 400m Jeremy Wariner con un
parziale di 44,12 s compie i primi 200m con un tempo di 21,64 s ed una velocità di
9,24 m/s e nei secondi 200m con un tempo di 22,48 s e una velocità di 8,89 m/s
(tratto 200-300m con un tempo di 10,68 s e una velocità di 9,36 m/s e ultimi 100m
con un tempo di 11,80 sec e una velocità di 8,47 m/s), mentre Oscar Pistorius
(Golden Gala 2007) ha realizzato un tempo di 46, 90 s con i primi 200m tempo 24,06
s e una velocità 8,31 m/s, i secondi 200m in 22,72s e una velocità di 8,80 m/s ( tratto
200-300m in 10,84 s e velocità 9,22 m/s e ultimi 100m tempo 11,88 s e velocità 8,41
m/s). Emerge che Pistorius nel tratto più veloce, il terzo dai 200 ai 300m, avvicina
solamente la velocità tenuta da Wariner sui tutti i primi 200m. Rapportato agli
antagonisti del Golden Gala è utile fare un confronto con l’atleta che vince la batteria,
per capire che Pistorius non riesce a guadagnare nei secondi 200m ciò che perde
nei primi 200m. Per valutare la prestazione di Pistorius la domanda che ci si
dovrebbe porre è: Oscar è facilitato rispetto ai normodotati in una gara di 400m?
Prendendo in esame i singoli tratti e facendo un bilancio globale è avvantaggiato?
Ecco il tipo di valutazione proposta da un gruppo di esperti a Milano, formata da
Capozzo, Frigo, Alberti e Bonacini con l’ausilio di AURION e KISTLER:
25
innanzitutto si intende valutare una corsa massimale sui 400m (non sottomassimale
come effettuato da Bruggemann) e di questa corsa analizzare i singoli tratti di
maggiore interesse, che hanno caratteristiche diverse.
Nel tratto 0 – 80m c’è il problema dell’uscita dai blocchi con l’instabilità dei primi
appoggi con i piedi protesici per mancanza della dorsi-plantarflessione della caviglia
e dei fini recettori dei piedi. Un atleta nomodotato ha una falcata quasi a regime già
dopo i primi 30-40m (2,5m) mentre per l’atleta protesizzato è minore nel tratto iniziale
(1,2 – 1,5m) e a regime arriva al massimo a 2,30 m. Nel secondo tratto l’atleta
amputato riesce a raggiungere una velocità di regime e negli ultimi due tratti, 200 –
300m e 300 – 400m riesce a mantenere la velocità raggiunta (rilevamenti fatti anche
dal Sig. Locatelli della IAAF). Quindi, un primo punto di acquisizione della corsa
andrebbe posto in uscita dai blocchi (8-10 telecamere che coprono i prima 15m e
due pedane per rilevare le forze scambiate al terreno), per arrivare agli altri punti di
acquisizione posti in prossimità dei 100m, 200m, 300m e a 20m dalla fine.
In corrispondenza di questi punti di acquisizione sarebbe interessate rilevare: il
lavoro muscolare (con elettrodi senza fili Zerowire), la cinematica della corsa, le forze
scaricate al terreno. Inoltre bisognerebbe rilevare il lattato in partenza e alla fine della
corsa e il consumo di ossigeno (VO2). Tutti questi dati vanno confrontati con i dati di
un campione simile a Pistorius, con gli stessi tempi in modo da poter confrontare
atleti dello stesso livello e con le stesse performance. Sarebbe interessante rilevare
questi dati durante l’intera gara dei 400m, ma anche in tratti parziali della corsa,
percorsi alla stessa velocità tenuta nei 400m.
26
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30. www.aurion.it
31. www.bts.it
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio l’ingegnere Daniele Bonacini per l’aiuto e il materiale offerto per realizzare
questa tesi, ma anche per avermi trasmesso la carica emotiva per affrontare questo
tipo di argomento, che solo una persona amputata può dare.
Ringrazio il “mio piccolo mondo” dell’atletica leggera e soprattutto le persone che mi
hanno seguito in questi anni, che mi hanno permesso di imparare molte cose e che
mi hanno aiutato a diventare quella che sono, perché l’atletica non insegna solo a
correre, ma insegna a vivere.