l'acqua e le sue proprietà chimico-fisiche: una proposta...
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Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze della Formazione
Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria _______________________________________________________
Tesi di Laurea
in Didattica della Fisica
L'acqua e le sue proprietà chimico-fisiche:
una proposta didattica per la scuola primaria
Relatore:
Dott. Samuele Straulino
Studentessa:
Alice Gori
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Anno Accademico 2008/2009
1
Indice
Introduzione……………………………………………………………………..3
I CAPITOLO
L’acqua: un mondo di conoscenza
1. L’acqua: un composto straordinario………………………………………….5
2. L’acqua: storia e origine……………………………………………………...7
3. L’acqua nei miti………………………………………………………………8
4. La scienza in nostro aiuto…………………………………………………….9
5. La chimica…………………………………………………………………..10
6. La fisica……………………………………………………………………..13
7. Studio scientifico dell’acqua………………………………………………..16
8. La meccanica dei fluidi……………………………………………………...22
II CAPITOLO
Dalla scienza alla conoscenza
1. L’insegnamento scientifico………………………………………………….29
2. La scola di ieri e di oggi…………………………………………………….36
III CAPITOLO
Mettiamo in pratica le conoscenze acquisite
1. Per cominciare………………………………………………………………41
2. Il contesto…………………………………………………………………...42
3. Marie Curie: la mia musa ispiratrice………………………………………..44
4. Una dura scelta: l’argomento……………………………………………….46
5. Eureka……………………………………………………………………….48
2
6. Addentriamoci nei dettagli………………………………………………….49
7. Le parti da trattare…………………………………………………………..51
8. La parte più difficile………………………………………………………...52
9. L’ultima prova prima della realizzazione…………………………………...54
10. L’organizzazione degli incontri………………………………………….56
Il progetto incontro dopo incontro
1. I incontro
Il primo approccio alle scienze……………………………………………...57
2. II incontro
Partiamo dalla solubilità…………………………………………………….66
3. III incontro
La superficie dell’acqua: la tensione superficiale…………………………..75
4. IV incontro
Uno strano gioco di forze: la pressione……………………………………..81
5. V incontro
Una strana spinta: la legge di Archimede…………………………………...97
6. VI incontro
La conclusione…………...………………………………………………...105
Conclusioni……………………………………………………………………117
Bibliografia……………………………………………………………………120
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Introduzione
L’esperienza quotidiana ci porta spesso a vedere ciò che abbiamo intorno senza però riuscire
davvero ad osservare la realtà con sguardo attento e critico. La scienza ci insegna ad
approfondire ogni aspetto dei fenomeni naturali per poterne comprendere l’intima essenza e
per capirne le cause. Con il mio progetto mi sono proposta di avvicinare i bambini al mondo
della scienza e della scoperta, per far loro conoscere il volto divertente e coinvolgente di
questa disciplina.
Le discipline scientifiche sono poco amate dagli alunni poiché di solito sono legate a nozioni
e a leggi apprese dai libri di testo. Ma con un approccio didattico ben organizzato ed
appropriato, che faccia ricorso ad attività di laboratorio come si conviene a discipline che
sono basate sugli esperimenti, si può avviare un processo di conoscenza scientifica
significativo e profondamente formativo.
L’elaborato si compone di tre parti.
La prima parte è stata dedicata alla presentazione dell’acqua, composto indispensabile per la
vita di tutti gli esseri viventi. L’analisi ha riguardato sia la struttura molecolare e le proprietà
che ne derivano, sia la meccanica dei fluidi, che spiega le ulteriori proprietà fisiche.
Poi ho dedicato un po’ di spazio ad un approfondimento sulla metodologia che caratterizza le
discipline scientifiche e sull’importanza delle scoperte della scienza nel mondo attuale; in
particolare mi sono soffermata sulla chimica e sulla fisica, nell’ambito delle quali si svolge il
mio progetto didattico.
Nel secondo capitolo ho proposto alcune considerazioni sulle teorie pedagogiche e
psicologiche che tentano di spiegare l’acquisizione dei concetti scientifici da parte dei
bambini, per cercare di individuare le strategie educative più appropriate per l’insegnamento.
Per comprendere meglio il ruolo delle discipline scientifiche nella scuola di oggi ho ritenuto
necessario ripercorrere le tappe che, tra programmi e riforme, hanno finalmente permesso di
riconoscere l’autonomia e l’importanza delle scienze nella formazione dei bambini.
Il terzo capitolo è stato poi dedicato alla realizzazione del mio progetto. Nella prima parte ho
scritto il resoconto dettagliato di tutte le riflessioni e considerazioni da me fatte in fase di
preparazione; nella seconda parte, invece, ho analizzato il percorso incontro dopo incontro,
cercando di analizzare i momenti più salienti e significativi.
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Le prove di verifica che i bambini hanno svolto sono state utilizzare per una valutazione sul
risultato finale del lavoro svolto.
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I capitolo
L’acqua: un mondo di conoscenza
“ Dalla terra nasce l’acqua, dall’acqua nasce l’anima…
È fiume, è mare, è lago, stagno, ghiaccio e quant’altro…
È dolce, salata, salmastra,
è luogo presso cui ci si ferma e su cui si viaggia.”
Eraclito
1. L’acqua: un composto straordinario L’ acqua è l’origine della vita, l’origine del mondo…
Questa sostanza è talmente comune che è facile non accorgersi quanto essa sia eccezionale, e
quanto siano straordinarie le sue qualità.
È innegabile che l’acqua abbia un ruolo vitale.
Tutti gli organismi di cui abbiamo esperienza, dal piccolo microrganismo al più grande essere
vivente, sono costituiti prevalentemente da acqua e vivono in un mondo in cui questa sostanza
influenza il clima e molte caratteristiche dell’ambiente.
Nell’evoluzione della Terra a partire della sua formazione, avvenuta circa 4,5 miliardi di anni
fa, l’acqua e le sue proprietà hanno avuto un ruolo fondamentale. “Essa è stata sia il mezzo in
cui il sistema vivente si è formato ed evoluto, sia una sorta di ‘motore’ che partecipa e ha
partecipato all’aumento di complessità del sistema mediante la formazione di aggregati di
macromolecole. Le sue proprietà sono essenziali per consentire l’esistenza degli organismi
viventi perché hanno costituito e costituiscono ancora un importante catalizzatore per
l’evoluzione biologica.” 1 La vita da milioni di anni è indissolubilmente legata all’acqua: in
effetti non soltanto le cellule sono di solito circondate da acqua, ma soprattutto “ne hanno un
contenuto che varia dal 70% al 95%”. 2 Il corpo umano ne è composto per circa il 60-70%
nell’adulto.
1 “La vita: un gioco d’acqua” G. Principato, abstract di una conferenza (da http://scientiaemunus.provincia.parma.it/ ) 2 Neil A. Campbell, Principi di biologia, Zanichelli, Bologna, 1998
6
L’ acqua, che ricopre circa tre quarti di tutta la superficie terrestre, è l’unica sostanza, tra le
più comuni, capace di esistere in natura in tutti e tre gli stati fisici della materia: solido,
liquido e gassoso. Questa sua proprietà le permette di essere la protagonista indiscussa del
ciclo per eccellenza che raggiunge ogni zona della Terra e permette la rigenerazione
stagionale del pianeta. Osservando ogni piccolo paesaggio, di mare, di montagna, di collina, è
evidente la sua presenza o comunque la sua azione.
L’abbondanza dell’acqua sulla Terra, che rappresenta uno dei principali fattori che la rendono
abitabile, ha portato l’uomo ad utilizzarla in infiniti usi e abitudini, dalla pulizia quotidiana,
alla preparazione del cibo, fino all’uso simbolico in riti e celebrazioni, diversi in ogni cultura.
Infatti, la mitologia trae la sua più profonda iniziazione proprio dall’acqua, elemento simbolo
di purezza e di rigenerazione.
Ma perché è così importante?
L’ acqua da sempre è stata oggetto dell’interesse e della curiosità dell’uomo, ma è soprattutto
grazie alle conoscenze scientifiche via via acquisite e alle moderne ricerche sviluppate
nell’ambito della chimica, della fisica e della biologia che è stato possibile spiegare i motivi
che rendono questo elemento così essenziale per la nostra esistenza.
Ripercorrendo le tappe dello sviluppo del nostro pianeta, scopriamo che fino a 360 milioni di
anni fa l’acqua rimase l’unico ambiente in cui poté manifestarsi la vita e solo più tardi
iniziarono a comparire animali in grado di sopravvivere anche sulla terraferma. Da quel
momento l’evoluzione delle specie ha portato dalla comparsa dei dinosauri, fino a quella dei
mammiferi. Ma è solo circa 4 milioni di anni fa che si è verificato il salto più grande, la
comparsa dei primi ominidi.
Le tappe dell’evoluzione del mondo si ripercorrono idealmente nello sviluppo di ogni uomo,
che avviene anch’esso in un’acqua particolare: il liquido amniotico.
La stretta relazione tra l’acqua e la Terra e, necessariamente, tra l’acqua e la vita, costituisce
un motivo valido per dedicare una profonda attenzione allo studio delle caratteristiche e delle
proprietà di questo elemento.
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2. L’acqua nella filosofia antica3 L’importanza dell’acqua come elemento indispensabile per la vita sulla Terra è stata
riconosciuta fin dai tempi molto antichi. Non è un caso, infatti, che le prime civiltà si siano
sviluppate proprio vicino ai grandi fiumi che, in alcuni casi, con grandi inondazioni rendevano
le terre vicine particolarmente fertili.
L’acqua dagli antichi era considerata una sostanza “sacra”. Intorno a questo significato
simbolico sono nate teorie e credenze che per molto tempo sono state utilizzate per spiegare le
sue proprietà e la sua natura. La “teoria dei quattro elementi”, tramandata da Aristotele,
accettata dagli studiosi del tempo, affermava che l’acqua era l’essenza di tutto ciò che è
liquido e umido, elemento fondamentale per la composizione dell’universo. Insieme all’aria,
alla terra e al fuoco, l’acqua rappresentava l’origine di tutte le cose, poiché all’epoca
credevano che costituisse, in combinazione con gli altri elementi, ogni tipo di materia.
Secondo tale teoria le sostanze inanimate erano formate da una mescolanza, in diverse
proporzioni, di tutti e quattro gli elementi. Il ferro, ad esempio, si pensava che contenesse
molta terra perché era pesante, un po’ di acqua perché era freddo, pochissima aria e un po’ di
fuoco che lo rendeva lucente. Questi quattro elementi non erano considerati costituiti di
piccole particelle, alla stregua dei nostri atomi, ma erano ritenuti come una sorta di “plasma”
continuo senza spazi vuoti.
Anche gli esseri viventi erano costituiti da questi elementi, ma avevano in più un principio:
“la forza vitale”. La convinzione che piante ed animali riuscissero a trasformare la materia
inanimata in materia vivente grazie alla loro forza vitale è stata per molto tempo oggetto di
osservazioni e di critiche che hanno posto le premesse per la nascita della moderna teoria
dell’atomo. Nel XVIII secolo un alchimista fiammingo, J.B. Van Helmont, con vari
esperimenti arrivò a concludere che le piante utilizzano l’acqua per trasformarla in legno e in
foglie. Sebbene la sua conclusione non fosse del tutto esatta poiché non teneva conto dell’aria,
lo studioso ebbe il merito di aver messo in dubbio le affermazioni aristoteliche, aprendo la
strada alla futura biochimica.
3 M. Puccin, Acqua e scienza, EMI, Bologna 2007. R. Tripoli, L’importanza biologica e naturale dell’acqua, unità 6, Formazione per la Comunicazione
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3. L’acqua nei miti 4
L’acqua da sempre viene considerata come il principio e l’origine della creazione. Questa idea
trova conferma nella testimonianza dei numerosi riti, miti e leggende che si sono tramandati
per millenni in tutte le culture del mondo, dove l’acqua come sostanza primordiale riveste un
ruolo di protagonista con diversi significati, talvolta in senso positivo e salvifico, talora in
senso negativo e oscuro.
Indipendentemente dal luogo o dalla tradizione religiosa, per molti popoli antichi l’acqua
rappresenta il principio fondamentale del mondo. A differenza della Terra, che rappresentava
il mondo conoscibile e raggiungibile, l’acqua, con le immense distese del mare e dei laghi
veniva considerata legata al mistero, come un mondo inconoscibile. Proprio questo ha
determinato la nascita di un’incredibile varietà di miti e leggende proprie di ogni cultura e
società.
Nelle civiltà mediterranee, dato lo stretto legame tra l’acqua e la vita, importanti divinità,
come Afrodite, dea dell’amore e della vita, nascevano dal mare. Anche Poseidone, divinità
marina, era legato all’acqua, e in particolare riassumeva i pericoli e la potente forza distruttiva
del mare in tempesta.
Se per gli Egizi l’acqua del Nilo era portatrice di fecondità e di vita, in India era ritenuta
sostanza purificatrice per il lavaggio delle colpe. Anche la pioggia aveva le sue divinità:
nell’antichità l’uomo per invocare la pioggia compiva anche sacrifici, danze e preghiere.
Presso i Maya, divinità sanguinarie dominavano le acque sotterranee, chiedendo sacrifici
umani. Secondo Eraclito era proprio l’acqua che dava il senso del moto e del tempo mentre la
pietra rappresentava l’eterna fissità.
Secondo la tradizione nordica l’acqua che è contenuta nel ghiaccio primordiale si scioglie per
effetto del vento caldo del sud e gocciolando dà origine al primo essere vivente. La mitologia
cinese invece considerava la terra e il mare aspetti di un essere primordiale da cui tutto ha
avuto origine.
In ogni regione, da nord a sud, da est ad ovest, ci sono credenze e mitologie legate a questo
composto, che fin dall’origine è stato elemento indispensabile per la vita dell’uomo.
4 M. Puccin, Acqua e scienza, EMI, Bologna 2007 F. Mosetti, L’acqua, Scuola e didattica, n.13, Editrice La Scuola, 1992, Brescia
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4. La scienza in nostro aiuto Come fare per riuscire a conoscere meglio le caratteristiche e la natura dell’acqua?
L’aiuto ci viene fornito da quei settori della scienza che di solito fanno più paura, soprattutto a
studenti e ragazzi: la chimica e la fisica.
Proprio così. La chimica e la fisica sono la parte della scienza che più ci aiuta a comprendere i
fenomeni che si osservano in natura, e a spiegare perché ciò che ci circonda è fatto in un certo
modo.
Anche se a un primo impatto spaventano e impegnano, per la complessità degli argomenti e
per la necessità di astrazione e di ragionamento che richiedono, in seguito la difficoltà lascia il
posto ad un mondo affascinante e stimolante, che apre alla mente l’esistenza come di un
mondo parallelo.
Fino a pochi decenni fa le conoscenze scientifiche non potevano raggiungere larghi strati della
popolazione, dato che la scienza era tenuta praticamente ai margini dell’insegnamento della
scuola dell’obbligo. Con il passare del tempo la situazione è migliorata di gran lunga,
producendo un’amplificazione vertiginosa negli studi e nelle ricerche che stanno portando la
scienza, e di conseguenza la tecnologia, ad un’evoluzione velocissima, impensabile qualche
decennio fa.
Tuttavia ci rendiamo conto che la cultura scientifica è ancora appannaggio di pochi e che
l’uomo comune spesso se ne sente escluso. Tutt’oggi nelle scuole si utilizzano metodi teorici
e mnemonici per l’insegnamento delle scienze che non sono adatti per queste discipline.
Prima di addentrarci nello studio delle proprietà dell’acqua, cerchiamo di capire quali sono gli
spazi di indagine di queste due scienze e quali prospettive la chimica e la fisica possono aprire
all’uomo.
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5. La chimica 5 «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma»
Antoine Lavoisier (1743- 1794)
È difficile immaginare un qualsiasi fenomeno o fatto in cui non sia chiamata in gioco la
chimica. Tutto, infatti, attorno a noi ed in noi, è chimica: dal piccolo filo d’erba del prato del
giardino, al cibo con cui ci alimentiamo; dagli oggetti plastici di uso comune come lo
spazzolino da denti, dai medicinali indispensabili per la nostra salute. E non solo: anche il
funzionamento o il mal funzionamento del corpo umano è regolato da reazioni chimiche.
Ebbene: la chimica è parte della vita.
Anche se è un po’ difficile da comprendere, la chimica riguarda tutte le manifestazioni della
vita, e, in qualche modo, riguarda anche quei processi mentali come l’apprendimento, la
memoria, il pensiero, che sono nient’altro che il risultato di reazioni chimiche particolarmente
complesse, di cui ancora molti studiosi si stanno occupando.
Per riuscire a comprendere profondamente le cause e il modo in cui avvengono i fenomeni e i
fatti che sono intorno a noi è necessario scendere nel piccolo, anzi nel piccolissimo, ovvero a
livello atomico e molecolare. Per capire come noi uomini possiamo sopravvivere dobbiamo
fare come una “zoomata”: dall’albero (dimensioni dell’ordine del metro), alle foglie (10 cm2 x
0,3 mm), alle cellule (50 µm), ai cloroplasti (5 µm), ai grani (200 nm), fino ad arrivare a
“congegni” costituiti da un certo numero di componenti molecolari assemblati in modo
opportuno. Ed è proprio a questo livello atomico che si verifica un complesso di reazioni
molto complicato che costituiscono il processo fotosintetico.
La materia è composta da un’infinità di enti, gli atomi appunto, dei quali conosciamo
l’esistenza esclusivamente grazie a strumenti molto complessi che ne svelano le caratteristiche
indirettamente. Gli studiosi, infatti, hanno scoperto la struttura atomica e l’esistenza delle
particelle subatomiche a piccole tappe e mediante prove e verifiche da cui ottengono ulteriori
conoscenze.
A causa delle dimensioni così piccole, gli atomi e le molecole sono fuori dal nostro ambito
esperienziale e quindi è difficile credere alla loro esistenza basandosi sull’intuizione.
5 Balzani V., Credi A., Venturi M., “Perché la chimica è importante, utile e bella” Dip. di Chimica dell’Università di Bologna (http://wwwcsi.unian.it/educa/prodiba/balzani.html)
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Goethe, ad esempio, diceva che la scienza deve essere a scala umana e si opponeva all’uso del
microscopio, affermando che ciò che non si può vedere a occhio nudo non deve essere
cercato, perché evidentemente è nascosto all’occhio umano per qualche buona ragione.
Questa affermazione è contraria alla logica della scienza che, soprattutto negli ultimi anni, ha
spinto le sue indagini sempre più verso il “piccolo”, con il desiderio principale di conoscere
meglio la natura, ma anche per sfruttare, da un punto di vista tecnologico, i vantaggi che ne
possono derivare.
Ormai da molti anni i chimici hanno approfondito lo studio di molecole e atomi conoscendone
ogni comportamento anche senza un approccio diretto.
Per capire come è fatta la materia e cos’è la chimica può essere molto utile fare un paragone
fra chimica e linguaggio.
Se prendiamo come esempio la nostra scrittura, essa è costituita da simboli, ovvero le lettere,
raccolte in un alfabeto che le contiene tutte. Nella chimica i simboli sono gli atomi e l’alfabeto
è la Tavola Periodica. Continuando il parallelo, come le lettere combinate possono formare le
parole, allo stesso modo più atomi insieme costituiscono le molecole, che sono quindi le
parole della chimica. Come ci sono parole brevi e parole lunghe, così ci sono molecole fatte di
pochi atomi (come la molecola d’acqua, che ha due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, H2O)
e molecole grandi (come l’emoglobina che è addirittura formata oltre 9000 atomi). Una prima
conclusione, allora, è che il mondo è fatto di molecole, così come il linguaggio è fatto di
parole.
Ma il parallelismo continua. Un numero limitato di elementi, che siano lettere o atomi,
possono dar luogo ad un’incredibile complessità, che però deve necessariamente rispondere a
precise leggi e regole. Infatti queste combinazioni di lettere o atomi devono avere un senso e
quindi essere inserite in un contesto più ampio e generale. Infatti come nel linguaggio le
parole che vengono combinate per comporre frasi devono necessariamente avere un senso
compiuto, adeguato al discorso più generale, allo stesso modo in chimica una molecola per
poter svolgere una propria funzione deve essere inserita in un sistema più ampio e generale,
ovvero la macromolecola. In tal senso si potrebbe proseguire associando un paragrafo ad un
enzima, un capitolo di un libro a un mitocondrio, un libro ad un protozoo, una collana di libri
ad un animale poco evoluto ed infine un’intera biblioteca ad un uomo.
Il paragone biblioteca-uomo è davvero intuitivo non tanto a livello quantitativo, quanto
soprattutto a livello organizzativo. Infatti, come le lettere contenute nelle biblioteche non sono
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messe a caso, bensì ordinate in parole, frasi, paragrafi, capitoli, volumi e collane al fine di
esprimere informazioni e concetti, così gli atomi del corpo umano sono ben ordinati in
molecole, sistemi sopramolecolari, enzimi, cellule e organi per compiere le funzioni
necessarie alla vita.
Il paragone fra chimica e linguaggio, pur nei suoi limiti forse troppo semplicistici, ha forse il
pregio di farci capire non solo che gli atomi rappresentano la più piccola entità utilizzata dalla
chimica, ma soprattutto che gli organismi viventi sono dei sistemi chimici dove un numero
incredibilmente grande di molecole è disposto in modo altrettanto incredibilmente ordinato.
Quindi gli oggetto di studio della chimica sono le proprietà e le strutture dei costituenti della
materia (atomi, molecole, cristalli e altri aggregati) e le loro interazioni reciproche, da cui
hanno origine gli stati della materia. È importante precisare che tale studio non è limitato alle
sue proprietà in un dato istante, bensì riguarda anche le sue trasformazioni, ovvero le reazioni
chimiche.
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6. La fisica “La missione più alta del fisico è dunque la ricerca delle leggi elementari,
le più generali, dalle quali si parte per raggiungere,
attraverso semplici deduzioni, l’immagine del mondo.
Nessun cammino logico conduce a queste leggi elementari:
l’intuizione sola, fondata sull’esperienza, ci può condurre ad esse.”
A. Einstein
L’uomo, fin dai primi momenti della vita, è portato ad osservare ed a fare esperienza di una
straordinaria varietà di fenomeni e di cambiamenti che hanno luogo continuamente
nell’ambiente che ci circonda.
Cercare di rispondere ai tanti “perché” proposti dai fenomeni naturali corrisponde a un
bisogno istintivo antichissimo che da sempre ha caratterizzato la natura dell’uomo.
“La fisica (dal greco physis = natura) è la scienza che si propone di descrivere e di
comprendere i fenomeni che si svolgono in natura. Essa non è un insieme di conoscenze
complete e per sempre immutabili, ma è qualcosa che cresce e anche si modifica. Spesso, e
sempre più facilmente, nascono nuovi campi di studio: fenomeni che apparivano indipendenti,
senza alcuna relazione tra loro, si rivelano come aspetti diversi di un unico fenomeno più
generale.”6
Prima della nascita della scienza moderna, lo studioso di tutti gli aspetti della scienza era il
filosofo naturale, che successivamente, per effetto delle notevoli conoscenze scientifiche
sviluppatesi dal tempo del rinascimento in poi, è andato via via scomparendo per far posto al
fisico, al chimico, al biologo, al naturalista. Fra questi scienziati “il fisico è colui che fornisce
idee sempre nuove alle altre scienze e alle grandi industrie tecnologiche che contribuiscono a
trasformare sempre più velocemente la nostra attuale società. Il fisico è colui che è
continuamente animato da stimoli intellettuali che lo portano a svelare i più riposti misteri
della natura sviluppando una ricerca pura, da cui spesso nascono ulteriori applicazioni.” 7
Questo ha permesso che oggi si siano sviluppati campi di studio interdisciplinari, che si
avvalgono dei principi e delle basi della fisica. Nonostante ciò l’elevato grado di sviluppo
raggiunto attualmente dalle scienze richiede una sempre più marcata specializzazione
6 Amaldi U., Dal pendolo ai quark, Zanichelli, Bologna, 1991 7 Caforio A., Ferilli A., Physica, Le Monnier, Firenze, 1994
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nell’ambito di una sola disciplina, proprio perché non è possibile avere una conoscenza così
generalizzata e ampia.
Ciò che davvero caratterizza la fisica è essenzialmente il suo metodo che si chiama Metodo
Scientifico Sperimentale perché si fonda sull’esperimento e sulla teoria.
Per esperimento si intende la riproduzione dei fenomeni studiati in condizioni controllate e
semplificate, che nell’osservazione della realtà, peraltro alla base di qualunque ricerca, si
presentano con un alto grado di complessità e di confusione dovuto al sovrapporsi di molte
variabili. Gli esperimenti producono relazioni tra grandezze e misure che vengono confrontate
con le previsioni di ipotesi formulate precedentemente; se queste corrispondono ai risultati
degli esperimenti, la relazione matematica tra le grandezze studiate costituisce una legge
fisica.
Dall’insieme di più relazioni rispetto a un dato fenomeno, dette anche principi, si arriva a
costruire una teoria che ne spiega le cause. Le teorie però non sono immutabili. Infatti, ogni
teoria fornisce un modello logico-matematico utile a descrivere i fenomeni naturali: ma ogni
modello può essere confutato o modificato dalla scoperta di ulteriori dettagli o anche errori
attribuibili alla teoria precedente. La validità dei principi garantisce la validità delle relazioni
dedotte, ma la validità dell’intera teoria può essere confermata o confutata solo dagli
esperimenti, cioè da osservazioni e misure quantitative effettuate sui fenomeni. L’esperimento
ha un ruolo fondamentale: basta un solo esperimento per confutare una teoria.
Una teoria non suscettibile di verifica sperimentale non può essere accolta come teoria fisica e
rimane pura speculazione intellettuale. Per questo motivo la fisica è una scienza sperimentale.
Le teorie fisiche devono essere confutabili. Nello stesso tempo, ogni teoria che non venga
confermata da tutti gli esperimenti noti è da ritenersi falsa o, comunque, di validità limitata.
Questo non significa che teorie di validità limitata non vengano utilizzate: anzi, a volte
vengono utilizzate più spesso delle teorie più generali.
“Un esempio è proprio la Meccanica Classica. Questa teoria, infatti, è stata superata dalla
Meccanica Relativistica da un lato e da quella Quantistica dall’altro, teorie più generali che
includono la Meccanica Classica come caso particolare. Ma nessuno si sognerebbe di usare la
Meccanica Relativistica o Quantistica per descrivere il comportamento di un orologio a
pendolo o per verificare la statica di un ponte! In molti casi si preferisce usare, anzi, modelli
15
di applicabilità circoscritta, ma adatti a descrivere il fenomeno in studio (modelli ad hoc),
piuttosto che teorie generali matematicamente molto complicate.” 8
Da Galileo in poi, grazie al metodo scientifico sperimentale, la fisica si è occupata con
successo di una vasta gamma di fenomeni, dalla meccanica alla termodinamica, dall’ottica
all’elettromagnetismo.
Alla fine del XIX secolo si pensava che la fisica avesse dato risposta a tutte le questioni legate
al mondo della conoscenza, ma il pensiero di A. Einstein aprì un’altra dimensione che
sconvolse la Fisica classica.
Le teorie classiche vennero messe in discussione e si fecero strada idee rivoluzionarie che
portarono alla scoperta della Relatività ristretta, alle teorie della Meccanica Quantistica, alla
scoperta di particelle con proprietà affascinanti come i neutrini e i quark.
Queste scoperte hanno rivoluzionato tutto il mondo della fisica e anche il modo di pensarla.
Le scoperte fisiche applicate in campo tecnologico hanno consentito all’uomo di raggiungere
incredibili traguardi. Ma ciò che spinge il fisico a procedere con le sue ricerche è la curiosità,
la continua sete di verità.
Tuttavia, non ci sono verità assolute: così l’indagine continua, e questo è il vero fascino della
Fisica!
8 http://people.na.infn.it/~santamat/meccanica/doc/fisica.htm
16
7. Studio scientifico dell’acqua 9 L’unità fondamentale dell’acqua è la molecola H2O. Questa perciò non è un elemento, come
nel passato fu considerata, ma un composto formato da due atomi di idrogeno uniti a uno di
ossigeno.
La semplicità di questa molecola potrebbe trarre in inganno.
Nonostante sia composta solamente da tre atomi, l’acqua presenta caratteristiche uniche che la
rendono allo stesso tempo la sostanza più comune, ma anche anomala rispetto a tutti gli altri
elementi e composti.
Per comprendere l’unicità di questo elemento è necessario addentrarci nel mondo
microscopico.
O, H, H: possiamo considerare questi atomi come gli ingredienti di una ricetta, ma come ogni
bravo chef sa, il segreto per ottenere il meglio è il procedimento, ovvero il modo in cui
vengono a combinarsi i vari ingredienti. E lo stesso vale per la molecola dell’acqua.
L’atomo di O è formato da 8 protoni 10 e solitamente 8 neutroni 11 localizzati all’interno del
nucleo, e 8 elettroni 12 che orbitano nella regione di spazio intorno al nucleo centrale,
all’interno dei cosiddetti orbitali.13
L’atomo di H invece è molto più semplice, perché composto da un protone nel nucleo e un
elettrone nell’orbitale. 14
Ma come si combinano questi tre elementi? E perché si abbinano proprio in un modo
particolare?
Per semplificare possiamo dire che una molecola d’acqua assomiglia a una piramide
equilatera un po’ sghemba,15 …. o meglio, lavorando un po’ più di fantasia, possiamo farla
9 Neil A. Campbell, Principi di biologia, Zanichelli, Bologna, 1998. Bestini, F. Mani, Lezioni di chimica, CEDAM casa editrice dott. Antonio Dilani, 1993. Puccin Marta, Acqua e scienza, EMI, Bologna 2007. J.E. Brady, J.R. Holum, Chimica, Zanichelli, 1992 Bologna 10 Il protone è una particella subatomica con carica elettrica positiva. 11 Il neutrone è una particella subatomica che non ha carica elettrica e ha una massa molto poco diversa da quella del protone. Gli elementi leggeri hanno di solito un numero di neutroni uguale al numero di protoni, mentre per gli elementi pesanti si ha una prevalenza di neutroni. 12 L’elettrone è una particella subatomica con carica negativa e massa molto piccola rispetto alle masse del protone e del neutrone. 13 Secondo la descrizione della Meccanica Quantistica non è possibile conoscere con esattezza la traiettoria dell’elettrone attorno al nucleo. Si possono soltanto definire delle zone dello spazio in cui è possibile trovare l’elettrone con una certa probabilità; queste zone sono dette orbitali. 14 Nella chimica la complessità della materia è dovuta proprio all’interazione, alla disposizione e al comportamento degli elettroni, dai quali dipendono soprattutto i legami molecolari e intermolecolari. 15 M. Puccin, Acqua e scienza, EMI, Bologna 2007
17
assomigliare ad una testa di topolino, al cui centro c’è l’atomo di ossigeno molto grande, e in
alto, ai vertici di un quadrato circoscritto all’atomo di ossigeno, si trovano i due atomi di
idrogeno. Negli altri due vertici del quadrato possiamo localizzare concettualmente le due
coppie di elettroni dell’atomo di ossigeno che non intervengono nei legami con l’ossigeno e,
rimanendo libere, si respingono più di quanto non lo facciano i due atomi di H tra loro
costituendo una figura un po’ distorta geometricamente.16
Ma come fanno questi atomi a formare una molecola?
Le particelle dell’atomo, ed in particolare gli elettroni, permettono l’istaurarsi di legami di
vario tipo, dovuti a un gioco di attrazioni e repulsioni delle cariche positive e negative.
Nel nostro caso, gli atomi di idrogeno e di ossigeno sono uniti da un legame molto forte detto
“covalente”; ogni atomo mette a disposizione un elettrone, e la coppia elettronica che ne
risulta viene condivisa tra i due elementi. Nella molecola di acqua, l’ossigeno, che ha un
nucleo molto più grande e molto più forte dell’idrogeno, attira a sé gli elettroni in comune e
acquisisce una carica localizzata negativa. Per l’idrogeno è il contrario: avendo meno elettroni
intorno assume una carica localizzata positiva.
A causa di questa struttura detta “dipolare”, che porta alla formazione dei legami ad idrogeno
responsabili di un livello superiore di organizzazione strutturale, l’acqua, elettricamente
neutra, possiede insolite proprietà chimico-fisiche.17
16 Gli altri due elettroni si trovano nel primo orbitale, quello più vicino al nucleo, e non partecipano a nessun legame. 17 Ibidem
18
E quali sono le proprietà che rendono l’acqua così importante e unica?
Caratteristica esclusiva, fondamentale e ben conosciuta è la facilità di trasformazione in
natura nei vari passaggi di stato. Infatti sulla Terra l’acqua è l’unica sostanza che si trova
contemporaneamente allo stato solido, liquido e gassoso. Ciò è dovuto al fatto che i suoi punti
di ebollizione (100 °C) e di fusione (0 °C) sono molto più alti rispetto a tutti i composti
dell’idrogeno e degli elementi della tavola periodica che precedono e seguono l’ossigeno, che
invece si aggirano rispettivamente al di sotto degli 0 °C per l’ebollizione, e intorno a -70 °C
per la fusione. Questo è dovuto ai legami ad idrogeno i quali hanno una forza di attrazione né
intensa né debole, a metà tra un forte legame atomico e un legame molecolare invece molto
labile.
L’acqua comunque non è l’unica molecola in grado di formare legami ad idrogeno. Sebbene
anche molecole di ammoniaca e di acido solforico siano costituite da legami ad idrogeno,
solamente l’acqua è in grado di formare ben quattro legami per ogni molecola, determinando
una disposizione molto organizzata e regolare che la rende assimilabile più a un cristallo che
ad un gas. Questa regolarità non deve però trarre in inganno poiché i legami ad idrogeno,
seppur relativamente forti, a temperatura ambiente non sono stabili e quindi si formano e si
distruggono in continuazione e l’acqua di conseguenza si trova allo stato liquido.
I legami ad idrogeno sono i responsabili di molte delle proprietà fisiche dell’acqua, tra cui una
delle più importanti riguarda la densità.
Nei liquidi le particelle hanno una relativa capacità di movimento, dovuta ai legami instaurati
tra le molecole che sono una via di mezzo tra lo stato solido, in cui le molecole sono
19
impacchettate e rigidamente incasellate in una struttura preordinata, e lo stato gassoso, in cui
le molecole sono completamente libere e non collegate tra sé.
Nei liquidi la disposizione delle particelle e il loro movimento influisce sulla densità. Infatti
quando c’è raffreddamento le molecole si muovono meno e tendono ad avvicinarsi,
determinando l’aumento della densità con il diminuire della temperatura. Al contrario una
temperatura più alta fa muovere più velocemente le particelle, che tendono così ad occupare
più spazio: il liquido avrà densità minore. L’acqua, al contrario, solidificandosi diventa meno
densa18. Dal suo punto di ebollizione fino a circa 4 °C si comporta ugualmente agli altri
liquidi, ma quando inizia a congelare va incontro ad un vero e proprio cambiamento di stato,
modificando l’organizzazione dei suoi atomi da disordinata a regolare. In particolare, i legami
ad idrogeno aumentano i vincoli strutturali tra le molecole vicine e creano così spazi vuoti tra
una molecola e l’altra. Così si determina una conseguenza fondamentale per l’equilibrio
ambientale della Terra: il galleggiamento del ghiaccio sull’acqua.
Questo comportamento è unico in natura perché, come già detto, tutti i liquidi tendono
normalmente a diminuire il loro volume progressivamente al diminuire della temperatura.
Ma le infinite meraviglie dell’acqua non sono finite qui: parliamo adesso della tensione
superficiale.
Nuovamente entrano in gioco i legami a idrogeno, ma in particolare quelli tra le molecole
superficiali a contatto con l’aria. Sulla superficie manca la possibilità per le molecole di
legarsi in tutte le direzioni dello spazio, così da essere costrette a rivolgere i loro legami sulle
molecole a loro vicine. Ne risulta così una adesione molecolare sbilanciata verso l’interno, il
cui effetto è equivalente alla presenza di una forte pellicola elastica sulla superficie dell’acqua
a contatto con l’aria. La tensione superficiale, sebbene sia relativamente percepibile al tatto
umano, risulta ben evidente nella disposizione spaziale che assume l’acqua (per esempio nella
forma delle gocce ).
Altra caratteristica da attribuire ai legami ad idrogeno è la capillarità, che permette all’acqua
di salire in piccoli vasi aderendo alla loro superficie interna.
L’acqua è anche un eccellente solvente perché, grazie alla sua natura dipolare, è capace di
scindere i legami elettrici che tengono unite le sostanze ioniche e polari, che rappresentano
gran parte delle sostanze chimiche. Uno degli esempi più semplici è quello del sale da cucina,
o cloruro di sodio (NaCl). 18 Questo fenomeno è molto raro ma non unico, poiché anche il germanio presenta una fenomenologia simile. Tuttavia assolutamente anomalo è avere la maggiore densità a 4 °C.
20
Questo sale è un composto ionico, ovvero è formato dalla combinazione regolare di due
atomi, il sodio e il cloro, detti ioni perché hanno carica positiva, il primo, e carica negativa, il
secondo. Quando il sale è posto in acqua, esso viene circondato da molecole d’acqua che si
inseriscono tra uno ione e l’altro e indeboliscono l’attrazione elettrica tra i due, determinando
la rottura della struttura cristallina del sale. Ogni atomo del sale si trova così disciolto in acqua
e cioè circondato da molecole di acqua, ovvero viene detto solvatato. Questa reazione che
avviene in acqua è chiamata idrolisi. Le sostanze non polari, come grassi e oli, non possono
invece essere sciolte o meglio solvatate in acqua, poiché queste sono composti costituiti da
legami più forti con i quali l’acqua non riesce ad interferire.
La capacità di idrolisi dell’acqua è tale da dissociare anche se stessa, formando lo ione
idrogeno H+ 19 e lo ione idrossido OH-. In generale per una data soluzione, la concentrazione
di ioni idrogeno e di ioni idrossido viene espressa dal pH. A pH = 7 si ha il perfetto equilibrio
dei due tipi di ioni, ovvero la quantità di H+ è uguale alla quantità di OH-. Quando la
soluzione ha in maggioranza ioni H+, si ha una soluzione acida (pH < 7); viceversa con una
concentrazione più alta di ioni OH- si ha una soluzione basica (pH > 7).
Altra caratteristica fondamentale riguarda il calore specifico, che è la quantità di energia
necessaria ad aumentare di un grado di temperatura un grammo di sostanza. Il calore specifico
dell’acqua è eccezionalmente alto e ciò è dovuto al fatto che l’energia fornita all’acqua
sottoforma di calore viene inizialmente impiegata per rompere un certo numero di legami ad
idrogeno. Di conseguenza solo una piccola parte di energia è utile all’aumento della
temperatura, che risulta più graduale e lenta per l’acqua rispetto all’aria. Proprio per questo
fenomeno i luoghi di mare sono più miti e soprattutto il mare determina una bassa escursione
termica tra il giorno e la notte, poiché l’acqua contrasta gli sbalzi di temperatura grazie alla
sua capacità di assorbire e di conseguenza di cedere l’energia termica lentamente.
Le proprietà dell’acqua hanno anche conseguenze importanti sui sistemi biologici nei quali
questo liquido è protagonista essenziale, poiché partecipa attivamente a tutte le reazioni del
metabolismo. Ma allo stesso tempo, gioca un ruolo essenziale nel mantenere stabili le
strutture biologiche più importanti del nostro organismo, come le membrane cellulari o la
struttura delle proteine globulari, ma soprattutto nella conservazione del patrimoni genetico,
in cui è responsabile dell’appaiamento tra le eliche del DNA. Il gioco delle interazioni tra
molecole d’acqua e gruppi idrofili delle proteine assicura, ad esempio, che esse possano
19 Più spesso si forma lo ione idronio H3O
+, che è molto più stabile rispetto a H+
21
mantenere la struttura predeterminata in un opportuno intervallo di temperatura e in presenza
di una opportuna concentrazione di sali. L’influenza dell’acqua sull’evoluzione, alla luce di
tali conoscenze, rivela il suo ruolo determinante ed unico nell’esistenza della vita.
Ciononostante queste proprietà sono solo una piccola parte rispetto a tutto ciò che davvero si
può conoscere e sapere sull’acqua. Infatti l’acqua, oltre alle proprietà chimico-fisiche che la
caratterizzano, è un liquido, e come tale risponde alle leggi della meccanica dei liquidi.
Le leggi che determinano i principi fondamentali della meccanica dei liquidi sono il principio
di Pascal, la legge di Stevino e la legge di Archimede.
Vediamo queste leggi più da vicino.
22
8. La meccanica dei fluidi 20 I fluidi sono corpi deformabili, cioè corpi che oppongono scarsa resistenza al cambiamento di
forma. Rientrano in questa definizione i liquidi e i gas, con la differenza che i liquidi sono
praticamente incomprimibili, cioè hanno un volume proprio, mentre i gas sono facilmente
comprimibili e quindi il volume che occupano dipende dalla pressione a cui sono sottoposti.
Ciò si riflette sulla densità, che è determinata dal rapporto tra la massa e il volume. In
generale la densità di un corpo dipende dalla natura del corpo, dalla pressione e dalla
temperatura.
Prima di studiare il comportamento dei fluidi, è opportuno precisare il concetto di pressione.
Se abbiamo un parallelepipedo solido appoggiato sulla faccia ABCD, la pressione p esercitata
dal solido sul piano di appoggio è
p = P / SABCD
cioè il rapporto tra il peso P dell’oggetto e la superficie della faccia ABCD.
20 U. Amaldi, Dal pendolo ai Quark, Meccanica, Termologia, Acustica, Zanichelli, 1991, Bologna. A. Caforio, A. Ferilli, Physica, Fondamenti della Meccanica, Le Monnier, 1994, Milano. R. Casalbuoni R., S. De Curtis, Fondamenti e Didattica della Fisica, Lezioni tenute al corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, Università di Firenze, a.a. 2003/2004
23
Se appoggiamo lo stesso parallelepipedo su una faccia più grande, per esempio BCGF, la
pressione sul piano risulta più bassa anche se il peso dell’oggetto è ovviamente lo stesso di
prima. In generale la pressione è definita come rapporto fra la forza che agisce in direzione
perpendicolare a una superficie e la superficie stessa. La pressione si misura in Pascal (Pa), e
1 Pa corrisponde alla forza di 1N che agisce sulla superficie di 1m2.
La pressione nei fluidi è descritta dalle leggi di Pascal e di Stevino.
LEGGE DI PASCAL
La legge di Pascal descrive la pressione all’interno di un fluido, non considerando l’effetto del
peso del fluido stesso, di cui invece terrà conto l’enunciato della legge di Stevino. Essa
afferma che la pressione all’interno del fluido è la stessa in tutti i punti. Ne segue che
qualsiasi variazione di pressione effettuata in un punto del fluido si trasmette con la stessa
intensità in tutte le direzioni su ogni altra superficie a contatto con esso.
Per capire meglio immaginiamo di applicare una forza di intensità F ad un pistone che
comprime il liquido contenuto in un recipiente di forma sferica.
Osservando il deflusso del liquido vedremo che quest’ultimo uscirà dai fori con getti di
lunghezza pressappoco uguale e direzione iniziale perpendicolare a quella della parete sferica.
24
La velocità di fuoriuscita del liquido, inoltre, sarà tanto più elevata quanto maggiore è
l’intensità della forza applicata. Tale fenomeno si spiega con il principio di Pascal, che
appunto afferma che la pressione applicata dal pistone si trasmette invariata a tutto il liquido.
Su questa legge si basa il torchio idraulico, il dispositivo che si usa ad esempio per sollevare
le automobili.21
LEGGE DI STEVINO
Questa legge descrive l’effetto sulla pressione di un fluido del peso del fluido stesso. Si fa
l’ipotesi che il fluido sia incomprimibile, per cui la legge vale per i liquidi ma non per i gas.
La legge afferma che in un liquido pesante la differenza di pressione tra due punti del liquido
è direttamente proporzionale al dislivello tra i due punti. Precisamente, se si considerano due
punti all’interno dello stesso liquido, la pressione nel punto 2 (più in basso) è maggiore di
quella nel punto 1 (più in alto) di una quantità pari a ρgh, dove ρ è la densità del liquido, g è
l’accelerazione di gravità e h è la differenza di altezza tra il punto 1 e il punto 2.
Il risultato è appunto che la pressione aumenta linearmente con la profondità e ad una
profondità h essa è aumentata di una quantità ρgh rispetto alla pressione p1 della quota di
riferimento rispetto cui è misurata la profondità h, ovvero
p2 = p1 + ρgh
Pertanto la pressione all’interno di un liquido dipende solo dalla profondità alla quale essa
viene misurata e non dalla forma del recipiente che contiene il fluido.
21 Esso è costituito da due cilindri di sezione diverse, nei quali scorrono a tenuta due pistoni. I due cilindri sono parzialmente riempiti di liquido e sono uniti alla base da un tubo di comunicazione. Il torchio idraulico è in pratica una macchina che consente di equilibrare una forza molto intensa applicandone una più piccola. Ciò è possibile perché le pressioni sulle due superfici devono essere uguali; quindi la forza resistente grande che agisce sulla superficie grande è equilibrata da una forza motrice piccola applicata sulla superficie piccola.
25
In tubi stretti ma sufficientemente alti è possibile produrre pressioni notevoli anche con una
piccola quantità di liquido se l’altezza della colonna liquida è molto elevata. Un esempio di
ciò è la “botte di Pascal”.22
Il valore della pressione in un punto all’interno di un liquido contenuto in un recipiente non
dipende dalla forma di quest’ultimo. Consideriamo i tre recipienti:
Questi hanno uguale base e sono riempiti con uno stesso liquido fino ad una altezza h. La
pressione sul fondo di ogni recipiente dovuta al peso del liquido, secondo la legge di Stevino,
assume lo stesso valore ρgh nei tre vasi. Il paradosso idrostatico consiste proprio in questo:
pur essendo diverso il peso del liquido contenuto nei vari recipienti, la forza esercitata sul
fondo è uguale per tutti e tre i vasi.
Ancora come conseguenza della legge di Stevino si ha che, in un sistema di vasi comunicanti,
il liquido raggiunge la stessa quota in tutti i vasi, indipendentemente dalla forma dei
recipienti.
LEGGE DI ARCHIMEDE
È esperienza comune che un corpo immerso in acqua sembra più leggero: ciò deriva dal fatto
che l’acqua esercita sul corpo una forza, che si oppone al peso, chiamata Spinta Idrostatica. Il
22 In una botte piena d’acqua, attraverso un tubo stretto e molto alto inserito a tenuta sul coperchio superiore, aggiungiamo progressivamente dell’acqua. La pressione idrostatica all’interno della botte aumenta proporzionalmente all’altezza raggiunta dall’acqua. Quando l’acqua raggiunge una altezza sufficiente nel tubo, le pareti della botte cedono alla pressione idrostatica esercitata provocando la rottura della botte.
26
valore di questa forza è precisato dalla legge di Archimede: un corpo immerso in un fluido
riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato.
Una certa quantità di fluido viene spostata verso l’alto dal corpo quando questo è immerso:
questo fluido spostato ha la tendenza a ritornare al proprio posto spingendo verso l’alto il
corpo che vi è immerso. In questo modo si capisce intuitivamente che la spinta idrostatica
corrisponde al peso di una quantità di fluido corrispondente al volume della parte immersa del
corpo.
Una spiegazione può essere data attraverso il bilancio di forze, partendo dal fatto che su un
corpo che si trovi in equilibrio statico la forza risultante deve essere nulla. Se misuriamo la
forza peso di un corpo di massa m per mezzo di un dinamometro, vediamo sperimentalmente
che il valore segnato dallo strumento quando il corpo è immerso (Fp in acqua) è inferiore al
valore della forza peso misurata in aria (Fp in aria ).
Peso del Volume di acqua = Spinta di Archimede
27
Analizziamo le forze applicate sia nell’uno che nell’altro caso. Quando l’oggetto è in aria le
forze verticali agenti sul corpo appeso al dinamometro sono la forza di gravità mg e la forza
del dinamometro Fp in aria (agenti in versi opposti ed in equilibrio).
Quando l’oggetto è immerso, oltre alla forza di gravità mg e alla forza del dinamometro Fp in
acqua agiscono altre due forze: la forza F1 diretta verso il basso esercitata dal liquido che si
trova sopra il corpo ed la forza F2 diretta verso l’alto dovuta all’acqua che preme sulla
superficie inferiore del corpo.23
Visto che il dinamometro indica una forza minore quando l’oggetto è immerso rispetto a
quando è in aria, il modulo di F2 dovrà essere maggiore di quello di F1: la differenza tra
queste due forze è detta Spinta Idrostatica o Spinta di Archimede ed è una forza diretta verso
l’alto. Questo risultato è in pieno accordo con quanto affermato dalla legge di Stevino, di cui
la legge di Archimede può essere considerata come un caso particolare. Utilizzando infatti la
legge di Stevino si trova che la spinta verso l’alto è pari al peso del fluido contenuto nella
parte del volume dell’oggetto che risulta immersa.
La misura della spinta di Archimede dipende essenzialmente dal peso specifico del corpo
(dato dal rapporto fra il peso e il volume).
Possiamo affermare che il fatto che un corpo galleggi o no in un fluido dipende
esclusivamente dal valore del peso specifico del corpo rispetto al peso specifico del fluido.
Nelle applicazioni pratiche (per esempio nella costruzione delle navi) si tiene conto di questa
grandezza.
23 Le forze applicate sulla superficie laterale del corpo dal fluido circostante si bilanceranno e quindi non dovranno essere tenute in considerazione.
28
29
II capitolo
Dalla Scienza alla Conoscenza
1. L’insegnamento scientifico Come già sappiamo bene, le scienze ci aiutano a capire il mondo che ci circonda e a
comprendere le regole che governano ogni suo aspetto. Tramite l’esperienza e l’osservazione,
seguendo le fasi del metodo scientifico, gli scienziati ricercano nuovi aspetti che permettano
di arrivare a sviluppare nuove strutture concettuali, tanto più valide quanto più consentono di
prevedere il comportamento di fatti e fenomeni naturali. Alla luce di questo, l’insegnamento
scientifico, si propone di fornire ai bambini non solo la conoscenza dei fenomeni naturali di
cui abbiamo esperienza, ma in particolare di renderli capaci di pensare in modo logico e
critico e di sviluppare schemi concettuali appropriati a collocare ogni concetto nel pensiero
astratto.
Tramite lo studio delle scienze sperimentali il bambino impara a conoscere e capire il mondo
in cui viviamo attraverso la consapevolezza di se stesso. Proprio per questo l’insegnamento
scientifico con i suoi contenuti e le sue metodologie deve tenere conto del mondo dell’allievo
al quale egli si rivolge, e in particolare fare attenzione al “modo” in cui egli impara.
Affinché l’insegnamento scientifico risulti appropriato ed efficace è essenziale tener presente
considerazioni e teorie che riguardano direttamente il bambino.
L’approccio scientifico non è poi così lontano alla realtà del bambino, proprio perché “il
modo di procedere dei bambini nell’esperienza del mondo è per certi versi molto simile a
un’indagine di tipo scientifico”24. Infatti il bambino, fin dalla sua nascita, entra in contatto con
il mondo attraverso i sensi, il movimento, gli stati d’animo, i sentimenti, le emozioni, il
linguaggio. Tutto è da scoprire e da capire. In questa irrefrenabile voglia di conoscere non c’è
solamente un bisogno “biologico” di crescita, ma c’è anche una componente essenziale, un
altro tipo di bisogno che caratterizza l’uomo in ogni momento della vita: la “curiosità”.
“Questa attività continua del bambino può trovare nell’ambiente esterno stimoli e sostegni
24 C.G. Hoffmann, Fare scienze nella scuola di base, La Nuova Italia, Milano 2000
30
oppure negazioni, ostacoli e divieti. Essa è, comunque, orientata e condizionata”25. Infatti il
bambino quando arriva a scuola non è tabula rasa, ma possiede un bagaglio specifico di
conoscenze che derivano da vari fattori correlati: una certa potenzialità genetica, l’attività
cognitiva, influenze culturali derivanti dal contesto a cui appartiene (il tipo di civiltà, la
nazione, la famiglia, la casa, il gruppo di riferimento). Tutti questi fattori concorrono e
intervengono nella sua crescita.
A sostegno di questo pensiero contribuisce uno dei più grandi studiosi del mondo del
bambino, John Dewey, secondo cui “l’esistenza delle indagini non è cosa che si possa mettere
in dubbio” poiché “entrano in ogni ambito della vita e in ciascun aspetto di ogni ambito. Gli
uomini compiono delle disamine nella vita di ogni giorno.”26
L’osservazione e il porsi domande, parti essenziali del metodo scientifico sperimentale e
punto di partenza di tutte le conoscenze scientifiche, vengono quindi a rappresentare anche la
base della conoscenza dell’individuo, il quale riflettendo su una situazione problematica
innesca il processo conoscitivo. “L’atteggiamento nativo e integro della fanciullezza,
contrassegnato da ardente curiosità, da fertile immaginazione, e dall’amore della ricerca
sperimentale è vicino, molto vicino, all’atteggiamento dello spirito scientifico.”27 Per poter
soddisfare questa spontanea passione per la scoperta, il bambino, per primo, deve poter
trovare sfogo a questa necessità in ogni esperienza diretta. Ecco che proprio qui emerge uno
dei pilastri su cui si fonda il pensiero di Dewey: l’esperienza diretta e l’importanza
dell’attività del fare. Nell’attività pratica il bambino realizza la sintesi tra il pensare e il fare,
perché è proprio nell’esperienza che la dimensione conoscitiva si fonde con quella pratica. Il
rilievo che viene dato all’esperienza diretta non significa che nell’aspetto pratico si esaurisce
tutta la componente conoscitiva. Il fare rappresenta il punto di partenza dal quale si può
sviluppare una ricerca teorica, un ripensamento dell’attività pratica stessa, che può produrre
nuova conoscenza. Ma il cardine su cui ruota tutto questo pensiero è l’interesse. L’esperienza
diventa importante per la formazione nel momento in cui è significativa e appropriata ai
bisogni e agli interessi dei bambini. Infatti la motivazione è il motore dell’apprendimento.
Non sono sufficienti nuovi metodi e strategie educative a coinvolgere e a rendere partecipe
pienamente il bambino a particolari attività. Solo quando si parte dal bambino, dalla sua
realtà, dai bisogni, dai suoi interessi si possono creare occasioni significative in cui dar vita ad
25 Ibidem 26 J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine (1938), trad. it., Einaudi, Torino 1949 27 J. Dewey, Come pensiamo (1933), trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1961
31
indagini aperte e complesse da risolvere in vista di una meta. Spesso invece l’atteggiamento
che si riscontra è quello di indifferenza e superficialità verso i problemi e le curiosità che i
bambini hanno, continuando a cercare di trasmettere il sapere mediante lezioni oggettive e
informative secondo un metodo tradizionale ormai trapassato. In questo modo la conoscenza
rimane superficiale, mnemonica e facilmente soggetta ad essere dimenticata.
Dato il ruolo di primo piano che assume l’esperienza soggettiva nei processi di conoscenza e
in particolare in quelli di tipo scientifico, rimane da stabilire però come si realizza
l’acquisizione della conoscenza.
L’apprendimento è da sempre stato oggetto di approfondite ricerche da parte di studiosi di
ogni ambito. Tra gli psicologi che hanno portato un importanti contributo, un meritato
riconoscimento va a J. Piaget. Sebbene alcuni punti del suo pensiero siano stati sorpassati,
alcune sue teorie sono essenziali per la comprensione del processo di apprendimento. Primo
tra tutti è il processo di assimilazione e accomodamento. Piaget attribuisce un grande rilievo
all’attività mentale che si realizza nel rapporto mondo-bambino già nei primi momenti di vita.
Da questo contatto percettivo si formano schemi o strutture che il bambino considera come
veri e corretti. Ma poiché l’esperienza personale lo porta a nuove conoscenze, egli tenta di
assimilarle ai suoi propri schemi. Se ciò non è possibile poiché si ha un contrasto tra il
vecchio schema e la nuova conoscenza si verifica un accomodamento. Il bambino in pratica
trasforma i propri schemi e li rende adatti alla nuova conoscenza; ciò gli permette di ristabilire
un nuovo equilibrio nella sua mente. In questo modo egli compie una serie di operazioni
mentali che divengono mano a mano più complesse acquisendo anche nuove capacità. “Il
bambino, come la persona in genere, è artefice della propria intelligenza e conoscenza, anche
se subisce condizionamenti di varia natura.”28 Tramite questi meccanismi di assimilazione e
accomodamento si realizza lo sviluppo intellettuale degli allievi, che si compie attraverso il
susseguirsi di quatto stadi fondamentali. Questi stadi sono dei periodi in cui i bambini
ragionano e agiscono secondo schemi mentali specifici e diversi da quelli dell’adulto, e sono:
stadio senso-motorio, pre-operatorio, operatorio concreto, operatorio formale. “La
maturazione dell’intelligenza si realizza a partire dai sensi e dal movimento del bambino per
giungere allo sviluppo di strutture cognitive flessibili e con capacità di astrazione.”29
Questa teoria ci permette di trarre alcune riflessioni importanti che riguardano l’insegnamento
delle scienze a scuola. Infatti, seguendo questo pensiero, proprio perché l’intelligenza si 28 C.G. Hoffmann, Fare scienze nella scuola di base, La Nuova Italia, Milano 2000 29 A.O. Ferrarsi, A. Oliverio, Psicologia. I motivi del comportamento umano, Zanichelli Bologna 1996
32
realizza tramite il susseguirsi di vari stadi, che tengono conto del grado di sviluppo della
conoscenza, le attività e le conoscenze che vengono proposte ai bambini devono considerare il
loro livello di formazione. Sarebbe un grave errore proporre attività che richiedono un
pensiero astratto di carattere logico deduttivo a bambini che non hanno ancora superato lo
stadio delle operazioni concrete.
Il pensiero di Piaget è stato fortemente criticato da alcuni autori i quali accusano lo psicologo
di non aver considerato il carattere sociale di ciascun individuo.
Principale sostenitore di questa critica è Vygotskij, il quale indirizza invece la sua ricerca
verso il ruolo formativo che assume l’ambiente a livello storico-culturale. Per lo psicologo
russo non è possibile fissare i contenuti o le acquisizioni di base di ogni singolo stadio poiché
tali contenuti sono dipendenti dall’ambiente culturale in cui è immerso il bambino. Secondo la
sua teoria durante l’apprendimento ci sono dei momenti in cui gli adulti possono intervenire
per incrementare lo sviluppo intellettivo del bambino. Infatti è proprio imitando l’adulto o
lavorando con gli altri che il bambino riesce a fare cose che non sarebbe stato in grado di
svolgere da solo e che vanno ad intervenire sullo sviluppo di funzioni psico-intellettive
superiori. A questo proposito Vygotskij utilizza la nozione di “area di sviluppo potenziale,
secondo cui in ogni bambino c’è un livello standard di sviluppo intellettivo stabile e certo che
però tramite l’intervento di un adulto o anche nella mediazione tra coetanei può raggiungere
un livello potenzialmente superiore.”30 Vygotskij descrive in modo preciso come si formano i
concetti scientifici. In particolare egli afferma che questi “sembrano essere il mezzo nel quale
la consapevolezza e la padronanza si sviluppano per primi, per trasferirsi più tardi in altri
concetti e in altre aree di pensiero. La coscienza riflessiva arriva al bambino attraverso i
concetti scientifici.”31 Inoltre egli sottolinea che c’è differenza tra i concetti che il bambino si
forma nell’esperienza quotidiana, quando la mente è lasciata libera di agire come vuole, e i
concetti che assimila a scuola, quando gli vengono impartite nozioni sistematiche, e
comunicati principi che non può né vedere né sperimentare direttamente, restando sospesi e
sconnessi dalla realtà. Inoltre l’importanza dell’esperienza diretta viene ulteriormente
confermata dal fatto che essa è la base su cui si innestano i processi che portano alla
formazione dei concetti.
Oltre agli studiosi sopra citati, anche altri hanno indirizzato le loro ricerche allo studio dei
processi di formazione dei concetti scientifici, individuando varie teorie. 30 A.O. Ferrarsi, A. Oliverio, Psicologia. I motivi del comportamento umano, Zanichelli Bologna 1996 31 L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, trad. it., Giunti Barbera, 1954 Firenze
33
Appare evidente che in ogni teoria è comunque sottolineata l’importanza di tenere conto delle
capacità e delle strutture proprie del bambino a cui l’insegnamento si deve adeguare.
Merita un accenno il pensiero dello psicologo statunitense D. P. Ausubel il quale individua
due tipi differenti di apprendimento: per ricezione e per scoperta. “Si ha un apprendimento per
ricezione quando tutto quello che deve essere appreso viene presentato al discente che lo fa
proprio; si ha un apprendimento per scoperta invece quando il contenuto da apprendere non
viene presentato al discente ma egli lo scopre per proprio conto facendo leva su alcuni
elementi di conoscenza che già possiede.” 32 La parte più interessante del suo pensiero è
quella che riguarda la distinzione tra l’apprendimento significativo e quello meccanico: nella
prima si comprende effettivamente il significato, mentre in quella meccanica si ha
semplicemente il concetto imparato a memoria. Queste due tipologie di apprendimento si
possono realizzare sia nel caso della ricezione che della scoperta. L’idea centrale è che la
significatività di un certo contenuto di apprendimento dipende da quanto esso è correlato con
la struttura cognitiva dell’allievo.
Prendendo spunto da questo pensiero possiamo a ragione considerare che un insegnamento sia
positivo se l’azione didattica si innesta e si realizza su quanto già i bambini sanno o pensano.
Queste loro idee, definite come conoscenze di “senso comune”, sono il risultato delle
spiegazioni dei fenomeni osservati ricavate dall’esperienza quotidiana, o facendo propri i
modi di pensare dell’adulto; di solito però questo “senso comune” non coincide con
l’interpretazione che la scienza dà degli stessi fenomeni. Ogni individuo acquisisce durante
tutta la vita diversi modi di rapportarsi al mondo, facendo proprie conoscenze e credenze che
sono accettate all’interno di un preciso contesto socio-culturale. Spesso l’uomo nella sua
lunga storia ha accettato delle conoscenze sul mondo che riteneva attendibili o relativamente
esaustive, senza sottoporle ad un controllo critico e senza un’analisi accurata delle cause. Al
contrario il pensiero scientifico si basa su spiegazioni sistematiche e razionali del fenomeno
osservato, di cui si individuano le variabili e le condizioni favorevoli per il suo verificarsi. Si
può facilmente comprendere quanto questi due atteggiamenti siano distanti. Infatti nella
società odierna si assiste spesso a un disorientamento da parte dell’uomo comune su tematiche
rilevanti per la convivenza civile in cui siano coinvolti aspetti scientifici. Basti pensare al
dibattito sull’ingegneria genetica, sulle centrali nucleari, sugli inceneritori.
32 A. Bargellini, Le vie della scienza, Carlo Signorelli Editore, 1997 Milano
34
L’insegnamento scientifico si prefigge lo scopo di sviluppare negli alunni schemi concettuali
più efficaci e critici rispetto a quelli che spontaneamente egli si costruisce nella realtà
quotidiana e che acquisisce dal senso comune. L’abitudine a ragionare seguendo questi
schemi mentali può essere utile, al bambino divenuto adulto, per formarsi un’opinione propria
anche in assenza di competenze specifiche sugli aspetti scientifici delle questioni dibattute
nella società.
Spesso però la conoscenza come risultato dell’azione della scuola si trova legata ad un
accumulo mnemonico di conoscenze scientifiche disparate che vengono facilmente
dimenticate. “L’attuale insegnamento scientifico risulta insoddisfacente. […] I nostri alunni
escono dalla scuola con un’idea deformata e poco stimolante della scienza. Ne hanno
un’immagine stereotipata e vaga.”33 La scienza che così bene si presta all’esperienza e
all’osservazione del mondo reale è stata insegnata per molti anni per mezzo di metodologie
ripetitive o imitative. È importante chiederci perché nella scuola è stato perso il vero volto
della scienza ovvero il fascino del ricercare e dello scoprire. “La scienza è prima di tutto
un’apertura nei confronti di ciò che ci circonda. Essa costituisce uno stato dello spirito di
contestazione metodica nel quale si mescolano creazione e molteplici comunicazioni.”34
Spesso accade proprio che l’insegnamento scientifico viene proposto mediante informazioni
troppo specifiche e con termini solitamente di difficile comprensione che rendono complicato
l’acquisizione del concetto da parte dell’allievo.
Da qualche decennio è ormai diffusa la consapevolezza della crisi che riguarda
l’insegnamento scientifico soprattutto nella scuola di base. Negli ultimi decenni si è verificato
l’avvento della scuola di massa in tutti i paesi industrializzati. La scuola del passato, legata ai
saperi accademici specialistici e alle conoscenze dogmatiche, sta entrando in crisi. La
situazione economica, sociale e culturale che caratterizza la nostra società richiede soluzioni
nuove e molto più efficaci rispetto a quelle del passato.
Solo attualmente una nuova coscienza educativa sta acquisendo consapevolezza che non è
possibile trasmettere in modo significativo i saperi tramandati dalla tradizione manualistica, e
sta cercando di dirigersi verso la costruzione di nuove conoscenze scientifiche che possano
essere collegate alle effettive strutture cognitive e motivazionali degli studenti.
In questo panorama l’insegnante non è più colui che insegna agli alunni esponendo le sue
conoscenze, ma assume un ruolo determinante. Diventa architetto della conoscenza: deve 33 A. Giordan, Una didattica per le scienze sperimentali, Armando Editore, 1981 Roma 34 Ivi
35
creare un ambiente idoneo, in cui vi sia relazione, aiutando lo studente a capire e a capirsi per
realizzare pienamente la persona, realizzando anche il suo compito di trasmettere le
conoscenze. L’insegnante per riuscire in questo deve saper costruire sulla realtà della classe il
progetto formativo, che tenga conto del bagaglio culturale, personale e affettivo di ogni
singolo componente.
In questo contesto è necessario sottolineare nuovamente il valore irrinunciabile del contatto
diretto con le cose. E questo riguarda ancora più da vicino la scuola primaria. Nella
costruzione del significato scientifico, la fase sperimentale è imprescindibile. Infatti, prima di
capire un fenomeno occorre conoscerlo. Ma la comprensione non si esaurisce
nell’osservazione o nella fase di svolgimento dell’esperimento. Questo rappresenta il punto da
cui partire per riflettere sulla teoria intesa come generalizzazione di fenomeni. Vi è quindi un
intreccio costante tra aspetti fenomenici e teorici che non può essere tralasciato.35 A questo
proposito diventa indispensabile un’attività di rielaborazione e riflessione del concetto tramite
la traduzione in linguaggio. “La verbalizzazione scritta, infatti, nel processo di
concettualizzazione costituisce, probabilmente, il modo principale per sviluppare
consapevolezza rispetto all’osservazione, e permette al bambino di organizzare il mondo che
sta osservando sulla base delle proprie strutture cognitive.”36 Per arrivare alla formazione
corretta del concetto diventa importante anche il momento della discussione collettiva, in cui
il confronto con gli altri oltre a concorrere alla costruzione dello schema mentale, si carica di
significato motivazionale, cognitivo e comportamentale. È però importante che la discussione
si riferisca a fenomeni e a problemi che siano alla portata del bambino e che siano verificabili
sperimentalmente, ovvero è importante che siano scelti i contenuti in modo adeguato rispetto
al suo sviluppo cognitivo.
Per concludere questo approfondimento sul significato che l’insegnamento delle scienze
rappresenta nella formazione del bambino, è importane precisare che anche questa disciplina
deve contribuire a gettare le basi per una formazione della persona, sia nella crescita culturale,
sia nella costruzione di una cittadinanza consapevole.
35 C. Fiorentini, Il ruolo del laboratorio nell’insegnamento scientifico. Aspetti epistemologici, psicopedagogici e didattici, in Scuola e Didattica, n. 6, 2004 36 C. Fiorentini, Il ruolo del laboratorio nell’insegnamento scientifico. Una proposta per il primo ciclo di istruzione in Scuola e Didattica, n. 11, 2004
36
2. La scuola di ieri e di oggi Dalla riforma Casati del 1860, la scuola italiana è stata oggetto di un percorso molto lungo e
complicato che l’ha portata ad essere riformata più volte. Ma, nonostante queste contorte
vicissitudini, la sua struttura di fondo ha subito poche modifiche. Dalla nascita della scuola si
sono alternati vari programmi e riforme con lo scopo di renderla più adeguata alle necessità
del paese: dalla legge Casati che sancisce la scuola obbligatoria e gratuita; alla legge Coppino
che ribadisce gli stessi principi ampliandoli a tutto il territorio; dai programmi Gabelli ispirati
al positivismo, a quelli più conservatori improntati alla morale e alla religione ad opera della
commissione Baccelli; dalla legge Orlando dell’età giolittiana che cercò di migliorare le
condizioni precarie degli insegnanti e portò l’obbligo scolastico a dodici anni di età, alla legge
Daneo-Credaro che rese la scuola un servizio esclusivamente statale; dalla corposa riforma
idealista effettuata da G. Gentile che rivoluziona tutto il sistema scolastico, fino ai veri e
propri programmi di impronta fascista; dai programmi democratici realizzati da Washburne
ispirati a Dewey, ai programmi dell’attivismo cattolico ispirato al liberalismo educativo
firmati dal ministro Ermini; dall’avvento della scuola media unica ad opera di Gui, alla scuola
materna statale; dai nuovi programmi per la scuola media, ai decreti delegati che sottolineano
l’importanza della collegialità e della rappresentanza dei genitori; dai nuovi programmi del
1985 per la scuola elementare, alla riforma Berlinguer; dalla riforma Moratti in cui si ha
l’avvento delle Indicazioni Nazionali, alle Indicazioni per il Curricolo redatte dal Ministro
Fioroni.37
La scuola a piccoli passi ha cercato di cambiare e migliorarsi.
In questo contesto di continuo cambiamento anche le materie scientifiche sono state spesso
riviste con interventi più o meno pesanti. Tuttavia in poche occasioni è stato dato il giusto
rilievo alle scienze, che di solito venivano inserite nella voce “Nozioni varie”, accanto ad altre
materie come igiene o geografia. Prima del 1985 solo nei programmi di Gabelli e in quelli di
Washburn le scienze erano state valorizzate. Nei primi si sottolineava l’importanza che
nell’apprendimento rivestono l’osservazione, l’esperienza, la motivazione e il fare per
stimolare capacità riflessive e di ragionamento; nei secondi si metteva in evidenza il ruolo
essenziale del gioco e delle attività del fare, tramite le quali il bambino può sviluppare
liberamente le sue disposizioni e la sua iniziativa.
37 E. Catarsi, Storia dei programmi della scuola elementare (1860-1985), La Nuova Italia, Firenze
37
I programmi del 1985 rappresentano la svolta, e non solo in ambito scientifico. Qui per la
prima volta la scuola diventa promotrice di un apprendimento formativo valorizzato
dall’esperienza diretta e da una sperimentazione attiva che tiene conto delle esigenze del
bambino e soprattutto che parte dal bambino stesso considerando i suoi interessi, le sue
esperienze, il suo bagaglio personale. All’insegnamento scientifico in particolare viene dato
un particolare rilievo, poiché è reso ancora più autonomo rispetto alle altre discipline e gli
viene attribuito per la prima volta un valore formativo più generale nella crescita della
persona e in particolare del suo senso critico e riflessivo. La modalità di insegnamento che
viene proposta è quella centrata sull’insegnare per problemi, attraverso la promozione di
percorsi di scoperta. “Mediante l’azione concreta si costruiscono le conoscenze che fanno
riferimento non tanto ad aggregazioni separate di saperi, ma ad ambiti disciplinari correlati tra
loro che conferiscono unitarietà e completezza al sapere stesso.”38
Però è soprattutto negli ultimi anni che la scuola ha cercato di dare una svolta al sistema
educativo ancora legato al passato, proponendosi nuove finalità e facendosi promotore di una
società democratica, multietnica e attenta ad ogni singolo individuo come parte integrante
della società. Essa in particolare si prefigge lo scopo della formazione culturale di ogni
cittadino, e in particolare si impegna a sostenere e a guidare il bambino nello sviluppo di tutte
le sue potenzialità e della sua personalità, con il fine di prendere consapevolezza di sé e degli
altri.
Nelle Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola primaria, redatti
nel 2003, sebbene l’impostazione strutturale sia totalmente diversa poiché viene dato molto
rilievo all’analisi degli obiettivi, i contenuti si muovono verso la stessa direzione. Qui viene
ribadita l’importanza dell’esperienza personale, delle conoscenze proprie di ogni bambino, del
fare e della sua corporeità. Il sapere scientifico, in particolare, ha lo scopo di promuovere la
nascita del pensiero critico che aiuti il fanciullo ad interpretare con atteggiamento positivo e
aperto le esperienze della vita futura. Proprio per questo aspetto le materie scientifiche
vengono fortemente rivalutate per l’atteggiamento dinamico e di ricerca che gli sono propri e
che contribuiscono alla sua maturazione personale in ogni campo.
Sulla stessa direzione sono le Indicazioni per il Curricolo del 2007, il documento ministeriale
che rappresenta il manifesto educativo dell’odierna azione formativa. Qui la scuola diventa
38 D. Capperucci, Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare. Modelli teorici e proposte operative per la scuola delle competenze., Franco Angeli, 2008 Milano
38
un’agenzia per la promozione dell’apprendimento, il cui obiettivo principale è “quello di
formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare
positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali presenti e
futuri.”39 Nella scuola attuale, in cui scuola e società sono profondamente correlati, l’azione
formativa delle istituzioni scolastiche si pone il “compito più ampio di educare alla
convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni
studente.”40 Già da alcuni anni il bambino è stato fortemente rivalutato e posto al centro
dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici,
etici, spirituali, religiosi.
Nelle Indicazioni per il Curricolo le discipline sono raggruppate in aree disciplinari per
valorizzare la permeabilità e i collegamenti tra le discipline appartenenti al medesimo
raggruppamento e anche fra aree diverse. Sebbene la ripartizione in tre ambiti disciplinari
fosse presente anche nei programmi del 1985, nelle “Indicazioni” assumono un significato più
ampio, poiché “rappresentano l’ambiente in cui può esprimersi appieno la progettualità delle
scuole e la interdisciplinarità dell’insegnamento.”41 L’area disciplinare matematico-
scientifico-tecnologica comprende tre discipline: matematica, scienze naturali e sperimentali,
tecnologia e informatica. Soprattutto per questo gruppo di discipline viene ribadita
l’importanza di mettere in stretto rapporto il pensare con il fare con lo scopo di sviluppare “le
capacità di critica e di giudizio, la consapevolezza che occorre motivare le proprie
affermazioni, l’attitudine ad ascoltare, comprendere e valorizzare argomentazioni e punti di
vista diversi dai propri.”42 Tali finalità devono essere perseguite favorendo la didattica
laboratoriale, in cui l’astrattezza del pensiero trova una sua applicazione concreta, che mette
alla prova gli alunni nelle loro capacità di impostazione e risoluzione dei problemi. Inoltre è
da privilegiare una metodologia euristica che, attraverso percorsi di indagine e di esperienza
diretta, facilita il passaggio da forme spontanee di pensiero a quelle maggiormente
organizzate. Queste strategie educative trovano piena realizzazione nella discussione e nel
confronto collettivo, momento di scambio con il pensiero degli altri. Il documento
ministeriale invita anche a dedicare molta cura all’acquisizione di linguaggi e strumenti
appropriati, allo scopo di dare forma al pensiero scientifico. Agli insegnanti viene richiesto di
39 M.P.I., Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo circolo d’istruzione, settembre 2007 40 Ibidem 41 Ibidem 42 M.P.I., Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo circolo d’istruzione, settembre 2007
39
“selezionare alcuni temi (campi di esperienza) sui quali lavorare a scuola in modo diretto e
progressivamente approfondito, in continuità, attraverso gli anni di scuola.”43
Nelle indicazioni sono stati previsti appositi obiettivi formativi da raggiungere rispettivamente
al termine del terzo e quinto anno della scuola primaria e al termine del terzo anno della
scuola secondaria di primo grado. In particolare riporto di seguito gli obiettivi del quinto anno
che hanno riguardato in particolare il mio progetto didattico:
Oggetti, materiali e trasformazioni
− Costruire operativamente in connessione a contesti concreti di esperienza quotidiana i
concetti geometrici e fisici fondamentali, in particolare: lunghezze, angoli, superfici,
capacità/volume, peso, temperatura, forza, luce, ecc..
− Indagare i comportamenti di materiali comuni in molteplici situazioni sperimentabili
per individuarne proprietà (consistenza, durezza, trasparenza, elasticità, densità …);
produrre miscele eterogenee e soluzioni, passaggi di stato e combustioni; interpretare
i fenomeni osservati in termini di variabili e di relazioni tra esse, espresse in forma
grafica ed aritmetica.
− Riconoscere la plausibilità di primi modelli qualitativi, macroscopici e microscopici,
di trasformazioni fisiche e chimiche. Avvio esperienziale alle idee di irreversibilità e
di energia.
Osservare e sperimentare sul campo
− Indagare strutture del suolo, relazione tra suoli e viventi; acque come fenomeno e
come risorsa.
L’uomo i viventi e l’ambiente
− Proseguire l’osservazione e l’interpretazione delle trasformazioni ambientali, ivi
comprese quelle globali, in particolare quelle conseguenti all’azione modificatrice
dell’uomo.
Da questa breve trattazione diventa evidente quanto sia mutata l’idea delle scienze nella
scuola. Non solo queste discipline sono state rivalutate e hanno trovato una maggiore
affermazione, ma è cambiato proprio il modo di considerarle: da sapere nozionistico sono
diventate sapere in continua costruzione. L’apporto degli studi psicologici e pedagogici hanno
inoltre sottolineato l’importanza di proporre le discipline scientifiche fin dai primi anni di
insegnamento, poiché il bambino può abituarsi presto a ragionare e ad avere un approccio di
43 Ibidem
40
tipo scientifico. Compito della scuola è quello di avvicinare con gradualità il bambino al
mondo della scienza, perché possa osservare in maniera attenta e critica la realtà che lo
circonda.
41
III capitolo
Mettiamo in pratica le conoscenze acquisite
1. Per cominciare Dopo molti anni di studio e duro impegno è finalmente arrivato il momento di mettersi alla
prova nel mondo della scuola e di cercare di mettere in pratica in modo creativo e critico tutte
le conoscenze acquisite.
Il fatto di aver lavorato saltuariamente come supplente nella scuola Primaria è stato molto
importante per me, poiché l’esperienza acquisita mi ha permesso di progettare e organizzare il
lavoro in modo più attento e appropriato.
Ad essere sincera negli anni di studio da me sostenuti ho avuto la sensazione di essere
avvantaggiata rispetto agli studenti che non avevano avuto esperienza diretta nella scuola,
poiché la realtà toccata con mano ti aiuta a comprendere i bisogni e le necessità a cui è
necessario provvedere.
Infatti, sebbene i manuali di psicologia e di pedagogia, o i testi sulla didattica, siano necessari
e fondamentali per fornire quelle conoscenze indispensabili per essere preparati al meglio
nella professione dell’insegnante, la formazione effettiva di ogni individuo si traduce a pieno
nel momento dell’esperienza. Ed è proprio tra i banchi di scuola che, attingendo direttamente
a tutte le informazioni acquisite, si realizzano compiutamente le proprie conoscenze
pedagogiche rielaborate e arricchite dal bagaglio personale di esperienza.
Per questo il progetto riveste un’importanza fondamentale, dato che è il momento in cui si
realizza la sintesi di anni di studio.
È stato davvero importante essere consapevole fin dai primi momenti del fatto che sarebbe
stato necessario costruire il mio progetto di lavoro per la tesi proprio nella realtà della classe
dove avrei svolto il mio lavoro cercando di adeguare tutto, obiettivi, contenuti, metodo…, al
contesto e soprattutto ai bambini, i veri protagonisti.
42
2. Il contesto Il mio progetto è stato svolto alla scuola Sant’Andrea di Colle Val d’Elsa in provincia di
Siena, una piccola scuola situata vicino casa mia, alla quale sono molto affezionata poiché lì
ho svolto il mio quinquennio elementare.
Il caso mi ha poi aiutata poiché conoscevo molto bene molti dei bambini della classe VB in
cui ho svolto il progetto, perché frequentano l’ambiente parrocchiale in cui io ho un ruolo
molto attivo.
Inoltre nella classe parallela avevo effettuato, per due anni di seguito, una supplenza di
qualche mese che mi aveva permesso di entrare in buoni rapporti sia con i bambini di
entrambe le classi, sia con le insegnanti.
Vista la situazione mi è sembrato giusto sfruttare l’occasione e scegliere un ambiente
conosciuto, soprattutto perché nei giorni di supplenza si era creata una grande intesa con la
maestra Isabella, l’insegnante di scienze e matematica della classe parallela. Era nata da
subito una grande sintonia con lei e soprattutto una grande ammirazione da parte mia, poiché
avevo visto in lei l’insegnante brava e molto attenta che vorrei diventare. E poi un fatto
importante ci univa: la passione per le scienze.
La classe coinvolta nel progetto era costituita da ventuno alunni, tutti abitanti nella zona di
Colle Val d’Elsa. I bambini erano tutti ben integrati nel gruppo, dove le due bambine straniere
presenti godevano di una grande stima da parte di tutti. Sebbene non c’erano casi di sostegno
o di certificazioni, un bambino presentava delle difficoltà di attenzione, forse dovute al suo
carattere difficile.
Una nota positiva va attribuita al clima sereno e disteso della classe VB, in cui tutti avevano
un comportamento molto responsabile e maturo, ottenuto sicuramente da un grande lavoro
delle insegnanti durato per tutto il ciclo della scuola e mirato alla costruzione di una buona
convivenza civile e del rispetto reciproco. Sono rimasta molto colpita dall’atteggiamento
sereno e riflessivo con cui i bambini discutevano delle questioni che riguardavano la classe,
per prendere una decisione collettiva, ma anche in caso di litigio o semplicemente di
incomprensione.
Devo precisare che l’armonia educativa non riguardava esclusivamente la classe di cui ho
parlato, ma è un’impronta caratteristica di tutta la scuola, la quale, anche in tempi più lontani,
ha sempre cercato di attuare strategie e metodi educativi attivi sull’impronta di Dewey, dando
molta importanza all’esperienza e alle attività di laboratorio interclasse.
43
Sant’Andrea, in origine una villa antica di campagna, è una scuola a tempo pieno e
l’abbondanza delle ore permette di dare molto spazio al gioco, in particolare al gioco libero
all’aria aperta, essendo dotata di un giardino davvero molto grande e ricco di vari tipi di
alberi.
La ricchezza del parco dal punto di vista ambientale è molto stimolante per i bambini che non
sempre, nella vita quotidiana, possono avere la possibilità di stare a stretto contatto con la
natura e le sue meraviglie. L’estensione del parco permette ai bambini di svolgere attività
fisica anche nei giochi più attivi e movimentati e anche nei giochi di gruppo, indispensabili
per una crescita sana.
44
3. Marie Curie: la mia musa ispiratrice La mia precedente formazione, con indirizzo chimico-biologico, ma soprattutto la passione
per le materie scientifiche, mi ha spinto ad orientarmi verso un progetto di argomento
scientifico.
Nella fase di elaborazione del progetto ho tratto molta ispirazione dalla lettura del libro di
Marie Curie Sklodowska, in cui sono riportati gli appunti delle lezioni da lei svolte raccolti da
una sua allieva, Isabelle Chavannes.
Questa scienziata, oltre a dedicare gran parte della sua vita agli studi sulla radioattività, nel
1907, dopo la morte di suo marito, condusse un’originale esperienza di insegnamento rivolta
ad un gruppo di adolescenti, per la maggior parte figli di importanti personalità dell’epoca,
come scienziati o umanisti suoi colleghi all’università della Sorbona in cui Marie insegnava.44
In questa esperienza tutti i genitori illustri, una dei quali era appunto Marie Curie, si
prodigavano per dar vita ad un’avventura scolastica intensa e allettante per i propri ragazzi.
Negli appunti delle sue lezioni di fisica traspare un profondo amore per la scienza e
un’attenzione scrupolosa alla trasmissione del metodo scientifico, propri dell’illustre
scienziata. 45 Attraverso queste lezioni, fenomeni astratti e spesso considerati noiosi o difficili
vengono illustrati in modo pittoresco, divertente e sorprendentemente chiaro.
Estremamente rilevante è l’importanza che la Curie dà all’aspetto pratico e all’esperienza.
Nelle sue lezioni i ragazzi sono guidati ad acquisire una buona percezione delle proprietà
della materia attraverso lo studio del comportamento dei corpi in varie condizioni e
circostanze.
Interessante è poi notare che la scienziata, per intraprendere il percorso conoscitivo della
fisica, decide di partire da argomenti e concetti che di solito spaventano e mettono in
difficoltà i ragazzi poiché richiedono un elevato livello di astrazione, quali l’aria e i gas in
genere, e conseguentemente la densità e la pressione.
Ma cosa rende così affascinanti e chiare le sue lezioni?
Un piccolo laboratorio in cui poter svolgere semplici esperimenti o anche semplicemente una
cucina è la chiave dell’originalità del suo lavoro. L’obbiettivo a cui mirava è quello di
suscitare interesse e stupore nei bambini, che sono il motore principale per l’apprendimento.
44 I colleghi di Marie Curie sono personalità importanti del calibro di Paul Langevin, Jean Perrin, Jacques Hadamard 45 Chavannes I., Lezioni di Marie Curie, la fisica elementare per tutti, Edizioni Dedalo, 2004
45
Nel suo percorso non appaiono teorie o leggi predeterminate o formule complicate. Ogni
concetto, ogni regola è scoperta dai ragazzi, i quali diventano in questo modo i protagonisti
assoluti. Non sono loro che devono entrare nel mondo della scienza, ma è la scienza che entra
dentro di loro arricchendosi della loro personale soggettività.
Ciò che rende davvero notevole il lavoro di Marie Curie è il fatto che nelle sue lezioni i
ragazzi vengono chiamati ad imparare la fisica da soli, esclusivamente con l’ausilio della loro
testa e dell’esperienza. Lei si propone come guida mettendosi alla loro pari, stimolando o
provocando domande e riflessioni, che sono elemento essenziale delle scienze.
Con questo approccio pratico e sperimentale i ragazzi possono esercitare la loro manualità, di
solito poco considerata, costruendo piccoli strumenti, manipolando oggetti e sostanze talvolta
piuttosto pericolose se utilizzate con disattenzione, facendo misure ed osservazioni ed
estendendo i risultati ottenuti a casi più generali.
Ricorrendo spesso alle attività sperimentali, i bambini acquistano una tale naturalezza e
spontaneità che li porta a svolgere il lavoro anche divertendosi.
Il lavoro di Marie Curie ha ispirato molto il mio progetto, poiché in esso quei principi propri
dell’attivismo e della più alta lezione di Dewey letti in chiave scientifica, venivano messi in
pratica.
I punti essenziali del suo metodo e del suo lavoro da cui ho preso spunto possono così essere
riassunti:
− l’incessante ricerca di domande e interrogativi, come punto di partenza della
scienza;
− l’utilizzo degli esperimenti come attività conoscitiva principale;
− l’intervento attivo di ogni ragazzo negli esperimenti;
− l’importanza del laboratorio anche se semplice e improvvisato, non
necessariamente ben attrezzato e all’avanguardia;
− la dialettica come punto di contatto tra la sperimentazione e la riflessione, tra
mani e cervello, tra la realtà e l’immagine che abbiamo di questa;
− il coinvolgimento e la motivazione dei ragazzi come motore della ricerca;
− l’incontro tra la natura e i ragazzi come punto di partenza della ricerca;
l’importanza di non tralasciare, anzi di affrontare fin dal primo momento concetti e argomenti
difficili per l’alto livello di astrazione che la loro comprensione richiede.
46
4. Una dura scelta: l’argomento A questo punto la mia testa era affollata da molte idee e pensieri, i quali però non riuscivano
ad organizzarsi e orientarsi verso una direzione ben precisa.
Cercavo un argomento che fosse abbastanza semplice, adeguato al bagaglio di conoscenze dei
bambini di V, ma allo stesso tempo un po’ complesso, che potesse stuzzicare il loro interesse,
e renderli capaci di guardare con occhi più attenti il mondo che li circonda per imparare a
vedere al di là della prima apparenza.
Nonostante siano davvero tanti gli argomenti scientifici che è possibile trattare, inizialmente
non riuscivo a trovare quello che poteva soddisfare tutte le mie idee ed esigenze.
I requisiti, la qualità che volevo dal mio progetto erano molto alti, poiché volevo andare al di
là della sola comprensione di un fenomeno naturale o di una legge della fisica.
Per prima cosa, prendendo come esempio il lavoro di Marie Curie, desideravo trattare di
qualcosa che davvero interessasse e incuriosisse i bambini, così da far nascere in loro
quell’entusiasmo che avevo percepito nei giovani allievi della scienziata francese.
A mio avviso questo era il punto meno complicato poiché la gamma a cui potevo attingere è
davvero molto vasta. Le scienze hanno sempre avuto un fascino speciale a cui nessuno può
restare indifferente; quindi la mia scelta difficilmente avrebbe mancato tale requisito.
Ho dedicato molte riflessioni alla difficoltà o alla facilità dell’argomento.
Certo è che la semplicità di acquisizione è relativa alle modalità con cui viene presentata ai
bambini. Anche un argomento molto complicato, come la gravitazione universale, se posto in
termini più accessibili e restando a un livello generale, può essere compreso da chi non ha una
solida preparazione scientifica.
La semplicità a cui mi riferisco riguarda la possibilità di studiare un fenomeno che potesse
essere parte dell’esperienza quotidiana di ciascun bambino, così da permettere un contatto
diretto con ciò che sarebbe stato studiato.
Ciò non vuol dire che doveva essere scontato. Anzi, ritenevo fosse importante indagare anche
aspetti più difficili e complessi i quali a mio avviso sono utili a stimolare e invogliare nello
studio e nella ricerca. Spesso infatti è quando non riusciamo a capire o quando nella difficoltà
ci facciamo domande, che nasce la voglia di scoprire.
Nel progetto desideravo affrontare anche la problematica ambientale con lo scopo di
sensibilizzare in modo più ragionato e motivante il rispetto per l’ambiente.
47
Nella scuola c’è una attenzione crescente su questo argomento, che sta diventando sempre più
attuale. La mia idea era quella di trattare la tematica ambientale con un approccio più
scientifico, per far capire ai bambini che si può dimostrare rispetto per l’ambiente anche nei
gesti quotidiani.
Ma come realizzare concretamente tutte le mie idee?
48
5. Eureka Proprio come il grande Archimede, e un po’ anche con il suo aiuto, anch’io finalmente sono
riuscita a trovare la soluzione a tutti i miei pensieri.
L’ acqua è stata la mia scelta.
In questo caso, l’aspetto ambientale calzava a pennello, potendo spaziare in infinite
sfaccettature, dal risparmio del consumo, dall’inquinamento dei mari e dei fiumi ad opera di
industrie, navi, fino alla velocità di scioglimento dei ghiacciai.
In questo caso l’acqua richiede un approfondimento maggiore per sottolineare quanto questo
composto sia essenziale per la vita di tutti gli esseri viventi e l’equilibrio della Terra.
A primo avviso forse può sembrare un argomento scontato. Ma non è così.
L’acqua ha davvero molte caratteristiche alcune delle quali difficili da rilevare poiché
emergono solo se osservate con più attenzione.
Il duplice aspetto di difficoltà e semplicità che ricercavo viene soddisfatto a pieno dall’acqua,
poiché, essendo parte integrante della nostra vita, viene considerata talvolta anche scontata.
Ma volendo approfondire il suo studio ci si addentra nel mondo della fisica, della chimica e
della biologia e si scopre una complessità notevole.
Attorno all’acqua ci sono un’infinità di domande e quesiti a cui poter dare risposta. Primo tra
tutti: “perché l’acqua è così importante?”.
Inoltre quale altra sostanza o fenomeno sarebbe potuto essere così facilmente sperimentabile
senza alcuna difficoltà rispetto alla pericolosità o alla reperibilità? Nessun’altro.
L’esperienza che volevo proporre sarebbe stata utile a eliminare o almeno a mettere in crisi
quei misconcetti che sono così frequenti tra i bambini e talvolta anche tra gli adulti.
Questo argomento mi avrebbe di sicuro permesso di muovermi a mio piacimento
approfondendo o sorvolando alcuni aspetti o altre caratteristiche, e soprattutto sarebbe stato
semplice far sperimentare attivamente tutti i bambini.
La motivazione e l’interesse non dipendono solo dall’argomento, ma soprattutto dalle attività
che avrei proposto.
49
6. Addentriamoci nei dettagli Prima di partire concretamente con l’organizzazione del percorso, mi è sembrato necessario
discutere la mia proposta con l’insegnante della classe, la maestra Isabella, per valutare
soprattutto se lo studio delle caratteristiche e delle proprietà dell’acqua poteva essere inserito
all’interno della progettazione scolastica.
La mia proposta è stata accolta con molto entusiasmo, nonostante nella progettazione
curricolare il gruppo dei docenti avesse previsto unità didattiche riguardanti i vari tipi di
energia, legate ad un progetto interdisciplinare sulla città e la cittadinanza, e il corpo umano.
L’insegnante mi ha spiegato che non c’erano problemi per l’inserimento della mia attività
perché lo studio dell’acqua poteva essere inserito sia nel progetto della città, considerandola
come risorsa collettiva e indispensabile per tutti i cittadini, sia nelle unità riguardanti il corpo
umano, essendo l’acqua componente essenziale e indispensabile per la vita e per il
funzionamento di ogni apparato.
Ma per rendere calzante il mio lavoro rispetto ai reali bisogni della classe e alla soggettività di
ogni alunno ho chiesto informazioni sugli argomenti trattati negli anni precedenti, per poter
capire il loro livello di conoscenza dell’argomento e i possibili punti di contatto con
esperienze pregresse, tramite le quali avrei potuto risvegliare le loro conoscenze.
Ho scoperto che durante il ciclo quinquennale erano stati affrontati più volte argomenti con
riferimento diretto all’acqua soprattutto in relazione all’ambiente, come per esempio durante
una visita alla sorgente del fiume Elsa fatta l’anno precedente. Sono stati proprio i bambini a
raccontarmi con entusiasmo la loro esperienza, durante la quale hanno posto particolare
attenzione alla flora e alla fauna circostante.
Dai loro racconti ho capito che l’aspetto ambientale era stato trattato molto accuratamente in
molte occasioni, prima tra tutte nel quotidiano contatto con il parco della scuola. Questo
interesse era testimoniato anche dalla presenza di alcune piantine in classe, di cui i bambini si
prendono cura quotidianamente.
Sebbene le insegnanti avessero sensibilizzato molto i bambini al rispetto ambientale, la
descrizione delle caratteristiche e delle proprietà dell’acqua risultavano meno approfondite.
Lo studio dei passaggi di stato e del ciclo dell’acqua erano stati soltanto accennati negli anni
precedenti con qualche schema generale e qualche lettura dal libro di testo.
Durante le ore che avevo trascorso in classe prima di iniziare il progetto mi sono resa conto
che i bambini mostravano una grande capacità intuitiva e di collegamento, che scaturiva
50
soprattutto dall’incessante stimolo che la maestra dava loro, spingendoli a tentare di
rispondere a domande più o meno insolite seguendo il loro istinto e il loro ragionamento
senza paura di incorrere in risposte astruse. Non credo sia facile trovare una simile elasticità
mentale così diffusa a tutta la classe. Ogni bambino,dal più sveglio al più timido, veniva
incitato a dare la sua risposta che, con abilità incredibile, l’insegnante valorizzava e magari
rendeva giusta con l’aggiunta di una parola o di un piccolo suggerimento, o anche girando un
po’ la frase.
L’osservazione diretta del metodo educativo dell’insegnante e anche dell’atteggiamento di
complicità tra loro istaurato mi è servita molto poiché nel mio lavoro volevo cercare di
seguire lo stesso tipo di approccio. Ogni insegnante a mio avviso ha una certa personalità e di
conseguenza anche un proprio modo di insegnare. Ma in casi come il mio, in cui una persona
entra nella classe dall’esterno per un breve periodo, è giusto che questa persona cerchi di
adattarsi il più possibile al clima della classe adeguandosi alle dinamiche già esistenti.
La scoppiettante vivacità intuitiva e la voglia di conoscere che avevo osservato in classe mi
hanno invitato a seguire una direzione più impegnativa ovvero verso concetti e proprietà
dell’acqua anche complessi e intricati.
Ma forse le mie idee iniziali erano state troppo ambiziose, visto che il tempo a disposizione
non era poi così tanto. L’acqua effettivamente ha infiniti aspetti che possono essere trattati
poiché la troviamo da ogni parte e pretendere di poter approfondire tutte le sue parti è
impossibile.
Inoltre le insegnanti erano già moto impegnate in progetti da svolgere oltre il programma
scolastico e richiedere tanto tempo per me non sarebbe stato corretto.
Tenendo conto di tutto mi accordai con l’insegnante per un totale di sei incontri in cui
svolgere tutto il lavoro.
Durante la fase di accordo proposi di aggiungere qualche ora con caratteristiche
interdisciplinari da svolgere con l’altra insegnante della classe, per esempio riguardo
all’aspetto storico o artistico, per dare al mio progetto un legame più forte con tutta la classe e
non rimanere solo collegato ad una parte del programma. Ciò però non è stato possibile a
causa del relativo tempo che avevo a disposizione.
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7. Le parti da trattare A questo punto non mi rimaneva che stendere una scaletta.
Non c’era solo da scegliere l’ordine con cui avrei presentato gli argomenti, ma anche quali
parti sarebbero state da trattare e quali no.
Non avevo dubbi che il primo incontro avrebbe riguardato il metodo sperimentale, base
indiscussa di tutte le scienze. Visto che negli anni precedenti era stato fatto solo un rapido
accenno, potevo riprenderlo completamente dall’inizio, indirizzando il discorso dove
preferivo.
Molto tempo ho dedicato a ricercare esperienze e giochi da svolgere in classe. Come ho detto
sopra, i bambini non avevano grandi conoscenze su questo tema ed era necessario iniziare da
argomenti molto semplici, un po’ scontati forse, per poter poi addentrarci nel profondo delle
questioni. Così ho deciso di partire dai fenomeni più semplici connessi all’acqua come lo
scioglimento dei sali, che ho trattato nel secondo incontro, per poi passare alla tensione
superficiale, proposto nel terzo, entrambi spiegati con accenni alla chimica.
Nel quarto incontro ho ritenuto opportuno addentrarmi più nel mondo della fisica, in
particolare nella meccanica dei fluidi, visto che l’acqua è il liquido per eccellenza.
Nell’incontro successivo non poteva essere tralasciato il principio di Archimede, così
affascinante e coinvolgente per grandi e piccini.
A questo punto il lavoro era arrivato quasi a conclusione e mi è sembrato giusto concludere
con un incontro meno impegnativo dove tirare le linee conclusive del percorso, concedendo
un breve spazio al discorso ambientale a cui tenevo molto.
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8. La parte più difficile Ma il traguardo era ancora molto distante, e il lavoro più impegnativo doveva ancora arrivare.
Da dove iniziare? Dalla teoria? O da esperienze dirette? Ma quali? Come organizzare la
didattica? Quali strategie educative preferire?
Il mio scopo era di organizzare delle lezioni diverse dal solito, in cui poter imparare
divertendosi.
Ho deciso in primo luogo di dare spazio assoluto agli esperimenti che avevano lo scopo di
stimolare il loro interesse. Ma una parte più riflessiva non poteva mancare, soprattutto per
alcuni argomenti.
Infine ho deciso che ogni incontro sarebbe stato caratterizzato da una didattica adeguata alle
necessità e agli elementi a mia disposizione, cercando un compromesso tra le mie aspettative,
il tempo, lo spazio e il materiale.
L’organizzazione del lavoro è nata molto spontaneamente. Ho cercato di immaginarmi il
momento preciso della lezione e ho scritto i probabili dialoghi, e la direzione che avrebbe
potuto prendere il discorso, tenendo ben conto dell’aspetto logico e propedeutico.
Ho cercato di integrare più codici del linguaggio: dalle parole ai disegni, dai video ai simboli
e così via.
Per ogni argomento ho cercato di partire dal concreto, da ciò che i bambini potevano
conoscere oppure toccare con le loro mani, fino ad arrivare a concetti decisamente astratti.
In ogni lezione ho dedicato molto spazio all’esperienza, che non si realizzava esclusivamente
nell’esecuzione di un procedimento stabilito, come può avvenire nella realizzazione di un
esperimento già deciso, ma lasciava spazio all’attività spontanea e al pensiero critico di ogni
bambino.
Nell’organizzazione del lavoro ho valutato che alcuni argomenti richiedevano un’attenzione
più particolare, mentre per altri era importante lasciare tempo di toccare con mano
l’esperienza da fare. Per questo ho variato i metodi didattici alternando lavoro a piccoli
gruppi, lavoro individuale, attività specializzata, discussione guidata, attività spontanea,
momento di gioco, riflessione collettiva, visione di un filmato.
Tengo a precisare che in più di un’occasione, anche a livello informale, ho previsto l’utilizzo
del brainstorming, ovvero della tecnica chiamata anche associazione libera, la quale era molto
utilizzata all’interno della classe e infatti i bambini erano molto bravi in questo.
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Per le attività di verifica ho utilizzato varie forme di prove: domande aperte, domande a
scelta, domande in cui si chiedeva di ordinare e anche di rappresentare con il disegno alcuni
concetti.
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9. L’ultima prova prima della realizzazione
Ogni esperimento e ogni attività ha richiesto una fase di preparazione molto lunga.
In primis è stato necessario dedicare molto tempo alla scelta delle esperienze più adatte da
svolgere in classe, per tenere in conto le esigenze di tempo, di spazio, ma anche di facilità di
esecuzione e valutare se svolgere l’attività in gruppi o no.
Importante è stata l’organizzazione del materiale da utilizzare che, per ridurre i tempi al
minimo, è stato sempre preparato con cura secondo particolari accorgimenti che facilitassero
la velocità.
I materiali e gli strumenti utilizzati nell’esecuzione delle attività sono stati davvero molti. Di
seguito elenco quelli più rilevanti:
− Schede precompilate
− Lavagna e cartelloni
− Immagini e disegni
− Contenitori in plastica
− Varie sostanze da cucina e da bagno: sale, zucchero, caffè, olio, vino, farina,
latte, cacao, bicarbonato di sodio, sapone, borotalco,
− Colorante
− Piccoli oggetti da laboratorio e di uso comune: siringhe senza l’ago, pipette,
puntine, graffette, ago da sarta, filo di ferro, pinzette
− Oggetti vari: sughero, cannucce, gomma, sassi, noci, imbuto, carta stagnola,
polistirolo, bottigliette, palloncini, palline da golf, bottoni, bulloni, frutta, gessi,
matite, legno, vasetto in plastica, spago
− Piccoli contenitori di uguale volume con peso diverso
− Contenitori o bacinelle grandi
− Bilancia da cucina
− Dinamometro
− Sostegno a bracci
− Macchina fotografica
− Telecamera
− Proiettore
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Prima di realizzare il progetto in classe ho pensato di fare una seconda prova per stimare i
tempi effettivi.
Per rendere più carino e simpatico, ma soprattutto per dare un’individualità maggiore al mio
progetto, ho cercato di arricchire l’ambiente con piccoli cartelloni colorati e allegri.
A questo punto tutto era prontissimo, ma avevo un dubbio.
Come poter registrare in modo dettagliato tutte le intuizioni, le ipotesi giuste e anche le frasi
fuori luogo?
Annotare tutto sarebbe stato impossibile, quindi ho deciso di ricorrere all’uso di una
telecamera che mi avrebbe dato la possibilità di notare anche quei particolari che talvolta
sfuggono nel momento stesso.
A questo punto era davvero tutto pronto e non restava altro che iniziare questa bella e
misteriosa avventura.
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10. L’organizzazione degli incontri In tutto sono stati svolti sei incontri, ognuno di due ore ciascuno.
Il primo è stato svolto volto nell’aula con la classe al completo; nel secondo e nel terzo
incontro la classe è stata suddivisa in due gruppi che hanno lavorato per un’ora ciascuno nel
laboratorio di immagine. Il quarto incontro è stato caratterizzato da un gioco collettivo
eseguito nel giardino per circa un’ora, seguito da un momento di verifica individuale in
classe. Per il quinto e il sesto incontro è stata coinvolta la classe al completo all’interno della
loro aula.
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Il progetto incontro dopo incontro
1. I incontro
Il primo approccio alle scienze Come poter iniziare il lavoro?
La scelta dei contenuti e degli obiettivi da cui partire mi hanno dato molto impegno. La
priorità stava nel trovare la giusta modalità con cui proporre il progetto e mi serviva una
motivazione concreta che potesse stimolare e rendere partecipi tutti i bambini.
In fase di progettazione avevo pensato diverse possibilità: una storia fantastica, un evento
scientifico particolare e attuale, un viaggio immaginario nel mondo dell’acqua…
Il problema era che tutto mi sembrava forzato, non spontaneo e non adatto alle loro necessità.
I bambini in V iniziano a diventare grandi e hanno bisogno piuttosto di responsabilità, di
essere trattati da grandi, e non di storielle immaginarie lontane dalla loro esperienza.
E allora quale altra motivazione poteva essere migliore della verità stessa?
Spinta da queste idee, tra emozione e tensione, ho iniziato a raccontare ai bambini come
stavano le cose.
Tutti mi conoscevano già e fin dal principio sapevano che ero insieme a loro per imparare a
fare bene la maestra.
“Secondo voi cosa devo fare per diventare una brava maestra?”
La mia domanda ha suscitato subito un sacco di interventi, sugli studi universitari, sugli
esami, magari per esperienza di fratelli o parenti. Ma nessuno conosceva l’ultimo passo: la
tesi46.
Ho colto l’occasione, giustamente calcolata, di spiegare con precisione come si svolgono le
cose, spiegando con attenzione tutti i passaggi necessari. Tra qualche anno forse interesserà
direttamente a qualcuno di loro.
Ma in ogni storia che si rispetti c’è sempre un ostacolo da superare.
E io avevo trovato un piccolo problema, un espediente per invogliarli e motivarli nel lavoro
da svolgere.
46 La parola tesi è stata spiegata in classe, descrivendola come un piccolo libro da scrivere a conclusione del percorso universitario.
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Così ho raccontato loro, in maniera un po’ romanzata, il colloquio che avevo avuto con il
relatore della tesi, e le idee che avevamo discusso in quell’incontro. Ho detto loro che il mio
professore di fisica aveva scelto per la mia tesi un lavoro molto difficile.
“L’argomento della sua tesi sarà l’acqua, però non deve studiarla, facendo ricerche da libri,
testi o enciclopedie; sarebbe troppo semplice.
Lei non deve ricercare me scoprire!
Dovrà svelare tutte le caratteristiche di questo favoloso elemento semplicemente
sperimentandolo nella realtà.
Attenzione al metodo con cui procedere, perché da questo dipende l’esito di tutto il suo
lavoro.”
Dopo la lettura di questa lettera i bambini sono rimasti un po’ interdetti. Non avevano
compreso cosa volessero dire queste parole.
Cosa richiedeva questo professore?
Cosa significava questo discorso complicato?
Ma appena ho finito di chiedere: “Vi va di aiutarmi?” una valanga di voci si sono alzate
entusiaste!
Un secondo dopo tutti erano già pronti a mettersi al lavoro.
Ma prima di passare alla pratica era necessario individuare le fondamenta del lavoro da fare: il
metodo scientifico sperimentale.
È iniziata una bella discussione collettiva in classe, dove ognuno portava le proprie idee e
proposte.
Da subito ho cercato di pormi al loro stesso livello, nel senso che anch’io ai loro occhi non
sapevo dove il percorso ci avrebbe portato. Tutti insieme dovevamo decidere cosa fare e dove
concentrare le nostre forze.
Cercare di nascondere le mie conoscenze, e aspettare che da soli riuscissero ad arrivare alla
soluzione non è stato affatto semplice.
Il mio compito era quello di stimolare la discussione cercando di annotare le proposte o le
indicazioni più utili su un cartellone, ma allo stesso tempo cercavo di indirizzare la
discussione verso i punti centrali che dovevano emergere.
Partendo dalle parole del professore e dalla sua richiesta di scoprire è stato tirato subito in
ballo lo scienziato ed il suo lavoro.
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Il ruolo fondamentale dell’esperimento è stato subito individuato. Ma come riuscire a fare le
scoperte? Da dove partire?
Nonostante i bambini cercassero con molto impegno di trovare il metodo giusto da seguire,
per non divagare troppo con il rischio di perdersi in altre questioni, ho fatto ricorso
all’aiutante positivo della nostra storia: Newton.
Chi meglio di uno scienziato poteva aiutarci a capire come arrivare alle scoperte?
La scelta di Isaac Newton non è stata affatto casuale: sia per la sua importanza fondamentale
nel mondo della fisica, sia perché la sua storia personale si prestava bene ai miei obiettivi.
Già qualcuno dei più appassionati al mondo delle scienze lo conosceva. Ma per rendere più
divertente la storia ho iniziato a raccontare di quanto fin da piccolo fosse un alunno eccellente
anche se con un carattere un po’ scontroso. Era così appassionato e interessato agli studi che
ogni occasione era buona per studiare e fare le sue ricerche, persino nei momenti di festa.
Fin da subito questo sconosciuto personaggio ha attratto ed interessato i bambini che si
lasciavano andare a commenti divertenti e simpatici. Per completare la sua storia non poteva
quindi mancare la famosa leggenda della mela dalla quale speravo emergesse il collegamento
essenziale al metodo sperimentale. Ma non mi sono limitata a raccontare questa storiella: mi
sono addentrata in concetti molto difficili e complicati con lo scopo di valutare il loro
interesse e la loro voglia di sapere.
Ho tirato in ballo non solo l’immagine simpatica della mela che cade in testa a Newton, ma
anche la Luna, la Terra e la sua grande scoperta: la gravitazione universale.
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La storia di Newton
Una leggenda ormai famosa racconta che, Newton, un giorno, mentre era
assorto nei suoi pensieri, osservava la Luna.
Molte domande assillavano da tempo il grande scienziato:
“Come mai il nostro satellite rimane continuamente ancorato alla Terra?“
Proprio mentre Newton stava rimuginando ancora una volta su questo
problema, una mela si staccò da un albero e cadde quasi sulla sua testa.
<<Cos’è>> si chiese <<che fa cadere la mela verso il basso invece che verso
l’alto?>>.
E qui una grande intuizione balzò nella sua testa:
“la causa che fa cadere gli oggetti a Terra non è per caso la stessa che tiene
legata la Luna alla Terra?”
E proprio da questa domanda dopo anni di studio riuscì a scoprire che le leggi
che regolano i movimenti dell’universo sono le stesse che regolano la caduta di
una mela.
Il mio scopo era quello di arrivare all’enunciazione del metodo scientifico prendendo come
spunto la scoperta di Newton.
Ma la storia ha stuzzicato in loro un sacco di domande di argomento astronomico così che mi
è sembrato doveroso saziare almeno in parte la loro sete di conoscenza.
La mia supposizione sul fatto che argomenti misteriosi e complessi generano interesse anche
nei più piccoli aveva trovato conferma. Con l’aiuto anche di esempi concreti e vicini alla
realtà ho cercato di spiegare in modo molto generale la legge di gravitazione universale,
proponendo come conseguenza di tale legge il fatto che la Luna rimane sempre vicina alla
Terra. Effettivamente questo argomento è complicato per le loro capacità conoscitive, ma
credo che qualcuno dei più svegli sia riuscito a capire il significato di questo principio. La
spiegazione inoltre è stata resa più semplice dal fatto che già avevano studiato il moto di
rotazione e di rivoluzione sia della Terra attorno al sole che della Luna attorno alla Terra.
I bambini erano davvero interessati all’argomento così che si sono lasciati andare anche a
domande un po’ fuori le righe, un po’ astruse, alle quali ho cercato di rispondere nel migliore
dei modi. Il fatto che i bambini si sentano liberi e invitati a parlare, senza paura di sbagliare, o
che cerchino di trasmettere agli altri i loro pensieri anche se un po’ bizzarri li rende più sicuri
e propositivi. Inoltre la curiosità verso i fenomeni naturali è un elemento essenziale per
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diventare dei bravi scienziati. Questa loro capacità è sicuramente il risultato di molti anni di
lavoro svolti in classe dalle insegnanti.
Per ciò che riguarda la gravitazione ho voluto poi approfondire l’argomento, per valutare
quanto il senso comune dei concetti fisici fosse radicato nei bambini. Per questo ho proposto
una semplice prova:
“Prova a disegnare sulla nostra Terra due bambini: uno di questi abita al polo Nord e l’altro
al polo Sud.”
Non avendo a disposizione molto tempo ho disegnato alla lavagna una circonferenza
invitando qualcuno a risolvere il problema.
La prima bambina, scelta a caso da me, ha disegnato entrambi i bambini nella stessa posizione
cioè con la testa in alto e con i piedi in basso, dimostrando la forza dell’errore dovuto al senso
comune. Ma subito alcuni bambini hanno chiesto di poter rappresentare la loro idea diversa,
che si è rivelata corretta: il bambino in alto con la testa in alto e i piedi in basso, e l’altro
disegnato capovolto.
A questo punto, vedendo il disegno corretto, quasi tutti lo hanno riconosciuto come giusto. Un
bambino inoltre, forse con lo scopo di attirare un po’ l’attenzione, ha affermato di avere
un’ulteriore proposta, che ha rappresentato sulla lavagna: il suo disegno era identico al primo,
quello sbagliato, ma con la differenza di evidenziare il punto di contatto.47
Come ultima prova ho proposto un altro quesito:
47 Nella fotografia riportata qui sotto l’ordine con cui sono stati realizzati i disegni è il seguente: prima quello centrale, poi quello a sinistra e infine quello a destra.
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“Tutti e due i bambini hanno in mano una penna che cade: indica con una freccia in che
direzione cade.”
La bambina che ho chiamato alla lavagna ha prima scelto il disegno per lei esatto e poi ha
disegnato correttamente le frecce, raccogliendo il consenso da parte di tutti gli altri. Tutti i
corpi sono attratti verso il centro del nostro pianeta, secondo la descrizione data da Newton, e
questa tendenza spiega sia l’orientazione delle persone nel disegno del globo, sia la direzione
di caduta degli oggetti in vari punti della Terra, che si chiama direzione verticale.
A questo punto ho ritenuto opportuno tralasciare la discussione sulla gravità e ritornare al
nodo centrale della questione ancora da individuare: il metodo scientifico sperimentale.
Ho invitato i bambini a tornare alla storia che avevamo letto e a riflettere su cosa aveva fatto
Newton. Dal suo esempio è venuto subito fuori che uno scienziato non può lavorare a caso,
senza seguire dei criteri adeguati e ben programmati.
Ma allora da dove partire per intraprendere il lungo cammino di una scoperta?
La discussione era matura: così in poco tempo e con qualche mia domanda mirata hanno
raggiunto l’obiettivo.
L’osservazione e la capacità di porsi domande sono i punti di partenza essenziali.
Su questi due punti ho ritenuto opportuno fare delle precisazioni importanti utilizzando
sempre il metodo della domanda.
Ho chiesto loro, prendendo come esempio il nostro amico Newton, perché si era dedicato
proprio al fenomeno dalla gravità.
Può essere sufficiente guardare un qualsiasi fenomeno e farsi una qualsiasi domanda?
I bambini sono stati molto bravi nel rispondermi, e hanno individuato più di un motivo.
“Per me gli piacevano molto la Luna e le stelle.”
“Però se non gli fosse caduta la mela in testa non avrebbe mai fatto la sua scoperta.”
“Lui aveva studiato tanto, quindi sapeva già molte cose.”
“Lui si era preparato tanto su quelle cose.”
Il punto era stato centrato, così abbiamo aggiunto un requisito essenziale accanto
all’osservazione: lo studio. Per renderlo più chiaro a tutti ho utilizzato un esempio sul corpo
umano che da poco avevano iniziato a studiare: “Potreste scoprire a cosa serve un organo
importante come il fegato se non sapete che dentro di noi c’è l’apparato digerente?”
Non so se questo mio esempio è stato davvero appropriato, però credo che per qualche
bambino sia stato utile, perché dopo ho notato più convinzione e sicurezza.
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Nei miei pensieri temevo che i bambini potessero incontrare difficoltà nell’individuare il terzo
punto, l’ipotesi. Ma mi sbagliavo.
Due bambine hanno proposto subito questa parola anche spiegandola con cura:
“Se hai una domanda dai una risposta che te credi che sia giusta.”
“L’ipotesi è quello che io credo che sia.”
Il punto successivo, la verifica, è stato ancora più semplice da individuare.
“Poi dobbiamo cercare delle confermazioni … cioè delle conferme.”
“Si deve fare delle prove, degli esperimenti.”
“In pratica si deve fare l’esperimento, cioè cerchi di rispondere alle domande che ti sei posto
usando degli oggetti.”
Le loro risposte non potevano essere più corrette. Non c’era bisogno di approfondire niente.
E infine l’ultimo punto.
“Alla fine dobbiamo dire se avevamo ragione.”
“Si vede se abbiamo fatto la nostra scoperta.”
“C’è la conclusione.”
A questo punto mancava solo il nome del metodo che ho subito scritto e spiegato.
Ho cercato di far capire ai bambini che per arrivare a delineare questi punti c’erano voluti
molti anni di studio da parte di molti filosofi e scienziati, tra cui anche Newton. Inizialmente
non tutti erano d’accordo su questi criteri. Oggi però questo è il metodo riconosciuto e seguito
dagli addetti ai lavori e su cui si basa tutta la scienza.
A questo punto sapevamo cosa dovevamo fare. Per improvvisarci un po’ scienziati bastava
seguire queste linee-guida e provare a vedere cosa ne veniva fuori.
Per rendere il lavoro appropriato alle loro conoscenze ho pensato di proporre un
brainstorming, che è il loro forte perché usato molto dalle insegnanti.
Da primo la mia proposta non ha riscosso molto successo, forse perché i bambini iniziavano
ad essere un po’ stanchi, ma visto che questo lavoro non richiedeva un impegno
particolarmente forte, non mi sono tirata indietro e alla fine è riuscito anche bene.48
Al centro di un cartellone ho attaccato una piccola goccia di acqua e ho iniziato a scrivere le
parole che i bambini mi suggerivano.
48 Forse inizialmente i bambini non erano entusiasti di fare questa attività semplicemente perché l’avevano fatto molte volte nei giorni precedenti.
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Poiché le parole che mi dicevano spaziavano in ogni ambito, per indirizzare il lavoro a ciò che
davvero ci serviva, cioè le proprietà chimico-fisiche dell’acqua, ho chiesto di selezionarle in
base al nostro argomento.
Sono emerse molte parole interessanti tra cui:
VITA, LIQUIDO, GHIACCIO, VAPORE, NON HA FORMA, SOLVENTE,
TRASPARENTE, PULISCE, TRASFORMA-LEVIGA-ERODE, H2O.
La struttura chimica dell’acqua è stata tirata fuori da un bambino che ha un fratello che studia
la chimica. Non potevo sottrarmi alla spiegazione di questo simbolo, sebbene avessi già
pensato di dedicargli un po’ di attenzione in alcuni degli incontri successivi.
Ho cercato di usare nella spiegazione un linguaggio molto semplice facendo ricorso all’aiuto
di un disegno alla lavagna e anche ad alcuni esempi. Prima ho spiegato qual è lo scopo della
chimica: ci aiuta a capire come sono fatte le cose che ci circondano e ci dice che tutta la
materia è costituita da parti piccolissime che si chiamano atomi, che non riusciamo a vedere
neppure con l’aiuto di strumenti come il microscopio. Poi sono passata alla molecola che ci
interessa, H2O, costituita da tre atomi che si legano tra loro, ovvero si mettono in relazione,
formando così la più piccola parte dell’acqua.
Tutti i bambini erano attenti a quello che stavo dicendo: questa descrizione degli atomi e delle
molecole aveva conquistato il loro interesse.
Chissà se davvero avevano compreso le mie parole e questo breve accenno sulla struttura
della materia?
La conferma è arrivata dalle parole di una bambina, a mio avviso molto intuitiva:
“Cioè i legami tra gli atomi sono come la gravità che tiene la Luna legata alla Terra!”
Bella considerazione!
Dopo questo breve accenno ho abbandonato la chimica così da lasciare il tempo di
interiorizzare e riflettere su quei pochi accenni che poi avrei voluto approfondire.
La prima lezione era quasi arrivata a conclusione e tutti i punti importanti erano venuti fuori.
Nell’ultimo quarto d’ora i bambini hanno riportato nel loro quaderno lo schema che io avevo
scritto sul cartellone, improvvisando commenti o riflessioni tra loro o con me su tutte le
questioni trattate. Qualcuno è tornato nuovamente sulla forza di gravità tirando fuori anche
frasi scherzose, ma comunque vere:
“Se non ci fosse la forza di gravità si volerebbe.”
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Sono rimasta molto soddisfatta da questo primo incontro per il clima sereno e divertito che si
era creato, ma soprattutto per l’interesse che gli argomenti trattati avevano suscitato in loro.
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2. II incontro
Partiamo dalla solubilità Il brainstorming mi è servito per capire che i bambini avevano già un po’ di conoscenze
sull’argomento visto che avevano tirato fuori termini come “solvente, pulisce…”. Inoltre
durante la lezione più di uno mi aveva proposto di provare a mettere il sale o l’olio nell’acqua
e vedere cosa accadeva.
In più la solubilità è esperienza quotidiana nella vita di ciascuno, soprattutto nell’ambito della
cucina.
Anche se già i bambini avevano queste conoscenze non potevo trascurare questa peculiarità
essenziale dell’acqua, che è il solvente per eccellenza. Allo stesso tempo però non doveva
essere una ripetizione scontata e noiosa.
Cosa potevo fere per renderlo più divertente e nuovo?
In primis avrei mirato sull’esperimento, al quale volevo dare molto spazio ed importanza per
rendere il lavoro attivo e divertente. Ma dovevo decidere quali concetti studiare. Puntare solo
alla scoperta della capacità dell’acqua di sciogliere mi sembrava riduttivo per la loro sete di
scoprire e di conoscere. Dovevo approfondire il discorso a costo di arrivare anche a concetti
più complicati come il punto di saturazione e la densità.
Ho allestito, con l’aiuto della maestra Isabella, un piccolo laboratorio nella stanza di
immagine, luogo adibito alle più svariate attività, sistemando i banchi da lavoro nel modo più
opportuno e organizzando tutto il materiale a me necessario.
Ho preparato anche un cartellone sintetico, dove era riportato il metodo scientifico, che ho
attaccato nel laboratorio per avere sempre presente il procedimento da seguire.
Per dare la possibilità a tutti i bambini di fare esperienza diretta, e anche dietro consiglio di
Isabella, ho suddiviso la classe in due gruppi che hanno svolto l’attività in due turni.
L’aspetto positivo era che il minor numero di bambini mi permetteva di seguire tutti in modo
più accurato, vedere e valutare le loro attività e le loro osservazioni. Però il tempo a
disposizione è stato dimezzato. Ho notato che i bambini, appena entrati nel laboratorio, erano
molto emozionati e agitati. Allora li ho invitati a sedersi a ad ascoltarmi, sperando che con
qualche parola introduttiva potessero iniziare ad ambientarsi.
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Ho riassunto a grandi linee il lavoro dell’incontro precedente, dicendo loro che a questo punto
il nostro compito sarebbe stato quello di diventare piccoli scienziati e che quella stanza, con
l’aiuto della fantasia, era diventata un laboratorio meraviglioso.
Il primo punto del metodo scientifico sperimentale è l’osservazione, e quello doveva essere il
nostro punto di partenza. Ho suddiviso il primo gruppo di undici bambini in due sottogruppi,
uno di cinque e uno di sei e, in seguito, il secondo gruppo in altri due sottogruppi di cinque
ciascuno, consegnando ad ogni gruppo un foglio bianco sul quale dovevano annotare ogni
minima proprietà o caratteristica che poteva venir loro in mente.
Osservare non significa solo guardare; abbiamo cinque sensi, quindi è bene sfruttarli tutti.
Ho invitato ogni gruppo ad analizzare un bicchiere trasparente con dell’acqua; prima con la
vista, poi con l’udito, poi con il tatto e l’olfatto, annotando le osservazioni che alla fine
abbiamo letto insieme:
trasparente, liquida, non ha forma, prende la luminosità della luce, inodore,
liscia, bagna, non fa rumore, si può muovere
Il gusto era rimasto fuori ma su questo intendevo fare un discorso a parte.
Dato che per analizzare il sapore si deve necessariamente assaggiare, mi ero preparata tre
bottigliette di acqua numerate che ho fatto assaggiare ad un rappresentante di ogni gruppo.
Appena i due bambini hanno assaporato l’acqua, hanno fatto delle smorfie di disgusto. Ogni
bottiglietta aveva un sapore diverso e si sentiva che dentro non c’era solo acqua.49
49 Nella prima bottiglietta c’era un po’ di zucchero, nella seconda c’era del sale, nella terza qualche goccia di aceto.
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Hanno detto:
“Hanno un sapore diverso, ma non so come spiegarlo.”
“Hanno un altro gusto, una sembra salata.”
“Ma qui dentro c’è qualcosa!”
E proprio a queste considerazioni volevo arrivare. Anche se l’acqua è trasparente e limpida,
dentro potrebbe esserci disciolto qualcosa. Secondo il metodo sperimentale avevamo
osservato un fenomeno importante che ci ha portato a fare delle ipotesi:
“C’è qualcosa dentro così piccolo che non si vede”
“C’è qualcosa che è stato disintegrato in pezzetti piccoli piccoli che sono caduti e non si sono
sciolti”
“L’acqua assume il sapore di quello che ci mettiamo”
“Queste acque hanno un sapore diverso perché dentro ci sono altre componenti”
Ma anche un’altra affermazione appariva plausibile:
“Un sasso non si scioglie in acqua, quindi non tutto si scioglie”
E come fare a verificare?
“È semplice, ci buttiamo del sale, lo giriamo e vediamo se si scioglie e non si vede più”
“Proviamo a vedere se tutte le sostanze si sciolgono”
Ho consegnato ad ogni gruppo: quattro bicchieri con dell’acqua, quattro sostanze diverse,
alcuni cucchiaini, una scheda con una tabella da compilare che riportava alcune caselle da
riempire: SOSTANZA, IPOTESI, VERIFICA E DESCRIVI, CONCLUSIONE.
Ogni gruppo doveva sperimentare con le proprie sostanze e annotare tutto.
Si sono messi subito al lavoro e tutti hanno partecipato con molto impegno scrivendo
considerazioni interessanti che poi ho organizzato e raccolto in una tabella.
L’entusiasmo che hanno dimostrato nella scelta delle sostanze, che tra l’altro sono molto
comuni, e nel lavoro di sperimentazione è stato sbalorditivo e nessuno è rimasto indifferente.
Purtroppo però è stato necessario incitarli a procedere velocemente a causa del poco tempo
che avevamo a disposizione.
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SOSTANZA
IPOTESI
VERIFICA E DESCRIVI
CONCLUSIONE
Idrossido di magnesio
Si scioglie e l’acqua cambia
colore
Si formano delle piccole bolle sulla superficie (effervescente). Appena si
agita si scioglie
L’idrossido di magnesio si
scioglie Zucchero Va in profondità e
si scioglie Lo zucchero si disperde per tutto il
bicchiere e sparisce Lo zucchero si
scioglie
Cacao L’acqua cambia
colore, odore, ma non si scioglie
L’acqua è diventata un po’ opaca, e sopra rimane uno strato di sostanza
bianca
Il cacao si è sciolto
Borotalco L’acqua cambia colore e si mescola
Il borotalco si mescola e va sul fondo
Il borotalco si scioglie
Sale Si scioglie e varia il sapore dell’acqua
Il sale va sul fondo e si”mescola” subito
Il sale si scioglie
Bicarbonato di sodio
Si scioglie La polvere si è sciolta e non è cambiato né il sapore né l’odore
Il bicarbonato di sodio si scioglie
Caffè
Si mescola
L’acqua prende il colore del caffè ma rimangono dei granelli in
superficie
Il caffè si scioglie un po’ sì
e un po’ no
Olio
Non si scioglie L’olio rimane sulla superficie e si
creano delle bolle che si uniscono e ne formano una grande, uno strato spesso. L’acqua sembra che sia un tessuto che fa rimbalzare l’olio sulla superficie.
L’olio non si scioglie e si
stratifica sopra l’acqua
Latte
Si mescola
Il latte si mescola piano piano, come se si gonfiasse. Poi diventa tutto
opaco
Il latte si mescola
Sapone
(colorato)
Si scioglie
Il sapone si è depositato sul fondo e non si è sciolto. Mescolando però si
è sciolto e l’acqua ha cambiato colore
Il sapone si è
sciolto
Vino
L’acqua cambia
odore
L’acqua rimane limpida anche se
cambia colore
L’acqua cambia odore e colore,
ma è meno forte del vino puro
Alla fine ho cercato di tirare le somme dell’esperienza appena conclusa, proponendo di
enunciare i risultati dell’esperimento.
“Alcune sostanze messe nell’acqua sembra che spariscano, perché non si vedono più anche se
ci sono sempre”
“Alcune sostanze si sciolgono e altre invece non si sciolgono”
“Alcune sostanze sciogliendosi fanno modificare un po’ l’acqua, tipo nel colore”
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E hanno riferito le prove fatte con ogni sostanza spiegando cosa avevano visto. È stato
importante che i bambini abbiano capito che l’acqua può nasconde al suo interno piccole
quantità di atre sostanze, non immediatamente visibili ad occhio nudo. C’è stato qualche
problema nel categorizzare qualche sostanza, ovvero nello stabilire se si era sciolta oppure no.
Soprattutto un gruppo aveva incontrato difficoltà arrivando a scrivere che lo zucchero non si
scioglieva e andava sul fondo.
Mi sono soffermata sulla questione e ho chiesto di descrivermi tutte le fasi dell’esperimento.
Dal loro racconto ho capito che probabilmente non avevano agitato lo zucchero messo
all’interno del bicchiere d’acqua, annotando subito che i granelli avevano raggiunto il fondo.
Per renderli consapevoli di questo fatto ho ritenuto opportuno ripetere la prova che è stata poi
accettata collettivamente. D’altronde anche questa è una osservazione importante: alcune
sostanze si sciolgono velocemente nell’acqua, mentre per altre è necessario agitare abbastanza
a lungo.
Questo esperimento è piaciuto molto ai bambini, nonostante l’apparente semplicità, forse
perché hanno potuto considerare da un punto di vista diverso delle sostanze che si trovano
nella vita di tutti i giorni e a cui non avevano prestato attenzione.
Per proseguire il lavoro ho posto loro un’osservazione:
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“Abbiamo visto che il sale si scioglie facilmente in acqua, ma secondo voi in un recipiente
d’acqua posso sciogliere tutto il sale che voglio? O ci sarà un limite?”
Sono state proposte subito alcune ipotesi:
“Il sale non si scioglie all’infinito perché poi ci trova troppe sostanze”
“Se c’è troppo sale non riesce a sciogliersi del tutto”
“Quando ce n’è troppo non si scioglie più”
“Non c’è un troppo, si deve guardare la quantità dell’acqua”
“Quando ci si mette un cucchiaio grosso ce n’è troppo e non si scioglie più”
“Dipende dalla quantità dell’acqua”
“Alla fine quando ce ne metti troppo non si scioglie più”
“È come se l’assorbisse”
“Il sale assorbe l’acqua e la prosciuga”
“Se lo fai almeno cinquanta volte di aggiungerci il sale, l’acqua diventa metà e alla fine si
prosciuga”
C’è stata una bambina che inizialmente era di parere contrario:
“Secondo me si scioglie sempre”, ma poi ha sostenuto la tesi degli altri.
Visto che le ipotesi non mancavano, si doveva passare alla verifica.
L’esperimento non era semplice da eseguire, poiché si voleva determinare in maniera
quantitativa il limite di solubilità, cioè la quantità massima di sale che è possibile sciogliere in
una certa quantità d’acqua. Per questo motivo ho deciso di fare una sola prova per ogni
gruppo, eseguendo io stessa le fasi più delicate.
Per facilitare l’esecuzione dell’esperimento avevo precedentemente preparato una scheda in
cui erano indicate in dettaglio tutte le fasi del procedimento.
In un bicchiere di plastica trasparente abbiamo versato 100 ml di acqua distillata50, abbiamo
indicato con un segno di pennarello il livello che raggiungeva, e abbiamo misurato il peso
totale dell’acqua che era di 105 g. Abbiamo poi pesato 51 g di sale da cucina e abbiamo
iniziato ad aggiungere un cucchiaino di questo sale all’acqua, agitando accuratamente. Una
volta scomparsi i granelli abbiamo ripetuto l’operazione per altre due volte ma a questo punto
una domanda è balzata fuori da un bambino:
“Ma il sale è scomparso, allora!”
50 Ho deciso di usare acqua distillata per escludere la presenza di minerali nell’acqua, che in teoria avrebbero potuto avere una qualche influenza sul risultato della misura.
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Qualcun altro però aveva già notato che il livello dell’acqua si era alzato leggermente quindi
quella differenza era stata provocata dal sale aggiunto. Per sottolineare questo aspetto
importante ho proposto di pesare di nuovo il nostro bicchiere e abbiamo notato che il peso era
adesso di 117 g, cioè era 12 g più pesante di prima.
Il sale non era sparito: non si vedeva ma faceva comunque rivelare la sua presenza.
“Il sale è finito tra l’H2O”
“Il sale si è diviso miliardi di volte e non si vede più, diventando un po’ più opaco”
Appurato questo punto importante abbiamo proseguito la nostra graduale aggiunta di sale,
facendo attenzione che il sale si sciogliesse prima di aggiungerne un altro cucchiaino.
Mano a mano però il sale si scioglieva sempre meno ed era diventato difficile valutare
l’effettivo scioglimento, dato che sempre più granelli andavano a depositarsi sul fondo.
L’importante era constatare che si sciogliesse almeno una parte del nuovo sale aggiunto.
Ad un certo punto però i bambini decisero che il sale non si stava più sciogliendo, e pesando
il sale rimasto, concludemmo che avevamo aggiunto circa 36 g di sale a 100 ml di acqua: a
questo punto il sale non è più in grado di sciogliersi.51
Le loro ipotesi avevano trovato conferma: il sale si scioglie in acqua ma fino ad un limite
preciso che si chiama punto di saturazione, raggiunto il quale non si scioglie più e si deposita
sul fondo.
Qualcuno dei bambini era rimasto un po’ indifferente e annoiato da questo esperimento che
aveva avuto dei momenti statici, e quindi non era riuscito a seguire cosa avevamo fatto. Allora
ho cercato di stupirli perché rimanesse in mente almeno il concetto essenziale.
“L’acqua che adesso è nel bicchiere avrà le stesse caratteristiche e proprietà di prima?”
La mia domanda sembrava scontata. L’acqua del bicchiere di sicuro era salata perché c’era
tantissimo sale.
“Ora è salata”
“È cambiato colore e si è alzato il livello”
“Le sue caratteristiche si sono trasformate”
Per verificare le loro ipotesi ho preparato davanti ai loro occhi un po’ di acqua pura colorata
di blu e, richiedendo la loro attenzione, con una pipetta di Pasteur l’ho depositata lentamente
facendola scendere sopra l’acqua salata dalla superficie laterale del bicchiere. A causa della
51 Il punto di saturazione del sale in acqua è proprio di circa 36 g in 100 ml a temperatura ambiente.
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diversa densità i due liquidi si sono stratificati, l’acqua satura di sale in basso e l’acqua pura
colorata in superficie perché più leggera.
Sono rimasti tutti colpiti da questo strano fenomeno e subito sono emerse un sacco di
considerazioni.
“L’acqua colorata si deposita sopra”
“Si colora la superficie”
“Fa come l’olio che rimane a galla”
“Succede questo perché l’acqua colorata è più leggera”
“Perché il sale fa galleggiare le cose”
“Il sale mescolandosi con le molecole dell’acqua la rende più pesante”
L’acqua colorata è meno densa e rimane in superficie. L’acqua con il sale invece ha
all’interno molta sostanza, cioè gli ioni di sale, risultando più densa.
Ai bambini sembrava molto strano vedere due strati diversi che in realtà erano composti
entrambi di acqua, e mi hanno chiesto di provare a girare per verificare se lo strato di acqua
colorata si comportasse come l’olio. Questa considerazione era stata molto appropriata; così
ho esaudito la loro richiesta e abbiamo visto che l’acqua diventava omogenea, cioè il colore
blu dell’acqua dolce si diffondeva in tutto il bicchiere producendo una soluzione omogenea
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ma con un colore meno intenso di quello dello strato iniziale, segno che i due liquidi si erano
mescolati perfettamente.
Questo esperimento è stato importante perché, oltre a colpire la loro attenzione, mi è servito
per introdurre il concetto di densità, che ci sarebbe stato utile anche in altri incontri successivi.
Inoltre l’immagine del bicchiere con i due liquidi stratificati era molto chiara per spiegare il
concetto di densità.
L’esito di questo primo incontro di laboratorio è stato a mio avviso molto positivo: i bambini
hanno potuto capire che per fare indagine scientifica non servono necessariamente
attrezzature moderne o sostanze particolari. Basta porre attenzione ai fenomeni che si
verificano intorno a noi, anche quelli più semplici.
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3. III incontro
La superficie dell’acqua: la tensione superficiale Prima di proseguire con un’altra esperienza mi è sembrato opportuno iniziare il III incontro
riassumendo cosa avevamo scoperto nella lezione precedente.
Utilizzando di nuovo la discussione collettiva stimolata dalle mie domande, abbiamo
individuato alcuni punti fondamentali:
“Abbiamo scoperto che alcune sostanze, se aggiunte all’acqua, possono avere comportamenti
diversi come mischiarsi, sciogliersi completamente o sciogliersi in parte, o non sciogliersi …”
“L’acqua è un solvente”
“Il sale si scioglie, quindi è solubile”
“Il sale, cioè il soluto, aggiunto in acqua si scioglie fino ad un certo punto. Poi si deposita sul
fondo”
“Il sale arrivato ad un certo punto non si scioglie più, perché l’acqua non è più sufficiente”
“L’acqua non riesce più a sciogliere il sale, è come se la intasasse”
“La soluzione, acqua più sale (solvente più soluto), è più pesante e ha maggiore densità
dell’acqua pura colorata”
“L’acqua salata rimane sul fondo, mentre l’acqua colorata rimane sopra”
“L’acqua colorata stava sulla superficie perché c’era l’acqua con il sale che la sosteneva”
“Data la densità dell’acqua salata l’acqua colorata non è potuta penetrare”
Sono rimasta soddisfatta da questa breve discussione perché mi è sembrato che gli aspetti più
importanti dell’esercitazione di laboratorio fossero stati compresi da tutti. Quindi siamo
passati ad un nuovo argomento.
Ho consegnato ai bambini alcune immagini e ho detto loro che, mentre a casa pensavo come
proseguire la nostra ricerca, avevo visto delle immagini di piccoli insetti un po’ strani che si
chiamano idrometre e gerridi.
Ho invitato ciascuno di loro ad osservarle attentamente.
“Sono quegli insetti che sono capaci di stare in superficie”
“Sembra che stiano su un gel”
“Loro camminano sopra l’acqua”
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Qualcuno conosceva bene questi piccoli insetti perché li aveva visti al lago. Ma come spiegare
questa loro capacità? Qualcuno l’ha attribuita al fatto che sono molto leggeri, per qualcun
altro invece era dovuta alla presenza di “qualcosa” sulle zampe degli insetti. È emersa anche
la questione che forse galleggiavano, ma il confronto con un tappo di sughero messo in acqua
l’ha smentita subito. Infatti quando qualcosa galleggia una parte dell’oggetto è immersa,
mentre gli insetti stanno proprio sul pelo dell’acqua.
Per dimostrare se fosse solo una loro prerogativa o se anche altre cose potevano fare lo stesso,
dietro loro proposta abbiamo scelto dei piccoli oggetti che assomigliassero alle loro zampe
come una graffetta, un ago, una puntina, ed anche altri oggetti con caratteristiche simili. In
una piccola coppetta di plastica trasparente abbiamo versato dell’acqua e con molta cura
abbiamo provato ad appoggiare gli oggetti sulla superficie. Tutti i bambini hanno avuto la
possibilità di provare e quasi tutti con grande entusiasmo sono riusciti a collocare il piccolo
oggetto sul pelo dell’acqua.
Si riusciva ad osservare chiaramente che il piccolo oggetto provocava un avvallamento della
superficie de liquido. Una lieve scossa era sufficiente a far affondare l’oggetto, a riprova del
fatto che non stava galleggiando ma era semplicemente appoggiato. I bambini hanno attribuito
la causa di tale fenomeno alla leggerezza dell’oggetto e al fatto che fosse piatto.
A questo punto ho proposto ai bambini di considerare la composizione chimica dell’acqua
ovvero la famosa molecola di H2O.
In ogni goccia di acqua c’è un numero enorme di queste molecole che stanno molto vicine
legandosi l’una all’altra.
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Per render più semplice il concetto chimico di legame intermolecolare ho proposto ai bambini
un paragone:
“È come se ognuno di voi fosse una molecola di acqua: l’ossigeno è la vostra testa, mentre i
due atomi di idrogeno sono le vostre mani.
Se ogni bambino tocca con le due mani le teste di altri due bambini e la sua testa è toccata a
sua volta da due mani appartenenti ad altri due bambini si stabiliscono dei legami che vi
tengono reciprocamente uniti.
Possiamo immaginarci che le molecole di acqua si leghino tra loro in un modo simile a
questo.”
Dato che l’aula era a pianoterra e la nostra finestra si affacciava sul parco ho proposto di
realizzare questo semplice gioco in giardino. Ognuno di loro rappresentava una molecola di
acqua, e doveva cercare di legarsi alle altre secondo le regole dei legami che avevo spiegato:
ogni molecola poteva legarsi alle altre solo toccando la testa di altre due molecole simili,
facendo attenzione che ognuno avesse la testa toccata solo da due mani appartenenti a due
bambini diversi.
Si sono molto divertiti a realizzare questo strano intreccio di mani secondo le regole dei
legami chimici, e alla fine è stato evidente che qualcuno all’estremità del reticolo rimaneva
con le mani libere poiché erano finite le teste con cui collegarsi.
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Abbiamo chiesto loro di cercare una soluzione perché anche loro facevano parte della stessa
acqua. La soluzione è stata presto trovata: qualcuno si è preso per mano e qualcuno ha toccato
due compagni vicini in altri punti del suo corpo.
“E se proviamo a muoverci velocemente, a fare una corsa cosa succederà?”
L’invito non poteva essere più allettante. Abbiamo iniziato a muoverci prima piano poi
sempre più veloci provocando la rottura di alcuni nostri legami. Qualcuno ha intuitivamente
osservato che i bambini all’esterno che si erano legati soprattutto dandosi la mano avevano
mantenuto il loro legame molto stabile mentre molti di quegli interni si erano slegati. In
pratica avevamo riprodotto nella realtà ciò che avviene in acqua. Ora il fenomeno, a cui
abbiamo dato il proprio nome scientifico di tensione superficiale, risultava chiarito.
Tornati in laboratorio, per dare ulteriore conferma alla nostra scoperta, ho mostrato loro un
disegno in cui veniva raffigurata la direzione dei legami delle molecole di acqua sia interne al
liquido che sull’interfaccia esterna e ho chiesto loro alla luce di quanto capito di illustrare il
fenomeno.
Per una comprensione profonda è molto importante esplicitare con il linguaggio il proprio
pensiero, così da renderlo più organizzato ed esplicito.
“Le molecole formano come una rete, che è più forte nei confini”
“In superficie finisce l’acqua e si legano più forti”
“In superficie non ci sono più molecole e si legano di più, perché si stringono con le mani”.
Anche questa volta avevo preparato qualcosa per stupirli e aumentare la loro voglia di
scoprire.
Nell’incontro precedente avevamo scoperto che le sostanze che erano sciolte in acqua
modificavano alcune sue caratteristiche come la densità.
E la tensione superficiale? Anche questa proprietà verrà modificata dalla presenza di alcune
sostanze?
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Per scoprirlo abbiamo provato ad aggiungere una goccia di sapone nelle coppette con l’acqua
e con gli oggetti che stavano appoggiati sul pelo dell’acqua.
E come per magia tutti gli oggetti sono caduti sul fondo dei recipienti. Il loro stupore era
davvero grande. Hanno voluto provare a ripetere l’esperienza perché sembrava davvero
strano.
Per un’ulteriore verifica ho invitato i bambini a osservare bene: sempre in una piccola
coppetta con acqua pulita ho buttato un po’ di borotalco che, se non agitato, tende a rimanere
all’inizio tutto in superficie. A questo punto ho preso di nuovo il sapone ed ho fatto cadere
due o tre gocce nel contenitore. Ed ecco che il borotalco iniziava progressivamente a scendere
come fiocchi di neve, lasciando di stucco tutti i bambini.
Per spiegare il motivo per cui accadeva ciò ho fatto ricorso di nuovo alla chimica spiegando
che il sapone è costituito da molti atomi che formano una molecola simile ad un girino, cioè
con una specie di testa e una coda che una volta all’interno dell’acqua si infiltra tra le
molecole di acqua e rompe i loro legami. Di conseguenza, la tensione superficiale viene
annullata o almeno ridotta dalla presenza dei saponi e dei detersivi.
“Il sapone ha rotto le barriere, e ha rotto i legami forti”
“La tensione si spezza”
“Il sapone ha rotto questa tensione”
Il sapone rompe la forza superficiale che ha l’acqua ma allo stesso tempo le fornisce una certa
“flessibilità” permettendo la formazione di bolle di sapone molto grandi e resistenti. Senza
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sapone le bolle non riescono a formarsi e a mantenersi perché la forza superficiale è troppo
intensa e le distrugge.
A questo punto ho lasciato che i bambini si divertissero alcuni minuti a creare bolle di sapone
con alcuni cerchietti di fil di ferro che avevo preparato.
Le bolle di sapone hanno sempre un gran fascino e infatti non volevano interrompere il loro
gioco ma la lezione era ormai arrivata a conclusione, e anche stavolta ero molto soddisfatta
del lavoro svolto.
Anche questa volta la partecipazione alla lezione era stata totale. Sebbene non potessi sapere
quanto dei concetti toccati sulla struttura chimica fossero stati compresi, dalle frasi dei
bambini sembrava che il concetto di tensione superficiale fosse stato compreso. Per avere
ulteriori conferme avevo comunque deciso di utilizzare un prova in itinere nella lezione
successiva.
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4. IV incontro
Uno strano gioco di forze: la pressione I bambini stavano manifestando grande entusiasmo e interesse per il lavoro che stavamo
facendo ed ogni volta che mi vedevano arrivare mi facevano grandi feste, chiedendomi subito
cosa avremmo fatto quel giorno.
In fase di progettazione ero molto indecisa sulla direzione da intraprendere a questo punto del
percorso: avrei potuto affrontare i passaggi di stato approfondendo la trasmissione del calore,
oppure sarebbe stato interessante addentrarmi un po’ nella meccanica dei fluidi.
La scelta non è stata semplice ma alla fine ho scelto di addentrarmi proprio nei principi che
descrivono il comportamento dei fluidi.
Un motivo che mi ha spinto verso questa direzione è che gli argomenti da trattare mi
permettevano di utilizzare un metodo didattico molto più stimolante ed interattivo.
Inoltre lo studio della propagazione del calore presenta un maggiore rischio negli esperimenti,
a causa dell’alta temperatura necessaria per raggiungere l’ebollizione dell’acqua.
Per la meccanica dei fluidi gli esperimenti sono molto più semplici e sono collegati ad attività
comuni nell’esperienza quotidiana. Sappiamo benissimo come si comporta l’acqua o più in
generale un liquido, grazie all’esperienza che ogni giorno ci porta a toccarla, a manipolarla, ad
usarla. Ma in realtà mai ci soffermiamo a chiederci il motivo per cui ciò accade, o da cosa
dipende.
Sicuramente pochi si sono chiesti perché, se aspiriamo da una cannuccia immersa in un
liquido come l’acqua, il liquido sale. Il motivo è semplice ma non scontato, perché entra in
gioco la pressione atmosferica.
Il pur quotidiano contatto con l’acqua sicuramente non impedisce la costruzione di
misconcetti, perché talvolta il senso comune porta a conclusioni opposte rispetto ad un’analisi
condotta con approccio scientifico.
Inoltre desideravo trasmettere ai bambini un insegnamento che va al di là della lezione
scolastica, e cioè che non dobbiamo avere paura di seguire i nostri pensieri più liberi. Volevo
far capire loro che potevano scoprire cose interessanti e che si sarebbero anche divertiti nella
scoperta.
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Lo scienziato non è solo un genio che fa scoperte strabilianti perché ha un quoziente
intellettivo sopra la media, ma è uno come tanti che, con molta costanza e pazienza, guarda la
realtà con occhi più attenti e critici. Chiunque può sentirsi un po’ scienziato.
Con questo scopo, ispirata dall’esempio di Marie Curie, ho deciso di impostare la lezione
focalizzata sulla pressione dell’acqua in modo da far sentire ciascun bambino un piccolo
scienziato responsabile delle sue scoperte.
A casa ho accuratamente preparato del materiale, strutturato secondo il metodo delle
cianfrusaglie delle sorelle Agazzi, basato su oggetti di uso comune da utilizzare
spontaneamente, per lo studio del comportamento dell’acqua.
Il materiale era il seguente:
− piccole provette di vetro: in origine fiale contenenti un prodotto farmaceutico,
avevano lo scopo di evidenziare i rapporti tra aria e acqua. Infatti se immergiamo la
provetta con l’apertura rivolta verso il basso l’acqua non vi può entrare poiché nel
contenitore è presente l’aria;
− cannucce con foro e intere: in quella forata non si può creare il vuoto e quindi
non si riesce a far arrivare l’acqua alla bocca;
− tubetti di gomma: utili per la scoperta del principio dei vasi comunicanti;
− bottigliette di plastica forate: permettono di scoprire la variazione di pressione
con la profondità, evidenziata dal fatto che dai fori posti più in basso l’acqua esce con
un getto più lungo rispetto ai fori posti più in alto;
− siringhe: per vedere il chiaro effetto della nostra pressione sullo stantuffo, che
si trasmette al liquido e produce uno schizzo di acqua più o meno lungo. Le siringhe,
tappato l’ugello, possono servire anche per valutare la comprimibilità dei liquidi o dei
gas presenti al loro interno:
− cilindri graduati: per misurare il volume dei liquidi se sarà necessario;
− bottigliette dei succhi di frutta: con lo stesso utilizzo delle provette di vetro;
− bicchieri: da utilizzare come materiale di supporto ma anche per la scoperta
della pressione dell’aria (in un bicchiere colmo di acqua e chiuso con un foglio di
carta, l’acqua non cade se il bicchiere viene capovolto);
− imbuto: come strumento utile per eventuali travasi;
− tappi in sughero: importanti per considerazioni sul galleggiamento.
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Inoltre per cercare di sfruttare al massimo questa esperienza ho deciso di aggiungere altri
oggetti con lo scopo di stimolare l’interesse e per suggerire argomenti di discussione sul
fenomeno del galleggiamento che sarebbe poi stato affrontato:
− piccoli sassi;
− pallina da golf;
− palloncini;
− pallina di gomma;
− pezzetti di plastica;
− bottoni;
− noci, noccioline;
− bulloni di ferro;
− mollette per i panni;
− carta stagnola;
− polistirolo;
− frutta (mela, arancio);
− gessi;
− matite.
Arrivata a scuola, la maestra mi ha fatto trovare in giardino quattro banchi, uno per ogni
gruppo52, messi a distanza l’uno dall’altro. Erano stati preparati dai bambini, che già avevano
intuito che ci sarebbe stata una esperienza bella e interessante.
52 In ogni lezione i gruppi di lavoro sono stati cambiati per rendere più dinamico e stimolante il lavoro.
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Su ogni banco ho posizionato una bacinella grande piena di acqua, un sacchetto che conteneva
il materiale da me preparato e alcuni fogli bianchi con una scheda che sarebbe servita loro per
annotare tutto.
Prima di farli mettere al lavoro ho chiesto loro di sedersi e ho spiegato che il mio professore
era rimasto molto colpito dalle nostre scoperte e che per aiutarci un po’ mi aveva suggerito
che l’acqua, in quanto sostanza liquida, segue determinate leggi che noi potevamo scoprire
abbastanza facilmente. Così ho presentato l’attività:
“Provate a mettere in moto la vostra mente e, tenendo sempre presente il metodo sperimentale
ormai diventato nostra abitudine, fate diverse prove. Magari alla fine riuscirete a scoprire
qualcosa.”
Inizialmente i bambini sono rimanti un po’ perplessi perché probabilmente sentivano una
certa responsabilità sulle spalle, come se in mancanza di una guida non sapessero che strada
percorrere. Ho cercato di rassicurarli, spiegando loro che per fare una scoperta basta osservare
e descrivere con attenzione anche qualcosa che sul momento sembra scontato.
Per rassicurarli ulteriormente ho precisato che c’era una scheda in cui riportare il
comportamento di alcuni oggetti rispetto al galleggiamento, dato che più volte era stato
nominato. Ancora un po’ titubanti si sono avvicinati ai banchi e io li ho avvertiti che avevano
circa trenta minuti di tempo a disposizione.
Dopo un minuto l’incertezza aveva lasciato posto all’entusiasmo e al divertimento.
Tutti erano indaffarati ad “aggeggiare” con qualcosa e quasi nessuno voleva stare a scrivere
per riportare le varie idee, quasi fosse una perdita di tempo.
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Io e l’insegnante Isabella giravamo tra i gruppi incitando chi avesse individuato qualche
osservazione corretta a segnarla nella scheda.
Non è semplice descrivere l’allegria ma anche l’entusiasmo e la voglia di fare con cui tutti i
bambini hanno svolto questa attività.
Forse le foto possono dimostrare meglio delle parole l’atmosfera che si era creata.
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In poco tempo i bambini sono riusciti a individuare molte osservazioni, che io poi ho trascritto
quasi alla lettera comprese anche le imprecisioni e qualche piccolo errore, nella tabella
riportata qui sotto.
STUDIO DEL GALLEGGIAMENTO
OGGETTO IPOTESI VERIFICA E
OSSERVAZIONI CONCLUSIONE
Palloncino Rimane a galla e non si riempie
Rimane a galla un pezzo. L’acqua entra ma non è capace
di gonfiare il palloncino
Il palloncino non è rimasto tutto a
galla Pallina di gomma
Non va a fondo
Anche se è piena di aria, la pallina non va a fondo
Galleggia
Palla da golf Sprofonda Rimbalza e rimane a fondo Non galleggia Bottiglia di
plastica vuota con fori
Rimane a galla
Resta in superficie e non affonda anche se dai fori entra
un po’ di acqua
Galleggia
Noce
Galleggia a metà
Galleggia, perché è leggera. Non va a fondo perché è piena
d’aria
Galleggia
Polistirolo
Sa
galleggiare
Galleggia perché è leggero. Rimane a galla e non assorbe l’acqua. Anche se lo immergi
ritorna a galla.
Galleggia
Mela Galleggia La mela galleggia Galleggia
Arancio
Affonda L’arancio non affonda, però rimane per gran parte dentro
l’acqua
Galleggia
Tubino di gomma
Galleggia Galleggia Galleggia
Pezzetto di
plastica
Galleggia
A differenza degli insetti, l’oggetto non sta sul pelo dell’acqua, ma galleggia.
Anche con un po’ di acqua sopra.
Bottone Affonda È affondato Non galleggia
Sughero Rimane a
galla Anche se è molle rimane a
galla. Metà è in acqua e l’altra metà è fuori
Galleggia
Sasso Affonda Il sasso appena si mette in acqua affonda velocemente.
Il sasso non galleggia
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LE OSSERVAZIONI FATTE DAI BAMBINI
1. Soffiando nella cannuccia forata posso riuscire a gonfiare un po’ il palloncino. Questo accade perché parte dell’aria che io soffio trova, prima di arrivare all’altra estremità, un’altra via di uscita nel foro collocato a circa metà. 2. L’acqua che è all’interno di una bottiglia forata, tende ad uscire appena trova un foro. 3. Se prendo una siringa senza il pistone, e la immergo, l’acqua entra dentro e raggiunge, lentamente, lo stesso livello dell’acqua esterna. Ma se invece la immergo tappando l’estremità più stretta con il dito, l’acqua non riesce ad entrare. Questo perché dentro la siringa c’è l’aria, e se ostruisco la sua via di fuga non può uscire e l’acqua quindi non può entrare. 4. Abbiamo scoperto che l’aria non fa passare l’acqua e se metti un bicchiere rovesciato vuoto nell’acqua (all’ingiù ) l’acqua non riesce ad entrare. L’acqua può entrare così fino ad un limite. 5. Inserisco un palloncino all’interno di una bottiglietta di vetro e lo fermo sulla bocca della bottiglietta. A questo punto provo ad inserire dell’acqua dentro il palloncino usando una siringa. Appena la siringa viene tolta l’acqua tende ad uscire producendo uno schizzo a mo’ di fontana. Questo probabilmente accade perché: l’acqua inserita con un po’ di pressione va nel palloncino e tende a gonfiarlo; il palloncino però non si può dilatare perché all’interno della bottiglietta c’è anche l’aria che ‘non si può comprimere ’ perciò spinge subito l’acqua fuori dal palloncino. 6. Nella bottiglia con i fori l’acqua che esce dal foro più alto cade più vicino alla bottiglia, rispetto all’acqua che esce dal foro più basso, che invece ha un getto che va più lontano. 7. Nella nostra bottiglia occorrono circa 83 ml prima che l’acqua esca. 8. La bottiglia di vetro è sollevata dalla legge di Archimede. La bottiglia dopo essere stata riempita con 60 ml di acqua e messa in acqua si capovolge in verticale, mentre con meno acqua resta in orizzontale. Lo stesso accade (cioè si posiziona in verticale) con 70 ml. La bottiglietta contiene 130/135 ml di acqua. 9. Se inserisco dell’acqua in una gomma, essa tende a raggiungere lo stesso livello da entrambe le parti. Inoltre se la riempio di acqua con la gomma, aspirando, e la inserisco dalla parete più alta in acqua, l’acqua tenderà a fluire dalla parte più alta in quella più bassa (vasi comunicanti /travaso) 10. L’acqua dentro una cannuccia sale perché aspirando io tolgo l’aria, così l’acqua tende ad occupare la parte liberata dall’aria via via fino a raggiungere la nostra bocca. 11. Se immergo un dito nell’acqua e lo guardo all’altezza del bicchiere, il dito sembra spezzato.
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Queste considerazioni non sono espresse con estrema chiarezza perché sono la trascrizione
fedele delle impressioni dei bambini durante il lavoro di gruppo.
Nella fase successiva della lezione tutte le loro osservazioni sono state oggetto di discussione.
Infatti allo scadere del tempo, dopo numerosi richiami, i bambini si sono seduti per
comunicare agli altri le loro scoperte ed osservazioni. Soprattutto desideravo trarre spunti dal
loro lavoro per affrontare in modo più esplicito e riflessivo la pressione dell’acqua.
Sono partita dall’osservazione di un gruppo che aveva notato che il getto di acqua che usciva
da una siringa dipendeva “da quanto si pigia”. Mi sono soffermata su questa frase ed
utilizzando termini più appropriati ho introdotto il concetto di pressione.
Alcuni bambini hanno tentato di darne una definizione:
“La pressione è la potenza”
“È la forza”
“È una spinta”
L’aspetto più importante era far comprendere loro che all’interno dell’acqua, e dei liquidi in
generale, c’è una pressione non solo dall’alto verso il basso, ma rivolta in tutte le direzioni.
Ho preso la bottiglia di plastica con i fori che ogni gruppo aveva avuto per fare le dovute
considerazioni. Ho mostrato di nuovo il fenomeno, ovvero che “nella bottiglia il buco più in
alto fa uscire l’acqua più vicino alla base della bottiglia di quello più in basso”.
Qualche gruppo durante l’attività di gioco-scoperta aveva già individuato, con il mio aiuto,
che la causa di ciò era da imputarsi all’altezza del livello dell’acqua rispetto a ciascun foro e
quindi alla pressione esercitata dall’acqua sovrastante sul foro di uscita.
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“Quello che è in basso ha un getto più lontano perché non c’è l’acqua che va ancora più in giù
perché la bottiglia è finita”
“Nella bottiglia in fondo c’è più pressione perché l’acqua si scarica tutta sul fondo perché
pesa più sul fondo”
“In pratica tende a schiacciarla”
Se la prima spiegazione risulta un po’ confusa, dalle altre due si intuisce che il fenomeno (che
in fisica è descritto dalla legge di Stevino) è stato adeguatamente compreso.
Dopo aver ripetuto la spiegazione a tutti, ho chiesto se secondo loro la pressione era diretta
solo verso il basso o anche verso l’alto.
I pareri iniziali erano discordanti: qualcuno diceva che la pressione c’è in qualunque direzione
e qualcun altro invece lo negava, portando molti esempi soprattutto legati all’esperienza del
mare.
A questo punto serviva una verifica che confermasse o smentisse le loro varie ipotesi.
Avevo preparato un piccolo e semplice strumento: in un vasetto di plastica bianca con forma
simile ad un cilindro, avevo fatto un foro sul fondo da cui passava del filo che attraversava
tutto il vasetto. All’estremità dello spago dalla parte aperta del vasetto ho attaccato un
dischetto di cartoncino plastificato, che, tirando lo spago, permetteva di chiudere l’apertura
del vasetto. Immergendo l’oggetto rovesciato, cioè dalla parte chiusa con il disco, se c’è
pressione verso l’alto, il disco rimane fermo anche dopo aver lasciato libero il filo e impedisce
all’acqua di entrare, mentre se la pressione non c’è il disco si muove e l’acqua può entrare
facilmente.
Ho chiamato un bambino a fare l’esperimento e la soluzione è stata subito evidente. Il disco
rimane attaccato al vasetto, quindi c’è pressione anche verso l’alto.
Ho chiesto: “Ma allora la pressione sarà esercitata in tutti i punti del liquido e in tutte le
direzioni?”
La mia domanda aveva nuovamente creato molti dubbi e diversi pareri, ai quali abbiamo dato
risposta con l’aiuto di un altro strumento semplice, ma molto evidente.
Avevo collegato a una estremità di un piccolo tubo di gomma un imbuto chiuso
ermeticamente con una membrana di lattice ben tesa. Sull’altra estremità del tubo avevo
fissato la stessa membrana senza tenderla; sembrava un palloncino vuoto, in quanto era
ripiegata su se stessa. Una pressione, anche leggerissima, sulla membrana tesa sopra l’imbuto
riempiva di aria l’altra membrana, cioè il palloncino veniva in fuori.
90
Questo strumento ha suscitato subito molta ammirazione, forse perché davvero intuitivo. Con
questo dispositivo diventava semplice rivelare dove c’era pressione.
Molti bambini hanno voluto fare questa prova, ma il risultato era sempre lo stesso: in ogni
punto, in ogni direzione la pressione che l’acqua esercitava sulla membrana dell’imbuto
faceva venire fuori il palloncino.
Anche questa volta il nostro lavoro era stato fatto molto bene ed eravamo arrivati a scoperte
importanti; a mio avviso era necessario premiarli con una ricompensa. Tornati in classe ho
detto loro che stavano diventando dei “bravi scienziati” ed era giusto che iniziassero a
seguirne le abitudini. Avrebbero potuto dissetarsi con bevande speciali, come infatti era
riportato sull’etichetta delle bottiglie che avevo preparato:
Bevanda formidabile per scienziati allo sbaraglio.
Concentrato di energia a prova di scienziato.
Bevanda dissetante che stimola la mente.
Con questo volevo un po’ stimolare la loro fantasia e farli sentire importanti, come dei bravi
scienziati, e dalla frase di qualcuno credo di esserci riuscita:
“Io vorrei la bevanda scura, quella fatta al sapore di petrolio”.
Dopo questo momento di relax il lavoro non era ancora terminato. Avevo infatti preparato una
piccola prova in itinere che in parte mi serviva per valutare ciò che avevano interiorizzato
dalle esperienze precedenti. Il questionario riguardava sia argomenti semplici, sia quei
concetti rimasti un po’ in sospeso; volevo infine valutare il loro bagaglio di conoscenze
sull’ultimo argomento da affrontare, il galleggiamento.
91
Hanno iniziato a rispondere alle domande che io avevo preparato con svogliatezza nonostante
avessi detto loro che non avrei dato una votazione, ma che il questionario mi serviva per
valutare cosa davvero avevano capito.
Finita la prova mi hanno salutato e, mentre andavano a prendere lo scuolabus, c’era chi
discuteva di alcune delle esperienze svolte dicendo che le avrebbero riprovate a casa.
RESOCONTO DELLA PROVA SVOLTA
La verifica era composta da cinque domande che mi servivano principalmente per capire se i
bambini avevano compreso alcuni concetti. La prima era:
1) Che cosa è il l’ipotesi?
Con questa prima domanda desideravo verificare se tutti i bambini avevano compreso il
significato di questa parola all’interno del nostro ambito di lavoro. Avrei potuto fare anche
una domanda più ampia, per esempio sul metodo scientifico, ma preferivo che la domanda
fosse focalizzata, anche perché l’ipotesi è probabilmente il punto più difficile da
comprendere.
Le loro risposte sono state analizzate e valutate tenendo conto di due indicatori: il concetto in
sé e l’espressione nel linguaggio scientifico. Ho ritenuto opportuno fare questa distinzione
poiché per rispondere alle domande i bambini utilizzano talvolta frasi contorte e anche
esempi. In questo caso ho cercato di capire se il concetto era stato compreso oppure no.
Ho espresso il giudizio tramite un punteggio che segue il seguente criterio:
1 punto = non sufficiente; 2 punti = sufficiente; 3 punti = buono; 4 punti = ottimo
Per una visione più immediata dei risultati ottenuti ho riportato in tabella i punteggi ottenuti
dai bambini.
DATI
indice 1 punto 2 punti 3 punti 4 puntilinguaggio 2 4 12 3 n° bambiniconcetto 1 0 3 17 n° bambini
0
5
10
15
20
1 punto 2 punti 3 punti 4 punti
linguaggio
concetto
92
Come si può notare, la maggior parte della classe ha compreso il significato della parola
“ipotesi” ottenendo un punteggio alto. È evidente inoltre, la grande difficoltà dei bambini di
esprimersi in un linguaggio corretto.
2) Che cosa è la densità? Prova a dare una definizione aiutandoti, se vuoi,
con un disegno.
Questa è stata di sicuro una delle domande più difficili che ho proposto nella verifica, ma la
mia scelta era stata calcolata. Volevo infatti capire se il significato della parola densità, che
avevamo sperimentato nella prima esperienza era stato assimilato. Pochi giorni prima
avevamo visto che due liquidi possono disporsi su strati sovrapposti, osservando che l’acqua
con sale rimaneva sul fondo e l’acqua colorata pura restava in superficie. Bisogna dire che
non avevamo ancora dato una definizione esatta di densità come rapporto fra massa e volume
di un corpo, ma in ogni caso avevamo visto chiaramente gli effetti di una differenza di densità
nei liquidi.
Ero curiosa di vedere come avrebbero descritto e spiegato questa proprietà, e come aiuto ho
aggiunto la possibilità del disegno, che a mio avviso può essere molto indicativo per valutare
lo stato di comprensione di concetti così complessi. Inoltre spiegare a parole per qualcuno può
essere difficile, mentre il disegno è abilità di tutti.
Dall’analisi dei loro elaborati mi sono resa conto che era molto difficile trarre delle
informazioni sulla comprensione del concetto esclusivamente dai disegni. Sebbene la mia idea
fosse quella di utilizzare il disegno in aggiunta alla risposta della domanda, alcuni bambini si
sono affidati esclusivamente al disegno.
Per questo riporto nel grafico qui sotto solamente il punteggio di chi ha risposto con le parole
o anche di quei pochi il cui disegno dava effettivamente un’idea del livello di comprensione.
DATI
Indice 1 punto 2 punti 3 punti 4 puntiLinguaggio 5 5 3 2 n° bambini
Concetto 2 4 5 4 n° bambini
01
23
45
1 punto 2 punti 3 punti 4 punti
Linguaggio
Concetto
93
Da questo grafico è ancora più evidente la difficoltà dei bambini a esprimere con un
linguaggio appropriato un concetto così complicato come la densità. Questa distribuzione dei
punteggi è espressione di un basso livello di comprensione dell’argomento, che richiede di
essere rivisto.
3) Che cosa è la solubilità ?
Qui desideravo valutare cosa avevano capito dal primo esperimento, ovvero semplicemente
che in acqua alcune sostanze si sciolgono mentre altre no.
DATI
Indice 1 punto 2 punti 3 punti 4 puntilinguaggio 3 3 9 5 n° bambiniconcetto 2 1 6 11 n° bambini
0
2
4
6
8
10
12
1 punto 2 punti 3 punti 4 punti
linguaggio
concetto
Dal grafico si può facilmente capire che questo concetto è stato compreso molto meglio del
precedente dai bambini, che nella maggior parte dei casi hanno risposto correttamente o quasi.
4) Prova a scrivere il significato della parola pressione
Nonostante l’esperienza della pressione fosse davvero recente53, ho deciso di inserire
comunque questa domanda, per valutarne la comprensione.
I risultati della prova sono riportati di seguito. La spiegazione del concetto è risultata, anche in
questo caso, molto difficoltosa. Come parziale giustificazione possiamo dire che nel nostro
percorso ci eravamo limitati a descrivere l’effetto nella pressione nei liquidi senza affrontarne
la definizione generale (vedi “La Meccanica dei fluidi” pag 22). Pertanto si è considerata
giusta anche la definizione di pressione come forza o spinta, che non è scientificamente
corretta54.
53 L’esperienza sulla pressione era stata svolta circa un’ora prima della verifica. 54 Infatti la pressione è collegata sia alla forza che alla superficie: due forze uguali che agiscono su superfici diverse producono pressioni diverse.
94
DATI
Indice 1 punto 2 punti 3 punti 4 puntiLinguaggio 3 12 6 1 n° bambiniConcetto 1 7 11 2 n° bambini
0
5
10
15
1punto
2 punti3 punti4 punti
Linguaggio
Concetto
5) Cosa vuol dire galleggiare? Chi e che cosa galleggia? Perché?
La domanda era mirata a stabilire le loro conoscenze, giuste o sbagliate che fossero, sul
galleggiamento. Dalla prova in giardino sarebbero già potute emergere alcune riflessioni e
considerazioni importanti. Soprattutto però era utile per capire quali idee avessero sulla causa
di questo fenomeno per preparare la lezione successiva.
Per questo motivo riporto di seguito cosa è emerso dalle risposte senza dare un giudizio in
merito.
Nella prima parte della domanda quasi tutti hanno risposto correttamente. Chi ha sbagliato la
risposta è perché ha descritto il fenomeno della tensione superficiale, specificando appunto
che l’oggetto sta sul pelo dell’acqua e se si tocca cade.
DOMANDA: "Cosa vuol dire Galleggiare?
DATI
Risposta BambiniCorretta 17Sbagiata 4
0
5
10
15
20
Corretta Sbagiata
95
Quasi tutti i bambini hanno poi elencato alcuni oggetti che galleggiano, nominando in
particolare quelli usati nell’esperienza-gioco appena conclusa in giardino.
Riguardo all’ultima parte della domanda, dove si richiedeva di spiegare la causa del
galleggiamento, circa un terzo non ha risposto. Gli altri hanno attribuito la causa soprattutto
alla “leggerezza” di un oggetto e, in alcuni casi, anche alla presenza di “buchi” nell’oggetto.
6) Alla luce delle caratteristiche che hai scoperto sull’acqua, prova a fare
un disegno dal titolo: “Ecco a voi l’acqua”
Di nuovo ho fatto ricorso al disegno, stavolta però non facoltativo. Desideravo vedere se dopo
il nostro lavoro avevano compreso che l’acqua non è solo come la vediamo, ma tutte le sue
proprietà dipendono dalla sua struttura più piccola, la struttura chimica. Il disegno avrebbe
dovuto rivelare l’idea che si erano fatti sulla chimica dell’acqua.
Questa volta il disegno ha soddisfatto le mie aspettative.
Quasi tutti i bambini hanno disegnato l’acqua non solo come liquido azzurro, ma focalizzando
sulla struttura chimica che la caratterizza.
Come si vede dalle foto, qualcuno ha cercato di rappresentare anche altri concetti come la
pressione o la tensione superficiale.
96
Sono rimasta davvero colpita dai loro lavori, in cui è presente un talento artistico notevole.
97
5. V incontro
Una strana spinta: la legge di Archimede L’argomento di questo incontro era già stato introdotto nella lezione precedente; ma, dato che
per comprendere bene il galleggiamento è necessario avere assimilato correttamente alcuni
concetti, prima di iniziare ho ritenuto opportuno partire dal resoconto verbale della prova che
avevano svolto, per potermi soffermare su quelle domande che avevano presentato difficoltà,
in particolare sulla densità.
La densità di un corpo, che in fisica è definita come rapporto fra la massa e il volume
dell’oggetto, è stata da me presentata come la quantità di materia che si trova in una unità di
volume (per esempio in un cm3) del corpo considerato. Volevo far capire agli alunni che, per
confrontare le densità di due sostanze A e B, è necessario misurare le masse che
corrispondono a due volumi uguali di A e di B.55 Ho anche mostrato una tabella, contenente
alcuni valori di densità per i liquidi.
SOSTANZA DENSITA’ IN g/ml (g/cm3) Sangue 1,05
Acqua di mare 1,03 Acqua pura 1,00 Olio di oliva 0,92
Benzina 0,90 Alcool etilico 0,81
L’altra domanda sulla quale mi sono particolarmente soffermata è stata quella sul
galleggiamento. Oltre ad un lungo elenco degli oggetti e sostanze che galleggiano o no, molti
hanno risposto correttamente che galleggiare significa avere una parte immersa, e non stare
sul pelo dell’acqua. Ma nella parte dove richiedevo la causa, in pochi hanno dato una risposta.
Le ipotesi emerse sono state queste:
1. perché sono molto leggeri;
2. perché sono cavi;
3. perché hanno l’aria dentro.
55 Se la densità è definita come rapporto fra massa e volume di un corpo, il peso specifico è dato dal rapporto tra peso e volume dell’oggetto. Così come massa e peso di un corpo sono concetti distinti, ugualmente si differenziano la densità e il peso specifico. Tuttavia, trattandosi di una distinzione non facile da comprendere, ho preferito non entrare nel merito durante le lezioni in classe.
98
Discutendo sulle varie ipotesi siamo arrivati a concludere che la seconda e la terza ipotesi non
danno una descrizione completa della realtà, dato che ci sono sostanze che galleggiano ma
non contengono aria, come ad esempio l’olio. Tuttavia, nonostante fossero risposte di fatto
errate, esse contengono alcuni elementi di verità che meritavano di essere approfonditi.
L’ipotesi su cui si siamo soffermati di più è la prima, secondo la quale il galleggiamento
dipende dal peso.
A questo punto, un nuovo strumento che mi aveva consegnato il mio professore, è venuto in
nostro aiuto: il dinamometro.
I bambini avevano già visto questo strumento in una visita alla scuola media che avevano
fatto qualche mese prima, ma, sebbene qualcuno l’avesse riconosciuto, l’ho presentato
nuovamente. Tenendolo in posizione orizzontale e tirando l’estremità con il gancio, i bambini
hanno osservato che si produceva un allungamento, concludendo con facilità che il
dinamometro è lo strumento che serve a misurare la forza.
Ho cercato anche di sottolineare l’importanza della direzione e del verso come componenti
essenziali per definire la forza, che possono essere rappresentati con una freccia.
Messo in posizione verticale abbiamo notato che un oggetto appeso al gancio provocava
ugualmente un allungamento, deducendo così che anche il peso è una forza.
Questo è un concetto molto difficile da interiorizzare. Con questa osservazione non
pretendevo che i bambini comprendessero sul momento il concetto di forza legato al peso, ma
desideravo semplicemente “mettergli una pulce nell’orecchio”, farli riflettere
sull’osservazione fatta, punto di partenza verso la comprensione corretta del concetto
scientifico.
Il caso ha poi voluto che l’unità di misura della forza fosse proprio indicato con il nome del
nostro amico scienziato Newton il quale aveva anche scoperto la legge che regola la relazione
tra forza e movimento da essa prodotto.
A questo punto ho iniziato l’esperienza vera e propria.
Come prima cosa ho preso due piccole provette di vetro chiuse, una vuota e una piena di
acqua, e abbiamo verificato che quella piena affondava mentre quella vuota galleggiava. È
stato proposto da un bambino di verificare che differenza di peso c’era tra le due, perché era
ragionevole pensare che proprio questa differenza determinasse lo stare o no a galla.
99
Prima abbiamo misurato con una piccola bilancia da cucina il peso in grammi, e poi abbiamo
attaccato le due provette a due dinamometri identici appesi ad un sostegno costituito di due
bracci.
Nell’attività ho inserito anche la pesata con la bilancia perché i bambini potessero
comprendere che il peso in Newton con il dinamometro e il peso in grammi con la bilancia
sono due misure della stessa grandezza, anche se le due unità sono diverse. 56
56 1N equivale a 100 grammi-peso
100
A questo punto abbiamo provato ad immergere le due provette dentro dei recipienti con acqua
per vedere cosa misurava il dinamometro e abbiamo scoperto che sia per la provetta vuota che
per quella piena l’allungamento del dinamometro diminuiva sensibilmente, segno che la forza
era minore di prima (quando la misura era stata fatta in aria), e anzi per la provetta vuota
praticamente si annullava.
Mentre a turno i bambini svolgevano le pesate e l’immersione, una bambina riportava i dati in
una tabella alla lavagna.
La cosa più importante che era stata osservata era che in ogni caso le provette ricevevano una
spinta verso l’alto che faceva diminuire il loro peso.
“È come se la provetta non pesasse o pesasse meno”
“L’acqua prende il peso della provetta.”
“Alle provette viene data una spinta che nella provetta vuota neutralizza tutto il suo peso”
Dalla discussione collettiva si è concluso che la spinta che l’oggetto riceveva dall’acqua
doveva essere rappresentata con una freccia verso l’alto.
A questo punto sono nate alcune domande:
“Ma la spinta dipende dal peso dell’oggetto?”
“Forse più un oggetto è pesante più spinta riceve.”
Per trovare risposta abbiamo eseguito stesse misurazioni, per altre provette di forma identica
ma con un peso maggiore della provetta con acqua, perché all’interno vi erano stati aggiunti
viti e piccoli bulloni di ferro.
101
Dovevamo vedere se la spinta data ad alcune provette più pesanti era la stessa oppure era
maggiore.
Dopo questa verifica abbiamo potuto affermare che la spinta verso l’alto esercitata dall’acqua
sulle provette era sempre la stessa nonostante il loro peso fosse diverso.
Osservando con attenzione i dati ottenuti abbiamo concluso che se un oggetto ha una peso
maggiore della forza della spinta dell’acqua affonda, se ha il peso uguale alla spinta è in
equilibrio in ogni posizione, mentre se il peso è minore della spinta il corpo immerso
nell’acqua tende a tornare in superficie raggiungendo l’equilibrio.
“Ma allora da cosa dipende questa spinta?”
Una ipotesi è venuta subito fuori:
“Ma se nella bottiglia si aggiunge l’acqua forse la spinta aumenta”
102
Abbiamo subito provato a verificare ma l’ipotesi si è rivelata sbagliata.
A questo punto c’era bisogno di qualcosa che indirizzasse il nostro lavoro ovvero una mela:
“Cosa farà la mela?”
Prima di tutto l’ho pesata e abbiamo visto che aveva un peso molto maggiore delle provette
usate prima; quindi, se crediamo che il galleggiamento sia collegato al peso degli oggetti, la
mela sarebbe dovuta affondare. Ma l’immersione della mela ha smentito la nostra ipotesi: essa
galleggiava, quindi subiva una spinta uguale al suo stesso peso. C’era qualcosa di diverso che
aveva fatto aumentare la sua spinta.
Mettendo la provetta e la mela a confronto è stato subito notato che c’erano molte differenze:
il materiale, la larghezza ma soprattutto il volume. La mela era molto più grande della
provetta. Per avere una conferma sperimentale siamo ricorsi alla misurazione dei loro volumi,
determinando la quantità di acqua spostata immergendo completamente i due oggetti.57
Siamo arrivati a concludere che probabilmente era proprio il volume dell’oggetto che
determinava l’entità della spinta.
Abbiamo poi fatto un’ulteriore verifica provando ad aumentare il volume delle provette
riempite di viti che andavano a fondo.
In un vasetto di yogurt a forma cilindrica abbiamo inserito la provetta e poi lo abbiamo chiuso
con una membrana in plastica che non permetteva all’acqua di entrare. Abbiamo così ottenuto
un oggetto di peso molto simile alla provetta che affondava, ma con un volume molto più
57 Per fare questa misura abbiamo dovuto trattenere la mela sott’acqua, perché questa galleggia.
103
grande. L’immersione ha confermato la nostra idea: l’oggetto ora galleggiava, quindi la spinta
dipende esclusivamente dal volume del corpo immerso.
Un oggetto immerso in acqua va a fondo o risale in superficie se il suo peso è maggiore o
minore della spinta stessa.
La causa dunque era stata chiarita, ma ancora qualche incertezza aleggiava; infatti qualcuno
era convinto che dipendesse dal materiale.
L’osservazione è capitata a pennello. Ho mostrato ai bambini due piccoli pezzetti di legno, ma
di legno diverso: uno di abete e l’altro di ebano. Di solito il legno galleggia, ma in realtà il
secondo pezzetto, quello di ebano, affonda: abbiamo verificato immergendo i due legnetti in
acqua.
Una bambina ha tratto la giusta conclusione:
“Dipende dal materiale”
Proprio così. Nuovamente ho fatto ricorso alla chimica spiegando che dipende dalla quantità
di sostanza, e cioè dalla quantità di molecole che stanno in uno stesso volume. L’ebano è fatto
da più atomi per unità di volume rispetto all’abete, e quindi è più denso.
I bambini iniziavano a essere molto agitati, forse perché questa lezione, essendo un po’ più
statica, riflessiva e anche molto più lunga li aveva stancati maggiormente.
Per concludere ho allora proposto il nome della legge che regola il galleggiamento, il
principio di Archimede, chiamata così in onore del suo scopritore, la quale afferma che:
104
“Un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l’alto
uguale al peso del volume di liquido spostato.”
Questo a mio avviso è stato l’incontro più complicato, poiché i concetti da affrontare sono
molti e molto complessi. Sicuramente se avessi avuto la possibilità di suddividere questo
argomento in due lezioni il lavoro sarebbe risultato meno impegnativo, sia per me che per i
bambini.
Infatti alcuni bambini hanno partecipato attivamente alla discussione, con interventi e
riflessioni molto interessanti, ma qualcuno era distratto.
Uno studio più dettagliato delle reazioni dei bambini e dei risultati raggiunti nei diversi
incontri è riportato nel compendio di tirocinio.
105
6. VI incontro
La conclusione Con la sesta lezione siamo giunti alla fine del nostro percorso. Molti degli argomenti più
importanti che riguardano la fisica e la chimica dell’acqua erano stati affrontati.
Dato che l’incontro precedente era stato molto affollato di concetti ho deciso di proporre un
video sintetico sul galleggiamento che servisse a chiarire i dubbi e allo stesso tempo a
consolidare le idee corrette.
Con la classe siamo andati nell’aula di informatica, predisposta per la visione di video tramite
il proiettore, e ho mostrato alla classe qualche minuto di video animato, che con molta
semplicità spiegava il Principio di Archimede.
Dopo una breve riflessione ho cercato di ripercorrere tutte le tappe che avevamo raggiunto
negli incontri svolti, facendo loro notare che tutto era stato costruito da noi con l’uso di
materiali semplici. Ho voluto in qualche modo soffermare l’attenzione sull’importanza
dell’acqua come elemento indispensabile alla vita e soprattutto sottolineare quanto sia
necessario fare attenzione al suo risparmio. Limitare gli sprechi non significa rispettare
l’acqua come risorsa, ma soprattutto rispettare l’umanità intera.
Il discorso che ho affrontato è stato molto più ampio. Ho spiegato ai bambini che tutto ciò che
ci circonda fa parete di un ciclo, in cui ogni cosa ha un ruolo importante: dalla gocciola di
acqua al più piccolo granello di sabbia. Proprio per questo non è sufficiente fare attenzione
esclusivamente all’acqua, ma è indispensabile impegnarci a salvaguardare tutto il mondo che
106
ci circonda, dal pino di un giardino al minuscolo insetto, entrambi indispensabili nella catena
della vita.
Senza rendercene conto anche noi contribuiamo all’inquinamento del nostro pianeta poiché i
gesti comuni che facciamo nella nostra vita quotidiana spesso non tengono conto del
risparmio e della salvaguardia ambientale.
Ogni giorno il nostro consumo di materiale e di energia è così alto che concorre a rendere
sempre più a rischio la sopravvivenza dell’ambiente. Questo perché dietro al più piccolo
oggetto, sia esso una penna, o un giocattolo, o un soprammobile c’è una catena di montaggio
e di meccanismi che provocano un grande inquinamento, il male più grande della nostra
Terra. E come se non bastasse, dopo poco tempo quell’oggetto diventa superfluo, inutile o
semplicemente non va più di moda così da finire nella spazzatura, altro meccanismo che
alimenta inquinamento.
Lo spreco è presente in ogni angolo, anche nel luogo più impensabile.
Come è possibile bloccare questa catena infernale?
Non esistono molti metodi, uno dei pochi è riciclare. Ma anche a questo proposito ci sono
molte problematiche, come la scarsa diffusione della raccolta differenziata o il fatto che non
tutto può subire la procedura di riciclo.
L’unico modo per non inquinare sarebbe quello di non consumare, ma sappiamo che non è
possibile.
Sicuramente non si può risolvere il problema in breve tempo. Oggi la speranza per un mondo
più pulito si trova proprio nei bambini: se vengono sensibilizzati al rispetto ambientale, come
uomini del domani, sono i soli che potranno provare a migliorare il nostro rapporto con
l’ambiente. “Solo se voi riflettete su queste problematiche, e vi impegnate a lottare, si potrà
combattere l’inquinamento!”
Anche nella preparazione degli esperimenti ho cercato di adottare accorgimenti di risparmio,
adoperando oggetti già usati o riciclati.
Non so cosa davvero sarà rimasto ai bambini del mio discorso, ma sentivo la necessità di dire
loro queste parole perché il futuro è nelle loro mani.
Tornati in classe, mancavano ancora due cose da fare: la prima era una piccola verifica, o
meglio, come ho detto a loro, una prova semplice e personale. Ci sono state voci di protesta
poiché in quei giorni, avvicinandosi la fine della scuola, le insegnanti avevano già fatto molti
107
compiti in classe e interrogazioni. Ma questa sarebbe stata una prova diversa, e per
convincerli un po’ avevo promesso loro una ricompensa.
Alla fine hanno accettato, ma il livello di concentrazione era molto scarso. Nella prova avevo
proposto una serie di domande sulla densità, sulla spinta di Archimede e, nell’ultima parte,
qualche domanda personale.
Sbirciando qua e là tra i banchi ho notato che qualcuno aveva qualche incertezza,
probabilmente dovuta alle domande un po’ diverse dal solito. Ho atteso che tutti terminassero
con calma la prova mentre i più veloci che avevano già finito iniziavano a diventare
impazienti.
Dopo un veloce sguardo ai loro elaborati, ho eseguito una rapida correzione collettiva delle
cinque domande inerenti agli argomenti trattati.
108
Forse l’analisi degli errori fatti avrebbe meritato un tempo di riflessione maggiore, ma
essendo l’ultimo incontro disponibile non avrei avuto altre occasioni.
Tutti i bambini desiderano conoscere il giudizio del proprio rendimento, e non mi sembrava
giusto lasciare in sospeso la valutazione sull’impegno che avevano dimostrato. Allo stesso
tempo però non mi sentivo di dare dei voti; si sarebbe rovinato il clima di gioco e la
spontaneità con cui avevano vissuto le esperienze.
La soluzione è stata quella di buttarla sul divertente. Ho realizzato delle card, oggetti molto in
uso tra i bambini di oggi, con un disegno di uno scienziato o di una scienziata molto buffi e
simpatici accompagnati da una definizione dello stesso stile.
Ho detto loro semplicemente che il mio “voto” era scritto in ogni card, che ciascuno di loro
ha scelto a caso. Le loro risate hanno confermato la riuscita della mia buffa valutazione.
Ma non era finita qui. Con una presentazione impostata e seria ho detto loro che in questi
incontri avevano svolto un lavoro molto preciso e accurato degno di veri scienziati. Tutti mi
guardavano in modo dubbioso, poiché non capivano il senso delle mie parole.
“Proprio il mio professore mi ha ufficialmente autorizzato a farvi i suoi complimenti per tutte
le attività che avete portato a termine con costanza e grande impegno. Per questo, è stato
deciso di rilasciarvi un importante riconoscimento: il “diploma di scienziato/a junior.”
109
Uno alla volta, come una consegna ufficiale, mi hanno raggiunto in piedi vicino alla lavagna
ricevendo il diploma con un goloso lecca-lecca, registrando quel momento con una foto.
È stato davvero emozionante quel momento, con tutti i bambini che freneticamente non
vedevano l’ora di ricevere il loro meritato riconoscimento.
Così si è conclusa la mia piccola ma molto intensa avventura.
110
RESOCONTO DELLA PROVA SVOLTA
La verifica era composta da dieci domande, cinque sulle conoscenze affrontate nelle lezioni, e
cinque a carattere personale per la valutazione del progetto.
Per poter ottenere una valutazione più oggettiva la prova è stata formulata con domande
sintetiche, talvolta a risposta multipla.
Vediamole nel dettaglio.
1. È più denso un bicchiere di acqua di mare oppure un secchio di acqua di
mare?
Con questa prima domanda desideravo mettere alla prova la loro intuizione. Non credo che sia
una domanda difficile, basta leggerla con attenzione.
DATI
Risposta Bambinibicchiere 2secchio 10uguali 8
0
5
10
bicchiere secchio uguali
Come si vede dal grafico molti sono caduti nel tranello. L’errore credo sia da imputarsi a
disattenzione, causata anche dal fatto che la prova è stata eseguita nell’ultima parte della
giornata di scuola e soprattutto verso la fine dell’anno scolastico. In quel periodo infatti i
bambini erano molto agitati come se percepissero l’aria delle vacanze.
2. Noi ora sappiamo che tutti gli oggetti messi in acqua subiscono una spinta
verso l’alto. Prova a rappresentare con un disegno la spinta che riceve una mela
immersa in una piscina.
Più volte nel corso dell’incontro sul galleggiamento avevamo scelto di rappresentare la spinta
di Archimede con una freccia verso l’alto che ne indicasse la direzione e il verso. Questa
rappresentazione (vettore) è molto importante nella fisica e ho ritenuto opportuno verificarne
la comprensione.
111
DATI
Risposta Bambinicorretta 18altro 2
0
10
20
corretta altro
S1
Come si vede dal grafico, quasi tutti i bambini hanno individuato la risposta giusta,
disegnando una freccia verso l’alto. Da questo si può supporre che il concetto di spinta legato
al galleggiamento sia stato compreso.
3. Prova a rappresentare la forza-peso di una bicicletta che sta cadendo da una
scogliera sul mare.
Sebbene questa domanda sia molto simile alla precedente, ho scelto di inserirla nella verifica
per valutare se i bambini avessero compreso il concetto di forza-peso che è stato affrontato
durante la lezione. Il bambino in questo modo può osservare che si utilizza una freccia per
rappresentare sia la spinta idrostatica che la forza-peso, poiché si tratta di grandezze vettoriali.
Come vediamo dal grafico i bambini hanno risposto per la maggior parte correttamente.
Analizzando in dettaglio le verifiche si nota che in due casi si ha una difficile comprensione
della risposta a causa del disegno poco chiaro, perciò non possiamo considerarli come sicuri
errori; i bambini che hanno dato una risposta sbagliata non sono gli stessi che hanno sbagliato
la domanda precedente. Ciò può significare che gli errori siano dovuti a distrazione oppure
che i due concetti di spinta e di forza siano considerati diversi, anche se in realtà i due termini
sono praticamente interscambiabili.
DATI
Risposta Bambinicorretta 16altro 4
0
5
10
15
20
corretta altro
112
4. Metti in ordine i seguenti liquidi dal meno denso al più denso:
ACQUA DI MARE, OLIO, SANGUE, ACQUA PURA
Considerando la difficoltà che i bambini avevano mostrato nella comprensione del concetto di
densità, rivelato dalla prova in itinere, non avrei potuto non verificarne nuovamente la
comprensione, alla luce dell’approfondimento fatto in proposito nella lezione sul
galleggiamento.
Ho ritenuto opportuno proporre una domanda che ne rivelasse la comprensione, togliendo la
difficoltà di espressione linguistica del concetto scientifico. La scelta delle quattro sostanze
non è casuale, ma è stata studiata in base alle riflessioni e agli interventi che erano stati fatti in
classe.
Come si vede dal grafico, ci sono ancora dei bambini che non hanno compreso
completamente il concetto. In proposito mi sembra interessante notare che l’errore più
comune ha riguardato l’olio che è stato di solito considerato come la sostanza più densa.
Ciò probabilmente è legato al fatto che le sostanze oleose presentano una maggiore viscosità,
che i bambini confondono con il concetto di densità. Anche nel linguaggio comune capita
spesso di sentir definire come “densa” una sostanza che in realtà è molto viscosa.
DATI
0 punti 1 bambino1 punto 3 bambini2 punti 1 bambini3 punti 7 bambini4 punti 8 bambini
0
2
4
6
8
0 punti 1 punto 2 punti 3 punti 4 punti
5. Cerchia i maggiori responsabili del fenomeno del galleggiamento (massimo due).
La domanda serve per capire se i bambini hanno compreso effettivamente le cause che
determinano il galleggiamento. Gli esperimenti che avevamo fatto per individuarne le cause
erano stati molti, e soprattutto molto lunghi.
113
DATI
Risposta bambinipeso 10volume 12materiale 10altro 4nessuna risposta 4
0
2
4
6
8
10
12
peso volume materiale altro nessunarisposta
Ciò avrebbe potuto anche portare i bambini a perdere di vista i motivi essenziali della
questione.
Tenendo conto della complessità del fenomeno del galleggiamento per il livello delle
conoscenze dei bambini, possono considerarsi giuste le prime tre risposte del grafico.
6. È stato divertente fare gli scienziati?
Con questa domanda volevo capire se i bambini si erano divertiti a fare gli esperimenti e dalle
loro risposte non ho avuto dubbi. C’è stato anche qualcuno che con sincerità ha scritto che
non tutti gli esperimenti gli erano piaciuti. Da questa risposta ho tratto una conclusione
importante: i bambini non erano condizionati dal fatto che io avrei letto le loro risposte,
dimostrando grande libertà di giudizio.
7. Ti piacerebbe diventare uno/a scienziato/a da grande?
Qui ci sono state diverse risposte. Mentre alcuni hanno risposto positivamente con grande
entusiasmo, la maggior parte dei bambini, circa nove, hanno dato delle risposte affermative
ma più dubbiose, lasciando molto spazio ai “forse”. C’è stato anche chi ha scritto che desidera
intraprendere altre carriere (astronauta, veterinario, chirurgo) e due che lo hanno escluso
categoricamente.
8. Quale scoperta ti è piaciuta di più?
Chi meglio dei bambini avrebbe potuto valutare il mio lavoro?
Dal grafico si nota come l’esperienza sulla pressione sia quella più gradita, mentre quella che
è stata meno nominata sia l’esperimento sulla tensione superficiale.
114
DATI
Risposta bambinisolubilità 4tensione superficiale 2pessione 6galleggiamento 4tutte 4
0
1
2
3
4
5
6
solubilità pessione tutte
Va tenuto conto però che in questo caso i bambini hanno scelto in base a ciò che si
ricordavano, quindi potrebbe essere che hanno votato anche in base ai ricordi che avevano più
vivi. Anche perché, come si vede in tabella, le differenze di voto sono davvero relative.
9. Prova a scrivere le prime parole che ti vengono in mente pensando al percorso
e alle scoperte fatte sull’acqua.
Con questa domanda intendevo ricreare la situazione del brainstorming, a cui attribuisco un
grande valore. Avrei desiderato ripeterlo a conclusione del percorso per poter esaminare le
differenze rispetto a quello fatto nel primo incontro ma non era possibile perché il tempo a
disposizione era terminato. Per questo ho pensato di proporlo tramite la domanda scritta. Il
risultato è stato questo:
NEWTON, PROVETTA, ESPERIMENTI, GALLEGGIAMENTO, DENSITÀ,
SPINTA, LIQUIDO, MARE, “LE CELLULE DELL’ACQUA”, SCIOGLIMENTO,
SOLUBILITÀ , H2O, OSSIGENO, VITA , ALICE, PRESSIONE,
TENSIONE SUPERFICIALE, MOLECOLE, SAPONE, VOLUME, PESO,
SCIENZIATO, ACQUA, DINAMOMETRO, FIUME, CARATTERISTICHE INVIOLABILI ,
SCIENZA, METODO SCIENTIFICO SPERIMENTALE, QUANTITÀ, SOLVENTE.
10. Ora sei chiamato a svolgere un duro compito … Dai un voto da 0 a 10.
Volevo che i bambini per una volta si sentissero importanti, perché il loro giudizio ha valore.
Dal grafico si vede che i bambini hanno dato voti molto alti a ogni argomento, anche se la
pressione e la solubilità risultano aver ricevuto qualche preferenza in più.
115
DATI
Argomento Mediatensione superf. 8solubilità 8,6pressione 8,6galleggiamento 8,5
0
2
4
6
8
10
tensionesuperf.
solubilità pressione galleggiamento
Ho chiesto anche di esprimere un giudizio su di me e su loro stessi, aggiungendo anche, in
modo un po’ ironico, una richiesta di valutazione sull’acqua, su Newton e sul mio professore.
Come si può vedere la valutazione personale è quella che ha ricevuto il punteggio più basso,
segno che i bambini tendono ad essere molto critici verso se stessi.
DATI
Argomento MediaH2O 8,5Newton 9,7Io 7,6Alice 9,7Prof. di Alice 9,5
0
123
4567
89
10
H2O New ton Io Alice Prof. diAlice
ANALISI GLOBALE
Tenendo in considerazione le prime cinque domande posso affermare che la prova di verifica
ha rivelato una soddisfacente comprensione dei concetti affrontati. Infatti le risposte sbagliate
o non corrette si aggirano in una media di quattro per ogni domanda.
Sono consapevole del fatto che avrei potuto analizzare il livello di comprensione raggiunto
dai bambini più nel dettaglio, ma ho deciso di non farlo poiché desideravo che i bambini non
si sentissero esaminati da me. Capita, a volte, che l’atmosfera della verifica li intimorisca a tal
punto da renderli cauti e timorosi a rispondere anche a semplici domande. Non volevo perciò
rovinare l’aria di gioco e divertimento che si era creata nelle mie lezioni. Inoltre durante tutto
il percorso ho dato molto spazio al dialogo e alla discussione, lasciando la parola ad ognuno
di loro. Questo ha permesso una costante analisi sulle loro conoscenze.
116
117
Conclusioni
Al termine del lavoro arriva il momento di tirare le conclusioni.
Ripensando a tutto il percorso, mi rendo conto che non è stato affatto facile realizzarlo: non
solo è stato impegnativo riuscire a mettere in pratica tutto ciò che avevo pensato, ma,
soprattutto, è stato difficile elaborare il progetto.
Riuscire a considerare tutte le variabili e le necessità rispetto al contesto educativo in cui deve
essere realizzato il lavoro è davvero complicato. Ho cercato di mettere in pratica nel migliore
dei modi, con impegno e costanza, tutte le conoscenze che ho acquisito nel mio percorso
formativo. Ho cercato di considerare ogni minimo aspetto: partire dalle conoscenze già
acquisite dai bambini, tener conto dei loro interessi e delle loro necessità, considerare il livello
di sviluppo cognitivo, analizzare il contesto e le dinamiche del gruppo classe, individuare gli
argomenti più adatti, organizzarli secondo una didattica attiva e coinvolgente, dare spazio al
momento di riflessione e di espressione verbale per facilitare il processo di
concettualizzazione, dare spazio alla verifica, creare un ambiente dinamico e stimolante nella
realtà della classe, rendere divertente o comunque piacevole e serena l’attività didattica,
essere disposti a modificare le mie idee per migliorare l’azione educativa …
Sebbene agli inizi fossi scoraggiata perché il progetto era molto impegnativo, mi rendo conto
che sono riuscita a realizzare molto rispetto alle aspettative iniziali. Credo che questo sia un
buon insegnamento: si può ottenere molto se ci impegniamo e mettiamo in gioco le nostre
abilità. Ciò che vale per l’apprendimento da parte dei bambini, non vedo perché non possa
valere anche per ognuno di noi.
Certo è che, se dovessi ripetere il mio lavoro, cambierei molto, cercando di modificare ciò che
“non ha prodotto buoni frutti”, gli interventi sbagliati o forse poco appropriati, togliendo
qualcosa e aggiungendo altro. Infatti, è proprio dagli errori che impariamo di più.
A questo proposito devo ammettere che forse un errore è stato quello di inseguire a tutti i costi
l’esperienza diretta dei bambini. Con questo non intendo sminuirne l’importanza, di cui sono
fortemente convinta; semplicemente ritengo che avrei potuto dare più spazio alla riflessione,
non solo a quella collettiva, ma soprattutto a quella individuale. Il momento in cui si forma
l’immagine mentale è cruciale e probabilmente in alcuni casi è stato trascurato. La limitatezza
del tempo a mia disposizione ha tagliato molte possibilità.
118
Nonostante queste riflessioni sui punti critici del mio lavoro, devo ammettere che sono molto
soddisfatta del risultato ottenuto. La mia personale sfida, di riuscire ad approfondire molti
concetti scientifici in una prospettiva più divertente e stimolante che coinvolgesse tutti i
bambini, credo di averla vinta. Molto probabilmente i bambini non avranno acquisito tutte le
conoscenze affrontate, ma qualcosa, o qualche concetto, o qualche riflessione, o anche
qualche bel ricordo, sarà sicuramente rimasto nella loro testa.
A questo punto sento il dovere di ringraziare la scuola di Sant’Andrea: tutti i docenti si sono
dimostrati profondamente disponibili nei miei confronti, ma il ringraziamento più sentito va
alla Maestra Isabella, che in ogni momento mi ha supportato dandomi sostegno, fiducia e
amicizia. La sua professionalità mi è servita da valido esempio sia per la realizzazione del mio
progetto, sia come modello di insegnante da imitare nel futuro.
Un ultimo ringraziamento va al prof. S. Straulino per l’aiuto professionale e cortese che mi ha
dato.
119
120
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