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la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 NUMERO 518 Cult SAMANTHA CRISTOFORETTI STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE M ENTRE SCRIVO QUESTE RIGHE, qui sulla Stazione Spaziale Internazionale sta finendo il giorno settantacinque della mia vita extraterrestre. È un tranquillo venerdì sera, il resto dell’e- quipaggio si è già ritirato, ognuno nella pro- pria cuccetta. Non mi stupisce: è stata una settimana di la- voro intenso e siamo arrivati piuttosto affaticati alla confe- renza serale di oggi con i centri di controllo. Stanchi di quel- la stanchezza gratificante, che si mescola con la soddisfa- zione di avere portato a termine molto — attività semplici o complesse, critiche o di routine — cercando di essere sem- pre il più possibile concentrati e attenti ai dettagli, ma an- che pronti a scambiare una battuta di spirito tra di noi o con i team a terra. Saper tenere il morale alto è importante qui a bordo, quanto essere efficienti nell’esecuzione delle pro- cedure e devo dire che da entrambi i punti di vista il mio equi- paggio è eccezionale: sono stata fortunata. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE VITTORIO ZUCCONI S ONO SOLTANTO 540, fra maschi e femmine, gli abi- tanti della Terra che, da quel 12 aprile 1961 di Yuri Gagarin, possano dire di essersi affacciati al balcone dello Spazio. Con una decina di cani, gat- ti e scimmie sparati in cielo senza averlo chiesto, sono le sole creature che abbiano visto il nostro Pianeta gal- leggiare nell’universo, dall’oblò di una capsula, dal visore di un casco pressurizzato o da quella che Buzz Aldrin chiamò «la magnifica desolazione» della Luna. Se il loro numero è microscopico per un pianeta con più di sette miliardi di uma- ni, un grappolino di nomi e eventi potrebbero essere citati a memoria. Gagarin e Valentina Tereshkova, la prima don- na in orbita, in Russia. John Glenn, Neil Armstrong, l’Apol- lo XIII strappato alla catastrofe e sigillato da Hollywood, Ch- rista McAuliffe, la maestra astronauta consumata nell’e- splosione del Challenger e ricordata in centinaia di targhe appese alle pareti di scuole elementari, negli Stati Uniti. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE Il diario di Samantha L’attualità. Novant’anni da New Yorker, intervista al direttore della più raffinata tra le riviste L’inedito. Le tenere lettere d’amore di Cristopher Isherwood Spettacoli. Francesco De Gregori: “Adesso vi spiego la storia di Alice e perché lo sposo è impazzito” La copertina. Riaccendiamo i Lumi della ragione Straparlando. Paolo Prodi, ho rifiutato la politica Mondovisioni. Dharamsala, pensione dello spirito FOTO ESA/NASA. UN TWEET DEL 3 FEBBRAIO DI SAMANTHA CRISTOFORETTI MENTRE FOTOGRAFA LA TERRA DALLA STAZIONE SPAZIALE Lavorare, dormire,volare La prima donna italiana nello spazio racconta com’è la vita quotidiana extraterrestre Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 NUMERO 518

Cult

SAMANTHA CRISTOFORETTI

STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE

MENTRE SCRIVO QUESTE RIGHE, qui sulla StazioneSpaziale Internazionale sta finendo il giornosettantacinque della mia vita extraterrestre.È un tranquillo venerdì sera, il resto dell’e-quipaggio si è già ritirato, ognuno nella pro-

pria cuccetta. Non mi stupisce: è stata una settimana di la-voro intenso e siamo arrivati piuttosto affaticati alla confe-renza serale di oggi con i centri di controllo. Stanchi di quel-la stanchezza gratificante, che si mescola con la soddisfa-zione di avere portato a termine molto — attività semplicio complesse, critiche o di routine — cercando di essere sem-pre il più possibile concentrati e attenti ai dettagli, ma an-che pronti a scambiare una battuta di spirito tra di noi o coni team a terra. Saper tenere il morale alto è importante quia bordo, quanto essere efficienti nell’esecuzione delle pro-cedure e devo dire che da entrambi i punti di vista il mio equi-paggio è eccezionale: sono stata fortunata.

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

VITTORIO ZUCCONI

SONO SOLTANTO 540,fra maschi e femmine, gli abi-tanti della Terra che, da quel 12 aprile 1961 diYuri Gagarin, possano dire di essersi affacciati albalcone dello Spazio. Con una decina di cani, gat-ti e scimmie sparati in cielo senza averlo chiesto,

sono le sole creature che abbiano visto il nostro Pianeta gal-leggiare nell’universo, dall’oblò di una capsula, dal visore diun casco pressurizzato o da quella che Buzz Aldrin chiamò«la magnifica desolazione» della Luna. Se il loro numero èmicroscopico per un pianeta con più di sette miliardi di uma-ni, un grappolino di nomi e eventi potrebbero essere citatia memoria. Gagarin e Valentina Tereshkova, la prima don-na in orbita, in Russia. John Glenn, Neil Armstrong, l’Apol-lo XIII strappato alla catastrofe e sigillato da Hollywood, Ch-rista McAuliffe, la maestra astronauta consumata nell’e-splosione del Challenger e ricordata in centinaia di targheappese alle pareti di scuole elementari, negli Stati Uniti.

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVEIl diariodiSamantha

L’attualità. Novant’anni da New Yorker, intervista al direttore della più raffinata tra le riviste L’inedito. Le tenere lettere d’amoredi Cristopher Isherwood Spettacoli. Francesco De Gregori: “Adesso vi spiego la storia di Alice e perché lo sposo è impazzito”

La copertina. Riaccendiamo i Lumi della ragioneStraparlando. Paolo Prodi, ho rifiutato la politicaMondovisioni. Dharamsala, pensione dello spirito

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Lavorare, dormire,volare

La prima donna italiana

nello spazioracconta

com’è la vita quotidiana

extraterrestre

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBARIO 2015 30LA DOMENICA

La copertina.

CREATURA DELLO SPAZIOQuando c’è molto da fare il tempo vola e mi ren-do conto, anche con un po’ di inquietudine, chemi avvicino già alla metà nella mia missione. Do-po oltre due mesi a bordo, devo dire che ormaimi sento davvero a mio agio. In queste settima-ne mi è piaciuto molto osservarmi e vedere co-me mi sono trasformata giorno per giorno inuna creatura dello spazio. L’adattamento èun’esperienza individuale e imprevedibile, nonè possibile sapere in anticipo come ognuno im-parerà a vivere in assenza di peso. Ricordo cheprima del lancio mi preparavo mentalmente alpeggio, perché sapevo bene che il primo impat-to può essere davvero difficile e non è inusualeessere disorientati e avere malesseri di stoma-

co per qualche giorno. Per questo sono statadavvero felice quando mi sono accorta che, finda subito, non manifestavo alcun sintomo dimal di spazio. Certo, nonostante stessi bene, ri-cordo che nei primi giorni avevo sempre a por-tata di mano una busta, da usare in caso di nau-sea; troppi gli aneddoti di astronauti veteraniche raccontano di avere avuto all’improvvisoun malessere al secondo giorno, o al terzo. Co-me amano dire gli americani: “better safe, thansorry!”. Ho temuto invece di essere predispostaa un altro effetto collaterale indesiderato del-l’assenza di peso: il naso congestionato. La ridi-stribuzione dei fluidi corporei verso la parte al-

ta del corpo può provocare la sensazione di ave-re il naso intasato, insieme a un senso di pres-sione nella testa, e effettivamente ho avuto que-sti sintomi in maniera intermittente nei primidieci giorni. Poi fortunatamente sono spariti…speriamo per sempre!

MEGLIO DI UN MATERASSOIl sonno poi è stata una piacevole sorpresa. Nonsta a me giudicare se sono adatta a lavorare nel-lo spazio, ma una cosa la so per certa: sono nataper dormire nello spazio! A sera, quando sonostanca, mi chiudo nel mio sacco a pelo, spengola luce, richiudo i laptop che dividono con me la

cuccetta e mi lascio fluttuare, senza fissare ilsacco a pelo. In genere mi addormento subito,ma prima per qualche secondo mi soffermo sul-la piacevole sensazione di completo rilassa-mento dei muscoli. Poi dormo senza alcunapressione sul mio corpo. Meglio del miglior ma-terasso! E sicuramente durante la notte sbattoogni tanto contro una parete, ma sono impattilievi e non mi hanno mai svegliata. Ne sono con-vinta, fluttuare è il modo migliore di dormire!

Fluttuare è anche il modo migliore di spo-starsi, credetemi… una volta che avete affinatola tecnica. Eh sì, all’inizio non avevo molto con-trollo: spinte troppo forti o troppo lievi, oppuretali da farmi ruotare su me stessa in modi nonproprio previsti o desiderati. Insomma, c’è vo-luto un po’ per imparare a spostarmi nella Sta-zione in modo controllato e elegante. Adessoperò mi sento davvero padrona del mio corponelle tre dimensioni! Sarà anche che ormai ognipunto di appoggio, ogni ringhiera, ogni appi-glio mi sono noti. Per esempio, quando ho rei-dratato il cibo al distributore di acqua, che si tro-va sul soffitto del Laboratorio Usa, so darmi laspinta giusta con la punta dei piedi e poi, pas-sando nel Nodo 1 una lieve spinta con la mano,quel tanto che basta per farmi ruotare in mododa atterrare precisamente davanti al mio “po-sto a tavola”. Anche se ogni tanto mi piace man-giare sopra il tavolo, sul soffitto: giusto perchéavrò tutto il tempo quando tornerò sulla Terradi essere sul pavimento.

LAVARSI I DENTI

QUESTO È IL MIOBAGNO: QUASICOME A CASASOLO CHE QUIL’ACQUA È INUN SACCHETTO

Carta d’identità

NOME: SAMANTHA

COGNOME: CRISTOFORETTI

NATA A: MILANO, 26 APRILE 1977

STATO CIVILE: FIDANZATA

PROFESSIONE: ASTRONAUTA DELL’ESA,

CAPITANO PILOTA DELL’AERONAUTICA MILITARE

STUDI: DIPLOMA LICEO SCIENTIFICO, LAUREA

IN INGEGNERIA MECCANICA A MONACO DI BAVIERA

E IN SCIENZE AERONAUTICHE A NAPOLI

PARLA INGLESE, FRANCESE, TEDESCO, RUSSO E CINESE

RECORD: PRIMA DONNA ITALIANA NELLO SPAZIO

CURIOSITÀ: LE È STATO DEDICATO UN ASTEROIDE,

IL 15006 SAMCRISTOFORETTI

La missione

NOME: EXPEDITION 42-FUTURA

LANCIO: 23 NOVEMBRE 2014 (KAZAKISTAN)

VELIVOLO: SOJUZ (VELOCITÀ MASSIMA 28.800 KM/H)

DURATA: 6 MESI

VIAGGIO: 6 ORE ALL’ANDATA, 3 ORE E 26” AL RITORNO

OBIETTIVO: ESPERIMENTI SULLA FISIOLOGIA UMANA,

ANALISI BIOLOGICHE E STAMPA 3D IN ASSENZA DI PESO

EQUIPAGGIO: 6 MEMBRI

ARRIVANO I RIFORNIMENTI

OLTRE AGLI EQUIPAGGIAMENTI SCIENTIFICIDRAGON CI HA PORTATO ANCHE ALTRIRIFORNIMENTI... CIBO COMPRESO

BALLANDO TRA LE STELLE

L’ULTIMO DELL’ANNO ABBIAMO BALLATO:SASHA E ANTON HANNO PERFINO INTONATOCANZONI DI CELENTANO

Da più di due mesi l’astronauta italiana si trova a bordo della Stazione Spaziale Internazionale

La stazione

NOME: STAZIONE SPAZIALE

INTERNAZIONALE

LARGHEZZA: 108 MT

LUNGHEZZA: 88 MT

PESO: 426 T

ORBITA: 325-405 KM DA TERRA

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77giorninello spazio

AstroSamantha

<SEGUE DALLA COPERTINA

SAMANTHA CRISTOFORETTI*

DALL’ARRIVO DEL VEICOLO CARGO DRAGON qualche settima-na fa i ritmi di lavoro a bordo sono stati frenetici. Sca-ricare tonnellate di cargo, in molti casi senza romperela catena del freddo dei campioni scientifici, svolgerein parallelo dozzine di esperimenti e progressivamen-te caricare Dragon per il rientro, preparando nellostesso tempo per il ritorno anche il grande veicolo car-go Atv dell’Agenzia Spaziale Europea e svolgendocomplesse attività preparatorie per le prossime trepasseggiate spaziali non è cosa da poco, anche per glistandard della Iss. Qualcuno dice che questo sia unodei mesi più densi di attività di tutta la storia della Sta-

zione. Una cosa è certa: ogni volta che marchiamo come “completata” un’attivitàsull’agenda elettronica che regola le nostre giornate, qualcuno a terra sorride. Chesia un team di scienziati che ha sviluppato per anni un esperimento o un team diingegneri che ha fatto le ore piccole lavorando a una procedura di manutenzioneper permetterci di riparare tempestivamente un’apparecchiatura, ogni cosa chefacciamo a bordo è spesso il coronamento del lavoro di dozzine, a volte centinaia dipersone. Cerchiamo di non dimenticarlo mai.

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBARIO 2015 31

<SEGUE DALLA COPERTINA

VITTORIO ZUCCONI

EOGGI IN ITALIA SAMANTHA

Cristoforetti, capitano

dell’Aeronautica militare in

orbita con cinque compagni di

viaggio nella Stazione Spaziale

Internazionale. Ma un sondaggio che

chiedesse i nomi degli altri sei viaggiatori

italiani dello Spazio (Cheli, Guidoni,

Malerba, Nespoli, Vittori e Parmisano)

darebbe risultati deprimenti.

Questo, della normalità nell’eccezionalità,

nella routine di imprese che poco più di una

generazione fa sarebbero sembrate

inconcepibili e le nuove generazioni

ignorano, è il destino che attende questi

uomini e donne fortunati abbastanza per

andare e tornare indenni da satelliti

naturali o artificiali. Sarà soltanto il grande

salto verso Marte, se davvero avverrà

attorno al 2035 come ottimisticamente è

previsto, a scuotere l’immaginazione e a

scaldare il cuore di nuove generazioni.

O la finzione cinematografica di film

come Gravity.

In questi anni di languore che sfiora

l’indifferenza, e riempie di brevi orgogli le

nazioni alle quali appartengono i non

americani e i non russi a bordo della

Stazione Spaziale, l’astronauta, o il

cosmonauta come è chiamato in Russia,

vive un luminoso momento di estasi seguito

dal ritorno alla gravità del quotidiano. Una

transizione dal vuoto dello Spazio alla

vertigine di un futuro che niente potrà più

riempire di emozioni paragonabili. Lo

leggemmo nel lungo silenzio di Neil

Armstrong e lo vidi nello sguardo ansioso e

inquieto di Buzz Aldrin, incontrandolo nel

soggiorno della sua casa sulle colline della

California. Come altri prima e dopo di lui,

Aldrin, apparentemente ossessionato dal

rancore verso quella Nasa che non aveva

concesso ai primi esploratori neppure un

ciottolo di Luna come souvenir, era roso da

un vuoto interiore che ebbe il coraggio di

chiamare con il suo nome, depressione

clinica, e di curare per guarirne. Come non

ebbe invece la forza di fare Lisa Nowak,

l’astronauta che, dopo avere guidato per ore

dal Texas alla Florida, fasciata in un

pannolone per non doversi mai fermare,

tentò di uccidere la donna che gli aveva

portato via l’uomo della sua vita. Anche lui

un reduce dallo Spazio.

Il mito accuratamente coltivato del right

stuff, della “stoffa giusta” per lanciarsi fuori

dai confini della Terra che aveva prodotto

esemplari apparentemente siderurgici di

maschi inossidabili come Gagarin, morto

alcolizzato, come Aldrin il depresso, come

John Glenn, senatore senza pace che

pretese e ottenne di tornare nello Spazio a

settantasette anni, si è dissolto per la

semplice verità che avrebbe dovuto rendere

ancora più straordinari quei temerari e li ha

invece resi ordinari. Il loro essere, anche a

460 chilometri di quota e a 28.800 di

velocità, uomini. E donne.

Gagarin, Aldrine la magnificadesolazionedella Luna

© RIPRODUZIONE RISERVATA

COME AL SUPERMERCATONel Nodo 1, dove mangiamo, teniamo ancheuna scorta di buste di cibo, un po’ come la di-spensa in casa. E un po’ come spesso ci si trova afare la spesa nel fine settimana, quando si ha piùtempo libero, noi cerchiamo di sfruttare ilweekend per rifornire la nostre dispensa attin-gendo alle scorte di cibo. Queste sono organiz-zate per categorie, come per esempio carni, ver-dure, frutti e frutta secca, minestre, prima co-lazione. Tramite un lettore di codice a barre se-gnaliamo nel sistema di inventario che un nuo-vo pacco è stato aperto, in modo che chi a terrasi occupa dei rifornimenti sappia sempre quan-ti pacchi di ogni categoria rimangono nelle scor-te. Naturalmente non possiamo aprire un nuo-vo pacco prima della data programmata, altri-menti rischieremmo di mangiare le scorte pre-viste per spedizioni successive alla nostra. E nonè un buon modo di passare le consegne!

LA FINESTRA SUL MONDOHo fatto una piccola pausa per fare un giro nel-la Cupola, la nostra finestra sul mondo. Abbia-mo appena attraversato l’Africa, ora siamo sul-l’Oceano Indiano. Recentemente abbiamo avu-to dei passaggi notturni sull’Europa, però qua-si sempre con una fitta copertura di nuvole. Dav-vero un peccato! È lo svantaggio di volare quan-do è inverno nell’emisfero nord. Ehi, credo chein questi giorni saremo visibili dall’Italia nel tar-do pomeriggio. Salutateci! Anche noi salutere-mo, ma non vi vedremo, perché sono passaggimolto vicini al terminatore, la linea di separa-zione tra il giorno e la notte terrestri. In questicasi, mentre sotto di noi la superficie terrestreè già al buio, noi siamo ancora illuminati dal so-le: un po’ come essere su un palco illuminato, dacui è impossibile vedere chi è seduto nella pla-tea al buio. In giorni di lavoro intenso come og-

gi, l’unico momento in cui c’è il tempo, pri-ma di sera, di dare una sbirciata dalla

Cupola, è la sessione quotidiana

di allenamento su Ared, la nostra macchina perfare “sollevamento pesi” in assenza di peso: ci-lindri a vuoto al posto dei pesi, ma gli esercizi so-no gli stessi, dagli squat alla bench press e per-sino gli addominali. Ared è sicuramente la pa-lestra con la vista migliore sul pianeta e fuori: èproprio accanto alla Cupola e quindi nelle pau-se di riposo tra un set e l’altro possiamo ammi-rare lo scorrere dei continenti e degli oceani so-pra la nostra testa. Sì, la sensazione che provo ioè quella di avere la Terra sopra di me. L’effettoè particolarmente accentuato di notte. Guar-dando lateralmente, verso lo spazio, la StazioneSpaziale mi sembra una nave che naviga su unmare immensamente profondo e infinitamen-te nero, mentre la Terra, soprattutto quando ècoperta di nuvole, e queste brillano nella nottedella luce della luna, mi sembra un cielo agitatoche sovrasta il mare calmo dello spazio.

FALSO ALLARMEVivere sulla Stazione Spaziale regala esperien-ze estetiche davvero intense. Non l’esperienzadel silenzio, tuttavia, contrariamente a quantosi potrebbe pensare. La famosa battuta “nellospazio, nessuno può sentirti urlare” si applicasolo al vuoto dello spazio: fortunatamente al-l’interno della Stazione Spaziale abbiamoun’atmosfera respirabile con circa la stessapressione che c’è sulla Terra al livello del mare.C’è sempre un sensibile rumore di fondo, a cau-sa delle molte ventole e pompe continuamentein funzione: un ronzio costante che indica che la

Stazione è “viva” e in buona salute. In realtà, seavessimo un’emergenza, come un incendio ouna depressurizzazione, anche se non scattas-se nessun allarme udibile, ce ne accorgeremmoimmediatamente perché la Stazione divente-rebbe silenziosa: i computer attiverebbero unarisposta automatica d’emergenza che spegne-rebbe tutta la ventilazione.

Di questo abbiamo avuto esperienza direttaqualche settimana fa. Avevo appena terminatouna videoconferenza con i miei dirigenti dell’E-sa, quando tutti gli altoparlanti lungo l’interaStazione hanno iniziato a trasmettere l’unicosegnale acustico che di sicuro cattura l’atten-

zione immediata di tutti: il segnale d’emer-genza. Sono uscita dal mio alloggio e

ho guardato il più vicino pan-nello di controllo allarmi

ed eccola lì, la terza spia da sinistra era illumi-nata di rosso: anche senza leggere l’etichetta,so che la terza spia indica la temuta fuga di am-moniaca. Ho immediatamente afferrato unamaschera a ossigeno, l’ho indossata e mi sonodiretta verso il segmento russo insieme con imiei compagni. Il segmento russo è sicuro, per-ché lì non viene usata ammoniaca nei condottidi raffreddamento, quindi ci siamo isolati lì,chiudendo due portelli per isolare l’eventualeperdita nel segmento non russo della Stazione.

La cosa sembrava conclusa quando, pochi mi-nuti dopo, Houston ha chiamato e ha dichiara-to un falso allarme, ma mentre iniziavamo e ri-mettere a posto l’equipaggiamento d’emer-

genza e tornare alla normalità, ecco Houstonchiamare di nuovo con una comunicazione ina-spettata ripetuta tre volte su tutti i canali: “Fu-ga di ammoniaca. Eseguire la risposta d’emer-genza”. E mentre chiudevamo di nuovo il por-tello che ci isolava nel segmento russo, pensoche nella mente di tutti, ancor più che la primavolta, sia passato il pensiero che forse non loavremmo riaperto mai più. Per fortuna, il tuttosi è rivelato un falso allarme!

DANZA DI COLORIAdesso è ora di andare a dormire anche per me.Certo, per andare in bagno e lavarmi i denti, de-vo tornare nel Nodo 3 e la Cupola è proprio lì,quindi nonostante la stanchezza mi concederòqualche minuto di meraviglia. Stiamo passan-do sopra agli Stati Uniti, un passaggio notturnomolto a nord. Ci sarà l’aurora, compagna spes-so presente, ma sempre diversa e sorprenden-te. Che meraviglia poi se capita che ci sia anco-ra l’aurora quando appare all’orizzonte lo spic-chio di blu vivo che annuncia il prossimo sorge-re del sole e quel blu si congiunge con il verdebrillante dell’aurora in una danza di colori, cuisi aggiunge un’esplosione di arancio nel mo-mento in cui il sole inizia emerge dalla linea del-l’orizzonte. Giusto pochi secondi e poi tutto èinondato dalla prepotenza della piena luce so-lare, che cancella in un attimo lo spettacolo del-la notte e piano piano, da est a ovest, fa emer-gere dall’oscurità oceani e continenti, ridise-gnando le linee ormai familiari e amiche delnostro meraviglioso pianeta.

*Samantha Cristoforettiastronauta Esa, capitano e pilota

dell’Aeronautica Militare,in orbita per la seconda missione

di lunga duratadell’Agenzia Spaziale Italiana

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SOLLEVAMENTO PESI

GLI ESERCIZI SONO SEMPRE GLI STESSI,DAGLI SQUAT AGLI ADDOMINALI,MA IN ASSENZA DI PESO...

GRANDI PULIZIE

SABATO È IL GIORNO DELLE PULIZIE:PASSIAMO L’ASPIRAPOLVERE SU TUTTELE GRIGLIE DI VENTILAZIONE

ASPARAGI CHE PASSIONE

IERI HO MANGIATO DEGLI OTTIMI ASPARAGIREIDRATATI, LA MIA VERDURA PREFERITADAL RISTORANTE SELF-SERVICE NODO 1

Dove le cose più facili sono difficili. Ecco i suoi appunti di viaggio sulla vita in assenza di gravità

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 32LA DOMENICA

2 FEBBRAIO 2015

“ADIEU”, LA REDAZIONE TRASLOCADA TIMES SQUARE A GROUNDZERO: DISEGNO DI BRUCE MCCALL

21 FEBBRAIO 1925

SULLA PRIMA COPERTINAIL DANDY EUSTACE TILLEYDISEGNATO DA REA IRVIN

23 LUGLIO 1927

NEL DISEGNO DI STANLEY W. REYNOLDS L’AMERICA PRIMADELLA GRANDE DEPRESSIONE

31 AGOSTO 1929

NON È ANCORA IL “MARTEDÌ NERO”MA È GIÀ PANICO A WALL STREET:DISEGNO DI THEODORE G. HAUPT

27 LUGLIO 1940

IL NAZISMO E LA DEPORTAZIONEDEGLI EBREI. L’ILLUSTRAZIONEÈ DI CHRISTINA MALMAN

15 LUGLIO 1944

ANCORA REA IRVIN, PRIMO ART DIRECTOR DEL “NEW YORKER”,PER LA COPERTINA DEL D-DAY

26 GENNAIO 2015

A CINQUANT’ANNI DALLA STORICAMARCIA DI MARTIN LUTHER KING,LA COPERTINA DI BARRY BLITT

ANTONIO MONDA

NEW YORK

N NOVANT’ANNI DI STORIA, ilNew Yorkerha avuto soltantocinque direttori. David Remnick, ultimo in ordine ditempo, tiene le redini della rivista dal 1998. Corrispon-dente in Urss per il Washington Post, ha vinto un pre-mio Pulitzer nel 1993 per La tomba di Lenin: gli ultimigiorni dell’impero sovietico, a cui hanno fatto seguitoaltri cinque libri coronati da grande successo, tra i qua-li King of the World, dedicato a Muhammad Ali, e TheBridge, sul presidente Obama. Nato a Hillsdale, NewJersey, cinquantasette anni, padre dentista e madre in-segnante d’arte, Remnick è sposato con Esther Fein dal-la quale ha avuto tre figli. Colto, brillante e dalla battu-

ta pronta, interpreta alla perfezione il ruolo del direttore moderno,con un occhio alle innovazioni tecnologiche e un altro alla tradizio-ne. Del resto, a cominciare dal dandy Eustace Tilley, icona del NewYorker, la forza della rivista è stata proprio nella combinazione trala celebrazione del rito e una costante attenzione alle novità cultu-rali e sociali. Questa duplicità si rispecchia in un altro elemento concui Remnick interpreta la propria direzione: riesce a essere estre-mamente autorevole e nello stesso tempo cordiale e ironico. Lo in-contro a pochi giorni dallo storico trasloco della rivista, immortala-to sulla copertina dell’ultimo numero disegnata da Bruce McCall: daTimes Square alla Freedom Tower, il grattacielo sorto sulle ceneridelle Torri gemelle, nel quale Si Newhouse ha acquistato venti-quattro piani per le riviste della sua Conde Nast. «Sto vedendo la cittàdalla stessa prospettiva che ebbero le vittime dell’attacco al WorldTrade Center», osserva Remnick con una punta di inquietudine,«ma ho sempre creduto nella forza positiva dei cambiamenti».

Il New Yorkernasceva il 21 febbraio 1925 intorno all’”Algonquin

Round Table”, il celebre circolo di scrittori della New York anni

Venti, a pochi passi da Times Square: il cuore della città…

«Sì, effettivamente la storia della rivista si è sviluppata nello spa-zio di pochi isolati, ma devo dire che questo cambiamento geografi-co offre un rapporto più organico con una zona determinante per lastoria della città: il porto. Non credo tuttavia che tutto ciò possa ave-re un impatto significativo sulla nostra proposta culturale».

Quanto vende oggi il New Yorker?

«Gli ultimi dati si attestano sul milione e cinquantamila copie. E sicalcola che ogni numero sia letto mediamente da tre persone. Piùdella metà della tiratura viene effettuata fuori da New York, e potràsorprenderla scoprire che in California vendiamo più che nello sta-to di New York. Il motivo è che lì ci sono due grandi città, Los Ange-les e San Francisco».

Quali sono state le svolte principali in questi novant’anni?

«La rivista nasce in un’America precedente la Grande depressio-ne, immersa nell’Età del jazz, e dunque caratterizzata da raffina-tezza e leggerezza. La prima grande svolta avviene in coincidenzacon la Seconda guerra mondiale: è il momento in cui i reportage e isaggi diventano più lunghi, più profondi. La seconda grande svoltaè quella dell’11 settembre. È evidente: la maturazione è avvenutasempre grazie a momenti dolorosi».

Lei è stato il primo direttore a fare un endorsement presidenzia-

le: John Kerry contro George W. Bush.

«Mi sarebbe sembrato ridicolo non farlo: leggendo i nostri artico-li era assolutamente chiara la nostra posizione. Si è trattato quindidi un endorsementassolutamente prevedibile, che tuttavia non eb-be alcuna fortuna: Kerry perse».

Poi ci fu un secondo endorsement, stavolta coronato dal succes-

so: in una famosa copertina del 2008 raffigurò il presidente Oba-

ma e la moglie Michelle in posa da terroristi, sotto un quadro di

Bin Laden.

«A me quella copertina parve una parodia degli stereotipi di cer-ta destra».

Tuttavia il presidente Obama la definì “un tentativo non molto

riuscito di fare satira”.

UnNewYorker

David Remnick è il direttore della più raffinata tra le riviste

E tra uno storico trasloco e un compleanno tondo racconta

che cosa vuol dire passare dall’età del jazz a quella del web

L’attualità. The Talk of the Town

I

23 DICEMBRE 2013

PAPA FRANCESCO È UN “ANGELODELLA NEVE” SULLA COPERTINADISEGNATA DA BARRY BLITT

16 DICEMBRE 2013

PER LA MORTE DI MANDELA IL TESTO DI NADINE GORDIMER E IL DISEGNO DI KADIR NELSON

19 GENNAIO 2015

UNA TOUR EIFFEL A FORMA DI MATITA PER “CHARLIE HEBDO”, A DISEGNARLA È ANA JUAN

21 LUGLIO 2014

I NEW YORKERS ADORANO LA SPIAGGIA DELLA LORO CITTÀ:CONEY ISLAND DI MARK ULRIKSEN

1 SETTEMBRE 2014

“LA RIVOLTA DI FERGUSON”ILLUSTRATA DA ERIC DROOKER E RACCONTATA DA JELANI COBB

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 33

28 AGOSTO 1995

“DIVING IN”, UNA DELLE TANTECOPERTINE DEL MAGAZINEFIRMATE DA LORENZO MATTOTTI

11 FEBBRAIO 1961

CHARLES ADDAMS, CREATOREDELLA “FAMIGLIA ADDAMS”, PER IL GIORNO DI SAN VALENTINO

15 AGOSTO 1970

LA GUERRA IN VIETNAM SULLA COPERTINA DEL MAGAZINE: LA DIPINGE COSÌ ILONA KARASZ

29 MARZO 1976

IL MONDO VISTO DALLA NONA AV.,LA FIRMA DELLA COVER È QUELLA DI SAUL STEINBERG

23 APRILE 1990

IL PIANETA È INQUINATO: ROBERT MANKOFF, CARTOONEDITOR, FIRMA LA COPERTINA

13 SETTEMBRE 1993

ART SPIEGELMAN RACCONTA IL FENOMENO DEI RAGAZZINIARMATI NELLE SCUOLE USA

8 NOVEMBRE 2004

TRA UN UOMO E UNA DONNAGIOCO DI SGUARDI SUL METRÒ: LA COVER È DI ADRIAN TOMINE

24 SETTEMBRE 2001

ART SPIEGELMAN E FRANÇOISEMOULY: NERO SU NERO, ATTACCO ALLE TWIN TOWERS

17 DICEMBRE 2007

UNO DEI NOVANTA NATALI DEL “NEW YORKER”: QUESTO LO FIRMA BOB STAAKE

8 APRILE 1950

CONSTANTIN ALAJALOV ILLUSTRA“FOR ESMÉ-WITH LOVE AND SQUALOR” DI SALINGER

«Questo dimostra che la nostra satira, riuscita o meno che sia, è li-bera da condizionamenti, e che può divertire o offendere chiunque».

La tragedia di Charlie Hebdo invita a riflettere sul fatto che pos-

sano esistere limiti alla satira, o no?

«Io non credo, e in questo sono assolutamente con Voltaire. Vogliodire che lo sono anche nel momento in cui lotto in prima linea per at-taccare l’antisemitismo dello stesso Voltaire».

Davvero non pensa che la satira possa diventare una copertura

per veicolare messaggi di odio o disprezzo?

«Il rischio ovviamente c’è, ma evi-terei di aprire la porta alla censura.Credo che quei casi siano facilmenteidentificabili dai lettori: e sarebbesbagliato sottovalutarli».

Sinceramente: le piacciono le vi-

gnette di Charlie Hebdo?

«No e non le avrei mai pubblica-te, ma rivendico la possibilità, perchiunque, di farlo».

La carta stampata è in crisi: il fu-

turo è digitale?

«Devo correggerla, è il presente aessere digitale. Per quanto ci riguar-da non possiamo che adeguarci almeglio. I nostri siti hanno circa dodici milioni di visitatori al mese.Affrontiamo il problema delle inserzioni pubblicitarie, tutte con-centrate su compagnie come Google o Yahoo, nella consapevolezzache l’unico modo per sopravvivere è essere unici. Noi proponiamo te-sti che cercano di risultare sempre profondi e che si rifiutano di ri-solvere in venti secondi qualcosa avvenuto venti secondi prima».

Il New Yorker è celebre anche per i “fact checkers”: lei ne ha ben

sedici sotto contratto.

«Proporre la massima accuratezza dei testi, controllandoneogni aspetto, è un altro modo attraverso cui cerchiamo di distin-

guerci. Ovvio che questo aumenti il lavoro, i tempi e i costi».Come mai non esistono testate come il New Yorker a Londra o

a Parigi?

«Sono splendide città e grandi capitali, ma oggi non hanno lastessa centralità. Tuttavia negli ultimi anni ho assistito a vari ten-tativi di imitazioni, falliti uno dopo l’altro: sono rimasto in parti-colare colpito da una testata russa, arrivata a una cinquantina dinumeri, e da un’altra di Hong Kong. Copie spudorate, con le vi-gnette, con i testi lunghi, insomma con tutto ciò che caratterizza

la nostra rivista».Ma New York è ancora la capitale

del mondo?

«Oggi il mondo ha numerose ca-pitali, ma non credo si possa seria-mente pensare che Pechino o Shan-ghai abbiano la stessa forza di at-trazione di New York, non in termi-ni culturali».

Cosa ha imparato dalla sua espe-

rienza russa che le è poi servita per

dirigere un giornale prettamente

newyorchese?

«Facevo il cronista sportivo quan-do a ventinove anni sono stato im-

provvisamente catapultato al centro di un impero che stava crol-lando. Quello che ho riportato a casa è stata la conoscenza di unarealtà diversa e lontana, con la quale non bisogna mai dimentica-re di confrontarsi».

C’è qualcosa che invidia in un’altra rivista?

«Certamente alcuni scrittori, ma anche scelte editoriali di testa-te come l’Atlantic: si tratta tuttavia di una gelosia positiva, che cre-sce su un terreno sano. Intendo dire un terreno in cui non esista solol’approccio twitter».

di novant’anni

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NONPUBBLICOARTICOLICHE

IN VENTI SECONDICERCHINODI SPIEGAREUN FATTOACCADUTONEI VENTISECONDIPRECEDENTI

24 GIUGNO 2013

“ZIO SAM TI ASCOLTA”, IL CASO NSA VISTO DA RICHARD MCGUIRE

21 LUGLIO 2008

BARACK E MICHELLE OBAMA IN VERSIONE TERRORISTI: COVER SCANDALO DI BARRY BLITT

DAVID REMNICK, 57 ANNI

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 34LA DOMENICA

DOMENICA, 2 OTTOBRE 1960, SANTA MONICA

È stato meraviglioso sentire la voce di Kittystamani al telefono. Eppure il vecchio e ottu-so Dobbin non è riuscito a dirgli tutto ciò cheprovava: quanto sia fiero di Kitty e quanto loami e gli sia grato, ogni giorno. È quasi troppobello per essere vero che Kitty abbia un ta-lento così straordinario, e Dobbin ne è così fe-lice, ma più per Kitty che per se stesso, perchéDobbin l’avrebbe amato comunque. Dobbinsente tantissimo la mancanza di Kitty, manon vuole certo anticipare il ritorno di Kitty diun solo istante se Kitty ha motivo di restare.Con amore, sempre. D.

26 OTTOBRE 1960, FILADELFIA

Carissimo adorato Dub, Kitty sente tantissi-mo la sua mancanza e desidera così tanto po-sare la testa su quella lunga criniera e sentir-si avvolgere da quella gamba nodosa. Kittyha una voglia disperata del suo cavallo e ognigiorno in cui è lontano è sempre più difficile,ma Kitty non deve arrendersi. Deve esserepiù forte di quanto chiunque abbia mai pen-

s a t o .Amo cosìtanto ilmio tesoro emi manca moltissimo.Tutto l’amore del suo Kitty,K.

GIOVEDÌ SERA, 23 FEBBRAIO 1961,

SANTA MONICA

Oggi è un mese da quando è partito ilmio Kitty! Gli ho scritto stamani ma nonme n’ero reso conto, sembra essere passatomolto più tempo, quindi gli spedirò altre paroled’amore. È molto bello che Dobbin chiami Kittytesoro. Ma ogni tanto Dobbin è colpito dalla pa-rola e si rende conto che un tesoro è insostitui-bile, e si può perdere se non si tratta con cura. Al-lora viene colto dalla disperazione! Carissimoamore, intorno vedo gente che ignora di averel’amore di qualcuno e lo butta via. Noi non fare-mo quell’errore, vero? Il vecchio Dobbin se nesta a casa, tutto solo, e stasera non c’è neancheun po’ di vento. Ha mangiato uno sformato di

L’inedito. Giochi di coppia

Dolcemicino

“Stringimi forte con le tue zampette

anteriori”. “Vorrei solo poter posare

la testa sulla tua grigia criniera”

DOBBIN

QUI SOTTO KITTY(OVVERO DON BACHARDY)

IN SELLA A DOBBIN,IL CAVALLO DA TRAINO

(COME CHRISTOPHER ISHERWWODSI FIRMA NELLE LETTERE

AL FIDANZATO). IN ALTO LA COPPIA:

DON È IL PIÙ GIOVANE DEI DUE.TUTTI I DISEGNI DI DON BACHARDY,

COME PURE LE LETTERE,SONO TRATTI DA “ANIMALS”

(FSG BOOKS)

LUNEDÌ 25 GIUGNO 1957, NEW YORK

ARISSIMO CHRIS,non hai ideaquanto mimanchi, quan-to pensi a te e tiami ancor dipiù dopo esse-re stato lonta-no tutto que-sto tempo. Hopensato e ri-pensato a te

un’infinità di volte, specialmente a quantosei piccolo ed esile e a quanto sarai ancor piùminuto solo in quelle grandi stanze, e avreivoluto precipitarmi a casa perché senza tenulla ha senso: sei l’unica cosa che conta perme, non m’interessa dove sono o con chi sonose tu sei laggiù. Mi sembra assurdo essere quia New York senza te, mi pare una sorta di con-danna, una prova di resistenza che devo su-perare. Questo viaggio è stato un enormesuccesso. Credo di avere imparato molto dime stesso, e di essere diventato più sicuro dime e più stabile. Ho così tanto da raccontartisu quel che mi è successo che aspetterò quan-do saremo insieme; ho scritto tutto sul mio li-brone così non dimenticherò niente. Vogliodire ancora una volta al mio cavallino quantolo amo e quanto desidero essere a casa con lui.Con tutta la mia adorazione, Kitty

C

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 35

Quando l’amorese ne infischiadi apparire ridicolo

IRENE BIGNARDI

CORREVA L‘ANNO 1952 e Christopher

Isherwood, quarantanove anni, il

celebre e fortunato scrittore

britannico che aveva scelto gli Usa,

durante la guerra, come sua patria,

l’autore dei racconti di Addio a Berlino, diventati

un fortunato spettacolo di Broadway sotto il titolo I

am a Camera, il grande ammiratore di Beatrix

Potter (e questo spiega molto di ciò che stiamo per

raccontare), Christopher Isherwood, dunque, vide

sulla spiaggia di Santa Monica, in California, un bel

ragazzo di diciotto anni, Don Bachardy, che stava

tentando la strada della pittura. Fu amore a prima

vista. E se la carriera di pittore di Don non sarà

eccelsa e si svilupperà soprattutto nella cerchia

degli amici dello scrittore (Bachardy farà i ritratti

di Auden, Polanski, Salvador Dalí), la storia

d’amore con Isherwood sarà invece molto

fortunata. I due, complici, forse, i molti distacchi,

vissero una felice, inequivocabile ma

prudentemente discreta (l’omosessualità era

ancora un reato) vita di coppia fino alla morte di

Isherwood nel 1986. E i molti viaggi, soprattutto di

Bachardy, in assenza di telefonini e telefononi

(Isherwood ne installò uno, pare, solo nel 1970)

sono all’origine dell’enorme quantità di lettere che

i due innamorati si scambiarono nel corso della loro

love story, e che vengono pubblicate in America in

un tomo di oltre cinquecento pagine a cura di una

paziente signora, Katherine Bucknell, con la

collaborazione di Bachardy, intitolato Animals

(Fsg books). Perché Animals? Perché, rischiando

spesso la caduta nel ridicolo (per favore,

l’osservazione non ha nulla di omofobo, la cosa

farebbe sorridere anche nel caso della più giovane

coppia di adolescenti), i due pensano a se stessi

come a due animali. Bachardy, da ragazzo ma

anche da ragazzo cresciuto, è visto sotto forma di

gattino, e Kitty è infatti il suo nome ufficiale nella

loro corrispondenza e nel loro idioletto. Mentre

Isherwood è Dobbin, un vecchio, robusto cavallo da

tiro. Ma il gioco ha i suoi deliziosi bizantinismi.

Kitty è anche Puss (come pussy cat), Snowpaws

(come zampe di neve), Snowgaiters (come ghetta

antineve ) e via gattonando attraverso Fluffcat

(gattino morbido), Velvetpaws (zampe di velluto),

Pink paws (zampette rosa), White whiskers (baffi

bianchi), fino a Claws, artigli, che contrassegna i

momenti di cattiveria. Dobbin è seguito da un’altra

serie di nomignoli più o meno barocchi, partendo

in sottotono con Old Pony (vecchio pony) e Horse

(cavallo) per culminare in Worshipped Glossyhoof

(adorato dagli zoccoli lucidi). E come se non

bastasse, a complicare le cose e la sequenza dei

fatti, c’è che i due si esprimono spesso in terza

persona, con una civetteria da infanti, tanto che

persino la curatrice del volume non sa bene di chi si

stia parlando. Un esempio che è molto piaciuto al

paziente critico dell’Independent, così diligente da

aver letto tutte le cinquecento pagine del carteggio

e averne fatto un bel resoconto? “Il cavallo che

Kitty ama è sempre stato una vecchia cavalla

grigia, così dolce e cara, e mai come quegli avidi e

infedeli stalloni bianchi. E poi il grigio si intona

meglio con la pelliccia bianca di Kitty. Due animali

bianchi non funzionerebbero”. Loro funzionavano,

con occasionali, confesse infedeltà che tali

appunto, essendo previste, non erano — ma che

qualche volta facevano soffrire lo stesso,

soprattutto Isherwood. E si divertivano, i due, con

molte smalignazzate epistolari su personaggi che

non gli piacevano. Come Paul Bowles e la sua

“smorfia di ironico disprezzo”, come i “gelidi”

Franco Nero e Vanessa Redgrave, forse dei robot

non umani, come la povera, adorabile Audrey

Hepburn, colpevole di essere tanto magra che

nemmeno un gatto affamato se la sarebbe

mangiata. Gatto? Non parlavano certo del

fortunato, viziato, felice gatto Kitty.

manzo congelato, fagiolini e sorbetto all’ana-nas. Ha deciso di non bere per un po’. E man-gia un sacco di sedano perché qualcuno ha det-to che Kinsey ha detto che rende potenti; manon fraintendere, l’energia gli serve per altrecose, tipo finire il suo romanzo. Stamani sonoriuscito a fare una montagna di lavoro, quindisono di ottimo umore. Buonanotte, Kitty te-soro mio, D.

1 MAGGIO 1963, SAN FRANCISCO

Mio adorato Kitty, ho appena ricevuto la tualettera. So che non si può essere la persona chesei senza attraversare periodi terribili. Manon sei mai stato debole e, anche se non riescia scorgerlo, stai diventando sempre più forte.Supererai questo momento difficile. Se c’èniente che posso fare per aiutarti, devi dirme-lo, anche se potrebbe ferirmi. Sarebbe d’aiutose rimanessi lontano più a lungo? Devo resta-re qui fino al 15, e prevedevo di tornare giù peril tuo compleanno. Ma se pensi che in questomomento staresti meglio senza di me, lo ca-pirò. Cerco di non essere possessivo nei tuoi

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Le appassionate lettere tra due teneri

innamorati: Christopher Isherwood

e il suo fidanzato Don Bachardy

Adorato

to in boccio e Dobbin si è quasi sentito di nuo-vo un puledro, se ci fosse stato Kitty avrebbepreso tra gli zoccoli la sua adorata zampettasussurrandogli promesse d’amore. Ha sentitodavvero la mancanza di Kitty accanto a lui. Oh,che sensazione struggente, come in Cimetempestose. Spero di ricevere una lettera dalmio tesoro domani: oggi niente posta. Dobbindice a Kitty, come se fosse la prima volta chepronuncia le parole: “Ti amo”. Poi stringeKitty tra le zampe anteriori. Senza fine, Dob

5 GIUGNO 1967, LONDRA

Micio adorato, non una vera lettera, solo uncenno per far sapere a Kitty che Dub pensa alui più assiduamente che mai, e si preoccupaper questa terribile guerra (la guerra dei seigiorni, ndr). È spaventoso essere lontano daKitty quando ci si sente minacciati dal minimopericolo. Dub vorrebbe tanto raggiungere sta-sera la sua cesta. Sbrigati ad arrivare, venerdì!TWA. 7:05 Volo 771. Pegaso

VENERDÌ 1 NOVEMBRE 1968, LONDRA

Mio adorato e paziente Pony, una pioggia dibacetti e fusa. Kitty sogna la Red Room di ElCaballo e non desidera altro. Gli Animali ce-neranno lì a base di champagne lunedì sera.Come sempre con il cuore e l’animo devotodi un gattino . Micio Fedele

(Traduzione di Luisa Piussi)

confronti, e credo che sto migliorando. Mainella vita sono andato così avanti in una rela-zione. Stamani ha chiamato Cecil Beaton e hadetto che avete trascorso una bella serata, co-sì ho capito che il micetto, facendo ricorso alsuo coraggio e stile aristocratico, aveva sorri-so malgrado il dolore sotto il pelo. E sono certosarà stato in forma splendida, tirato a lustro esenza un baffo fuori posto. Kitty deve ricorda-re quanto Dobbin senta la sua mancanza. MaDobbin non vuole tornare finché Kitty non èsicuro che Dobbin non sia d’ostacolo alla solu-zione dei suoi problemi. E Kitty deve credereche Dobbin non vuole usare il suo amore comericatto o per fare sentire in colpa Kitty. È sem-plicemente una cosa che Kitty può averequando vuole. Sempre. Drub

MERCOLEDÌ, 3 MARZO 1965, SANTA MONICA

Amato Gattino, Dobbin si sente così solo. Con-tinua a trottare fino alla cassetta della posta,irrequieto e agitato, ma oggi non c’è niente,nessuna notizia dal suo Amore. Il tempo èsplendido, ma freddo, ed è come se la vecchiacasa non sarà mai calda finché non ritornaKitty. Senza di lui la California meridionale èuno scherzo di cattivo gusto. D.

29 MAGGIO 1967, 13 BENTSIDE ROAD, DISLEY

Mio caro Amore, stamani c’era il sole e sono an-dato a fare una passeggiata per la strada cheporta alla brughiera. Faceva caldo ed era tut-

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KITTY

SOPRA, UN BIGLIETTO CON FOTO DI GATTO INVIATODA DON-KITTY A CHRISTOPHER-DOBBIN: “SOGNO UNO STALLONE BIANCO / IL SOLO CHE IO POSSA AMARE / CON QUEGLI OCCHI CHE BRILLANO / E QUELLE ORECCHIE CHE SANNO ASCOLTARE / I MIAGOLII CHE ARRIVANO DA SOPRA”

cavallino

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 36LA DOMENICA

studio di Roma cantava Alice e altre stra-nezze che mandavano in frantumi la canzo-netta tradizionale e d’autore, parole senzatempo, senza anni, senza vezzi, sfuggite al-le mode, al punto che ancora oggi non tuttosi ricorda di De Gregori, qualcosa magari haanche fatto storcere il naso, ma per tutti, vec-chi e giovani, quando si tratta di citare unabella canzone c’è quasi sempre un’arditaemozione di De Gregori.

È qui che le scrive?

«Sì, ma non sono metodico, quello che tut-te le mattine si mette al tavolo. Se ho già seio sette canzoni e vedo il traguardo di un di-sco, allora sì, c’è un momento di lavoro più di-sciplinato, ma prima no. Certe cose mi ven-gono fuori, magari mentre sono a fare la spe-sa. Frasi, parole che poi segno nei quadernie che riprendo se sono interessanti per unacanzone. Mai cose troppo vecchie, perché ri-schiano di essere scritte con la testa di un al-tro. La visione della vita cambia. E le mie can-zoni sono sempre state addosso alla mia vi-ta. Ricordo benissimo quando scrissi La don-na cannone, la casa, dove stava il pianoforte,il vociare dei figli piccoli... Ma dire poi in cherapporto tutto questo sta con quello che hoscritto, ci vorrebbe uno psicanalista».

Quel suo modo di scrivere i testi sono già

“la canzone”, o no?

«Non saprei. Non mi piace quando diconoche sono poesie. La poesia è ben altro e se leg-gi La donna cannonesenza pensare alla mu-sica, è una boiata pazzesca, non sta in piedi».

Ma come? Una delle sue canzoni più belle?

«Anche secondo me è tra le più belle, maquesto non vuol dire che il testo da solo reg-ga. Tutti quegli accenti tronchi, “butteròquesto enorme cuore... giuro che lo farò...nell’azzurro io volerò...”. Nemmeno un bam-bino scrive così. È la musica che dà potenza equi, devo dire, c’è una bella invenzione me-

lodica, non banale. No, nemmeno degli au-tori più famosi si può leggere il testo comeuna cosa autonoma, nemmeno Bob Dylanche è tra quelli che amo di più».

È vero che quella canzone nacque da un ar-

ticolo di giornale?

«Avevo letto in un trafiletto di un giorna-le locale che una “donna cannone”, princi-pale attrazione di un piccolo circo, era fuggi-ta per amore. Mi aveva colpito soprattutto ladisperazione del circo, ora ridotto in mala-parata. Una storia un po’ felliniana».

E Alice?

«Se non sei un po’ strano non faiAlice nonlo sa. Nel ‘73 non c’entrava niente con quel-lo che c’era: Paoli, De André, Endrigo, cheerano i miei riferimenti, quelli che mi ave-vano fatto capire che le canzoni possono es-sere un veicolo non solo di banalità».

Ha raccontato che l’aveva ispirata l’Alice

nel paesedelle meravigliedi Lewis Carroll.

«Sì, l’immagine di Alice che guarda i gattiappartiene a Carroll e alle illustrazioni diJohn Tenniel: quella bambina con gli occhisgranati era stato il primo impatto visivoquando da piccolo lessi il libro. La verità è chevenivo da un periodo in cui ero attratto datutto ciò che nell’arte non seguiva un filo lo-gico. Mi ero innamorato degli scrittori da-daisti, Tristan Tzara, la scrittura automati-ca, avevo letto Joyce, lo stream of consciou-sness, Freud e l’interpretazione dei sogni».

Nelle canzoni contano molto le letture?

«Io sono un buon lettore. Avendo moltimomenti morti nel mio lavoro ed essendo diuna generazione non digitale, se sto molteore in treno invece di smanettare, leggo. Madetta così sembra che io sfogli solo Kafka,Melville e Proust. Invece devo gratitudineanche a Grisham, Stieg Larsson, Ken Follette molta narrativa di genere. Comunque in

quel momento ero patito per i dadaisti e tro-vavo corrispondenze tra quel modo di crea-re con il cinema che mi piaceva».

Che cinema?

«Blow up di Antonioni ma più di tutti Ottoe mezzodi Fellini. Vidi quel film e alla fine dis-si ho capito tutto. Ma perché? Avrei dovutonon capire niente per come era costruito,scritto, montato, per come cambiava il pun-to di vista dello spettatore e invece no. Quelfilm ha influenzato tutto il mio lavoro».

Più Fellini di Dylan?

«Anche Dylan aveva dietro un mondo ar-tistico aperto a forme di sperimentazionenarrativa. Penso a Faulkner di L’urlo e il fu-rore. Ma lo shock di Fellini me lo porto anco-ra dentro, nessuno mi darà tutte le informa-zioni utili per la mia vita che mi ha dato Ottoe mezzo. Credo di aver importato nel mondodella canzone quel modo di narrare».

Torniamo ad Alice.

«Non avevo nessuno che mi premesse,nessuno si aspettava che vendessi dischi.Ero libero di fare tutti i danni che volevo. E lacanzone me la sono scritta esattamente co-me pensavo si dovesse scrivere una canzone.Avevo già una musica su cui io cantavo un te-sto finto inglese, una specie di grammelot, cimisi sopra quello che avevo scritto... Quandola portai a Vincenzo Micocci, allora direttoreartistico della Rca, e al mio produttoreEdoardo de Angelis, piacque anche a loro».

Ci sono personaggi e punti di vista diversi.

«Il “Cesare perduto nella pioggia”, è Cesa-re Pavese. Avevo letto tutto di lui, e nella bio-grafia c’è questo episodio di quando una se-ra aspettò per una notte Costance Dowling,donna bellissima, ballerina che lo illuse e poilo lasciò. Alice per me è una specie di sfingeche guarda il mondo senza nessi conse-quenziali. Non è nemmeno chiaro se è lei lanarratrice o io che scrivo. Mentre il perso-naggio dello sposo ha qualcosa di sicura-mente autobiografico. No, non perché vo-lessi sposarmi, ma fuggire. Una fuga che eraprobabilmente dalla vita cui ero predestina-to da studente universitario, fare l’inse-gnante come mia madre o il bibliotecario co-me mio padre. Ma forse fuggire anche dalmondo della musica per cui ero uno strano».

Che vuol dire essere strano?

«Che se mi dovessi guardare dal di fuori mivedo sempre un po’ a parte, un corpo affet-tuosamente estraneo al mondo musicale,forse per il fatto di aver frequentato poco latelevisione, forse per la fama di antipatico,di snob e tante cose che mi hanno accompa-gnato, scambiando la riservatezza per anti-patia... Sì, se dovessi uscire da me stesso e di-re “allora De Gregori dove sta?”, direi non stapropriamente dentro il circolo, nel main-stream, nemmeno oggi che vado a X-Factor.Non sono mai stato di moda. Ma questo miha permesso, quando si è detto che i cantau-tori erano fuori moda, di non esserlo io».

Però l’ha influenzata la moda. Bastereb-

be citare le collaborazioni negli anni con

Dalla, De André, Zucchero, Fossati…

«Scrivo canzoni strane ma se incontro albar Ivan Graziani non è che non siamo ami-

ANNA BANDETTINI

ROMA

ANCHE AI TEMPI C’ERA CHI DISCUTEVA sapientemente su chi fosse“Alice che guarda i gatti”, se la “donna cannone” fosse maidavvero esistita o perché “l’uomo di passaggio mentre vola-va alto nel cielo di Napoli”, rubava i soldi e i ricordi come fa ilprotagonista di Atlantide. Le canzoni di Francesco De Gre-gori sono sempre state così, misteriose e visionarie, così li-bere, stravaganti nelle suggestioni e nei significati invisibilida farti sentire, insieme al potere incantatore della sua voce,più verità della vita reale. Alice, Donna cannone, La leva cal-cistica della classe ‘68, Finestre rotte, Vai in Africa Celestino,Santa Lucia, Titanic, Viva l’Italia, Per le strade di Roma, Fio-rellino... Da poco le ricanta, riarrangiate e rinate e l’album,

Vivavoceè andato così bene che dal 20 marzo da Roma inizierà un nuovo, lunghissimo tour:segno che De Gregori ha continuato a tenere in tensione quel filo che da quarant’anni, ven-tuno album, quindici live e dodici raccolte, lo lega al pubblico. Ma anche a se stesso. «Sareimatto se dicessi che quelle canzoni sono un capitolo chiuso. Le sento mie e ringrazio dio chealcune sono venute particolarmente bene. Se le ricanto è proprio perché volevo che non ri-manessero lì, imbalsamate, ma che venisse fuori che sono contemporanee, che hanno unsenso anche nel 2015», dice nella casa romana dove vive con la moglie Francesca, seduto ac-canto alla jack russell Maria Josè nel divano del salotto collegato senza porte né séparé allostudio dove tutto è al suo posto, il pianoforte, le chitarre, i tanti libri, le matite, i fogli di car-ta, la macchina per scrivere, il computer. Oggi ha sessantatré anni, è alto alto, magro ma-gro, sempre la bella faccia ironica, diffidente che da giovane era bellissima come si vede nellibro Guarda che non sono io(titolo anche di una canzone dell’album del 2012, Sulla strada)curato da Alessandro Arianti e Silvia Viglietti, tra le immagini di quando a vent’anni al Folk-

Alice ora lo sa

Francesco De Gregori. “Ho scrittocanzoni strane. Adesso ve le spiego”

Da sempre ama andare controcorrente

e anche qui non si smentisce: “I miei testi

non sono poesie e le parole da sole

non reggono. Ci vuole la musica...”

Spettacoli. Anticonformisti

IL PRIMO

“ALICENON LO SA”ESCE, SENZASUCCESSO,NEL 1973.IL BRANO CHEGLI DÀ IL TITOLOÈ FAMOSOPER IL SUOERMETISMOTANTO CHEAL “DISCOPER L’ESTATE”SI CLASSIFICAULTIMOMA GLI DÀALMENOUNA MINIMAVISIBILITÀ

IL SUCCESSO

L’ALBUMCAPOLAVOROÈ DEL1975:DA “RIMMEL”CHE LO APREE GLI DÀIL TITOLOA “PIANO BAR”CHE LO CHIUDEPASSANDOPER PEZZI COME“BUONANOTTEFIORELLINO”.È UNO DEI DISCHIFONDAMENTALIDELLA MUSICAITALIANA

L’ULTIMO

“VIVAVOCE”È USCITOA NOVEMBRE2014. È L’ULTIMOALBUM DELCANTAUTOREROMANOCHE QUI RIVISITAI SUOI BRANIPIÙ BELLI.IL 20 MARZODA ROMA PARTEIL NUOVO TOURNEI PALASPORT,CHE D’ESTATESI SPOSTERÀNELLE PIAZZEE IN AUTUNNONEI CLUB

IL “CESARE PERDUTONELLA PIOGGIA”PER ESEMPIO È PAVESEAVEVO LETTO DI QUANDOUNA SERA ASPETTÒPER UNA NOTTELA BALLERINACHE LO ILLUSE E POILO LASCIÒ. MENTREIL PERSONAGGIODELLO SPOSOHA QUALCOSADI AUTOBIOGRAFICO,LO AMMETTO

SE MI DOVESSI GUARDAREDAL DI FUORI MI VEDOSEMPRE UN PO’ A PARTE,UN CORPOAFFETTUOSAMENTEESTRANEO AL MONDOMUSICALE, FORSEPER LA FAMADI ANTIPATICO.NON VADO IN TV, NON VADOTROPPO IN GIRO, NON SONOUN HABITUÈ DEL WEB

IL TESTO

L’ORIGINALE DE “LA DONNA CANNONE”SCRITTA DOPO AVER LETTOUN ARTICOLO SU UN GIORNALE LOCALE

Ma tutto questo

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ci. E poi c’entra la Rca degli anni Settanta. Unposto pazzesco, non solo una casa discogra-fica. Era una specie di castello medievale quia Roma dove c’era tutto, le presse per lastampa dei dischi, gli uffici, gli studi, il cam-petto di pallone, la mensa, il bar dove passa-vano Rubinstein e Lou Reed. Lì ebbi il mio pri-mo e unico incontro con Battisti, una raritàperché non si vedeva mai, era schivo, stavaa Milano. Io pensavo che non sapesse nem-meno chi fossi e invece fu molto carino. C’e-rano Baglioni, Cocciante, Renato Zero, staviinsieme senza barriere culturali. Così alla fi-ne non ti prendevi troppo sul serio. Cosa im-portante per me. Se la gente mi ferma perstrada non mi dà fastidio, mi irrita se pensadi conoscermi dalle mie canzoni, o se consi-dera una canzone come un vaticinio... È tut-ta fuffa. L’ho scritto anche inGuarda che nonsono io in cui mi ritrovo parecchio».

Vuol dire che non scrive pensando a chi l’a-

scolta?

«Sì e no. Vorrei sempre che le mie cose pia-cessero, ma non scrivo per compiacere chiascolta. Dopo Rimmel che fu un successoavrei potuto fare una seconda puntata, in-vece scrissi Bufalo Billcon echi, riverberi e unsuono diverso. Ma questo ha fatto sì che an-che il pubblico si rigenerasse. Una partel’ho presa, una parte l’ho persa».

Le spiace?

«No. Anzi sono contento di ve-dere ai miei concerti ragazzigiovani. Ma come fanno a sa-pere che esisto, mi chiedo.Non vado in tv, non vadotroppo in giro, non sonoun habitué del web...Quanto a certi rimpro-veri, magari per ar-rangiamenti nuovi oper i nuovi testi, me lison sentiti fare pro-prio dai miei coetanei.Per loro De Gregori èsempre quello, dicia-mo fino a Titanic, fino aquando cioè loro hannocomprato dischi e ascol-tato musica. Ciò che èarrivato dopo non con-ta, perché non è in-vecchiato con loro.Sono orgoglioso diessermi sempre con-traddetto.

Dopo Rimmel il mioposto nel pantheondella musica italiana cel’avevo. Ma non mi è maipiaciuto che potesse fini-re così. Preferisco conti-nuare a scrivere canzonimagari più brutte o discarso successo, ma conti-nuare a scrivere quelloche ho in testa. Sempremeglio che cavalcare leonde del passato».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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SU RTV- LA EFFE

IN REPTVNEWS(ORE 19,45, CANALE 50DEL DIGITALE E 139DI SKY) ANNA BANDETTINIRACCONTAFRANCESCO DE GREGORI

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 38LA DOMENICA

Next. Oasi

Deserto2022

dare una temperatura stimata intorno ai 45gradi. Per far fronte al problema, i qatarini findalla fase di assegnazione hanno promesso sta-di interamente coperti da impianti di aria con-dizionata, in grado di ridurre la temperaturapercepita a 23 gradi e di avere impatto zero sul-l’ambiente, grazie ad avveniristici pannelli so-lari. Ci riusciranno? L’interrogativo appassionapiù di qualche milione di tifosi. La sfida, infatti,non riguarda solo il futuro del calcio, ma quellodi un’intera fetta di umanità: fino a che puntol’uomo può sfidare il deserto?

La risposta oggi è molto diversa da quella diqualche anno fa: basta un giro per le strade delQatar per confermarlo. L’emirato sonnolentoche negli anni Sessanta viveva del commerciodi perle oggi è il paese con il Pil pro capite più al-to del mondo. L’emiro Hamad bin Khalifa AlThani, che ha lasciato il potere nel 2013, ha usa-

FRANCESCA CAFERRI

LO SKYLINE A DOHA CAMBIA

di anno in anno. Pochimesi senza passare e lacapitale del Qatar riser-va al viaggiatore nuovesorprese: il profilo di ungrattacielo laddove pri-ma non c’era che sab-bia, un anfiteatro dimarmo sorto dal nulla,un brulichio di gru e im-palcature in mezzo alle

dune. Cantiere dopo cantiere, la città sta co-struendo dal nulla il suo futuro: qui nel 2022 siterranno i contestatissimi Mondiali di calcio, iprimi assegnati a un paese arabo, i primi in cuii calciatori, oltre ai loro avversari, dovranno sfi-

A DOHA, IN QATAR, SONO IN COSTRUZIONE LE GRANDI OPERE PER OSPITARE I MONDIALI DI CALCIO DEL 2022: DUECENTOCINQUANTA MILIARDI DI DOLLARISTANZIATI PER “BATTERE” IL CALDO A 45 GRADI. I QATARINI HANNO PROMESSOSTADI COPERTI CON ARIA CONDIZIONATA A IMPATTO ZERO

ABU DHABI PUNTA TUTTO SULLA CULTURA. NEI PROSSIMI MESI APRIRANNOTRE SUPER MUSEI: IL GUGGENHEIM ABU DHABI, OPERA DI FRANK GEHRY, IL LOUVRE ABU DHABI, DISEGNATO DA JEAN NOUVEL, E IL ZAYED NATIONALMUSEUM (NEL RENDERING), COSTOLA ARABA DEL BRITISH MUSEUM,PROGETTATO DALLO STUDIO LONDINESE DI NORMAN FOSTER

Stadi con aria condizionata

in vista dei Mondiali di calcio,

musei firmati da archistar

e una città eco-friendly

Ultime tappe di una sfida che avanza

tra polemiche e nuove soluzioni:

la penisola arabica batterà le dune?

ABITANTI

TANTI I RESIDENTI, MENTRE SARANNO 50MILA I PENDOLARIGIORNALIERI DI MASDAR CITY

20ENERGIA

LA COMPAGNIA ENERGETICAMASDAR HA INVESTITO 20 MILIARDIDI DOLLARI NEL PROGETTO

LA CITTÀ

VERDE

LA CITTÀ SARÀ CIRCONDATA DA AREE VERDI

PER MITIGARE IL CLIMA TORRIDO. GLI ALBERI

LA PROTEGGERANNO DAL VENTO E DALLA SABBIA

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STADI MUSEI

SI CHIAMA MASDAR CITY

LA CITTÀ “A EMISSIONI ZERO”

CHE STA SORGENDO A 30 KM

DA ABU DHABI, NEGLI EMIRATI ARABI,

SU UN’AREA DI SEI KMQ.

SARÀ ALIMENTATA SOLO A ENERGIA

SOLARE (88MILA PANNELLI

FOTOVOLTAICI). PROGETTATA

DA NORMAN FOSTER NEL 2008,

SARÀ PRONTA NEL 2025

MILA MLD40

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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to i proventi dei ricchissimi giacimenti di gasper cambiare il volto del suo paese: da qualcheanno ormai Doha è una foresta di grattacieli cheospita il campus universitario più grande e pre-stigioso della regione, dove hanno sede le suc-cursali di alcune fra le più famose universitàamericane. Sulla Corniche sorge il museo piùbello della Penisola arabica, dedicato all’arteislamica e progettato dall’archistar I. M. Pei, au-tore delle piramidi del Louvre. Altri due megaspazi espositivi sono a poche centinaia di metridi distanza, quasi pronti per essere aperti (unoè a firma di un’altra stella dell’architettura, ilfrancese Jean Nouvel) mentre a pochi minuti diauto dal mare capita di imbattersi in un anfi-teatro romano in puro marmo di Carrara, cuoredel nuovo villaggio culturale, dove star del ci-nema e orchestre sinfoniche di tutto il mondo siesibiscono regolarmente, per la gioia del (ric-

chissimo) pubblico locale. Kitsch? Forse. Ma ba-sta spostarsi di poco per capire che nel progettodi re-invenzione del deserto i limiti comuni — intermini di gusto e di possibilità — possono es-sere abbattuti senza troppi scrupoli.

Ospitata dentro il Mall of Dubai, uno dei cen-tri commerciali più grandi del mondo, la pistada sci di Dubai è un perfetto esempio di inven-zione di un mondo nuovo: completa di rifugio al-pino, area affitto attrezzature e zona snow-board dedicata, è da sempre una tappa imper-dibile per i visitatori dell’emirato. Il caldo del-l’esterno non è un problema: enormi impianti diaria condizionata e cannoni sparaneve dannol’impressione di sciare realmente sulle Alpi. Po-chi passi fuori dal Mall e le temperature torna-no tropicali, mentre intorno si sviluppa un uni-verso fittizio fatto di super lusso, finte palme dacocco, alberghi multistelle e isole artificiali.

Per cambiare aria bisogna varcare il confineche separa Dubai dai cugini più responsabili (ericchi) di Abu Dhabi: quanto i primi hanno pun-tato sul lusso e sulla frivolezza, tanto i secondihanno scelto la cultura. In un’isola apposita-mente realizzata nei prossimi mesi aprirannotre musei che promettono di far parlare moltodi sé: il Guggenheim Abu Dhabi, opera di FrankGehry, il Louvre Abu Dhabi, disegnato da JeanNouvel, e il Zayed National museum, costolaaraba del British museum, progettata dal fa-moso studio londinese di Norman Foster. Ma lascommessa più ardita dell’emirato è altrove: incostruzione nel mezzo del deserto c’è MasdarCity, un’intera città eco-compatibile, total-mente alimentata da energia solare ed eolica,dove il novantotto per cento dei rifiuti vengonoriciclati. Opera dello stesso Foster, andrà a re-gime fra una decina di anni e ospiterà case e uf-

fici per quarantamila abitanti e millecinque-cento imprese, con cinquantamila pendolariprevisti in arrivo da Abu Dhabi ogni giorno.

Un progetto che si ispira a realtà già esisten-ti quello di Masdar City. Da anni uno dei paesiaridi per eccellenza, l’Arabia Saudita ha con-centrato il suo sviluppo industriale in appositezone ricavate nel deserto: cento milioni di metriquadri circa in cui si estraggono, si lavorano e sistoccano petrolio e altre risorse naturali. Jubail,la più grande e la più antica, ospita quasi due-centocinquantamila persone e dà origine al set-te per cento del Pil nazionale. Nelle sue indu-strie le macchine non si fermano mai: per que-sto nei prossimi anni è in cantiere un progettoper raddoppiarne l’estensione e la capacità diaccoglienza. Una sfida senza precedenti a un de-serto sempre meno deserto.

IL LUSSO È IL PRINCIPIO ISPIRATORE DI TUTTE LE OPERE DI ABU DHABI: DAGLI HOTEL A MULTIPLE STELLE NATI SU ISOLE ARTIFICIALI AI GRATTACIELI PIÙ ALTI. L’ULTIMA NOVITÀ È IL PARCO A TEMA DEDICATO ALLA FERRARI (NELLA FOTO). MENTRE È ORMAI TANTO CELEBRE QUANTO DATATA LA PISTA DA SCI OSPITATA A DUBAI, UNO DEI PAESI PIÙ CALDI AL MONDO

L’ARABIA SAUDITA HA CONCENTRATO IL SUO SVILUPPO INDUSTRIALEIN ALCUNE ZONE DESERTICHE: CENTO MILIONI DI METRI QUADRI CIRCA IN CUI SI ESTRAGGONO, SI LAVORANO E SI STOCCANO PETROLIO E ALTRE RISORSE. JUBAIL (NELLA FOTO), LA PIÙ GRANDE E ANTICA, OSPITAQUASI DUECENTOCINQUANTAMILA PERSONE E DÀ ORIGINE AL 7% DEL PIL

PANNELLI FOTOVOLTAICI

IL CENTRO DIREZIONALE,

IL PIÙ GRANDE EDIFICIO ADIBITO

A UFFICI, SARÀ DEL TUTTO

RICOPERTO DA PANNELLI

FOTOVOLTAICI

CHE PRODURRANNO PIÙ ENERGIA

DEL FABBISOGNO PREVISTO

© RIPRODUZIONE RISERVATA

OMBRELLONI

MASDAR PLAZAM, CUORE DELLA CITTÀ, AVRÀ 54 TENDONI

PARASOLE CHE SI POTRANNO APRIRE NELLE ORE PIÙ CALDE

-50%

ACQUA

IL CONSUMO SARÀ DIMEZZATO. L’80% DELLE ACQUE GRIGIE DI SCARICO VERRÀ RICICLATO

STRADE

OMBREGGIATE

COLLEGAMENTO

PEDONALE

SOTTERRANEO

UFFICI

QUARTIER

GENERALE

SPAZI

COMMERCIALI

PARETE

PORTANTE

TETTO

PANNELLI

FOTOVOLTAICI

TORRE

EOLICA ASCENSORE

WORKSTATION

INTEGRATA

TORRE EOLICA

IL MASDAR INSTITUTE, POLO

UNIVERSITARIO TECNOLOGICO,

AVRÀ UNA CORTE CENTRALE

VENTILATA DA UNA TORRE EOLICA

TRASPORTI PUBBLICI

SARANNO AFFIDATI A 2.500 NAVETTE

A EMISSIONI ZERO

CHE COPRIRANNO 150MILA

PERCORSI AL GIORNO:

INGRESSO VIETATO

ALLE AUTOMOBILI

(© 2011 MASDAR CITY)

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GIARDINO

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PARCHI INDUSTRIE

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STRADE

SARANNO, IN LINEA CON

LE TRADIZIONI LOCALI,

BREVI E STRETTE

PER ESSERE PIÙ

OMBREGGIATE

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 40LA DOMENICA

LICIA GRANELLO

RO GIOVANE, MI TROVAVO A BARCELLONA, a teatro e guar-dando nei palchi, vidi tantissime signore vestite di ros-so. Era uno spettacolo magnifico e pensai che quello sa-rebbe stato il mio colore. È un colore che mi ha sempreportato fortuna”. Il colore-icona dello stilista Valenti-no — mix di carminio, porpora e rosso cadmio — ve-leggia, acceso e sfacciato, tra l’haute couture e la festadegli innamorati, da Valentino a San Valentino, pas-sando rigorosamente per la tavola. Questione di pas-sione. Per il cibo, e per i suoi colori, se è vero che la cro-moterapia assegna al rosso la palma di energia allo sta-to puro. Mangiare cibi rossi, sostengono i naturopati,

significa fare il pieno di sostanze antidepressive, stimolanti, depurative, antiossidanti. L’ortosa infuocarsi di rosso tutto l’anno, obbedendo ai comandamenti di madre natura, che accendefoglie e bucce da una stagione all’altra: fragole e ciliegie in primavera, pomodori e cocomeri inestate, cachi e uva in autunno, mele e arance in inverno. Un mese l’altro, una maturazione do-po l’altra, il contenuto di antocianine e licopene, carotenoidi e tannini fa la differenza, suppor-tando e migliorando l’equilibrio del corpo. Ma se nei mesi caldi incamerare vitamine e mine-rali riesce facile e quasi superfluo, le temperature degli ultimi giorni obbligano alla cura ali-mentare per non soccombere a freddo e virus.Dalle spremute di tarocchi e sanguinelle alsucco di ribes, su su fino alla passata di pomo-doro e a un bicchiere di vino, il rosso ci attira,benefico e allegro, drenando le vie linfatiche eattivando il sistema immunitario, aumentan-do il metabolismo e regalandoci surplus di fer-ro e potassio.

Anche il coté enogastronomico non scher-za. Gli amanti della verdura sanno che nes-sun’altra insalata ha il phisique-du-rôledel ra-dicchio, capace di immolarsi su braci e grati-cole senza guastarsi, anzi, diventando sem-plicemente più morbido e amaramente lasci-vo al cospetto della sapida dolcezza di una fet-ta di fegato spadellato. Allo stesso modo, melee pere rosso fuoco — red delicious, williams —gareggiano con arance per colore e contenutodi vitamine.

E poi i crudi, in primis la carne, che ha nel co-lore il suo passaporto genetico e di qualità. Cipiace gustarla in estate e invece dovremmomangiarla in inverno, per questione di salu-brità — le alte temperature non le si addicono

— e assimilazione di nutrienti. In quanto al pe-sce, sono rossi gli scorfani (brutti e indispen-sabili in zuppe e guazzetti), le triglie di sco-glio, i gamberi più saporiti e i ricci di mare, me-ravigliosi nei mesi con la erre, proprio come leostriche.Se volete sgranchirvi le mani in vistadella cena di San Valentino, potete andare ascuola di ricette amorose alla “Bit 2015”, laBorsa internazionale del turismo in program-ma alla Fiera di Milano nel prossimo fine set-timana, dove le Masserie didattiche di Pugliaorganizzano corsi hands on (mani in pasta) eracconti sul vino.

Se invece siete restii al cimento culinario, al-lestite una cena in rosso senz’altra fatica chescegliere i prodotti giusti: prosciutto crudo diLuciano Zanini, battuta al coltello di Obertocon insalata di radicchio e cavolo rosso, unabottiglia di barolo Sarmassa 2006 Marchesi diBarolo e, dulcis in fundo, i cuori di cioccolatorosso di Guido Gobino. Davanti a voi, si spa-lancherà il paradiso degli innamorati.

Rosso di sera. Carnivino, radicchio e ribesIl menù scelto col cuore

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il weekend

L’Ente turismo spagnoloorganizza un weekend

amoroso sulle tracce di Frédéric Chopin

e George Sand a Valldemossa (Maiorca).

Tra le stradine del porto e la sierra Tramuntana,

d’obbligo la cena al ristorantestellato “Es Racó d’es Teix”

Il ristorante

L’edizione 2015 della guidaMichelin Francia, pubblicata

in settimana, ha assegnato tre stelle al parigino

“Le Pavillon Ledoyen”: sul sito, in vendita i “coffret

amour secret”, con tartufi al cioccolato e candele

aromatizzate al caramello salato

ANTIOSSIDANTE,ANTIDEPRESSIVO,

DEPURATIVO,RICCO DI FERROE DI POTASSIO,

MA SOPRATTUTTOROMANTICO:

IL COLOREDELL’AMORE,

A TAVOLA,È ENERGIA

ALLO STATO PURO

Barbabietole su pere e caprinola mia crema di velluto

La ricetta

Sapori. Forti

400 G. DI FORMAGGIO CAPRINO FRESCO; 500 G. DI BARBABIETOLE COTTE;

1 MELA GRANNY SMITH; 1 PERA WILLIAMS VERDE; 300 G. DI SCIROPPO

(METÀ ACQUA METÀ ZUCCHERO); OLIO EXTRAVERGINE GARDESANO; 50 G. DI ACETO

DI MELE; SALE MALDON; PEPE SARAWAK; GERMOGLI O FOGLIE DI BARBABIETOLA

Pulire le barbabietole e frullare la polpa con poca acqua, sale, pepee olio fino a ottenere una crema liscia rosso violaceo. Conservarein frigo. Essiccare gli scarti in forno, frullare e setacciare per otte-nere una polvere sottile e riporre in un contenitore ermetico. Ta-

gliare la frutta a spicchi, inserire in un sacchetto da sottovuo-to con lo sciroppo, l’aceto di mele, un cucchiaino di polveredi barbabietola. Riposare in frigo per tre ore. Condire il for-maggio con olio, sale e pepe. Formare 12 palline da 30 g. l’u-na e riporre in frigo. Scolare la frutta dalla marinatura. Riem-pire un cucchiaio di crema di barbabietola, versarlo suogni piatto e tirare, creando una virgola. Sistemaredue spicchi di mela uno di pera nella parte larga dellavirgola e condire con fiocchi di sale Maldon. Accanto,tre tartufi di caprino spolverizzati con la polvere dibarbabietola. Decorare con foglie di barbabietola.

“E

SUCCO DI RAPA ROSSA, CAROTA E CETRIOLO

BARCHETTE DI CARPACCIO DI MANZO

LO CHEF

DANIELEZENNARO GUIDA LA CUCINADEL VENEZIANO“VECIO FRITOLIN”DI IRINAFREGUIA, DOVE PIATTICONTEMPORANEI E TRADIZIONALISI FONDONOPERFETTAMENTE

Il libro

Si intitola “Cioccolate. Storia e ricette di una celebre

tentazione” il nuovo libro di Ivonne Boscaino,

bibliotecaria dell’Università di Siena e docente

di scrittura creativa, dedicato al coté letterario

del cioccolato, con ricette annesse

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 41

8sfumature

PomodoroLontano dalle produzioni di serra, salse rosso fuoco,piennoli (i pomodoriappassiti del Vesuvio) e sott’oli fatti con datterini e corbarini in extravergine

LE CHICCHE DI GIÒ (ANCHE ONLINE)VIA ROMA 25GRAGNANO (NA)TEL. 081-8743652

GamberoTra Sanremo e Mazara del Vallo, polpa e carapace di colore sgargiante per carpacci e tartare.In versione cocktail, consalsa Aurora (con ketchup)

PESCHERIA MARTINI

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TEL. 010-3726081

MelagranaLa buccia solida e aranciataprotegge chicchi translucenti e rossastri, simbolo di felicità, fecondità e ricchezza. Su insalate e risotti, macedonie e creme

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RibesFresco o in confetture, salse,sorbetti, gelatine per piattidolci e salati. Con vodka,lime e triple sec compone la ricetta del cocktailamericano Cosmopolitan

PICCOLI FRUTTI DELLA VAL SANGONE

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CarneCruda in versione tartara o carpaccio, appena scottataper sigillare l’esternomantenendo il cuore rosso.Rossi&crudi anche salame,prosciutto e salsiccia di Bra

PREGIATE CARNI PIEMONTESI

VIA MONTEPULCIANO 8MILANO

TEL. 02-6693118

RadicchioDa Treviso a Verona, da Chioggia a Gorizia,le cicorie rosse del Trivenetoottime in paste e risotti.Anche spadellate alla brace,per torte o salse agrodolci

BIOAGRICOLA LA RISORGIVA

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VinoDai rosati al Lambrusco, finoal cupo Negramaro, il colorebattezza mille profumi e sapori. In abbinamento o in beata solitudine (rosso da meditazione)

VOGLIA DI VINO

VIA PERTINACE 7/AALBA (CN)TEL. 0173-593090

GUIA SONCINI

HO UN SOGNO: che le

coincidenze del calendario

producano un disastro che

superi tutti quelli che

raccontiamo e ascoltiamo

raccontare da anni. Tutte le cene di san

Valentino andate (a) male, tutti quei

menu afrodisiaci che avrebbero dovuto

garantire prestazioni straordinarie e

sono finiti in intossicazioni alimentari.

Tutte quelle convinzioni che la

controparte non potesse aver

dimenticato una data tanto importante

— di sicuro stava per sorprenderci con

una qualche serata romanticissima

organizzata in gran segreto — sfracellate

contro la realtà: «Lavoro fino a tardi» non

era una frase in codice, era proprio quel

che prometteva d’essere; era proprio la

metà meno romantica (cioè: meno

attenta alle scadenze fisse) della coppia

che rientrava verso mezzanotte

dichiarando stanchezza e domandando

come niente fosse: «Tu invece cos’hai

fatto stasera?».

Tutti i disastri annunciati — perché è

comunque un disastro: se ci tieni sei

infantile, ti lasci condizionare dalle

americanate, se Charlie Brown non

avesse mandato invano bigliettini di san

Valentino alla sua ragazzina dai capelli

rossi non sapresti neanche che questa

ricorrenza esiste; se non ci tieni allora

cosa stiamo insieme a fare e guarda i

ristoranti sono pieni di coppie e tu

invece. Neanche la festa della donna —

che se mi porti le mimose mi consideri un

panda e se non me le porti sei uno sporco

maschilista — è un incubo dell’entità di

san Valentino.

Ma nel 2015 il calendario potrebbe

donarci la guerra che porrà fine a tutte le

guerre, la catastrofe che supererà tutte

le catastrofi, il peggior san Valentino

(altrui) che supererà tutti i peggiori san

Valentino (nostri). Quest’anno san

Valentino casca in mezzo al carnevale.

Non può non succedere: deve, per forza.

Di certo non a noi, e possibilmente

neanche a qualcuno di troppo vicino, una

sorella o un amico del cuore, perché il

cascame drammatico sarebbe troppo

pesante da gestire. Alla giusta distanza,

quella che ci permetta di esorcizzare

ridendo l’incubo, di raccontarlo con

dettagli sempre nuovi, e di inorridirne

senza che ci riguardi troppo. La sera di

san Valentino una coppia alle prime

uscite sarà a cena, e a un certo punto uno

dei due dirà che sì, sente di poterlo dire:

crede proprio che si tratti di grande

amore. Segue commozione. Segue «Era

uno scherzo di carnevale, mica ci stavi

cascando, no?». Segue, plausibilmente,

strage di san Valentino.

San Valentinol’invito a cenaquest’annoè con delitto

© RIPRODUZIONE RISERVATA

MELAGRANA IN CHICCHI

ASPIC AI FRUTTI ROSSI

PeperoncinoIn polvere o listarelle, va scelto con riguardo a tipie valori di capsaicina, dalla paprica al Carolinareaper, dieci volte più infuocato dell’Habanero

AZIENDA AGRICOLA CARMAZZI

VIA DELLA FONTANELLA 61VIAREGGIO (LU)TEL. 0584-340941

Repubblica Nazionale 2015-02-08

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la RepubblicaDOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 42LA DOMENICA

A cinque anni, nella Germania distrutta dalla guerra, decise che

avrebbe fatto il pittore. È diventato uno dei massimi artisti contem-

poranei. Ogni mattina prende un libro e lo trasforma in un’opera:

“Solo dando forma al mondo riusciamo a regalargli un senso: è a

questo che serve l’arte. La scienza ha scoperto che cosa è successo

un miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, ma solo la mitologia

delle immagini può raccontare

cosa è accaduto l’attimo prima.E

però sia gli artisti che gli scienzia-

ti, quando scoprono una cosa

nuova, usano lo stesso aggettivo.

Dicono: che bello!”

AnselmKiefer

GIAN LUCA FAVETTO

TORINO

QUEL SIGNORE CON GLI OCCHI CHIARI che lanciano sguardi rapidi e in-calzanti, il viso piccolo, disteso. Alto e dinoccolato, maglia giac-ca pantaloni neri, nero anche il cappotto di cashmere abbando-nato sul pavimento, neri i sandali aperti in pieno inverno, conuna fettuccia blu di lato, nere le calze rotte sul tallone. Quel-

l’uomo in fondo al corridoio, catturato davanti ai suoi quadri, gli ultimi diun percorso espositivo intitolato Infinito, è in realtà una biblioteca di librie di visioni. Visioni che nascono da libri e che poi lui mette su tela: le rico-struisce come quadri, come presenze, come installazioni. Le architetta co-me opere. D’arte.

Anselm Kiefer, classe 1945, l’autore dei Deutschlands Geisteshelden(Germania eroica), dei Sette palazzi celesti, delle Età del mondo, unodei più importanti artisti contemporanei, con personali alla Bienna-le di Venezia e al MoMA di New York, al Grand Palais di Parigi e allaRoyal Academy di Londra, a Berlino e a Tokyo, ad Amsterdam e aCittà del Messico, è a Torino per ricevere la laurea honoris causa in fi-losofia: “Per avere prodotto un percorso speculativo per immagini diesiti straordinariamente fecondi, in grado di confrontarsi con la tra-gedia del Novecento e con il mondo contemporaneo”, detta la motiva-zione. Dopo la cerimonia all’Università, si è rifugiato nella Galleriad’arte moderna, dal suo amico, il direttore Danilo Eccher. Qui siè ritrovato faccia a faccia con due sue opere, Einschüssee Hum-baba, fatte di piombo, rovi, colori acrilici e a olio, foglie d’o-ro, fotografia, cenere, gommalacca. Sono esplosioni fra

montagne innevate e frammenti della mitologia su-mera di Gilgamesh. Sono materia che urla e canta,mappe che resistono al tempo.

Da un quarto d’ora almeno ha in tasca la mia do-manda, buttata lì tanto per iniziare la conversazione:qual è la sua storia? La storia di una celebrità dell’arte con-temporanea, come e dove comincia? Prima di rispondere, sifa tutto l’Infinito. Ci vogliono una ventina di minuti. Arriva-to al fondo, in piedi davanti ai suoi quadri, dice: «Si cerca sem-pre di scoprire il modo in cui il Cosmo è nato». Suona come un

sottotitolo adatto a entrambi i lavori. Poi attacca: «La mia storia è molto lun-ga e viene da lontano. Io non sono nato nel 1945, ma molto prima. Ho den-tro di me dei protoni che risalgono all’inizio del Cosmo. Siamo tutti impa-stati di particelle che sono all’origine dell’Universo. Siamo molto più vec-chi della Terra. Io so che le mie origini risalgono a prima ancora che nascesseil nostro pianeta. L’ho compreso pienamente, per la prima volta, solo qual-che mese fa».

Parla con un’energia da fanciullo che, esplorando, ha toccato la meravi-glia, e ha quell’espressione da “ho visto cose e conosciuto mondi che voi uma-ni nemmeno potete immaginare”... E non sono le navi in fiamme al largo deibastioni di Orione o i raggi B che balenano vicino alle porte di Tannhäuser,no. Lui ha visto il Cern di Ginevra, il più grande laboratorio di fisica delle par-ticelle. «Quando mi hanno invitato stavano riparando l’acceleratore di par-ticelle. Quindi sono potuto scendere nel suo ventre e contemplare il sincro-ciclotrone aperto, questo enorme meccanismo dove si scontrano le parti-celle accelerate alla velocità della luce. Mi hanno mostrato il lavoro che si faper vedere l’infinitamente piccolo. E poi ho assistito a un dibattito dove han-no illustrato una teoria che permette di risalire fino a un miliardesimo di se-condo dopo il Big Bang. Ma l’attimo prima? Niente: dell’attimo prima non sisa nulla. Anzi, più si scopre, meno si sa. Ci vuole l’arte per dirlo. Serve la mi-tologia delle immagini per raccontare l’inizio del mondo, per svelare ciò cheè accaduto prima». Sorride: «Gli scienziati lavorano in gruppo per trovareuna formula matematica, gli artisti vanno da soli alla ricerca di un’immagi-ne. Ma quando fisici e matematici scoprono qualcosa di nuovo, dicono: chebello! Adoperano lo stesso aggettivo, hanno la medesima sensazione este-tica degli artisti».

Ha sempre scelto i luoghi dove lavorare: una filanda e un vecchio deposi-to sono diventati i suoi studi. «Il mio lavoro è la continuazione del lavoro chesi svolgeva fra quelle pareti», dice. I posti in cui vivere, invece, li hanno scel-ti le sue compagne. «Ho sempre seguito le donne. Andavo dove volevano lo-ro, dai miei primi spostamenti in Germania, poi in Toscana, ora in Francia».

Tedesco di Donaueschingen, nel Baden-Württemberg, da più di vent’an-ni ha casa e studio a Parigi e nel Sud della Francia. «Da bambino disegnavotutto ciò che vedevo — ricorda —. Ero il primo di tre fratelli, nato in una can-tina dell’ospedale, sotto un bombardamento. Appena venuto al mondo, persfuggire alle bombe, ho trascorso il mio primo giorno nella foresta. Era il no-stro rifugio. A cinque anni avevo già deciso di diventare pittore. Credevo diessere un genio. Quando mi sono diplomato, mi sono iscritto a Legge, tantoero già un genio, no? Non avevo bisogno di imparare la tecnica. Il linguag-gio artificiale del diritto mi piaceva: è il contrario della vita. Lo sentivo eso-tico, attraente. Dice che la realtà non esiste. Per tre anni ho studiato diritto,leggevo Montesquieu e la sera dipingevo. Poi ho capito che, se volevo di-ventare un vero pittore, dovevo andare a una scuola di Beaux Arts. Non erosoddisfatto delle mie ricerche, facevo ritratti e paesaggi che non erano ma-le, ma non funzionavano. Erano assolutamente vuoti». Si trasferisce a Fri-burgo e a Karlsruhe. Ed è stato un po’ come uscire di prigione per scoprire lalibertà dell’arte.

È il 1967 e comincia la sua carriera, segnata dall’incontro conJoseph Beuys, lo sciamano dell’arte, con la sua magia e il suo

pensiero sull’armonia fra essere umano e natura. «Io credoche le donne generino il mondo, gli uomini sono impulsivi evanitosi. Le donne sono coloro che accendono la vita, sono più

legate alla natura, sono più streghe. I maschi devono sempreprovare di essere forti. E però alla base della Rivoluzione fran-

cese, ad esempio, c’erano le donne. E così, dietro tutti i miti del-l’antichità, ci sono le donne, c’è la loro forza creatrice». Do-

po la creazione, viene la storia. «Ma la storia oggettivanon esiste. Le persone la ricostruiscono secondo ipropri bisogni e punti di vista. La storia è argillache si plasma con le mani. Il mio lavoro è conti-nuare i miti: loro esistono e io li continuo. Cia-scuno dà forma alla sua storia e ha la sua inter-pretazione».

È per questo che, ogni mattina, nella sua bi-blioteca lunga sessanta metri, lui cerca un libro. Ècome se andasse a spasso nella foresta. Controlla i

dorsi, ne prende uno, lo sfoglia, legge. «Quasi sem-pre scopro che, il libro scelto, è proprio quello che

mi serve per il lavoro che sto facendo». Ogni giornoil suo lavoro riparte da un libro. Ogni giorno da un li-

bro Anselm Kiefer ricomincia a dare forma al mondo.Al suo mondo. Dandogli forma, gli dà senso. «A questoserve l’arte. Non potrei vivere senza. Mi fa trovare unsenso nella vita». Il senso che non c’è nella Storia, masolo nelle storie che racconti. Lo creiamo noi, dice. Nonun senso definitivo, ma quello necessario per vivere.Quello per cui il Cosmo, nei racconti e nei respiri, si famondo, territorio, abitazione, casa, io.

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ANCHE DIETRO LA RIVOLUZIONE FRANCESE C’È LA FORZA CREATRICE DELLE DONNE, SONO LORO CHE GENERANO TUTTO. IO LE HO SEMPRE SEGUITE. ANDAVO DOVE LOROVOLEVANO: PRIMA LA TOSCANA, ORA LA FRANCIA

LA STORIA OGGETTIVA NON ESISTE LA STORIA È ARGILLA CHE SI PLASMA CON LE MANI. IL MIO LAVORO È PROPRIO QUESTO, CONTINUARE I MITI:LORO ESISTONO, IO LI CONTINUO

MI ISCRISSIA LEGGE PERCHÉ

MI ATTRAEVAIL LINGUAGGIO

ARTIFICIALEDEL DIRITTO:

È IL CONTRARIODELLA VITA

POI HO CAPITOCHE DOVEVO

ANDARE A SCUOLADI BELLE ARTI:

I MIEI PAESAGGIERANO VUOTI

L’incontro. Visionari

Repubblica Nazionale 2015-02-08