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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011 NUMERO 351 CULT La copertina FUMAROLI, SIMONE E VANNUCCINI Dai circoli di lettura ai club sul web benvenuti nell’era del “social reading” Il libro All’interno L’intervista GIULIANO ALUFFI Michael Connelly “Scrivo perché solo nei gialli si risolvono i delitti” La mostra FABRIZIO D’AMICO Gastone Novelli le scandalose biennali di un sovversivo Lo spettacolo RODOLFO DI GIAMMARCO Marco Paolini diventa Galileo per raccontare l’intraprendenza Roth-Zweig, come combattere le bestie feroci Le lettere JOSEPH ROTH E STEFAN ZWEIG Uno per cento, anatomia del super ricco L’attualità JEAN-PAUL FITOUSSI E FEDERICO RAMPINI Tanti scatti ma alla fine solo uno verrà scelto Dai provini Magnum le immagini che hanno fatto la Storia Foto perfetta sequenza, nelle stesse minuscole dimensioni dei negativi. «Non si intinge nelle padelle il naso degli invitati a cena», diceva. I provini erano la cucina del fotografo, il suo laboratorio esclusivo e segreto, la tomba dei suoi errori e delle sue indecisioni. Che indiscrezione gigantesca allora questo volumone di Kristen Lubben, Magnum: la scelta della foto, quattro chili e cento autori dell’agenzia che da sessant’anni è l’Olimpo del fotogiornalismo, il loro lavoro così co- me uscì dalla fotocamera, fotogramma per fotogramma. Ferdi- nando Scianna, il primo italiano ammesso lassù, ha accettato con riluttanza di metterli in piazza: «È come esporre i meandri del tuo inconscio a uno psicanalista imbecille...». Ma che avventura emozionante. Sfogliare queste pagine minia- te come un codice medievale (procurarsi una lente d’ingrandi- mento) è più che frugare nei cassetti, è entrare negli occhi del foto- grafo, dentro la sua testa, nelle sue scarpe. (segue nelle pagine successive) Gatti e giardini l’amore selvaggio nel romanzo di Mercè Rodoreda ELENA STANCANELLI irati! Su, voltati! Quanto abbiamo desiderato ve- derla in faccia, la ragazza che danza sola, di schie- na, nel suo diafano vestitino fatto di garza, pace, amore e musica sul palco del Venice Rock Festival, California, anno di grazia 1968; ma lei non poteva voltarsi, era solo una fotografia, una splendida fo- to di Dennis Stock, simbolo di una generazione. E invece il miracolo è lì, sulla pagina, da non crederci: lei si volta, len- tamente, fotogramma 27, fotogramma 28, ecco finalmente il suo viso... Ma è una delusione. Né bella né brutta, espressione un po’ fumata, gesti impacciati: tutta la magia è svanita. Chissà se è giusto frugare nei provini dei grandi fotografi, sbir- ciare nella sequenza delle foto imperfette, sbagliate, scartate, tut- te tranne la Prescelta, quella che diventerà un’icona. Forse no: ave- va ragione Stock, in fondo. Mica è un caso se Henri Cartier-Bres- son, pontefice dell’immagine unica, non li faceva vedere a nessu- no, i suoi rullini stampati a contatto, con tutti gli scatti insieme in MICHELE SMARGIASSI La G FOTO DI THOMAS HOEPKER/MAGNUM/CONTRASTO Repubblica Nazionale

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Page 1: LA DOMENICA - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/06112011.pdfde la coda a Varanasi, «il primo scatto è per il sog-getto, il secondo è per la messa in forma. Tutti

LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 6NOVEMBRE 2011

NUMERO 351

CULT

La copertina

FUMAROLI, SIMONEE VANNUCCINI

Dai circoli di letturaai club sul webbenvenuti nell’eradel “social reading”

Il libro

All’interno

L’intervista

GIULIANO ALUFFI

Michael Connelly“Scrivo perchésolo nei giallisi risolvono i delitti”

La mostra

FABRIZIO D’AMICO

Gastone Novellile scandalosebiennalidi un sovversivo

Lo spettacolo

RODOLFO DI GIAMMARCO

Marco Paolinidiventa Galileoper raccontarel’intraprendenza

Roth-Zweig,come combatterele bestie feroci

Le lettere

JOSEPH ROTH E STEFAN ZWEIG

Uno per cento,anatomiadel super ricco

L’attualità

JEAN-PAUL FITOUSSI E FEDERICO RAMPINI

Tanti scattima alla finesolo unoverrà sceltoDai proviniMagnumle immaginiche hannofatto la Storia

Fotoperfetta

sequenza, nelle stesse minuscole dimensioni dei negativi. «Non siintinge nelle padelle il naso degli invitati a cena», diceva. I provinierano la cucina del fotografo, il suo laboratorio esclusivo e segreto,la tomba dei suoi errori e delle sue indecisioni. Che indiscrezionegigantesca allora questo volumone di Kristen Lubben, Magnum:la scelta della foto, quattro chili e cento autori dell’agenzia che dasessant’anni è l’Olimpo del fotogiornalismo, il loro lavoro così co-me uscì dalla fotocamera, fotogramma per fotogramma. Ferdi-nando Scianna, il primo italiano ammesso lassù, ha accettato conriluttanza di metterli in piazza: «È come esporre i meandri del tuoinconscio a uno psicanalista imbecille...».

Ma che avventura emozionante. Sfogliare queste pagine minia-te come un codice medievale (procurarsi una lente d’ingrandi-mento) è più che frugare nei cassetti, è entrare negli occhi del foto-grafo, dentro la sua testa, nelle sue scarpe.

(segue nelle pagine successive)

Gatti e giardinil’amore selvaggionel romanzodi Mercè RodoredaELENA STANCANELLI

irati! Su, voltati! Quanto abbiamo desiderato ve-derla in faccia, la ragazza che danza sola, di schie-na, nel suo diafano vestitino fatto di garza, pace,amore e musica sul palco del Venice Rock Festival,California, anno di grazia 1968; ma lei non potevavoltarsi, era solo una fotografia, una splendida fo-to di Dennis Stock, simbolo di una generazione. E

invece il miracolo è lì, sulla pagina, da non crederci: lei si volta, len-tamente, fotogramma 27, fotogramma 28, ecco finalmente il suoviso... Ma è una delusione. Né bella né brutta, espressione un po’fumata, gesti impacciati: tutta la magia è svanita.

Chissà se è giusto frugare nei provini dei grandi fotografi, sbir-ciare nella sequenza delle foto imperfette, sbagliate, scartate, tut-te tranne la Prescelta, quella che diventerà un’icona. Forse no: ave-va ragione Stock, in fondo. Mica è un caso se Henri Cartier-Bres-son, pontefice dell’immagine unica, non li faceva vedere a nessu-no, i suoi rullini stampati a contatto, con tutti gli scatti insieme in

MICHELE SMARGIASSI

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LA DOMENICA■ 30

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

La copertinaFoto perfetta

I(segue dalla copertina)

l provino è il manoscritto del foto-grafo, il suo brogliaccio di lavoro. Clic,clic, scorrere la striscia perforata è rivi-vere la marcia di avvicinamento del fo-tografo al suo soggetto, la manovra del-la sua cattura, il colpo che lo intrappola.Anzi i colpi, plurale: perché qui si vede,senza più scuse, che il “momento decisi-vo” non è una botta di fortuna, non èun’illuminazione divina, è una ricerca avolte spasmodica a volte paziente, sempreaccanita, dell’istante in cui il mondo si di-spone nella posa giusta davanti alla lente.

Le grandi fotografie della storia hannotante sorelle rinnegate. C’è dunque un se-condo momento decisivo, forse ancora piùdecisivo, quello in cui il fotografo stampa lesue miniature, le scorre con lo sguardo, le pa-sticcia a matita grassa rossa con crocette e cer-chietti: questa no, questa no, eccola: questa sì.La posizione di una mano, il convergere dellelinee, la perfezione sono questione di millime-tri. «Di solito è buono il secondo scatto», spiegaScianna davanti alla foto del suo cane che si mor-de la coda a Varanasi, «il primo scatto è per il sog-getto, il secondo è per la messa in forma. Tuttiquelli successivi sono solo per placare l’ansia del-la riuscita». Ciascuno ha la sua “quota di sicurez-za”. Per la sua donna con la testa di cane, ElliotErwitt scattò quasi quaranta foto praticamenteidentiche, per prevenire la delusione: «È depri-mente vedere i provini». La stampa a contatto deinegativi era il momento della verità. E anche quelladel suo ribaltamento: nel celebre Dibattito in cucinatra Nixon e Kruscev (in realtà era una fiera di elettro-domestici a Mosca) il dito puntato del presidente Usa sul petto del lea-der sovietico diventò l’icona dell’orgoglio maccartista, eppure nel restodella pellicola di Erwitt i due sono a colloquio bonario e sorridente. Mafu quella sola foto a uscirne.

E dopo, che ne è dei provini? Carta da macello. Robert Capa li perde-va (se avessimo i provini del Miliziano caduto, il mistero di quell’iconasarebbe svelato). Cartier-Bresson li ritagliava «come ci si taglia le un-ghie, allez-hop!». Le planches-contact delle foto celebri che tornano inquesto libro sono sopravvissute solo perché furono l’interfaccia tra il fo-tografo, l’agenzia e i grandi rotocalchi. E questo ci svela un altro segre-to: spesso a laureare “la” foto fra le tante non era affatto l’autore. I foto-reporter di guerra spedivano i rullini ancora non sviluppati alle loroagenzie, e lì era qualcun altro che li visionava. Stupirà apprendere cheuna parte delle icone immortali di Magnum fu scelta da un certo JimmyFox, photoeditor dell’ufficio di Parigi, il cui nome non dice niente a nes-suno, ma che di quelle foto è quasi un co-autore.

Figli dell’era Leica, prodotti intermedi, scarti di lavorazione, alla finei provini sono assurti anche ad oggetto d’arte, sotto le mani di WilliamKlein o del nostro Ugo Mulas. Scoperti dagli appassionati per il loro va-lore filologico, sono diventati in Francia oggetto di sei film-interviste adaltrettanti maestri. Ma per i fotografi continuano ad essere oggetto dipudore, per paura che rivelino troppo. Proprio per questo MartineFranck si faceva mostrare quelli dei colleghi: «Per capire come lavora-no». Non a caso, per decenni, i giovani candidati all’ammissione in Ma-gnum dovevano esibire i loro provini come test: Cartier-Bresson, giu-dice implacabile, voleva vedere solo quelli. È nel tracciato della visioneche si vede il talento, più che nel risultato.

Ora è finita, sia chiaro. Le fotocamere digitali non fanno più veri pro-vini. Questo libro «è il loro epitaffio», si rassegna Martin Parr con rim-pianto: «Mi hanno insegnato tantissimo sui miei successi e sui miei er-rori». Ora tutto avviene sul campo, immediatamente dopo il clic, conuno sguardo veloce al display: buona, la tengo; brutta, la cancello subi-to. Non resteranno tracce dell’itinerario degli sguardi: solo momentiisolati. Ma la post-fotografia ci riserva ben altre sorprese: il provino a se-lezione automatica. Nella pubblicità di un notissimo brand di fotoca-mere, la nuovissima macchinetta “intelligente” in persona ci promet-te: «Sarò io a proporti la migliore fra venti foto registrate». Brava! Poi fal-la vedere ai tuoi amici robot, a loro piacerà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La costruzionedi un’icona

MICHELE SMARGIASSI

Questo no, questo neppure, questo sìDietro ogni scatto celebre ce ne sono tantiscartati. Ora, dagli archividell’agenzia Magnum, ecco

i provini dei più grandi maestriEd ecco come veniva scelta proprioquell’immagine che avrebbe fatto epoca

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DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

IL LIBRO

Magnum,la scelta della fotodi Kristen Lubben

(Contrasto, 508 pagine,

98 euro) sarà in libreria

dal 10 novembre

«Mi sonoarrampicato

sul palco Una ragazza,

che sembrava esserein pieno sballo,

volteggiava davanti ai musicisti, ballavamentre io scattavoQuesta fotografia

è diventata il simbolodell’epoca hippie»

DENNIS STOCK

Venice Beach, California1968

LA TOUR EIFFELA sinistra, la celebrefoto dell’imbianchinosulla Tour Eiffeldi Marc Riboud(Parigi, 1953)con a fianco i provinida cui è trattaIn copertina,Muhammad Alì,di Thomas Hoepker(Chicago, 1966)

Hippie

«Sono tutteistantanee,

inclusa quellaselezionata,

come potete vederel’unica che valga la pena stampare

È un ritratto di famiglia:

la mia prima figlia, la mia prima moglie e il mio primo gatto»

ELLIOTT ERWITT

New York1953

Madre e figlia

«Nel 1966 alcuniamici mi chiesero:

“René, possiamo farciun poster?”. Quandotornai all’Avana, vidila mia foto stampata

su magliette al ministero

dell’InformazioneDissi allora

a chi le vendeva: “Quella foto è mia!” »

RENÉ BURRI

L’Avana1963

Il “Che”

«Come si può vederedai provini, a metà rullo

mi concentro solo sul giovane,

un punk della zonaOvest, che comincia

a urlare e cattura la mia attenzioneLui urla, io afferro

la mia Leica e scatto»

RAYMOND DEPARDON

Berlino1989

Il Muro

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NEW YORK

«Mamma, checosa ci fa tut-ta questagente sul no-

stro aereo?». Il figlio di Jacqueline Sie-gel non riusciva a darsi una spiegazio-ne, la prima volta che si trovò in fila perl’imbarco (prima classe ovviamente)con tanti sconosciuti, lui che era abi-tuato a viaggiare col padre sul jet priva-to dell’azienda. Benvenuti nel mondoovattato dell’1%.

Una categoria sociale finita sotto i ri-flettori dell’attenzione pubblica grazieal movimento Occupy Wall Street:quello che si autodefinisce «il 99%» edenuncia i privilegi dell’oligarchia. Sevivete a Manhattan, cioè nel cuore del-la protesta, da quali segnali si capiscese appartenete al vituperato o invidia-to un per cento? Ecco 12 comanda-menti che tracciano la linea di demar-cazione nella vita quotidiana. È un testempirico, la prova della verità che tra-disce i veri privilegiati. Primo: vestiterigorosamente made in Italy (con l’ec-cezione delle scarpe Louboutin) com-prando da Bergdorf Goodman sullaQuinta Strada. Secondo: cenate daMasa (il giapponese col menù senzaprezzi…), Per Se, Marea, Babbo, e al-meno una volta all’anno vi concedete ilpersonal chef a casa con catering a trestelle. Terzo: abbonamento fisso allaMetropolitan Opera, più donazione fi-scalmente detraibile. Quarto: si volasolo BusinessFirst, se non è accessibileil Gulfstream. Quinto: mai in metropo-

litana, neppure se nevica. Sesto: assi-dua frequentazione di una Spa-fitness,con massaggiatore e trainer personale.Settimo: abbonamento al Wall StreetJournal. Ottavo: vacanze estive in To-scana, ad Aspen per sciare, weekendnella casa agli Hamptons. Nono: figli inuna scuola privata del tipo Waldorf(pedagogia progressista ma competi-tiva), retta di partenza trentamila dol-lari l’anno. Decimo: niente conto cor-rente bensì un telefono diretto con il

servizio personalizzato Wealth Mana-gement di una grande banca. Undice-simo: il palazzo dove abitate deve ave-re i portieri in livrea. Dodicesimo: i ca-ni vi piacciono di razza, ma è il dog-sit-ter che ve li porta tutte le mattine a Cen-tral Park.

Queste regole di vita da un per cen-to cambiano di poco se siete in Ci-na, paese che ha appena varcatola soglia di un milione di mi-lionari: è nella RepubblicaPopolare che Burberrysha visto crescere del34% le sue vendite insei mesi, che Zegnaha inaugurato ilsuo settantesimo ne-gozio, che la casa d’aste Ch-ristie’s ha venduto per quattromilioni di euro un paio di pistole d’e-poca Qing con impugnatura d’oro in-castonata di gemme. Non varia moltoin Brasile, dove il potere d’acquisto deibenestanti è così florido che LouisVuitton carica un sovrapprezzo del100% rispetto agli stessi prodotti nelsuo negozio sugli Champs-Elysées.

Stiamo parlando di una esigua mi-noranza di straricchi? Sono i soliti ban-chieri, magnati d’industria, star dellospettacolo? Non soltanto. Negli StatiUniti gli individui con una ricchezzanetta da 1 a 5 milioni — è la soglia soprala quale i gestori patrimoniali vi classi-ficano come «alti patrimoni» — sono26,7 milioni. Altri 2 milioni di america-ni hanno un patrimonio fra i 5 e i 10 mi-lioni netti. Un milione di persone stan-no sedute su un gruzzolo dai 10 ai 100milioni. Infine 29mila svettano sopra i100 milioni di dollari. Tutti insieme

fanno più di metà della popolazioneitaliana. Se vogliamo restare nella defi-nizione precisa dell’1%, cioè solo tremilioni di americani, qui la soglia d’in-gresso si misura in base al reddito. I da-ti dell’Internal Revenue Service (il fiscoamericano) segnano il confine esatto:bisogna percepire un reddito di alme-no 506mila dollari lordi annui (375mi-la euro) per entrare nella cerchia dei tremilioni di persone che sono l’1% dellapopolazione americana. A livello

LA DOMENICA■ 32

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

L’uno per cento della popolazione mondialepossiede il quaranta per cento delle ricchezze

del pianeta. Ecco come vive, dove vive, cosa fa e come spendei suoi soldi quella parte dell’umanità contro cui (e in nomedel restante 99%) si batte il movimento Occupy Wall Street

Nel 1774,appena il 9%del totale

era in manoall’aristocraziainglese d’America

L’attualitàLotta di classe

Chi sono i ricchie perché sonosempre più ricchi

cia un fenomeno reale, quelli che stan-no “lassù” hanno spiccato il volo, di-stanziando sempre di più la maggio-ranza della popolazione. Un affasci-nante studio degli storici Peter Linderte Jeffrey Williamson dimostra che mainella storia passata l’1% ebbe una quo-ta così larga della ricchezza nazionale.Nel 1774, quando ancora c’era il colo-nialismo inglese e quindi l’aristocra-zia, l’1% dei privilegiati nel New En-gland controllavano appena il 9% del

mondiale per isolare l’1% che sta in ci-ma alla piramide bisogna ritornare in-vece alle statistiche sul patrimonio,perché più omogenee. Il Global WealthReport del Credit Suisse indica che co-storo controllano il 38,5% della ric-chezza mondiale, e che i loro averi so-no cresciuti del 29% in un solo anno: èuna velocità doppia rispetto alla cre-scita della ricchezza complessiva delpianeta.

Dunque Occupy Wall Street denun-

CARLOS SLIM HELÙ

Patrimonio

74 miliardi

Nazione

Messico

Azienda

Telmex, América Móvil

BILL GATES

Patrimonio

56 miliardi

Nazione

Stati Uniti

Azienda

Microsoft

WARREN BUFFETT

Patrimonio

50 miliardi

Nazione

Stati Uniti

Azienda

Berkshire Hathaway

BERNARD ARNAULT

Patrimonio

41 miliardi

Nazione

Francia

Azienda

LVMH-Louis Vuitton

LARRY ELLISON

Patrimonio

33 miliardi

Nazione

Stati Uniti

Azienda

Oracle Corporation1 2 3 4 5

La top ten

FEDERICO RAMPINI

gli americani con reddititra 1 e 5 milioni di dollari

26,7 milioni

quelli con un patrimonionetto di 5 -10 milioni

2 milioni

di americani possiededai 10 ai 100 milioni

1 milione

Repubblica Nazionale

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rare dalle banche quando il mercato ècrollato. «Gli straricchi non hanno maisofferto una volatilità così esasperatadella loro fortuna, legata ai mercati fi-nanziari», spiega Frank.

Dunque l’1% è una categoria a ri-schio, ad alta mobilità, si entra e si escecon la porta girevole a gran velocità.Perciò nel 2008 fu varato il welfare deibanchieri: 600 miliardi solo per salvareWall Street.

■ 33

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

LAKSHMI MITTAL

Patrimonio

31.1 miliardi

Nazione

India

Azienda

Arcelor Mittal

EIKE BATISTA

Patrimonio

30 miliardi

Nazione

Brasile

Azienda

EBX Group

MUKESH AMBANI

Patrimonio

27 miliardi

Nazione

India

Azienda

Reliance Industries

FONTE FORBES 2011. IL PATRIMONIO È ESPRESSO IN MILIARDI DI DOLLARI STATUNITENSI

LI KA SHING

Patrimonio

26 miliardi

Nazione

Hong Kong

Azienda

Cheung Kong Holdings

AMANCIO ORTEGA

Patrimonio

31 miliardi

Nazione

Spagna

Azienda

Zara6 7 8 9 10

totale. La nobiltà dell’epoca viveva incondizioni meno distanti dalla media,rispetto alle nuove oligarchie del terzomillennio. Nella storia americana la di-latazione abnorme delle diseguaglian-ze ha una data di nascita: il 1982.

Non a caso, è l’inizio dell’era di Ro-nald Reagan segnata da un sistematicoattacco al welfare state, al potere deisindacati, insieme con politiche fiscalisempre meno progressive. È dal 1982che l’1% si stacca dal resto, si alza verso

la stratosfera, allarga le distanze: nelquarto di secolo successivo la sua quo-ta del reddito nazionale viene più cheraddoppiata, sale oltre il 20%; la quotadi ricchezza va ancora più su, supera il33%. È la traiettoria che illustra l’ultimacopertina del settimanale The Nation:«Wall Street ha inventato la lotta diclasse». Quando quel concetto era or-mai diventato tabù nel dibattito politi-co americano, se ne sono appropriati iricchi e il conflitto sociale sulla distri-

buzione delle risorse lo hanno stravin-to loro. Ma c’è anche chi invita a com-patirli. Robert Frank nel saggio The Hi-gh-Beta Richracconta la storia della fa-miglia Siegel, quella del figlio che nonsi capacita di dover salire in aereo condegli sconosciuti. Dopo aver fatto for-tuna nell’immobiliare, ed essersi co-struiti “la Versailles degli Stati Uniti” aOrlando, in Florida (23 stanze da ba-gno, un garage per 20 auto, 2 sale cine-matografiche), se la sono vista pigno-

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Negli Stati Unitil’upper classprende il volo dal 1982,quando Reagansferra l’attaccoal welfare state

Aumenta la disuguaglianzadiminuisce la democrazia

JEAN-PAUL FITOUSSI

La disuguaglianza e il suo aumento inarrestabile sono al tem-po stesso causa ed effetto della crisi. Perché si è arrivati a que-sto punto? Nei Paesi industrializzati veniamo da trent’anni di

crescita della disuguaglianza di pari passo con la dottrina domi-nante, che dalla rivoluzione conservatrice dell’inizio degli anni Ot-tanta ha generato una conversione al liberalismo, al free trade, alladeregolamentazione. Il fenomeno è caricaturale negli Stati Uniti,dove il 10% più ricco ha visto la quota di reddito nazionale aumen-tare del 15% mentre il salario medio dell’altro 90% conosceva unastagnazione.

Oggi la disuguaglianza è più forte che alla vigilia della crisi, e la ra-gione è la seguente: se c’è una stagnazione del reddito della grandemaggioranza della popolazione, la domanda globale è bassa. Percontrastare quest’insufficienza la politica monetaria diventaespansionista. La gente che aveva difficoltà ad arrivare alla fine delmese ha fatto prestiti, e così il debito privato è aumentato. Dall’al-tra parte ci sono quelli che hanno avuto benefici dall’aumento del-la disuguaglianza, cioè i ricchi, che hanno visto la loro quota di red-dito aumentare in modo enorme. Si sono ritrovati con un mucchiodi soldi da spendere e hanno comprato case, titoli, azioni. Il chespiega la bolla speculativa, aggravata dal ritardo con cui ci si è ac-corti che questa accumulazione di ricchezza era illusoria, perché imercati stavano sopravalutando il valore degli asset. Mentre accu-mulavano ricchezza i ricchi accendevano prestiti, che sono andatia sommarsi ai debiti di necessità del resto della popolazione. Quan-do le bolle speculative sono esplose, tutte le economie del mondosi sono trovate davanti a un eccesso di debito privato che ha fatto

crollare le economie. Questo crollo ha fatto dimi-nuire le entrate fiscali e quindi aumentare il di-savanzo pubblico. I governi hanno provato acontrastare l’effetto della crisi con piani di rilan-cio finanziati con risorse pubbliche: c’è stata unasostituzione fra debito privato e debito pubblico.

Ha contribuito all’aumento della disuguaglian-za la diffusa fede che per guadagnare in competiti-vità in un’epoca di globalizzazione le cose più im-portanti fossero diminuire lo stato di protezione so-ciale, ridurre il costo del lavoro, non tassare i ricchiper evitare che cambiassero Paese. Si è diminuita la

progressività dell’imposta e si sono alleggerite le tas-se solo sulle imprese. È urgente invece rendersi conto

che il sistema capitalista non può soprav-vivere che in un contesto dove ladisuguaglianza è tenuta sottocontrollo. Va ripristinato il prin-cipio-base della democrazia,

che è «una persona un voto», e noncome indica il mercato «un euro un

voto». Servono compromessi tra princi-pi contraddittori, il capitalismo ha cono-

sciuto i suoi periodi di gloria quando è riuscito in questo com-promesso, aumentando per esempio la protezione sociale,fattore cruciale di stabilizzazione. Serve insomma la consa-pevolezza che se la disuguaglianza è troppo elevata si poneun serio problema politico di regressione della democrazia.

(Testo raccolto da Eugenio Occorsio)

La curva della disuguaglianza

12%

1000

primaglobalizzazione guerra neoliberali

deglobalizzazione sviluppo OGGI

01820 1870 1890 1900 1913 1938 1952 1960 1978 2000 20111929

10

20

30

40

50

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DOLLARI1

DOLLARO

della popolazionemondialevive con menodi 1 dollaroal giorno

1%47,4trilioni

40%=

Nel 2009 era il 37%

0,1% 26,8trilioni

22%=

Nel 2009 era il 20%

16%58,8trilioni

48%=

83%15,6trilioni

13%=

(1 trilione = mille miliardi)

Nel mondo

COEFFICIENTE GINI = 0,8*Èla misura della disuguaglianza di distribuzione del reddito nel mondoFatta 10 la popolazione mondiale, 1 ricco ha mille dollari, gli altri 9 un dollaro* Parametro in cui 0=totale equità e 1=totale iniquità

Repubblica Nazionale

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Roth

LA DOMENICA■ 34

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

«C

Le lettereMitteleuropa

26 marzo 1933(Hotel Foyot, Parigi)

aro amico, la prego di fare attenzioneche le Sue lettere indirizzate a me viag-gino attraverso la Svizzera. Alcunepassano dalla Germania. Sono d’ac-cordo con Lei. Bisogna aspettare. Nonsappiamo quanto a lungo. L’ottusitàdel mondo è maggiore che nel 1914. Gliuomini non si commuovono piùquando uomini feriscono e uccidono.

Nel 1914 almeno da ogni parte ci sisforzò di spiegare la bestialità con mo-tivi e paraventi umani. Ma oggi la be-stialità si adorna di spiegazioni più be-stiali della bestialità stessa. [...] Le siachiaro: nella misura in cui una belvamalata come Goering si differenzia daGuglielmo II che rimase sempre nel-l’ambito dell’umano, ecco, in questamisura il 1933 è diverso dal 1914».

J.R.

6 aprile 1933(Hotel Foyot, Parigi)

«Caro amico, cerchi di capire final-mente che Lei è capro espiatorio pertutti i peccati degli ebrei, non solo perquelli di chi portò nomi simili al suo.Se Goebbels la confonde o no con unaltro, per lui è indifferente. Lei per luinon è migliore né diverso [...].

Si faccia una ragione della realtàche i quaranta milioni che obbedi-scono a Goebbels sono ben lontanida fare alcuna differenza tra Lei,Thomas Mann, Arnold Zweig, Tu-cholsky o me. Tutto il nostro modo divivere è stato vano. Lei non è confu-so con altri perché si chiama Zweig,bensì perché è ebreo, bolscevico del-la cultura, pacifista, letterato della ci-viltà, liberale. Ogni speranza è insen-sata.

[...] Io sono un anziano ufficialeaustriaco. Amo l’Austria. Ritengo vi-le non dire oggi che è venuto il tempodi provare nostalgia per gli Asburgo.Voglio riavere la monarchia, e vogliodirlo».

J.R.

30 ottobre 1933(11, Portland Place, Londra)

«Caro amico, stiamo splendida-mente bene, ho preso un bell’apparta-mento in affitto, lavoro al mattino e fi-no alle 15 in biblioteca, poi a casa. Lagente qui è piena di riguardo e atten-zioni, simpatica, il clima dei rapportiumani è incoraggiante anche per il la-voro. Lei, caro amico, si sentirebbe si-curamente molto meglio, molto più asuo agio qui che non a Parigi, o nellaSua solitudine. Io già da quattro setti-mane ho smesso di fumare, ciò mi gio-va molto, e d’altra parte colgo già mol-ti sospiri di sollievo dal fatto di non ri-cevere notizie da casa. Suo nel cuore».

S.Z.

3 novembre 1933 (11, Portland Place, Londra)

«Caro amico, dopo giorni splendidine affronto di difficili. S’immagini, hoappreso di attacchi contro di me aVienna e poi ho saputo, tre settimanedopo, che l’editore Insel ha pubblica-to — senza chiedermi l’autorizzazionee senza nemmeno comunicarmi la de-

«LaGermania è morta, per noi è morta. È stata solo un sogno, apra gli occhi, la prego!». Così scrisse Joseph Rotha Stefan Zweig nel 1933, l’anno della presa del potere di Hitler. È un momento chiave del carteggio tra i duegrandi scrittori austriaci esuli che la casa editrice Wallstein di Gottinga (www.wallstein-verlag.de) ha appe-

na pubblicato (Jede Freundschaft mit mir ist verderblich-Joseph Roth und Stefan Zweig, Briefwechsel 1927-1938). Do-cumento straordinario di cui pubblichiamo questi estratti. Confessioni, litigate e riconciliazioni tra i due offrono te-stimonianza e memoria uniche del dramma dell’intellighenzia mitteleuropea ed ebraica davanti all’ascesa del nazi-smo e degli altri totalitarismi. Due caratteri quasi opposti s’incontrano e si confortano nel destino comune dell’esilio:Zweig già scrittore di rango, benestante, con una tranquilla situazione familiare, Roth feuilletonista instabile e alco-lizzato invitato invano dall’amico a smettere di bere. Ma dei due è Roth spesso il più lucido, quello che capisce per pri-mo e avverte l’altro della catastrofe in corso e del suo inevitabile epilogo tragico. Un’amicizia che si rompe anche perdissensi tra Roth più pessimista e Zweig possibilista, sullo sfondo della Seconda guerra mondiale imminente, e la sto-ria di due vite distrutte di esuli. «Non diverremo vecchi, noi esuli», scrive Zweig quando Roth muore a Parigi. Nel 1942,Zweig stesso si toglie la vita a Petropolis in Brasile. (Andrea Tarquini)

JOSEPH ROTH e STEFAN ZWEIG

Caro Stefan, combatterò le belve

Anno 1933, in Germania il nazismo ormai è al potereDue grandi intellettuali, entrambi austriaci, ebrei ed esuli,da Parigi, Bruxelles, Londra, tengono

un carteggio rimasto finora ineditoUn documento straordinario sui giorni più bui del Novecento

DOCUMENTILe lettere

pubblicate

in queste

pagine

sono

gli originali

del carteggio

Roth-Zweig

(© Wallstein,

Gottinga)

Repubblica Nazionale

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Zweig

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DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

cisione in anticipo — una lettera che ioLe avevo scritto di Suo auspicio per evi-tarle problemi nella questione conKlaus M! [Klaus Mann, ndr]. Ho presola decisione che da tempo mi pesavasul cuore, ho inviato una richiesta dipubblicazione della mia posizione algiornale A. Z. che deve uscire domani eLa prego, se la vedrà, di chiarire tuttocon tutti e inviarmi anche ritagli di at-tacchi alla mia persona, in modo che iopossa reagire subito ed energicamen-te».

S.Z.

7 novembre 1933(Rapperswill)

«Caro amico, da tutti coloro, senzaeccezione, i quali hanno funzioni pub-bliche per la Germania, con la Germa-nia, in Germania, mi divide quel chedistingue l’uomo dalla bestia. Controiene puzzolenti, contro l’inferno, per-sino il mio vecchio avversario Tuchol-sky è mio compagno d’armi. Sento giàl’obiezione: noi siamo ebrei. Sebbeneio fui ferito al fronte [nella Prima guer-ra mondiale, ndr] dico no! Solo belve

potrebbero accusarmi per aver alloraversato il mio sangue. Resto nelle trin-cee come allora, combatto contro lebelve per il genere umano».

J.R.

Tra l’8 e il 13 novembre 1933(Londra)

«Caro amico non creda, La prego,che io sia un asino o un debole, a la-sciarmi tollerare e insieme boicottarein Germania: per me conta mantenerela proprietà intellettuale del mio lavo-ro. Uno strappo come Lei sogna nonservirebbe, non è possibile cancellaredal mondo i settanta milioni di tede-schi con la protesta, e temo che gli ebreianche all’estero debbano prepararsi aqualche delusione, è facile concludereun patto alle loro spalle, dalla diplo-mazia mi aspetto ogni porcheria. Sonomolto scosso da quanto su di me è sta-to scritto e fatto da “amici”, negli ulti-mi giornali tedeschi sono usciti fulmi-nanti articoli d’odio contro di me. Bi-sogna imparare a vivere soli e nell’o-dio, eppure non ricambierò odiando».

S.Z.

27 marzo 1934 (Londra)

«Caro amico, posso dirle che a cau-sa di notizie da Parigi, a Vienna inda-gano sul mio conto, i giornali non pos-sono pubblicare nulla di me. A Londrai giornali ti lasciano in pace, ma Leistesso che vive a Parigi sa bene come ioa Parigi devo ormai nascondermi. Laprego non parli di queste righe connessuno, altrimenti finirà in mano aigiornali francesi e dell’emigrazione».

S.Z.

13 aprile 1934 (Hotel Foyot, Parigi)

«Caro amico, è orribile che Lei nonvenga da me. Attraverso la crisi privatapiù grave. È la peggiore ora della mia vi-ta, mi creda, e non è l’alcol».

J.R.

Maggio-giugno 1934 (Londra)

«Il mio pessimismo politico è smi-surato. Credo alla prossima guerra co-me altri credono in Dio. Mi aggrappo aogni ultimo brandello di libertà di cui

possiamo ancora godere, pronuncioogni mattino una preghiera di ringra-ziamento, perché sono libero, perchésono nel Regno Unito. Pensi alla miagioia, in questo tempo di pazzi mi sen-to ancora abbastanza forte da imparti-re lezioni morali ad altri».

S.Z.

Maggio 1937 (Hotel Stein, Salisburgo)

«Caro amico, è inaudito come lei mitratta. Lei ha il dovere di riconoscermicome amico, anche se non le scrivo dadieci, venti o mille anni».

J.R.

17 ottobre 1937 (Londra)

«Caro non amico, voglio solo dirleche finalmente grazie a Bertold Flesche ho visto ieri ho appreso qualcosadel suo lavoro. Non so come dirle co-me sarebbe secondo me importanteper lei cambiare luogo e clima. Un sa-luto, e non dimentichi il suo infeliceamante e amico respinto».

S.Z.

31 dicembre 1937 (Hotel Dinard, Parigi)

«Caro amico, la vecchia amicizia èancora in piedi. Ma sto troppo male,non riesco a scrivere. Saluti di cuore, ilsuo fedele»

J.R.

Dicembre 1938 (49, Hallam Street, Londra)

«Caro Joseph Roth, Le ho scrittotre o quattro volte senza ricevere ri-sposta, e credo in nome della nostraamicizia d’avere diritto di chiederlecosa vuol dirmi col suo silenzio...Forse sarò presto a Parigi, mi facciasapere se preferisce che io la cerchi oche io la eviti, visto che Lei mi evitatanto... Il Suo silenzio è troppo evi-dente, lungo e impressionante per-ché io possa spiegarmelo pensandoa un suo eccesso di lavoro. I miglioriauguri dal cuore, e possa (malgradotutto!) il prossimo anno essere nonpeggiore di quello che sta terminan-do. Suo»

S.Z.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lo storico è convinto che la guerra arriveràma che ci sia ancora speranza. Più lucido l’autoredi “Fuga senza fine”: “Contro Goebbels e i milioni che lo seguono,contro queste iene sperare non ha alcun senso”

INSIEMENella foto,

Stefan Zweig

(a sinistra)

e Joseph Roth

a Ostenda,

in Belgio nel ’36

I disegni di Roth

(a sinistra)

e Zweig sono

di Tullio Pericoli

Caro Joseph, non odierò nessuno

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 36

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

SpettacoliIn casa

TESTIMONIALMassimo bebé:questa fotovenne usataper la pubblicitàdi un latte in polvereA destra, i genitoriAlfredo e Elenain viaggio di nozze

BACI A TUTTICartolina dal Costa Rica:“Vedete telefoni qui?”

Mio fratello

Sollevo lo sguardoin quellache un tempoera statala sua cucinaMi guardo attornomentre sto scrivendosul suo tavoloE per un attimolo rivedosedutoal suo posto

COMPLICI

Con la sorella Rosaria: “Quando

nostro padre tornava a casa

coi giornali presi dal treno facevamo

a gara a chi leggeva più notizie”

Sei figli tra maschi e femmine, i genitori e i nonni “Più che una famiglia la nostra era una compagniastabile”. A trent’anni dall’uscita nei cinemadi “Ricomincio da tre”, il film che lo consacròautore, attore e regista,la sorella Rosariaapre i cassetti dei ricordie ci restituisce un ritratto ineditodel grande comico italiano

in un libro-diario di cui anticipiamo alcuni brani

Massimo

ROSARIA TROISI

Troisi

‘‘

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

rauna sera del 1953. Avevo otto anni ed ero stata accolta nellettone di mia zia, che dormiva nella stanza da letto attac-cata a quella dei miei genitori. Mentre tendevo l’orecchioper capire cosa stava accadendo dall’altra parte della pare-te, all’improvviso sentii la voce gioiosa di nonno Pasqualeche esclamava: «‘O purciell’! ‘O purciell’!». Era nato mio fra-tello. Pesava cinque chili e il nonno fu il primo a prenderlofra le braccia. Era un bambinone pieno di vita e aveva sem-pre così tanta fame che presto il latte di mia madre comin-ciò a non bastare più. Lei si arrese a integrarlo con quello inpolvere e poiché persino la capienza del biberon stava di-ventando insufficiente, lo sostituì con una bottiglia di birra,su cui applicò un ciucciotto. Da lì Massimo iniziò a poppa-re, crescendo forte e robusto. Custodisco gelosamente unavecchia foto di giornale un po’ sbiadita: è una pubblicità del-la Mellin, il latte in polvere che ha nutrito generazioni dibambini. Il piccolo testimonial è proprio Massimo. Quan-do aveva pochi mesi, nostra madre aveva provato per giocoa inviare la sua foto e loro l’avevano pubblicata, con suagrande sorpresa e immenso orgoglio.

Palazzo BrunoMassimo è nato a San Giorgio a Cremano, piccolo paese

stretto tra il mare e il Vesuvio, un posto fuori mano, che al-lora più che mai era una periferia all’ombra di Napoli. Abi-tavamo in quello che chiamavano ’o palazz’e Bruno miezz’eTarall, un palazzone di sei piani rimasto in piedi fino al 1978.Vi erano lunghi ballatoi su ognuno dei quali si affacciavanole porte di due appartamenti. Nel nostro, al terzo piano, abi-tavano anche i nonni e gli zii. Siamo cresciuti molto uniti ela famiglia ha avuto per noi valore al di sopra di tutto, facen-doci sentire forti e invincibili. Ancora oggi è evidente quan-to ci assomigliamo nei comportamenti, nei gesti, nelleespressioni. Io, Massimo, Annamaria, Vincenzo, Luigi e Pa-trizia: sei fratelli cresciuti senza merendine e con giochi in-ventati. Fra di noi si creavano alleanze a seconda delle età eMassimo per esempio era molto legato a Patrizia, la più pic-cola. Avevano l’abitudine di giocare con una palla di cartanella camera da letto dei nostri genitori. Quando facevanocadere i pendenti del lampadario con le pallonate, Massi-mo e Patrizia diventavano complici e anche quando di queipendenti ne rimasero solo due, nessuno di loro avrebbe maiconfessato. La complicità fra me e Massimo passava attra-verso altre forme di condivisione. Entrambi, fin da bambi-ni, siamo stati molto curiosi di quello che succedeva nelmondo. Mio padre, ferroviere, di ritorno dal lavoro portavaa casa le riviste e i quotidiani che i viaggiatori abbandona-vano sui sedili dei treni. Noi allora facevamo a gara a chi riu-sciva a leggere più notizie memorizzando anche i partico-lari più marginali della cronaca.

Arrivano i mostriNoi ragazzi stavamo crescendo ed era sempre più com-

plicato vivere nei ristretti spazi della casa di piazza Tarallo.Così, nel 1956 ci trasferimmo in via Cavalli di bronzo, a po-chi metri dalla piazza principale del paese. Fu in quel pe-riodo che Massimo iniziò a coltivare la sua passione per ilcalcio. I finestroni della nuova casa affacciavano su unospiazzo incolto e su quel campetto polveroso lui trascorre-va tutto il tempo che poteva. Se in quel periodo gli avesserochiesto cosa avrebbe fatto da grande, avrebbe risposto il cal-ciatore. Questo sport era del resto una passione per tutti imiei fratelli, cresciuti con un padre ex calciatore e una ma-dre tifosa. Massimo giocava nel ruolo di terzino e papà siguardava bene dal far trasparire il suo entusiasmo per non

I NONNIDurante una vacanza al mare da bambinocon i nonni e la madre Elena

ZIOA destra con la nipotinaGabriella. Sotto, il benvenutaal mondo che “Zio Massimo”scrive nel 1977 alla nipoteLynda, appena nata

CAMPIONECon la squadradi calciodell’infanzia:giocavanel ruolodi terzinoÈ il primoin alto a sinistra

GEOMETRAFoto di gruppoall’Istitutoper geometriPantaleodi Torredel Greco:è il terzo in altoda destra

AMICIMassimocon gli amicinegli anniSettantaAccanto,sulla spiaggianel 1971

Ei suoi sketch, lui rispondeva: «A scuola, mentre ‘o professo-re spiega Dante e Machiavelli». Una volta si esibì in un mo-nologo in un’assemblea di protesta per il mancato riscal-damento delle aule e il vicepreside andò via commentan-do: «Sta facendo l’attore! È uscito un altro De Filippo!».

La scuola andava male a luiIl periodo della scuola superiore fu per Massimo il mo-

mento in cui iniziò a vivere intensi rapporti d’amicizia. In-dimenticabili le scarrozzate al colle di Sant’Alfonso, am-massati nella vecchia utilitaria di qualche compagno diclasse più benestante. La meta preferita era la spiaggia. Ar-rivavano con i libri ingombranti sottobraccio, le scarpe inmano e i calzoni arrotolati e poi, come per magia, riuscivasempre a sbucare fuori un pallone. Quando arrivava l’esta-te cominciavano i primi bagni. Una volta, uscito dall’acquaMassimo non ritrovò più i suoi vestiti. La cosa peggiore erache gli avevano rubato anche le chiavi di casa e la tessera del-l’abbonamento al treno. La preoccupazione principale eradi non farlo sapere a nostro padre, e così un suo amico ven-ne a casa di nascosto a prendere un cambio per Massimo.

Non è difficile intuire quanto la sua carriera scolastica siastata lenta e difficoltosa. Il suo professore di lettere fu unodei pochi a cogliere nel segno e nel ricordare Massimo unavolta scrisse: «Non era lui che andava male a scuola. Era lascuola che andava male a lui. La sua fantasia rompeva i mu-ri, i vetri, le pareti di quell’ambiente. Lui si realizzava fuori».

Vedete telefoni qui?Quando Massimo cominciò a muovere i primi passi in

teatro, mio padre non la prese di buon grado. Non avrebbemai pensato che ce l’avrebbe fatta a sfondare e gli ripetevasempre: «Ma può essere mai che ti pigliano proprio a te?». Einvece sì, alla fine era successo. Nostro padre era felice an-che se era continuamente in apprensione per la sua salutee brontolava vedendolo sempre in viaggio. Massimo dalcanto suo, pigro come era, scriveva e telefonava di rado. Miviene in mente una cartolina che Massimo ci spedì dal Co-sta Rica. Un paesaggio deserto in cui non si vede nulla se nonuna distesa di sabbia e mare. Evidentemente il senso di col-pa per non essersi fatto vivo da laggiù non gli stava dandotregua e cercò di metterlo a tacere con una della sue trova-te: «Vedete telefoni qui?».

Lo zio fa l’attoreMassimo era molto legato ai suoi nipoti. Nel ’77, quando

nacque mia figlia Lynda, le scrisse un tenero biglietto comeaugurio di benvenuto al mondo, in un’epoca decisamentepoco rassicurante. Continua a custodirlo come un tesoro,lei che insieme ai suoi cugini è cresciuta abituandosi a rico-noscere in televisione l’immagine di quello zio famoso. Maper tutti loro non c’era differenza fra l’immagine sulloschermo e quella dello zio affettuoso e paziente con cui sidivertivano a giocare a casa. Noi adulti, poi, chiarivamosempre che quello che veniva a trovarci non era l’attore:quello che girava per casa in pigiama, che discuteva a tavo-la con noi o che si appartava per ore intere al telefono, in-somma, era sempre zio Massimo.

Sollevo lo sguardo in quella che un tempo era stata la suacucina. Mi guardo attorno mentre sto scrivendo sul suo ta-volo, ora ingombro di fogli, fotografie, appunti sparsi ed ècome se questo spazio così pieno di lui non possa ammet-tere la sua assenza. Lo rivedo per un attimo seduto al suo po-sto a capotavola. Per me è come se fosse ancora lì.

IL LIBRO E LE FOTO

Oltre il respiro. Massimo Troisi,mio fratello, di Rosaria Troisi

e Lilly Ippoliti (Iacobelli Editore,

120 pagine, 25 euro),

è in libreria dal 10 novembre

In queste pagine alcune

delle foto contenute nel libro

e tratte dall’album di famiglia

© RIPRODUZIONE RISERVATA

me ogni anno nostro padre aveva portato a casa i regali chele Ferrovie dello Stato destinavano ai figli dei dipendenti.Negli anni i miei fratelli si erano visti recapitare sempre e so-lo trenini elettrici, così Massimo aveva deciso di scrivereuna lettera alla Befana chiedendole, una volta per tutte, diportargli una bicicletta. Ma ecco che quel 6 gennaio arrivòl’ennesimo trenino. Con grande divertimento del suo pic-colo pubblico familiare, Massimo inscenò allora il suo pri-mo mini-sketch: «Ma chest è scema proprio? Ma io l’ho scrit-to accussì bell’: VOGLIOUNABICICLETTA. E chella che ffa?M’ porta n’atu treno? Chest s’è rimbambita!».

Un altro De Filippo Un giorno si presentò l’occasione che consentì a Massi-

mo di mettersi alla prova. Ce lo vedemmo tornare da scuo-la con gli occhi sgranati e il visino accaldato, il grembiulinoblu come al solito stropicciato e il colletto di piqué biancotutto storto. Era euforico come quando tornava vittoriosoda una partita di calcio. Ci annunciò tutto fiero che era sta-to scelto per interpretare il ruolo di Pinocchio nella recita difine anno della quinta elementare. Era la prima volta cheMassimo riusciva a liberarsi della sua timidezza e con queldebutto cominciò a esplorare la sua predisposizione per lascena. In seguito, quando gli chiedevano come nascevano

fargli montare la testa, ma nei suoi occhi si leggeva grandeorgoglio per quel piccolo calciatore così pieno di grinta e ditalento. La passione per il pallone sottraeva decisamente aMassimo il tempo che avrebbe dovuto dedicare ai libri discuola. Ripeté la seconda media per tre volte e cominciò adisamorarsi della scuola. Mi viene in mente Salvatore, unsuo compagno di scuola che abitava nel nostro palazzo. Ve-niva portato in palmo di mano da tutti perché era il primodella classe e per Massimo era un tormento sentirsi mette-re di continuo a confronto con lui. Dello spauracchio di Sal-vatore rimane traccia in Ricomincio da tre, nella scena in cuiGaetano racconta a Frankie di un bambino prodigio che gliaveva rovinato l’infanzia. Quel mostro sapeva le tabelline amemoria, conosceva le capitali di tutto il mondo e suonavaperfino il pianoforte. I genitori avrebbero dovuto tenerlo in-sieme ai “mostri” come lui — concludeva Gaetano con unariflessione che Massimo doveva aver fatto tante volte dabambino — piuttosto che fargli rovinare la vita agli altri.

Voglio una bicicletta In quel periodo i nonni materni abitavano con noi. Era la

casa della “compagnia stabile”, come Massimo aveva defi-nito la nostra famiglia. E davvero in famiglia non mancava-no mai spunti esilaranti. Mi è rimasto impresso nella me-moria uno dei primi spettacoli che Massimo fece per noiquando aveva circa sei anni. Era la festa della Befana e co-

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 38

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

Eora la televisione la vedremosu YouTube. L’azienda fon-data sei anni fa da Chad Hur-ley pochi giorni fa ha svelatoil suo più ambizioso proget-to: lanciare, cominciando

tra qualche settimana, ben cento canalitelevisivi sul Web, con contenuti origina-li, realizzati con partner come il WallStreet Journal, star come Madonna, atto-ri come Ashton Kutcher o magazine onli-ne come Slate. Google, proprietaria diYouTube, ha deciso così di spostare l’as-se di YouTube, nato come sito di videosharing che offriva contenuti generati da-gli utenti, verso il mondo della televisio-ne, anche se di una tv completamentenuova, tutta sul Web e totalmente on de-mand. La maggior parte dei cento canalisarà online entro la fine del 2012. Nei pia-ni di YouTube c’è la produzione di circaventicinque ore di programmazione ori-ginale quotidiana, sostenuta da sponsore partner e da un investimento, da partedi Google, di cento milioni di dollari. Mol-

NextMass media

Piccoli monitor cresconola televisione è onlineERNESTO ASSANTE

20

05

20

06

20

07

20

08

FEBBRAIO

Chud Hurley

e Steve Chen

registrano

il dominio

23 APRILEPrimo video

caricato

DICEMBRELancio ufficiale,

8 milioni

di video visti

al giorno

LUGLIO100 milioni

al giorno

di video visti,

65mila caricati

OTTOBRE

Google acquista

YouTube

per 1,65 miliardi

di dollari

GIUGNO

Lancio

di YouTube

Mobile

GIUGNO

Sony lancia

la tv compatibile

con YouTube

OTTOBRE

Concerto

degli U2

in streaming

1 miliardo

di contatti

al giorno

FEBBRAIO

Intervista

in streaming

di Barack Obama

MAGGIO2 miliardi

di contatti

al giorno

NOVEMBREAnnuncio

di nuovi 100 canali

di qualità

20

09

20

10

20

11

STORYLINE

13milioni

le ore di video scaricate nel 2010

15minuti

il tempo medioche una persona

passa su YouTube

320milioni

le visualizzazionisu YouTube

Mobileal giorno

3miliardi

i video visualizzati ogni giorno

700miliardile riproduzioni video nel 2010

25i paesi

in cui è localizzato YouTube

In un solo mese il totale dei suoi contenuti equivale a quello realizzatoin sessant’anni dalle tre maggiori emittenti Usa. Tutto prodotto dagli utentiOra al sito di video sharing di Google la buona volontà amatorialenon basta più. E così ha progettato di diventareun vero network con l’aiuto di Madonna e Jay-Z

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

ti canali saranno tematici, ma molti sa-ranno invece affidati a singole persona-lità, tra le quali Anthony Zuiker, il creato-re di CSI, il rapper Jay-Z, la star del basketShaquille O’Neal, l’attore Rainn Wilson,Madonna, che sta lavorando alla realiz-zazione di un canale chiamato DanceOn,e il campione di skateboard Tony Hawk.Ci saranno editori come Thomson Reu-ters e Hearst, studi cinematografici comeLionsgate o televisivi come Fremantle-Media, fino a produttori celeberrimi co-me Michael Eisner, ex capo della Disney,che con la sua casa di produzione Vugurusta lavorando con Stan Lee, l’inventoredei supereroi della Marvel, alla creazionedi un canale intitolato Stan Lee’s YouTu-be World of Heroes.

Secondo alcune fonti, YouTube pa-gherà cento milioni di dollari ai produtto-ri come anticipo sugli introiti pubblicita-ri che riusciranno a portare sui propri ca-nali, il massimo di ogni finanziamentosarà di cinque milioni circa e i profitti ver-ranno divisi tra YouTube (45 per cento) e

i produttori (55). Secondo Robert Kyncl,responsabile delle partnership di YouTu-be, «molti di questi canali di nuova gene-razione definiranno il futuro della tv», eprobabilmente non ha torto.

Perché YouTube ha già da tempo cam-biato il nostro rapporto con la televisione,scavalcando addirittura, per le giovanigenerazioni, la tv stessa, con la sua assen-za di palinsesti, con i contenuti comple-tamente “orizzontali”, tutti con pari di-gnità, sia che si tratti di esibizioni di starche di video autoprodotti da sconosciuti,con l’immediatezza dei cellulari dai qua-li vengono caricate liberamente immagi-ni di ogni possibile evento, pochi istantidopo l’accaduto, spesso molto prima ditelegiornali e siti web d’informazione.YouTube ci ha abituato a trovare tuttosempre, ad avere a disposizione il piùgrande archivio di immagini mai creato,a condividere spezzoni di televisione, re-centissimi o preistorici, a integrare il tut-to con Facebook consentendoci di crearedei canali personali, a vedere contenuti

internazionali quasi in diretta. Tuttoquello che era legato alla vecchia tv, ai pa-linsesti, agli orari, agli appuntamenti, al-la pubblicità è lontano dalla filosofia diYouTube, e l’arrivo di questi cento cana-li, con programmi inediti, non farà chespostare questa frontiera ancora più inavanti. Tutti i nuovi televisori sono dotatidi collegamenti a Internet, hanno l’app diYouTube già integrata, proprio perché ilservizio vuole uscire dai confini del web econquistare il posto d’onore sul televiso-re che abbiamo in salotto.

E tutto sta accadendo molto in fretta: larivoluzione di YouTube è iniziata pocopiù di sei anni fa, il 23 aprile del 2005,quando sul sito è stato postato il primo vi-deo, frutto di un’idea che tre ragazzi,Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim,avevano avuto qualche mese prima. I tresi erano conosciuti lavorando per PayPal,erano studenti e avevano pensato di ri-solvere il problema di condividere in ma-niera semplice i video attraverso Inter-net. Oggi YouTube, acquisito nell’ottobre

2006 da Google, è uno dei tre siti più fre-quentati al mondo, offre milioni di video,la gran parte prodotti dagli utenti ma an-che spezzoni televisivi e cinematografici,interi film, concerti e programmi tv. Tragli infiniti clip di YouTube c’è di tutto: leimmagini familiari, quelle scolastiche, isouvenir di viaggio, i concerti “rubati”con il cellulare, le parodie e i karaoke, lavita vera che irrompe nello schermo di In-ternet senza filtri. Ma anche lo street jour-nalism, le immagini in diretta degli avve-nimenti di cui la gente è testimone. E poii videoclip, i film, gli spezzoni della tv di ie-ri e di oggi, la cronaca e il divertimento. Icento canali di YouTube sono solo l’iniziodi quella che, nelle idee di Page e Brin, iboss di Google, potrebbe essere la spalla-ta definitiva all’impero della tv come l’ab-biamo conosciuta, un tentativo di ridefi-nire non solo i contorni ma anche il cen-tro di un’industria che sta attraversandouna fase di rinnovamento e che, tra pochianni, avrà comunque cambiato volto.

JUSTIN BIEBERFT. LUDACRIS - BABY651.823.772 clicPrimo singolo dell’albumMy World 2.0

LADY GAGA -BAD ROMANCE424.704.777 clicVincitore dell’Idmae del Vma 2010

JENNIFER LOPEZFT. PITBULL - ON THE FLOOR419.965.319 clicSecondo singolodell’album Love? (2011)

SHAKIRA - WAKA WAKA414.967.692 clicColonna sonoradei Mondiali in Sudafrica

EMINEM FT. RIHANNA-LOVE THE WAY YOU LIE398.960.241 clicProtagonisti Megan Foxe Dominic Monaghan

CHARLIE BIT -MY FINGER... AGAIN!384.499.985 clicUn bambino mordeil dito al fratellino

GL

OSSA

RIO

La televisione che si vede solosul web. Trasmette senzaantenne terrestri o parabolicheDati i bassi costi di gestionepuò essere realizzata con facilitàanche da piccoli operatori

Web Tv

I programmi visibili a richiesta,in inglese “on demand”I contenuti restano disponibilisul sito e si possono scaricarequando si vuole, senza orario appuntamenti prefissati

On demand

L’organizzazione su basesequenziale e oraria tradizionaledelle trasmissioni televisive,che ruota attorno a orariprefissati nei quali si concentrala maggior parte del pubblico

I video più cliccatisu YouTubealle ore 18del 4 novembre 2011

Palinsesto

Nel palinsesto tradizionalela programmazione ruota attornoai “prime time”. In quella“orizzontale” a richiesta, invece,tutte le trasmissioni hanno paridignità e la scelta è dell’utente

Orizzontale

La condivisione, strumentoprincipale del web 2.0,è la funzione attraverso la qualesi può segnalare e far vederead altri un filmato o un videodisponibile online

Sharing

Pare che dovremmo anche essere contenti. Ai 900 canali circa (ma potreb-bero essere aumentati di numero mentre scrivo, con nuovi network cine-si, polacchi, nigeriani, uzbechi) che il mio fornitore via cavo qui negli Usa

mi offre, alle esondazioni di video su richiesta (che suona più furbo se detto ininglese: on demand), al telefonino molto smart che spalanca finestrine sull’u-niverso, ora YouTubeaggiungerà 100 nuovi servizi di televisione. Non più spez-zoncini, asini che volano, professoresse che copulano con studenti, catastrofiautomobilistiche e idioti che si lanciano nelle cascate dentro una botte concommento musicale heavy metal, ma proprio emittenti con programmi origi-nali, intrattenimento, informazione, musica. E l’inevitabile “giornalismo dastrada”, quello che tutti gli editori sognano perché non costa niente.

Noi giornalisti da carta, o noi tragici profughi dei televisori italiani con duebottoni, uno per il primo, l’altro per il secondo, dovremmo rallegrarci maligna-mente. L’invasione di campo dell’invadentissimo YouTube segnala per inetwork televisivi tradizionali lo stesso futuro di irrilevanza che è stato riserva-to alle telescriventi, alle linotype, alle bozze umide, a noi e a quella rimpianta edestinta specie chiamata «correttori». Senza i quali giornali, periodici, blog, sitiribollono di errori di ortografia. È ovvio che la frammentazione del mercato inmigliaia di canali tutti lanciati a inseguire la stessa pubblicità di telefonini e digelati — il numero possibile è infinito — trasformerà i già ridicoli telegiornali dioggi in altarini shinto davanti ai quali si raccoglieranno le ultime vedove del te-leschermo, come le vedove nelle case giapponesi davanti al ritratto del maritodefunto a Okinawa. Televisione e Internet, che avevano promesso di divorarel’informazione e l’intrattenimento come erano esistiti fino agli anni Sessantanel mondo più evoluto e ancora oggi nei Paesi più arretrati come l’Italia, stan-no divorando se stesse, perché in un panorama infinito di possibilità, con i mi-raggi di democrazia orizzontale che esso promette, alla fine nessuno guarderàpiù niente. Il famoso monito di Federico il Grande di Prussia, quando avvertivai suoi generali che «colui che vuole difendere tutto finisce per non difendereniente», si sta applicando anche alla comunicazione. Che, offrendo tutto, fini-sce per non offrire niente. Chi guarda tutto, non guarda niente. Già oggi il frul-lato ellittico di immagini audiovisive che i media si scambiano incestuosa-mente, con YouTube che propone spezzoni di programmi tv e programmi tvche propongono clip rubate a YouTube, lascia nell’utilizzatore finale una verti-gine di déjà vu. Che cosa possano offrire questi canali nuovi che non sia già sta-to visto, ascoltato, prodotto, che non sia disponibile su richiesta, pardon, on de-mand, è un mistero che neppure il menù di stelle e autori che propone risolve.Il rischio è quello contenuto in un celebre aforisma: ho dato una festa bellissi-ma e nessuno è venuto. Fu nel 1951, quando la televisione già aveva invaso gliStati Uniti e l’Italia ancora attendeva l’epifania di Lascia o raddoppia? che ilgrande Richard Matheson pubblicò una delle sue più bizzarre e sinistre storiedi horror fantascientifico, Through Channels, “attraverso i canali”. Qualcosa,qualcuno, emerse dal televisore per divorare chi lo guardava, lasciandosi die-tro un solo indizio: una parola illuminata sul piccolo schermo in bianco e nero:«Feed». Dammi da mangiare, sfamami. Quanti canali dovremo sfamare, ora?

VITTORIO ZUCCONI

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Robert Kyncl

Responsabile delle partnership di YouTube

Espandendoci stiamo ridefinendoil futuro della tv

Mille canalie niente da guardare

Il futuro

CLASSIFICA*

*

100milionile persone

che interagisconosu YouTubea settimana

48le ore

caricate ogni minuto

Repubblica Nazionale

Page 12: LA DOMENICA - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/06112011.pdfde la coda a Varanasi, «il primo scatto è per il sog-getto, il secondo è per la messa in forma. Tutti

LA DOMENICA■ 40

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

I saporiMiseria o nobiltà

Popolari, facili da faree ipocaloriche le uneRicche, elaboratee zuccherose le altreDeliziosamente rivali, si contendonola scenanelle sagredi stagione

VarietàPiccola e compatta,

la castagna classica,

dalla madonna di Canale

d’Alba a quella di Montella,

è l’ideale per la cottura

rapida e violenta

nella padella forata

PreparazioneIncise con un coltellino

le parti convesse

delle bucce, si cuociono

sul fornello protetto

da spargifiamma

nella padella forata. Riposo

in un canovaccio umido

AbbinamentiVini rossi, giovani,

soprattutto il novello

che arriva ora sugli scaffali

E poi sempre rossi,

fermi o mossi,

dalla barbera alla cagnina

Oppure birre ambrate

hela sfida abbia inizio. Caldarroste contro marron glacé,la ricetta più povera del mondo — frutta abbrustolita —contro una delle più blasonate e irresistibili. Quando ar-riva il tempo delle castagne, i fornelli esultano. Perchécon loro, frutti piccoli e grandi della castanea sativa, tut-to è possibile. Difficile trovare un alimento che sappiaestendere i propri confini culinari in modo tanto ampio,originale, variegato, tanto da potersi permettere prepa-razioni in qualche modo estreme, alfa e omega dell’artebianca. Le caldarroste sono campionesse di street food.

Niente grassi, niente fritti, niente zucchero, se non quel-lo che si portano dentro. Scaldano mani e tasche, spez-zano la fame grazie al loro contenuto amidaceo, si passa-no di mano in mano con allegra complicità. Preparate incasa, sono un dolce non dolce alla portata di tutti, pron-to dopo pochi gesti veloci. In più, regalano alla cucinaquel pizzico di magia che accompagna i cibi invernali, travetri appannati, voglia di tepore e piacere della condivi-sione (le caldarroste non sono un piacere solitario).

Di tutt’altra pasta il marron glacé, che fa fremere le pa-pille gustative di milioni di palati golosi. Se esiste un sim-

bolo della trasgressione dolciaria, porta il suo nome. Ilmondo della pasticceria trabocca di tentazioni, dai pa-sticcini con la panna — le mitiche chantilly — alle prali-ne, passando per torte e creme al cucchiaio, gelatine, bi-scotti. In questo universo zuccherino che fa salire la gli-cemia al solo pensarlo, il marrone glassato occupa un po-sto esclusivo e privilegiato. Addentarlo significa entrarein una dimensione di piacere goloso da crescendo rossi-niano. E restare affascinati dal risicatissimo numero diingredienti — marroni, acqua e zucchero — che la sa-pienza gourmand trasforma in un boccone di pura poe-sia culinaria, di consistenza morbida-croccante e gustosospeso tra dolcezza carnale e ricordo di frutta secca. Iltutto, da consumare in un tempo lento: impossibile, in-gollare un marron glacé.

Alfa e omega delle castagne hanno un minimo comundenominatore. Nell’una come nell’altra ricetta la diffi-coltà è nella cura dei dettagli. Le caldarroste, che dovreb-bero essere piccole perché cuociono meglio, rischiano diriuscire troppo asciutte: basta versare un bicchiere di ros-so sullo strofinaccio in cui si avvolgono dopo averle toltedal fuoco. Per i marron glacé, invece, sono obbligatoriepazienza e disciplina, che permettono di far sobbollirenello sciroppo più volte i marroni, facendoli raffreddareogni volta senza allungare le mani sulla gratella, con lascusa penosa di un frutto rotto o venuto male. Tra no-vembre e dicembre, non perdete gli appuntamenti concaldarroste&marron glacé in programma lungo tutto ladorsale appenninica, da Lucca — dove vengono celebra-te nella manifestazione “Il Desco” — a Marradi, giù giù fi-no a Montella. In caso di brindisi, d’obbligo la birra allecaldarroste in arrivo dall’Amiata, of course.

Gli opposti estremismidei piaceri d’autunnoLICIA GRANELLO

Gli indirizzi

DOVE COMPRARE

PANIFICIO PASTICCERIA QUADALTIVia Talenti 33

Marradi (Fi)

Tel. 055-8045095

AZIENDA AGRICOLA IL CASTAGNETOVia 2 Giugno 49

Castel del Rio (Bo)

Tel. 333-5751616

EMPORIO GIARDINO DELLE ERBE Via del Corso 2

Casola Valsenio (Ra)

Tel. 0546-73158

AGRITURISMO I MONTI DI SALECCHIO (con camere e degustazione)

Via Salecchio 7

Palazzuolo sul Senio (Fi)

Tel. 055-8046850

DOVE MANGIARE

IL CAMINO

Viale Baccarini 38

Marradi (Fi)

Tel. 055-8045069

Chiuso mercoledì

Menù da 22 euro

MOZART

Via Montefortino 3

Casola Valsenio (Ra)

Tel. 0546-73508

Chiuso lunedì e martedì a pranzo

Menù da 25 euro

LA PACE

Piazza Garibaldi 16

Loc. Rocca San Casciano (Fc)

Tel. 0543-951344

Chiuso lunedì sera e martedì

Menù da 15 euro

DOVE DORMIRE

BIORESIDENCE RIGENERA

Via Belfiore

Casola Valsenio (Ra)

Tel. 0546-73793

Camera doppia da 90 euro

ALBERGO GALLO

(con cucina)

Piazza della Repubblica 28

Castel del Rio (Bo)

Tel. 0542-95924

Camera doppia da 90 euro

colazione inclusa

PALAZZO TORRIANI

Via Fabroni 58

Marradi (Fi)

Tel. 055-8042363

Camera doppia da 140 euro

colazione inclusa

© RIPRODUZIONE RISERVATA

C&Caldarroste

Repubblica Nazionale

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■ 41

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

VarietàPer resistere alle successive

bolliture nello sciroppo

è meglio usare i marroni

a buccia chiara

Ancora meglio se sono

quelli del Mugello

protetti dall’Igp

PreparazioneMarroni a bagno

tre ore in acqua fredda,

poi lessatura per due ore

Una volta sbucciati,

cottura lentissima

in sciroppo di zucchero

Scolare su gratella

AbbinamentiVini liquorosi o passiti,

dal recioto al vin santo,

fino al marsala vergine

e alla vernaccia

di Oristano, ma anche

grappa, cognac

e sherry invecchiato

erto, castagne e marroni li puoi comprare in città,dal fruttivendolo o dai caldarrostai. Ma rinuncia-re al bosco vuol dire rinunciare al bene più pre-zioso: il profumo. Con la pioggia è finalmente tor-nato, il profumo del bosco. Nell’estate che nonvoleva finire mai, sotto i castagni, i faggi e i lecci diCastel del Rio erano scomparsi gli odori e i colori.

No, un odore restava, quello della polvere. E unsolo colore: quello della sabbia. La pioggia ha ri-portato la vita. Se entri nel bosco a raccogliere ca-stagne o marroni, ti pungi con i ricci, guardi le fo-glie gialle, rosse, marroni. Senti un profumo difunghi che vivono lì, sotto terra, ma che quest’an-no non sono mai stati visti. Il loro profumo è però

una promessa per l’anno prossimo, quasi un ap-puntamento. Un cestino di vimini, un bastone,scarpe robuste. Ma entrare in un bosco diventasempre più difficile. Ci sono quelli puliti, quasipettinati, difesi da reti, steccati e cartelli che vie-tano l’accesso. Meglio stare lontano, anche per-ché la siccità estiva ha rarefatto i frutti dei casta-gneti e i loro padroni sono nervosi. Ci sono poi iboschi senza divieti, ma spesso sono abbandona-ti da decenni e entrare diventa un’impresa. Rovi esterpi funzionano meglio dei cartelli di divieto.Tuttavia basta salire verso i crinali, da Porretta oda Pavana, verso la Romagna, per trovare qualcheoasi con boschi senza rovi e senza cartelli. Untempo si faceva tutto con la “farina dei poveri”.Castagnaccio, pattona, frittelle, tortelli, e anchelasagne e tagliatelle. La fame era grande e in mon-tagna il grano era scarso. Oggi chi “va a castagne”per fortuna non è spinto dalla fame, ma dalla vo-glia di gustare un frutto raccolto con le propriemani. Basta allora mettere nel cestino poche ca-stagne e qualche marrone. Le prime si mettono abollire nell’acqua. I marroni si arrostiscono in pa-della o sul piano di ghisa della stufa a legna. E su-bito il profumo ripaga della salita verso i boschi.

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Torta di marroni con salsa di cachi

Remo Camurani

è lo chef patron

di “Strada Casale”,

osteria-culto

nella campagna

alla spalle di Ravenna

(Strada Casale 22,

Brisighella),

dove la stagionalità

è la regola di tutti

i piatti proposti

come questa torta

ideata per i lettori

di Repubblica

LA RICETTA

Sulla strada

C

&

Appennino bagnato,il profumo del boscoJENNER MELETTI

Ingredienti per 4 persone

Per la farcitura:

700 gr. di marroni

6 dl di latte

3 uova

270 gr. di zucchero

1 bacca di vaniglia

30 gr. di alchermes

20 gr. di brandy

Scorza di un limone

Infornare i marroni incisi per 20’ a 180°, poi bollirli in acqua

leggermente salata per 45’ con tre foglie fresche di alloro

Raffreddare e passarli al passatutto. Battere uova e zucchero,

unire la passata di marroni, aggiungere il latte e gli aromi

Stendere la sfoglia, foderando una tortiera imburrata e versare

il composto di marroni. Infornare un’ora e mezza a 130°. Per la salsa,

pelare i cachi, aggiungere vino, zucchero di semola e succo

di limone. Frullare e filtrare. Servire la torta a temperatura ambiente

o appena tiepida, accompagnata da un cucchiaio di salsa

Per la sfoglia:

180 gr. di farina 00

50 gr. di burro

65 gr. di latte intero

Per la salsa:

2 cachi maturi

1 dl albana di Romagna passito

20 gr. di zucchero

Mezzo limone spremuto

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Marron glacé

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 42

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011

Un giorno, guardandola polvere sugli oggettiin un mercato indiano,ebbe l’intuizione:“Le formeerano davanti a me, ma ho impiegato

molto tempo primadi vederle”. La sua vitada allora è cambiatae oggi è tra gli scultoripiù conosciuti al mondoE mentre prepara

la sua opera più importanteper le Olimpiadi di Londra, raccontale installazioni di Milano e Venezia

MILANO

All’inizio le sue scultureerano forme enigmati-che coperte da una col-tre di polvere colorata

che ne dissimulava i contorni. E lui,Anish Kapoor, nella Londra di fine an-ni Settanta era uno scultore indianoquasi del tutto sconosciuto. Oggi è fragli artisti più riconosciuti al mondo,con lavori pubblici divenuti simboli dialcune metropoli come Sky Mirror al-la Rockfeller Plaza di New York, oCloud Gate, 110 tonnellate d’acciaio alMillenium Park di Chicago.

Grandi occhi castani, carnagioneolivastra, denti bianchissimi che svelaogni volta che sorride (e lo fa spesso) loincontriamo a Milano dove ha realiz-zato Dirty Corner alla Fabbrica del Va-pore (fino a gennaio; fino al 27 novem-bre si può invece vedere Ascension,l’installazione nella Basilica di SanGiorgio, a Venezia). La scultura è la suavita e lui è alla costante ricerca di quelpunto d’equilibrio, fragile e labile, incui gli opposti si compenetrano e pie-no e vuoto diventano facce della stes-sa medaglia.

L’artista che la primavera scorsa haaffascinato la Francia con Leviathan,l’installazione al Grand Palais di Pari-gi, si siede su una panchina di fronte

alla sua opera “milanese” e incomin-cia a raccontare. E a spiegare. «L’ideadelle sculture di pigmento è nata in unviaggio in India alla fine degli anni Set-tanta. Avevo appena terminato gli stu-di e non avevo ancora chiaro cosaavrei fatto. Ma soprattutto non avevola certezza che sarei riuscito a vivered’arte. A quell’epoca il sistema eramolto diverso rispetto a oggi e gli arti-sti che vivevano davvero della loro ar-te erano ben pochi. Pensavo che alla fi-ne avrei fatto l’insegnante, o qualcosadel genere. Ma un giorno mentre os-servavo gli oggetti quotidiani copertidi polvere, per terra, nei mercati, hoavuto l’intuizione: l’effetto della pol-vere era incredibile, mistificava le for-me fino a trasformare gli oggetti in co-se misteriose e nello stesso tempo sve-lava qualcosa di famigliare anche informe astratte. Capiì allora ciò che infondo già sapevo ma che non avevoancora realizzato: le forme erano da-vanti ai miei occhi, ma ho impiegatomolto tempo a vederle».

Kapoor racconta di Oriente e di Oc-cidente, di una famiglia e un’infanziain un mondo aperto e multiculturale,quello della Bombay degli anni Cin-quanta, la città in cui nacque cin-quantasette anni fa. Padre indiano,idrografo, per lavoro disegnava map-pe marine e viaggiava. E madre ebreairachena, figlia di un rabbino di Bagh-dad. «Crescere in India in quegli annisignificava sperimentare un ambien-te cosmopolita. In casa mia si parlavainglese e si studiava sia la storia di im-peratori d’Oriente, come Akbar eJahangir, sia quella di sovrani europeicome Luigi XVI ed Elisabetta I. Il no-stro era un cosmopolitismo che anti-cipava quello contemporaneo. Miopadre viaggiava per lavoro e tutta la fa-miglia lo seguiva, per cui alla fine in fa-miglia si è sempre creduto che viag-giare fosse il modo migliore per impa-rare. Poi, quando siamo diventati ab-bastanza grandi per viaggiare da soli,mio fratello e io siamo andati in Israe-le. In quegli anni il governo di Israelepagava il biglietto aereo ai ragazziebrei che andavano lì a studiare, altri-menti difficilmente avremmo potutopermetterci di partire».

Ora viaggiare fa parte del suo lavo-ro. Mentre a Londra si costruisce Or-bit, forse la sua opera pubblica più im-pegnativa e che diventera il simbolodei Giochi Olimpici 2012, a Milano Ka-poor ha realizzato Dirty Corner. Si trat-

ta di un tunnel d’acciaio coperto dauna patina di ruggine bruna, lungosessanta metri e che si staglia nitidonello spazio. A questo imponente vo-lume corrisponde un altrettanto im-ponente vuoto interno. Il vuoto e ilbuio sono gli elementi fondamentalidi questa struttura in cui si è invitati aentrare da un ingresso alto otto metri.«La scultura è un passaggio, uno stru-mento che invita a sperimentare unpunto di vista differente, è un luogodell’esperienza». Mentre un marato-neta passa a intervalli regolari come ascandire il tempo del racconto, Ka-poor osserva: «A New York Sky Mirrorriflette a terra il cielo e la parte dell’ar-chitettura che sta in alto invitando lagente a considerare la propria posi-zione nello spazio. A Milano il con-fronto è con se stessi, con le propriesensazioni ed emozioni, è un confron-to immediato, diretto, fisico. Quandoentri in Dirty Corner non vedi nulla,

anche perché il passaggio dalla luce albuio rende l’oscurità ancora più in-tensa, non conosci il percorso, devi fi-darti, decidere se andare avanti o fer-marti. Non è nulla di estremo, solo unbreve attraversamento, ma suscitareazioni diverse in ogni individuo e in-troduce nella sfera dell’emotività edella memoria».

Il vuoto è un elemento importanteper Kapoor. Sembra paradossale peruno scultore che crea opere gigante-sche, ma è fondamentale perché in-troduce in una dimensione priva dipunti di riferimento, al limite dell’i-gnoto. «Dopo anni in cui ho realizzatosculture con i pigmenti sono arrivatoa un punto di crisi. Ho capito che nonpotevo più andare avanti. Ma non sa-pevo cosa fare. Poi un giorno, lavoran-do in studio, ho avuto l’intuizione diun oggetto vuoto: la tentazione per ilnon-oggetto! Se lo immagina?». Oggimolte delle sue opere, anche di grandidimensioni, si intitolano proprio NonObjects. «Ho scoperto che facendo for-me concave potevo avvicinarmi all’i-dea del non-oggetto, qualcosa in cui ilvuoto fosse l’aspetto più importante».

Il buio è un altro aspetto fondamen-tale per Kapoor. «Mi è sempre interes-sato il colore, ma in modo diverso dal-la maggior parte degli artisti. Nella sto-ria dell’arte il colore era il mezzo perarrivare alla luce. Per me invece il co-lore era un mezzo per trovare l’oscu-rità. Esattamente l’opposto. Ho sco-perto che il rosso crea un’oscuritàmolto intensa. Credo che sia perchéquesto colore risuona in ognuno dinoi, è come se fosse riconoscibile, co-me se la nostra interiorità più profon-da fosse rossa». Ma se gli si chiede checos’è la spiritualità si schernisce di-cendo che è una questione del tuttopersonale. «Realizzo sculture fatte diluci, ombre, pieni, vuoti: gli elementiclassici della scultura. Certo, la scultu-ra è un passaggio, un punto di rotturaoltre il quale l’esperienza può arrivaremolto lontano. Ma da qui in poi ciò cheresta è l’esperienza personale».

Il maratoneta passa di nuovo, conpasso felpato, e ormai pare far parte diquesto paesaggio stranamente silen-zioso nel centro di Milano. «Da Israelesono poi andato a Londra, era il 1973,la città non era facile per un indiano, ilrazzismo era molto radicato allora».Oggi a Londra ci vive, a Chelsea, con lamoglie e i due figli e passa molto tem-po nel suo enorme studio, dove pro-

getta, disegna e crea incredibili mo-delli per opere sempre di grandi di-mensioni. «Sono quel tipo d’artistache lavora in studio perché lo studio èil luogo della sperimentazione, è quiche succedono le cose, che inizio a ca-pire se un’opera funzionerà». È in stu-dio che ha creato anche i primi mo-delli per Ascension, l’installazione difumo bianco realizzata fra gli eventicollaterali della Biennale nella Basili-ca dell’isola di San Giorgio, a Venezia.Qui Kapoor ha sfidato se stesso crean-do una scultura eterea, un volumeevanescente. Per farlo ha scelto unluogo — quest’isola della Laguna bat-tuta dai venti — molto complesso siaper stratificazione culturale che percondizioni climatiche. Qui ha potutoimmaginare la tensione potente trapieno e vuoto, tra opera e contesto, trascultura e architettura. «Cercare direalizzare una scultura immaterialeeppure presente come volume è unasfida incredibile. Tutto il suo fascino,almeno per me, sta nella continua ten-sione fra presenza e assenza resa an-cora più intensa dalla relazione conuno spazio come quello della Basilica,straordinario sia per l’architettura delPalladio che per la sua sacralità. È inquesto contesto che l’arte, forse, puòdavvero recuperare il suo ruolo uma-nistico di tramite fra materialità e spi-ritualità».

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L’incontroMulticulturali

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Sono cresciutoin una BombaycosmopolitaPer la mia famigliaviaggiareè sempre statoil modo miglioreper imparare

Anish Kapoor

CLOE PICCOLI

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Repubblica Nazionale