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Vol. 31, N. 4, dicembre 2019
– RASSEGNE
La malattia renale cronica non-albuminurica nel
diabete mellito tipo 1
L’evoluzione delle linee guida in diabetologia: dal
parere autorevole alla raccomandazione basata
sulle evidenze
Attività fi sica/esercizio fi sico nella terapia del
diabete di tipo 2
– EDITORIALI
A che punto siamo con il pancreas artifi ciale
– AGGIORNAMENTO DALLA LETTERATURA
Effi cacia di un algoritmo di apprendimento
nei giovani con diabete di tipo 1 con pancreas
artifi ciale
– JOURNAL CLUB
– MEDICINA TRASLAZIONALE: APPLICAZIONI
CLINICHE DELLA RICERCA DI BASE
Autofagia e diabete: una prospettiva traslazionale
– AGGIORNAMENTO CLINICO E TECNOLOGIE
Depressione e diabete: miglioramento del
compenso glicemico al di là della terapia
ipoglicemizzante
– LA VITA DELLA SID
Congresso Interassociativo AMD-SID Regione
Lombardia 18-19 ottobre 2019, Coccaglio (BS)
La sfi da al diabete: le nuove frontiere, le nuove
prospettive
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Società Italiana di Diabetologia
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Vol. 31, N. 4, dicembre 2019
Sommario
– RASSEGNE
252 La malattia renale cronica non-albuminurica nel diabete mellito tipo 1
M. Garofolo, G. Daniele, G. Penno
270 L’evoluzione delle linee guida in diabetologia: dal parere autorevole
alla raccomandazione basata sulle evidenze
E. Mannucci
279 Attività fisica/esercizio fisico nella terapia del diabete di tipo 2
S. Balducci, G. Rapisarda, F. Mantia, G. Pugliese
– EDITORIALI
292 A che punto siamo con il pancreas artificiale
D. Bruttomesso
– AGGIORNAMENTO DALLA LETTERATURA a cura di M.L. Hribal
302 Efficacia di un algoritmo di apprendimento nei giovani con diabete di tipo 1 con pancreas artificiale
304 – JOURNAL CLUB
– MEDICINA TRASLAZIONALE: APPLICAZIONI CLINICHE DELLA RICERCA DI BASE a cura di L. Marselli
306 Autofagia e diabete: una prospettiva traslazionale
V. De Tata
– AGGIORNAMENTO CLINICO E TECNOLOGIE a cura di F. Dotta, A. Solini
315 Depressione e diabete: miglioramento del compenso glicemico al di là della terapia ipoglicemizzante
S.I. Briganti, R. Strollo
– LA VITA DELLA SID
320 Congresso Interassociativo AMD-SID Regione Lombardia 18-19 ottobre 2019, Coccaglio (BS)
La sfida al diabete: le nuove frontiere, le nuove prospettive
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PLATINUM CIRCLE
GOLDEN CIRCLE
SILVER CIRCLE
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Direzione ScientificaPaolo Cavallo Perin, Torino
Direttore ResponsabileStefano Melloni
Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana
Copyright © 2019 SIDSocietà Italiana di DiabetologiaISBN 978-88-6923-469-9ISSN Online 1720-8335
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INTRODUZIONE
Al di là del rischio di end-stage renal disease (ESRD), la
malattia renale cronica associata al diabete (Diabetes
Kidney Disease, DKD) rimane uno dei più forti predittori
di ridotta aspettativa di vita nel diabete mellito di tipo 1
(DMT1) (1). L’ESRD, infatti, è la principale causa dell’ec-
cesso di morbilità e mortalità prematura in soggetti con
DMT1. Nel DMT1, un rischio doppio di mortalità per tutte
le cause e per cause cardiovascolari è registrato anche nei
soggetti con valori di HbA1c pari o inferiori a 6.9% (HR
2.36; 95% CI, 1.97 to 2.83) (2). Se gli obiettivi di HbA1c at-
tualmente raccomandati vengono raggiunti e mantenu-
ti e le complicanze renali e il fumo evitati (normoalbu-
minuria & eGFR, estimated Glomerular Filtration Rate,
≥60 ml/min/1.73m2) questo eccesso di mortalità tende a
convergere verso quello della popolazione generale e so-
stanzialmente a sovrapporsi ad esso (3). Ciononostante,
ad oggi, in Australia (4), in Svezia (5) o in Scozia (6), i sog-
getti con DMT1 hanno alla nascita (4), o all’età di 20 anni
(5-6) una riduzione della aspettativa di vita di circa 11-12
anni rispetto alla popolazione generale.
Osservazioni epidemiologiche hanno permesso di rile-
vare una sostanziale riduzione nell’incidenza di ESRD
negli ultimi decenni (7-9). D’altra parte, studi di coorte
non hanno osservato alcun declino nell’incidenza delle
fasi iniziali di DKD (10). In indagini recenti, le stime dei
tassi di incidenza dell’ESRD derivate da dati di registro o
La malattia renale cronica non-albuminurica nel diabete mellito tipo 1
Monia Garofolo, Giuseppe Daniele, Giuseppe Penno
U.O.C. di Malattie Metaboliche e Diabetologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa
da studi di coorte, hanno dimostrato una ampia variabi-
lità (7, 9, 11-13). L’incidenza cumulativa di ESRD è risul-
tata 0.7% a 20 anni di durata del diabete, 2.9% a 30 anni
e 5.3% a 40 anni nel Norvegian Childhood Diabetes Regi-
stry (11). Tale incidenza è stata 14.5% a 30 anni di durata
del diabete e 26.5% a 40 anni nel Pittsburgh Epidemio-
logy of Diabetes Complications Study per il gruppo con
insorgenza del DMT1 tra il 1965 e il 1980; tra coloro che
avevano avuto la diagnosi di DMT1 tra il 1950 e il 1964, la
percentuale che avrebbe sviluppato ESRD era più elevata:
34.6% a 30 anni, 48.5% a 40 anni e, infine, 61.3% a 50 anni
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Vol. 31, N. 4, dicembre 2019
(10, 12). Nello studio di Skupien et al., in un follow-up di
15,685 persone/anno, sono intervenuti 535 casi di ESRD
(32/1,000 persone/anno) e 228 morti non ESRD-correlate
(14/1,000 persone/anno). Il rischio di ESRD, corretto per
covariate, era significativamente più elevato nei sogget-
ti della Joslin Clinic rispetto alla coorte di riferimento
(quella del FinnDiane, Finnish Diabetic Nephropathy
Study; HR 1.44, p=0.003) e sensibilmente più bassa nel-
la coorte dello Steno Diabetes Center di Copenhagen (HR
0.54, p
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RASSEGNA
502 soggetti (13.1%) con DMT1 e eGFR
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ca) del fenotipo non albuminurico tra i pazienti con DMT1
ed eGFR ridotto, ovvero il 58.6% in una coorte toscana (Ita-
lia, MDRD, 2001-2009) (19-20); il 48.9% e il 51.5% nell’AMD-
Annals Initiative (Italia, CKD-EPI, 2004-2011) (21-22); il 54.4%
nell’UK National Diabetes Audit (Regno Unito, CKD-EPI,
2007-2008) (23) e, infine, il 59.1% nel recentissimo studio
dello Scottish Diabetes Research Network (SDRN) (15). Questi
dati sembrano quindi indicare che la prevalenza dell’in-
sufficienza renale non albuminurica potrebbe essere in
aumento nel DMT1 (come nel DMT2) e che, ad oggi, questo
fenotipo di DKD è almeno altrettanto frequente rispetto
al fenotipo albuminurico tra gli individui con DMT1 e ri-
dotta funzione renale (17). In tutti questi studi (15, 19-23),
la percentuale di soggetti con Alb-DKD è risultata com-
presa tra il 2.2% (19) e il 7.6% (23), ma con percentuali re-
lative nel contesto di tutti i soggetti con DKD≥3 comprese
tra il 48.9% (21) e il 59.1% (15).
Nel nostro studio sono stati inclusi 777 DMT1 (19-20): nor-
mo- (ACR
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RASSEGNA
DIABETE TIPO 1 E DKD NON-ALBUMINURICA: IL “DE-
CLINO PROGRESSIVO DELL A FUNZIONE RENALE”
Storicamente, nei soggetti a rischio di DKD, l’aumento
dell’escrezione urinaria di albumina precede il declino
del GFR. Tuttavia in non pochi soggetti con DKD vi è di-
saccoppiamento tra aumento di albuminuria e declinare
del GFR. Insiemi distinti di fattori di rischio sono asso-
ciati allo sviluppo di albuminuria e di ridotta funzione
renale in armonia con l’ipotesi che le due condizioni non
sono inevitabilmente associate e conseguenti. Elevata al-
buminuria e ridotto GFR, inoltre, sono fattori di rischio
indipendenti per eventi cardiovascolari e renali. Queste
osservazioni depongono per una visione bidimensionale
della DKD in cui l’evoluzione spesso indipendente dei due
principali parametri, albuminuria e GFR, che descrivo-
no la progressione del danno renale si traduce in fenotipi
eterogenei che possono progredire in maniera distinta
per tendere eventualmente a congiungersi successiva-
mente nella storia naturale della DKD. Da qui, l’ipotesi
di due diversi percorsi, uno albuminurico e l’altro non al-
buminurico nella progressione del danno d’organo verso
l’insufficienza renale.
Sono soprattutto gli studi della Joslin Clinic che hanno
proposto questo nuovo modello di DKD nel DMT1. In que-
sto modello, la caratteristica clinica predominante degli
stadi iniziali (ma anche di fasi più avanzate) della DKD
nel DMT1 è il “declino progressivo della funzione rena-
le”, non l’albuminuria (25). In questo contesto si è fatta
distinzione tra “Early Renal Function Decline” che si svi-
luppa in presenza di normale funzione renale e “Late Re-
nal Function Decline” nei pazienti con ridotta funzione
renale (eGFR 3.5 ml/
min/anno o riduzione dell’eGFR >3.3%/anno) può essere
descritta da un processo unidirezionale che prende ori-
gine e si sviluppa mentre i pazienti con DMT1 hanno
una funzione renale normale e una normale escrezione
urinaria di albumina. La riduzione della funzione rena-
le procede a un ritmo pressoché costante fino agli stadi
più avanzati della DKD e, eventualmente, fino all’ESRD,
anche se con velocità molto diverse tra diversi individui.
Il progressivo declino della funzione renale, che identi-
fica i pazienti che è possibile definire “decliners”, può
precedere l’insorgenza della microalbuminuria; d’altra
parte, questo progressivo ridursi della funzione renale
aumenta il rischio di sviluppare microalbumunuria pri-
ma, proteinuria successivamente. Ne consegue che le
coorti di DMT1 con microalbuminuria o con proteinuria
Figura 1 DKD con e senza albuminuria nel DCCT/EDIC, Diabetes Control and Complications Trial/Epidemiology of Diabetes
Interventions and Complications: in un follow-up di 19 anni, il 6.2% dei pazienti con DMT1 sviluppa DKD di stadio 3-5; il 24%
in assenza di precedente albuminuria (24)
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sono arricchite di soggetti con sostenuta riduzione della
funzione renale, i “decliners” (25). Se l’alterazione ini-
ziale che innesca il progressivo declinare della funzione
renale risiede nel glomerulo, nel tubulo, nell’interstizio
e/o nel letto vascolare intrarenale non è noto. Analoga-
mente non noti sono i meccanismi di avvio e i “driver”
di progressione della riduzione del GFR. Nessun modello
animale imita il progressivo declinare della funzione re-
nale rilevato nell’uomo, cosìcche gli studi eziopatogene-
tici devono essere condotti nei soggetti con diabete. Studi
prospettici dedicati alla ricerca di biomarcatori predittivi
dell’insorgenza e della velocità di progressione del decli-
no della funzionalità renale hanno già dato risultati po-
tenzialmente capaci di offrire opportunità per sviluppare
non solo metodi accurati per la diagnosi precoce, ma an-
che di individuare e valutare nuovi approcci terapeutici.
Identificare precocemente quali pazienti avranno tassi
rapidi, moderati o minimi di progressione verso le fasi
più avanzate di DKD permetterà di pianificare procedure
personalizzate di prevenzione e trattamento per rallenta-
re il progredire della DKD nel DMT1 (25).
Nello studio di Perkins et al. (26), First and Second Joslin Kid-
ney Study of the Natural History of Microalbuminuria in Type 1 Dia-
betes, sono stati arruolati 267 soggetti con normoalbumi-
nuria (NA) e 301 con microalbuminuria (MA) seguiti per
8-12 anni. “Early Renal Function Decline” (ERFD; -3.3%/
anno) interveniva nel 9% dei soggetti normoalbuminuri-
ci e nel 31% di quelli con MA (p60 ml/min/1.73 m2 (27). Nel corso
dei 4-10 anni di follow-up, misurazioni longitudinali di
creatinina sierica (Creat) e cistatina C (CysC) sono state
usate per tracciare le traiettorie individuali delle modifi-
cazioni di eGFR-Creat/CysC. Le “rate” di declino di eGFR-
Creat/CysC sono state stratifiche per distinguere i “non-
decliners”, cioè i soggetti con eGFR stabile o riduzione
dell’eGFR mediana) quasi tutti i “decliners” avevano valori
stabili di eGFR (traiettorie orizzontali) per diversi anni
Tabella 2 Frequenza dei “decliners” (riduzione di eGFRCreat-CysC ≥3.3%/anno) nei soggetti con normo- (NA) e
microalbuminuria (MA) del 2nd Joslin Kidney Study (25)
eGFRCreat-CysC NA (n. %) MA (n. %)
≥90 505 (7%) 329 (24%)
60-89 71 (18%) 105 (40%)
30-59 19 (21%) 78 (48%)
Tutti 595 (10%) 513 (32%)
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258
RASSEGNA
Figura 3 Traiettorie dell’eGFR in pazienti con
DMT1 e microalbuminuria incidente (28). Pannello A:
“nondecliners”, soggetti con eGFR stabile, cioè con
modificazioni dell’eGFR
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che la progressione a macroalbuminuria, potrebbero es-
sere conseguenti o svilupparsi in parallelo all’“ERFD”
La relazione tra progressivo declinare della funzione re-
nale e cambiamenti di escrezione urinaria di albumina
è stata esplorata esaminando le traiettorie di eGFR nei
pazienti che hanno sviluppato MA nel 1st Joslin Kidney Study
(28). La MA incideva in 79 DMT1 seguiti per i successivi 10
anni. Le traiettorie dell’eGFR di questi pazienti sono trac-
ciate in figura 3. La funzione renale è risultata stabile nel-
la maggior parte dei casi (70%) nonostante lo sviluppo di
MA (Fig. 3, pannello A). Le restanti traiettorie (30%) iden-
tificano i soggetti “decliners” (cioè quelli con riduzione
di eGFR ≥3.3% per anno) (Fig. 3, pannello B); tale riduzio-
ne dell’eGFR era già in atto al momento della comparsa
della MA e progrediva nel successivo follow-up. Analoga-
mente a quanto osservato tra i decliners con NA (Fig. 2,
entrambi i pannelli) le traiettorie di riduzione dell’eGFR
tra i soggetti con MA sono correttamente rappresentate
da semplici rette di regressione, anche se con pendenze
ampiamente variabili tra singoli individui. Nei 10 anni
del follow-up, DKD≥3 era raggiunta dalla metà dei “de-
cliners”, l’ESRD in cinque pazienti. Se le traiettorie di
declino del GFR rimangono lineari, DKD≥3 comparirà
dai restanti “decliners” nel corso dei successivi 10 anni. Il
pannello B di figura 3 descrive sia l’“Early Renal Function
Decline” che il “Late Renal Function Decline”. ll primo si
riferisce al declinare def GFR mentre la funzione renale
è normale, una caratteristica delle fasi precoci di DKD,
mentre la seconda è una condizione ben nota che caratte-
rizza le fasi più avanzate della DKD. È evidente l’assenza
di peculiarità che distinguono le due fasi del declinare
della funzione renale, tranne il loro punto di partenza.
Così declino precoce e tardivo dell’eGFR potrebbero essere
segmenti successivi di un unico, lineare e uniforme pro-
cesso (25, 28).
Le traiettorie di declino dell’eGFR sono state anche esa-
minate nel Joslin Protenuria Cohort Study (15, 29) in cui 240
DMT1 con proteinuria e eGFR >60 ml/min/1.73 m2 sono
stati seguiti in un follow-up di 7-18 anni. In questo stu-
dio, un calo di eGFR -7 ml/
min/anno) con progressione a ESRD entro 2-10 anni. Un
altro 25% aveva un declino moderato della funzione rena-
le (eGFR con pendenza da -7 a -3 ml/min/anno) e prevedi-
bile progressione a ESRD entro 10-30 anni. Il rimanente
50% dei pazienti aveva un declino lento o nullo della fun-
zione renale e solo una piccola parte verosimilmente pro-
gredirà ad ESRD durante 30 anni di follow-up.
Dati simili sono stati ottenuti in un successivo studio
che ha incluso 257 DMT1 che hanno sviluppato ESRD tra
il 1991 e il 2013 e per i quali erano disponibili 5 o più stime
seriali dell’eGFR (30). Nei 24 anni (mediana 6.7 anni) che
hanno preceduto l’intervenire di ESRD il declino annuale
di eGFR variava da -72 a -2 ml/min/1.73m2 (mediana -8.5);
le traiettorie erano lineari nell’87% dei casi, “accelera-
ting” nel 6% e “decelerating” nel 7%. Così, un singolo pro-
cesso sembra essere alla base del progressivo declinare
dell’eGFR fin dal suo intervenire; tale processo potrebbe
continuare con la stessa intensità fino all’ESRD (30).
Quanto illustrato (Figg. 2-4) suggerisce che il declino
progressivo della funzione renale si potrebbe porre come
manifestazione primaria di DKD nel DMT1. La riduzione
della funzione renale si configura come il nuovo para-
digma della DKD (31-32). Il declino progressivo della fun-
zione renale è rappresentato come un processo unidire-
zionale sovrapposto al decorso naturale delle alterazioni
dell’escrezione urinaria di albumina. Quest’ultima può
regredire, rimanere stabile, o progredire (33-34) mentre il
declino della funzionalità renale, una volta avviato, pro-
gredisce inevitabilmente, anche se a velocità molto diver-
se in individui diversi. In una analisi combinata dei dati
del First and Second Joslin Kidney Studies in T1DM (35), progressi-
vo declino della funzione renale è stato rilevato in circa il
9%, 22% e 51% dei pazienti con NA, MA, e proteinuria, ri-
spettivamente (Fig. 5). Queste osservazioni sono state re-
centemente replicate in una ampia coorte di soggetti con
DMT1 rappresentativa della popolazione adulta con DMT1
in Scozia (15). Le percentuali di soggetti con progressivo
declino della funzione renale è risultata simile a quella
rilevata negli studi della Joslin Clinic (11.2% in NA, 22.5%
in MA e 63.8% tra i macroalbuminurici) (Fig. 5).
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RASSEGNA
Tale declinare della funzione renale aumenta il rischio
di MA in DMT1 con NA e il rischio di proteinuria in DMT1
con MA. Pertanto, come già ricordato, tra i DMT1 con MA
vi sarà un arricchimento in “decliners” e tra i DMT1 con
proteinuria un arricchimento ulteriore. Nel DMT1, il ri-
schio “lifetime” di ESRD, epilogo del progressivo declina-
re della funzione renale che prende origine in pazienti
con NA, è stimato essere del 10-15%. ESRD si manifesta
in DMT1 con durata di diabete estremamente lunga; ad
esempio, tra i 172 casi di ESRD del Joslin Protenuria Study, la
mediana della durata del DMT1 all’esordio dell’ESRD era
pari a 28 anni (95% CI 21-37).
DIABETE TIPO 1 E DKD NON-ALBUMINURIC A:
MORTALITÀ PER TUT TE LE C AUSE ED OUTCOMES
C ARDIOVA SCOL ARI E RENALI
Recentemente il FinnDiane Study Group (18) ha riporta-
to che su 3809 pazienti con DMT1, 78 (2.0%) presentano il
fenotipo non albuminurico di DKD. L’età media di que-
sta popolazione era di 37.6±11.8 anni, la durata media del
diabete di 21.2±12.1 anni. Il FinnDiane è uno studio pro-
spettico che ha permesso di valutare in un follow-up di
13 anni quale è l’associazione tra questo fenotipo non al-
buminurico di DKD e il rischio di eventi cardiovascolari,
di outcome renali e di mortalità per tutte le cause. Nei 13
anni del follow-up, 378 DMT1 (9.9%) avrebbero sviluppato
ESRD, 415 (11.5%) avrebbero avuto eventi cardiovascolari e
406 (10.7%) sarebbero deceduti. Il fenotipo non albuminu-
rico di DKD stadio 3-5 non risultava associato ad un au-
Figura 4 Distribuzione delle velocità di declino di
eGFR in 240 DMT1 con proteinuria reclutati nella Joslin
Proteinuria Cohort: soggetti con valori di eGFR basale
>60 ml/min/1.73m2 seguiti per 7-18 anni (29)
Figura 5 Progressione del declinare dell’eGFR in
relazione alle categorie di albuminuria in soggetti con
DMT1 (studi prospettici). Tutti i soggetti presentavano
normale eGFR al momento del reclutamento negli studi
(15, 35)
mentato rischio di sviluppare albuminuria (HR 2.0, 95%
CI 0.9-4.4) o ESRD (HR 6.4, 95% CI 0.8-53.0) (Fig. 6), ma
era associato ad un aumentato rischio di eventi cardiova-
scolari (HR 2.0, 95% CI 1.4-3.5) e di morte per tutte le cause
(HR 2.4, 95% CI 1.4-3.9) (Fig. 6). Il più elevato rischio di
eventi renali e cardiaci è stato registrato nei soggetti con
fenotipo albuminurico di DKD.
Nello studio prospettico di Garofolo et al. (36), sono sta-
ti inclusi 774 DMT1 seguiti in un follow-up medio di 8.2
anni: 692 individui (89.4%) erano no DKD, 53 (6.8%) DKD1-
2, 17 (2.2%) Alb- DKD≥3 e 12 (1.6%) Alb+ DKD≥3. In partico-
lare, il fenotipo Alb- DKD≥3 rappresentava il 21% circa di
tutti i soggetti con DKD e il 58% dei soggetti con DKD≥3.
La prevalenza di soggetti ad alto rischio vascolare (EURO-
DIAB Prospective Complications Study risk score basato
su età, HbA1c, circonferenza vita, colesterolo HDL e al-
buminuria) aumentava progressivamente dal 9.1% nei no
DKD, al 34.0% nei DKD1-2, al 64.7% nei soggetti con feno-
tipo Alb- DKD≥3, fino al 91.7% in quelli con fenotipo Alb+
DKD≥3 (p
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261
Vol. 31, N. 4, dicembre 2019
ti Alb+ DKD≥3 (Fig. 7). L’incidenza di eventi CV maggiori
aumentava (p
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262
RASSEGNA
za di retinopatia. La più rapida caduta di eGFR è stata re-
gistrata nei soggetti con macroalbuminuria sia nel DMT1
che nel DMT2. Dopo aggiustamento per “confounders”,
il declino annuale di eGFR proiettato a 10 anni è stato
1.9, 2.2 e 3.3 ml/min/1.73 m2 nei normo-, micro- e macro-
albuminurici tra i DMT1; 1.9, 2.1 e 2.9 ml/min/1.73 m2
nei DMT2 (Figg. 8-9). Due tracce distinte nell’andamen-
to dell’eGFR tra i soggetti con NA sono state descritte sia
nel DMT1 che nel DMT2: la prima traccia, la più frequen-
te (86% e 90%, rispettivamente in DMT1 e DMT2), è carat-
terizzata da un iniziale aumento di eGFR seguito da un
declino lineare progressivo; la seconda traccia, la meno
frequente (14% e 10% in DMT1 e DMT2), è caratterizzata da
iniziale riduzione di eGFR seguita da relativa stabilità o
modesto aumento dell’eGFR (Figg. 8-9). Sia nel DMT1 che
nel DMT2, i livelli di eGFR seguono una traiettoria di pro-
gressivo lineare declino quando l’eGFR si riduce a volori
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263
Vol. 31, N. 4, dicembre 2019
DIABETE TIPO 1 E DKD NON-ALBUMINURIC A: AL-
TER A ZIONI NELL A STRUT TUR A RENALE
In soggetti con DMT1 e NA, ma ridotto GFR, Lane e coll.
(38) hanno riportato che l’istologia renale era indistingui-
bile da quella di soggetti con ridotto GFR ed albuminuria.
Infatti, rispetto a soggetti con normale funzione renale e
NA, l’espansione mesangiale, la ialinosi arteriolare e la
glomerulosclerosi erano aumentate in maniera sovrap-
ponibile nei soggetti con ridotto GFR isolato, in quelli con
MA isolata ed, infine, in coloro che presentavano contem-
poraneamente ridotto GFR e MA. Caramori e coll. (39) in
105 DMT1 con NA e durata di malattia >10 anni dimostrano
che i 23 soggetti (22%) che pur normoalbuminurici presen-
tavano valori di GFR
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264
RASSEGNA
giche e funzionali. È interessante ipotizzare che l’abbas-
samento dei livelli di acido urico nei soggetti con DMT1
e ERFD possa ridurre il rischio di DKD. Lo studio PERL,
Preventing Early Renal Loss in Diabetes, si propone di ve-
rificare questa ipotesi (42-43). Lo studio PERL valuterà gli
effetti dell’allopurinolo in soggetti con DMT1 e DKD lieve
o moderata, con o senza albuminuria. In questo studio,
i partecipanti con NA e ERFD presentano molti fattori di
rischio per DKD così come quelli con albuminuria, ma
caratterizzati da minore severità (43). In particolare, i
soggetti con NA e ERFD (n. 94 vs 419) avevano maggiore
età (56 vs 52 anni), più bassi livelli di HbA1c (7.7% vs 8.1%)
e di uricemia (5.4 vs 6.0 mg/dl), più elevati valori di eGFR
(82 vs 74 mL/min/1.73m2), ma più severa pregressa ridu-
zione di eGFR (-4.7 vs -2.5 ml/min/1.73 m2/anno).
Elevate concentrazioni sieriche di TNFR-1 o -2 sono forte-
mente associate con il rischio di stadi avanzati di DKD,
come DKD≥3 o ESRD (44). Il 2nd Joslin Kidney Study include
DMT1 con NA ed estende tale associazione alle fasi inizia-
li di riduzione della funzione renale (27). D’altra parte, i
livelli sierici di TNF-α non sono coinvolti, direttamente
o indirettamente, attraverso la regolazione dei TNFR nel
siero, nell’indurre il declinare della funzione renale (45).
Inoltre, le concentrazioni sieriche di diversi potenziali ef-
fettori a valle di TNFR (chemochine e molecole di adesio-
ne, come l’interleuchina-8, IP-10, MCP1, VCAM e ICAM)
non sono anch’essi associati al declino della funzione re-
nale (45). Interessante è l’interazione negativa tra acido
urico e TNFR1 sul rischio di declino del GFR sia nei sog-
getti con NA che in quelli con MA; questo significa che
il rischio di declino della funzione renale per i pazienti
con elevati livelli di acido urico e TNFR1 è inferiore alla
somma dei loro singoli rischi (27), suggerendo che gli ef-
fetti predisponenti di acido urico e TNFR1 potrebbero con-
vergere su un percorso comune di natura non nota che
potrebbe non essere ulteriormente attivato da un fattore
se già innescato dall’altro.
Alterazioni tubulo-interstiziali indotte dal processo in-
fiammatorio potrebbo svolgere un ruolo rilevante nella
patogenesi del danno renale (46). A favore di questa ipo-
tesi, le concentraziioni urinarie di citochine/chemochi-
ne quali IL-6, IL-8, MCP-1, IP-10, e MIP-1δ sono risultate
più elevate nei decliners rispetto ai non-decliners e, tra i
non-decliners, simili in NA e MA (46). L’aumento di più
markers distingue meglio i decliners dai nondecliners.
Infatti, in analisi multivariata, l’elevazione di due o più
citochine/chemochine urinarie era fortemente associata
al rischio futuro di ERFD. Al contrario, le concentrazione
sieriche di CRP, IL-8, e MIP-1δ non differivano tra decli-
ners e nondecliners (47). Così, aumentati livelli urinari
di marcatori di infiammazione non sono associati con la
MA per sé, ma sono specifici per il declino del GFR anche
nelle sue fasi più precoci (46).
KIM-1 (Kidney Injury Molecule-1) è un marker di danno
del tubulo prossimale. Nel 2nd Joslin Kidney Study, eleva-
te concentrazioni urinarie e plasmatiche di KIM-1 sono
associate con l’ERFD indipendentemente dai livelli di
TNFR-1 o da marker di danno glomerulare quali l’albu-
minuria. Così, alterazioni a livello del tubulo prossimale
potrebbero svolgere un ruolo indipendente sulla compar-
sa di iniziale e progressiva riduzione del GFR in DMT1 con
NA o MA (47). Benché il rischio di sviluppare progressiva
riduzione della funzione renale sia fortemente associa-
to con i livelli sierici di KIM-1 anche nei DMT1 con NA, il
compartimento renale o la componente cellulare a livello
dei quali muove il danno renale rimane incerto. Candida-
ti, come già ricordato, rimangono il glomerulo, il tubulo,
l’interstizio piuttosto che il microcircolo. Incerto rimane
anche se vi siano differenze nei meccanismi responsabi-
li del declino precoce verso quello tardivo della funzione
renale. Quando la funzione renale è normale, la perdita
precoce di GFR può essere espressione di cambiamenti
funzionali; la perdita tardiva di GFR può essere più stret-
tamente associata a alterazioni morfologiche in uno o
più compartimenti renali. Tuttavia, la somiglianza delle
velocità di perdita di GFR durante le fasi precoci rispetto
a quelle tardive potrebbe giocare a sfavore di questa ipo-
tesi. Rimane infine incerto come spiegare l’ampia varia-
bilità inter-individuale nella rate di declino del GFR; tali
progressioni possono essere definite come rapida, mode-
rata o lenta, o addirittura identificare i non-decliners.
L A DIAGNOSI DI “PROGRESSIVE RENAL FUNC TION
DECLINE”
I dati epidemiologici dimostrano che la maggior parte dei
pazienti con NA e una parte di quelli con MA e proteinu-
ria non potrà mai sviluppare ESRD; inoltre, tra gli indi-
vidui a rischio di ESRD la velocità di perdita di GFR varia
ampiamente. Pertanto, non solo è necessario identifica-
re i pazienti destinati a sviluppare la progressiva perdita
della funzione renale distinguendoli precocemente da
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265
Vol. 31, N. 4, dicembre 2019
coloro che ne saranno risparmiati, ma anche distinguere
i decliners “rapidi” da quelli “moderati o lenti” per sti-
mare il tempo di insorgenza di ESRD.
Attualmente, due parametri sono utilizzati per diagno-
sticare la DKD: l’escrezione urinaria di albumina (una
misura di danno glomerulare) e la creatinina sierica (una
misura di perdita di funzione renale). I due parametri,
pur usati in combinazione, non forniscono informazioni
circa la velocità di perdita della funzione renale e non per-
mettono di stimare il tempo all’ESRD. Krolewski et al. (48)
hanno dimostrato che una singola misura di cistatina C
è superiore alla creatinina nello stratificare il rischio di
sviluppare ESRD nel DMT1. Inoltre, TNFR-1 o TNFR-2 sono
buoni predittori del futuro sviluppo di DKD≥3 e di ESRD
in soggetti con DMT1 (44-45). Risultati simili sono stati
ottenuti da altri in popolazioni diverse (49-50). È stato
quindi ipotizzato che un set di parametri bioumorali (per
esempio, albuminuria, creatinina, cistatina C, TNFR-1)
possa permettere di costruire uno strumento capace di
stratificare il rischio di progressivo (precoce o tardivo) de-
clino della funzione renale e stimare, tenendo conto della
linearità della riduzione della funzione renale, il tempo
di insorgenza di ESRD (25). In questa direzione vanno i ri-
sultati di un recente studio prospettico realizzato su 859
DMT1 reclutati nello Scottish Diabetes Research Network
Type 1 Biosource (SDRNT1BIO) e su 315 DMT1 del FinnDia-
ne (51); tutti i soggetti avevano un eGFR basale compreso
tra 30 e 75 ml/min/1.73m2, il follow-up è stato di 2-3 anni.
Tra i numerosi biomarkers analizzati, l’antigene CD27
(un componente della superfamiglia del recettore del fat-
tore di necrosi tumorale 7), KIM-1 e l’α1-microglobulina
hanno mostrato la più forte associazione sia con il livello
di eGFR alla fine del follow-up (corretto per il valore basa-
le di eGFR) che con la progressione rapida dell’eGFR defi-
nita come riduzione superiore a 3 ml/min/1.73m2/anno.
Questo, dopo aggiustamento per età, sesso, durata del
diabete, eGFR basale e durata di osservazione. Almeno il
75% del miglioramento di predizione dell’eGFR finale era
attribuibile a CD27 e KIM-1. È necessario tuttavia osser-
vare che l’impiego come parametro predittivo aggiuntivo
dei valori pregressi di eGFR offre una performace simile a
quella dei biomarkers (51). Gli autori concludono che nel
contesto di una ampia piattaforma di biomarkers, solo
due di essi (CD27 e KIM-1) conferiscono pressoché per in-
tero l’informazione aggiuntiva in termini di predizione
della progressione dell’eGFR. L’incremento della capaci-
tà di predizione è risultato tuttavia modesto, utile per
arricchire futuri trials clinici di soggetti con rapida pro-
gressione di malattia, soprattutto quando non vi è suffi-
Figura 9 Progressivo declino di eGFR in soggetti con DMT2 giunti alla soglia di DKD3 (eGFR 60 ml/min/1.73m2). Il
declinare dell’eGFR interviene anche in assenza di albuminuria (37)
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266
RASSEGNA
ciente informazione sulla pregressa traiettoria dell’eGFR
stesso, ma superfluo nel setting clinico.
Un altrettanto recente studio ha esplorato il ruolo di mar-
kers circolanti di infiammazione nello svuluppo di ESRD
(52). Questo studio ha dimostrato che una “Kidney Risk
Inflammatory Signature” (KRIS), rappresentata da 17
proteine e arricchita in componenti della superfamiglia
di TNFR, era associata all’incidenza di ESRD in un fol-
low-up di 10 anni sia nel DMT1 che nel DMT2. KRIS sem-
bra contribuire in maniera forte al processo infiammato-
rio che sottende la progressione ad ESRD in entrambe le
forme di diabete. In particolare, TNFR-1 sembra avere un
ruolo prevalentemente indipendente dalla coesistenza di
albuminuria: l’effetto di TNFR-1 è stato stimato per il 66%
albuminuria-indipendente e solo per il 34% albuminuria-
dipendente (52).
Nell’ampio studio dello Scottish Diabetes Research Net-
work Type 1 Biosource (SDRNT1BIO) sono stati reclutati
5777 DMT1 con età alla diagnosi del diabete
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Vol. 31, N. 4, dicembre 2019
progressivo declino della funzione renale. Senza nulla to-
gliere al valore dei cambiamenti dell’albuminuria come
forte endpoint surrogato per la progressione della ma-
lattia renale cronica (53-54), il declino progressivo della
funzione renale si potrebbe porre come manifestazione
primaria di DKD nel DMT1. La riduzione della funzione
renale si configura cioè come un nuovo paradigma di
DKD.
Questo declino progressivo della funzione renale rappre-
sentato un processo unidirezionale indipendente e solo in
parte sovrapposto al decorso delle alterazioni dell’escre-
zione urinaria di albumina. Quest’ultima può regredire,
rimanere stabile, o progredire, mentre il declino della
funzione renale, una volta avviato, progredisce inevita-
bilmente, anche se a velocità molto diverse in individui
diversi. Questo ha importanti implicazioni non certo per
ridimensionare il valore dell’albuminuria come un end-
point surrogato di danno renale (53-54), ma per disegna-
re modelli diversi di DKD che includono nuovi percorsi e
nuovi marcatori di rischio e che si sviluppano in parallelo
e forse in alternativa al tradizionale “percorso albuminu-
rico” verso l’ESRD (17, 55).
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R A S S E G N A
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R A S S E G N A
L’evoluzione delle linee guida in diabetologia: dal parere autorevole alla raccomandazione basata sulle evidenze
Edoardo Mannucci
Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche Mario Serio, Università degli Studi di Firenze, AOU Careggi, Firenze
DALL’ARTE MEDIC A ALL A SCIENZ A MEDIC A: L A NE-
CESSITÀ DELLE LINEE GUIDA
Per molti secoli, la Medicina è stata un’attività essenzial-
mente artigianale, in cui le decisioni cliniche venivano
prese sulla base di conoscenze fisiopatologiche e ragiona-
menti deduttivi, integrati dall’esperienza del singolo pro-
fessionista. Poi, gradualmente, nell’arco degli ultimi due
secoli, all’Arte si è sostituita la Scienza: studi sistematici
condotti con metodi rigorosi hanno consentito di con-
frontare gli effetti di interventi diagnostici e terapeutici
diversi, fornendo dati su cui orientare le scelte. Il ruolo
di altri elementi (conoscenze fisiopatologiche, ragiona-
mento, esperienza), pur senza scomparire, è stato ridi-
mensionato. La medicina empirica è stata così sostitui-
ta dalla Medicina Basata sulle Evidenze (1). I trial clinici
randomizzati sono diventati la fonte principale di infor-
mazione per determinare una scelta clinica, mentre gli
studi epidemiologici (osservazionali) sono stati relegati in
secondo piano; le considerazioni di ordine fisiopatologico
e i pareri personali degli esperti hanno uno spazio residuo
solo nei campi in cui non esistono sufficienti evidenze.
La diversa sensibilità del mondo medico riguardo alla
necessità di accumulare evidenze per guidare le scelte te-
rapeutiche, assieme alle richieste progressivamente più
stringenti da parte delle autorità regolatorie per l’appro-
vazione di nuovi farmaci, test diagnostici e dispositivi,
ha determinato un aumento marcato del numero di trial
randomizzati. Nel 1977, furono pubblicati 24 trial sul dia-
bete; nel 2017, ne sono stati pubblicati 2007 (2). Questo ren-
de del tutto impossibile, per il singolo clinico, acquisire in
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maniera critica la totalità delle informazioni necessarie
per le decisioni quotidiane attraverso la lettura dei singo-
li studi, anche in settori specialistici. Di conseguenza, si
sono iniziate a sintetizzare le evidenze derivanti dai trial
clinici in revisioni sistematiche e metanalisi (3).
Anche il numero delle metanalisi, però, è andato rapi-
damente crescendo nella letteratura internazionale (Fig.
1). I clinici sono sottoposti ad un sovraccarico di dati,
restando esposti al rischio che una scelta selettiva delle
informazioni di riferimento determini una distorsione
delle decisioni diagnostiche e terapeutiche. La situazione
è quella descritta da Borges ne La Biblioteca di Babele (4): ad
una grandissima mole di informazioni teoricamente di-
sponibili corrisponde la pratica impossibilità di reperire i
dati che realmente servono.
Le Linee Guida rappresentano un tentativo di risposta a
questa condizione. Esse sono infatti raccolte di raccoman-
dazioni, che forniscono in maniera fruibile per il singolo
clinico una sintesi delle evidenze disponibili in letteratu-
ra, integrate da ragionamenti e pareri di esperti.
L A PROLIFER A ZIONE DELLE LINEE GUIDA IN DIA-
BETOLOGIA
Nell’intenzione dei loro estensori, le linee guida hanno
l’obiettivo di indirizzare correttamente le scelte nella pra-
tica clinica, traducendo in decisioni pragmatiche l’insie-
me delle conoscenze disponibili. Le linee guida quindi
sono uno strumento fondamentale per la diff usione della
cultura medica. Di conseguenza, non stupisce che moltis-
sime Società Scientifi che si siano fatte promotrici di linee
guida specifi che per il loro settore. A queste si sono ag-
giunte molte istituzioni pubbliche, anch’esse interessate
a guidare le scelte diagnostiche e terapeutiche dei clinici.
Come risultato, si è assistito ad una vera e propria prolife-
razione di linee guida.
Nel campo del diabete, le principali Società Scientifi che
dei vari paesi hanno tutte creato delle proprie linee guida.
Ad esempio, per la gestione clinica del diabete di tipo 2 si
possono reperire, a livello internazionale, alcune decine
di linee guida diverse. In Italia, la Società Italiana di Dia-
betologia e l’Associazione Medici Diabetologi si sono lode-
volmente unite per generare un unico, corposo documen-
to: gli Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito (5).
In altri paesi, come gli Stati Uniti, esistono più linee gui-
da sul diabete prodotte da Società Scientifi che diverse (6-
7). Ci sono poi le linee guida delle società diabetologiche
canadese (8), tedesca (9), giapponese (10) e di altre Società
nazionali, cui si aggiungono quelle di Società Scientifi che
sovranazionali come la International Diabetes Federation (11) e
quelle di enti e istituzioni pubbliche, come il National In-
stitute for Clinical Excellence britannico (12). Inoltre, elementi
Figura 1 Le evidenze disponibili: numero di trial randomizzati e di metanalisi sul diabete pubblicate in un anno
(Fonte: Pubmed; keyword: “diabetes”)
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RASSEGNA
che riguardano la gestione del diabete di tipo 2 si possono
trovare anche in linee guida cardiologiche (13), nutrizio-
nali (14) e di altri settori.
Il risultato di questa proliferazione è che alla Babele de-
gli studi e a quella delle metanalisi si sta affiancando la
Babele delle linee guida. Teoricamente, essendo basate
sull’evidenza, linee guida diverse dovrebbero fornire in-
dicazioni sovrapponibili; in realtà, le raccomandazio-
ni sono spesso discordanti tra le diverse linee guida. Un
esempio di eterogeneità è quello riportato nella Tabella 1:
confrontando gli Standard Italiani (5) con le linee guida
americane (6-7) e britanniche (12), emergono differenze
rilevanti sia nella definizione dei target terapeutici che
nell’identificazione dei farmaci da utilizzare in prima o
in seconda istanza.
In questo contesto così multiforme, non è possibile pro-
cedere ad un ulteriore livello di sintesi, creando una ipo-
tetica meta-linea guida: occorre invece scegliere quali tra
le raccomandazioni discordi è il miglior punto di riferi-
mento. Per fare questa scelta, è necessario considerare
vari elementi: temporali, di contesto e, soprattutto, me-
todologici.
IL FONDAMENTO DELLE LINEE GUIDA: AUTOREVO -
LEZ Z A DEGLI ESPERTI O FOR Z A DELLE EVIDENZE?
Le differenze tra linee guida sono attribuibili a diversi
fattori. In un settore in cui le conoscenze si accumulano
molto rapidamente, come la diabetologia, alcune diffe-
renze possono essere attribuite ad un fattore temporale:
le evidenze effettivamente disponibili al momento dell’e-
missione delle linee guida possono infatti variare da un
documento all’altro. Da questo punto di vista, le linee-
guida più recenti devono essere considerate con maggior
attenzione rispetto a quelle più vecchie. Ci sono però an-
che altri fattori che contribuiscono in modo sostanziale
all’eterogeneità delle raccomandazioni.
Intanto, va considerato il contesto assistenziale cui le
linee guida si riferiscono, che può variare molto da un
paese all’altro. Ad esempio, nel caso della terapia farma-
cologica del diabete di tipo 2, le linee guida statunitensi
prendono in considerazione, e possono includere tra le
molecole raccomandate, alcuni farmaci non approvati in
Europa con questa indicazione, come la bromocriptina e
il colesalvan (7). Inoltre, al di là delle diversità regolatorie,
l’organizzazione del sistema sanitario può influire sul
contenuto delle linee guida. Nei sistemi meno garantiti,
l’accesso a farmaci e procedure può essere pesantemente
condizionato dalle disponibilità economiche e può quindi
essere necessario offrire, oltre alle scelte qualitativamen-
te migliori, anche opzioni a basso costo, pur se conside-
rate di minor qualità (6). Assai diverso è il contesto di un
sistema universalistico di sanità pubblica in cui le spese
sono a carico della collettività, in cui si devono fare consi-
derazioni complessive di costo-efficacia (5, 12). Anche i co-
sti delle varie procedure diagnostiche e terapeutiche sono
molto diversi da un paese all’altro, così come le ricadute
organizzative delle scelte cliniche, che dipendono dalla
struttura del sistema.
Al di là delle differenze geografiche e di contesto, però, le
principali diversità tra le linee guida sono di ordine meto-
dologico. Con il nome generico di “linee guida”, infatti, si
sono indicati nel corso degli anni (talvolta impropriamen-
te) documenti molto diversi tra loro.
Tradizionalmente, le linee guida venivano formulate da
comitati di esperti riconosciuti nel settore; le raccoman-
Tabella 1 Confronto tra alcune linee guida su target di emoglobina glicata e farmaci di prima e seconda scelta per
il trattamento del diabete di tipo 2
Linea Guida Target HbA1c Farmaco di 1° linea Farmaci di 2° linea
AMD/SID (5) 48 mmol/mol* Metformina Pioglitazone, GLP1RA, SGLT2i, DPP4i
ADA (6) 53 mmol/mol Metformina Pioglitazone, GLP1RA, SGLT2i, DPP4i, sulfaniluree
ACE/AACE (7) 48 mmol/mol Metformina, GLP1RA, SGLT2i, DPP4i, AGI
Bromocriptina, colesalvan, pioglitazone, sulfaniluree
NICE (12) 48 mmol/mol* Metformina Pioglitazone, SGLT2i, DPP4i, sulfaniluree
* 53 mmol/mol nei pazienti trattati con sulfaniluree e/o insulina
GLP1RA: agonisti recettoriali del GLP1; DPP4i: inibitori DPP4; SGLT2i: inibitori SGLT2; AGI: inibitori della α glucosidasi
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vengono, previa valutazione e discussione critica tra i
curatori, integrate nella versione definitiva, sottoposta
all’approvazione dei Consigli Direttivi delle due Società. Il
coinvolgimento dell’intera comunità diabetologica ha un
duplice scopo: da un lato, riduce la probabilità che sia sta-
ta trascurata qualche evidenza rilevante; dall’altro, ren-
de le raccomandazioni più aderenti alla pratica clinica e
quindi più applicabili. Questo sistema non dà comunque
garanzia di una considerazione critica di tutte le evidenze
disponibili, che può essere assicurata solo da una revisio-
ne sistematica con adeguati criteri formali.
IL METODO GR ADE PER L A COSTRUZIONE DELLE
LINEE GUIDA
Nell’ultimo decennio, lo standard metodologico di riferi-
mento per la costruzione di linee guida è diventato il si-
stema Grading of Recommendations Assessment, Development and
Evaluation (GRADE) (16-17). Si tratta di un metodo che serve
ad assicurare che:
1. tutte le evidenze rilevanti vengano prese in conside-
razione;
2. ciascun elemento di evidenza sia valutato critica-
mente, non solo per i risultati ottenuti ma anche per
la validità dei metodi utilizzati;
3. le raccomandazioni traducano in maniera fedele i
risultati degli studi disponibili, con un’indicazione
accurata della forza delle evidenze.
Il processo che conduce alla formulazione di una racco-
mandazione con il metodo GRADE è riassunto nella Fi-
gura 2. Si tratta di un procedimento che dovrebbe essere
applicato da un panel autorevole e rappresentativo, che
comprenda al suo interno tutte le competenze cliniche e
metodologiche necessarie alla formulazione delle linee
guida.
a. Il primo passo è l’identificazione di quesiti clinici ri-
levanti, che dovrebbero (nei limiti del possibile) ade-
rire allo schema detto PICO (Patient, Intervention, Com-
parison, Outcome). Un tipico esempio di quesito PICO
potrebbe essere: “Nei pazienti con diabete di tipo 2
senza pregressi eventi cardiovascolari, è preferibile
prescrivere una terapia antiaggregante oppure no per
la prevenzione della malattia cardiovascolare?”.
b. Una volta definito il quesito, occorre stabilire quali
sono gli effetti (positivi e negativi) del trattamen-
to rilevanti per la decisione terapeutica. Nel caso in
dazioni scaturivano da una discussione ampia e ragio-
nata tra gli esperti. Il parere degli esperti, che integra
dati derivanti da studi clinici con l’esperienza clinica
personale, le conoscenze fisiopatologiche e il ragiona-
mento deduttivo, può essere sicuramente un’indicazione
ed una guida preziosa. Esso espone però ad alcuni rischi
consistenti. Il parere di ciascun esperto, anche di am-
pia cultura, può basarsi comunque su una conoscenza
incompleta degli studi esistenti. Inoltre, la presenza di
convinzioni preesistenti basate su conoscenze fisiopatolo-
giche ed esperienze cliniche personali può condizionare
(e distorcere) l’interpretazione dei risultati. Il confronto
tra più esperti riduce, ma non annulla, la possibilità di
distorsioni. Per questo motivo, i documenti formulati da
comitati di esperti sulla base dei propri convincimenti do-
vrebbero essere indicati come “pareri di esperti” (“expert
opinion”) o “documenti di consenso” (“consensus document”);
qualora vengano promossi o adottati da Società Scienti-
fiche, possono essere definiti “Position Statement”. In nes-
sun caso dovrebbero essere etichettati come linee guida.
Nella realtà, si assiste invece ad una discreta confusione
terminologica. Ad esempio, la American Diabetes Association
riporta nelle proprie linee guida (6) l’algoritmo della te-
rapia farmacologica del diabete di tipo 2 di un Consensus
panel nominato congiuntamente con la European Association
for the Study of Diabetes (15); questo algoritmo dovrebbe essere
più correttamente indicato come documento di consenso
e non dovrebbe diventare parte integrante di una linea
guida.
D’altro canto, è vero che le linee guida possono includere
pareri di esperti, ma soltanto nei casi in cui non esistano
sufficienti evidenze per formulare una raccomandazione
basata su risultati di studi adeguati. Pareri anche autore-
voli non possono avere, infatti, la stessa forza dei dati de-
rivanti da studi sistematici condotti con metodi rigorosi.
Per questo motivo, tutte le linee guida propriamente dette
dovrebbero riportare l’indicazione dei livelli di evidenza
delle singole raccomandazioni, permettendo al lettore di
distinguere agevolmente ciò che si fonda su evidenze e
semplici opinioni.
Per gli Standard Italiani per la Cura del Diabete (5), che
riportano il livello di evidenza delle singole raccomanda-
zioni, SID e AMD hanno scelto di potenziare la condivisio-
ne: la bozza di ciascuna versione, preparata da un gruppo
ristretto di esperti, viene condivisa con tutti i Soci, cui
viene chiesto di avanzare proposte ed obiezioni, che poi
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RASSEGNA
esempio, potrebbero essere (in via del tutto ipoteti-
ca) l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori, la
mortalità, l’incidenza di sanguinamenti gastrointe-
stinali, i disturbi dispeptici, le interferenze farma-
cologiche. Si classifi cano quindi questi esiti per rile-
vanza e si escludono quelli meno importanti. Gli esiti
selezionati come molto rilevanti per la scelta terapeu-
tica, in questo esempio, potrebbero essere l’incidenza
di eventi cardiovascolari maggiori, la mortalità e i
sanguinamenti.
c. Per i soli esiti rilevanti, si procede a raccogliere l’evi-
denza secondo criteri codifi cati. Nell’esempio in que-
stione, si potrebbero considerare i trial randomizzati
contro placebo che valutano l’eff etto del trattamento
antiaggregante specifi camente nelle persone con dia-
bete, o che riportano dati per sottogruppo per i pa-
zienti diabetici. Si eff ettua una ricerca sistematica
della letteratura, specifi cando i database consultati
(PubMed, Embase, ecc.) e le parole chiave.
d. Per tutti i trial raccolti, si valuta secondo criteri stan-
dardizzati la qualità metodologica. Se esiste più di un
trial disponibile, per ciascuno degli eff etti rilevanti
per il trattamento si eff ettua una metanalisi.
e. Dai dati così sintetizzati, seguendo un algoritmo pre-
defi nito, si ricava la scelta e si formula la raccoman-
dazione, corredata del grado di evidenza a sostegno;
quest’ultimo tiene conto non solo dell’ampiezza degli
eff etti descritti e del numero degli studi disponibili,
ma anche della forza metodologica degli studi.
L’intento di questo metodo è quello di ottenere raccoman-
dazioni quanto più possibile basate sull’evidenza, senza
l’interferenza di opinioni personali. In realtà, anche con
il rigore del metodo GRADE restano degli spazi lasciati a
decisioni opinabili, in particolare nella defi nizione dei
quesiti e degli eff etti dei trattamenti rilevanti per le scelte
cliniche. Nonostante questa limitazione, il GRADE è co-
munque la procedura che garantisce la massima obietti-
vità possibile.
L A VALUTA ZIONE DELL A QUALITÀ DELLE LINEE
GUIDA: L A GRIGLIA AGREE II
La qualità metodologica, assieme all’aggiornamento e
all’applicabilità nel proprio contesto assistenziale, è quin-
di il criterio principale che dovrebbe guidare il clinico
nella scelta delle linee guida cui riferirsi. Un ausilio in
questa valutazione è rappresentato dalla griglia AGREE
(Advanced Guideline development, REporting and Evaluation) II (18),
sintetizzata nella tabella 2. Il nucleo fondamentale della
valutazione è quello del Dominio 3 (Rigore nello sviluppo),
che riguarda la sistematicità nella ricerca delle evidenze
e la solidità della relazione tra evidenze e raccomanda-
zioni. In pratica, è diffi cile ottenere il massimo delle va-
lutazioni in questo dominio senza usare il metodo GRA-
DE. Accanto a questo aspetto, la griglia AGREE considera
anche altri elementi rilevanti: la chiarezza (Dominio 1 e
Dominio 4), l’applicabilità (Dominio 5) e l’indipendenza
da interessi terzi (Dominio 6). Un punto fondamentale,
esplorato nel Dominio 2, riguarda il coinvolgimento nella
costruzione della linea guida di tutti gli attori rilevanti
nel processo, dalle varie fi gure professionali coinvolte nel-
la cura agli stessi pazienti.
L’ INTERSEZIONE CON L A MEDICINA LEGALE: L A
NUOVA LEGGE SULL A RESPONSABILITÀ PROFES-
SIONALE
Le linee guida nascono innanzitutto come uno strumento
di indirizzo e supporto per la pratica clinica: le raccoman-
dazioni che le compongono dovrebbero essere un ausilio
per il professionista nella propria attività quotidiana, a
Figura 2 Metodo GRADE per la formulazione di rac-
comandazioni da inserire nelle linee guida (16-17)
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servizio del paziente. Al tempo stesso, esse hanno pos-
sibili implicazioni di tipo medico-legale: il rispetto (o il
mancato rispetto) di raccomandazioni contenute in linee
guida autorevoli possono facilmente diventare argomen-
ti di dibattito nelle aule di tribunale, quando si devono
dirimere controversie su casi di responsabilità professio-
nale.
Un’importante novità a questo riguardo è rappresentata
dalla legge 24/2017 sulla responsabilità professionale (la
cosiddetta “Legge Gelli”), che ha stabilito che il medico
chiamato a rispondere del proprio operato non può essere
condannato se dimostra di aver seguito le raccomanda-
zioni delle linee guida (19). Naturalmente, vista la proli-
ferazione di linee guida, si pone il problema di stabilire
quale sia la linea guida di riferimento. La stessa Legge
risponde al quesito, creando il Sistema Nazionale delle
Linee Guida (SNLG), istituito con un decreto attuativo del
Ministero della Salute (20) e normato da un regolamento
dell’Istituto Superiore di Sanità (21). Si tratta di un reper-
torio online di linee guida, costituito e continuamente
aggiornato sotto la sorveglianza dello stesso Istituto Su-
periore di Sanità.
Secondo il regolamento, le Società Scientifiche accredita-
te, le Regioni, le Università e gli IRCSS possono presenta-
Tabella 2 La griglia di valutazione delle linee-guida AGREE-II (18)
Dominio Elemento di valutazione
1. Scopo e obiettivo Gli obiettivi generali sono descritti chiaramente
I quesiti di salute coperti dalla linea guida sono descritti chiaramente
Le popolazioni cui si applica la linea guida sono descritti chiaramente
2. Coinvolgimento Il gruppo di lavoro comprende tutte le professioni sanitarie rilevanti
Sono state considerate le preferenze dei pazienti
Gli utenti della linea guida sono chiaramente definiti
3. Rigore nello sviluppo Le evidenze sono state ricercate con revisioni sistematiche
I criteri di ricerca delle evidenze sono descritti chiaramente
La forza e le limitazioni delle evidenze sono descritti chiaramente
I metodi per la formulazione delle raccomandazioni sono descritti chiaramente
Benefici, rischi ed effetti collaterali sono considerati per la formulazione delle raccomandazioni
Esiste un legame esplicito tra le raccomandazioni e le evidenze
La linea guida è verificata da revisori esterni prima della pubblicazione
Viene fornita una procedura per l’aggiornamento della linea guida
4. Chiarezza di presentazione Le raccomandazioni sono specifiche e non ambigue
Le diverse opzioni per la gestione della condizione clinica sono descritte chiaramente
Le raccomandazioni chiave sono chiaramente identificabili
5. Applicabilità La linea guida fornisce suggerimenti su come le raccomandazioni possono essere messe in pratica
La linea guida descrive elementi facilitanti e ostacoli all’applicazione
Si è considerata l’implicazione sulle risorse dell’applicazione delle raccomandazioni
La linea guida comprende sistemi di monitoraggio e/o verifica
6. Indipendenza Gli orientamenti dei finanziatori non hanno influenzato il contenuto della linea guida
I possibili conflitti di interesse dei membri del gruppo di lavoro sono stati resi espliciti e adeguatamente gestiti.
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RASSEGNA
re domanda per l’inserimento di linee guida già esistenti
nel SNLG. Per essere approvate per l’inserimento, le linee
guida devono rispondere a reali esigenze di salute (cioè,
riguardare malattie frequenti, con opzioni di trattamen-
to multiple, in rapida evoluzione e/o controverse); soprat-
tutto, però, devono essere di qualità molto elevata secon-
do la griglia AGREE II. Di fatto, gli Standard Italiani di
Cura per il Diabete Mellito (5) non rispondono ai requisiti
per entrare a far parte del Sistema Nazionale delle Linee
Guida.
Gli stessi soggetti elencati sopra (comprese, quindi, le So-
cietà Scientifiche accreditate) possono anche proporre la
formulazione di nuove linee guida per il SNLG, presen-
tando un’apposita domanda. Se la proposta viene accetta-
ta dall’Istituto Superiore di Sanità, le Società Scientifiche
possono provvedere entro un tempo definito (massimo
due anni) a creare la linea guida, con i requisiti di qualità
della griglia AGREE II. Per raggiungere l’obiettivo, l’Isti-
tuto Superiore di Sanità raccomanda in particolare di:
1. Usare il metodo GRADE;
2. Coinvolgere nel gruppo di lavoro (il cosiddetto panel)
tutte le figure professionali interessate al trattamen-
to di quella specifica condizione;
3. Inserire nel panel un esperto di farmacoeconomia;
4. Inserire nel panel un rappresentante dei pazienti.
Al termine del processo, la Linea Guida viene valutata da-
gli esperti dell’Istituto ed accettata nel SNLG soltanto se
soddisfa i criteri previsti dalla griglia AGREE II.
UNO SGUARDO AL FUTURO: LE NUOVE LINEE GUI-
DA SUL DIABETE
Con la nuova normativa, SID e AMD si sono trovate a
fare una scelta strategica riguardo alle linee guida. Una
prima possibilità, di più facile attuazione, era quella di
mettere in ponte una nuova edizione degli Standard di
cura, secondo la modalità tradizionale. In questo caso, il
documento sarebbe rimasto fuori dal Sistema Naziona-
le delle Linee Guida, ed il suo impatto sarebbe rimasto
affidato soltanto alla qualità del testo e all’autorevolez-
za delle due Società. L’alternativa era quella di creare
ex novo delle Linee Guida con caratteristiche adatte per
l’inclusione nel SNLG; si è scelta questa seconda opzione,
benché tecnicamente molto più complessa, perché così si
sarebbero ottenute raccomandazioni non solo di maggior
valore giuridico, ma anche, e soprattutto, certificate per
qualità metodologica.
Questa scelta strategica ha conseguenze importanti. Gli
Standard di cura, nelle loro varie edizioni, erano costi-
tuiti da un breve lista di raccomandazioni e da un lungo
testo esplicativo, con i riferimenti bibliografici, che in
alcune parti poteva ricordare un libro di testo. Non è raro
il caso di studenti (in particolare nelle Scuole di Specia-
lizzazione) che utilizzano gli Standard come testo di ri-
ferimento. Le nuove linee guida, per il modo in cui sono
costruite, saranno inevitabilmente più sintetiche, con
raccomandazioni puntuali corredate da brevi note e qual-
che diagramma. In un documento di supporto più corpo-
so sarà descritto in dettaglio il processo che ha portato
alla raccomandazione e sarà riportata in modo struttu-
rato l’evidenza a sostegno. La prima caratteristica delle
nuove Linee Guida, quindi, sarà la sintesi.
Una seconda conseguenza sarà la riduzione del numero
di capitoli. Oggi, gli Standard di Cura affrontano molti
temi importanti sul piano clinico e organizzativo, ma
poco sostenuti da evidenze di qualità. Ci sono alcuni ca-
pitoli in cui tutte le raccomandazioni derivano da con-
senso di esperti. Argomenti sui quali ci sono poche evi-
denze non si adattano alla formulazione di linee guida
secondo il sistema GRADE. Una caratteristica importan-
te delle nuove Linee Guida sarà quindi la selettività degli
argomenti.
Il regolamento del Sistema Nazionale delle Linee Gui-
da (21) prevede, in accordo con uno dei criteri di qualità
AGREE II (18), che nel comitato di redazione di una linea
guida siano presenti, oltre a rappresentanze dei pazien-
ti e ad esperti di farmacoeconomia, anche tutte le pro-
fessionalità coinvolte nel processo di cura di cui la linea
guida si occupa. Nel caso del diabete, questo requisito
rappresenta un ostacolo pressoché insormontabile: se si
volessero formulare linee guida omnicomprensive sulla
gestione clinica della malattia e delle sue complicanze
(come erano gli Standard di Cura), si dovrebbero coinvol-
gere nel comitato di redazione diverse decine di specia-
listi diversi, rendendo il processo di fatto ingovernabile.
Per questo motivo, si è scelto di frazionare la cura del dia-
bete e delle complicanze in tante sezioni diverse, per le
quali coinvolgere, di volta in volta, specialisti differenti
(oculisti per la retinopatia, nefrologi per la nefropatia,
ecc.). Per il momento, SID e AMD hanno presentato con-
giuntamente due domande di Linee Guida da inserire nel
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Sistema Nazionale: la terapia del diabete di tipo 1 e la te-
rapia del diabete di tipo 2. Entrambe sono già state accet-
tate e sono attualmente in fase di preparazione. Altre do-
mande seguiranno, magari con la collaborazione di altre
Società, con l’intento di formare, poco a poco, un reperto-
rio di Linee Guida sul diabete, tutte inserite nel Sistema
Nazionale delle Linee Guida. Un aspetto inevitabile delle
nuove Linee Guida sarà quindi il frazionamento.
Naturalmente, le nuove Linee Guida saranno realizzate
con il sistema GRADE (16-17), in modo da avere le mas-
sime garanzie di rigore metodologico, imparzialità e ri-
producibilità. L’elemento maggiormente caratterizzante
delle nuove Linee Guida, quindi, rispetto agli Standard
di Cura, sarà proprio il maggior rigore.
La normativa sulle Linee Guida imposta dalla Legge Gelli
e dai successivi decreti e regolamenti attuativi ha sicu-
ramente aumentato il livello di complessità insita nella
realizzazione delle Linee Guida, costringendoci a speri-
mentare soluzioni nuove e a percorrere strade inesplora-
te. Al tempo stesso, però, questa normativa rappresenta,
per tutta la nostra comunità specialistica, uno straordi-
nario stimolo verso il miglioramento, fornendoci l’oppor-
tunità di realizzare le linee guida migliori che la Diabe-
tologia italiana abbia mai avuto. Il lavoro è già in corso.
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278
RASSEGNA
sponsabilità professionale degli esercenti le professioni
sanitarie. Gazzetta Ufficiale 64 del 6/3/17.
20. Dccreto Ministero della Salute 27/2/18. Istituzione del
Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG). Gazzetta Uffi-
ciale 66 del 20/03/18.
21. ISS. Procedure per la proposta di inserimento di linee
guida nel Sistema Nazionale LineeGuida 2018. Available
from: https://snlg.iss.it/wp-content/uploads/2019/01/
manuale-operativo-SNLG-v2_aprile-2018.pdf.
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R A S S E G N A
FAD ECM “il Diabete”Questa rassegna fa parte di un percorso di formazione a distanza
accreditato a livello nazionale e disponibile gratuitamente nell’aula
virtuale della SID (www.fad.siditalia.it).
Per partecipare al corso occorre:
1. Leggere la rassegna (disponibile anche on-line)
2. Registrarsi all’aula e iscriversi al corso “il Diabete”
3. Rispondere on-line