la nuova informazione cardiologica · silvia g. priori,carina blomstro¨ m-lundqvist et al.2015 esc...

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LA NUOVA INFORMAZIONE CARDIOLOGICA Editor: prof. Paolo Rossi Direttore Responsabile: dott. Eraldo Occhetta ([email protected]) Direttore Scientifico: dott. Gabriele Dell’Era ([email protected]) Progetto grafico e realizzazione: Studio27 Progetto Editoriale, Novara – www.studio27snc.it Periodico di informazione cardiologica – Anno 35° – Dicembre Foglio elettronico 3 a generazione – n°62 [email protected] www.nuovainformazionecardiologica.it SOMMARIO Imaging in cardiologia 2 Tachicardia ventricolare sostenuta monomorfa in cuore strutturalmente sano (Dott.ssa Angelica Fundaliotis) Editoriale 6 La prevenzione della Morte Improvvisa: le nuove Linee Guida 2015 della Società Europea di Cardiologia (ESC) (Dott. Eraldo Occhetta ) Leading article 8 Sequenziamento di 100 geni candidate in giovani vittime di morte cardiaca improvvisa con anomalie strutturali del cuore (Dott. Gianluca Quirino) Focus on… 17 Morte improvvisa (dott. Gabriele Dell'Era) Medicina e morale 20 L'anima umana e l'anima del mondo nelle religioni primitive (prof. Paolo Rossi)

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LA NUOVA INFORMAZIONECARDIOLOGICA

Editor: prof. Paolo RossiDirettore Responsabile: dott. Eraldo Occhetta ([email protected])Direttore Scientifico: dott. Gabriele Dell’Era ([email protected])Progetto grafico e realizzazione: Studio27 Progetto Editoriale, Novara – www.studio27snc.it

Periodico di informazione cardiologica – Anno 35° – Dicembre

Foglio elettronico 3a generazione – n°62

contatti@nuovainformazionecardiologica.itwww.nuovainformazionecardiologica.it

SOMMARIOImaging in cardiologia 2

Tachicardia ventricolare sostenuta monomorfa in cuore strutturalmente sano (Dott.ssa Angelica Fundaliotis)

Editoriale 6

La prevenzione della Morte Improvvisa: le nuove Linee Guida 2015 della Società Europea di Cardiologia (ESC) (Dott. Eraldo Occhetta )

Leading article 8

Sequenziamento di 100 geni candidate in giovani vittime di morte cardiaca improvvisa con anomalie strutturali del cuore (Dott. Gianluca Quirino)

Focus on… 17

Morte improvvisa(dott. Gabriele Dell'Era)

Medicina e morale 20

L'anima umana e l'anima del mondo nelle religioni primitive(prof. Paolo Rossi)

2

Tachicardia ventricolare sostenuta monomorfa

in cuore strutturalmente sano

Dott.ssa Angelica Fundaliotis

Unità di Elettrofisiologia 2, Cliniche Humanitas Gavazzeni, Bergamo

[email protected]

IMAGING in cardiologia

INTRODUZIONENegli ultimi venti anni la mortalità per malattie cardiovascolari è diminuita per le misure preven-tive adottate per ridurre il burden della cardio-patia ischemica e lo scompenso cardiaco. Nono-stante questi risultati incoraggianti, le patologie cardiovascolari sono ancora responsabili di 17 milioni di decessi annuali nel mondo; approssi-mativamente il 25% di queste è dovuto alla mor-te cardiaca improvvisa (MCI) (1). Il rischio di MCI è maggiore negli uomini che nelle donne; nei gio-vani individui l'incidenza stimata è del 0.46-0.7 eventi per 100.000 persone-anno (2-3). La MCI nei soggetti giovani è dovuta prevalentemente a canalopatie, cardiomiopatie, miocarditi e so-stanze d'abuso, laddove le cause responsabili di MCI nei soggetti adulti, sono riconducibile per lo più alla cardiopatia ischemica e valvolare, ed allo scompenso cardiaco.

CASO CLINICOUomo di 43 anni, fumatore, in sovrappeso e con familiarità per cardiopatia ischemica. Noto per episodi di fibrillazione atriale da prima paros-

sistici e successivamente persistenti trattati in alcuni casi anche con cardioversione elettrica esterna, in terapia cronica con beta-bloccante e successivamente con propafenone. Nei con-trolli ecocardiografici evidenza di ventricolo si-nistro di normali dimensioni e funzione sistoli-ca ai limiti inferiori in corso di FA, atrio sinistro normale, sezioni destre dilatate con trabecola-tura sospetta a livello dell'apice del ventricolo destro. Veniva ricoverato per episodio di tachi-cardia ventricolare sostenuta (Figura 1), appa-rentemente ad origine dal tratto di di efflusso del ventricolo destro in paziente sintomatico per dolore retrosternale e dispnea. In tale oc-casione in seguito ad infusione endovenosa di amiodarone si assisteva alla cessazione della ta-chicardia ventricolare, ma insorgeva fibrillazio-ne atriale a risposta ventricolare media (Figura 2), in assenza di segni ec-grafici riconducibili a sindromi genetiche (QT lungo/corto; Brugada; ripolarizzazione precoce).Durante la degenza il paziente veniva sotto-posto ad approfondimento diagnostico che escludeva in primis l'origine ischemica della tachicardia ventricolare, mediante esecuzione di studio coronarografico. L'ecocardiogramma

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(Figura 3) escludeva una cardiopatia strutturale risultando sostanzialmente invariato rispetto ai controlli precedenti, fatta eccezione per un'aci-nesia della parete libera e dell apice del ventri-colo destro. Per ripristinare il ritmo sinusale (Figura 4) veniva eseguita cardioversione elettrica previo ecocar-diogramma transesofageo al fine di escludere la presenza di trombi endoauricolari.Nel sospetto di cardiomiopatia strutturale ve-niva eseguito approfondimento diagnostico con RMN cardiaca con e senza mdc (Figura 5-6) che non evidenziava nulla di patologico.Giudicando l'episodio aritmico come episodio di tachicardia ventricolare 'idiopatica' in paziente giovane, con cuore sano in assenza di chiari fat-tori predisponenti, veniva posta indicazione ad impianto di defibrillatore automatico bicamerale in prevenzione secondaria.

COMMENTO La diagnosi di 'TV idiopatica' è una diagnosi di esclusione, formulata quando siano state va-gliate, e non evidenziate, le cause che ne sono responsabili. Definisce un pool di aritmie molto diverse per focus di origine, aspetto dell’ECG e meccanismo elettrofisiologico di base, ma ac-comunate da alcuni aspetti clinici quali l’esor-dio in età giovanile, l’assenza di una cardiopatia sottostante dimostrabile, la prognosi in genere favorevole, la sensibilità in acuto a farmaci o a manovre di stimolazione vagale (efficaci nel-le tachicardie parossistiche sopraventricolari ). Le TV idiopatiche rappresentano il 10% delle TV (20% nelle casistiche di autori giapponesi) con una netta prevalenza di quelle ad origine dal tratto di efflusso (60-70%), destro (80-90%) e sinistro (cuspidi aortiche destra o sinistra 10-20%)(4). Le TV idiopatiche del ventricolo sini-stro (30-40%) sono rappresentate soprattutto dalle TV idiopatiche fascicolari o verapamil-sen-sibili. Nel 9-13% dei casi le TV idiopatiche hanno origine subepicardica.L'impianto dei defibrillatori automatici (ICD) è comunemente usato per la prevenzione della morte cardiaca improvvisa in pazienti che so-pravvivono ad un arresto cardiaco (Classe IA) oppure che sono ad alto rischio di morte car-diaca improvvisa (Classe I A/B)(4). Nonostante le terapie elettriche erogate dal defibrillatore possano trattare efficacemente le aritmie ven-tricolari, non sono “curative” cioè non eliminano

il substrato aritmico responsabile dell'innesco dell'aritmia, ed è riportato in letteratura che gli shock erogati dal defibrillatore, anche se appro-priati correlano con un aumento della mortalità (5). Da ciò la necessità di un trattamento alter-nativo e talora anche risolutivo come l'ablazio-ne transcatetere dei foci responsabili dell'inne-sco delle aritmie.Recenti studi (4-5), hanno evidenziato come tale approccio terapeutico sia in grado di ridurre gli eventi aritmici in pazienti resistenti alla terapia medica, migliorandone la prognosi in termini di mortalità e morbidità.Nel caso clinico riportato, l'assenza di cause or-ganiche responsabili delle aritmie, ha fatto pro-tendere per una diagnosi di tachicardia ventrico-lare idiopatica; l'impossibilità di riconoscere una causa, non ha permesso un trattamento eziologi-co mirato; si è pertanto deciso di impiantare un defibrillatore in prevenzione secondaria al fine di evitare che un nuovo episodio potesse essere fa-tale. Il management terapeutico, potrebbe com-pletarsi quindi, con uno studio elettrofisiologico di induzione dell'aritmia oppure mediante meto-dica di pace-mapping per l' ablazione del focus che ne è responsabile, al fine di ridurre le recidive e migliorare la prognosi .

Figura 1

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Figura 2

Figura 3

Figura 4

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BIBLIOGRAFIA

1. MendisSPP,NorrvingB.GlobalAtlasonCardiovascularDiseasePre-ventionandControl.Geneva:WorldHealthOrganization,2011.

2. VanderWerfC,HendrixA,BirnieE,BotsML,VinkA,BardaiA,BlomMT,BoschJ,BruinsW,DasCK,KosterRW,NaujocksT,SchaapB,TanHL,deVosR,deVriesP,WooninkF,DoevendansPA,vanWeertHC,WildeAA,MosterdA,vanLangenIM.Improvingusualcareaftersuddendea-thintheyoungwithfocusoninheritedcardiacdiseases(theCAREFULstudy):acommunity-based interventionstudy.Europace2015Apr1.pii:euv059[Epubaheadofprint].

3. United Nations Economic Commission for Europe. UNECE statisticaldatabase.Availableathttp://w3.unece.org/pxweb.

4. AndreaNatale,antonioRavialeetal.VeniceChartInternationalCon-sensusDocumentonVentricular Tachycardia/ VentricularFibrillationAblation. Journal of Cardiovascular Electrophysiology. Vol 21- n 3-March2010

5. SilviaG.Priori,CarinaBlomstro¨m-Lundqvistetal.2015ESCGuideli-nesforthemanagementofpatientswithventriculararrhythmiasandtheprevention of sudden cardiacdeath. The TaskForce for theMa-nagementofPatientswithVentricularArrhythmiasandthePreventionofSuddenCardiacDeathoftheEuropeanSocietyofCardiology(ESC).EuropeanHeartJournal

Figura 5-6

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La prevenzione della Morte Improvvisa: le nuove Linee Guida 2015

della Società Europea di Cardiologia (ESC)

EDITORIALE

Dott. Eraldo OcchettaStruttura Semplice di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione

Dipartimento CardiologicoAOU Maggiore della Carità, Novara

[email protected]

La morte improvvisa è tuttora un fenomeno epidemico di importante rilevanza sociale. Ancora oggi si stima che in Italia ogni anno cir-ca 50.000 persone muoiono improvvisamente; la maggior parte di queste persone soffrono di cardiopatie che non erano note fino al momen-to del tragico evento e quasi sempre la causa della morte è un arresto cardiaco da tachiarit-mie ventricolari maligne (tachicardie ventrico-lari, torsioni di punta, fibrillazioni ventricolari).I progressi diagnostici e terapeutici degli ultimi anni sono stati indirizzati a cercare di prevenire questo fenomeno, cercando di individuare per tempo almeno 3 categorie di pazienti:1. soggetti con una cardiopatia ischemica sin-

tomatica o asintomatica: in questi casi l’in-tervento medico è finalizzato fondamental-mente a curare e prevenire l’evoluzione della cardiopatia ischemica verso forme di infarto miocardico fatale;

2. soggetti in cui la funzione cardiaca è stata compromessa da infarti miocardici o cardio-miopatie dilatative: in questi casi il rischio di morte improvvisa è alto è l’impianto di un

Defibrillatore (chiamato comunemente ICD) può salvare il paziente quando si verificasse un evento aritmico potenzialmente fatale;

3. infine soggetti che hanno alterazioni cardia-che genetiche o strutturali ereditarie con un alto rischio di sviluppare gravi e fatali arit-mie ventricolari (esempi sono la sindrome di Brugada, la sindrome del QT lungo o del QT corto, cardiomiopatie ipertrofiche, displasie aritmogene del ventricolo destro o sinistro, miocardio “non compatto”, …): anche in questo caso l’applicazione di un Defibrilla-tore ICD preventivo può salvare vite spesso giovani.

Nonostante questi sforzi, che implicano anche un notevole impegno economico per l’alto co-sto delle procedure diagnostiche e terapeuti-che, ancora non si può dire che la battaglia alla morte improvvisa sia vinta.Il mondo scientifico cardiologico e aritmologico ne è ben conscio, tanto che si è cercato di fare il punto della situazione con un documento di larga portata redatto con la collaborazione dei più importanti opinion leader europei.

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Sull’European Heart Journal, organo ufficiale della Società Europea di Cardiologia, è stato recentemente pubblicato un importante docu-mento: le nuove Linee Guida per il trattamento di pazienti con aritmie ventricolari e per la pre-venzione della morte improvvisa.Commentare questo documento sarebbe im-possibile, così come cercare di riassumerlo.Proprio per la loro natura di Linee Guida, co-stituiscono un preciso e completo rifermento di consultazione e arricchimento culturale che merita una lettura completa.Tutti gli argomenti vengono organicamente trattati:1. La definizione, l’epidemiologia e le prospetti-

ve future per la prevenzione della morte im-provvisa

2. L’approccio alle terapie delle aritmie ventri-colari

3. Il significato delle aritmie e la loro prevenzio-ne nell’ambito della cardiopatia ischemica

4. Il contesto aritmologico nel paziente con di-sfunzione ventricolare sinistra, con o senza scompenso cardiaco

5. Le sindromi aritmogene congenite6. Le aritmie nel paziente pediatrico o con car-

diopatie congenite7. Le tachicardie e fibrillazioni ventricolari nel

cuore strutturalmente sano8. Le aritmie nel contesto di malattie cardiache

infiammatorie, reumatiche o valvolari9. Le aritmie in pazienti particolari (psichiatri-

ci o neurologici, in gravidanza, nella sleep apnea, da tossicità farmacologica, in pa-zienti con trapianto cardiaco, in atleti, nel Wolff-Parkinson-White, negli anziani e in pazienti terminali).

L’unico commento sensato che si può fare è che tutti gli aspetti sono toccati e sviscerati, con indicazioni precise e schematizzate nelle note classi di indicazione:• Classe I: unanimità di indicazione• Classe II: possibilità di indicazione (“racco-

mandata” o “should be” nella Classe IIa, pos-sibilista o “could be” nella Classe IIb)

• Classe III: unanimità nella “controindicazione”Accompagnate dalla definizione del livello di evidenza:• A (indicazione scaturita da molteplici “trials”

randomizzati)• B (indicazione scaturita da 1 trial randomiz-

zato o da studi o registri non randomizzati)• C (indicazione scaturita dall’opinione di

esperti, ma non supportata da studi o regi-stri).

La lettura di questo importante documento è impegnativa (sono 87 pagine!); ma sapere bene come stanno le cose oggi vuol dire dare a tutti i nostri pazienti la chance di non morire improv-visamente ed immeritatamente!

Per favorire la lettura vi alleghiamo il link che vi apre direttamente il documento in PDF.Da leggere, tenere e consultare in ogni momen-to in cui si voglia un chiarimento o consiglio.

http://eurheartj.oxfordjournals.org/content/ehj/36/41/2793.full.pdf

Se poi la lettura di questo documento farà cre-scere un dibattito di approfondimento, nei prossimi numeri della Nuova Informazione Car-diologica ci torneremo...

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Sequenziamento di 100 geni candidate in giovani vittime di morte cardiaca improvvisa

con anomalie strutturali del cuore

LEADING ARTICLE

Dott. Gianluca QuirinoSC Cardiologia. PO SS. Annunziata, Cosenza

[email protected]

Da Hertz CL, Christiansen SL, Ferrero-Miliani L, et al, Next-generation sequencing of 100 candidate genes in young victims

of suspected sudden cardiac death with structural abnormalities of the heart, Int J Legal Med 2015-9;1261-8

INTRODUZIONELo scopo di questo interessante lavoro pubblica-to nel Settembre 2015 sull'International Journal of Legal Medicine, è quello di valutare l’utilita’, come supporto alla tradizionale medicina fo-rense, dell’analisi genetica eseguita su più geni e con sistemi di sequenziamento del DNA di se-conda generazione (NGS, Next Generation Se-quencing). Nel lavoro in oggetto, questa analisi è stata eseguita su 72 soggetti di età < 50 anni, vittime di sospetta morte cardiaca improvvisa e nei quali non erano state rilevate anomalie car-diache strutturali diagnostiche al riscontro au-toptico. I sistemi di sequenziamento del DNA di seconda generazione, permettono di analizzare in manie-ra parallela e contemporanea, la sequenza nu-cleotidica di milioni di frammenti di DNA da un unico campione e in tempi estremamente brevi (<24 ore).

Nel lavoro pubblicato sono stati utilizzati due si-stemi NGS, HaloPlex Target Enrichment (Agilent, USA) e MiSeq (Illumina, USA) con i quali sono sta-ti analizzati 100 geni noti per essere associati a CMP ereditarie e malattie dei canali ionici.

MATERIALIIn un periodo compreso tra il 2009 ed il 2011, sono state eseguite presso il Dipartimento di Me-dicina Forense dell’Universita’ di Copenaghen, 829 autopsie. Nel 42% dei casi (348), la causa del-la morte fu attribuita a cause naturali e, di questi, il 17% (142) fu identificato come “sospetta” mor-te cardiaca improvvisa, definizione, questa, che prevedeva la presenza di anomalie cardiache strutturali aspecifiche o non diagnostiche ed una diagnosi post-mortem di cardiomiopatia; furono ovviamente escluse altre cause che avrebbero potuto determinare la morte.

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Sono stati esclusi dallo studio pazienti con SUD (Sudden Unexplained Death), quelli con mio-carditi, valvulopatie primitive, cardiopatia ische-mica e patologie dell’aorta. Tutte le procedure autoptiche e gli esami tossicologici (se indicati), furono eseguite secondo linee guida adottate della Sezione di Patologia Forense dell’Università di Copenaghen.La diagnosi di ARVC fu posta seguendo i criteri della International Task Force del 2010 (1), quella della HCM fu soddisfatta in presenza di aumento di peso del cuore e ipertrofia asimmetrica del VS, associata o meno ad alterazioni strutturali del VS (disarray o fibrosi interstiziale) (2).Sulla base dei sopracitati criteri di inclusione, 72 pazienti furono inclusi nello studio.

METODISono stati studiati 100 geni (tabella 1), tutti noti per essere associati a cardiomiopatie o malat-tie dei canali ionici, utilizzando tecniche di se-quenziamento di seconda generazione (NGS, Next-Generation Sequencing).Il DNA dei 72 pazienti arruolati nello studio, e’ stato estratto dal sangue (66 pz), dal muscolo fre-sco congelato (4 pz) e dalla milza (2 pz), usando il Biorobot EZI e l’EZI DNA Investigator Kit (Quia-gen, Stockach, Germany). I geni studiati sono stati poi isolati utilizzando una versione “custo-mizzata” del sistema HaloPlex Target Enrichment (Agilent, USA) e successivamente quantizzati con il Quantifier Human DNA Quantification Kit (Thermo Fisher Scientific, Waltham, MA, USA); il sequanziamento del DNA è stato seguito con MiSeq (Illumina, USA), sequanziatore di seconda generazione. La presenza, in questi geni, di mutazioni Missen-se, Nonsense, Splice-site e di piccole IndDels (In-sertion/Deletion), sono state annotate e valutate con i sistemi Alamut Batch v1.2.0 e Alamut Visual v2.5 (Interactive Biosoftware, France). Tali varian-ti genetiche con possibili effetti funzionali, sono state scelte in base alla probabilita’ di patogeni-cita’ (malattia), alla frequenza <1% nella popola-zione di riferimento, e alla associazione con pa-tologie cardiache riportate nel Human Genome Mutations Database (HGMD) (3). Le singole varianti, sono state valutate e classifi-cate da due differenti medici, in modo indipen-dente, riguardo alla possibilità di avere o meno

un effetto funzionale, o di avere un effetto non noto. Tale valutazione e’ stata basata sulla revi-sione della letteratura e del database disponi-bile, in accordo con lineeguida su questo argo-mento (4).

RISULTATI

Caratteristiche della popolazione Hanno soddisfatto pienamente i criteri di inclu-sione 72 pazienti, 50 dei quali (69%) maschi e con una eta’ media al momento del decesso di 41 anni (range 1-50). In 20 pazienti (28%) la mor-te era avvenuta durante il sonno, in 14 (19%) a riposo, in 8 (11%) durante o dopo attività fisica e in 28 (39%) non erano noti i modi del decesso. Il 31% dei pazienti aveva presentato sintomi prima della morte.In 20 casi (28%), e’ stata fatta diagnosi di Cardio-miopatia (CMP) da parte dei patologi forensi; 14 avevano una Cardiomiopatia Aritmogena del Ventricolo destro (ARVC) e 6 una Cardiomiopa-tia Ipertrofica (HCM). Nei rimanenti 52 pazienti (72%), erano state riscontrate, all’autopsia, ano-malie strutturali non diagnostiche e/o aspeci-fiche del cuore. Il gruppo di pazienti affetti da CMP era di più giovane eta’ rispetto a quelli senza anomalie strutturali specifiche (32 vs 42 anni, p=0.004) e il decesso era avvenuto princi-palmente durante esercizio fisico (6 pz vs 2 pz, p=0.005).

Caratteristiche genetiche1. Pazienti con CMPI test genetici eseguiti nei 20 pazienti con dia-gnosi di CMP, hanno evidenziato la presenza di 12 varianti genetiche con probabili effetti funzio-nali in 7 pazienti (35%). L’eta’ media al momento della morte era di 31 anni (range 21-42) e 4 (57%) erano di sesso maschile. In 4 pazienti (20%) era-no presenti varianti genetiche di geni associati a CMP e in 3 pazienti (15%) di geni associati sia a CMP sia a malattie dei canali ionici. Entrando nel-lo specifico della casistica, dei 14 pazienti affetti da ARVC, solo 5 avevano varianti genetiche fun-zionali, e, di questi, solo 2 di geni codificanti per le proteine dei desmosomi. Dei 6 pazienti con HCM, solo 2 avevano varianti genetiche funzio-nali di geni coinvolti con la sintesi delle proteine sarcomeriche (tabella 2).

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2. Pazienti con anomalie cardiache strutturali non diagnostiche In questo gruppo, composto da 52 pazienti, 15 di essi (29%) avevano varianti genetiche funzio-nali e, di questi, 2 avevano piu’ di una variante in uno o più geni (tabella 3). L’eta’ media al mo-mento della morte era di 45 anni (range 1-50) e 9 (60%) erano di sesso maschile. In 7 pazienti (14%) erano presenti varianti genetiche di geni associati a CMP e in 8 pazienti (15%) di geni as-sociati a malattie dei canali ionici. In 28 pazienti (54%) fu riscontrata ipertrofia isolata o associa-ta a fibrosi e/o infiltrazione adiposa; all'interno di questo gruppo di pazienti, 11 individui (39%) avevano varianti genetiche funzionali che erano equamente distribuite tra geni associati a CMP e malattie dei canali ionici. In 14 pazienti (27%) fu riscontrata fibrosi isolata o sostituzione fibro-a-diposa; in 3 di essi (21%) erano presenti varianti genetiche associate a malattie dei canali ionici. In nessuno dei pazienti con infiltrazione adipo-sa isolata o dilatazione delle camere cardiache, furono riscontrate varianti genetiche funzionali (tabella 4).

DISCUSSIONELa prima ed importante conclusione che gli au-tori traggono dallo studio è che estendendo l’a-nalisi genetica ad un numero maggiore di geni, la possibilita’ di identificare varianti funzionali e’ decisamente aumentata, risultando, da un con-fronto con i dati in letteratura, più che raddop-piata (5-7). La seconda e’ che la percentuale di varianti genetiche nei due gruppi studiati è so-stanzialmente simile, essendo del 35% in quelli con diagnosi di cardiomiopatia e del 29% nei pa-zienti con anomalie strutturali non diagnostiche, differenza, questa, statisticamente non significa-tiva (p=0.8) (figura 1).

CardiomiopatieNel gruppo dei pazienti con CMP, le varianti ge-netiche funzionali erano principalmente riscon-trate in geni associati alla CMP stessa. Questa re-lazione diretta genotipo-fenotipo non era però presente in tutti i 5 pazienti con ARVC; solo 2 di essi, infatti, presentavano varianti genetiche as-sociate a geni che codificano per i desmosomi, mentre nei rimanenti tre casi furono riscontra-te varianti associate a Cardiomiopatia Dilatati-va (DCM) (LMNA, LBD3). Questo dato conferma l’overlap (peraltro noto) tra la DCM e la ARVC e

sottolinea ancora una volta come, nei casi di so-spetta CMP, sia estremamente utile eseguire una analisi genetica su un ampio numero di geni e non solo su quelli associati ad una specifica CMP.

Alterazioni cardiache non diagnostiche: cardiomiopatie o malattie dei canali ionici? Nel gruppo dei pazienti (52) senza anomalie strutturali del cuore, la percentuale di varianti genetiche funzionali era equamente distribuita tra geni associati a CMP (47%) e geni associati a malattie dei canali ionici (53%), risultato, quello riguardante le canalopatie, in linea con quanto gia’ documentato recentemente in letteratura (6, 8). Precedenti lavori eseguiti su geni associa-ti a malattie dei canali ionici, hanno mostrato una percentuale di varianti genetiche piu’ bassa, compresa tra l’11 ed il 26% (9-12); questo perchè erano stati analizzati solo i geni associati alle più comuni malattie dei canali ionici come la LQTS, la Sy di Brugada e la CPVT. In 2 recenti studi pubbli-cati nel 2014 e nei quali e’ stato eseguito l’intero sequenziamento degli esoni (Whole-Exome Se-quencing) in vittime di SUD con minime o nes-suna alterazione strutturale del cuore, sono state evidenziate varianti di geni associati a cardio-miopatie in 4 (14%) e in 6 (43%) soggetti rispet-tivamente (13-14). Da quanto detto e da quanto evidenziato dallo studio, si può dunque dedur-re che: 1. le cardiomiopatie possono presentarsi con morte aritmica anche in fasi precoci, quan-do cioe’ non sono ancora evidenti le anomalie strutturali tipiche della malattia e 2. le anomalie cardiache aspecifiche, riscontrate in pazienti con varianti genetiche associate solo a malattie dei canali ionici, sono alterazioni non significative, riscontrabili anche in cuori normali. Anche in questo gruppo di pazienti, quindi, l’analisi di più geni (in questo caso associati a CMP e malattie dei canali ionici), in aggiunta ai risultati ottenuti dalla medicina forense, ha permesso di chiarire la possibile causa di morte in questi soggetti.

Varianti genetiche multipleGlobalmente 22 paz (31%) avevano varianti ge-netiche funzionali e 5 di essi (23%) avevano più di una variante in uno o più geni. Nel gruppo del-le CMP, meta’ dei pazienti con genotipo positivo, avevano varianti associate a geni per CMP e per malattie dei canali ionici, condizione questa as-sociata ad un aumentato rischio di morte aritmi-ca (anomalie dei canali ionici nel contesto di una cardiopatia strutturale). Il significato di queste

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numerose varianti, tuttavia, resta ancora non del tutto chiaro.

LimitiI dati pubblicati riguardano solo i casi del Diparti-mento di Medicina Forense di Copenaghen, sono retrospettivi e spesso senza informazioni cliniche o schede ospedaliere precedenti alla morte. Nel lavoro non e’ stato valutato l’impatto patoge-no di tali varianti genetiche per il quale sono ne-cessari studi di segregazione e studi funzionali. I risultati pubblicati, pur non essendo verificati con altri metodi di sequenziamento, sono di ele-vata qualità e affidabilita’ visto che la maggior parte delle regioni target e’ stata valutata.

COMMENTOLa morte cardiaca improvvisa (SCD) è tra le cause più frequenti di morte improvvisa "non spiega-ta” SUD, Sudden Unexplained Death) in pazienti di eta’ < 50 anni ed è principalmente causata da cardiomiopatie, malattie dei canali ionici e forme giovanili di cardiopatia ischemica. Da studi pub-blicati è emerso come con l’autopsia sia possibile riscontrare anomalie strutturali del cuore in cir-ca 2/3 dei casi (15) e come, nella metà di que-sti, la causa della morte sarebbe attribuibile ad una malattia cardiaca geneticamente trasmissi-bile. Tuttavia non è sempre possibile formulare una chiara diagnosi post-mortem per l’assenza di anomalie cardiache diagnostiche, macrosco-piche e/o ultrastutturali, nonostante la corretta esecuzione dell’autopsia (16-17). Nel caso di ne-gatività della stessa, è indicata la cosi detta “au-topsia molecolare”, intesa come analisi genetica post-mortem che, se positiva per geni legati a cardiopatie ereditarie, renderebbe necessario uno screening sui familiari di primo grado della vittima. Nella maggior parte degli studi eseguiti in passato, le analisi genetiche hanno principal-mente riguardato geni codificanti per le piu’ co-muni malattie dei canali ionici come la LQTS, la Sy di Brugada e la Tachicardia Ventricolare Poli-morfa Catecolaminergica (CPVT), risultando po-sitive rispettivamente nel 75%, 20% e 50-60% dei casi (18). L’analisi genetica eseguita con tecniche di sequanziamento del DNA, oltre ad essere una procedura complessa, ha delle problematiche sostanzialmente legate ai costi e ai tempi di ese-cuzione della procedura stessa. Il primo grande investimento è stato lo Human Genome Project costato circa 3 miliardi di dollari, terminato nel

2003 e durato 13 anni. Human Genome Project fu condotto con le tecniche di sequenziamento di Sanger (tecnica di prima generazione), che, sviluppata nel 1975, è stata considerata il gold standard delle metodiche di sequenziamento per circa 25 anni. La sempre maggiore richiesta di tecnologie low-cost e con tempi di esecuzione brevi, hanno por-tato allo sviluppo di metodiche di “Next Genera-tion Sequencing” o tecniche di sequenziamento di nuova generazione. Queste nuove tecnologie sono caratterizzate dall’avere elevata velocità di analisi ed elevati “Throughput” (quantità di dati che la strumentazione può fornire in un periodo di tempo); questo rende possibile l’analisi di mi-gliaia di sequenze (Gigabasi) anche in maniera contemporanea (sequenziamento in parallelo), riducendo i tempi di esecuzione dell’esame ed i costi del stesso, obiettivo questo ultimo raggiun-to se si considera l’andamento negli ultimi anni (figura 2).Il lavoro di Hertz e coll, si propone di valutare l’u-tilità di queste tecnologie di DNA Sequencing di nuova generazione (NGS) in ausilio alla medicina forense, per la valutazione di vittime di SCD sen-za anomalie cardiache diagnostiche al riscontro autoptico.Un primo commento al lavoro, può essere fatto sul risultato dell’autopsia, diagnostica, in questa casistica, in circa 1\3 dei casi (28%); questi risul-tati non sono del tutto in linea con i dati di lette-ratura i quali hanno mostrato come in più dei 2\3 dei casi, all’autopsia vengano riscontrate anoma-lie in qualche modo significative o diagnostiche (19). La ragione di ciò potrebbe risiedere nel fat-to che lo studio si riferisce solo a questa partico-lare popolazione di individui studiati, condizione descritta dagli stessi Autori come un limite del lavoro.Il vantaggio offerto da queste metodiche di se-quenziamento del DNA di seconda generazione, è, come già detto, quello di poter studiare con-temporaneamente ed in tempi brevi, un ampio gruppo di geni che codificano anche per diverse patologie; nel caso del lavoro in oggetto sono stati studiati 100 geni noti per essere associati a cardiomiopatie e malattie dei canali ionici. Me-diante l’Autopsia molecolare” così eseguita, è sta-to possibile identificare delle varianti genetiche con possibili effetti funzionali, anche in assenza di chiari “fenotipi strutturali” al riscontro autop-tico. Tali varianti sono state ritrovate nel 31% dei casi studiati e riguardavano geni associati sia a

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cardiomiopatie sia a malattie dei canali ionici. Il dato interessante emerso dallo studio era che nei due gruppi di pazienti, quelli cioè senza anoma-lie strutturali diagnostiche e quelli con cardio-miopatie, le percentuali di varianti genetiche con possibili effetti funzionali era sostanzialmente si-mile, 29% e 35% rispettivamente. Nel gruppo di pazienti con cardiomiopatie, è stato visto come non esisteva sempre un chiaro rapporto tra il “ge-notipo” ed il “fenotipo” (solo 2 dei 5 pazienti con ARVC avevano varianti associate a geni che co-dificavano per i desmosomi) e che in alcuni casi potevano esistere delle forme cosi dette “overlap” (sempre nei pazienti con ARVC sono state docu-mentate varianti associate a geni che codificava-no per la cardiomiopatia dilatativa). Analizzando invece i pazienti senza anomalie strutturali dia-gnostiche del cuore, le varianti genetiche erano equamente distribuite tra geni associati a CMP (47%) e geni associati a malattie dei canali ioni-ci (53%). Ciò potrebbe voler dire che una morte aritmica è possibile anche nelle fasi iniziali di una cardiomiopatia, quando cioè non sono ancora presenti le anomalie strutturali tipiche di quella malattia (varianti genetiche associate a CMP) e che le anomalie strutturali aspecifiche presenti in soggetti con varianti genetiche associate solo a malattie dei canali ionici, siano realmente aspe-cifiche, potendosi riscontrare anche in cuori nor-mali.L’approccio metodologico proposto dagli auto-ri del lavoro, autopsia “tradizionale” e autopsia “molecolare” (eseguita con tecniche di sequen-ziamento di seconda generazione (NGS)), è si-curamente ottimo e pertanto dovrebbe essere applicato in larga scala, soprattutto ai soggetti nei quali la cause della morte resta non spiega-ta. Dai dati di letteratura, tuttavia, emerge come il numero totale di autopsie sia in netta riduzio-ne, essendo eseguita in meno del 10% di tutti i pazienti deceduti negli USA (20) (figura 3) ed in meno dell’1% in Francia. Le cause di ciò posso-no essere molteplici; motivazioni legislative (in alcuni paesi è obbligatorio il consenso dei paren-ti), motivazioni di tipo socio-culturali (l’autopsia, nell’immaginario collettivo, è ancora una proce-dura non del tutto accettata, specie dai familia-ri delle vittime), motivazioni legata al timore da parte del clinico di potersi trovare coinvolto in dispute di carattere medico-legale per diagnosi errate o mancate (21) e, in ultimo ma non meno importante, motivazioni di carattere economico, visto l’impatto che questo esame ha sul budget della struttura che lo richiede (22). Il superamen-

to (parziale o totale) di tutti questi ostacoli, au-menterebbe probabilmente il numero di autop-sie, consentendo così importanti passi in avanti nella diagnosi delle morti inspiegate, a beneficio soprattutto dei parenti di primo grado delle vit-time. Se poi all’autopsia tradizionale si associano anche metodiche di “autopsie molecolari” veloci e relativamente poco costose (sequenziatori di terza generazione, Single-Molecule Sequencing, sono già in uso), questo beneficio sarebbe ovvia-memte ancora maggiore.E’ ovvio che uno screening genetico così ampio, esteso anche a geni associati a malattie differen-ti, pur consentendo di ottenere una mole decisa-mente maggiore di dati, permette di individuare anche delle varianti genetiche la cui patogenici-tà (e quindi “significato clinico”) possa essere non del tutto nota. L’auspicio per il futuro sarà, oltre a quanto detto riguardo all’autopsia, anche quel-lo aumentare il livello di conoscenza del valore “patogeno” di queste varianti genetiche, tutto questo con la speranza che un numero sempre maggiore di “Sudden Unexplained Death" possa-no diventare “Sudden Cardiac Death", con le ov-vie (e per quanto possibili positive) ripercussioni sui familiari di questi pazienti.

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Tabella 1.

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Tabella 2.

Tabella 3.

Tabella 4.

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Figura 1

Figura 2

A B

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Figura 3

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Morte improvvisa

FOCUS ON...

UTILITÀ DEL DEFIBRILLATORE INDOSSABILE IN PAZIENTI CON NUOVA DIAGNOSI DI CARDIOMIOPATIA:

ESPERIENZA DECENNALE DI UN SINGOLO CENTRO

Contesto: il defibrillatore indossabile (WCD) è emerso come strumento di protezione dalla morte improvvisa per pazienti con nuova dia-gnosi di cardiomiopatia non ischemica (NICM) o ischemica (ICM) in attesa della rivalutazione del-la funzione ventricolare.Obiettivi: questo studio ha cercato di valutare in maniera indipendente il rischio di terapie appro-priate da WCD in pazienti con nuova diagnosi di NICM e ICM.Metodi: sono stati analizzati i referti medici di tutti i pazienti cui veniva prescritto WCD presso il Centro promotore tra giugno 2004 e maggio 2015 (n=639), focalizzandosi sui 254 pazienti con NICM e sui 271 pazienti con ICM di nuova diagno-si. Sono stati esclusi i pazienti con un precedente defibrillatore impiantabile o aritmie ventricolari sostenute (n=114). L’endpoint primario erano le terapie appropriate da WCD.Risultati: il tempo di utilizzo mediano del WCD era 61 giorni (range interquartile 25-102 gior-ni) per paziente e 22 ore/die (range interquar-tile 17-23 ore/die). Durante 56,7 anni-paziente,

0 pazienti con NICM hanno ricevuto uno shock appropriato da WCD, mentre 3 (1,2%) hanno ri-cevuto uno shock inappropriato. Durante 46,7 anni-paziente, 6 (2,2%) pazienti con ICM hanno ricevuto uno shock appropriato; 5 sono soprav-vissuti all’episodio e 4 sono sopravvissuti alla di-missione ospedaliera. Tutti i 6 pazienti con shock appropriato erano maschi con durata di QRS >120 ms. Due (0,7%) pazienti con ICM hanno ri-cevuto uno shock inappropriato.Conclusioni: in questo studio retrospettivo in-dipendente il rischio di terapie appropriate da WCD in pazienti con nuova diagnosi di NICM era minimo. L’uso routinario di WCD in questa popo-lazione dovrebbe essere valutato prospettica-mente. Il rischio di terapie appropriate in ICM di nuova diagnosi era comparabile a quanto osser-vato in studi osservazionali precedenti.

Singh M, Wang NC, Jain S, et al, Utility of the Wearable Cardiover-ter-Defibrillator in Patients With Newly Diagnosed Cardiomyopathy: ADecade-Long Single-Center Experience, J Am Coll Cardiol. 2015 Dec15;66(23):2607-2613.

A cura di Gabriele Dell'Era SSC Universitaria di Cardiologia, AOU Maggiore della Carità, Novara

[email protected]

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AMIODARONE VS ALTRE TERAPIE FARMACOLOGICHE PER LA PREVENZIONE DELLA MORTE CARDIACA IMPROVVISA

Contesto: la morte cardiaca improvvisa (SCD) è una delle cause più importanti di morte cardia-ca. Ci sono due strategie principali per preve-nirla: gestire i fattori di rischio cardiovascolare e ridurre il rischio di aritmie ventricolari. I defibril-latori impiantabili (ICD) costituiscono la terapia standard sia per la prevenzione primaria che per quella secondaria; tuttavia, non sono ampia-mente disponibili in contesti con risorse limita-te. L’antiaritmico amiodarone è stato proposto come alternativa all’ICD.Obiettivi: valutare l’efficacia dell’amiodaro-ne per la prevenzione primaria o secondaria di SCD a confronto con placebo o nessuna terapia o qualunque altra terapia antiaritmica in parte-cipanti ad alto rischio (prevenzione primaria) o ripresi da arresto cardiaco o sincope per tachicar-dia ventricolare/fibrillazione ventricolare (VT/VF; prevenzione secondaria).Metodi di ricerca: abbiamo effettuato una ri-cerca all’interno del registro centrale degli studi controllati Cochrane (CENTRAL) e nei database MEDLINE (OVID), EMBASE (OVID), CINAHL (EB-SCO) e LILACS il 26 marzo 2015. Abbiamo revisio-nato la lista bibliografica degli studi inclusi e di revisioni selezionate sull’argomento, contattato gli autori degli studi inclusi, vagliato congressi di rilievo e cercato in registri di studi in corso di svolgimento. Non abbiamo applicato alcuna re-strizione di lingua.Criteri di selezione: studi randomizzati e qua-si-randomizzati che valutassero l’efficacia di amiodarone vs placebo, nessuna terapia o altri antiaritmici in adulti. Per la prevenzione prima-ria, abbiamo considerato i partecipanti ad eleva-to rischio di SCD. Per la prevenzione secondaria, abbiamo considerato i partecipanti ripresi da ar-resto cardiaco o sincope causata da aritmie ven-tricolari.Raccolta dei dati e analisi: due autori hanno valutato gli studi per l’inclusione in maniera in-dipendente ed hanno estratto i dati rilevanti. Abbiamo contattato gli autori degli studi per i dati mancanti. Abbiamo effettuato una meta-nalisi utilizzando un modello random-effects. Abbiamo calcolato i rapporti di rischio (RR) per risultati dicotomici con intervalli di confidenza

(CI) al 95%. Tre studi comprendevano più di un confronto.Risultati principali: abbiamo incluso 24 studi (9997 partecipanti). Diciassette studi valutava-no amiodarone per la prevenzione primaria, 6 per la secondaria. Solo 3 studi utilizzavano un ICD in concomitanza ad amiodarone per il con-fronto (tutti in prevenzione secondaria). Per la prevenzione primaria, l’amiodarone confronta-to al placebo o a nessuna terapia (17 studi, 8383 partecipanti) riduceva la SCD (RR 0,76%; 95% CI 0,66-0,88), la mortalità cariaca (RR 0,86; 95% CI 0,77-0,96) e la mortalità per tutte le cause (RR 0,88; 95% CI 0,78-1,00). La qualità dell’evidenza era bassa. A confronto con altri antiaritmici (3 studi, 540 partecipanti), l’amiodarone riduceva la SCD (RR 0,44; 95% CI 0,19-1,00), la mortalità cardiaca (RR 0,41; 95% CI 0,20-0,86) e la mortali-tà per tutte le cause (RR 0,37; 95% CI 0,18-0,76). La qualità dell’evidenza era moderata. Per la pre-venzione secondaria, l’amiodarone a confronto con placebo o nessuna terapia (2 studi, 440 par-tecipanti) incrementava il rischio di SCD (RR 4,32; 95% CI 0,87-21,49) e la mortalità per tutte le cau-se (RR 3,05; 1,33-7,01). Tuttavia, la qualità dell’e-videnza era molto bassa. A confronto con altri antiaritmici (4 studi, 839 partecipanti) l’amioda-rone aumentava il rischio di SCD (RR 1,40; 95% CI 0,56-3,52, qualità di evidenza molto bassa), ma non c’era alcun effetto sulla mortalità per tutte le cause (RR 1,03; 95% CI 0,75-1,42; qualità di evi-denza bassa). L’amiodarone era associato ad un aumento di eventi avversi polmonari e tiroidei.Conlcusioni degli autori: c’è una qualità di evi-denza da bassa a moderata che l’amiodarone riduca SCD e la mortalità cardiaca e per tutte le cause quando confrontato con placebo o nes-suna terapia in prevenzione primaria, ed i suoi effetti sono superiori agli altri antiaritmici. Non è chiaro se l’amiodarone riduca o incrementi il rischio di SCD e mortalità per la prevenzione se-condaria poiché la qualità dell’evidenza era mol-to bassa.

ClaroJC,CandiaR,RadaG,etal,Amiodaroneversusotherpharmacologicalinterventionsforpreventionofsuddencardiacdeath,CochraneDatabaseSystRev.2015Dec8;12

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VALORE PROGNOSTICO DI IMAGING PER INNERVAZIONE SIMPATICA CARDIACA UTILIZZANDO DATI DI FOLLOW-UP A LUNGO TERMINE:

SCOMPENSO CARDIACO A GENESI ISCHEMICA VS NONISCHEMICA

Contesto: sebbene esistano svariati determi-nanti prognostici noti nello scompenso cardiaco (HF), il rischio individuale può variare, partico-larmente tra genesi ischemica e non ischemica dello scompenso. Questo studio ha valutato la differenza di efficacia prognostica di imaging con 123I-meta-iodobenzilguanidina (MIBG) tra le due eziologie.Metodi e risultati: tutti i 1322 pazienti con HF sono stati arruolati e seguiti per un massimo di 10 anni. I pazienti con HF sono stati divisi in due gruppi: uno ischemico (n=362) ed uno nonischemico (n=960); l’analisi dei dati è stata condotta con un modello di rischio proporzio-nale di Cox. Durante 10 anni di follow-up, 296 (22,4%) dei 1322 pazienti sono morti; i tassi di mortalità erano 21,8% e 22,6% per il gruppo ischemico e nonischemico rispettivamente. Il gruppo ischemico aveva una maggior preva-lenza di morte improvvisa ed infarto miocar-

dico acuto letale ed il gruppo nonischemico aveva un più elevato tasso di morte per scom-penso. All’analisi multivariata proporzionale di Cox utilizzando variabili categoriche, nel grup-po ischemico un ritardato rapporto cuore-me-diastino (HMR; p<0,0001), l’età (p=0,0002) e la FE ventricolare sinistra (p=0,03) erano i predit-tori indipendenti significativi di eventi letali. Nel gruppo nonischemico un ritardato HMR (p<0,0001), la classe NYHA (p<0,0001) e l’età (p<0,0001) erano determinanti significativi di eventi letali.Conclusioni: l’imaging cardiaco con MIBG ha un valore prognostico praticamente identico in HF ischemico e nonischemico, indipendente dalla causa di morte cardiaca.

MatsuoS,NakajimaK,NakataT,PrognosticValueofCardiacSympatheticNerveImagingUsingLong-TermFollow-upData-Ischemicvs.Non-Ische-micHeartFailureEtiology,CircJ.2015Dec4.[Epubaheadofprint]

TREND NAZIONALI DI IMPIEGO DI TERAPIA DI RESINCRONIZZAZIONE CARDIACA CON O SENZA DEFIBRILLATORE IMPIANTABILE

Contesto: i candidati a terapia di resincronizza-zione cardiaca (CRT) possono ricevere un pace-maker biventricolare (CRT-P) o un defibrillatore biventricolare (ICD; CRT-D). La selezione del di-spositivo ottimale rimane complessa poiché il beneficio di un ICD potrebbe non essere unifor-me, specialmente in pazienti con rischi competi-tivi di morte non improvvisa.Metodi e risultati: in questo studio cross-sezio-nale che ha utilizzato il database nazionale ame-ricano sui ricoveri, abbiamo identificato 311086 ricoveri associati ad impianto di CRT tra il 2006 ed il 2012. Il tipo di dispositivo più comune era CRT-D (86,1%), compreso nei pazienti con età ≥75 anni con 5 o più comorbidità di Elixhauser (75,5%). I predittori alla multivariata di impianto di CRT-D comprendevano fattori demografici, clinici e ge-ografici: aritmia ventricolare precedente (RR 1,14, 95% CI 1,13-1,14), cardiopatia ischemica (RR 1,11; 95% CI 1,10-1,11), sesso maschile (RR 1,10; 95% CI 1,09-1,10), razza nera (RR 1,06; 95% CI 1,04-1,07) e

regione geografica nordorientale (RR 1,06; 95% CI 1,04-1,09). C’era variazione significativa interospe-daliera nell’utilizzo di CRT-D (range di percentili 10-90, dal 72,9 al 98,0% di CRT-D).Conclusioni: la maggior parte dei pazienti in questa coorte americana contemporanea è stata sottoposta ad impianto di CRT-D. I predittori di impianto di CRT-D comprendevano fattori demo-grafici, clinici e geografici. In sottogruppi di pa-zienti con una previsione di beneficio attenuato da ICD (adulti anziani con multiple comorbidità), CRT-D rimaneva il dispositivo dominante. Una comprensione migliore dei determinanti della scelta del dispositivo può aiutare nella decisio-ne ed in definitiva allineare il rischio del paziente ai benefici garantiti dal dispositivo al momento dell’impianto di CRT.

Lindvall C, Chatterjee NA, Chang Y, et al, National Trends in the Utili-zation of Cardiac Resynchronization Therapy With or Without Implan-table-CardioverterDefibrillator,Circulation.2015Dec3.pii:CIRCULATIO-NAHA.115.018830.[Epubaheadofprint].

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L'anima umana e l'anima del mondo

nelle religioni primitive

MEDICINA e MORALE

Presso molti popoli primitivi si parla di «ani-ma» principalmente in termini «cosmici», cioè all'interno del tentativo di comprendere l'unità dell'universo. Nonostante alcune interpretazioni di autori del XIX secolo, sembrerebbe però che presso i filosofi presocratici non fu così: la nozio-ne di anima umana non venne introdotta tanto in relazione alla comprensione del cosmo, quan-to piuttosto per descrivere il rapporto fra l'uomo e la divinità.In altre parole, le primitive comprensioni dell'a-nima sono di tipo etico e religioso, piuttosto che cosmico o scientifico. I presocratici vedono l'a-nima in termini antropologici, mistici, intuitivi. La nozione di anima come «respiro» o «fuoco» è comune presso molti popoli e, in modo corri-spondente, la morte viene associata con il «volo» o comunque con l'assenza di tale respiro. Filoso-fi greci della scuola naturalista come Diogene, Anassimandro e Anassimene, identificarono l'a-nima con l'aria o il respiro. Per Eraclito è fatta di fuoco. A loro volta Democrito, Epicuro e gli stoici la considerano composta di atomi raffinati; ed è mortale e corruttibile a livello individuale perché è solo un elemento del grande organismo vivo dell'universo. Nel linguaggio poetico di Omero, il termine thymós viene adoperato per indicare la sede tan-gibile di processi vitali, quali il pensiero, i senti-menti, le sensazioni, mentre il termine psyché è riservato a designare la vita in senso generale,

come una sorta di energia vitale immateriale che uomini ed animali possiedono in modo imperso-nale, una vita cosmica riconoscibile nel respiro, nel sangue, sulla quale però gli esseri umani non hanno potere. Col passare del tempo, la psyché, di natura inconscia, finirà con l'assumere ed inglo-bare i caratteri consci del thymós, in particolare la coscienza e l'individualità spirituale. La fusione fra i caratteri del «respiro» e della «coscienza», porta-ta a compimento con l'orfismo, favorirà poi l'idea della «trasmigrazione delle anime», quale espres-sione della sopravvivenza, indipendenza rispetto al corpo, ed immortalità dell'anima umana.Nel pitagorismo le anime individuali sono espressione di un'anima cosmica comune, le-gata alla concezione di un'origine unitaria del mondo, una tradizione ripresa da Platone, che considererà l'anima cosmica – di natura invisibile rispetto al corpo del mondo che è invece visibile – come «la più perfetta delle realtà che sono state generate» (Timeo, 37a). Ha qui origine la dottrina dell'«emanazionismo», cioè l'origine delle anime a partire della divinità. Con Plotino, l'Uno dà origine all'Intelligenza (noûs), che a sua volta genera l'anima cosmica (psyché), che sarà poi presente in tutte le cose attraverso «ragioni seminali». Notiamo inciden-talmente che la nozione di «anima cosmica», così come le dottrine dell'emanazionismo e del pan-teismo ad essa collegate, sorgerà occasionalmen-te anche in un contesto cristiano, ad esempio nel

Prof. Paolo Rossi

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medioevo con Teodoro di Chartres e Guglielmo di Conches (che ne proporranno un'identificazio-ne con lo Spirito Santo), poi con Giordano Bruno e, più tardi, con Schelling. È tuttavia chiaro che la dottrina giudeo-cristiana della creazione ex nihilo e della creazione indivi-duale dell'anima umana giungono ad una spiega-zione alquanto diversa dell'origine, della natura e del destino dell'anima umana. In ogni caso, la de-scrizione dell'anima umana come emanazione di un'anima cosmica porta con sé due conseguenze:

1. In primo luogo, essa non riesce ad esprimere la dignità dell'essere umano nella sua indivi-dualità, in quanto sempre subordinato al co-smo unitario;

2. inoltre, nel proporsi di spiegare l'unità razio-nale e il dinamismo del cosmo utilizzando un'epistemologia vitalista, intuitiva o perfino mitologica, ha bisogno di una più seria verifica di carattere razionale e scientifico. Platone ed Aristotele furono tra i primi a contribuire deci-samente a tale processo di chiarificazione.

L'ANIMA UMANA COME SOSTANZA INDIVIDUALE: PLATONE ED ARISTOTELE

Considerata da un punto di vista descrittivo, la riflessione dei popoli primitivi sull'anima è, come abbiamo visto, di carattere cosmologico. Ciono-nostante, essa è motivata da una visione religiosa del mondo, che coinvolge l'immortalità dell'uo-mo e la sua responsabilità etica. Questi elementi saranno fondamentali per il consolidamento del-la nozione di «sostanzialità» dell'anima umana, una delle principali eredità dell'età dell'oro della filosofia greca. Tale consolidamento ebbe luogo secondo due direzioni principali. Lungo la prima, in un contesto principalmente etico-religioso, Platone sviluppò un'antropologia del composto umano di anima e corpo, di carattere decisamen-te «dualista»; lungo la seconda, in un contesto razionale, empirico e metafisico, Aristotele svi-luppò una comprensione dell'uomo che com-portasse «l'unità sostanziale» fra corpo e anima.

1. La comprensione platonica dell'anima umanaPlatone (427-347 a.C.) riceve le nozioni di puri-ficazione e di salvezza dell'anima dalle dottrine dell'orfismo, attraverso il pitagorismo. Per lui le anime hanno un'origine celeste; sono del-le particelle staccatesi da uno «Spirito» infinito (pneûma), che, entrando nei corpi, dà loro la vita. Data la loro origine celeste e spirituale, dopo una vita retta nella quale viene raggiunta una com-pleta purificazione, le anime saranno finalmente reintegrate nella loro primitiva origine spirituale. Se così non fosse, esse sarebbero destinate ad una serie di reincarnazioni successive, anche nei corpi di animali o di piante, fino a quando e non avranno realizzato una completa purificazione. Corpo ed anima sono viste in maniera antagoni-sta: la seconda "entra" nel primo come risultato di una caduta primitiva o, anche, di un peccato (Fedro, 248ss; Repubblica, VII, 514ss).

Platone attribuisce quattro proprietà principali all'anima umana. a) Essa è un «principio di vita»: mentre qualun-

que cosa mossa dall'esterno non ha anima, la possiede invece chi si muove da se stesso e per se stesso. In tal senso, secondo lui, pos-seggono delle anime anche il sole, la terra, le stelle (Leggi, 898d).

b) L'anima è immateriale: le è proprio il pensie-ro e, attraverso di esso, essa comunica con il mondo intelligibile delle idee. Platone rifiuta la comprensione di Pitagora (570-490 a.C.) se-condo cui l'anima non sarebbe altro che l'ar-monia (krásis) tra gli elementi (Fedone 93b). Inoltre, l'anima umana è composta di tre parti: razionale (destinata alle attività superiori), ira-scibile (sede dei sentimenti nobili) e concupi-scibile (sede degli appetiti inferiori).

c) Mentre le anime irascibile ed concupiscibile sono mortali, l'anima razionale è immortale ed eterna: «fra tutte le cose che l'uomo possie-de, essa è quella più vicina agli dèi, e le sue pro-prietà sono le più divine e vere» (Leggi, 726a). Platone segnalerà varie ragioni a sostegno dell'immortalità dell'anima, come la natura ciclica della vita, la reminiscenza di cose co-nosciute in vite precedenti, la sua affinità alle cose spirituali, l'incorruttibilità rispetto al cor-po (Fedone, 70-80; Repubblica, 608-611).

d) L'anima «precede» il corpo, al quale è unita in modo accidentale, in certo modo innaturale, come il fantino che guida il cavallo o il timo-niere che guida la nave (Fedone, 246a, 247c). Il corpo quindi non è pienamente umano: l'uo-mo è la sua anima, egli è un'anima che usa un corpo (Alcibiade maggiore, I, 130a-131a).

Le idee di Platone sono state riprese frequente-mente nel corso della storia del pensiero, primi

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fra tutti dai grandi neoplatonici, Plotino (205-270) e Porfirio (233-305). La grande influenza del-le idee di Platone lungo tutti i secoli successivi fu dovuta a vari fattori. Innanzitutto, la sua visione era in sintonia con molte filosofie etiche e reli-giose dell'Oriente (Eliade, 1986) ed aveva inoltre il merito di offrire una prima descrizione dell'ani-ma, intuitiva e pre-critica, sebbene con l'appog-gio di alcune basi metafisiche. Poi, da un punto di vista etico e religioso, la dottrina platonica offriva certamente una visione attraente circa l'origine e la natura dell'anima, ma portava con sé delle conseguenze difficili da superare, prin-cipalmente derivanti dall'intrinseco dualismo e dalla scarsa attenzione tributata alla corporeità umana. Sebbene Platone difenda l'immortalità e la dignità dell'essere umano, la sua concezione dell'anima rende problematici i rapporti dell'in-dividuo con gli altri esseri umani e con il cosmo. Nella sua comprensione di cosa sia l'anima, in co-erenza col suo pensiero, Platone dà poco peso ai dati empirici, appartenenti al versante corruttibi-le e materiale della realtà, e legati all'attività cor-porea; si comprende quindi che le scienze esatte svolgono un ruolo alquanto pregiudiziale per il filosofo (Fedone, 65-67).

2. La comprensione dell'anima umana nel pensiero di AristoteleDopo una fase iniziale più vicina alla visione pla-tonica dualista, seguita da una probabile fase di “vitalismo strumentalista”, nella quale si sostie-ne un accostamento accidentale ma non con-flittuale fra anima e corpo, Aristotele (384-322 a.C.) approda, anche grazie alle sue osservazioni scientifiche, alla consapevolezza dell'unità psi-cosomatica dell'essere umano, principalmente rintracciabile nei tre libri della sua opera De Ani-ma. In questo scritto, che Hegel qualificherà assai più tardi come il lavoro migliore e maggiormen-te speculativo su tale oggetto, Aristotele parlerà senza esitazioni dell'unione sostanziale fra corpo e anima e dell'anima come «forma sostanzia-le» del corpo, elaborando la teoria denominata come «ilemorfica».Afferma Aristotele che «l'anima è ciò per cui in pri-mo luogo viviamo, sentiamo, ragioniamo: di conse-guenza deve essere nozione e forma, non materia e sostrato», per aggiungere poco più avanti che «né l'anima esiste senza il corpo, né essa è un corpo. Corpo certo non è, ma è qualcosa del corpo» (De Anima, II, 2, 414a). Essa è il primo principio de-gli esseri viventi corporali, la sorgente della vita

del corpo, ma è distinta dalla materia. L'anima è «l'entelécheia prima di un corpo naturale che ha la vita in potenza» (De Anima, II, 1, 412a). Si tratta dunque di un principio entitativo ed operativo. Secondo lo Stagirita vi sono tre tipi di anima: l'«a-nima vegetativa», principio delle azioni nutritive, della crescita e della riproduzione; l'«anima sen-sitiva», origine della conoscenza sensibile e degli appetiti, ed infine l'«anima razionale», principio della conoscenza razionale. Non è corretto, per Aristotele, affermare che l'anima “vive”, bensì oc-correrebbe dire che “l'intero essere umano vive in virtù dell'anima” (Metafisica, VII, 11, 1037a).Riguardo la spiritualità e l'immortalità dell'anima, Aristotele sostiene che nell'essere umano vi sono delle operazioni intellettuali che soltanto una so-stanza separata dal corpo (noûs, in opposizione a sôma), e dunque incorruttibile, sarebbe in grado di realizzare (De Anima, III, 4, 429ab). Tuttavia, le «forme» naturali non sono sostanze separate, e periscono quando il composto di forma e ma-teria si dissolve. Cosa accade dunque quando muoiono gli esseri umani? Sulla base degli scrit-ti di Aristotele non è perfettamente chiaro se il cosiddetto «intelletto agente» (che nell'opera De generatione animalium, 736b, dichiarerà essere di origine divina, qualcosa di separato ed impas-sibile), sia presente ed attivo quale situazione od attualità compiuta e finale (entelécheia), indivi-duale ed immortale, in ogni essere umano.La dottrina aristotelica, insistendo sull'unità so-stanziale dell'essere umano, si sforza senza dub-bio di rispettare i dati empirici, che suffragano maggiormente tale unità. Non spiega però facil-mente come gli esseri umani “individuali” possa-no acquistare quell'immortalità pure riconosciu-ta all'anima, né dà ragione della autocoscienza umana. Sebbene in alcuni scritti giovanili, in cer-ta dipendenza da Platone, Aristotele tocca temi aventi a che fare con questioni di carattere esca-tologico, egli parlerà assai poco dell'uomo dopo la morte nei lavori successivi. È comprensibile pensare all'influsso di Aristotele sui materialismi monisti o atei, di ispirazione scientifica, comune-mente inclini a porre in questione il tema dell'im-mortalità dell'uomo (Reale, Storia della filosofia antica, Milano 19888, vol. II, pp. 476ss). Aveva dunque ragione Socrate quando sosteneva che la scienza era incompatibile con la religione, ed i dati empirici con l'amore per la saggezza? (Fe-done, 65-67).Dall'esame del pensiero di Platone ed Aristote-le risulta chiaro che la comprensione di cosa sia

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l'anima risulta condizionata dalla comprensione di cosa sia il corpo, e viceversa. Un punto nevral-gico si trova senza dubbio nella questione della mortalità dell'essere umano e del suo destino d'oltretomba. Per Platone, la cui etica religiosa spinge l'uomo interamente verso l'immortalità, la morte è considerata una liberazione, il riscat-to dell'anima dal peso morto della materia. Per Aristotele, la cui metafisica, collegata all'ambito empirico, lega l'uomo al mondo sensibile e ma-

teriale, la morte sembrerebbe implicare la distru-zione della natura e la perdita dell'individualità umana, sebbene egli non rigetti la possibilità, in chiave escatologica, di un'anima immortale (Me-tafisica, XII, 3, 1070a). Sarà precisamente all'inter-no della questione sulla morte e sull'immortalità che la rivelazione giudeo-cristiana consegnerà il suo più importante contributo all'antropologia ed alla nostra comprensione di cosa sia l'anima umana.

L'ANIMA UMANA NELLA SACRA SCRITTURA

Nel parlare dell'essere umano, la Sacra Scrittura utilizza tre termini aramaici fra loro intimamente collegati: basâr, cioè «carne» (gr. sárx, nella tradu-zione dei LXX), nefes, equivalente ad «anima» (gr. psyché) ed infine rûah, «spirito» (gr. pneûma). I tre termini indicano «l'intero essere umano», sebbe-ne con sfumature diverse: basâr ne sottolinea la debolezza, la caducità e la dipendenza, nefes la vitalità individuale e rûah, che indica anche lo spirito in quanto anima, punta verso la sorgente divina di ogni vivente. Dunque l'essere umano “è” basâr e nefes, e “ri-ceve” rûah. Il vocabolo nefes, termine biblico più vicino a ciò che chiamiamo anima, compare circa 750 volte nell'AT, generalmente riferito ad un essere «che respira» (Es 23,12 e 31,17; 2Sam 16,14), possedendo un etimo vicino a quello dei termini «gola», «bocca» e «respiro». Similmente, il termine nefes è associato al «sangue» (Lv 17,11; Dt 12,23): la respirazione ed il sangue sono in-fatti entrambi segni tangibili della vita. Sempre nell'AT, nefes designa sia la vita sia l'uomo, e viene utilizzato circa 70 volte in riferimento all'essere umano individuale, alla persona. L'uomo diven-ta un vivente nefes al ricevere il «respiro di vita» da Dio: «il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita (ni-smat) e l'uomo divenne un essere vivente (nefes)» (Gen 2,7). Nel Targumin lo stesso testo viene tra-dotto così: «e l'uomo divenne un essere parlante». Nefes è dunque associato ad una varietà di ma-nifestazioni della vita umana, specie di natura interiore, quali passioni, affetti, desideri, fino a divenire quasi un equivalente della «interiorità» dell'essere umano, la sede dei sui affetti:• del pensiero e della conoscenza (Es 23,9; Gb

16,4; Pr 12,10), • della gioia (Sal 86,4), del (Sal 6,4), • della pietà (Sal 104,1.35; 143,8),

• della confidenza (Sal 57,2) • e della memoria (Dt 4,9). L'Antico Testamento parla ugualmente dei «mor-ti» (repa'îm), sempre in plurale, come qualcosa di diverso dal cadavere, i quali sussistono in uno stato letargico, deficiente ed inattivo.Il termine «anima» o «spirito» verrà utilizzato nel Nuovo Testamento secondo una varietà di acce-zioni. La psyché conserva la notazione di vita psi-chica riferita all'anima o all'individuo anche sulla bocca di Gesù (Mc 14,34). Nel Vangelo di Matteo, Gesù parla esplicitamente della possibilità di «uccidere l'anima» (Mt 10,28; cfr. Gc 5,20). In pros-simità della passione, l'anima (psyché) di Gesù «è triste fino alla morte» (Mc 14,34). Compare anche lo spirito (pneûma), anch'esso ri-ferito all'interiorità personale (Mt 5,3; At, 17,16; 1Cor 2,11; 2Cor 2,13; Eb 12,23), sebbene in una serie di passi, la maggior parte dei quali si trova nel corpo paolino, indichi principalmente lo spi-rito umano «in riferimento allo Spirito divino» (Rm 1,9 e 8,10.16; 1Cor 6,17; 2Cor 12,18; Gal 6,18; ma anche Lc 1,80; At 18,25). È chiaro comunque che pneûma non coincide con psyché, allo stesso modo che rûah non coin-cide con nefes (1Ts 5,23; Eb 4,12). Sulla croce, al momento della sua morte, Gesù «consegnerà il suo spirito (pneûma)» (Gv 19,30).Ad immagine e somiglianza di Dio. Va notato, in chiave riassuntiva, che l'utilizzo dei termini bi-blici veterotestamentari basâr, nefes e rûah, equi-valenti ebraici dei concetti di «carne», «anima» e «spirito», è in fondo comune a quello praticato in altre tradizioni religiose e filosofiche extrabibli-che dello stesso periodo. Non si tratta, in sostanza, di termini capaci di identificare in modo chiaro e distintivo una com-piuta e determinata antropologia biblica, cioè una comprensione biblica di cosa sia l'anima

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umana. I termini biblici più pregnanti non sono infatti quelli che descrivono la natura umana in se stessa, bensì quelli di “valenza interpersona-le”, capaci di identificare le relazioni fra l'uomo e Dio. Teologicamente parlando, i termini più importanti in proposito sono quelli di creazio-ne, alleanza, salvezza, ecc., ed in campo antro-pologico meriterebbe anche attenzione quello di «cuore» (eb. lêb). La specificità discriminante dell'antropologia biblica non va cercata tanto nei termini ordinari utilizzati per indicare gli es-seri umani, la loro vita o le loro azioni, quanto piuttosto nel radicale e speciale statuto dell'es-sere umano quale creatura «a immagine e somi-glianza di Dio» (Gen 1,26), cioè come “persona”. Qui giace il nocciolo dell'antropologia biblica, incluse le sue conseguenze sulla comprensio-ne dell'anima, della sua individualità e della sua immortalità.Molti Padri della Chiesa, fra i quali Clemente di Alessandria, Origene ed Atanasio, considerarono sede di tale «immagine e somiglianza» special-mente l'intelletto e la volontà, in continuità con alcune fondamentali intuizioni dei neoplatonici e degli stoici. Questa posizione fu poi seguita, in termini generali, da molti altri autori, fra i quali Agostino e Tommaso d'Aquino. Sarebbe tuttavia un errore associare la nozione di «immagine e somiglianza di Dio» nell'uomo esclusivamente all'anima come se essa fosse qualcosa di indipendente dal corpo. Sarebbe più corretto dire che, una volta riferita tale nozione a tutto l'essere umano, si comprende allora meglio il ruolo, la natura e la finalità dell'anima, piutto-sto che viceversa. Nonostante nelle Scritture l'espressione «imma-gine di Dio», riferita all'uomo, non sia special-mente frequente (compare in Gen 1,26-27 e 9,6; Sap 2,23), l'antropologia cristiana gli ha sempre accordato un grande valore, e ciò principalmen-te per il fatto che Gesù Cristo, Verbo di Dio fatto carne, morto e risorto dai morti, viene presen-tato dal Nuovo Testamento come «immagine perfetta del Padre» (2Cor 4,4; Col 1,15; Eb 1,3 e 2,6-9). Una lettura cristologica della «teologia dell'immagine» viene confermata da Padri del-la Chiesa quali Clemente di Alessandria, Ireneo, Tertulliano, Atanasio ed altri ancora: l'antropo-logia fondata sull'uomo considerato immagine

di Dio diventa, dunque, una sorta di “cristologia implicita”.Sempre riguardo l'espressione «immagine e so-miglianza di Dio» vanno fatte qui quattro osser-vazioni. a) Nell'Antico Testamento essa viene utilizzata

per indicare il ruolo dell'uomo come signo-re della creazione o rappresentante di Dio in essa. L'uomo non è mai visto come elemento integrante di una sorta di “anima cosmica”. La superiorità dell'uomo sulla terra, sul mare, su-gli animali, è proclamata da una speciale chia-mata divina ad esercitare questo dominio-cu-stodia sul resto della creazione.

b) L'essere stato creato ad immagine e somi-glianza di Dio si manifesta anche nel carattere sociale dell'essere umano: «a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gen 1,27); l'anima umana quindi non trova il suo appa-gamento nella solitudine e nella nuda con-templazione di stampo platonico, bensì nella comunione con gli altri, e fondamentalmente nella comunione con Dio.

c) Vi è associata in modo talvolta implicito (Gen 9,6-7), altre volte esplicito (Sap 2,23) una pro-messa di immortalità.

d) Tutte queste caratteristiche dell'essere uma-no si manifestano come qualcosa di dinami-co, destinato a giungere a maturazione, sulla base di quanto ricevuto dal potere creatore e vivificante di Dio, senza che per questo l'uo-mo venga mai confuso, sul piano ontologico, con Dio: egli non è "nella" Sua immagine, ma "fatto" a Sua immagine e destinato alla comu-nione "con" Lui.

Segnaliamo infine che, per quanto attiene al rap-porto fra anima ed immortalità, esso può esse-re compreso solo alla luce della dottrina biblica sull'origine e la natura della morte, che coinvolge a sua volta la presenza del peccato e delle sue conseguenze. Basti qui ricordare che la morte non pare appartenere al piano originario di Dio sulla creatura umana, ma entra nel mondo e nel-la storia a causa del peccato dell'uomo (Gen 3,17-19; Sap 1,13-14; Rm 5,21 e 6,23), e che essa verrà totalmente eliminata dalla scena del mondo nel-la resurrezione finale (1Cor 15,54-55), promessa nell'Antico Testamento e resa definitivamente presente in Cristo risorto.