la mente multiculturale

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La mente multiculturale di Anna Bosetti Il libro di Anolli qui riassunto ripercorre le tappe principali dello studio della cultura e della cultura stessa. Dalle caratteristiche dell'homo sapiens che l'hanno reso soggetto in grado di 'fare cultura', a differenza degli altri primati, all'attualissima necessità di avere una mente multiculturale, che da una zona di frontiera sappia accogliere e arricchirsi dell'intreccio culturale del quale le nostre società ormai si compongono. Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca Facoltà: Scienze dell'Educazione Corso: Scienze dell’Educazione Esame: Psicologia della comunicazione Docente: Luigi Anolli Titolo del libro: La mente multiculturale Autore del libro: Luigi Anolli Editore: Laterza Anno pubblicazione: 2006

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l'eclettismo

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La mente multiculturale

di Anna Bosetti

Il libro di Anolli qui riassunto ripercorre le tappe principali dello studio della

cultura e della cultura stessa. Dalle caratteristiche dell'homo sapiens che

l'hanno reso soggetto in grado di 'fare cultura', a differenza degli altri primati,

all'attualissima necessità di avere una mente multiculturale, che da una zona di

frontiera sappia accogliere e arricchirsi dell'intreccio culturale del quale le

nostre società ormai si compongono.

Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca

Facoltà: Scienze dell'EducazioneCorso: Scienze dell’Educazione

Esame: Psicologia della comunicazioneDocente: Luigi Anolli

Titolo del libro: La mente multiculturaleAutore del libro: Luigi Anolli

Editore: LaterzaAnno pubblicazione: 2006

1. Flussi migratori a partire dalla fine del ventesimo secolo Alla fine del XX secolo il mondo fu scosso profondamente da un fenomeno inatteso e imponente. I flussimigratori da Sud a Nord e da Est a Ovest comportarono lo spostamento di masse enormi di popolazioni. Coni loro sogni e bisogni. Soprattutto con le loro culture. All’inizio, e per migliaia di anni, la cultura si è ancorata a un territorio. Pur essendo in continua evoluzione,essa presentava confini sufficientemente netti. Dopo le ultime tragiche guerre mondiali, la specie umana ha riconosciuto la necessità d’istituire unorganismo sovranazionale (l’Onu) con lo scopo di governare i contrasti e i conflitti fra le diverse comunità,per porre rimedio a forme d’ingiustizia e iniquità e per migliorare le condizioni di vita della nostra specie.Con l’Onu si è mantenuto uno stato di equilibrio precario per l’umanità. Si sono evitate altre guerrecatastrofiche, ma non siamo riusciti a risolvere altri gravi squilibri, a cominciare dalla fame e dalla sete. Lerisorse continuano a essere distribuite in modo iniquo. Da questa situazione hanno preso avvio le recenti migrazioni, che stanno modificando profondamentel’assetto degli equilibri internazionali. Pur in presenza ditale fenomeno, molto spesso sottovalutato, lamaggioranza degli esseri umani ha continuato ad avere una mente monoculturale. Per gli esseri umani delXXI secolo occorre pensare a soggetti che abbiano a loro disposizione una mente multiculturale. ossia, unamente che sappia pensare, sentire, credere e comportarsi differentemente nelle diverse situazioni culturali.

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2. La cultura dall’esterno e dall’interno Ambiente invisibile in cui siamo totalmente immersi, la cultura dà forma e sostanza all’esistenza umana. Noiguardiamo il mondo e gli accadimenti attraverso di essa noi guardiamo il mondo adottando una prospettivaspecifica: la nostra cultura. la cultura è stata concepita e studiata dalle scienze umane in due diversi modi: la cultura vista «dall’esterno»e la cultura vista «dall’interno».

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3. La cultura vista dall’esterno Lo studio della cultura «dall’esterno» è stato chiamato etico. Una determinata cultura è esaminata come sefosse una realtà esterna, circoscritta e chiusa, alfine d’individuarne le proprietà distintive. L’idea di fondo èche vi sia una «natura umana» universale e invariata, intesa come dotazione geneticamente ereditaria,comune a tutti gli umani, regolata da leggi sistematiche e che, in superficie, tale natura umana assuma formediverse a seconda delle varie culture. La comprensione della cultura vista «dall’esterno» avviene sostanzialmente in questo modo: si parte da unagriglia di proprietà che si ritengono generali (come le credenze, le emozioni, le relazioni sociali, ecc.) e poisi procede con il fare un confronto sistematico fra alcune culture, per individuarne le somiglianze, allaricerca di leggi universali sottese alla condotta umana. In questo confronto l’individuazione di eventualidifferenze serve a porre in evidenza le cosiddette variazioni di superficie, di natura locale, prodotte dallevarie culture. L’approccio etico ha dato origine alla psicologia crossculturale (detta anche psicologia transculturale), che siprefigge di procedere al confronto sistematico fra le varie culture facendo ricorso a metodi quantitativi(questionari, test psicologici, ecc.) e a modelli astratti di spiegazione. Tuttavia, studiare la cultura «dall’esterno» va inevitabilmente incontro a limiti e difficoltà. Per prima cosanon esistono né modelli teorici né indirizzi politici né strumenti di misurazione che siano immuni dalleinfluenze culturali, poiché essi sono prodotti sempre all’interno di una data cultura. In secondo luogo, tale tipo di studio comporta il cosiddetto paradosso dell’equivalenza: ossia assumere checiò che è valido in una certa cultura sia valido anche in un’altra cultura. Questa idea implica il rischio diprodurre distorsioni sistematiche. Ritenere che parole che pensiamo universali, come «libertà», «giustizia»,«democrazia», «felicità», «amicizia», «verità», ecc, abbiano lo stesso significato presso gli italiani, gliinglesi, i russi, i polacchi, i cinesi, gli indiani o i giapponesi è una vera ingenuità. Per esempio, la parola«felicità» per gli americani corrisponde all’obbligo sociale di ottenere successo e di provare gioia eottimismo, mentre per i giapponesi la felicità consiste nell’equilibrio fra emozioni positive e negative (yin eyang). Parimenti, il concetto di libertà è assai diverso per gli italiani, gli inglesi, i polacchi e i russi.

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4. La cultura vista dall’interno Considerata la difficoltà (o forse l’impossibilità) di capire la cultura «dall’esterno», altri studiosi si sonoproposti di raggiungere il medesimo obiettivo studiando la cultura «dall’interno». E il cosiddetto approccioemico. Studiare una certa cultura «dall’interno» vuoi dire assumere il punto di vista dei nativi e concentrasisulle forme specifiche, contingenti e irripetibili che quella cultura assume in quel momento storico.L’obiettivo è quello di cogliere l’unicità e l’esclusività di una data cultura. L’idea di fondo è che la cultura èdentro le persone. Questo punto di vista è stato ripreso anche dalla psicologia culturale, che ha moltoinsistito sul concetto di unicità, in quanto ogni cultura è un mondo a sé stante, diverso da ogni altro. Già lopsicologo russo Vygotskij (1934), che aveva contribuito a fondare la cosiddetta scuola storico-culturalerussa, aveva sottolineato come lo sviluppo delle funzioni mentali superiori (linguaggio e pensiero) siaprofondamente influenzato dalle condizioni sociali della comunità culturale di appartenenza. Anche le cosiddette psicologie indigene ribadiscono che ogni comunità sviluppa specifiche conoscenze ecompetenze per adattarsi al suo ambiente fisico e sociale. La cultura, infatti, varia al variare delle condizioniambientali. Per esempio, nelle tribù migratorie che vivono di caccia e raccolta le pratiche di socializzazionefavoriscono la determinazione, l’autonomia, la fiducia in se stessi e la gestione dell’incertezza. Per contro,nelle comunità stanziali fondate sull’agricoltura sono incrementate caratteristiche come la condiscendenza,l’obbedienza, la cooperazione e il senso di responsabilità. A loro volta, nel contesto industriale le pratiche disocializzazione sostengono l’intelligenza tecnologica, le competenze comunicative, la gestione delladistanza relazionale, la difesa dei propri interessi, la competitività. L’approccio emico segue il metodo idiografico, che privilegia l’uso di procedimenti qualitativi d’indagine,come le interviste, il dialogo, la partecipazione alle pratiche dei nativi, ecc. Particolare rilievo è attribuitoall’etnografia come dispositivo in grado di favorire la comprensione della situazione contingente attraversoil punto di vista del nativo. L’etnografia richiede una partecipazione diretta e prolungata alla vita sociale diuna certa comunità con lo scopo di rendere esplicito ciò che è implicito e scontato. Per raggiungere questofine si fa spesso ricorso all’osservazione partecipante, intesa come strumento non intrusivo in grado dicogliere le specificità di una data cultura. Tuttavia, lo studio «dall’interno» della cultura non è esente da limiti e difficoltà. Innanzitutto, la suaimpostazione favorisce il relativismo culturale, rendendo assoluto il valore dell’unicità. Il relativismo culturale porta con sé, infatti, il problema della traducibilità dei modelli culturali da unacultura a un’altra. In secondo luogo, oggi il relativismo culturale è stato declinato da parte di alcuni politici estudiosi sotto forma di fondamentalismo culturale, premessa teorica per la versione attuale del razzismo.Non è più la razza a dover essere protetta ma la cultura nazionale, omogenea al suo interno e storicamentefondata. E il razzismo senza razza. Il diritto alla diversità diventa il diritto primario di difesa della propriaunicità, consentendo di evitare ogni forma di contaminazione con altre culture e di procedere all’esclusioned espulsione di tutte le persone culturalmente diverse.

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5. La doppia natura della cultura Lo studio «dall’esterno» (etico) e quello «dall’interno» (emico) della cultura risultano entrambi parziali einsoddisfacenti. Occorre quindi adottare un nuovo punto di vista. Il punto di partenza può essere dato dallaconstatazione che il luogo della cultura non è né esclusivamente esterno né esclusivamente interno. Lacultura è dentro e fuori dalle menti nello stesso tempo. Di conseguenza, la cultura è ovunque non solo intermini geografici ma soprattutto in termini psicologici. Essa è interna alle menti dei soggetti e si manifesta attraverso i loro modelli mentali, il loro sistema dicredenze e valori, la loro sensibilità e focalità emotiva, ecc. Nello stesso tempo, la cultura è esterna allementi dei soggetti, poiché trova espressione negli artefatti materiali (tecnologici come il telefonino, artisticicome le cattedrali, ecc.) e nelle istituzioni sociali di una data comunità. Il legame che esiste fra aspetti interni e aspetti esterni di ogni cultura non è di natura interattiva, bensìcostruttiva, poiché entrambi gli aspetti reciprocamente co-determinano e co-definiscono l’evoluzione deipercorsi culturali. Tale processo co-costruttivo dà luogo a emergenze culturali imprevedibili e indeducibilidalle condizioni esistenti. Di conseguenza, l’evoluzione della cultura va attribuita a diverse sorgenti (interneed esterne) di trasformazione. L’evoluzione culturale è covarianza, connessa alle condizioni contingenti del contesto. L’interdipendenzafra aspetti interni e aspetti esterni della cultura rimanda ai concetti di «interpenetrazione» e«interazionalismo». Essi comportano un imprevedibile percorso dei sentieri culturali e attribuisconorilevanza sostanziale al concetto di nicchia ecologica di ogni cultura. Grazie alla sua doppia natura, ogni cultura costituisce una certa prospettiva sulla realtà, poiché implica unmodo di concepire, interpretare, spiegare gli avvenimenti. Ogni concezione e interpretazione èinevitabilmente influenzata e distorta dalla cultura in cui è stata elaborata.

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6. La cultura come eredità e adattatività La cultura va dunque intesa come una forma di eredità che si affianca e interagisce con altri percorsi dieredità che caratterizzano la specie umana. Nello specifico, la cultura può essere definita come l’ereditàcumulativa di costei/azioni simboliche. Ciò significa, innanzitutto, che la cultura è un’eredità, perché ogniessere umano, quando nasce, si trova a vivere in un ambiente profondamente trasformato dalla cultura dicoloro che lo hanno preceduto. Tale eredità è di natura cumulativa, poiché la cultura procede sempre avanti.In secondo luogo, l’eredità della cultura concerne essenzialmente (sebbene non esclusivamente) iecostellazioni simboliche con cui gli umani comprendono, spiegano e organizzano la vita. Essi sono in gradodi generare simboli astratti, ossia rappresentazioni mentali che in modo convenzionale consentono diraffigurare situazioni percettive della realtà, anche in assenza dei corrispettivi stimoli sensoriali. I simbolinon sono fotocopie della realtà, ma strutture mentali flessibili e dinamiche, dotate di livelli progressivi diastrazione, per cui è possibile procedere per zoom mentali, ordinarle in categorie, fare delle rotazioni einversioni, condividerle con altri, ecc. Tale competenza è connessa con la capacità di elaborarerappresentazioni mentali di secondo ordine (rappresentazioni delle rappresentazioni proprie e altrui) e digiungere a una lettura della mente altrui. Sul piano psicologico, il concetto di cultura può essere ulteriormente sviluppato, prospettando la culturacome l’appropriazione (da parte di un novizio) di una rete globale e dinamica, più o meno coerente, dimodelli mentali (cognitivi, emotivi, sociali), di significati e valori, di pratiche di vita attraversol’apprendimento sociale e l’interazione con altri consimili indispensabile per adattarsi al proprio ambiente eper dare senso all’esperienza propria e altrui entro una certa comunità di attori umani. Il concetto di «appropriazione» sottolinea che la cultura è un processo prima di essere una struttura o unsistema di artefatti. In quanto processo, non si ha solo l’appropriazione di soluzioni e artefatti, ma soprattuttodi dispositivi di adattamento attivo agli ambienti e ai loro continui cambiamenti. E il concetto di«adattatività», intesa come capacità di adattarsi attivamente all’evoluzione dell’ambiente al fine di garantirsiuna continuità di funzionamento. In tale dinamica sono compresi anche i cambiamenti ambientali prodottidagli stessi esseri umani in funzione delle loro esigenze. In secondo luogo, il concetto di appropriazioneimplica che la cultura sia considerata come un dispositivo dominio-generale in grado di affrontare in modoflessibile tutti gli aspetti dell’esistenza umana, da quelli pratici e operativi a quelli più astratti e teorici. Persua natura, la cultura pone un novizio nella condizione di trovare una risposta ai vari problemi della vita. Ogni cultura sceglie ed enfatizza certe soluzioni locali e contingenti, strettamente connesse con il propriocontesto di riferimento, differenziandosi in tal modo dalle altre culture. In terzo luogo, il concetto diappropriazione pone in evidenza il punto di vista del novizio che si distingue, in modo ovvio, da quellodell’esperto. Ciò che in definitiva conta è il novizio, che deve essere in grado di fare sua la cultura diriferimento attraverso l’azione dell’esperto e di ricostruirla in funzione della sua esistenza e dei cambiamentidell’ambiente in cui vive. Parlare di appropriazione significa superare la logica della cultura come semplicetrasmissione. La cultura non è un semplice patrimonio o bagaglio di conoscenze e di pratiche che viene consegnato da unagenerazione all’altra. «Appropriazione» significa dunque che i soggetti trasformano la cultura nel momento stesso in cui siappropriano dei suoi sistemi di credenze, di valori e di pratiche attraverso l’esperto, proponendone allagenerazione successiva una versione modificata e rinnovata, idonea all’adattamento a nuove esigenzeambientali.

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Il novizio, più che apprendere la cultura dall’esperto, se ne appropria attraverso l’esperto stesso entro unacornice di partecipazione. Da un lato, tale cornice viene a influenzare la configurazione e il decorsodell’evento; dall’altro, prepara l’individuo a saper affrontare in modo più adeguato altri eventi simili.L’appropriazione è un processo di trasformazione e fa riferimento al cambiamento che deriva al soggettodalla sua partecipazione a una data attività: la partecipazione è un processo unitario, individuale e socialeallo stesso tempo. La cultura è una realtà complessa in continua evoluzione, e il processo di appropriazione consente dispiegare contemporaneamente l’evidenza del cambiamento culturale (appropriarsi di qualcosa significaricombinarla e ricostruirla in qualche modo), sia quella della continuità culturale (una volta che certi aspetticulturali sono stati appropriati, tendono a restare stabili).

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7. Cultura come mediazione la cultura si prefigura come luogo e processo di mediazione fra le persone e i loro ambienti. Noi guardiamoil mondo adottando un punto di vista specifico che è, per l’appunto, la nostra cultura. Il rapporto fra ilsoggetto e l’oggetto (l’ambiente) può essere in certe occasioni diretto e immediato, ma, in generale, talerapporto è mediato dall’impiego di uno o più artefatti. Gli artefatti sono elementi del mondo materialeassunti nell’azione umana come mezzi e modi per coordinarsi con l’ambiente fisico e sociale. Di per sé,l’attività umana si serve degli artefatti come mezzi per raggiungere i propri scopi; nello stesso tempo, essadipende ed è vincolata dagli artefatti medesimi. Si distinguono tre categorie di artefatti: a) artefatti primari sono quelli impiegati direttamente per l’attivitàumana: essi consistono in strumenti e dispositivi che i soggetti di una data comunità usano abitualmente perinteragire fra di loro e con l’ambiente (dal martello ai nuovi mezzi di comunicazione) e costituiscono la«cultura materiale»; b) artefatti secondari sono le rappresentazioni mentali degli artefatti primari e dei modidi azione a essi associati: consistono in modelli mentali e simboli, intesi sia come schemi cognitivi impiegatiper rappresentare gli oggetti sia come aspetti più astratti (norme, credenze, ecc.) presenti nell’interazionesociale e costituiscono la «cultura ideale»; c) artefatti terziari servono a costruire il mondodell’immaginazione e della fantasia nell’ambito del gioco e nell’arena del non pratico; rientrano in questoambito i diversi fenomeni e processi artistici nelle loro diverse espressioni creative; qui siamo in presenzadella «cultura espressiva». Gli artefatti, prodotti dagli esseri umani, occupano una posizione di mediazione fra loro e l’ambiente, poichéla cultura organizza l’uso di questi mezzi in attività specifiche. La mediazione è un processo attivo checontribuisce in modo rilevante a organizzare, gestire e controllare le attività e le interazioni fra le persone.Infatti, gli artefatti vanno intesi come convenzioni e costituiscono pratiche sociali che si trovano, nello stessotempo, sia all’interno della mente sia all’esterno nel contesto pubblico. Essi giocano un ruolo essenziale neldare forma all’azione, ma non la determinano in modo automatico: gli artefatti esercitano la loro efficaciasolo quando le persone h usano in modo appropriato. Grazie agli artefatti il rapporto fra soggetto e ambiente è reso culturale. La presenza di un’azione mediata,tuttavia, non significa che il percorso di mediazione sostituisca quello naturale, così come la comparsa dellacultura nell’evoluzione non vuol dire che la cultura sostituisca l’evoluzione stessa. Il soggetto mantiene unaserie di azioni dirette, come stare con i piedi per terra e guardare l’albero mentre lo colpisce con l’ascia, mal’incorporazione di artefatti nell’attività crea una nuova relazione fra organismo e ambiente, relazione in cuiil culturale (ciò che è mediato) e il naturale (ciò che è immediato) operano in modo sinergico. Come esito di questa condizione si crea un’interdipendenza costante fra le possibilità di una data azione,l’impiego appropriato degli strumenti attualmente a disposizione, il loro continuo miglioramento el’invenzione di nuovi strumenti che vengono ad aumentare le potenzialità dell’azione medesima. Su taleinterdipendenza si fonda il progresso della tecnologia, che costituisce un fattore non secondario dievoluzione delle singole culture, a qualunque livello si collochino. La mediazione svolta dalla cultura è universale e trasversale in quanto investe tutti gli ambiti dell’esistenzaumana, da quelli alimentari a quelli medici e biologici, a quelli religiosi e politici, sociali, ludici e artistici.Essa ci fornisce dispositivi ovvi, scontati e automatici per capire e gestire la realtà. La cultura appare quindicome una lente incorporata in noi. Si tratta di una lente di cui non ci rendiamo conto fino a quando nonincontriamo culture di altre comunità che fanno riferimento ad artefatti diversi.

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8. Cultura come partecipazione La cultura è una invenzione della specie umana attraverso una serie continua di progressi e scoperte. Inquanto produzione umana, la cultura è l’esito di un processo di costruzione sociale attraverso lapartecipazione dei soggetti, poiché essi creano la cultura cui partecipano. La cultura è un processo collettivo, dal momento che non può essere il risultato di un’azione individuale,anche se ogni soggetto contribuisce a fornire una data fisionomia alla cultura di cui è parte. Per definizione,la cultura è partecipazione, poiché essa implica la condivisione dei processi di significazione, dicomunicazione, di pratiche e di valori, nonché l’accordo sulle regole da parte delle persone che lacostituiscono. La situazione di partecipazione rimanda, anzi tutto, al concetto di diversità, intesa come lo scarto culturaleche due o più persone (o gruppi) percepiscono e dichiarano esistere nel momento in cui entrano in unaqualche forma di contatto. In questo senso la diversità non è una proprietà oggettiva bensì è una qualitàpercepita di natura relativa. Non si è intrinsecamente diversi, ma si è diversi agli occhi di qualcun altro erispetto a un qualche punto di vista. La cultura non è un territorio circondato da confini. Essa è piuttosto un insieme di confini. Il senso dellecose è dato dai confini fra le cose medesime e dal confronto fra le loro differenze. Talvolta, questi confinipossono diventare barriere invalicabili, come avviene nelle diverse espressioni di radicalismo culturale cheprevedono forme di chiusura ideologica, valoriale e comportamentale. Di norma, si tratta di confini invisibili che diventano chiaramente visibili non appena valicati Per esempio.nel raccontare le sue ricerche antropologiche, Geertz evidenzia che, quando era a Giava e stava studiando lalingua locale, i suoi insegnanti lo correggevano meticolosamente su tutti gli errori linguistici riguardanti ilrango sociale e trascuravano totalmente gli errori di genere. Quando, invece, si trovò in Marocco, i suoiistruttori non tolleravano alcun errore di genere, mentre erano indifferenti a quelli concernenti lo status. Ciòdimostra che la mente è culturalmente definita attraverso discorsi e mondi molteplici. La consapevolezza culturale, ossia la capacità di comprendere a fondo i processi, i punti forti e i limiti dellapropria cultura, costituisce una premessa rilevante per comprendere le culture altrui e per prendervi parte inmodo attivo. Partecipare a una cultura significa essere parte di essa e influenzarla nel momento stesso in cuise ne è parte. Quando un soggetto partecipa a un’attività culturale, la influenza nel momento stesso in cui neè influenzato attraverso un processo reciproco senza fine.

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9. Come gli uomini sono diventati uomini Per comprendere la complessità della cultura e le ragioni per cui oggi abbiamo bisogno di una mentemulticulturale, occorre analizzare le modalità in cui è comparsa e si è evoluta la cultura nella specie umana. La cultura non è nata insieme al genere umano. La cultura è nata molto dopo. Sono passate decine dimigliaia di anni prima che si potesse parlare di cultura. 1.Cenni sull’evoluzione della specie umana Comparsa di Homo sapiens circa 150.000 anni fa. L’attuale specie umana ha avuto origine in Africa da unapopolazione iniziale alquanto limitata, compresa fra i 10.000 e i 30.000 individui. Essendo una specieesploratrice e quindi nomade, dedita alla caccia e alla raccolta di cibo, Homo sapiens iniziò a emigraredall’Africa circa 80.000 anni fa per colonizzare tutti i continenti in tempi successivi. In Europa Homosapiens giunse circa 30.000 anni fa.

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10. Coevoluzione fra gene e ambiente Il dibattito fra natura e cultura è proseguito in psicologia con l’opposizione fra innatismo e ambientalismo.Il  primo ritiene che la dotazione genetica attivi condotte specie-specifiche comuni a tutti gli umani e chequindi sia alla base dello sviluppo dei soggetti e dei gruppi, ovunque essi si trovino. Per contro,l’ambientalismo pone in evidenza l’influenza determinante della cultura nel definire lo sviluppodell’individuo in modo indipendente dalle sue predisposizioni e inclinazioni naturali. Le differenze generatedalle culture di appartenenza sono ritenute profonde certamente irriducibili. Non esiste la natura umana nella sua assolutezza, poiché non esiste una natura umana in astratto,indipendente dalla cultura. Per definizione, la natura umana è culturalmente situata.

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11. Premesse remote della cultura Oggi l’ipotesi più accreditata considera la cultura come l’esito dell’azione concomitante di molti fattori. Lacultura si fonda su alcune premesse che, per comodità espositiva, ho distinto in remote e recenti. Fra le premesse remote troviamo: a)Bipedismo e stazione eretta. La differenziazione e la specializzazione fra arti superiori e inferioriimplicano una profonda modificazione dell’assetto morfologico dell’organismo umano. La mano sispecializza nella presa e nelle azioni tecniche (grazie soprattutto all’opponibilità del pollice), mentre il piedesi specializza nella marcia in stazione eretta. b)Quoziente di encefalizzazione. La stazione eretta ha modificato la configurazione generale del nostroorganismo, rendendo verticale la posizione del foro occipitale con la testa eretta sulla colonna vertebrale,mentre nelle scimmie la testa sporge in avanti sorretta da potenti muscoli. Tale modificazione ha favorito,assieme ad altre condizioni, l’aumento del quoziente di encefalizzazione (ossia il rapporto delle dimensionidel cervello umano rispetto a quello di un primate non umano di pari peso). Lo sviluppo del sistema nervosocentrale rappresenta una condizione biologica essenziale per la comparsa della cultura, in quanto rappresentaun supporto materiale necessario per elaborare gli stimoli provenienti dall’ambiente. c)Neotenia. Lo sviluppo encefalico si associa con una condizione di prematuranza biologica generale delneonato al momento del parto. Essa implica il prolungamento dello stadio infantile (neotenia) poiché, data lanuova configurazione del canale da parto nella donna a ragione della stazione eretta, il cervello del neonatopesa circa il 25% di quello adulto (350-400 cm3). Di conseguenza, il suo sviluppo avviene per tre quarti inambiente extra-uterino. Ciò comporta una grande esposizione del neonato all’ambiente culturale in cuicresce, nonché una dipendenza vitale e prolungata dalla madre, con la conseguente costituzione di fortilegami di attaccamento. In questo modo il piccolo dell’uomo da organismo biologico diventaprogressivamente un soggetto culturale. d)Apparato vocale. La comparsa della cultura è connessa altresì alla capacità di produrre una gamma estesa,fine e complessa di suoni vocalici. Senza un preciso apparato vocale non è possibile parlare. e)Ovulazione nascosta. Nella maggior parte delle scimmie antropomorfe il periodo dell’ovulazione èindicato da parte della femmina con segni esteriori evidenti. L’ovulazione nascosta rappresenta a prima vistauno svantaggio evolutivo, in quanto non favorisce di per sé la prolificazione. Tuttavia, essa offre altrivantaggi importanti per l’evoluzione culturale della specie umana. Anzi tutto, favorisce il passaggio daun’attività sessuale periodica a una più distribuita nel tempo per avere la garanzia della fecondazione. Talecondizione, inoltre, è alla base del rafforzamento del desiderio e dell’attrazione reciproca, poiché si realizzauna sconnessione fra l’attività sessuale destinata solo a fini riproduttivi e l’attività sessuale di per ségratificante. Su questa base si pongono le premesse per la costruzione di legami stabili di coppia e per ilcoinvolgimento del maschio nell’allevamento condiviso del piccolo, alfine di favorirne la sopravvivenza.

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12. L’avvento dell’agricoltura Circa 10.000 anni fa la comparsa della cultura è stata fortemente influenzata dall’avvento dell’agricoltura.Molto probabilmente l’inizio dell’agricoltura ebbe luogo in Medio Oriente, nella regione della cosiddetta«mezzaluna fertile» — un territorio compreso fra il Libano, Israele, il nord della Siria, la Turchiameridionale e il nord-est dell’Iraq. L’Homo sapiens, circa 10.000 anni fa, diventa stanziale, si lega a unadata regione, inizia ad addomesticare e allevare animali, impara a coltivare la terra e a selezionare sementi.Prende così avvio la cultura contadina, che durerà fino ai giorni nostri: si passa dalla raccolta del cibo allasua produzione e conservazione. La coltivazione della terra assicurava loro il cibo in modo permanente, poiché potevano farne scorta econservarlo (accumulazione di risorse). Tale condizione favorisce un aumento della densità dellapopolazione umana. L’agricoltura libera dall’impegno di cercare cibo ogni giorno e favorisce in modoesponenziale lo sviluppo di nuove competenze simboliche, tecnologiche e artistiche. Nascono i concetti di territorio e di Stato, di espansione e di conquista, di suddivisione dei compiti e delleattività lavorative, di organizzazione e stratificazione sociale, di difesa e di attacco, nonché di controllo egestione delle risorse.

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13. La nascita del linguaggio Per milioni di anni gli ominidi prima e gli uomini poi hanno comunicato fra loro in modo non verbale,attraverso i movimenti del corpo, come i gesti, la mimica del volto, lo sguardo, le grida e i richiami. Lacomunicazione non verbale trova enormi difficoltà a esprimere concetti e significati sia di realtà astratte siadi oggetti naturali e di artefatti. La comunicazione non verbale, da sola, non è in grado di dare origine allacultura. E la parola che consente alla cultura di nascere. La parola, infatti, è capace di manifestare idee,concetti e significati di qualsiasi genere. Permette di esprimere ad altri i simboli che ciascun individuoelabora nella propria mente. Di conseguenza, si può dire che la nascita della cultura coincide con la nascitadella capacità simbolica degli esseri umani grazie al linguaggio. Sono numerose e differenti le ipotesiavanzate per spiegare le origini del linguaggio nella specie umana: a)Teoria della discontinuità. Per Chomsky l’abilità del bambino di apprendere la propria lingua materna inmodo rapido ed efficiente in poco tempo è data da una specializzazione cognitiva della specie umana cheegli chiama Grammatica Universale. Questo «organo del linguaggio» è una dotazione biologica innata,capace di elaborare all’infinito simboli astratti, codificata nei geni che determinano la struttura nervosa delcervello. La spiegazione del linguaggio va cercata nei processi fisici e chimici dell’organismo più chenell’evoluzione. Siamo in presenza dell’ipotesi del salto linguistico, secondo cui la comparsa del linguaggiosarebbe avvenuta all’improvviso, in una volta sola, attraverso una mutazione genica unica (ipotesidell’evoluzione unica). b)Ipotesi del protolinguaggio. Nel tentativo di conciliare Chomsky e Darwin, Bickerton ha proposto la teoriadel protolinguaggio. Partendo dall’ipotesi che esiste un «bioprogramma» linguistico in base a cui gli esseriumani apprendono il linguaggio, occorre vedere in che modo si è evoluta tale competenza. Il protolinguaggio sarebbe stato un linguaggio telegrafico, composto solo da parole, privo di una grammatica, la cuicomprensione si fondava sugli aspetti pragmatici del contesto. Per milioni di anni gli ominidi avrebberoparlato solo il proto linguaggio. Secondo Bickerton, il passaggio dal protolinguaggio al linguaggio sarebbeavvenuto all’improvviso, in una volta sola, con un salto repentino in concomitanza della comparsa di Homosapiens (ipotesicatastrofica). Una singola mutazione avrebbe riorganizzato il cervello, fornito una nuovaconfigurazione al tratto vocale e dato luogo alla sintassi. Bickerton aderisce quindi alla teoria del grandesalto in avanti, secondo cui l’evoluzione della specie umana sarebbe stata caratterizzata da un improvviso eforte progresso, con una rapida riorganizzazione del cervello umano. c)L’istinto del linguaggio. Al pari di Bickerton, anche Pinker (1994) si propone di conciliare la concezionedi Chomsky con quella di Darwin, ma segue un percorso teorico diverso. Prende spunto dalla definizione diDarwin secondo cui il linguaggio è composto da due metà: una metà arte e una metà istinto. Secondo Pinkeril linguaggio non è un’invenzione culturale per usare dei simboli, ma un istinto specie-specifico a motivodella sua universalità. In quanto tale, esso dovrebbe avere una sede identificabile nel cervello. Diversamenteda Chomsky, tuttavia, Pinker ritiene che il linguaggio si sia evoluto sotto le pressioni della selezionenaturale. Contrariamente a Bickerton, inoltre, egli sostiene che il linguaggio non sia comparsoall’improvviso, ma che sia stato una forma di adattamento evolutivo attraverso progressivi cambiamentiinfluenzati dalla selezione naturale. Pinker introduce così una concezione gradualistica nell’evoluzionedell’istinto del linguaggio attraverso una serie sfumata e continua di passaggi successivi. d)Teoria della continuità. La prospettiva gradualistica nell’evoluzione del linguaggio è stata ripresa eapprofondita, fra altri studiosi, anche da Jackendoff, che parla di continuità evolutiva nella comparsa dellinguaggio. Secondo questa ipotesi il linguaggio è articolato in sottosistemi parzialmente indipendenti,

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ciascuno dei quali ha seguito una propria linea evolutiva in modo progressivo e parallelo verso forme dimaggiore successo. In base a questo modello, l’uso di singoli simboli avrebbe condotto in primo luogo allacondivisione di significati da parte dei membri di un clan. Tale uso si sarebbe poi combinato con laconvenzionalizzazione delle vocalizzazioni, in modo da produrre un sistema fonologico categoriale-digitaleall’interno del proprio gruppo. A sua volta, il sistema fonologico avrebbe dato origine a un sistemacombinatorio di suoni in grado di generare un numero illimitato di parole. Successivamente laconcatenazione di simboli avrebbe reso possibile la costruzione di frasi più estese, regolate dall’ordine delleparole. Sarebbero poi comparse parole per rappresentare i concetti relazionali (di tempo, di spazio, di causa,ecc.). Secondo Jackendoff, l’evoluzione dell’architettura del linguaggio prevede che il linguaggio sia uninsieme di sistemi più semplici e che, in quanto tale, vi siano dei progressi in grado di affinare le singolecomponenti (ipotesi incrementalista). e)L’origine sociale del linguaggio. Dunbar (1996,2004) ha posto l’attenzione sulle origini sociali dellinguaggio, prendendo avvio dall’osservazione che presso i primati non umani è molto diffusa la pratica delgrooming (azione prolungata e minuziosa di pulizia del pelo di un consimile). Oltre a svolgere un’effettivaoperazione d’igiene, il grooming serve altresì a stabilire un rapporto di vicinanza, a stringere legami sociali,creare alleanze, definire rapporti di amicizia e favorire le condizioni di cooperazione. Per questo motivo, piùè largo il gruppo, più tempo si dedica al grooming. Inoltre, Dunbar pone in evidenza che il cervello umano si è sviluppato soprattutto per elaborare leinformazioni sociali più che quelle fisiche. Le pressioni della selezione naturale nella specie umana hannoportato a sostituire il grooming con il linguaggio. La maggior parte della comunicazione è destinata alpettegolezzo. La prevalenza di questa forma di comunicazione è spiegata dall’esigenza di conoscere chi èl’altro, che cosa fa, pensa e prova, con chi vive, ecc. Infatti, i gruppi vivono di comunicazione, poiché senzacomunicazione non avrebbero elementi per portare avanti la loro storia. f)Teoria motoria. Secondo la teoria motoria, già avanzata da Condillac, il linguaggio va inteso comeevoluzione dei sistemi di comunicazione gestuali e mimici impiegati dagli ominidi per interagire fra loro.Tali sistemi andrebbero considerati come forme di protolinguaggio attraverso l’impiego di segnicomunicativi convenzionali di natura iconica e spaziale. In questa prospettiva il linguaggio s’innesterebbe in modo incrementale su moduli cognitivi extralinguisticipreesistenti e su centri nervosi già sviluppati, rispetto ai quali costituirebbe un’integrazione e unavanzamento. Fra gli altri, merita particolare menzione la scoperta del sistema dei neuroni specchio, attivatidalla visione di movimenti da parte di consimili. Tale sistema consente di riconoscere e comprendere glistati psichici dell’interlocutore e d’inferire la sua intenzione comunicativa. Al momento attuale nessuna delle ipotesi sopra citate risulta soddisfacente. Il linguaggio è una funzionetroppo complessa per essere comparsa in una volta sola come risultato di una mutazione sconvolgente, maanche per essersi evoluta gradualmente in modo continuo. Tuttavia, una volta comparso, il linguaggio èdiventato un dispositivo molto potente e si è moltiplicato fra le varie popolazioni fino a giungere alle oltre7.000 lingue naturali attuali.

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14. La teoria della mente L’avvento dell’agricoltura e la comparsa del linguaggio, pur essendo condizioni necessarie per illustrare leorigini della cultura, da sole non sono sufficienti. Non vi può essere cultura se non vi è società. Nella specie umana la socialità si è estesa a forme di collaborazione anche con sconosciuti. L’emergere del linguaggio, l’incremento delle competenze simboliche e Io sviluppo della cooperazione e delsenso morale hanno favorito la comparsa di una teoria della mente (theory of mmd o ToM) negli esseriumani. In generale essa può essere definita come la capacità di «leggere» la mente degli altri, attribuendoloro stati mentali che possono essere diversi dai propri. Nello specifico, la ToM, che compare nel corsodell’infanzia, è la capacità di interpretare, spiegare e prevedere le azioni dei consimili, attribuendo loro statie processi mentali quali desideri, modelli interpretativi, credenze e intenzioni. Questa teoria implica quindila capacità di rappresentare a se stessi rappresentazioni mentali altrui. I presupposti della ToM sono quindi:a) considerare gli altri come dotati di stati mentali; b) ritenere che esiste una relazione causale fra questi statimentali e gli eventi del mondo fisico e sociale. L’acquisizione della ToM rappresenta un potente dispositivoper lo sviluppo delle competenze culturali negli esseri umani. Essa, infatti, costituisce un processo dimentalizzazione che rende i soggetti interlocutori più validi e competenti sul piano dell’interazione sociale edella comunicazione. La ToM favorisce in modo esponenziale i processi di condivisione dei significati,poiché pone le premesse per verificare e confrontare le reciproche rappresentazioni mentali degli oggetti edegli eventi. In questo processo si ha la possibilità di porre a confronto le rispettive percezioni, di esaminarele proprietà di un dato oggetto o fenomeno, di arricchire la gamma predicativa a propria disposizione.

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15. Evoluzione della cultura Le culture nascono, si sviluppano, arrivano al loro apogeo, declinano più o meno lentamente e poi muoiono.Ci sono la cultura egizia, la cultura dei fenici e la cultura di sumeri e babilonesi. Quella cinese e quellaetiope, la cultura giapponese e quella vietnamita. La cultura è un processo che va sempre avanti e non si ripete mai. Di volta in volta assume forme diverse,non necessariamente migliorative. Per questa ragione si parla di evoluzione culturale, intesa come lacostellazione dei cambiamenti riguardanti i modelli di condotta e gli stili di vita da una generazione all’altra. L’evoluzione culturale è soggetta all’attività consapevole e pianificata da parte degli attori.

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16. Accumulazione e innovazione La cultura umana è caratterizzata da un forte, rapido ed efficace processo di accumulazione. Ogni cultura va considerata come la manifestazione suprema della creatività umana. Essa consentel’invenzione e la costruzione di soluzioni geniali, innovative e imprevedibili ai vincoli posti dall’ambiente.Grazie alla dimensione simbolica e alla costruzione di modelli mentali finalizzati ad affrontare i problemiposti dagli ambienti più differenti, gli esseri umani hanno saputo inventare forme di vita radicalmentediverse da comunità a comunità.

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17. L’immaturità psicoologica del neonato La prole della specie umana è inetta e alla nascita presenta una condizione d’incompetenza sostanziale, inquanto è incapace di sopravvivere da sola. Inoltre, rispetto agli altri primati, i neonati umani impieganomolto più tempo a raggiungere la maturità. Di per sé, questa situazione può apparire come un seriosvantaggio evolutivo, poiché conduce alla morte certa del neonato se abbandonato a se stesso. In realtà, essagenera due grandi vantaggi. Anzi tutto, il cervello si sviluppa per lo più dopo il parto e ciò favorisce in modorilevante la flessibilità e l’apprendimento in funzione dell’esperienza. In secondo luogo, la neotenia produce una condizione di dipendenza essenziale e prolungata dagli adulti. Lecure parentali costituiscono un sistema di supporto indispensabile per la crescita del figlio e, nello stessotempo, sono un veicolo per consentirgli di appropriarsi del mondo culturale in cui vive’ Tali cure sonointrinsecamente indirizzate dalla cultura di riferimento. Le cure parentali rimandano a precisi stili educativiche definiscono gli ambienti di apprendimento e l’habitat dei significati per il figlio, che si tratti di uno stileassertivo o di uno stile permissivo.

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18. L’interdipendenza gene-ambiente Innanzitutto, lo sviluppo del bambino avviene in funzione dell’interdipendenza intrinseca fra informazionigenetiche e condizioni ambientali. L’espressione dei programmi genetici assume differenti percorsi disviluppo nella produzione di cellule e tessuti in relazione alle condizioni ambientali. Lo sviluppo dell’individuo rimanda contemporaneamente a diverse fonti (interne ed esterne) ditrasformazione ed è l’esito imprevedibile di un processo costruttivo definito in modo congiunto dalleinformazioni genetiche e da quelle ambientali. Tale interdipendenza prende avvio già nella vita uterina del feto umano. Dalla ventisettesima settimana circadi gestazione il feto è in grado di sentire la voce materna e per questa ragione, fin dalle prime ore di vita, ineonati discriminano e preferiscono il suono della voce materna rispetto a quella del padre o di altre donne.Parimenti, gli stati emotivi della gestante influenzano il feto attraverso la variazione dei tassi di mediatorichimici e ormonali.

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19. La competenza sociale del bambino piccolo Il bambino piccolo, pur essendo una prole inetta e in una condizione di prematuranza, sia un soggetto attivo,dotato di capacità cognitive specifiche e di meccanismi di autoregolazione, in grado di ricevere ed elaborarele informazioni provenienti dall’ambiente. In particolare, assieme alle capacità percettive, nel neonato risultaparticolarmente consistente la competenza sociale. a) Riconoscimento del volto materno e sorriso sociale. Il neonato manifesta una spiccata disposizionesociale, in quanto capace di porsi rapidamente in relazione con gli adulti di riferimento. Giànell’allattamento appare in grado di stabilire con la madre un’attività coordinata e armoniosa in base a unasincronizzazione reciproca di attività (suzione) e pause. Parimenti, nell’arco ditte o quattro giorni di vita, ilneonato è capace di riconoscere e discriminare il volto della madre. Nel corso del terzo mese di vita compareil sorriso sociale come risposta elettiva alla presenza di altri umani. E soprattutto il contatto oculare adattivare questa forma di sorriso. b) La condivisione dell’attenzione. Verso i sei mesi di vita si pongono altre importanti premesse per lacostruzione della mente culturale. Nel corso dei primi mesi il neonato si limita a interagire in modoesclusivo o con un oggetto o con l’adulto. Si tratta di relazioni diadiche reciprocamente esclusive. A partiredai sei mesi circa compare un nuovo processo: l’infante riesce a estendere e a distribuire le sue risorse diattenzione guardando in alternanza l’adulto e l’oggetto. Da un’interazione soltanto diadica, egli passa così auna interazione triadica e diventa capace d’incorporare il terzo oggetto entro la cornice della relazione conl’adulto. Questo progresso psicologico è fondamentale poiché conduce alla condivisione congiunta dell’attenzione,grazie alla quale bambino e adulto orientano il loro interesse sul medesimo oggetto-evento. Tale processocomune di messa a fuoco attentiva su qualcosa di esterno alla coppia adulto- bambino consente loro di porrele premesse di ciò che costituirà in seguito la referenza di un discorso o di una conversazione. Ovvero diqualcosa d’altro esistente nel mondo o nella loro relazione in quanto fuoco del loro interesse e attenzione. c) Il sistema adulto-bambino. La costruzione della mente culturale del bambino piccolo avviene quindiall’interno del sistema interattivo aperto fra lui e gli adulti di riferimento. Ben presto egli interagisce conl’adulto trattandolo come un soggetto animato, ossia capace di agire in modo autonomo, di produrre effettisull’andamento degli eventi in funzione delle sue azioni, nonché di prendere iniziative. Il sistema adulto-bambino è in grado di autoregolarsi e di autocorreggersi in funzione degli scopi daraggiungere, capace di costruire e di condividere significati, norme e modelli di comportamento. Adulto ebambino, sia pure con funzioni e in posizioni diverse, contribuiscono entrambi a costruire modellid’interazione organizzati secondo flussi e sequenze prevedibili e regolari, a produrre situazioni di dialogo edi scambio in quanto gratificanti per se stesse, a elaborare i significati degli eventi cui partecipano. In questoprocesso si generano qualità emergenti dell’interazione che non sono né prevedibili né deducibili dallecondizioni di partenza. In tal modo si costruiscono delle cornici consensuali d’interazione, che stabiliscono un accordo reciproco frai partecipanti. Esse indicano come i partecipanti comunicano l’un l’altro in che modo vadano intese le loroazioni. In funzione di questi processi, il bambino, in qualità di novizio, si confronta e, nello stesso tempo,partecipa attivamente alle strutture di significato, ai sistemi di valori e di credenze, ai modelli dicomunicazione e di azione messi in atto dall’adulto in qualità di esperto di una data cultura. Attraversoquesti processi bambino e adulto «producono cultura» nel corso delle loro interazioni. All’interno del sistema adulto-bambino, l’adulto assume la funzione di struttura di supporto, in quanto ha il

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compito di fornire semplici ed efficaci opportunità al bambino per cogliere il significato culturale di azioni esegni. Nella specie umana l’adulto svolge con continuità e impegno la funzione di scaffolding, ossia di«impalcatura», per favorire lo sviluppo complessivo del bambino e per renderlo un soggetto culturalmenteattivo. La costruzione della mente culturale del bambino avviene in modo in parte prevedibile e in parte casuale.Infatti, la relazione con l’adulto costituisce un processo interattivo continuo, sono parzialmente determinatodai vincoli del contesto e delle cornici consensuali. In parte resta un processo indeterminato, poiché è unsistema aperto e dinamico, in grado di assumere diversi percorsi di senso in funzione degli eventicontingenti e imprevisti. L’appartenenza a una certa cultura non costituisce un fatto compiuto una volta per tutte. Piuttosto, taleappartenenza è un processo in continuo divenire e un’apertura verso nuove forme di cultura, proprie e altrui.

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20. La svolta dei nove mesi e la comparsa dell’intenzionalità Intorno agli otto o nove mesi il bambino compie un ulteriore e importante passo in avanti versol’appropriazione della cultura di riferimento. Inizia a considerare l’adulto non più solo come un agenteanimato e autonomo ma anche come un soggetto intenzionale, in grado di gestire e controllare in modospontaneo la propria condotta, di avere degli scopi e di operare consapevolmente delle scelte fra le diverseopportunità per conseguire tali obiettivi. La comparsa dell’intenzionalità rappresenta una tappafondamentale per la costruzione della mente culturale del bambino. La comparsa dell’intenzionalità consistenella capacità sia di manifestare ad altri le proprie intenzioni sia di capire che gli altri sono agentiintenzionali. In questo periodo il bambino diventa in grado di manifestare in modo esplicito le proprieintenzioni. In particolare attraverso i gesti deittici come estendere il braccio e l’indice per indicare qualcosanell’ambiente, mostrare un oggetto, ecc. Si tratta di gesti che comportano un’interazione triadica (bambino,adulto e oggetto). Sul piano della comunicazione, tali gesti hanno un valore sia proto-richiestivo (servono per chiedere oggettia]- l’adulto ed esprimono un desiderio) sia proto-dichiarativo (servono per richiamare l’attenzionedell’adulto su un certo oggetto o evento e consentono di condividere la medesima referenza nel mondoesterno). La comparsa dell’intenzionalità mette in moto lo sviluppo di diversi altri processi psicologici importanti.Anzi tutto, rafforza l’apprendimento attraverso l’imitazione. In secondo luogo, favorisce la dissociazione framezzi e fine. Nei primi mesi il bambino comprende che le sue azioni hanno degli effetti sull’ambiente manon sembra capire in che modo egli ottiene questi risultati. Sembra agire ciò che Piaget chiama «pensieromagico». Ma verso gli otto mesi il bambino sviluppa una diversa comprensione del rapporto fra azione erisultato, in quanto diventa in grado di: a) usare differenti mezzi per raggiungere lo stesso scopo; b)riconoscere il valore di azioni intermedie per il raggiungimento dello scopo (rimuovendo un ostacolo,superando una barriera, ecc.). In tal modo il bambino dimostra maggiore flessibilità nell’impiegare mezzidiversi per il medesimo scopo, nel differenziare gli scopi che si possono raggiungere con i medesimi mezzi,nel considerare le azioni come scopi in alcune circostanze e come mezzi in altre e così via. Questadissociazione fra mezzi e scopi, posta già in evidenza da Piaget, costituisce un indicatore importantedell’intenzionalità dell’infante a quest’età, poiché implica che egli abbia uno scopo in mente prima ditradurlo in azione e che riesca a distinguere tale scopo dai mezzi per raggiungerlo.

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21. L’acquisizione del linguaggio e della teoria della mente La comparsa dell’intenzionalità, la maturazione dell’apparato fonatorio e la maggiore articolazione dellacomunicazione non verbale sono la base da cui prende avvio lo sviluppo del linguaggio. Imparare a parlare èun processo contingente che si fonda su una serie di apprendimenti comunicativi (non verbali e pragmatici)precedenti e che avviene in funzione dell’azione di supporto (scaffolding) svolta dagli adulti. L’acquisizione del linguaggio articola ed espande la mente culturale del bambino, che diventa in grado diaffrontare situazioni cognitive, emotive e sociali sempre più complesse. Nello specifico, verso i quattro anniegli si dimostra capace di farsi delle rappresentazioni mentali non solo degli oggetti e degli eventi ma anchedelle rappresentazioni mentali degli interlocutori. E la comparsa della cosiddetta teoria della mente, ossia lacapacità di attribuire stati mentali alle altre persone. Se nei primi mesi di vita il bambino si mette inrelazione all’adulto come a un soggetto animato e se all’età di un anno lo considera come un soggettointenzionale, soltanto verso i tre o quattro anni egli è in grado di trattarlo come soggetto mentale.Considerare l’altro come un soggetto mentale significa attribuirgli credenze, modelli interpretativi e punti divista che possono essere diversi dai propri. La teoria della mente va intesa come la capacità di «leggere» la mente degli altri, nonché d’interpretare,spiegare e prevedere le loro azioni, attribuendo a essi stati e processi mentali quali desideri, modelliinterpretativi, credenze e intenzioni. La ToM è stata illustrata secondo diversi modelli. Fra gli altri,l’approccio modularista considera la mente come un insieme di moduli specializzati e indipendenti, di naturaobbligatoria e impenetrabili alla coscienza, ritenendo il «sistema per leggere la mente» come innato ecomposto da diversi sottosistemi. Al contrario, il modello della teoria della teoria prevede che lo sviluppo della ToM avvenga secondo iprincipi generali sottesi alla costruzione di una qualsiasi teoria scientifica, attraverso l’elaborazione diprevisioni, supposizioni, modelli interpretativi, ecc.. A sua volta, secondo il modello della simulazione laToM si sviluppa grazie alla capacità di assumere il punto di vista degli altri: la propria esperienza, a guisa diun simulatore, diventa il modello per inferire informazioni sugli stati interni altrui. La comprensione degli stati mentali altrui si sviluppa nel bambino insieme alla capacità di assumere il loropunto di vista a livello cognitivo. La conoscenza psicologica e sociale è molto diversa dalla conoscenzafisica; vanno, quindi, previsti meccanismi esplicati- vi differenti. Quando il bambino vede un adulto o uncompagno compiere certe azioni, è portato ad attribuirvi il medesimo significato come se fosse lui acompierle personalmente. Poiché è in grado d’identificarsi con l’altro, è anche in grado di comprendere ilcomportamento di quest’ultimo negli stessi termini. Di conseguenza, la ToM è una base essenziale perconsentire al bambino di costruire una mente culturale e diventare un membro attivo e partecipe dellacultura di appartenenza. Una conferma neurofisiologica importante a questo modello deriva dalla scoperta e dallo studio dei neuronispecchio, che si attivano sia durante l’esecuzione di azioni nella manipolazione di oggetti, sia durante lasemplice osservazione di azioni analoghe eseguite da parte di un altro. In questo caso, tali neuroni sieccitano come se fosse l’organismo stesso a eseguire i movimenti. In altri termini, l’osservazione diun’azione implica la simulazione della medesima. Pertanto, la comprensione degli stati mentali degli altri sifonda sulla possibilità di stabilire un’equivalenza motoria fra ciò che fanno gli altri e ciò che fa l’osservatoree sul principio conseguente della somiglianza degli altri a sé. Questa forma di empatia vale anche per leemozioni e le sensazioni: l’altro è percepito come noi attraverso una relazione di somiglianza, e le suereazioni attivano in noi la medesima configurazione di neuroni, come se noi stessimo provando di persona le

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medesime sue esperienze. Per tale ragione, sulla base di quest’architettura nervosa, è corretto parlare di unsistema multiplo di condivisione dell’intersoggettività e dei processi culturali che ci consente di riconosceregli altri come simili a noi. La comparsa della ToM rappresenta una fase decisiva nella costruzione della mente culturale del bambino.Entrano in gioco i processi di «mentalizzazione» e condivisione dei significati che sono alla basedell’apprendimento culturale. La teoria della mente altrui consente non solo di trattare gli altri come soggettimentali, ma soprattutto di appropriarsi dei modelli culturali che costituiscono la trama del vivere sociale inuna data comunità.

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22. In che modo si costruisce la mente culturale La specie umana è ultrasociale, in quanto i rapporti sociali sono particolarmente enfatizzati, complessi evariabili nelle vicende umane, assai più che presso le altre specie animali. Su questa base generales’innestano i dispositivi che hanno consentito la comparsa e l’evoluzione della cultura nelle sue svariateforme. In particolare, un motore fondamentale è costituito dall’apprendimento, inteso come unamodificazione relativamente duratura e stabile del comportamento a seguito di un’esperienza. Fra le suevarie forme, è utile la distinzione fra apprendimento individuale (capacità di acquisire nuove informazioni aseguito di un esperienza personale con l’ambiente fisico attraverso vari meccanismi) e apprendimentosociale (capacità di acquisire nuove conoscenze e pratiche grazie all’interazione con i propri consimili). In ambienti stabili, l’apprendimento sociale risulta più vantaggioso di quello individuale, in quanto il primorisulta più affidabile e il secondo più soggetto a errori. Per contro, in ambienti variabili, dovel’apprendimento sociale diventa meno attendibile, si ha una maggiore rilevanza dell’apprendimentoindividuale per trovare nuove soluzioni più adatte ai cambiamenti dell’ambiente. Tuttavia, a differenza dell’ipotesi di partenza, si è visto che le specie con un elevato livello di apprendimentosociale presentano anche un eguale elevato livello di apprendimento individuale. L’apprendimento socialesvolge la funzione di accelerare e rendere meno casuale quello individuale. Ciò che rende specifico l’apprendimento sociale nella nostra specie si basa essenzialmente su duedispositivi: l’apprendimento imitativo e l’insegnamento attivo.

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23. L’apprendimento imitativo Per apprendimento imitativo s’intende la riproduzione consapevole e intenzionale di una condottadell’esperto da parte del novizio per raggiungere il medesimo scopo per- seguito dall’esperto stesso.L’apprendimento imitativo consiste nel riprodurre ciò che l’esperto intende fare (e non semplicemente ciòche fa). L’imitazione implica due processi cognitivi: a) la capacità di attribuire senso alle azioni degli altri;b) la capacità di riprodurre le loro azioni. L’imitazione si Fonda, quindi, sull’atteggiamento mentale di«trattare gli altri come simili a sé». Di conseguenza, ogni attività imitativa comporta una maggiorecomprensione del funzionamento mentale di sé e degli altri in base a un sistema di «analogia sé-altri».Nell’imitazione apprendiamo non solo dagli altri ma soprattutto con e attraverso gli altri. Nella specieumana l’apprendiInento irnitativo risulta efficiente e strutturato già attorno ai nove mesi, in modoconcomitante con la comparsa dell’intenzionalità e della comprensione degli altri come agenti intenzionali. Sul piano qualitativo l’apprendimento imitativo è quindi diverso dall’apprendimento emu/ativo, che consistenella semplice riproduzione (o emulazione) di una condotta dell’esperto da parte del novizio. Quest’ultimosi limita a ripetere l’azione (ciò che fa) del primo senza preoccuparsi del suo senso e senza comprendere laconnessione fra mezzi e scopi. L’apprendimento imitativo implica una condizione di maggiore socialità ed è alla ha- se della teoria dellamente e dell’apprendimento simbolico.

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24. L’insegnamento attivo Per insegnamento attivo s’intende l’offerta consapevole e intenzionale di conoscenze, pratiche e valori daparte di un esperto nei confronti di un novizio. Senza tale tipo di insegnamento, difficilmente il bambino dasolo riuscirebbe a diventare un adulto competente ed esperto. Siamo in presenza di un apprendimento collabora/mo, in quanto avviene nell’interazione fra esperto enovizio e sviluppa le competenze comunicative. Il bambino impara da solo, ma grazie alla mediazione diqualcun altro. I genitori si prefigurano nel presente il futuro del loro figlio, creandosi un sistema diaspettative che diventano effettive linee-guida per i loro interventi educativi. La famiglia prima e la scuola poi costituiscono gli ambienti elettivi dell’apprendimento culturale,caratterizzato da certi stili educativi, entro il quale il bambino ha modo di appropriarsi della sua cultura. 6.La cultura come apprendimento La cultura è appresa dal piccolo dell’uomo in modo graduale e progressivo. L’apprendimento della culturaha luogo solo nella e attraverso l’esperienza. È l’esperienza condivisa fra novizio ed esperto che consente alprimo di appropriarsi di credenze, significati, pratiche, valori, emozioni, ecc. del secondo. Per questa ragiones’impara sempre. In ogni circostanza. In modo esplicito o implicito, diretto o indiretto, formale o informale. L’apprendimento della cultura si fonda su dispositivi generali che si esprimono in attività globali comel’imitazione, la simulazione e l’insegnamento (implicito ed esplicito). Di conseguenza, l’apprendimento èuniversale in quanto avviene in ogni cultura.

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25. I modelli culturali Fra mente e cultura esiste un rapporto indissolubile e permanente di reciprocità. La cultura è prodotta dallementi umane che, a loro volta, sono modellate dalla cultura. Quest’ultima, infatti, va intesa come una reteflessibile e mobile di modelli di vita che consente di agire, capire, interpretare e spiegare la realtà. Gli esseriumani avvertono l’esigenza vitale di comprendere e spiegarsi le cose e gli accadimenti. Per questo motivosono nate la filosofia e le religioni. La cultura è la forma delle cose che le persone hanno in mente, i loromodi di spiegarle e interpretarle. I modelli culturali sono in grado di soddisfare questo bisogno psicologico. 1.Modelli culturali e mente umana Per sua natura, la cultura fornisce alle persone (e alla loro mente) un insieme di cornici interpretative perordinare e dare senso alla realtà nei vari domini dell’esperienza umana. Non si tratta di soluzioni definitive eimmodificabili, bensì di un repertorio di conoscenze e dispositivi mentali (cognitivi, affettivi e sociali) checonsentono ai soggetti di orientarsi nella ricerca di risposte sempre più appropriate. I modelli culturali vanno intesi come l’integrazione più o meno coerente di un insieme di tratti ecaratteristiche, operanti in una certa cultura, che consentono una rappresentazione appropriata della realtà,promuovono la comprensione dell’esperienza contingente e guidano l’azione nei vari contesti. Allo stessotempo sono modelli interni alla mente (poiché possediamo una mappa mentale per interpretare un certoevento o agire in una data circostanza) ed esterni alla mente (in quanto sono pubblici e istituiti nella società.

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26. Modelli culturali ed esperienza I modelli culturali si fondano su script, ossia su forme schematiche di conoscenza degli eventi, organizzatein modo sequenziale sul piano temporale e psicologico, in cui l’evento in esame è scomposto in unasuccessione di sottoeventi. I modelli culturali rimandano al concetto fondamentale di esperienza, intesa come la totalità degli eventi acui l’attore prende parte in modo consapevole. I modelli culturali si riferiscono di volta in volta, in modocontestualizzato, a particolari ambiti dell’esperienza. Talvolta, per la medesima situazione, vi sono piùmodelli alternativi che possono entrare in competizione fra loro. In questo caso uno di essi prevarrà suglialtri nella mente dei soggetti. Tale condizione consente di superare la concezione della cultura intesa comesistema globale e monolitico, statico e coerente, formato da elementi affini e fra loro congruenti, tipico di unautoma logico e razionale. I modelli culturali hanno un valore prescrittivo, poiché non si limitano a fornire dispositivi di comprensione,ma fungono anche da motore motivazionale, offrendo indicazioni sui valori e sulle condotte conseguenti.Peraltro sono modelli trasparenti, poiché le persone non sono consapevoli di possederli. Gli individuivedono il mondo attraverso le lenti interpretative della cultura senza vedere le lenti medesime ed è in talmodo che le cose ci appaiono naturali. Infine i modelli culturali sono efficaci, poiché non servono solo aspiegare il comportamento prodotto, ma anche alla sua costruzione.

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27. I modelli culturali non sono moduli mentali Nel loro insieme i modelli culturali consentono di affrontare la globalità delie situazioni che attraversanol’esistenza umana: dall’alimentazione agli affetti, dal lavoro al divertimento, dal potere all’altruismo e cosìvia. I modelli culturali vanno intesi e trattati come processi che in continuazione modificano valori eorientamenti morali, suscitano forme diverse del convivere sociale, generano simboli e significati, nuoveconoscenze e pratiche.

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28. I modelli culturali come prospettiva Ogni cultura è un punto di vista sulla realtà umana e fisica. In quanto tale, esso è parziale e limitato, anchese prende in considerazione la totalità dei fenomeni e si propone di fornirne una spiegazione soddisfacente eattendibile sulla base delle conoscenze in proprio possesso. Ma questa consapevolezza non è di tutti. In passato prevaleva una forma di oggettivismo, in quanto prevede che non solo sia possibile conoscere larealtà così come essa è, ma anche che tale conoscenza sia vera, completa e trasparente. Ciò implica che laconoscenza di un oggetto o di un evento sia indiscutibile e inalterabile, eguale per tutti, al di làdell’esperienza soggettiva. Siamo di fronte a una posizione teorica nota come naturalismo o realismo ingenuo. Per l’oggettivismoquindi un punto di vista parziale sulla realtà diventa il punto di vista unico e totale. Questa trasformazionepone fine a ogni forma di confronto, di dialogo, di pluralismo. A partire dagli anni Cinquanta del secoloscorso si è fatta strada la concezione del costruttivismo per interpretare i processi di conoscenza della realtà.Le persone conoscono e organizzano l’esperienza mediante l’elaborazione di costrutti mentali. Al pari degliscienziati, esse si servono di tali costrutti per anticipare le situazioni e sono pronte a modificarli se risultanoinefficienti. In tempi più recenti, sul costruttivismo si è innestato il costruzionismo socio-culturale, che ponein evidenza il primato delle pratisociali e conversazionalj come fonte di conoscenza e lilotoredell’evoluzione culturale. La costruzione della coìoscenza sarebbe così un processo corale e collettivo,condiviso dai partecipanti. Il costruzionismo socio-culturale focalizza l’attenzione sulla molteplicità dei modi in cui il mondo è e puòessere costruito. Tale costruzione sa- ebbe il risultato di una scelta e di una presa di posizione. I .a realtà ècostruita nel discorso, momento per momento, all’interno di azioni situate nel loro contesto. Comeconseguenza, il costruzionismo socio-culturale attribuisce grande importanza al linguaggio e allaconversazione, come dispositivi efficaci per cambiare e far evolvere il corso della cultura. Il modo in cui lepersone parlano di se stesse e del proprio mondo determina la natura della loro esperienza. Non esistono datioggettivi che non siano costruiti attraverso lo scambio. Sono le pratiche discorsive a tracciare l’orizzonte diriferimento di ciò che le persone considerano come reale. Il costruzionismo socio-culturale, rendendo assoluto il singolo punto di vista di ogni cultura, rischia disfociare in una sorta di relativismo radicale. Se ogni comportamento dipende solo dalle categorie e pratichedella propria cultura, non si comprende in che modo e con quali mezzi se ne possa uscire. Una posizione checonsente di superare i limiti sia dell’oggettivismo che del costruzionismo socio-culturale è data dal realismocritico, che intende la realtà in quanto mediata dal punto di vista di un osservatore il realismo critico sostieneche ogni conoscenza è mediata e filtrata dall’osservatore, che adotta un certo punto vista applicato aspecifici fenomeni ed eventi. L’oggettività va intesa non più in modo assoluto ma come intersoggettività(ossia come indipendenza dal singolo soggetto). La conoscenza di un oggetto (o evento) diventa, quindi, la sintesi fra un certo punto di vista (o prospettiva) el’oggetto (o evento) medesimo. Poiché l’adozione di una prospettiva è essenziale per l’attività del conoscere,le cose appaiono in modo differente a seconda della prospettiva da cui sono osservate.

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29. Aristotele e Confucio Nell’ambito della psicologia culturale, fra le diverse prospettive che caratterizzano la grande famiglia delleculture, particolare attenzione ha ricevuto la distinzione fra la prospettiva olistica e quella analitica dellaconoscenza. La prima affonda le sue radici nell’antica Cina di Confucio, la seconda nella Grecia di Platone eAristotele. La cultura cinese, fin dall’antichità, è stata caratterizzata dal senso di obbligazione reciproca edalla concezione collettiva dell’azione in funzione delle aspettative altrui. L’individuo è considerato non a séstante, ma come una parte inscindibile dell’organismo sociale, e anche l’agire umano è comprensibile solo inquanto flusso convergente delle relazioni sociali. Nell’antichità la civiltà cinese era assai più avanzata diquella greca sul piano tecnologico. La conoscenza non era destinata alla costruzione di teorie scientifiche emodelli astratti, bensì alla sua applicazione pratica. Per Confucio non esiste alcun tipo di conoscenza chenon possa essere tradotta in azione. La conoscenza è quindi l’avvio dell’azione e l’azione è il direttocompletamento della conoscenza. Al contrario, nell’antica Grecia prevaleva una prospettiva analitica di pensiero. Il potere conoscitivo eraattribuito all’individuo inteso come agente separato e distinto dall’organismo sociale. L’unità di analisi dellasocietà era l’individuo (e non il gruppo), e lo Stato ateniese si configurava come un insieme di cittadini,ciascuno dei quali aveva dei diritti inviolabili. I cittadini obbedivano alle leggi da loro stessi approvate. Ilconcetto di base era la libertà dell’individuo inteso come cittadino (più che suddito), protagonista sociale. Inquesto contesto, il confronto esplicito e il dibattito aperto nell’agorà costituivano la norma della vita socialedegli ateniesi. In quanto artefice iella propria vita, l’individuo si sente separato dalla natura, che rappresentauna realtà da governare, modificare e piegare ai propri scopi. Il mondo è una realtà da controllare mediantela propria azione. Da questa impostazione derivava l’esigenza di conoscere il mondo al di là dell’apparenza degli aspettisensoriali, alla ricerca dileggi astratte e universali. I greci si proponevano, pertanto, di costruire paradigmiteorici in grado di analizzare i fenomeni e di spiegare gli eventi attraverso processi di categorizzazione,regole di generalizzazione e modelli predittivi. In questo modo nacque la scienza come conoscenza oltre imeri dati sensoriali. In effetti, i greci compirono grandi passi in avanti nella fisica, nell’astronomia, nellalogica formale, nella geometria assiomatica e nella filosofia. Nella concezione olistica cinese l’attenzione è diretta al campo (contesto) inteso come totalità e allerelazioni fra un dato oggetto e il campo stesso. In tal modo è più facile comprendere le cause di un evento inquanto generate dalle forze del campo in gioco. La conoscenza si fonda allora sull’esperienza e sullapercezione sensoriale. Essa ha una natura dialettica, poiché pone l’accento sul cambiamento,sull’accoglimento degli aspetti contraddittori della realtà e sull’esigenza di seguire molte prospettive diverse,alla ricerca del percorso di mezzo per conciliare posizioni fra loro opposte. Al contrario, nella concezione analitica greca si ha la distinzione fra l’oggetto e il contesto. Vi è la tendenzaa studiare principalmente gli attributi dell’oggetto per assegnarlo a una categoria e la preferenza a usareregole astratte per spiegare e predire la condotta dell’oggetto. Le inferenze si fondano sulla logica formale,sul principio di non contraddizione e sulla costruzione di modelli governati da leggi astratte e universali.Come conseguenza, tale concezione implica la segmentazione del flusso degli eventi e degli oggetti incategorie discrete, ognuna delle quali è caratterizzata da proprietà specifiche e distintive. L’attenzioneprecipua sulle proprietà dell’oggetto rende difficile capire le cause dei fenomeni cui va incontro, poiché talicause sono identificate da proprietà intrinseche. La conoscenza deve andare oltre l’esperienza e i datisensoriali.

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30. Modelli culturali e credenze I modelli culturali vivono delle credenze che individui e comunità producono, condividono e modificano.Ogni cultura si configura, pertanto, come una costellazione di credenze, adeguatamente estesa per affrontarei vari aspetti della realtà fisica e sociale, relativamente stabile e convenzionalmente condivisa dallamaggioranza degli attori di una data comunità. Tale costellazione costituisce una mappa in grado di spiegare le varie situazioni ambientali in cui il soggettovive, in modo da fornirgli una chiave interpretativa per ogni fenomeno. Qualsiasi costellazione di credenze è articolata fondamentalmente in due sottogruppi distinti, fra loroeterogenei: quello delle credenze positive e quello delle credenze negative. Il primo è l’insieme dellecredenze che il soggetto adotta e ritiene vere, giuste ed efficaci; mentre il secondo è l’insieme delle credenzeche il soggetto decide di non adottare, poiché non le valuta vere o perché le ritiene irrilevanti, anche se sache altri soggetti potrebbero abbracciarle. In ogni sottosistema vi sono credenze centrali (o primarie) e credenze periferiche (o secondarie). Le primesono ritenute indispensabili per definire e proteggere la propria identità culturale, conseguire una posizionedi prestigio all’interno di un dato ordine sociale della propria società o evitare forme di emarginazione incaso di disimpegno. Queste credenze assurgono al valore di simbolo e, in quanto tali, sono al centrodell’attenzione da parte della maggioranza di una certa comunità, che le condivide, apprezza e, in caso diattacco, le difende con forza e convinzione. Parimenti, la loro infrazione è fortemente sanzionata e punita. Le credenze periferiche, invece, sono specifiche e aggiuntive più soggette a eccezioni e più facilmentemodificabili o sopprimibili. La loro infrazione, quindi, non suscita particolari reazioni. La costellazione di credenze si propone di rispondere agli eterni quesiti che gli esseri umani si pongono circala loro origine, il loro destino, ecc. Entra qui in azione il concetto di ortodossia, inteso come fondazionedella verità, accettabilità, validità, percorribilità e efficacia delle credenze proposte da una certa comunità. Al suo interno uno o più gruppi di persone si candidano a diventare il depositano delle credenze, poiché siassumono la responsabilità di farsene garanti. Basta pensare ai sacerdoti, ai bramani, ai giudici, agli ideologidi partito ecc. Tali gruppi svolgono diverse funzioni culturali di primaria importanza. Innanzitutto, sipropongono di stabilire e rafforzare la consistenza e la robustezza dottrinale dei sistema di credenze diriferimento, di giustificare in modo logico (razionale) o storico (documentale) la sua fondazione, nonché didifenderlo in caso di attacchi da parte di chi non vi aderisce. In secondo luogo, i gruppi depositari del sistema di credenze svolgono la funzione culturale di regia egoverno, poiché si prefiggono di rafforzare il grado di apprendimento, adesione e consenso dei partecipantialla dottrina, vigilando sull’applicazione delle credenze nelle loro pratiche quotidiane, stabilendo epresiedendo i rituali di rinnovamento e ravvivamento delle credenze, ecc. In terzo luogo, tali gruppi assumono la funzione culturale di controllo e sanzione. Essi, infatti, procedonoalla regolamentazione delle espressioni ideologiche dei partecipanti, intervengono e ammoniscono in caso didevianze eterodosse, puniscono le infrazioni e le rotture (i cosiddetti scismi ideologici). Pur essendo composta da sottogruppi diversi, fra loro disposti in modo gerarchico, la costellazione dellecredenze funziona quindi in modo solidale e globale secondo tre parametri distinti: a) grado di permeabilitàvs impermeabilità fra credenze positive e credenze negative; b) accentuazione vs riduzione della distanza fracredenze positive e credenze negative; c) grado di connessione forte vs debole fra credenze centrali ecredenze periferiche. In funzione di questi parametri si può osservare concretamente il livello di dogmatismoideologico che caratterizza le persone in una data comunità. Si ha una condizione di forte dogmatismo,

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quando: a) il sistema delle credenze positive e quello delle credenze negative restano fra loro impermeabili eimpenetrabili; b) vi è una grande distanza fra le credenze positive e quelle negative; c) le credenzeperiferiche dimostrano un’accentuata dipendenza dalle credenze centrali attraverso un processo diassimilazione e assorbimento delle prime nelle seconde. Il dogmatismo forte, presente soprattutto nellereligioni monoteistiche, è quindi caratterizzato da una concezione monolitica, granitica e assolutamenteincontrovertibile della realtà. È inevitabile che un certo grado di dogmatismo sia fisiologico e quindi presente in ogni cultura e persona, inquanto si fonda sulla loro identità e sulla loro adesione a un certo sistema di credenze. Esso, peraltro, rimanecompatibile con una condizione di tolleranza e pluralismo culturale. Al contrario, il dogmatismo forte, oltrea porre in evidenza un livello elevato di rigidità mentale, costituisce anche una premessa fondamentale perl’etnocentrismo, poiché implica l’assolutizzazione del proprio punto di vista con l’esclusione di quello deglialtri.

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31. Modelli culturali ed emozioni I modelli culturali non si limitano ad attribuire forma a idee, credenze, significati e categorie mentali dellepersone, ma partecipano in modo intrinseco alla definizione e manifestazione delle emozioni che, a primavista, potrebbero sembrare processi psicologici determinati maggiormente da fattori fisiologici. In verità, leemozioni sono generate dai significati e dai valori che un soggetto attribuisce a questo evento. Eventi chesoddisfano i Suoi scopi e desideri, attivano nel soggetto emozioni positive; eventi valutati come dannosi ominacciosi conducono invece a emozioni negative, mentre eventi inattesi suscitano sorpresa e stupore.   Ogni cultura ha elaborato il proprio lessico emotivo, inteso come l’insieme dei termini dizionariali edenciclopedici per comunicare le emozioni. Esistono variazioni culturali rilevanti per l’estensionequantitativa dei singoli repertori lessicali. L’estensione del lessico emotivo consente di esprimere e discriminare i propri stati affettivi.

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32. Modelli culturali e focalità emotiva I modelli culturali non solo attribuiscono forma alle categorie semantiche e lessicali delle emozioni madefiniscono anche la prospettiva emotiva con cui interpretare e reagire agli eventi. Non vi sono stimoli cheproducano in modo costante e universale una specifica emozione. Persone provenienti da culture differenti,avendo diverse valutazioni di un analogo evento, proveranno anche emozioni differenti. Il concetto di prospettiva emotiva sfocia, allora, in quello di focalità emotiva, intesa come disposizioneculturale a rispondere in modo elettivo con certe condotte emotive a fronte di specifici eventi. Taledisposizione comporta una particolare sensibilità emotiva a certe situazioni piuttosto che ad altre, conl’attivazione più tempestiva dell’attenzione e la comparsa più immediata delle reazioni. Essa esprime,inoltre, il grado di elaborazione cognitiva di certe emozioni da parte di una data cultura. La focalità emotiva specifica lo stile emotivo di una cultura, in quanto genera la tendenza e la disposizione aprivilegiare in modo elettivo nel tempo certe esperienze emotive e certe condotte affettive rispetto ad altre.Tale stile caratterizza in modo distintivo ogni cultura.

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33. Modelli culturali e manifestazione delle emozioni Oggi ha assunto maggiore peso la prospettiva situazionista, che attribuisce grande rilievo al contesto in cui siproducono e s’interpretano le diverse espressioni (facciali, vocali, motorie, ecc.) delle emozioni. Accanto adispositivi generali, tali espressioni sono soggette a una gestione locale e contingente rispetto a opportunità evincoli situazionali (per esempio a seconda del contesto, che può essere ufficiale, informale o familiare).Tale gestione locale, di conseguenza, varia da cultura a cultura, poiché ogni cultura ha elaborato unospecifico repertorio di manifestazioni per comunicare le emozioni. L’espressione delle emozioni, oltre che essere indotta da meccanismi biologici, è anche il risultato diopzioni: in ogni circostanza il soggetto si trova nella condizione di scegliere il livello di regolazione e dimanifestazione della propria esperienza emotiva in funzione dello stimolo, della situazione e dei modelliculturali di riferimento.

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34. Modelli culturali e rapporti sociali La conversazione. In essa convergono aspetti relazionali, sociali, informativi, affettivi, ecc. Nella fase diapertura di ogni conversazione si hanno il riconoscimento degli interlocutori e i saluti di avvio. Mentre nelleculture occidentali l’impiego dei titoli è piuttosto raro e le distinzioni asimmetriche sono notevolmenteattenuate, nelle comunità orientali le procedure di distribuzione dei turni, le forme di precedenza, le modalitàd’interpellazione (con l’uso dei titoli) e il ricorso a espressioni di deferenza (facendo ricorso agli onorifici)caratterizzano profondamente l’andamento delle conversazioni. Vi sono culture della parola (come quelle africane, sudamericane e latine) e culture del silenzio (come quellagiapponese, lappone, apache, paliyan, navajo, ecc.). Le prime sono caratterizzate da una rapida successionedei turni di parola e da pause brevi, in cui il silenzio è percepito come una minaccia e una mancanza dicooperazione nella gestione della conversazione. Le seconde, invece, sono contraddistinte da lunghe pausedi silenzio fra un turno e l’altro, segnale di riflessione e di ponderatezza. In queste ultime il silenzio è intesocome segnale di fiducia, d’intesa profonda, di armonia e confidenza. Parimenti, vi sono culture della distanza (come quella indiana, nordeuropea, ecc.) e culture della vicinanza(come quelle arabe, latine, sudamericane, ecc.). Le prime sono qualificate da una distanza interpersonalerilevante, riducendo le possibilità di contatto corporeo. Ogni contatto e riduzione dello spazio prossemicosono percepiti come forme d’intrusione e mancanza di rispetto. Nelle seconde, invece, la distanzainterpersonale è ridotta e le occasioni di contatto fisico aumentano. Secondo questi modelli culturali ladistanza è valutata in termini negativi come freddezza e ostilità. Sul posto di lavoro, i modelli culturali definiscono le organizzazioni produttive secondo linee diverse e fraloro molto distanti. Nelle culture occidentali la leadership è centrata prevalentemente sul dovere e spesso èdi tipo partecipativo; al contrario, nelle culture orientali prevale una leadership paternalistica e autoritaria. Anche la gestione dei conflitti segue linee profondamente diverse in funzione dei modelli culturali diriferimento. Nelle culture occidentali la negoziazione avviene secondo modalità abbastanza dirette edesplicite; per contro, nella cultura cinese prevalgono procedure indirette e implicite. I giapponesi in generesono molto più pronti al compromesso rispetto agli americani, che puntano maggiormente alla vittoria.

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35. La mente monoculturale La mente monoculturale è quella posseduta oggi dalla grande maggioranza degli umani. Si parla sempre piùspesso di «guerre di civiltà», «guerre di religione», «scontri fra culture», «nuovo razzismo» e così via. Gliattriti culturali, dagli attentati del fondamentalismo alle «guerre per la democrazia e la libertà», sono sottogli occhi di tutti. La mente monoculturale non è più sufficiente né è più in grado di gestire la complessità dei rapportiinterculturali che oggi animano la scena mondiale. Questo tipo di mentalità poteva funzionare in passato,quando i flussi migratori e le occasioni di contatto fra culture diverse erano esigui. Perché siamo così diversi? Le diversità culturali non sono generate dall’isolamento dei vari gruppi umani, bensì dalla loro interazione edai loro scambi. Lo scambio, infatti, è un potente fattore di differenziazione poiché è alla base del confrontoculturale. Il confronto diventa, quindi, il dispositivo fondamentale per operare le opportune distinzioni fra le culture,per attribuire valori positivi alla propria cultura di appartenenza e per differenziarsi dalle altre. Su questabase s’innesta anche il meccanismo della competizione culturale nella distribuzione e gestione delle risorsemateriali e immateriali, nella capacità di creare adesione e appartenenza, d’influenzare gli altri in termini discelte economiche, di valori, di pratiche sociali e così via. La logica comparativa e relazionale sottesa alconfronto culturale comporta un processo di differenziazione culturale, ossia di definizione delle differenzefra le varie comunità culturali. La grandissima famiglia delle culture oggi esistenti è la testimonianza più viva, forte ed entusiasmante dellaenorme creatività umana, intesa come capacità di trovare soluzioni innovative per la Propria esistenza. Ogni cultura costituisce un repertorio unico di risposte al proprio habitat, e indica la sintesi degliapprendimenti e delle esperienze fatte a questo riguardo, nel rispetto dei vincoli ecologici. Per questo motivocerte forme di sfruttamento del territorio importate da culture del mondo occidentale stravolgono e romponoequilibri ambientali millenari se esportate presso popolazioni del mondo maggioritario. Le diversità culturali sono legittime: tuttavia non possono essere rese assolute. In sintesi, occorre«relativizzare le identità senza assolutizzare le differenze».

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36. Identità e confronto culturale L’identità «è ciò che io sono» a vari livelli (individuale, sociale, istituzionale, ecc.). L’identità culturale è l’esito imprevedibile di un processo «co-costruttivo», non interattivo. Oggi, in unmondo caratterizzato da una costante attività di formazione, deformazione e riformazione, tale condizionerisulta un vincolo. Siamo ciò che siamo in un I venire incessante. In particolare, l’identità culturale è lospazio fra il progetto autonomo e la proposta di essere in un certo modo (dati i vincoli e le opportunitàambientali) e il riconoscimento ditale progetto da parte di altri. Questo riconoscimento dialettico, di stampohegeliano, può essere positivo (accettazione della proposta proveniente dall’altro) o negativo (rifiuto ditaleproposta). In ogni caso l’identità è il risultato del gioco fra chi penso e scelgo di essere e chi gli altri diconoche io sia. Di conseguenza, l’identità culturale ha un duplice fondamento: a) idiomorfo, ossia basatosull’insieme di significati e valori che in modo autonomo un gruppo umano ha elaborato e in cui crede; b)posizionale, ossia basato sul fatto che l’identità del proprio gruppo ha sempre una natura relazionale perconfronto e in opposizione all’identità di altri gruppi umani. Il primo fondamento è autoriferito e concernegli aspetti in positivo dell’identità culturale («ecco come sono »), mentre il secondo è eteroriferito e riguardagli aspetti in negativo di tale identità («ecco come non sono»). L’identità personale e quella culturale,pertanto, si costruiscono nell’intreccio dei rapporti con gli altri. L’identità culturale presenta inevitabilmente aree di ambiguità ed equivocità. E una realtà mobile, daiconfini sfumati.

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37. Il fondamentalismo culturale L’identità culturale diventa il concetto cardine di alcune prospettive preoccupanti, oggi in fase di rilancio. Indiverse parti del mondo si assiste alla tentazione di assolutizzare la propria identità culturale. Essa è assuntacome il punto di vista unico ed esclusivo con cui guardare, capire e gestire la realtà. Diventa fonte diconoscenza oggettiva e sede della verità. Il fondamentalismo culturale avverte in modo urgente l’esigenza di stabilire confini netti, robusti e precisitra le culture, nonché di giungere a una loro discriminazione. Il fondamentalismo culturale, in quantomanifestazione massima della mente monoculturale, contiene in sé una dimensione sia difensiva cheoffensiva. Innanzitutto, avverte il bisogno di difendere il proprio spazio culturale (territorio) dalla presenzadi persone di altre culture. Per questo motivo si parla di confini, dazi, dogane, ecc. Si costruiscono muri.S’instaurano rigide forme di controllo alle frontiere. A livello offensivo, il fondamentalismo culturale sentedentro di sé la missione di convertire le altre culture al proprio sistema di idee e valori. I valori, le pratiche e gli ideali morali sono trattati alla stregua dei beni materiali, come il vino o il petrolio,soggetti alla legge della domanda-offerta. Sul versante offensivo, il fondamentalismo culturale conduce inevitabilmente ad attacchi e aggressionispesso in pieno contrasto con i valori che vuole esportare.

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38. Il vecchio e il nuovo razzismo Il fondamentalismo culturale conduce inevitabilmente alla xenofobia e al razzismo come rifiuto e ostilità neiconfronti delle culture diverse dalla propria. E un atteggiamento mentale che attraversa l’epoca modernaspesso in modo tragico, divenendo fonte di guerre e odio. Il concetto di razza oggi appare più come un costrutto ideologico e politico che genetico e biologico. E un«prodotto culturale» che può avere rilevanti risvolti sia teorici che pratici. Frequentemente, infatti, l’idea dirazza sostiene la convinzione della verità della propria concezione del mondo e della certezza che la propriacondotta esistenziale sia l’unica accettabile o, quanto meno, la migliore possibile. Da qui derival’etnocentrismo, che consiste nell’assolutizzare il proprio punto di vista, nel ritenerlo oggettivo, nelconsiderarlo come naturale punto di riferimento. In quanto tale, l’etnocentrismo favorisce, da un lato, isentimenti di coesione e devozione per il proprio gruppo e, dall’altro, il senso di superiorità rispetto agli altrigruppi. il razzismo è un atteggiamento di superiorità e autoriferimento esclusivo, associato al sentimento dixenofobia e di rifiuto di soggetti appartenenti ad altre razze, spesso tradotto in comportamenti volti alla lorodiscriminazione e alloro sfruttamento. Il concetto di «razza pura» appare oggi un’assurdità genetica, poiché «la purezza della razza è inesistente,impossibile e totalmente indesiderabile». Negli ultimi decenni il razzismo ha cambiato corso. Non si appoggia più su basi genetiche ma culturali. E unrazzismo senza il concetto di «razza». Infatti, il fondamentalismo nutre in sé la premessa del razzismofacendo appello al diritto alla diversità, che diventa così il diritto primario alla difesa della propria unicità,storicamente ondata e omogenea.

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39. La psicologia del confine culturale L’esistenza di diverse culture rimanda allo studio del confine culturale come concetto chiave percomprendere il fondamentalismo e i rapporti fra le stesse culture. Il confine svolge la duplice funzionepsicologica di racchiudere (ossia, di «de-finire») una certa cultura e di distinguerla dalle altre. Chi è oltre ilconfine, è un estraneo. È lo straniero, ossia chi è al di là delle differenze consentite all’interno di una certacultura. Tutte le culture, pertanto, sono straniere. Lo straniero può diventare oggetto di attrazione o di rifiuto.In quest’ultimo caso, lo straniero diventa il nemico da combattere e cacciare via. Il concetto psicologico di confine culturale implica, inoltre, il vincolo di fedeltà. Se un individuo èall’interno di un certo confine, non può non aderire alle credenze, ai valori e alla prassi della culturapraticata entro quei confini. E un patto di alleanza e appartenenza fra sé e la comunità di riferimento. Suquesta base il confine persiste anche se si entra nello spazio di un’altra cultura. Le distinzioni culturali,essendo anche confini interiori, non dipendono dall’assenza di mobilità e di scambi interculturali. Nelfondamentalismo il confine si trasforma in barriera invalicabile e può essere impiegato per ribadire l’unicitàe l’esclusività della propria cultura.

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40. L’assolutismo morale Il fondamentalismo culturale corre il probabile rischio di condurre a forme di assolutismo morale. Secondo questa impostazione, la moralità è un ambito non negoziabile, basato sulla ragione umana e su unalegge ritenuta naturale, su ideali assoluti e su principi espliciti noti a tutti (come, per esempio, «nonuccidere»), dotato di una forza di coercizione valida per chiunque, in tutti i luoghi, in ogni tempo,indipendentemente dalle differenze reali presenti fra le persone o le culture. Tale concezione indica ciò che è moralmente desiderabile alla luce della ragione o di una fonte divina,indipendentemente dal grado di consenso osservato in modo fattuale e storico. L’assolutismo morale non è esente dalla distorsione dell’etnocentrismo morale, che contiene in sé i germidell’imperialismo morale. Esso presuppone, infatti, l’assolutizzazione di un certo punto di vista, sia purequello dominante in un certo periodo storico in una data cultura. Sfocia quindi nella definizione etnocentricadi una presunta legge naturale che, in quanto tale e in quanto manifestazione di una «rivelazione naturale» (odivina), è imposta a tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro sistema culturale di credenze, valori epratiche. Entra in gioco un atteggiamento di presunzione universalistica che può condurre a forme difanatismo e dogmatismo etico, nonché alla forzata conversione delle persone di altre culture al proprio credomorale. Né la filosofia né la religione né la scienza sono in grado di definire un sistema morale immutabile e validoper tutta l’umanità. Soprattutto le religioni con una forte impronta dogmatica contengono le premesse delfondamentalismo morale, poiché sono inclini a proclamare la loro superiorità e unicità e sono attivenell’azione di proselitismo e conversione degli altri. È verosimile che l’assolutismo morale conduca a forme d’intolleranza, alimentate da un atteggiamento disuperiorità per l’adozione di principi morali ritenuti in modo presuntuoso più nobili e giusti. Diconseguenza, l’assolutismo morale spesso favorisce la produzione di stereotipi e pregiudizi etnici negativinei confronti di culture che non condividono il medesimo codice morale. Il fondamentalismo morale favorisce la comparsa di condotte violente a livello fisico e psicologico,giustificate in nome del credo morale assoluto. Siamo di fronte al tentativo di sopraffazione di una cultura daparte di un’altra.

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41. Il relativismo culturale Oltre che nel fondamentalismo, la mente monoculturale si esprime a livello individuale e istituzionale anchenel relativismo culturale. È una prospettiva assunta già da Boas, padre dell’antropologia nordamericana. Ogni cultura rappresenterebbe dunque una totalità originale da comprendersi nella sua singolarità. Boaspone le premesse del relativismo culturale. Oltre che dagli allievi di Boas, il relativismo culturale è stato proseguito e approfondito, fra altri indirizzi,anche dal costruzionismo culturale. In base a questa prospettiva, le persone costruiscono modelli cognitiviper conoscere il mondo e gli altri. Mentre la relatività culturale consiste nella semplice esplorazione e constatazione della presenza didifferenze culturali senza valutare il loro status, il relativismo attribuisce loro un valore normativo. Per larelatività la differenza costituisce un fatto, per il relativismo rappresenta una norma. Si passa in tal modo daun’asserzione descrittiva a una prescrittiva, secondo la quale le persone dovrebbero rispettare ogni tipo didifferenza. Nessun essere umano può valutare un suo simile.

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42. Il relativismo morale Il relativismo così inteso si declina in differenti versioni: ideologico, percettivo, epistemologico, religioso ecosì via. In particolare, al centro dell’attenzione degli studiosi si è imposto il relativismo morale. Il bene e ilmale non hanno proprietà oggettive e universali, ma sono l’esito di un processo di convenzionalizzazione(un atto è morale se risponde agli standard dominanti nella cultura di riferimento; convenzionalismo). È un problema di sensibilità personale, di gusto e di emozioni morali come la colpa e la vergogna. Lediversità culturali, infatti, evidenziano molte impostazioni morali fra loro divergenti. Ciò che è proibito econsiderato un’atrocità morale in una cultura è permesso in un’altra e viceversa.

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43. Limiti del relativismo culturale In teoria, il relativismo culturale costituisce un fattore di tolleranza, poiché lascia che ognuno percorra lapropria strada culturale. Tuttavia, anch’esso presenta dei limiti. Innanzitutto, nella ricerca e difesa del puntodi vista del nativo si rischia di realizzare etnografie opache, con la conseguente impossibilità di fareconfronti fra diverse culture. Una data comunità diventa una realtà chiusa in se stessa. In secondo luogo, la versione radicale del relativismo culturale implica il rischio del panculturalismo, poichéritiene che tutti gli aspetti della vita umana, compresi quelli biologici, siano culturalmente vincolati.Secondo questo determinismo culturale, gli esseri umani finirebbero per essere soltanto dei «prodotticulturali», anziché dei produttori e protagonisti di cultura. In terzo luogo, il relativismo può diventare l’origine di nuove forme di razzismo. L’esaltazione dellediversità richiede la difesa della propria unicità, con la conseguente espulsione di tutti i diversi in quantofonte di contaminazione e deterioramento. 5.Conseguenze della mente monoculturale Che sia fondamentalista o relativista, la mente monoculturale è una mente al singolare. La mentemonoculturale tende a concepire ogni singola esperienza come la globalità dell’esperienza e diventaprigioniera della cultura in cui vive in termini difensivi e offensivi. E una mente divisa, separata dagli altri edalla realtà.

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44. Dal multiculturalismo al multiculturale Per gli esseri umani del XXI secolo non è più sufficiente una mente monoculturale. È utile fare riferimentoalla multiculturalità non solo come dato di fatto ma come processo di convivenza pacifica tra differenticomunità culturali. Il multiculturalismo è un modello filosofico e sociologico che si propone di esaminare le modalità e iprocessi grazie ai quali far coabitare culture fra loro differenti, evitando fenomeni di sopraffazione. Lo scopoè la gestione di più culture diverse. Il multiculturale s’interessa ai dispositivi e percorsi mentali checonsentono alla medesima persona di vivere bene in culture diverse, adattandosi attivamente — di volta involta — a una singola e specifica cultura. Questo risultato può essere perseguito principalmente attraverso due strade: l’ibridazione (o creolizzazione)e la costruzione di una vera e propria mente multiculturale. Innanzitutto, affronteremo in modo sintetico ilprimo aspetto, per poi esaminare in maniera più estesa il secondo.

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45. Creolizzazione e ibridazione Oggi è abbastanza frequente sentir parlare di «creolizzazione», «meticciamento» e «ibridazione». Si tratta ditermini diversi che rinviano, sostanzialmente, a un concetto comune. Il fatto che nel corso del tempo leculture evo!vano e vengano in contatto fra loro, costituisce una condizione rilevante per la lorocontaminazione. In questo modo le culture tendono a ibridarsi e ad assumere nuove configurazioni. Per creolizzazione culturale (o ibridazione) s’intende quindi questo processo di contaminazione di aspetti eforme di vita provenienti da culture diverse, a volte anche molto distanti fra loro. Da questo punto di vistanon esiste una cultura pura e vergine, incontaminata e protetta da un isolamento totale. Per la psicologiadella cultura la creolizzazione, tipicamente umana, più che sul contagio e sull’emulazione, si fonda sullacapacità d’imitazione degli esseri umani. La creolizzazione si basa sulla curiosità, sul desiderio diesplorazione, sulla capacità di sperimentazione e d’innovazione delle persone. E l’esigenza di provatepercorsi diversi e alternativi. Occorre ribadire il valore dell’ibridazione culturale e del meticciamento,poiché siamo tutti culturalmente contaminati e ibridi.

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46. In che modo si costruisce una mente multiculturale Lo studio psicologico dei processi sottesi alla costruzione di una mente multiculturale è molto recente e siriferisce a un approccio noto come situazionismo dinamico. Questo approccio parte dall’assunto che, sulpiano psicologico, la cultura non costituisce una forma mentale unitaria né una struttura pienamenteinconsapevole e implicita, ma è una rete flessibile di conoscenze, categorie, valori e pratiche. A livellosoggettivo, la cultura non è dunque un blocco monolitico e omogeneo, in grado d’influenzare e regolare inogni istante e in modo uniforme i processi cognitivi, emotivi e sociali degli individui. La cultura è unacostellazione dinamica di schemi e modelli mentali che sono prodotti, condivisi, riprodotti e modificatiall’interno di una comunità di partecipanti. Questi modelli sono applicati in modo selettivo alle diversesituazioni, avendo a disposizione un certo numero di gradi di libertà che consentono la loro modulazione. In base a questa premessa generale, il situazionismo dinamico prevede che in qualsiasi circostanza la culturasia appresa di continuo dai partecipanti. L’apprendimento culturale è intrinseco alla nostra esperienza,poiché da quanto facciamo e viviamo possiamo trarre informazioni utili ad azioni successive assimilabilialla medesima classe. L’apprendimento culturale va inteso come una modificazione relativamente duratura(sia pure soggetta al cambiamento nel tempo) del comportamento a seguito di un’esperienza, di solitoripetuta più volte nel tempo. Fra le varie forme di apprendimento, è utile distinguere quello individuale (capacità di acquisire nuoveinformazioni a seguito di un’esperienza personale con l’ambiente) da quello sociale (capacità di acquisirenuove conoscenze e pratiche grazie all’interazione con i consimili). In generale l’apprendimento socialerisulta più vantaggioso di quello individuale, poiché il primo risulta più affidabile e il secondo più soggetto aerrori. Al contrario, in periodi e ambienti culturali variabili, dove l’apprendimento sociale perdeattèndibilità, si ha una maggiore rilevanza dell’apprendimento individuale per trovare soluzioni più adatte aicambiamenti dell’ambiente. L’apprendimento culturale, quindi, ha una base esperienziale, poiché avvienenel corso delle esperienze più o meno formalizzate  che attraversano la vita dei soggetti. Il situazionismo dinamico ha approfondito lo studio di soggetti che vivono in ambienti dove sonocompresenti due culture fra loro anche molto distanti. I soggetti sono in grado di scegliere quale percorso culturale seguire, dimostrando così di adattarsiattivamente alle aspettative sociali e relazionali in corso. La transizione dalle forme di una cultura a quelle diun’altra è governata dall’accessibilità mentale degli schemi e modelli per capire e interpretare una certasituazione e per comportarsi di conseguenza in modo coerente e appropriato. In generale, quanto più unacerta categoria è facilmente accessibile, tanto più essa serve a spiegare e a rendere intelligibile un evento. Nella mente multiculturale i sistemi delle credenze e dei significati, così come la focalità emotiva e lacompetenza comunicativa non sono necessariamente mescolati né integrati, ma tendono a essere separati fraloro. In particolare, l’appropriazione dei modelli di una seconda cultura non sostituisce quelli della culturaprecedente. Di conseguenza, la mente umana può comprendere e appropriarsi di diversi sistemi culturali dicredenze, valori e pratiche. Questi modelli antitetici, pur essendo presenti contemporaneamente nella mente del soggetto, non possonotuttavia guidarne allo stesso tempo la condotta. Il principio è quello di applicare, di volta in volta, i modellipiù consoni a un certo contesto culturale. Attualmente, si stima che la mente multiculturale sia una realtàattiva solo presso una minoranza della popolazione mondiale.

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47. Mente multiculturale e apertura mentale La mente multiculturale è una mente versatile, di volta in volta capace di declinarsi efficacemente inriferimento a uno specifico ambiente culturale. Ha in suo possesso una pluralità di codici grazie ai qualicapire e interpretare le situazioni più disparate. Parallelamente, la mente multiculturale diventa una menteaperta e complessa, capace di far fronte alla gamma di stili e modelli di vita che le diverse culture hannoelaborato e continuano a elaborare. La mente multiculturale, quindi, è una mente al plurale. Sa parlare in molti modi e sa efficacementeinteragire con persone provenienti da culture differenti. Sa che non vi è un unico modello per vivere ma chevi sono molti modi diversi a seconda di vincoli e opportunità dell’ambiente. La mente multiculturale è unamente interculturale, poiché è in grado di stabilire le opportune connessioni fra culture differenti e disponedi un maggior numero di strumenti culturali per adattarsi attivamente alla realtà. Per la mente multiculturale i flussi migratori non costituiscono una minaccia ma un’opportunità peresplorare altre traiettorie di vita e aumentare i gradi di libertà, che permettano di declinare più ampiamentela propria esistenza. Avendo a disposizione differenti punti di vista, aumenta la comprensione dei fenomeni,grazie al confronto tra una prospettiva e l’altra. Di conseguenza, anche la qualità della vita migliora, poichépuò riferirsi a diversi modi di vivere e far fronte all’ambiente. Il confronto con l’altro non è necessariamente pericoloso. Può essere l’occasione per un arricchimentoreciproco.

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48. Mente multiculturale e psicologia della frontiera Il concetto di mente multiculturale rinvia a quello di frontiera come luogo in cui due identità diverse si«fanno fronte». La frontiera è uno spazio neutro che, nel momento stesso in cui separa. È la soglia attraversola quale, se si desidera, si può entrare in contatto con l’altro. La mente multiculturale è lo spazio psicologicodella frontiera dove s’incontrano i modelli di due o più culture differenti, implicando la possibilità concretadi legittimità e coesistenza di due prospettive differenti d’intendere e spiegare il mondo. Significa, altresì,una situazione di scambio, dove diventano più probabili e facili i processi d’importazione ed esportazione dimodelli culturali di vita. Per questo motivo, la mente multiculturale non è statica ma dinamica e mobile. È in continuo divenire, poiché le frontiere culturali hanno una natura contingente e sono in continuomovimento. La mente multiculturale vive nello scambio e nell’interazione, non in condizioni d’isolamento,presupponendo quindi il superamento del separatismo culturale.

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49. Mente multiculturale e tolleranza La mente multiculturale è una mente tollerante nelle relazioni con persone di culture diverse. Tolleranza èun concetto dotato di diversi significati. In primo luogo, può essere concepita come accettazione rassegnatadella diversità per amor di pace, oppure come benevola noncuranza e indifferenza nei confronti del diverso.In secondo luogo, la tolleranza può essere intesa come capacità di riconoscere che gli altri hanno diritti cheesercitano in modi diversi da come noi li applichiamo. In terzo luogo, la tolleranza consiste nellapredisposizione all’apertura verso gli altri, nel rispetto dei loro stili di vita e nella disponibilità a imparare daloro. La mente multiculturale è tollerante proprio nel senso di questo terzo significato, in quanto indica ladisponibilità dei soggetti ad accettare la diversità come risorsa. Per la mente multiculturale la tolleranza si declina attraverso il principio della convivenza. Conviveresignifica rendere la vita reciprocamente accettabile, stabilire reali condizioni di comprensione e scambio frasoggetti di culture diverse. L’intolleranza consiste nella mancanza di rispetto e riconoscimento dell’altro,come se non esistesse.

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50. Mente multiculturale e pluralismo morale Un ambito molto dibattuto, fonte di dispute e spesso di aspri conflitti, è quello morale, poiché va a toccare leradici di quello che siamo e che ci proponiamo di essere. Sia per le diverse prospettive morali sia per l’affermazione dei diritti umani, lo spazio d’azione,apparentemente contraddittorio in quanto costretto fra le esigenze dell’eguaglianza e il rispetto dellediversità e libertà, può essere gestito al meglio da coloro che hanno una mente multiculturale.

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51. Educare alla mente multiculturale La mente multiculturale non è un dono della natura, ma un lungo e complesso processo di formazione che vacostruito seguendo modelli educativi più o meno espliciti. Oggi la missione della scuola nel preparare icittadini di domani dovrebbe consistere nell’educare i bambini italiani anche ad altre culture, ovvero adavere una mente multiculturale.

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52. Processi psicologici sottesi alla costruzione della mente

multiculturale La mente multiculturale è un progetto educativo che implica una completa attenzione alle condizioni dellavita quotidiana, nella prospettiva formativa rivolta ai futuri cittadini del XXI secolo. Innanzitutto, è in gioco l’apprendimento di lingue di altre culture. Questo apprendimento simbolico consentedi appropriarsi del mondo dei simboli, in base ai quali si costruiscono le reti semantiche e le teorieesplicative degli accadimenti e della realtà. L’apprendimento della lingua va infatti completato con l’appropriazione del sistema dei simboli, checomprende gli aspetti della comunicazione non verbale, i simboli istituzionali, i simboli religiosi, il sistemadelle credenze, ecc. In secondo luogo, educare una mente multiculturale implica la capacità di appropriarsidella costellazione di valori, principi morali, norme e standard di una certa cultura. È in giocol’apprendimento emotivo e morale, che consente ai novizio di muoversi in aree sensibili, complesse e spessoimplicite di una data comunità culturale. In terzo luogo, educare una mente multiculturale implica lanecessità di appropriarsi delle pratiche della vita quotidiana in uso presso una certa cultura, dai saluti aigiochi individuali o di gruppo, dal mangiare alle varie forme di competizione o collaborazione. E ilcosiddetto apprendimento pragmatico, che consente di segmentare il flusso dell’esperienza, di disporre dischemi di riferimento in modo flessibile e fluente, di organizzare le varie attività e priorità. L’acquisizione di una mente multiculturale anche da parte dei figli d’immigrati è in grado sia di consentire ilsenso di appartenenza alla nuova comunità culturale, sia di evitare sensi di colpa per aver tradito la cultura diorigine. Domani saranno costoro a poter dare origine a nuove forme culturali, più fluide e composite.

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Indice

1. Flussi migratori a partire dalla fine del ventesimo secolo 1

2. La cultura dall’esterno e dall’interno 2

3. La cultura vista dall’esterno 3

4. La cultura vista dall’interno 4

5. La doppia natura della cultura 5

6. La cultura come eredità e adattatività 6

7. Cultura come mediazione 8

8. Cultura come partecipazione 9

9. Come gli uomini sono diventati uomini 10

10. Coevoluzione fra gene e ambiente 11

11. Premesse remote della cultura 12

12. L’avvento dell’agricoltura 13

13. La nascita del linguaggio 14

14. La teoria della mente 16

15. Evoluzione della cultura 17

16. Accumulazione e innovazione 18

17. L’immaturità psicoologica del neonato 19

18. L’interdipendenza gene-ambiente 20

19. La competenza sociale del bambino piccolo 21

20. La svolta dei nove mesi e la comparsa dell’intenzionalità 23

21. L’acquisizione del linguaggio e della teoria della mente 24

22. In che modo si costruisce la mente culturale 26

23. L’apprendimento imitativo 27

24. L’insegnamento attivo 28

25. I modelli culturali 29

26. Modelli culturali ed esperienza 30

27. I modelli culturali non sono moduli mentali 31

28. I modelli culturali come prospettiva 32

29. Aristotele e Confucio 33

30. Modelli culturali e credenze 35

31. Modelli culturali ed emozioni 37

32. Modelli culturali e focalità emotiva 38

33. Modelli culturali e manifestazione delle emozioni 39

34. Modelli culturali e rapporti sociali 40

35. La mente monoculturale 41

36. Identità e confronto culturale 42

37. Il fondamentalismo culturale 43

38. Il vecchio e il nuovo razzismo 44

39. La psicologia del confine culturale 45

40. L’assolutismo morale 46

41. Il relativismo culturale 47

42. Il relativismo morale 48

43. Limiti del relativismo culturale 49

44. Dal multiculturalismo al multiculturale 50

45. Creolizzazione e ibridazione 51

46. In che modo si costruisce una mente multiculturale 52

47. Mente multiculturale e apertura mentale 53

48. Mente multiculturale e psicologia della frontiera 54

49. Mente multiculturale e tolleranza 55

50. Mente multiculturale e pluralismo morale 56

51. Educare alla mente multiculturale 57

52. Processi psicologici sottesi alla costruzione della mente multiculturale 58