kizu no kuma - francesca angelinelli

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Gaiko, giovane guerriero dell'Impero Si-hai-pai, ha un futuro brillante di fronte a sé. Ma l'assassinio della sorella Karui sconvolge la sua esistenza. Spinto dal desiderio di vendetta, Gaiko compie una strage. Non sa di essere stato una pedina in un gioco di potere più grande di lui. Il suo mondo è in frantumi e, costretto alla fuga, rischia di perdere se stesso, oltre che tutto ciò che deve abbandonare a Hoh-ma, Capitale dell'Impero. Ma in un tempio, abitato dal misterioso monaco Yurei, Gaiko inizia la riabilitazione fisica e spirituale. Qui incontra anche una donna, Mai-mai, che lo costringerà a confrontarsi con le sue colpe e il suo passato.

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KIZU NO KUMA

© 2010 Valter Casini Edizioniwww.casinieditore.comISBN 978-88-7905-153-8

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Kizu no KumaLa cicatrice dell’orso

Francesca Angelinelli

Casini Editore

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Capitolo 01

La vita non poteva essere più dolce. L’estate era appena alle porte e nel cielo limpido non si vedevano che poche nuvole bianche e sottili, un vento tiepido agitava l’erba e trasportava lontano il profumo dei fiori selvatici. Gaiko, disteso in un pra-to su un dolce pendio dal quale si vedeva la Capitale sorgere come una gemma al centro di uno scudo, allargò le braccia e respirò profondamente, sorridendo al passaggio di una coppia di rondini. La vita non poteva essere più dolce per Gaiko Kushin, venticinque anni e un futuro luminoso ad attenderlo. Veniva da una famiglia fra le più nobili di tutto lo Si-hai-pai, la sua carriera all’interno dell’esercito imperiale era assicurata dal lignaggio e dalla notevole predisposizione per qualsiasi tipo di arma e solo a causa del suo carattere impulsivo il Drago Rosso gli aveva negato l’onore di diventare uno Yaribushi. Ma Gaiko non se ne rammaricava. “La pace dei Templi” diceva a se stesso, “non fa per me. Amo troppo la vita rutilante della città”.

Nulla sembrava poter fermare un ragazzo così straordinario che emergeva come un giovane albero tra i suoi coetanei, teneri germogli al confronto. Gaiko non era bello, i tratti del suo viso troppo marcati e la fronte troppo ampia, un fisico possente e una camminata sicura ed elegante colpivano chiunque lo vedesse per la prima volta e per questo, quando passeggiava per le via di Hoh-ma, la folla si spostava rispettosamente.

“Sono felice” pensò Gaiko, seguendo con lo sguardo una far-falla che svolazzava da un fiore all’altro. “Non ho la più pallida idea di come sono finito qui, ma sono felice”.

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Piegò le ginocchia e si diede una spinta per rimettersi in pie-di, poi ripulì la divisa nera dalla polvere e dal polline, si fece ombra con la mano per poter controllare meglio se nei paraggi c’era anche il suo cavallo.

– Eccolo – disse, correndo incontro al castrone grigio che brucava tranquillamente allontanando le mosche con la coda. – Il sole è già alto. Saranno già tutti svegli; è meglio che mi sbrighi a tornare.

Montò in sella, lanciò il cavallo al galoppo in direzione della Capitale e il senso di nausea provocato dal dondolio dell’anima-le gli ricordò che la sera precedente aveva fatto baldoria fino a tardi con i suoi compagni, finché un gruppo di fanti di pattuglia non li aveva coinvolti in una rissa, sfociata poi in un duello svol-tosi sulla collina dove si era svegliato.

“Chissà com’è andata a finire?” si domandò entrando in città e percorrendo la via principale fino alle Mura Celesti.

I soldati lo lasciarono passare con cenni di saluto, Gaiko ri-spose con un sorriso aperto perché tra essi aveva riconosciuto due di quelli che avevano bevuto con lui la sera prima. Avrebbe voluto fermarsi a domandare del duello, ma era già abbastanza nei guai considerato che aveva promesso al padre di andarlo a trovare quella mattina e l’ora di pranzo si avvicinava rapidamen-te.

Colpì il costato del cavallo e fischiettò al ritmo del suo trotto allegro, svoltò l’angolo trattenendo le redini e le tirò immobi-lizzando l’animale. Di fronte all’ingresso della residenza della sua famiglia si era radunata una piccola folla. Servitori, kiniru e dame si tenevano in disparte, parlottando tra loro, mentre gli uo-mini si erano disposti a semicerchio proprio davanti all’entrata e discutevano animatamente con i Cavalieri Ryokin che cercava-no di disperdere i curiosi.

Gaiko avvertì una fitta al petto. Senza pensare a nulla, se non al battito del proprio cuore che accelerava, smontò da cavallo av-vicinandosi alla folla. Si fece largo tra le dame, spintonò qualche funzionario, finché non si trovò faccia a faccia con un soldato.

– Che succede? – domandò in preda all’ansia.L’uomo abbassò il capo. – Ah, Gaiko, per fortuna sei arrivato.

Vai dentro, tua madre è disperata, hanno dovuto chiamare una sacerdotessa per cercare di calmarla.

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Il volto di Gaiko sbiancò, corse, annaspando; un timore geli-do gli impediva di respirare regolarmente.

Entrò nella sala principale della casa e i suoi occhi incrocia-rono immediatamente lo sguardo del padre. Non vide altro, non i pannelli con le scene di aironi che spiccavano il volo, non i vasi con le delicate composizioni di fiori, non i paraventi con il vulcano al tramonto, ma solo quegli occhi neri e vacui, inonda-ti di lacrime. Solo dopo si accorse che tra le braccia del padre c’era sua madre. Non l’aveva mai vista in quello stato: i capelli, di solito lucidi e ben pettinati, erano opachi e in disordine, era evidente che sotto la veste scura ne indossava un’altra da came-ra, sul viso non c’era traccia di trucco e le guance erano scavate e pallide, mentre gli occhi apparivano esageratamente grandi e gonfi.

– Madre – sussurrò Gaiko avvicinandosi, – che cosa…Il padre si coprì il volto con la mano. – Karui. Karui è morta,

è stata assassinata nella notte.Gaiko perse ogni forza e si lasciò cadere al suolo senza tro-

vare nemmeno la forza di piangere e di urlare. – Karui – sussurrò, mentre sua madre affondava il volto nel-

la spalla del marito riprendendo a singhiozzare.Gaiko era sconvolto. Tutto ciò a cui poteva pensare era

il viso sorridente della sorella, il suo caschetto castano e lo sguardo luminoso. Karui era bellissima, la sua grazia innata aveva attirato l’attenzione di molti tra nobili e cavalieri. Per questo non poteva immaginare che qualcuno avesse voluto fare del male alla sua splendida e delicata sorella, non poteva tolle-rare l’idea che avessero reciso la sua giovane vita così come si sarebbe potuto fare con il gambo sottile di un’orchidea.

Pensare a lei, morta, era più doloroso che immaginare la sua stessa morte. Eppure riuscì ad alzarsi. Si diresse come un fantasma verso la stanza di Karui e la aprì: sotto una pesante coperta bianca era celato il corpo della ragazza, ma sulle stuoie e sui pannelli si vedevano ancora le tracce del sangue ormai rappreso.

Gaiko si inginocchiò accanto al cadavere e allungò una mano per scoprirne il volto, ma dei passi alle sue spalle lo fer-marono.

– Mi dispiace molto.

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Gaiko annuì, senza voltarsi. – La ringrazio capitano. Finse di piangere per giustificare la sua scortesia, una vio-

lenta sensazione di ribrezzo gli impediva di guardare il viso del soldato. – Vorrei sapere cosa è accaduto.

– Ferite da pugnale – rispose il capitano, – senza dubbio un omicidio su commissione. O un kage o una Cucitrice, ma trat-tandosi di una donna…

Gaiko strinse i pugni. – Ho capito, capitano Yutaku, grazie.L’uomo chiuse il pannello della stanza e Gaiko udì i suoi

passi pesanti allontanarsi nel corridoio. Quando poté ascoltare di nuovo il silenzio di morte che faceva risuonare come un’eco il suo respiro, appoggiò una mano sulla coperta che copriva il corpo della sorella e chiuse gli occhi – Sotto la coltre di neve, riposano i teneri fiori, aspettando la primavera – recitò, prima di alzarsi e allontanarsi dalla stanza.

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Capitolo 02

Le foglie degli aceri erano rosse e Gaiko, seduto in una lo-canda a sorseggiare un liquore scadente, le fissava con ribrezzo.

– Ne sei certo? – domandò all’uomo che sedeva con lui. – È il nostro ultimo incontro e voglio che tu mi dica tutto. Ti pagherò bene.

L’uomo si fregò le mani e chinò il capo in segno di sottomis-sione. – Mio signore, come vi ho detto la donna vive nel quar-tiere commerciale, conoscete il suo nome e il suo aspetto. Oltre che la sua vera natura.

Gaiko annuì. – Sì, mi hai servito bene, ma la dama… sei certo del nome che mi hai fornito?

– Sì, mio signore – rispose la spia, – sono sicuro. Del resto non era difficile scoprirlo, il marito di quella donna era uno dei più ferventi ammiratori di dama Karui… da quel che ho saputo.

Gaiko strinse gli occhi, terminò il suo liquore e buttò sul ta-volo una borsa di monete d’argento. – Ecco quanto pattuito. Ora sparisci e dimentica di aver mai avuto a che fare con me.

L’uomo cacciò i soldi nella tasca interna della sua giacca usu-rata, si alzò, salutò con un leggero inchino e sgattaiolò fuori dalla locanda scomparendo tra gli avventori del quartiere dei piaceri.

Gaiko rimase qualche minuto a guardare le foglie secche cal-pestate dai passanti, poi si sistemò la spada alla cintura e lasciò a sua volta la locanda dirigendosi verso la cittadella imperiale.

Mentre camminava cercò di dare forma alle notizie avute dal-la spia e strinse i pugni, desiderando colpire se stesso. “Come ho potuto essere così cieco?” pensò, “uno dei più ferventi ammiratori.

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E io non l’ho mai sospettato”. L’immagine di un giovane dai capelli scuri e dallo sguardo penetrante affiorò nella sua mente e lo vide discutere con sua sorella, ricordò all’improvviso i doni, le visite, i biglietti, ma anche il turbamento di Karui, la sua an-goscia e l’ansia nel ricevere tante attenzioni da parte di un uomo sposato.

– No – disse Gaiko guardando il cielo grigio, – Karui non ricambiava affatto. Lui e lui solo è responsabile di quel che è accaduto. Col suo comportamento sconsiderato ha offeso mia sorella e ha messo in pericolo la sua vita, portandola alla morte. Io preparerò per lui una vendetta peggiore della morte.

Lungo uno dei canali che portavano l’acqua alle ville dei no-bili crescevano dei salici e Gaiko si nascose tra i loro rami, ri-manendo seduto per ore sul bordo del canale. Da quella posizio-ne osservò una grande casa con esposto lo stendardo del Drago Rosso. Gaiko vide i servitori con le gerle sulla schiena entrare e uscire, le kiniru sorridenti che tornavano dai bagni pubblici, i funzionari che andavano a riscuotere le tasse e a chiedere favori, il corteo di dame e ancelle accompagnare la signora al ritorno dal suo giro di visite, infine, la schiera di Cavalieri Ryokin che scortavano il proprietario della residenza.

Gaiko strinse l’elsa della spada, sentì il sangue scorrere più rapido e pulsare alle tempie, ma si trattenne. Rimase immobile, indifferente al freddo e all’umidità della sera che avanzava, fino a quando la prima stella non comparve in cielo; solo allora uscì dal suo nascondiglio e si diresse verso le mura della casa. Le scavalcò, finendo in giardino e, sfruttando ogni albero e cespu-glio come rifugio, lo attraversò arrivando così a un passo dalla veranda dell’ala orientale.

Seduta ad ammirare la sera c’era una donna dalla pelle chia-rissima e dai lunghi capelli scuri, che indossava una veste color corallo. Accanto a lei, due ancelle suonavano il flauto e la chi-tarra, mentre una serva versava un the dal profumo intenso di gelsomino.

Gaiko la fissò e strinse i denti, quella era la mente che aveva armato la mano che si era levata contro sua sorella. Balzò fuori dal suo nascondiglio e senza dar loro neppure il tempo di grida-re, ferì mortalmente la serva e le ancelle, roteando su se stesso

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mentre eseguiva rapide mosse con incredibile precisione, facen-do sibilare la spada.

La dama lo guardò terrorizzata come fosse un demonio piom-bato nelle sue stanze, ma non gridò per chiamare aiuto, si ab-bandonò a un pianto disperato che sciolse il trucco nero dei suoi occhi e rigò il bel viso dai lineamenti delicati.

Gaiko le puntò la lama alla gola. – Vostro marito vi tradisce ogni notte – sussurrò, – e voi non alzate un dito. Vostro marito di giorno non vi degna di uno sguardo e voi non vi lamentate. Al-lora per quale motivo? Perché avete fatto uccidere mia sorella?

La dama tremò e deglutì. – Ho sbagliato, vi prego, nobile Gai-ko Kushin, perdonate la mia debolezza, vi supplico risparmiate-mi. Ero accecata dalla gelosia, non sapevo, non immaginavo che vostra sorella fosse innocente, io ho creduto… ho pensato…

– L’avete uccisa – tuonò Gaiko facendo scorrere la lama sul collo candido.

La donna singhiozzò e mosse appena il capo. – Vi supplico. – Vostro marito ha messo gli occhi sulla ragazza sbagliata –

sibilò Gaiko, – voi avete voluto punirlo uccidendo lei. Ma io lo punirò uccidendo voi.

Sollevò la spada e con un rapido gesto tagliò di netto la testa alla dama.

Aprì velocemente i pannelli delle altre stanze dove riposa-vano le donne e una a una le uccise tutte, senza risparmiare neppure le più giovani. L’aria fu satura dell’odore della morte e non si udì altro che il suo canto silenzioso. La vendetta di Gaiko non era ancora terminata per quella notte. Il giovane proseguì lungo il corridoio che portava alle stanze dei figli del suo nemico ed entrò: una bambina di due anni e un bam-bino neonato dormivano con accanto la fantesca. Gaiko non ebbe pietà per nessuno di loro e, con lucida ferocia, uccise tutti, infine ripulì la spada con la veste della balia e la ripose nel fodero.

Con passo leggero, ma lento e sicuro, il giovane lasciò la residenza indisturbato così come era entrato e, scavalcato il muro di cinta, si fermò al centro della strada. Alzò gli occhi alla luna crescente e osservandola con odio chiese: – Mi stai giudicando? – sollevando verso di lei le mani macchiate di sangue. – Giudichi forse sbagliata la mia vendetta?

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Si passò le mani sulla casacca nera, ma avvertì la sensa-zione spiacevole di qualcosa di appiccicoso; si guardò i palmi macchiati dal sangue delle sue vittime, e così la sua veste. Cadde in ginocchio fissando perplesso la prova tangibile dei suoi crimini, non si scoraggiò, si alzò e cominciò a correre, con tutta la forza che gli restava. Correva come mai aveva fatto prima, aveva una meta precisa.

Superò l’ingresso alla cittadella imperiale e si ritrovò sulla via maestra di Hoh-ma, deserta a quell’ora della notte. Si diresse ver-so il quartiere commerciale, dove ormai tutti i negozi erano chiusi e le bancarelle erano state ritirate. Corse nel silenzio di quel luogo solitamente traboccante di vita e si fermò di fronte alla casa che la spia gli aveva indicato: era piccola, anonima, lontana dalle resi-denze dei grandi commercianti. Respirava affannosamente, l’odo-re del sangue gli saliva prepotentemente alla narici infastidendolo, cercò di calmarsi, sforzandosi di riprendere fiato. Poi si avvicinò alla porta, ma guardandola trovò sciocco bussare e prese a colpirla a spallate e continuò finché il legno fragile e quasi del tutto marcio non cedette sotto i suoi colpi. Piombò nell’ingresso e ad accoglier-lo trovò due donne che dovevano avere circa la stessa età, ma una era chiaramente la padrona e indossava larghi pantaloni a gonna scuri e una casacca chiara sotto una giacca ricamata, mentre l’al-tra, che si nascondeva dietro le spalle della prima, doveva essere una serva poiché la sua veste, protetta da un grembiule, era scolo-rita e priva di ornamenti.

Gaiko le fissò entrambe, ma sapeva bene contro quale delle due avrebbe dovuto combattere, quindi estrasse la spada e la pun-tò verso la padrona avanzando sulle stuoie ammuffite senza nep-pure sfilarsi gli zoccoli infangati.

– Sei la Cucitrice – sibilò, – hai ucciso mia sorella.La giovane donna aggrottò la fronte e guardò la serva ordinan-

dole di allontanarsi con un cenno del capo.– Odori di morte – disse, spostandosi nella stanza senza mai

togliere lo sguardo dalla lama del suo avversario.Gaiko sorrise. – Questa notte sono uno spirito vendicativo.– Cos’hai fatto? – domandò lei.– Ho ucciso la donna che ti ha pagato per eliminare mia sorella

– rispose Gaiko con naturalezza. – Poi le serve, le ancelle, le kini-ru, tutte le donne della casa; e infine… i suoi figli.

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La ragazza ebbe un tremito e cercò la serva con lo sguardo, ma Gaiko menò il primo fendente e lei dovette saltare per evitare di essere colpita.

– Hai sterminato la famiglia del nobile Tetsu Yutaku – disse lei scotendo il capo. – Perché hai ucciso le donne e i bambini?

– Ho ucciso la donna perché aveva ordinato l’assassinio e ho ucciso gli altri per vendicarmi del marito – spiegò Gaiko.

La ragazza si morsicò un labbro, evitò un altro colpo, guar-dò la serva che annuì abbassando il capo. La giovane Cucitrice sfoderò allora il suo pugnale dall’impugnatura di giada e sferrò un attacco rapido diretto al petto di Gaiko, ma lui si spostò sulla destra e lo evitò, calando contemporaneamente la spada e per andare a colpire la corta lama che però era già scivolata lontano. Gaiko impugnò l’elsa della spada con due mani e caricò il colpo portandosi l’arma sopra la testa, si avvicinò con rapidi passi e calò il fendente, ferendo la ragazza a un braccio. Lei si ritrasse, sbattendo la schiena contro la parete e stringendosi la ferita. La serva fece per avvicinarsi, ma Gaiko le si parò di fronte e la colpì al ventre.

La ragazza non batté ciglio, si avvicinò alla donna costrin-gendola a stringere il pugnale cosicché Gaiko vide per la prima volta in vita sua la magia delle Cucitrici: lei divenne sottile e trasparente come un essere fatato e più stringeva il kunai, più il suo corpo svaniva mentre l’impugnatura dell’arma si colorava di una luce verde e accecante. Quando fu del tutto scomparsa Gai-ko notò che gli occhi color nocciola della serva erano divenuti dello stesso colore della giada e che la ferita andava rapidamente rimarginandosi.

Sconvolto da ciò che aveva visto e ancora più furente di rab-bia, Gaiko attaccò con sempre maggiore violenza, ma la ragazza sembrava aver acquisito maggiore abilità e sicurezza. Non era semplice parare i suoi colpi e Gaiko venne ferito ripetutamente, ma mai in modo grave. Il suo sangue, che scivolava sulla casac-ca nera, si mescolò a quello delle sue vittime e provò, più forte che mai, il desiderio di unire ad esso anche quello dell’assassina.

Si accanì in una serie di colpi violenti contro l’arma della ra-gazza e infine, arrivandole vicinissimo, finse di volerla colpire, costringendola ad alzare il kunai per parare, ma in realtà colpì il pugnale con l’elsa e glielo strappò di mano. Lei cadde al suolo

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esausta e sgranò gli occhi quando vide che Gaiko non avanzava per finirla, ma si preparava a colpire il kunai. Lei gridò e provò ad alzarsi per fermarlo, ma la lama era già caduta sull’impugna-tura di giada mandandola in mille pezzi.

La Cucitrice tremò e cadde al suolo in preda a convulsioni, ma Gaiko non ebbe pietà di lei e non la uccise con un unico col-po alla gola. La osservò contorcersi, prima di iniziare a infierire con animalesca ferocia sul suo corpo ormai allo stremo e quan-do esalò l’ultimo respiro, chiudendo le palpebre e rilassando il volto in un’espressione grata, lui le tagliò la testa gettandola poi lontano dal corpo.

Gaiko si inginocchiò nella pozza formata dal sangue della sua vittima e lasciò cadere la spada. Riprese a respirare con re-golarità e guardò l’orrore che lo circondava. – Sono stato io? – disse, sperando inconsciamente che qualcuno lo rassicurasse, gli rispondesse che no, non poteva essere stato lui, ma nessuno rispose e ancora una volta si ritrovò ad ascoltare il silenzio della morte. Questa volta non riuscì a sopportarlo, si strinse la testa fra le mani e gridò di rabbia, contro se stesso, di odio, contro i suoi nemici, e si abbandonò a un pianto disperato, mentre tra i singhiozzi ripeteva ossessivamente il nome della sorella assas-sinata.

Il giovane rimase a lungo in quella casa, seduto in un angolo, in attesa che qualcosa accadesse; forse sperava che la morte, alla fine, si decidesse a chiamare anche lui, ma non accadde, anche se il pensiero di togliersi la vita sfiorò più volte la sua mente. – Non posso morire, non ancora – sussurrò Gaiko, come se stesse parlando alla morte stessa, – prima devo accertarmi che Tetsu Yutaku abbia pagato.

Udì il galoppo dei cavalli e si affacciò appena alla finestra della casa, “Stalloni imperiali” pensò “Tetsu Yutaku, viene a cer-carmi”.

Gaiko si alzò e recuperò la sua spada. – Non fuggirò. Non fuggirò – ripeteva, mentre usciva in strada e avanzava con aria di sfida verso i Cavalieri Ryokin che avevano accompagnato il capitano.

Tetsu Yutaku lo guardò con disgusto dall’alto del suo cavallo e sputò nella polvere della strada. – Gaiko Kushin, da questa

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notte non sarai più considerato un nobile, non avrai privilegi e morirai come un uomo comune. Non ti sarà concesso toglierti la vita, dovrai morire per mano mia e per quella di nessun altro.

“Né dolore, né sofferenza” pensò Gaiko, osservando il viso del capitano. “Solo rabbia e disprezzo”. Sgranò gli occhi e sentì il cuore fermarsi in petto “Non l’ho ferito. Quell’uomo non pro-va nulla. È solo il suo orgoglio che risente di ciò che ho fatto, ma il suo cuore… non è stato scalfito”.

– Allora Gaiko – tuonò Tetsu, – Ti arrendi?Gaiko alzò gli occhi e regalò a Tetsu tutto il suo disprezzo

– Mai! Avrei dovuto uccidere te fin da subito, solo ora che ho compreso la tua vera natura dedicherò la mia esistenza alla tua morte.

Tetsu sorrise. – Come vuoi. E io dedicherò la mia alla tua.Guardò i soldati che lo accompagnavano e ordinò: – Cattu-

ratelo.I Cavalieri Ryokin spronarono i cavalli e caricarono contro

Gaiko, sfoderando le spade. Lui parò due colpi, ma il terzo lo ferì alla schiena, tuttavia non cedette: attese, invece, il secondo assalto e si preparò a contrattaccare. Quando i cavalieri gli fu-rono accanto, Gaiko si abbassò, evitando le loro spade, e recise con un colpo preciso la cinghia di una sella, facendo cadere il primo soldato. Non gli diede il tempo di reagire, ma lo attaccò quando ancora era seduto. L’uomo parò due colpi leggeri, poi Gaiko sollevò la lama e recise il polso, facendo saltare lontano la mano che ancora stringeva la spada.

Tetsu ringhiò di rabbia: – Dannati stupiti. Uccidetelo.Gaiko sorrise divertito e parò un fendente dall’alto, roteò su se

stesso e con la coda del colpo ferì il costato del cavallo alle sue spalle, che si impennò e cadde con tutto il peso sul suo cavaliere, che rimase schiacciato. Gaiko allora si concentrò sull’ultimo sol-dato, che si stava preparando per una nuova carica e, di nuovo, riuscì a parare il primo attacco, ma non il secondo, che lo ferì a un braccio. Gaiko però restò saldo nella posizione di difesa e quando il cavaliere ritentò un assalto, lui evitò il colpo abbassandosi e ferendolo a una gamba, poi si spostò per evitate il cavallo che trot-tava in cerchi sempre più stretti attorno a lui e affondò, incurante della lama nemica che si andò a conficcare nella sua spalla, perché la sua fu assai più precisa, trovando immediatamente il cuore.

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Il cavaliere cadde a terra e Gaiko si strappò la sua spada dalla carne, voltandosi verso Tetsu.

– Siamo rimasti solo noi due.Ma il capitano non estrasse la spada. Strinse le redini e

scosse il capo, mentre l’espressione sul suo volto passava dall’odio al terrore.

– Non mi hai mai battuto – rise Gaiko – e sai che non mi batterai nemmeno ora.

Tetsu non rispose, prese la sua spada corta dal fodero sulla sella e la lanciò contro Gaiko, che si distrasse per evitarla. Quando tornò a fissare la strada, Tetsu stava già galoppando lontano verso la guarnigione delle Mura Celesti.

– Codardo – tuonò Gaiko, lasciandosi però cadere al suolo, esausto e dolorante. – Non posso restare. Tornerà con altri soldati. Devo lasciare la città, stanotte.

Gaiko camminava lungo il fiume. Dietro di lui l’erba si macchiò di sangue e non sarebbe stato difficile rintracciarlo, per questo s’inginocchiò sulla riva e immerse le mani nell’ac-qua, cercando di lavare il più possibile le ferite. Ogni volta che l’acqua penetrava sotto la stoffa gli strappava una smor-fia di dolore, esausto si distese nell’erba umida.

– Se devo morire – disse alle stelle – fate che muoia ades-so, perché non ho più forza per fuggire, né coraggio per com-battere.

Chiuse gli occhi e si rilassò, cullato dal suono delle acque che scorrevano placide. Un suono estraneo lo destò all’im-provviso, lui rimase immobile, in ascolto. Era un fruscio di piedi sull’erba, accompagnato dal sibilo del vento sul metal-lo.

“Cavalieri” pensò, allungando la mano verso la sua spada.Si rimise faticosamente in piedi e squadrò i cinque uomini

che gli stavano di fronte. Erano tutti giovani e il drago rosso sul collo delle loro divise non lasciava dubbi sul fatto che fosse stato Tetsu a mandarli.

Così Gaiko si preparò a un nuovo scontro, ma sapeva che difficilmente ne sarebbe uscito vivo. I cinque lo attaccarono tutti insieme e lui parò e fu ferito, ma non riuscì a restituire neppure un colpo. Subì gli affondi dei soldati e si limitò a

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Kunai Denil

diari o di Ueno 193° gi orno dalla par tenza

Sono trascorsi centonovanta tre gi or-ni della mor te di Miyaki e del-le sue gi ovani amiche. Ormai il villaggi o di Yamashi è lon tano, ma non mi vol to i ndie tro.Abbandono la mia ves tesenza degnarla d'uno sguardocome una cicala in primavera.I miei versi pur tr oppo non sono bu oni come lo erano quelli di mia sorella. Po trei dire che ora lei non

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è più accanto a me per pro tegger-mi e guardarmi, ma il su o kunai è posa to su un panno propri o al mi o fianco.Lo confesso. Non ho ancora avu to il coraggi o di sfi orare l'impugna-tura di giada. So bene che l'ani-ma di Miyaki è ri nchiusa nella pie tra verde e che mi bas terebbe s tri ngerla per rivedere mia sorel-la e chiederle consigli o sulla poe-sia o sulla s trada da percorrere. Tu t tavia ho paura. Mi domando cosa accadrà, se sarò ancora io una volta che Miyaki entrerà in me oppure se mi perderò del tu t to in lei.

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Desidero i ncon trare ancora mia sorella, però non vogli o comme t te-re errori. Tu t te loro hanno affi-da to a me il compi to di vegliare sui kunai e sulle anime che essi con tengono. Se dovessi sbagliare? Se dovessi perdere una di quel-le ragazze che ho conosciu to, che così spesso ho osserva to allenarsi o cucire i nsieme a mia sorella? Se perdessi Miyaki per la seconda vol ta?Odi o così tanto gli u omini che le hanno fa t to ques to. Tan-dun che l'ha tradi ta, il capo villaggi o che ha condanna to Lin-xiao e quei

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vecchiacci che non hanno sapu to opporsi. Giurerei che se al pos to di Miyaki, Lin-xiao e le al tre ci fossero s ta ti dei ragazzi le cose sarebbero anda te in modo diver-s o. Eppure nessuna di quelle gi ovani era inferi ore per abili tà agli al tri guerrieri del villaggi o.Durante ques ti gi orni di viaggi o ho spesso rifle t tu to, ma ancora fa tico a comprendere. Forse perché sono ancora troppo giovane. Sono cer ta che Hai-lai mi spiegherebbe con pazien-za ogni cosa, ma anche il suo spi-ri to ormai non è altro che un'arma di vende t ta intrappola to i n kunai.

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Mi sento s ola come mai prima d'ora. Miyaki e le sue amiche non mi hanno mai permesso di entrare a far par te del loro grup-po, è vero, per via della mia gi o-vane e tà. Tu t tavia mi perme t teva-no di assis tere agli allenamenti e mi tra t tavano tu t te con gentilezza, come se fossi per ognuna una sorella minore. Non mi ero mai senti ta s ola, prima. Eppure loro s ono con me. Lo so. Lungo il cammino ho i ncon tra to alcuni templi, piccole cappelle e santuari, ma, nemmeno una vol ta, ho avver ti to il desideri o di fer-

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marmi a pregare per le anime che por to con me. Non sono sali te nel Rakuen, non sono precipi ta te nel Profondo, ma non sono nem-meno i n viaggi o vers o una nuova esis tenza o blocca te come spiri ti nel Ryukoku. Sono qui, nelle im-pugna ture dei loro pugnali. Che senso avrebbe pregare per anime che sono ancora vive?

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Assassini a pagamento al servizi o dell'Impero

In un paese dall'amminis trazi one centrale for temente gerarchizza ta, alla quale si affianca un sis tema feudale complesso e ramifica to, è na turale che col tempo si siano cer-ca ti sis temi per aggirare la prima e favorire l'ascesa nella seconda. Nobili, funzi onari e signori feu-dali hanno da sempre cerca to di controllare le mosse di avversari poli tici e nemici mili tari e, all'occor-renza, di eliminare coloro che in-terferivano con i loro proge t ti.

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Non sorprende, quindi, che al di fuori delle rigide gerarchie impe-riali si sia crea to un microcosmo au tonomo e cela to ai più. Un mondo che vive nell'ombra e che ha fa t-to della segre tezza la sua più alta vir tù, laddove fedeltà e onore non sono tenu te in considerazione tanto quanto tra i guerrieri dell'Impero.È il mondo dei Kage, dei “guer-rieri ombra”, spie e assassini a pagamento che intervengono quando i mezzi leci ti dello scontro poli tico e mili tare, ma anche pers onale, falli-scono o non poss ono arrivare.

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KageLa nasci ta dei Kage risale ai tempi precedenti l'Impero. Già prima della ba t taglia tra l'eserci-to di Ningen e della Dea Solo e quello del Re Demone, i villaggi dispersi sul terri tori o di quello che sarebbe divenu to lo Si-hai-pai avevano necessi tà di con trollare le mosse dei loro nemici. Le di-spu te per il terri tori o, per lo sfru t-tamento di una miniera o per il con trollo delle acque di un fiu-me erano frequenti. Le ba t taglie

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chiedevano spesso un al tissimo prezz o i n vi te umane e le allean-ze non sempre erano rispe t ta te. Per ques to mol ti capi-villaggi o si rivolgevano ai Kage, i primi guer-rieri di professi one dell'Impero.Es tranei alle dispu te tra clan, i Kage abi tavano (e abi tano tu t t'ora) le valli più nascos te o le monta-gne più impervie. I loro villaggi s orgono i n lu oghi nascos ti e dif-ficilmente raggiungibili, la cui ubicazi one è rimas ta segre ta da secoli.Non avendo in teressi dire t ti nelle lo t te tra villaggi, essi offrivano i

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propri o servigi di spie e assassi-ni ai capi clan e si vendevano al migli or offerente.Il loro s tile di vi ta e il loro ruolo nella socie tà non è mu ta to dai tempi dei villaggi comba t tenti. In se-gui to alla formazi one dell'Impero e alla sua organizzazi one feudale, i Kage hanno semplicemente cam-bia to commi t tenza: laddove prima erano semplici capi villaggi o a or-dinare di controllare o eliminare un rivale, ora erano po tenti signori a capo di vas te aree dell'Impero, nobili in lo t ta per ascendere a cor te o funzi onari ambizi osi.

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Vivono ancora nascos ti nei recessi dell'Impero. Si mescolano alla popolazi one, grazie alle spicca-te do ti di traves timento, s olo per compiere le delica te missi oni che vengono loro affida te. Sia i maschi che le femmine vengono is trui ti nell'ar te dello spi onaggi o, del comba t timento e dell'omicidi o fi n da bambini e mol ti di essi acquisiscono capaci tà ai limi ti del sovranna turale.Vivendo in s tre t to con ta t to con la na tura, s ono i n grado di rico-noscere e in alcuni casi anche dominare spiri ti e demoni, cui

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a vol te si legano per accrescere le loro capaci tà di “guerrieri om-bra”.Del tu t to es tranei al con trollo dei Draghi, essi offrono una tempora-nea fedel tà solo al commi t ten te delle loro missi oni. Sono di fa t to mercenari che si vendono al mi-gli or offerente. Tu t tavia, cos ti tuen-do una socie tà chiusa e per cer-ti aspe t ti arcaica, mantengono un senso di lealtà e rispe t to verso i membri del loro villaggi o, del loro clan e della loro congregazi one.I villaggi Kage, spesso ancora circonda ti da for tificazi oni di le-

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gno e fossa ti, sono re t ti da un consigli o di anziani, cus todi an-che dei segre ti che ogni villaggi o sviluppa per compiere al megli o il propri o dovere, e sono in s tre t to conta t to l'uno con l'altro, anche se non sempre in rappor to di amicizia. Oltre che nell'ar te del traves ti-mento, s ono abilissimi anche in quella del nascondersi e della fuga. Comba t tono con armi diver-se da quelle dei guerrieri rego-lari. Le lunghe spade o le lan-ce sono, i nfa t ti, poco ada t te alle missi oni che vengono loro affida te, per cui prediligono armi a lama

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cor ta o da lanci o, i n special modo pugnali di varie forme e dimen-si oni.Hanno una profonda conoscenza dell'uso delle erbe e dei ve-leni, per ques to, nel tenta tivo di i n tegrare la loro presenza nella complessa s tru t tura dell'Impe-ro, alcune leggende li vorrebbero seguaci del Drago Verde.

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I Kanabo di Gaiko

Il kanabo è una lunga as ta o t tago-nale in me tallo e legno che può essere usa ta solo da guer-rieri mol to for ti, per via del su o peso che la rende un'arma a due mani poco pra tica, eppure dall'i ncredibi-le forza dis tru t trice.Shizumaru e Tomaru, i kanabo di Gaiko, s ono armi par ticolari il cui peso può essere percepi to come più leggero non solo con il duro addes tramento,

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ma anche armonizzando il propri o spiri to con essi, per quanto non con-servi no nessuna enti tà s ovran-na turale, come invece i kunai di giada. Non sono s olo armi, ma, con i loro nomi, s ono prima di tu t to un moni to per il guerriero che le impugna.

Il Kiken di Mai-mai

Kiken è un pugnale a una sola lama, lungo circa 20 cm, con elsa di circa 10 cm, e c on u na pi cc ola guardia. È un'arma pre t tamente da difesa che vie-

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ne por ta ta alla ci n tura dentro un fodero di legno lacca to, simile a quello delle spade.

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