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195 RdT 47 (2006) 195-218 CH.P. VOGT CHRISTOPHER P. VOGT INTEGRARE LA GUERRA GIUSTA E LE VIRTÙ PER PROMUOVERE LA PACE: COMPASSIONE, RISPETTO PER LE PERSONE E MISURA DELLA PROPORZIONALITÀ Nelle ultime decadi del ventesimo secolo cL stato un dibattito signi- ficativo fra i teologi morali della Chiesa cattolica riguardante la percor- ribilità della dottrina tradizionale della guerra giusta 1 . Si discuteva se tale dottrina potesse essere sostenuta in una epoca di deterrenza nucle- are e una ascesa esponenziale della capacità distruttiva degli armamenti convenzionali 2 . Queste controversie non sono state in alcun modo ri- solte, tuttavia L evidente che la dottrina della guerra giusta ha dimo- strato una vitalità che lha sostenuta ben al di là dellepoca della sua profetizzata morte 3 . La permanente importanza della tradizione della guerra giusta fu evidente nel dibattito che ha preceduto linizio della guerra degli Stati Uniti, ed alcuni dei suoi alleati, contro lIraq nel marzo del 2003. I termini e i concetti della dottrina della guerra giusta emergevano in modo rilevante sia nei circoli politici secolari che fra i teologi morali 4 . 1 T. BAKKEVIG, «The Doctrine on Just War Relevance and Applicability», in Studia Theologica 37 (1983) 125-45. Non molto tempo dopo la caduta dellUnione Sovietica, J. Bryan Hehir affrontò nuovamente la questione riguardante la utilizzabilità della tradi- zione della guerra giusta. Egli concentrò la sua attenzione non sulla moralità della deter- renza nucleare, ma piuttosto sulla questione se i cambiamenti nel panorama geopolitico avessero superato o reso inapplicabile la teoria della guerra giusta. Egli inoltre investigò in modo completo se linsegnamento ufficiale della Chiesa cattolica avesse abbandonato la tradizione della guerra giusta in favore di un approccio piø pacifista. Cf J. BRYAN HEHIR, «Just War Theory in a Post-Cold War World», in Journal of Religious Ethics 20 (1992) 237-57. John Langan esaminò quanto la tradizione della guerra giusta fosse stata utile per una riflessione morale in riferimento alla prima guerra del golfo USA - Iraq. Cf «Just-War Theory After the Gulf War», in Theological Studies 53 (1992) 95-112. 2 Editoriale, «Coscienza cristiana e Guerra moderna», in La Civiltà Cattolica 142 (1991) 3-16. Una traduzione in inglese di W. Shannon L apparsa in Origins 21 (1991) 450-55. 3 Un eccellente testo che riprende la discussione circa la utilizzabilità della teoria della guerra giusta L in M.P. AQUINO - D. MIETH, «The Return of the Just War», in Concilium 2 (2001), SCM Press, London 2001. 4 J. LANGAN, «Should We Attack Iraq? The Simplicities of Vigilante Justice Cannot Achieve Lasting Goals», in America 187 (2002/6) 7-11. J. BRYAN HEHIR, «An Unneces- sary War», in Commonweal 130 (2003/6) 7-8. E. OBRIEN, «The Questions to Ask About an Invasion of Iraq», in Origins 32 (2002) 322-23. J. BRYAN HEHIR, «The New National Security Strategy», in America 188 (2003/12) 8-14.

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195RdT 47 (2006) 195-218 CH.P. VOGT

CHRISTOPHER P. VOGT

INTEGRARE LA GUERRA GIUSTA ELE VIRTÙ PER PROMUOVERE LA PACE:

COMPASSIONE, RISPETTO PER LE PERSONEE MISURA DELLA PROPORZIONALITÀ

Nelle ultime decadi del ventesimo secolo c�è stato un dibattito signi-ficativo fra i teologi morali della Chiesa cattolica riguardante la percor-ribilità della dottrina tradizionale della guerra giusta1. Si discuteva setale dottrina potesse essere sostenuta in una epoca di deterrenza nucle-are e una ascesa esponenziale della capacità distruttiva degli armamenticonvenzionali2. Queste controversie non sono state in alcun modo ri-solte, tuttavia è evidente che la dottrina della guerra giusta ha dimo-strato una vitalità che l�ha sostenuta ben al di là dell�epoca della suaprofetizzata morte3.

La permanente importanza della tradizione della guerra giusta fuevidente nel dibattito che ha preceduto l�inizio della guerra degli StatiUniti, ed alcuni dei suoi alleati, contro l�Iraq nel marzo del 2003. Itermini e i concetti della dottrina della guerra giusta emergevano inmodo rilevante sia nei circoli politici secolari che fra i teologi morali4.

1 T. BAKKEVIG, «The Doctrine on Just War � Relevance and Applicability», in StudiaTheologica 37 (1983) 125-45. Non molto tempo dopo la caduta dell�Unione Sovietica,J. Bryan Hehir affrontò nuovamente la questione riguardante la utilizzabilità della tradi-zione della guerra giusta. Egli concentrò la sua attenzione non sulla moralità della deter-renza nucleare, ma piuttosto sulla questione se i cambiamenti nel panorama geopoliticoavessero superato o reso inapplicabile la teoria della guerra giusta. Egli inoltre investigòin modo completo se l�insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica avesse abbandonatola tradizione della guerra giusta in favore di un approccio più pacifista. Cf J. BRYAN

HEHIR, «Just War Theory in a Post-Cold War World», in Journal of Religious Ethics 20(1992) 237-57. John Langan esaminò quanto la tradizione della guerra giusta fosse statautile per una riflessione morale in riferimento alla prima guerra del golfo USA - Iraq. Cf«Just-War Theory After the Gulf War», in Theological Studies 53 (1992) 95-112.

2 Editoriale, «Coscienza cristiana e Guerra moderna», in La Civiltà Cattolica 142(1991) 3-16. Una traduzione in inglese di W. Shannon è apparsa in Origins 21 (1991)450-55.

3 Un eccellente testo che riprende la discussione circa la utilizzabilità della teoriadella guerra giusta è in M.P. AQUINO - D. MIETH, «The Return of the Just War», inConcilium 2 (2001), SCM Press, London 2001.

4 J. LANGAN, «Should We Attack Iraq? The Simplicities of Vigilante Justice CannotAchieve Lasting Goals», in America 187 (2002/6) 7-11. J. BRYAN HEHIR, «An Unneces-sary War», in Commonweal 130 (2003/6) 7-8. E. O�BRIEN, «The Questions to Ask Aboutan Invasion of Iraq», in Origins 32 (2002) 322-23. J. BRYAN HEHIR, «The New NationalSecurity Strategy», in America 188 (2003/12) 8-14.

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In diverse occasioni il presidente George W. Bush cercò di giustificarele azioni della sua amministrazione riguardo l�azione militare invocan-do implicitamente i criteri della guerra giusta. In un discorso del 17marzo 2003 il presidente Bush deliberatamente affermò che la sua am-ministrazione aveva agito per giusta causa (in una autodifesa preventi-va, ed anche con l�obiettivo di proteggere una pace giusta nel medio-riente) e con l�autorità legittima (di difendere la sua sovranità contro gliattacchi terroristici e inoltre con l�autorità di fare rispettare le risolu-zioni delle Nazioni Unite 678, 687 e 1441)5. Egli inoltre evidenziò indiverse occasioni che non conosceva altra scelta per disarmare l�Iraqche l�uso della forza militare (per es. la guerra in questo caso esprime ilcriterio della ultima possibilità)6.

Nel frattempo negli ambienti teologici Michael Novak, intellettualecattolico e direttore degli studi sociali e politici dell�American Enterpri-se Institute, ebbe un incontro con funzionari Vaticani per sostenere ilpunto di vista della amministrazione Bush sulla legittimità della guerraamericana contro l�Iraq7. Novak affermava che la capacità dell�Iraq difornire ai terroristi armi di distruzione di massa metteva in essere unaimminente minaccia contro gli Stati Uniti. In una epoca in cui terrore edistruzione possono essere sferrati quasi istantaneamente in modo im-ponente, Novak asseriva che il possesso da parte dell�Iraq di armi didistruzione di massa era una minaccia così seria da giustificare un usopreventivo della forza per l�autodifesa. George Weigel, giornalista edanche intellettuale cattolico laico, usò una simile argomentazione nellepagine della rivista popolare cattolica First Things8. Né rappresentantiufficiali vaticani, né alcuni importanti teologi morali cattolici (a miaconoscenza) vennero convinti da questi argomenti. Ciò nondimeno l�usostesso della tradizione della guerra giusta nel dibattito portato avantisulla recente guerra in Iraq, stabilisce la necessità di una articolata ri-flessione morale su questa tradizione e sui modi in cui essa è applicata.Chiaramente, la tradizione della giusta guerra è la cornice operativa incui molti popoli con potere politico e militare cercano di rifletteremoralmente sulle relazioni internazionali e sull�uso di una forza morta-

5 «Il Presidente afferma che Saddam Hussein deve lasciare l�Iraq entro 48 ore: Sotto-lineature del Presidente nel discorso alla Nazione, The Cross Hall», The White House,Office of the Press Secretary, 17 marzo 2003, Washington. Ottenibile presso http://www.whitehouse.gov/news/releases/2003/03/print/20030317-7.html.

6 In un discorso a Cincinnati il Presidente Bush disse «Non abbiamo voluto questasfida, ma la accettiamo». Cf «President Bush Outlines Iraqi Threat» (Trascrizione),Washington: The White House, Office of the Press Secretary, 7 Ottobre 2002.

7 J. NORTON, «U.S. enlist Michael Novak to help defent concept of �preventive war�»,in Catholic News Service Report (14 gennaio 2003).

8 G. WEIGEL, «Moral Clarity in a Time of War», in First Things (2003) 20-27.

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le9. È importante che l�uso di questa tradizione da parte di accademici edei leaders politici riceva un esame continuo, attento e minuzioso.

Il fatto che la tradizione della guerra giusta sia stata usata da moltiper legittimare la guerra americana contro l�Iraq � una guerra che ilPapa Giovanni Paolo II e i vescovi degli Stati Uniti quasi unanimementeconsiderarono ingiusta � fa rinascere la domanda se la tradizione dellaguerra giusta sia moralmente utile e compatibile con il cristianesimo.Come Anthony Burke ha puntualizzato abbastanza provocatoriamente,«Dobbiamo rimanere sempre indifferenti al fatto che [gli effetti dellaretorica della guerra giusta] sono stati quelli di legittimare la guerra,discreditare la pace e identificare la giustizia con la violenza?»10. Burkeconclude che la tradizione della guerra giusta non è recuperabile e in-coraggia quelli che vogliono promuovere la pace ad abbandonare quelmodello in favore di uno nuovo (�la pace etica�). Una tale drasticamodifica non è ancora argomentabile. Tuttavia alcuni cristiani � inclusome stesso � che vorrebbero continuare ad appoggiare l�uso della tradi-zione della guerra giusta debbono fare dei passi per indicare i modi incui essa è stata male usata e manipolata tanto da facilitare piuttosto chescoraggiare il ricorso alla guerra.

In questo saggio voglio dapprima chiarire perché i cristiani che vor-rebbero continuare a difendere l�uso della tradizione della guerra giustadebbono iniziare a prestare attenzione al problema di chi sta utilizzandoquesta tradizione, e quale più ampio sistema di valori viene preso inconsiderazione nell�uso prudenziale delle categorie di guerra giusta. Lamia opinione è che la stessa tradizione della giusta guerra non può essereconsiderata uno strumento della etica cristiana a meno che non sia radi-cata entro una più ampia intelaiatura morale che sia profondamente ar-ricchita da una visione teologico cristiana. Dopo aver motivato questaaffermazione, esaminerò uno dei criteri della guerra giusta (la propor-zionalità) e mostrerò come tale criterio funzioni in maniera differentequando connesso a una visione cristiana, specificatamente quando colle-gato alla virtù cristiane della compassione e del rispetto delle persone.

1 LA TRADIZIONE DELLA GUERRA GIUSTA:UNA CORNICE PURAMENTE �SCHELETRICA�

La tradizione della guerra giusta è stata qualche volta presentatacome una teoria comprensiva, autosufficiente, che soprattutto richiede

9 J. BETHKE ELSHTAIN, «A Just War?», in Boston Globe 10 (2002).10 A. BURKE, «Just war or ethical peace? Moral discourses of strategic violence after

9/11», in International Affairs 80 (2004/2) 337-8.

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di essere applicata ai diversi casi particolari11. Tuttavia, come NicholasRengger ha puntualizzato, un esame dello sviluppo storico della tradi-zione della guerra giusta contraddice questo punto di vista. Essa non èstata concepita per reggersi da sola, come un gruppo di principi univer-sali, ma piuttosto si è evoluta come uno strumento della casistica cheera profondamente inserito in più comprensivo approccio della morali-tà12. In altre parole, in qualche misura un�epistemologia modernista èun�imposizione estranea alla tradizione della guerra giusta e questa im-posizione conduce a incomprensione sul corretto uso di quest�ultima.

Stanley Hauerwas propose una riflessione simile una decina di anniaddietro. Commentando l�uso della tradizione della guerra giusta perdifendere la prima guerra americana in Iraq, Hauerwas invitò i cristiania rendersi maggiormente conto del fatto che i criteri della guerra giustanon sono mai usati in astratto, ma piuttosto sempre in un contesto13. Lasua affermazione era che la validità morale delle conclusioni tratte daicriteri della guerra giusta dipendono pesantemente dai valori delle per-sone che utilizzano tali criteri. Per esempio, l�applicazione dei principidella guerra giusta assunse una connotazione cristiana nelle mani diPaul Ramsey che poté accogliere la tradizione della guerra giusta sol-tanto perché egli riteneva che essa sarebbe stata applicata in accordocon i vari valori non espressi che egli considerava come essenziali (adesempio, la santità inviolabile della vita umana innocente)14. Allo stessomodo, nelle mani di cinici capi politici che hanno a cuore soltanto gliinteressi della loro nazione, il criterio della guerra giusta non serve unriconoscibile proposito morale cristiano, ma piuttosto semplicementepromuove gli interessi dello Stato. Di conseguenza, non è sufficientechiedere se sono stati applicati i criteri della guerra giusta. Ci si devesempre domandare come essi sono stati applicati; si deve cercare dievidenziare quale impostazione morale ha informato le decisioni mora-li delle persone che usano la guerra giusta.

Posto il significato morale dei valori e dell�identità dell�agente mora-le nell�uso della tradizione della guerra giusta, è necessario specificarepiù chiaramente chi potrebbe usare questa tradizione in maniera pro-pria. George Weigel ha offerto una possibilità in merito. Egli ha descrit-

11 Anche la Conferenza episcopale dei vescovi americani è colpevole di ciò. Peresempio, nel Statement on Iraq quando scrive sulla difficoltà di determinare «comeapplicare le norme della guerra giusta in casi particolari».

12 N. RENGGER, «On the just war tradition in the twenty-first century», in Internatio-nal Affairs 72 (2002/2) 360-361.

13 S. HAUERWAS, «Whose Just War? Which Peace?» in D.E. DECOSSE (ed.), But Was itJust? Reflections on the Morality of the Persian Gulf War, Doubleday, New York 1992,86.

14 S. HAUERWAS, «Whose Just War? Which Peace?», cit., 91-2.

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to la tradizione delle guerra giusta come uno dei modi per forgiare loStato (statecraft). Egli scrive:

«I capi religiosi e gli intellettuali più noti sono chiamati a coltivare e svilup-pare le ricchezze moralfilosofiche della tradizione della guerra giusta. Latradizione in se stessa, tuttavia, esiste per servire gli uomini di Stato»15.

Per Weigel, l�applicazione autoritativa della tradizione della guerragiusta è nelle mani delle autorità politiche pubbliche che � egli afferma� hanno uno speciale «carisma di responsabilità» e sono «più pienamen-te informate sui fatti rilevanti»16. Pertanto Weigel afferma che i rappre-sentanti ecclesiali o i teologi che propongono giudizi specifici circa lalegittimità morale di un dato conflitto militare stanno oltrepassando ilimiti della loro competenza ed autorità17. Weigel estende la nozione diautorità legittima, che fa senza alcun dubbio parte della tradizione dellaguerra giusta, per proporre un�affermazione più comprensiva � che laChiesa e i comuni cittadini alla fine debbono rimettersi ai capi in quan-to concerne l�entrare in guerra.

Questo modello di applicazione della tradizione della guerra giustaè inaccettabile e contrario alla tradizione morale cattolica. Anche seWeigel è corretto nella sua affermazione che i capi politici hanno laresponsabilità ultima nel determinare se la loro nazione dovrà entrarein guerra, questo non equivale ad affermare che dobbiamo ritenere laloro decisione come moralmente corretta. Altrimenti, ciò significhe-rebbe dire che poiché la polizia ha legittimamente il diritto e il poteredi usare la forza, qualunque uso della forza esercitato da un rappresen-tate della legge (o approvato dal capo della polizia) deve essere consi-derato come autorizzato. Weigel ha confuso l�avere il potere di ingag-giare la guerra con quello di sapere se è giusto ingaggiarla. Dobbiamosoltanto pensare alla Germania nazista per vedere i pericoli che deriva-no da tale confusione.

Su un altro importante punto Weigel è corretto, in un senso moltolimitato, tecnico, ma in un modo che è fondamentalmente fuorviante.Weigel è dalla parte della ragione quando afferma che la tradizione dellaguerra giusta è un elemento necessario a forgiare lo stato (statecraft), main realtà è molto più di ciò. Come ha notato Michael Baxter, l�uso pasto-rale delle categorie della guerra giusta ha una storia molto più lunga.Dall�epoca di Agostino fino alla nascita dello Stato moderno, la tradizio-ne della guerra giusta è stata usata come mezzo per descrivere le condi-

15 G. WEIGEL, «Moral Clarity in a Time of War», cit., 27.16 Ib., 27.17 Weigel si riferisce qui al Catechismo della Chiesa Cattolica, par. 2309, dove si

afferma che è responsabilità del presidente giudicare con prudenza se sia il caso dientrare in guerra.

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zioni secondo cui i cristiani possono moralmente giustificare la loro par-tecipazione, nella forma di azioni violente, che chiaramente si opponealle «parole dure» del Vangelo18. Questo servì come risorsa per sviluppa-re linee guida per i confessori che dovevano determinare la colpevolezzadi un soldato e la gravità del suo peccato quando ritornava dalla guerra;questo servì come base per proibire di combattere la domenica e presu-mibilmente per proibire armi barbariche (ad esempio le balestre), com�èindicato nei codici medioevali di diritto canonico, e così via19. In questomodo, la tradizione della guerra giusta assunse una funzione pastoraledi assistenza del popolo di Dio nel valutare i suoi obblighi morali conriferimento al comportamento in guerra; pertanto, è enormemente ri-duzionistico invocare la tradizione della guerra giusta come strumentoper forgiare lo stato (statecraft). Si tratta di uno strumento da usare perassistere i leaders politici quando sono impegnati in affari internaziona-li, ma esso deve rimanere anche uno strumento che deve essere usatodagli intellettuali, dai responsabili ecclesiali e dai comuni cittadini nellavalutazione delle politiche dei loro capi politici. In entrambi i casi, se icristiani vogliono continuare a sostenere l�uso dei criteri della guerragiusta, essi devono insistere che chiunque usi questi criteri lo faccia inun modo che dipende dagli impegni morali cristiani fondamentali.

2 UN PRIMO MODESTO PASSO: RIPENSARECOME MISURARE LA PROPORZIONALITÀ

Che differenza farebbe insistere che i valori cristiani (come l�affer-mazione del valore universale di tutti gli esseri umani, la inviolabilitàdella vita umana innocente, e così via) incidono sull�uso che si fa dellatradizione della guerra giusta? Rispondere a questa domanda per ognu-no dei criteri della guerra giusta è un impegno eccessivamente ambizio-so per questo articolo. Pertanto la mia riflessione si focalizzerà soltantosu un criterio: la proporzionalità. Anthony Burke ed altri hanno indivi-duato nella proporzionalità «il tallone di Achille della teoria della guer-ra giusta», argomentando che le strategie di combattimento delle forzearmate americane in Iraq e in Afganistan «hanno ambedue messo a duraprova i limiti legali della proporzionalità ed evidenziato la sua totaleinadeguatezza etica»20.

18 M. BAXTER, «Just War Theory: For Statecraft or Pastoral Care?», pubblicato onlineda Pax Christii, USA 2004: http://www.paxchristiusa.org/news_events_more.asp?id=830.

19 ID., «Just War and Pacifism: A �Pacifist� Perspective in Seven Points», in HoustonCatholic Worker 24 (2004/3). Ottenibile presso http://www.cjd.org/paper/baxpacif.html.

20 A. BURKE, «Just war or ethical peace?...», cit., 342. Burke prende a prestito la frase«tallone di Achille» da Nicholas Wheeler. Vedi N. WHEELER, «Dying for �Enduring

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Ho scelto di focalizzare il mio interesse sulla proporzionalità nonsoltanto perché è stata pesantemente criticata, ma piuttosto per la suacentralità nella tradizione della guerra giusta. Di fatto, senza il principiodi proporzionalità come una delle sue parti costitutive, l�idea di una guerragiusta cessa di avere moralmente senso. Allo stesso tempo, chiunqueabbia familiarità con la tradizione della guerra giusta sarebbe d�accordonell�affermare che il principio di proporzionalità è vago, guidandoci sol-tanto verso un grossolano rapporto di bilanciamento tra i beni e i mali.Di conseguenza, la mia precedente affermazione che l�applicazione deiprincipi della guerra giusta dipende pesantemente dall�abilità degli attoricoinvolti di comprendere i benefici e i danni in gioco e di valutare benequanto riguarda la loro relativa importanza, è estremamente rilevanteper il criterio di proporzionalità. Nonostante il fatto che l�applicazionedella proporzionalità è impossibile senza un modo di ragionare pruden-ziale, coloro che difendono e considerano opportuna la tradizione dellaguerra giusta hanno offerto una guida molto limitata circa il processospecifico di decisione che coloro che hanno ricevuto legittimamente l�au-torità dovrebbero porre in essere quando riflettono sull�uso della forza.

Nella restante parte di questo studio, inizierò con lo stabilire che laproporzionalità non può essere considerata da sola come principio. Sitratta di un principio su basi dialogiche che dipende dalla prudenza. Inseguito, specificherò quali valori debbono essere alla base della applica-zione prudenziale del principio di proporzionalità, se questo debba ser-vire gli obiettivi più ampi della visione cattolica della pace e di un giustoordine mondiale21. Ciò che si richiede qui è una riflessione su come

Freedom�: Accepting responsibility for civilian casualties in the war against terrorism»,in International Relations 16 (2002/2) 209.

21 Per una recentissima riaffermazione del Papa su questa prospettiva vedere GIOVAN-NI PAOLO II, «Pacem in Terris: A Permanent Commitment», in America 188 (2003/4) 18.Drew Christiansen, S.I., ha scritto molto di recente su come la tradizione della guerragiusta debba essere vista come una componente di una più ricca teologia cristiana dellapace. Vedere «Whither the �Just War�?», in America 188 (2003/10) 7-11. Altrove egliha fornito una descrizione molto lucida degli sviluppi dell�insegnamento cattolico uffi-ciale sulla guerra e sulla pace, argomentando che la tradizione della guerra giusta haancora uno spazio sicuro nel pensiero morale cattolico sull�uso della forza, ma che ilPapa Giovanni Paolo II ha insistito affermando che le esigenze connesse alla promozio-ne della pace e gli imperativi evangelici contro la guerra debbono moderare l�uso diquesta tradizione. L�insegnamento ufficiale ha sempre più insistito sulla priorità dellanon violenza sia nel caso degli individui che nella politica pubblica mentre ancora per-mette l�uso della forza in casi eccezionali (specialmente dove l�intervento militare siarichiesto per proteggere innocenti dal massacro certo). Vedi D. CHRISTIANSEN, «AfterSept. 11: Catholic Teaching on Peace and War», in Origins 32 (2002) 33-40. Lisa SowleCahill ha fornito una utile analisi della relazione fra la riflessione sulla guerra giusta e ifiloni più pacifisti della riflessione morale cristiana. Ella situa il Papa Giovanni Paolo IImolto più fermamente entro la tradizione della guerra giusta malgrado la sua indubita-

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ognuno, considerando la moralità di un dato conflitto, possa raggiunge-re una comprensione adeguata dei costi morali della guerra. Non sto quiparlando della adeguatezza di una informazione intelligente (benchéanche questo sia importante), ma piuttosto mi chiedo cosa significa co-noscere veramente i costi (inflitti ai soldati ed ai civili nemici) della deci-sione di iniziare una guerra. Fino a che punto si può affermare che chi èresponsabile di lanciare un attacco militare comprende le conseguenzedella propria od altrui decisione in modo sufficiente per decidere la guer-ra? Cosa costituisce una sufficiente conoscenza da parte dei comuni cit-tadini nel loro sforzo di discernere se essi debbono opporsi alla guerrasu basi morali (sia politicamente che mediante l�obiezione di coscienza)?

Rispondendo a queste domande proporrò due punti principali. Pri-mo, dal punto di vista di una prospettiva cristiana, il ragionamento pru-denziale sarà insufficiente a meno che il rispetto per le persone e la com-passione non agiscano come virtù associate all�applicazione della pru-denza. Senza il rispetto per le persone e la compassione, una vera cono-scenza morale della proporzionalità è impossibile. Secondo, quando siconsidera la proporzionalità, l�uso di un modo di ragionare prudenzialedeve unirsi allo sforzo di conoscere i costi della guerra a livello emotivo.Diana Fritz Cates è stata molto di aiuto esaminando l�importanza delconoscere e riconoscere le emozioni nel caso del discernimento moraleriguardante l�aborto. Propongo che una simile argomentazione possa es-sere utilizzata a proposito della decisione riguardante la guerra; non sipuò valutare in modo adeguato il criterio della proporzionalità nella guerragiusta senza prendere in considerazione le implicazioni a livello emotivo.

3 PROPORZIONALITÀE INDISPENSABILITÀ DELLA PRUDENZA

Il 13 settembre del 2002 il vescovo Wilton D. Gregory scrisse perincarico della Conferenza dei vescovi cattolici degli USA al presidenteGeorge W. Bush per esprimere le preoccupazioni del Comitato ammini-strativo della Conferenza sull�uso della forza militare americana control�Iraq22. In quella lettera il vescovo Gregory richiamò l�attenzione delpresidente Bush sui criteri tradizionali della Chiesa sulla guerra giusta

bile enfasi sulla priorità della non violenza attiva. Ella ritiene che il suo orizzonte com-plessivo nell�affrontare la questione della guerra e dell�uso della forza abbia una affinitàmolto maggiore con il pensiero sulla guerra giusta dell�Aquinate e di John CourtneyMurray piuttosto che con il pensiero pacifista di Dorothy Day, Thomas Merton edaltri. Vedere L. SOWLE CAHILL, «Theological Contexts of Just War Theory and Pacifism:A Response to J. Bryan Hehir», in Journal of Religious Ethics 20 (1992) 259-65.

22 W.D. GREGORY, «Statement on Iraq», in Origins 32 (2002) 406-8. La Dichiarazioneè ottenibile anche on line presso www.nccbuscc.org.

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che includono la proporzionalità. Egli ammoniva che l�uso della forza«non deve produrre mali e disordini più gravi del male che deve essereeliminato»23. Sviluppando questo concetto, il vescovo Gregory pose unaserie di domande al presidente e al popolo americano nel suo complesso(un uditorio implicito nel caso di un documento diffuso pubblicamentecome questo). Egli chiese se un attacco non potesse favorire proprio iltipo di attacco terroristico che la guerra che si era iniziata avrebbe dovu-to prevenire. Egli chiese se il popolo iracheno non avrebbe potuto soffri-re gravemente e se un attacco non potesse distruggere la pace e la stabi-lità in tutta la regione. Di conseguenza, la lettera faceva emergere il pro-blema della proporzionalità, ma non dava risposte definitive alla do-manda se in una analisi finale una azione militare avrebbe prodotto malie disordini più gravi di quelli perpetrati dal regime di Saddam Hussein.

Nella lettera del vescovo Gregory appare evidente come egli e la Con-ferenza dei vescovi da lui rappresentata credevano che un attacco con-tro l�Iraq non superasse la prova della proporzionalità; immediatamentedopo la serie di domande succitate, il vescovo Gregory scrisse: «la no-stra opinione su queste questioni ci porta a raccomandare la necessitàche la nostra nazione e il mondo continuino a ricercare attivamentealternative alla guerra nel Medio Oriente»24 . Dato per scontato che unaschiacciante maggioranza dei membri della conferenza episcopale avevaconcluso che l�azione contro l�Iraq non avrebbe superato la prova dellaproporzionalità, si deve notare tuttavia che essi scelsero di presentare leloro argomentazioni in maniera interrogativa. Questo stile indica unimplicito riconoscimento del fatto che su una materia come questa, èpossibile che persone di buona volontà siano in disaccordo25. Nel pre-sentare le loro argomentazioni sotto forma di una serie di domandepuntuali, i vescovi furono capaci di fare emergere problematiche moralirilevanti e sottolineare le loro preoccupazioni in modo tale da coinvol-gere contemporaneamente persone con opinioni differenti a propositodi un contenzioso come quello riguardante un intervento militare26.

23 Qui il vescovo Gregory cita il catechismo. Cf Catechismo della Chiesa Cattolica,Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1992, n. 2309.

24 W.D. GREGORY, «Statement on Iraq», cit. Cf il paragrafo con l�intestazione «Normsgoverning the conduct of war».

25 Il Vescovo Gregory fa questa esplicita affermazione in una lettera più recente. Talelettera afferma: «Come pastori e maestri comprendiamo che non ci sono risposte facili.Le persone di buona volontà potrebbero avere opinioni diverse su come applicare lenorme tradizionali in questa situazione». Cf «Statement on Iraq», rilasciata il 26 Feb-braio 2003 come riportato da Catholic News Service. Per il testo completo vederewww.nccbuscc.org.

26 Questo metodo di coinvolgimento pubblico è d�accordo con i principi stabiliti daivescovi cattolici degli Stati Uniti d�America nel guidare il loro approccio nell�affrontare

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Questo approccio interrogativo o dialogico alla proporzionalità ri-vela qualcosa di come le norme della tradizione della guerra giusta sonostate tipicamente comprese ed applicate. Ciò significa affermare che latradizione dipende pesantemente dalla prudenza dei capi politici. Giàda vari secoli la formula grezza della proporzionalità è stata articolataconsistentemente e con convinzione da diversi pensatori appartenentialla tradizione della guerra giusta: il male della guerra non deve supera-re il valore e l�importanza dei beni che si vogliono proteggere iniziandouna guerra. Tuttavia, cosa costituisca esattamente una specifica viola-zione di quel principio è restato consistentemente sotto un velo di in-certezza. Il lavoro di William V. O�Brien fornisce un bell�esempio delfenomeno: chiara formulazione e vaga applicazione. Nel suo libro TheConduct of Just and Limited War, egli definisce chiaramente i terminidella proporzionalità come la necessità di assicurare che «il bene chedeve essere raggiunto attraverso la guerra chiede di essere proporzio-nato al male che risulta dalla guerra». Tuttavia, subito dopo egli conti-nua affermando che il criterio chiave della proporzionalità è la ragione-volezza e pertanto la sua valutazione dipenderà sempre dal contestodella specifica situazione27. Pertanto, diventa difficile fare affermazionigenerali riguardanti l�applicazione del principio28.

Ciò che diventa evidente è che il criterio della guerra giusta in gene-rale e della proporzionalità in particolare non sono sufficientementeconsistenti per reggersi da soli29. La grossolana veridicità del principio

i problemi di pubblico interesse. Cf «Faithful Citizenship: A Catholic Call to PoliticalResponsibility», http://www.usccb.org/faithfulcitizenship/bishopStatement.html. La di-chiarazione venne scritta in occasione delle elezioni presidenziali del 2004.

27 W.V. O�BRIEN, The Conduct of Just and Limited War, Praeger, New York 1981, 41.28 Non è solamente l�importanza del contesto che rende difficile misurare la propor-

zionalità. La vera natura dei benefici e dei danni da valutare rende difficile misurare laproporzionalità. Brian Orend, a partire dal pensiero di Michael Walzer, coglie benequesta difficoltà quando scrive: «Non possiamo in nessun modo utilizzare la matemati-ca nel pronunciare tali giudizi di proporzionalità. Come si può misurare il valore del-l�indipendenza di un paese paragonandolo al valore di sconfiggere un regime aggressi-vo? Come possiamo pretendere di misurare sulla stessa scala di valori e i benefici dellosconfiggere una aggressione a confronto con il numero delle perdite umane necessarioper ottenerlo?». Cf B. OREND, Michael Walzer on War and Justice, McGill-Queen�s Uni-versity Press, Montreal 2000, 100. Per la personale elaborazione del punto di vista diWalzer su questo argomento, vedere la prefazione riveduta in Just and Unjust Wars 2nd

Ed., Basic Books, New York 1991, XV-XXI.29 James Childress suggerisce che i criteri della guerra giusta rimangono utili come

cornice per più significative discussioni su guerre particolari, ma mette in guardia sulfatto che la tradizione della guerra giusta non può funzionare da sola come una «solida»teoria morale adesso che le convinzioni condivise dai cristiani sulla giustizia che nelpassato costituivano la base di tale teoria non sono più condivise universalmente. Lateoria della guerra giusta dipende dalle diverse solide concezioni della giustizia presenti

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della proporzionalità prende forma reale soltanto se combinata alla pru-denza di un particolare uomo di stato e a una visione più ampia dellamoralità e giustizia che ne guidi il processo decisionale30. Alla luce diquesto fatto, i cristiani che volessero sostenere l�uso prolungato del cri-terio della guerra giusta dovranno andare oltre la pura e semplice reite-razione della logica grossolana della proporzionalità per affrontare conmaggiore profondità il problema di come quei criteri debbano essereapplicati con prudenza31. È necessario specificare quali virtù e quali va-lori debbano permeare il processo deliberativo riguardante una guerra.

4 LE VIRTÙ CHE RIGUARDANO L�OPERAREPER LA PACE: ESSENZIALI PER ILRAGIONARE CRISTIANO PRUDENZIALE

Nel decimo anniversario della loro lettera pastorale, The Challengeof Peace: God�s Promise and Our Response, la Conferenza episcopaledei vescovi cattolici degli Stati Uniti pubblicò il documento The Har-vest of Justice is Sown in Peace nel quale riflettevano sul loro documen-to precedente, su cosa era stato realizzato e su cosa richiedeva una at-tenzione ulteriore32. Di particolare interesse per i vescovi era ciò cheessi percepivano essere un prolungato evitare sforzi positivi destinati apromuovere la pace così come un diffuso fallimento nel raggiungerequello che essi definivano «la spiritualità e l�etica dell�operare per lapace». I vescovi citarono diverse «virtù capaci di promuovere la pace»

negli agenti che applicano tali criteri. In una società pluralista ciò si traduce in un ampiospettro di opinioni su come questi criteri debbano essere prudentemente applicati. J.CHILDRESS, «Just War Criteria», in R.B. MILLER (ed.), War in the Twentieth Century:Sources in Theological Ethics, Westminster-John Knox Press, Louisville 1992, 368.

30 Stanley Hauerwas sostiene questo argomento quando afferma che il criterio dellaguerra giusta non esiste in astratto ma piuttosto è sempre radicato in un particolarecontesto. Questa è una delle ragioni del perché Hauerwas è molto scettico sull�uso diquesti criteri. Egli afferma che Paul Ramsey poteva sostenere l�uso del criterio dellaguerra giusta solo perché riteneva che gli Stati Uniti non avrebbero mai intenzional-mente preso di mira ed ucciso degli innocenti. Hauerwas si domanda implicitamente sel�uso di questi criteri possa essere moralmente tollerabile nelle mani di chi non ricono-sce la necessità di una tale proibizione assoluta. Cf S. HAUERWAS, «Whose Just War?Which Peace?», in D.E. DECOSSE (ed.), But Was it Just? Reflections on the Morality ofthe Persian Gulf War, Doubleday, New York 1992, 86-92.

31 James Childress pone questa sfida quando lamenta che i teologi e i filosofi nonhanno prestato maggiore attenzione all�applicazione dei criteri della guerra giusta. Ve-dere J. CHILDRESS, «Just War Criteria», cit., 364.

32 USCCB, The Harvest of Justice is Sown in Peace (17 novembre 1993), NCCB-USCC, Washington. Questo documento e la precedente lettera pastorale sono rintrac-ciabili in http://www.nccbuscc.org.

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che debbono essere perseguite da individui e da comunità se la pacedeve cominciare a diventare una realtà concreta: fede, speranza, corag-gio, compassione, pazienza, perseveranza, civiltà e carità.

Prima di discutere ciascuna di queste virtù specifiche, è necessarioinnanzitutto sottolineare che i vescovi intendono le suddette virtù solocome uno sviluppo personale spirituale o una devozione privata. Nellasezione che immediatamente precede la loro discussione sulle virtù ca-paci di promuovere la pace, i vescovi scrivono: «Per sua stessa natura ildono della pace non è limitato ai momenti di preghiera. Esso cerca diraggiungere gli angoli più remoti della vita di ogni giorno e di trasfor-mare il mondo»33. In altre parole, i vescovi stanno stabilendo che c�èuna responsabilità nel perseguire le virtù che consente di promuoverela pace non semplicemente negli affari interpersonali della vita privatadi ognuno, ma anche nell�arena pubblica e politica in cui il mondo vie-ne trasformato.

In seguito, la rilevanza delle virtù capaci di promuovere la pace nellasfera pubblica è ulteriormente chiarita ed enfatizzata nel documento TheHarvest of Justice quando i vescovi evidenziano l�importanza della nonviolenza. Essi scrivono che la non violenza non deve essere semplice-mente vista come un impegno personale. Al contrario, essi suggerisconoche una resistenza attiva non violenta dovrebbe essere intrapresa comenecessità di politica pubblica. Essi non giungono al punto di affermareche la resistenza non violenta dovrebbe sostituire l�uso giusto della forzamilitare, ma essi suggeriscono che le autorità pubbliche hanno l�obbligodi promuovere mezzi non violenti di promozione della giustizia e risolu-zione dei conflitti prima di iniziare a considerare il ricorso alla forza34.

Quello che tutto questo rende evidente è che oggi la tradizione dellaguerra giusta deve essere vista entro un più ampio contesto dell�inse-gnamento cattolico sull�uso della forza. La guerra giusta non deve esse-re considerata come il (solo) mezzo a cui ricorrere per portare un certomaggiore ordine nell�universo spesso caotico degli affari internaziona-li35. La validità della tradizione della guerra giusta e dei suoi criteririmane intatta, ma deve essere usata come parte di quella visione moltopiù ampia riguardante la necessità di promuovere la pace e la giustizianel mondo. La tradizione della guerra giusta deve essere usata in ma-niera tale da integrare la comprensione cattolica della necessità di per-

33 Cf la sezione immediatamente precedente «A Virtues and a Vision for Peacemakers».34 Le esatte parole usate sono che gli impegni per perseguire mezzi non violenti

«innalzano il limite per un ricorso alla guerra». Cf la sezione 5 del paragrafo appenaprecedente «Just war: new questions».

35 Ciò è contro Weigel che limita la questione a se ci trovassimo di fronte a una sceltafra caos totale e amoralità nella sfera delle relazioni internazionali o l�uso della tradi-zione della guerra giusta.

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seguire attivamente la non violenza, promuovere la solidarietà univer-sale e l�universalità del bene comune, e la ricerca di virtù capaci dipromuovere la pace. Di conseguenza, perfino quando fanno ricorsoalla tradizione della guerra giusta e considerano la possibilità di usare laforza militare, i cristiani debbono entrare in tale discernimento sotto laguida di queste virtù capaci di promuovere la pace. Le categorie dellaguerra giusta e dell�impegno cattolico per promuovere la pace non do-vrebbero operare ciascuna in un proprio universo parallelo.

Quello che voglio mettere in luce è semplicemente un modo in cui latradizione della guerra giusta potrebbe cessare di agire in maniera indi-pendente da una più ampia visione cattolica di promozione della pace.Propongo che le virtù capaci di promuovere la pace, quali il rispetto pergli altri (o riconoscimento della dignità umana universale) e la compas-sione, devono diventare operative nel decidere sulla proporzionalità, sequesta continua a rimanere un concetto od un criterio che i cristiani pos-sono approvare. Per misurare la proporzionalità è necessario conoscere icosti della guerra e determinare se questi costi debbono essere sostenutinel ricercare beni morali più significativi. Non possiamo conoscere vera-mente i costi della guerra senza le virtù del rispetto e della compassione.

Naturalmente, non ho l�intenzione di suggerire in nessun modo chesoltanto la pratica di queste due virtù sarà sufficiente per discerneresulla proporzionalità o la complessiva giustezza di un conflitto militare.Sono essenziali tutte le virtù e di fatto la intera visione riguardante lapace che è stata sviluppata nella Dottrina Sociale Cattolica. Nella di-scussione che segue, presumo che considerazioni di giustizia, coraggio,pazienza, perseveranza e così via debbono essere in gioco quando siconsidera la misura della proporzionalità o di qualunque altro criteriodella guerra giusta. Ho enfatizzato il rispetto per le persone e la com-passione poiché è mia opinione che sono stati largamente ignorati. Aquesto articolo dovrebbe far seguito un ulteriore studio per chiarire inmodo più approfondito come le virtù che qui presento debbano essereintegrate con tutte le altre virtù cristiane.

5 AFFERMANDO LA DIGNITÀ UMANAUNIVERSALE: LA VIRTÙ DEL RISPETTOPER LE PERSONE

Uno dei valori significativi dell�insegnamento sociale cattolico è l�af-fermazione della dignità di ogni persona umana36. Affermare il concet-

36 Per un riassunto conciso delle implicazioni sociali dell�insegnamento della Chiesasulla dignità umana ed alcuni altri pertinenti riferimenti consultare il PONTIFICIO CONSI-GLIO GIUSTIZIA E PACE, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria EditriceVaticana, Città del Vaticano 2004, specialmente i numeri 105-14 e 132-34.

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to della universale dignità umana è riconoscere che ogni essere umanoè titolare di diritti umani fondamentali, che ha diritto alla vita e che lasua sofferenza e la sua morte dovrebbero essere motivo di valutazionemorale. Se dovessimo tradurre il sostegno al concetto della dignità umanain termini di virtù, potremmo dire che questo valore si esprime nellavirtù del rispetto per le persone. Mostrare un rispetto appropriato perla ricchezza morale degli altri esseri umani significa agire virtuosamen-te. Diana Fritz Cates ha presentato una riflessione molto ampia e arti-colata sulla virtù del rispetto che vale la pena citare in modo esteso:

«È una attitudine capace di riconoscere nelle persone un profondo valoremorale e spirituale, e di sperimentare questo valore a livello emotivo. È un�at-titudine capace di avvicinarsi alle persone con cautela, ponendosi di fronte aloro con attenzione morale e forse anche a una certa distanza da loro per-mettendo una certa privacy ed una libertà di azione nell�esercizio delle loroazioni morali, e con ciò rispettando lo spazio morale separato e inviolabileche essi occupano come soggetti personali. È un�attitudine capace di blocca-re i nostri impulsi ad ignorare le persone, sbarazzarsi di loro, controllarle, oin altri modi usarle come semplici mezzi per i nostri scopi. Il rispetto è, allostesso tempo, un�attitudine capace di accogliere e di rispondere alle personeche sono fondamentalmente come noi e pertanto condividono la stessa basemorale. È un�attitudine capace di avvicinarsi agli altri con l�appassionatointeresse di proteggere i diritti fondamentali e le responsabilità che appar-tengono a noi tutti per il semplice motivo che siamo persone»37.

In poche parole, la virtù del rispetto è l�attitudine morale capace diriconoscere e procurare ciò che è dovuto agli altri a partire dalla nostracomune dignità umana.

Nel contesto della guerra e dell�uso della forza militare, l�universali-tà della virtù del rispetto delle persone diventa particolarmente impor-tante. La guerra è la quintessenza delle situazioni in cui siamo tentati diignorare le persone o disporre di loro o spesso di considerare comebene la loro eliminazione. La virtù del rispetto chiede che noi ricono-sciamo che tutte le persone � anche i nemici sia civili che militari � sonofondamentalmente come noi (cioè esseri umani) e pertanto dotate divalori morali e spirituali sostanziali. Nel momento in cui è unita allavirtù del rispetto per le persone, la prudenza non potrà perdonare unmetodo di misura della proporzionalità che consideri la vita dei nemici,soldati e civili, come non rilevante.

Sfortunatamente è stato evidente almeno nelle prime fasi della pre-sente guerra in Iraq che l�amministrazione Bush non era interessata adattuare questo livello di conoscenza morale e non aveva nessun verointeresse nel determinare se la propria campagna militare potesse supe-rare la prova di proporzionalità in bello. La strategia americana del

37 D. FRITZ CATES, «Caring for Girls and Women Who Are Considering Abortion:Rethinking Informed Consent», in ID. - P. LAURITZEN (edd.), Medicine and the Ethics ofCare, Georgetown University Press, Washington 2001, 170.

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«colpire e intimorire» destinata ad impaurire una sopraffatta forza mi-litare irachena, inducendola a una sollecita capitolazione, richiese unamassiccia offensiva militare. È discutibile o anche dubbio che questofosse un uso proporzionato della forza militare38. Ciò che turba di più,tuttavia, è il fatto che non vi sia alcuna evidenza che l�amministrazioneBush non abbia neppure preso in considerazione la domanda se il mas-sacro dell�esercito iracheno fosse un mezzo proporzionato per realizza-re i propri obiettivi (o in ultima istanza se tale massacro fosse avvenutoo invece l�esercito iracheno si fosse «squagliato» o scomparso come al-cuni ufficiali del Pentagono avevano suggerito).

Di fatto, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non fecero alcuno sforzoper accertarsi della ampiezza della devastazione dei loro attacchi inizia-li. Nesssuno dei due governi ebbe la volontà di fornire anche solo stimegrossolane del numero di soldati o civili iracheni uccisi durante la cosìdetta fase attiva del conflitto militare39. I capi militari affermarono ca-tegoricamente che essi erano preoccupati soltanto dalla consistenza dellerimanenti forze attive irachene; il numero dei morti non li interessavain alcun modo40. In una guerra ad alta tecnologia come l�invasioneamericana dell�Iraq, era possibile per i soldati e i comandanti militarieliminare completamente un intero esercito senza avere alcun indiziodi quanti soldati nemici fossero stati uccisi nel processo41.

38 I vescovi cattolici degli U.S.A. hanno scritto che «le strategie richieste per l�uso diuna forza schiacciante e decisiva possono sollevare problemi circa la proporzionalità ela discriminazione [...]. Gli sforzi per ridurre i rischi che dipendono dalle forze dellapropria nazione debbono essere limitati da giudizi attenti alle necessità militari e capacidi non trascurare i diritti dei civili e dei militari avversari». È importante sottolineareche i vescovi considerano l�uso di una forza schiacciante come moralmente dannosonon soltanto perché i civili possono essere più facilmente vittime del fuoco incrociatoma anche perché esso è potenzialmente una violazione dei diritti e della dignità deimilitari nemici. USCCB, Harvest of Peace, sezione 6.

39 J.M. BRODER, «A Nation at War: The Casualties: Number of Iraqis Killed MayNever be Determined», in New York Times, 10 Aprile 2003, B1. Si dovrebbe notare cheil numero dei morti era ben lungi dall�essere poco rilevante. Broder riporta che unanonimo militare americano disse che «Nei bombardamenti delle differenti divisioni ladistruzione era terrificante. Intere divisioni furono distrutte. Molti tornarono a casa,ma molti vennero uccisi». In un altro attacco il comando principale U.S.A. stimò che da2000 a 3000 militari iracheni vennero uccisi in un combattimento di tre ore a Bagdadda parte di una divisione corazzata U.S.A.

40 J.M. BRODER, «A Nation at War: The Casualties; U.S. Military has no Count ofIraqi Dead in Fighting», cit., B3.

41 Un interessante argomento, troppo complicato per essere affrontato qui, è comele armi tecnologicamente sofisticate e gli strumenti altamente tecnologici usati dagliStati Uniti per gestire i campi di battaglia hanno avuto un profondo effetto su come isoldati americani hanno fatto esperienza delle realtà della guerra, cosa che a sua voltaha influenzato la valutazione dei capi politici e dei cittadini della nazione su come le

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6 COMPASSIONE E PROPORZIONALITÀ:CONOSCERE LA SOFFERENZADEGLI ALTRI IN GUERRA

Strettamente legata alla virtù del rispetto per le persone è la virtùdella compassione. Come ha fatto a proposito del rispetto per le perso-ne, Diana Fritz Cates ci offre una ancor più concisa definizione di que-sta virtù:

«Compassione è l�attitudine capace di accorgersi di coloro che stanno sof-frendo e di avvicinarsi a loro con apertura e pienezza di attenzioni tali darenderci capaci di sperimentare elementi della loro sofferenza come partedella nostra. È l�attitudine capace di rispondere, in parte a motivo dellaesperienza comune di sofferenza, in maniera tale da alleviarla»42.

Compassione è una attitudine che chiede di imparare a vedere esentire in modo particolare. Diventare compassionevole richiede lavolontà di percepire la sofferenza che altri debbono sopportare; di fat-to, è un�attitudine capace di imparare attivamente a vedere la sofferen-

loro tattiche militari superano il test della proporzionalità. James Der Derian ha forni-to una avvincente analisi degli effetti della tecnologia sui modi in cui i soldati si prepa-rano alla guerra e fanno esperienza del combattimento. Le forze militari americanehanno ora la capacità di mettere in atto una guerra mediante un telecomando a distan-za, se ciò esistesse. I comandanti di battaglia monitorizzano la situazione a distanza disicurezza usando il rilevamento con i computer e la video sorveglianza. Le truppecoinvolte nel combattimento adesso spesso combattono a notevole distanza dal nemi-co. Le perdite umane non sono inflitte affrontando faccia a faccia il soldato nemico esparandogli; al contrario, oggi si uccide da lontano per via aerea e mediante attacchicon mezzi blindati confermati da controllo remoto con i computer. Le conseguenzemorali di questo metodo di ingaggio possono essere profonde. Come fa notare DerDerian, «Nella preparazione simulata e nell�esecuzione virtuale della guerra, c�è unalto rischio che si impari a uccidere ma non ad assumerne la responsabilità; uno speri-menta la �morte� ma non le sue tragiche conseguenze». L�ascesa dell�insurrezione ira-chena è anticipata dall�analisi di Der Derian, la cui applicabilità in questo caso è discu-tibile. Tuttavia il suo pensiero resta rilevante per ponderare su futuri conflitti. J. DER

DERIAN, Virtuous War: Mapping the Military-Industrial Media Entertainment Network,Westview, Boulder (CO) 2001. Per una più serrata presentazione su questo argomentocome l�ho qui descritto vedere J. DER DERIAN, «Virtuous War / Virtual Theory», inInternational Affairs 76 (2000) 771-88.

42 D. FRITZ CATES, «Caring for Girls�», cit., 170. Per una molto più profonda tratta-zione della virtù della compassione, vedere il libro eccezionale di D. FRITZ CATES, Cho-osing to Feel: Virtue, Friendship and Compassion for Friends, University of Notre DamePress, Notre Dame 1997. Per una trattazione più concisa sull�argomento della compas-sione vedere P. WADELL, «Compassion», in C. STUHLMUELLER (ed.), Collegeville PastoralDictionary of Biblical Theology, Liturgical Press, Collegeville (MN) 1996, 157. Per unapiù ampia articolazione della mia comprensione della virtù della compassione, vederePatience, Compassion, Hope and the Christian Art of Dying Well, Rowman & Little-field, Lanham (MD) 2004.

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za. Inoltre, la compassione richiede di cominciare a condividere quellasofferenza, o come sottolinea Cates di «condividerne l�esperienza» («co-experience»).

Nel contesto della misura della proporzionalità, perseguire la virtùdella compassione richiede ben più che riconoscere semplicemente ilvalore morale e la dignità dei nemici, soldati o civili. La compassionerichiede che uno effettivamente condivida la sofferenza di tutte le vitti-me di ogni guerra che si intraprenda.

Per comprendere il pieno significato della mia affermazione, che levirtù della compassione e del rispetto per le persone devono guidare ilragionamento prudenziale nella misura della proporzionalità, è neces-sario vederle come virtù che sono operative non soltanto a livello in-tellettuale ma anche in quello emotivo43. Ricordo che nella definizionedel rispetto per le persone citata in precedenza questa virtù richiedenon soltanto il riconoscimento razionale, cognitivo che le altre perso-ne hanno un valore non misurabile, ma anche «di sperimentare questovalore a livello emotivo». Manca qualcosa nella nostra ricerca di com-passione e rispetto per gli altri se manchiamo dell�essere toccati inte-riormente al punto di provare emozioni in qualche modo, come risul-tato della nostra pratica di queste virtù. Alimentare queste virtù nonimplica soltanto pensare ed agire rettamente, ma anche sviluppare di-sposizioni emotive adeguate verso gli altri. Infatti, falliremmo nell�in-tento di pensare ed agire con compassione se perseguissimo questevirtù in una maniera emozionalmente sterile, razionalistica. Senza unacomponente emotiva, non si può veramente affermare di conoscere ocomprendere i danni in gioco nella decisione di ognuno a favore ocontro la guerra.

È importante riconoscere che la virtù della compassione è non sol-tanto razionale ma anche emotiva, perché un crescente corpus dellaletteratura etica ha chiarito come l�esperienza emotiva sia una dimen-sione chiave della conoscenza morale44. In un articolo iniziale su questoargomento, J. Giles Milhaven partì da una esperienza personale peraffermare che il giudizio morale tende «ad essere incompleto, eccessi-

43 Permettetemi di sottolineare che non sto sostenendo un modo strettamente emo-tivo di prendere una decisione, ma piuttosto uno che includa ambedue: la componenterazionale e quella emotiva. Ho accentuato qui la dimensione emotiva poiché i modistrettamente razionali di prendere delle decisioni hanno avuto una sproporzionata im-portanza nel passato.

44 D. FRITZ CATES, «The Religious Dimension of Ordinary Emotions», in Journal ofthe Society of Christian Ethics 25 (2005) 35-53. M. NUSSBAUM, Upheavals of Thought:The Intelligence of Emotions, Cambridge University Press, New York 2001. Per un�utileanalisi su questo lavoro vedere D. FRITZ CATES, «Conceiving Emotions: Martha Nus-sbaum�s Upheavals of Thought», in Journal of Religious Ethics 31 (2003/2) 325-41.

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vamente astratto, e non veritiero in relazione alla realtà umana» quan-do perde una dimensione emotiva incarnata45. Milhaven (di razza bian-ca) a lungo si era opposto al razzismo a livello intellettuale, ma trovòche la sua opposizione ad esso si approfondì fortemente quando co-minciò a sentire compassione per una persona particolare di razza ne-gra che aveva sofferto a causa del razzismo. Soltanto dopo aver ascolta-to la storia di questo uomo e aver tentato di sperimentare personal-mente il dolore di quella sofferenza, Milhaven raggiunse una piena co-noscenza morale. Milhaven scrisse che fu soltanto dopo «aver condivi-so a livello emotivo (co-feeling) l�orrore, la repulsione, la brama, la rab-bia, la disperazione e la speranza» di una persona che aveva soffertoripetutamente a causa del razzismo che egli comprese quanto male vifosse in esso46. La realtà della guerra e l�urgenza di stabilire una pacedurevole non possono essere comprese adeguatamente senza una espe-rienza di compassione a livello emotivo.

Una analogia potrebbe essere utile per rendere più chiaro questopunto. Una decisione per la guerra è una decisione per una azione ca-ratterizzata da ciò che si potrebbe chiamare «male pre-morale». Anchenel caso che una guerra possa essere giustificata moralmente, e pertan-to distinta da un�azione immorale, ciò nonostante essa causerà grandimali. Le proprietà saranno distrutte, molte persone saranno uccise edaltre saranno menomate, lasciate orfane e rese senza tetto. La decisionesulla moralità della guerra è una decisione sul fatto se l�uso della violen-za può essere proporzionato alla protezione di alcuni beni vitali. Da uncerto punto di vista questo tipo di decisione è analogo alle decisioniriguardanti l�aborto prese da molte donne nel mondo intero47. Moltedonne si chiedono se la violenza letale dell�aborto possa essere giustifi-cata dal fatto che potrebbe permettere loro di proteggere alcuni beninella loro vita (ad esempio proteggere la loro reputazione, mantenerela capacità di intraprendere una carriera o un più alto livello di studi,

45 J. GILES MILHAVEN, «Ethics and Another Knowing of Good and Evil», in D. YEAGER

(ed.), Annual of the Society of Christian Ethics, Georgetown University Press, Washin-gton DC 1991, 237-48.

46 Ivi.47 Naturalmente la corrispondenza fra queste due circostanze è lontana dall�essere

esatta. Non si tratta della stessa decisione, ma di una decisione simile. Vorrei affermarechiaramente e senza ambiguità che non intendo giustificare l�uso dei criteri della guerragiusta come un metodo per cercare di giustificare l�aborto, nemmeno intendo suggerireche affermo che l�aborto può talvolta essere giustificato moralmente. Propongo questaanalogia unicamente per fare notare che in ambedue le situazioni colui che deve pren-dere una decisione si trova di fronte a un interrogativo simile: in quale istante lei o luipossono affermare di conoscere e capire il male che conseguirà come risultato di unadecisione a favore della violenza? Cosa costituisce una conoscenza morale adeguata?

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ecc.)48. Non sto suggerendo che la considerazione morale della guerra ela considerazione morale dell�aborto siano equivalenti, ma piuttostoche fra di esse vi sono alcune somiglianze circa i modi di decidere nelcaso di ciascuno di esse.

Recentemente, Diana Fritz Cates ha esaminato attentamente il ruolodelle emozioni nei processi decisionali da parte di donne che consideri-no l�aborto. La sua ricerca ha cercato di rispondere a domande moltosimili a quelle prese qui in considerazione: cosa costituisce una adegua-ta conoscenza di ciò che è in gioco nel procurare un aborto? Cosa costi-tuisce conoscenza e comprensione sufficiente mediante cui una donnapuò prendere una decisione informata sull�aborto49? Cates intraprese ilsuo studio per migliorare la comprensione tradizionale di cosa costitui-sce consenso informato in contesto medico.

Nel suo studio sui processi di decisione di donne che stanno affron-tando scelte riguardanti l�aborto, Cates trovò che nel caso di moltedonne la conoscenza emotiva era una componente cruciale per unaadeguata comprensione morale50. Ella riferì di una amica che stava de-cidendo, ritenendo che «stava lottando con se stessa a proposito del-l�aborto mancandole informazioni rilevanti che potevano essere raccol-te solo provando alcune emozioni dolorose (ed allo stesso tempo riflet-tendo su di esse)»51. Cates sostenne che la sua amica non poteva sceglie-re in modo informato sulla proporzionalità della sua decisione di abor-tire senza aver sperimentato parte del dolore che causa un aborto. Lasua abilità a ragionare con prudenza e a vedere e conoscere il prezzo ela vastità della sua decisione erano impediti nella misura in cui lei siriparava dal peso emotivo della sua decisione. Cates scrive che se la suaamica avesse sperimentato

«in modo totale che la vita fetale nel suo corpo aveva un valore [�] avreb-be sofferto molto più dolore nel suo processo decisionale. Questo in sestesso sarebbe stato triste ma [�] la decisione di Judy sarebbe stata moltopiù veritiera, avrebbe rispettato maggiormente i beni differenti e concor-renti in gioco, essendo stata in parte presa con tristezza»52.

48 James Gustafson articola bene le complessità del processo di decisione ed azionemorale riguardante l�aborto nel caso di donne che stanno cercando di decidere volendobilanciare benefici e danni. Cf J.M. GUSTAFSON, «A Protestant Ethical Approach», in S.E. LAMMERS - A. VERHEY, On Moral Medicine: Theological Perspectives in Medical Ethi-cs, 2d edition, Eerdmans Grands Rapids, (Mich.) 1998, 600-11. Per uno studio total-mente basato su effettivi racconti ed esperienze di donne, vedere E. KUSHNER, Experien-cing Abortion: A Weaving of Women�s Words, Harrington Park Press, New York 1997.

49 D. FRITZ CATES, «Caring for Girls�», cit., 168.50 Ivi. 51 Ib., 165.52 D. FRITZ CATES, «Caring for Girls�», cit., 173. Vorrei evidenziare che la citazione

riportata non è la conclusione di Cates sull�argomento. In questa citazione l�autrice co-munica una visione della situazione (quella di un�altra amica che consigliò all�amica di

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Nel presentare quest�analogia, il punto che vorrei esprimere in ter-mini di criteri di proporzionalità della guerra giusta è che l�immagine diun capo che cerchi di valutare razionalmente un enorme libro mastro dibeni e di mali nello sforzo di misurare la proporzionalità non è suffi-ciente. Naturalmente, ci dovrà essere molta attenzione e decisione ra-zionale, ma le virtù capaci di promuovere la pace richiedono che sisperimentino le realtà della guerra anche a livello emotivo. Inoltre, finoa che non si comprende a quel livello la tragedia e la realtà della guerrasi fallirà nel vivere in modo incarnato le virtù capaci di promuovere lapace della compassione e del rispetto per le persone. Si fallirà nel vede-re queste vittime come pienamente umane e perciò non si darà suffi-ciente peso alle loro sofferenze o alla loro morte nella determinazionedella proporzionalità.

7 PRATICARE IL RISPETTO PER LE PERSONEE LA COMPASSIONE NELLE DECISIONIRIGUARDANTI LA GUERRA

Naturalmente, esplicitare come si potrebbe praticare concretamenteil discernimento morale sulla proporzionalità richiederebbe una tratta-zione estesa. Permettetemi di iniziare questo processo indicando un modoin cui si potrebbero tenere insieme il rispetto per le persone, la compas-sione e la misura della proporzionalità. Tom Beaudoin ha argomentatoche la nostra abilità di agire con prudenza e giustizia nelle nostre deci-sioni sulla guerra dipende dalla nostra volontà di vedere i volti di colo-ro che soffrono in conseguenza degli atti di guerra della nostra nazione.Egli afferma che le autorità politiche e il pubblico nel suo insieme, en-trambi restii a permettere che il loro sguardo si posi sui volti di coloroche sono morti in guerra o sui volti angosciati delle persone amate chesono state lasciate indietro, hanno perso la loro capacità di rifletteremoralmente sulla guerra. Egli scrive «Affrontare i volti della sofferenzain Iraq è condizione necessaria per permettere alla morte, come ha pro-posto il teologo Johann Baptist Metz, di interrompere la nostra falsa-mente consolatoria distanza dalla guerra. Ci obbligherebbe a chiederci:quale tipo di esperienza cristiana ci permette di mantenere questa inter-ruzione alla distanza di un braccio»53?

abortire). La stessa Cates è più cauta sul fatto se si debba spingere le donne a fronteggiarele loro emozioni nella maniera sostenuta da «Laura»; Cates è più disposta a riconoscereche in alcune circostanze il rifiuto delle donne a impegnarsi in maniera forte è psicologi-camente impossibile o non desiderabile. Parla di questo a pagina 175 del testo succitato.

53 T. BEAUDOIN, «The Iraq War and Imperial Psychology», in America 192 (2005/2) 15.

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Beaudoin ritiene che meditare sui volti del nemico e sui volti di tutticoloro che soffrono a causa della guerra sia il modo migliore per supe-rare la nostra tendenza a ignorare questa «interruzione». Con questascelta egli è debitore al lavoro di Emmanuel Lévinas che ha ampiamen-te sviluppato l�importanza del volto umano come catalizzatore per unaseria riflessione morale. Lévinas chiarisce:

«Il processo di riflessione generato dal volto di un altro individuo non èsolo un pensiero circa qualcosa � una rappresentazione � ma è anche unpensiero per, un non essere indifferente nei confronti dell�altro che turbal�equilibrio dell�animo calmo ed impassibile della conoscenza pura. È risve-gliarsi all�unicità dell�altra persona che non può essere afferrata dalla cono-scenza, è un passo verso il nuovo venuto come colui che è contemporane-amente unico e compagno»54.

Nel contesto della guerra un reale incontro faccia a faccia o unarelazione non è generalmente possibile, ma un incontro visivo con ivolti di coloro che soffrono può esserci.

L�incontro faccia a faccia descritto da Beaudoin e Lévinas mostrauna notevole somiglianza con la più completa descrizione di Milhavendi come ricercare una piena consapevolezza morale � o quello che eglidescrive come «conoscere corporalmente» � e integrare tale conoscerenel processo di decisione ed azione morale. Egli ricorda di essersi im-battuto nell�immagine di un bambino sofferente del Kurdistan guar-dando la televisione e di cosa ha rivelato tale incontro morale con quel-la immagine:

«a) Percepisco o immagino con i sensi del bambino sofferente. b) Percepisco il bambino come singola persona. È lei e non è stata nessu-

n�altra, è, o sarà sempre, lei stessa. Non è nessun altra che lei. c) Percepisco o immagino che il bambino si rivolga a me. Non è forse il

bambino kurdo che mi chiede qualcosa? d) La vita di questo bambino, il suo passato e il suo futuro entrano in me,

per quanto in modo oscuro e parziale. e) Provo empatia. Sento qualcosa di quello che il bambino sente. Il mio

stomaco sprofonda. Solo un poco, senza che io lo voglia, sprofonda. f) Riconosco i punti a, b, c, d, e, e vi rispondo. Ho espresso i miei propri

sentimenti incarnati in risposta alla sofferenza del bambino, per esem-pio orrore, repulsione, brama, rabbia, disperazione, speranza. Perciòanche se potrebbe apparire fantastico, il fatto è che ho interagito conquesto bambino»55.

Se si cominciano a conoscere i veri costi della guerra � i loro costiumani � così da poter stabilire se l�azione militare supera il test della

54 E. LÉVINAS, «The Face of a Stranger», in The UNESCO Courier 7-8 (1992) 66.Roger Burggraeve presenta una sintesi del pensiero di Levinas sulla «epifania del volto»nel suo libro The Wisdom of Love in the Service of Love: Emmanuel Lévinas on Justice,Peace, and Human Rights, Marquette University Press, Milwaukee (Wis.) 2002, 86-93.

55 J. GILES MILHAVEN, «Ethics and Another Knowing�», cit., 241.

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proporzionalità, è necessario seguire periodicamente il procedimentosuccitato impegnando l�immaginazione morale ad incontrare le imma-gini e le storie delle vittime della guerra.

A questo punto si potrebbe sollevare una obiezione: non è possibileche una persona possa utilizzare i metodi di discernimento indicati so-pra sottolineati e ciononostante arrivare alla conclusione erronea cheuna guerra ingiusta soddisfa il criterio della proporzionalità? Stiamovivendo durante un tempo in cui il presidente degli Stati Uniti sembradecisamente disinteressato a conoscere i costi della guerra che egli spinsecon forza la sua nazione a perseguire. In tale contesto, si è tentati dipensare che se il presidente volesse soltanto aprire i suoi occhi sullasofferenza umana in Iraq, egli potrebbe capire che la sua guerra fu unerrore, sia moralmente che strategicamente. Bisogna comunque soltan-to tornare indietro con la memoria al coinvolgimento militare dell�Ame-rica in Vietnam per porre in dubbio una simile teoria. I documenti e leregistrazioni audio dell�amministrazione Johnson che furono rese pub-bliche nelle passata decade forniscono il ritratto di un presidente cheera profondamente consapevole dei costi della guerra in Vietnam; eraevidente che il presidente Johnson aveva anche sperimentato la realtàdi questi costi a un livello profondo, emotivo56. E tuttavia, il presidenteJohnson rimase totalmente deciso a mantenere una presenza militareU.S.A. in Vietnam.

Come risposta a queste osservazioni critiche permettetemi di faredue commenti. Primo, voglio essere chiaro nell�affermare che il meto-do di applicazione dei criteri della guerra giusta che ho tratteggiato inprecedenza non intende trasformare la teoria cattolica sulla guerra giustain una etica cristiana totalmente pacifista. Riconosco che a volte i capipolitici e il pubblico in generale possano assumersi l�impegno di unaseria riflessione morale a riguardo della moralità della guerra e conclu-dere che un certo conflitto è giustificato. All�interno della teoria dellaguerra giusta ciò è legittimabile ed è necessario lasciare spazio per talepossibilità. Voglio ricordare questo soltanto per onestà morale e intel-lettuale. Secondo, debbo ripetere che tutto ciò che ho dichiarato quideve essere collegato e integrato, in futuro, a una visione più compren-siva riguardante come applicare tutti i criteri della guerra giusta. Inaltre parole, sarebbe errato pensare che anche una completa conside-razione della proporzionalità emotivamente fondata possa sussistereda sola quale strumento adeguato di deliberazione sulla moralità diogni guerra.

56 Per la trascrizione di passaggi scelti da queste registrazioni, cf http://americanra-dioworks.publicradio.org/features/prestapes/d1.html.

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8 UN RUOLO PER LA CHIESANEL DELIBERARE SULLA PROPORZIONALITÀ

Permettetemi di concludere brevemente offrendo una trattazioneschematica di quale sia il ruolo che la Chiesa potrebbe giocare per pro-muovere il tipo di decisioni sulla guerra e i suoi costi che ho descritto.Il principale compito che la Chiesa dovrebbe assumere è catechizzare isuoi stessi membri circa il processo di discernimento della proporzio-nalità nel modo particolare che ho descritto.

Questo comporterebbe per prima cosa rendere evidente che è neces-sario per tutti i cittadini responsabili impegnarsi in questo tipo di deci-sione morale. Come ho chiarito in precedenza, discernere sulla morali-tà della guerra non è compito da lasciare alle autorità politiche. In unademocrazia questa è una responsabilità universale. Rendere realtà que-sta responsabilità condivisa è il compito più pressante per i cattolici chesono membri delle forze armate, perché, come ha fatto notare Baxter,

«I giudizi sulla guerra sono responsabilità dei membri dei servizi armati,degli ufficiali e dei soldati, dei loro leaders pastorali, dei loro vescovi epreti. L�obbligo di eseguire gli ordini non scusa nessuno nel caso egli trascu-ri l�obbligo di non cooperare con il male partecipando a una guerra ingiu-sta, come è stato stabilito dai padri del Concilio Vaticano II: �le azioni chedeliberatamente sono in contrasto con questi principi (della guerra giusta)così come gli ordini che comandano tali azioni sono criminali. L�obbedien-za cieca non può essere motivo di scusa per quelli che vi si sottomettono�»57.

In questo modo la Chiesa ha l�obbligo pastorale verso quelli che servo-no nelle forze armate di chiarire come formare le loro coscienze e comeutilizzare in modo appropriato la tradizione della guerra giusta.

Quantunque la formazione del personale militare sia indispensabile,lo stesso compito di formazione è necessario per ognuno nella Chiesa.L�accusa di Beaudoin di un voluto accecamento e indifferenza moralenon è più diretta al personale militare o verso il presidente Bush che alpopolo americano generalmente apatico (che include milioni di cattoli-ci). Sono i normali cittadini che a volte passivamente, a volte voluta-mente, permettono che i corpi dei soldati americani morti venganonascosti ai loro occhi insieme alle centinaia e centinaia di perdite dicittadini iracheni.

Per ambedue questi gruppi, la Chiesa deve impegnarsi in uno sforzomaggiormente condiviso non soltanto per rendere i criteri della guerragiusta più conosciuti, ma per formare l�intero popolo di Dio alle virtùcapaci di promuovere la pace e ad altri impegni morali cristiani vitaliche essi debbono vivere per ben deliberare sulle questioni relative allaguerra. Non bisogna attendere che la guerra sia all�orizzonte per inizia-

57 M. BAXTER, «Just War and Pacifism�», cit., punto 6 (le pagine non sono numerate).

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re il lungo processo di coltivare la compassione e il rispetto per tutte lepersone. Come tutte le virtù, queste non possono essere semplicementeattivate; devono essere sviluppate per mezzo di una pratica coscienzio-sa, attiva nel tempo58. A meno che non si coltivi la compassione e ilrispetto per la dignità di tutte le persone (vicine e lontane) in tempo dipace relativa, sarà quasi impossibile sviluppare adeguatamente questevirtù in tempo di guerra.

Alcuni anni or sono Drew Christiansen scrisse che«la sfida che c�è per noi tutti è sviluppare per noi stessi una comprensionecontemporanea di guerra e pace che vada ben oltre la guerra giusta e inte-gri la tradizione della guerra giusta con gli impegni che caratterizzano glielementi della contemporanea visione cattolica della pace, quali i dirittiumani, lo sviluppo e la giustizia negli affari internazionali, insieme a nuoveconsiderazioni come la non violenza e il perdono. Il tempo in cui soltantola guerra giusta poteva definire il pensiero cattolico sulla guerra e sullapace è passato da tempo»59.

Christiansen chiamò i cattolici ad accorgersi delle connessioni fra losviluppo e la riduzione dei conflitti internazionali, perché nella sua va-lutazione (e in quella di molti altri) essi possono essere soltanto risoltiinsieme. Finché le ingiustizie fondamentali non sono affrontate, non cisarà pace.

Spero di avere offerto un ulteriore motivo del perché il pensiero cat-tolico sulla guerra giusta debba essere più deliberatamente collegato auna più ampia struttura di valori e virtù cristiani, includendo la compas-sione e il rispetto per le persone, ma anche il perdono e la non violenza.Realizzare questo legame non è richiesto semplicemente per bilanciarel�uso della tradizione della guerra giusta. Si debbono sostenere gli sforzidi aiuto e sviluppo internazionale non semplicemente perché facendolosi ridurranno le ingiustizie e perciò si riduce anche la probabilità dellaguerra. Si debbono perseguire tali sforzi perché essi sono buoni in se, eperché facendolo diventeremo persone che provano compassione, per-sone che riconoscono la dignità universale degli esseri umani, personeche conoscono la tragedia di vite perdute in remoti angoli del mondo,persone che possono ragionare bene in materia di guerra e di pace. Lanatura scheletrica della tradizione della guerra giusta richiede a coloroche cercano di usare con prudenza la tradizione di riferirsi ad impegnimorali spesso non esplicitati. Nella misura in cui i cattolici falliscononell�integrare la guerra giusta con la attuale visione cattolica delle virtù,della pace e dei diritti umani, il nostro reale uso della tradizione dellaguerra giusta risulterà moralmente manchevole.

58 Sulla necessità dell�abituarsi a sviluppare le virtù morali cf J.J. KOTVA, The ChristianCase for Virtue Ethics, Georgetown University Press, Washington DC 1996, 17-26.

59 D. CHRISTIANSEN, «After Sept. 11�», cit., 40.