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L’Orto Botanico di Napoli B. MENALE, P. DE LUCA Orto Botanico di Napoli, Università degli Studi di Napoli Federico II, Via Foria 223, 80139 Napoli. [email protected] [email protected] www.ortobotanico.unina.it Riassunto. Vengono fornite informazioni sulla sto- ria, organizzazione e finalità dell’Orto Botanico di Napoli dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Sono illustrate le collezioni e forniti dati di carattere botanico ed etnobotanico per le specie esposte nelle varie aree tematiche. Sono descritte inoltre le numerose strutture annesse all’Orto Botanico in cui si svolgono attività museo- logiche o di ricerca. Abstract. Information on history, organization and aims of the Botanical Garden of Naples at the University of Naples Federico II, Italy, is given. Plant collections are illustrated. Botanical and eth- nobotanical features of the species exposed in the thematic areas of the Garden are described. The several structures annexed to the Garden in which museological or research activities are carried out are also decribed. Key words: Naples Botanical Garden, Scientific museology Delpinoa 49: 111-135. 2007 GLI ORTI BOTANICI A NAPOLI Nei secoli scorsi vari orti botanici sono sorti nella città di Napoli (DE LUCA 1992; MENALE &BARONE LUMAGA 2000). Il primo di cui si hanno notizie è il Giardino della Montagnuola, fondato verso la metà del XVI secolo da Gian Vincenzo Pinelli (CATALANO 1958), costruito sulla collina dei Miracoli e in cui, come era uso negli orti botanici dell’epo- ca, erano coltivate piante medicinali. Risalgono allo stesso secolo l’Orto Pensile di Ferrante Imperato, di incerta localizzazione, e la cosiddetta Villa delle Due Porte, situata al Vomero e di proprietà di Gian Battista Della Porta (GIACOMINI 1965; MENALE &BARONE LUMAGA 2000). Nel secolo successivo rivestì una certa importanza l’Orto dei Semplici di Giuseppe e Tommaso Donzelli, situato nella zona dell’Arenella (GIACOMINI 1965). Tommaso Donzelli si occupò anche dell’alle- stimento di un nuovo Orto dei Semplici che fu fondato nel 1682 e che era di proprietà dell’Ospedale S.S. Annunziata alla Monta- gnuola. Realizzato nella stessa zona in cui pre- cedentemente vi era il Giardino del Pinelli, fu il primo Orto Botanico pubblico di Napoli, anche se non si trattava ancora di una struttura universitaria (GIACOMINI 1965; MENALE & BARONE LUMAGA 2000). Degli inizi del ‘700 è il piccolo Orto Botanico di Nicola Cirillo, situato in località Ponte Nuovo e usato per gli studi botanici del nipote Domenico (GIACOMI- NI 1965). Risalgono allo stesso secolo altri giardini privati, come quello di proprietà del conte di Chiaromonte, meglio conosciuto come Orto del Principe di Bisignano, sito a Barra (ZECCHINO 2005b), del cavaliere Poli, a Tarsia, e del marchese di Gravina, a Bellavista, nelle vicinanze di Napoli (CATALANO 1958; MENALE &BARONE LUMAGA 2000). In tali Orti erano coltivate numerose ed interessanti piante esotiche oggetto di prove di acclimatazione e moltiplicazione. Il primo Orto Botanico universitario fu fon- dato nel 1805 a Monteoliveto, dove si era tra- sferita l’Università (MENALE & BARONE LUMAGA 2000). Le piante furono in parte donate dal Poli, che coadiuvò Vincenzo Petagna nella direzione; dell’allestimento scientifico di questo Orto si occupò anche il botanico napoletano Michele Tenore. Nel 1807

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Page 1: L’Orto Botanico di Napoli · 2017. 12. 1. · diMonteoliveto(ZECCHINO2005a).Ildecreto difondazionediquestanuovastruttura,recan-telafirmadiGiuseppeBonaparte,risaleal28 dicembre 1807

L’Orto Botanico di Napoli

B. MENALE, P. DE LUCA

Orto Botanico di Napoli, Università degli Studi di Napoli Federico II, Via Foria 223, 80139 [email protected] [email protected] www.ortobotanico.unina.it

Riassunto. Vengono fornite informazioni sulla sto-ria, organizzazione e finalità dell’Orto Botanico diNapoli dell’Università degli Studi di NapoliFederico II. Sono illustrate le collezioni e fornitidati di carattere botanico ed etnobotanico per lespecie esposte nelle varie aree tematiche. Sonodescritte inoltre le numerose strutture annesseall’Orto Botanico in cui si svolgono attività museo-logiche o di ricerca.

Abstract. Information on history, organization andaims of the Botanical Garden of Naples at theUniversity of Naples Federico II, Italy, is given.Plant collections are illustrated. Botanical and eth-nobotanical features of the species exposed in thethematic areas of the Garden are described. Theseveral structures annexed to the Garden in whichmuseological or research activities are carried outare also decribed.

Key words: Naples Botanical Garden, Scientific museology

Delpinoa 49: 111-135. 2007

GLI ORTI BOTANICI A NAPOLI

Nei secoli scorsi vari orti botanici sonosorti nella città di Napoli (DE LUCA 1992;MENALE & BARONE LUMAGA 2000). Il primo dicui si hanno notizie è il Giardino dellaMontagnuola, fondato verso la metà del XVIsecolo da Gian Vincenzo Pinelli (CATALANO1958), costruito sulla collina dei Miracoli e incui, come era uso negli orti botanici dell’epo-ca, erano coltivate piante medicinali.Risalgono allo stesso secolo l’Orto Pensile diFerrante Imperato, di incerta localizzazione, ela cosiddetta Villa delle Due Porte, situata alVomero e di proprietà di Gian Battista DellaPorta (GIACOMINI 1965; MENALE & BARONELUMAGA 2000). Nel secolo successivo rivestìuna certa importanza l’Orto dei Semplici diGiuseppe e Tommaso Donzelli, situato nellazona dell’Arenella (GIACOMINI 1965).Tommaso Donzelli si occupò anche dell’alle-stimento di un nuovo Orto dei Semplici che fufondato nel 1682 e che era di proprietàdell’Ospedale S.S. Annunziata alla Monta-gnuola. Realizzato nella stessa zona in cui pre-cedentemente vi era il Giardino del Pinelli, fu

il primo Orto Botanico pubblico di Napoli,anche se non si trattava ancora di una strutturauniversitaria (GIACOMINI 1965; MENALE &BARONE LUMAGA 2000). Degli inizi del ‘700 èil piccolo Orto Botanico di Nicola Cirillo,situato in località Ponte Nuovo e usato per glistudi botanici del nipote Domenico (GIACOMI-NI 1965). Risalgono allo stesso secolo altrigiardini privati, come quello di proprietà delconte di Chiaromonte, meglio conosciutocome Orto del Principe di Bisignano, sito aBarra (ZECCHINO 2005b), del cavaliere Poli, aTarsia, e del marchese di Gravina, a Bellavista,nelle vicinanze di Napoli (CATALANO 1958;MENALE & BARONE LUMAGA 2000). In tali Ortierano coltivate numerose ed interessanti pianteesotiche oggetto di prove di acclimatazione emoltiplicazione.Il primo Orto Botanico universitario fu fon-

dato nel 1805 a Monteoliveto, dove si era tra-sferita l’Università (MENALE & BARONELUMAGA 2000). Le piante furono in partedonate dal Poli, che coadiuvò VincenzoPetagna nella direzione; dell’allestimentoscientifico di questo Orto si occupò anche ilbotanico napoletano Michele Tenore. Nel 1807

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tale struttura fu dismessa e si decise di impian-tare un nuovo Orto Botanico (l’attuale OrtoBotanico di Napoli) in un’area situata ai piedidella collina di Capodimonte, a lato del RealAlbergo dei Poveri, in cui furono trasferite lepiante precedentemente coltivate nel giardinodi Monteoliveto (ZECCHINO 2005a). Il decretodi fondazione di questa nuova struttura, recan-te la firma di Giuseppe Bonaparte, risale al 28dicembre 1807. Gli architetti Giuliano deFazio e Gaspare Maria Paoletti ne curarono larealizzazione, mentre Michele Tenore si occu-pò dell’organizzazione scientifica e ne fu diret-tore dal 1810 al 1860 (DE LUCA 1992).

L’ORTO BOTANICO DI NAPOLI

L’Orto Botanico di Napoli afferisce attual-mente all’Università degli Studi di NapoliFederico II (DE LUCA 1992). Pur non essendotra i più antichi orti botanici d’Italia, è senz’al-tro il più importante per il numero e la qualitàdelle collezioni presenti. Si estende per circa12 ettari (Fig. 1) e vi sono coltivate circa die-cimila specie vegetali per un totale di quasiventicinquemila esemplari.L’ingresso principale (Fig. 1-A) è costituito

da un doppio scalone centrale con la balaustraincorniciata di piperno, su cui sono sistemativasi contenenti piante di Fascicularia pitcair-niifolia (B. Verl.) Mez. Ai due lati della som-mità dello scalone si snoda un viale dedicato aGiuseppe Antonio Pasquale, parallelo alla fac-ciata, lungo circa 200 m e sopraelevato di 7 mrispetto al piano stradale (Fig. 1-B). Sul latoesterno di questo viale si ergono esemplari dipalma delle Canarie (Phoenix canariensisHort. ex Chabaud) intervallati, ogni tre piante,da un esemplare della palma americanaWashingtonia filifera (Linden ex André) H.Wendl.; sul lato interno del viale si possonoammirare esemplari di platano orientale(Platanus orientalis L.).Di fronte allo scalone corre un ampio viale

perpendicolare al precedente e dedicato aDomenico Cirillo (Fig. 1-F); percorrendolo, siosserva a destra l’Arboreto (Fig. 1-G) ed asinistra l’edificio della Sezione di BiologiaVegetale del Dipartimento delle Scienze Biolo-giche (Fig. 1-E). Il viale Cirillo, al cui termine

s’incontra l’Area dedicata alla macchia medi-terranea (Fig. 1-L), si innesta sul viale dedica-to a Michele Tenore (Fig. 1-J), che verso sini-stra conduce al Deserto (Fig. 1-K), al settoredelle Piante Epifite e degli ambienti di Spiag-gia, Torbiera e Roccaglia (Fig. 1-I) ed alla Va-sca Rettangolare delle piante acquatiche (Fig.1-H). Proseguendo per il viale dedicato a Giu-seppe Catalano (Fig. 1-D), si costeggia il Pal-meto (Fig. 1-C). La parte destra del viale Teno-re conduce all’Area delle Gimnosperme (Fig.1-M). Continuando ad inoltrarsi nell’Orto, siraggiungono le aree del Filiceto (Fig. 1-N),dell’Agrumeto (Fig. 1-Q), degli Ordini diPiante a Fiore (Fig. 1-S), del Vivaio (Fig. 1-Z)e della Sezione Sperimentale delle PianteOfficinali (Fig. 1-X). Adiacenti a quest’ultimasono localizzati il Giardino Biblico (Fig. 1-W)e l’Area Tattile-Olfattiva (Fig. 1-Y).Tra l’Agrumeto e l’Area degli Ordini delle

Piante a Fiore si erge un Castello (Fig. 1-R) delXVII secolo, sottoposto in anni recenti ad uncompleto restauro. Questo edificio è sede del-l’attività scientifica ed amministrativa dell’Orto.Salendo le rampe che delimitano l’Area

della Macchia Mediterranea (Fig. 1-L), sigiunge ad una Vasca Circolare (Fig. 1-P), oltrela quale si incontrano la Vaseria (Fig. 1-T), laSerra monumentale (Fig. 1-U), dedicata al bo-tanico napoletano Aldo Merola, il complessodelle Serre Califano (Fig. 1-O), dedicate al bo-tanofilo napoletano Luigi Califano, e la SerraTropicale (Fig. 1-V).Le attività più importanti dell’Orto Botani-

co riguardano la coltivazione e la presentazio-ne a fini museologici delle collezioni, la ricer-ca scientifica, la didattica, rivolta sia agli stu-denti universitari sia a quelli delle scuole me-die, e la conservazione di alcune specie vege-tali in via di estinzione. L’Orto è inoltre sede dinumerose manifestazioni artistiche e culturali.Quasi tutte le collezioni dell’Orto Botanico

sono presentate secondo tre criteri: sistemati-co, ecologico o etnobotanico. In alcune aree,infatti, sono raccolte piante appartenenti allastessa categoria sistematica: costituisconoesempio in tal senso l’Area delle Gimnosper-me, degli Ordini di Piante a Fiore, il Palmeto,l’Agrumeto e la Vaseria. In altre aree, come adesempio il Deserto, la Torbiera, la Roccaglia e

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Fig. 1 - Planimetria dell’Orto Botanico di Napoli.

A - Ingresso principaleB - Viale Giuseppe Antonio PasqualeC - PalmetoD - Viale Giuseppe CatalanoE - Sezione di Biologia Vegetale del Dipartimento delle Scienze BiologicheF - Viale Domenico CirilloG - ArboretoH - Vasca RettangolareI - Spiaggia, Torbiera, Roccaglia, EpifiteJ - Viale Michele TenoreK - DesertoL - Macchia MediterraneaM - Gimnosperme

N - FilicetoO - Serre CalifanoP - Vasca CircolareQ - AgrumetoR - CastelloS - Ordini di Piante a FioreT - VaseriaU - Serra MerolaV - Serra TropicaleW- Giardino BiblicoX - Sezione Sperimentale delle Piante OfficinaliY - Area Tattile-OlfattivaZ - Vivaio

le Vasche delle piante acquatiche, sono statericreate condizioni simili a quelle che le pianteesigono in natura (criterio ecologico). L’Areaespositiva della Sezione Sperimentale dellePiante Officinali, in cui sono coltivate pianteutili per l’uomo, costituisce un esempio di zo-na a carattere etnobotanico.In tutte le zone le piante sono corredate da

targhette sulle quali sono riportate notizieriguardanti le categorie di appartenenza dellaspecie, il nome scientifico, l’autore e l’arealedi distribuzione. Informazioni supplementarisono presenti sui cartellini utilizzati in alcunisettori della Sezione Sperimentale delle PianteOfficinali e nel Giardino Biblico: nell’ ”Areaespositiva”, gli esemplari sono corredati da tar-ghette indicanti anche le principali utilizzazio-ni delle specie; nella piccola zona dedicata allepiante velenose, oltre a notizie sugli usi, si for-niscono per ciascuna entità indicazioni sulle

parti maggiormente tossiche; nel GiardinoBiblico, ogni esemplare è corredato da una tar-ghetta su cui è trascritto il versetto delle SacreScritture in cui la pianta è menzionata.Vengono di seguito descritte le aree temati-

che a carattere sistematico, ecologico ed etno-botanico in cui è suddiviso l’Orto Botanico.Vengono, quindi, illustrate le Serre, il Vivaio, ilGiardino Biblico, l’Area Tattile-Olfattiva, non-ché strutture e collezioni annesse all’Orto Bo-tanico in cui si svolgono attività museali o diricerca: la Sezione Sperimentale delle PianteOfficinali, la Xilotomoteca, la Carpospermate-ca, l’Erbario, il Museo di Paleobotanica ed Et-nobotanica.

L’Arboreto

In questa zona (Fig. 1-G) sono raccolte es-senze arboree ed arbustive appartenenti a

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diverse categorie sistematiche, viventi in natu-ra in ambienti diversi e, in alcuni casi, di utili-tà per l’uomo.Tra le specie più rappresentative vi è la zel-

kova del Caucaso (Zelkova carpinifolia Dip-pel), una pianta originaria dell’area caucasica,il cui esemplare più antico dell’Orto Botanicoha una circonferenza alla base di circa 5 m.Altra pianta degna di nota è l’albero del tèdalle foglie pungenti (Melaleuca styphelioidesSm.), una specie australiana la cui corteccia,non suberificando, presenta una consistenzacartacea, cosicché al tatto il tronco si presentaleggermente soffice. Va citata anche Parrotiapersica C. A. Mey., nota come albero pagodaper l’andamento dei suoi rami, specie origina-ria delle foreste dell’Iran settentrionale.Degni di nota per la loro mole sono gli

esemplari delle specie asiatiche Cinnamomumglanduliferum (Wall.) Meisn. e Ginkgo bilobaL., rispettivamente conosciute come falso can-foro e albero dai frutti d’argento; notevoli sonoanche gli individui di Araucaria bidwillii Ho-ok. e Microcitrus australis (Planch.) Swingle,entità australiane note come pino di Bunya elimetta rotonda australiana, di Cordia martini-censis Roem. & Schult., originaria dell’isola diMartinica, di Celtis australis L., il ben notobagolaro, diffuso in Europa ed Asia temperata,e di alcune specie appartenenti al genereQuercus.Tra gli arbusti è da ricordare la cosiddetta

edera velenosa (Rhus toxicodendron L.), del-l’America settentrionale, irritante al tatto evelenosa per ingestione.Ulteriori notevoli esemplari di specie arbo-

ree sono coltivati in altre aree dell’Orto Bota-nico ed inseriti in altre tematiche espositive.Ad un’estremità del viale Tenore (Fig. 1-J),

nella curva adiacente il Palmeto (Fig. 1-C), sitrovano notevoli esemplari di pino delleCanarie (Pinus canariensis C. Sm.). Lungo ilviale che porta dalla Serra Merola (Fig. 1-U) alGiardino Biblico (Fig. 1-W) si trova un impo-nente gruppo di lecci (Quercus ilex L.), tipicidella flora mediterranea; sono le piante piùvecchie nell’Orto, avendo più di duecentoanni, e quindi sono precedenti la fondazione diquesta struttura. Un grosso esemplare di ficodella baia di Moreton (Ficus magnolioides

Borzi), specie originaria del Queensland e delNuovo Galles del sud, si trova al limite supe-riore dell’Area delle Gimnosperme (Fig. 1-M).Di fronte all’ingresso del Castello (Fig. 1-R),nel piccolo settore dedicato al genereCamellia, spicca l’imponente esemplare diCamellia japonica L., originaria dell’estremooriente; è una delle più vecchie piante di came-lia tra quelle introdotte in Europa. Grossiesemplari di eugenia (Eugenia myrtifoliaSims), originaria dell’Australia, si ergono aidue lati dell’ingresso del Castello, mentre nelcortile di quest’ultimo è presente un grossoesemplare di gardenia (Gardenia thunbergia L.f.), specie originaria dell’Africa meridionale.

Il Filiceto

Nel Filiceto (Fig. 1-N) sono riprodotte lecondizioni di ombra ed umidità necessarie perla coltivazione di felci e piante affini. QuestaArea, in parte situata ad un livello di qualchemetro inferiore rispetto a quello delle zone cir-costanti, è circondata da alberi che creanol’ombra necessaria. Per assicurare una quanti-tà di luce più o meno costante in tutte le sta-gioni, sono stati scelti alberi sempreverdi confogliame abbondante, come lecci e lauri, maanche alcuni alberi a foglie caduche come fag-gi, querce ed ippocastani, che riducono laschermatura d’inverno quando, alle nostre lati-tudini, la luce è meno intensa. L’umidità neces-saria è fornita da rivoli e laghetti artificiali ol-tre che da abbondanti e frequenti annaffiature.Il Filiceto dell’Orto Botanico è un ambien-

te artificiale che ospita esclusivamente critto-game vascolari, cioè vegetali con un corpodiviso in radici, fusto e foglie e che non produ-cono semi. Sono qui presenti piante apparte-nenti alle divisioni Lycopodiophyta (Selaginel-la), Equisetophyta (Equisetum) e Polypodio-phyta (felci propriamente dette), tre delle quat-tro divisioni delle Pteridophyta attuali. Laquarta divisione, Psilotophyta, non annoveraalcun rappresentante nel Filiceto, ma è presen-te nelle serre con il genere Psilotum.La categoria sistematica maggiormente rap-

presentata in quest’Area è quella delle felcipropriamente dette. Tipica di queste piante è lapresenza sulla pagina inferiore delle foglie di

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strutture scure, i sori, in cui matura un grannumero di spore, cellule da cui si differenzianoi gametofiti (individui produttori di gameti)deputati alla riproduzione sessuale della spe-cie. Questi ed altri aspetti del ciclo vitale diqueste piante sono illustrati in un tabelloneposto all’ingresso della zona.La collezione comprende molte specie di

felci sia tipiche della nostra flora sia esotiche.Spiccano fra queste ultime le felci arboreeappartenenti ai generi Cyathea e Dicksonia,diffuse allo stato spontaneo in Australia ed inNuova Zelanda e perfettamente adattate alnostro clima. Le felci arboree presentano unfusto epigeo molto sviluppato, a differenzadella quasi totalità delle altre felci che sonocaratterizzate da un rizoma, cioè un fusto sot-terraneo modificato. In queste piante, tutte for-nite di foglie di notevoli dimensioni, è moltoevidente l’aspetto assunto da questi organi almomento della formazione e sviluppo, cioè laclassica forma a pastorale, simile alla parte ter-minale del bastone vescovile. Tale caratteristi-ca è comune a tutti i rappresentanti di questadivisione. Le felci arboree erano molto diffusecirca 300 milioni di anni fa (periodo Carbo-nifero) e vivevano su gran parte delle terreemerse, allora in maggioranza raccolte nellafascia tropicale; attualmente si ritrovano esclu-sivamente nelle foreste tropicali e subtropicali.È da notare che tra le felci arboree presentinell’Orto solo un esemplare per ogni specie èstato raccolto in natura, mentre gli altri sonostati ottenuti da questo primo individuo perriproduzione nella piccola serra annessa alFiliceto.Si riportano di seguito notizie su alcune tra

le più significative specie presenti nel Filiceto.Asplenium bulbiferum G. Forst., originaria

dell’Australia e della Nuova Zelanda, presentasulle foglie dei bulbilli che, cadendo sul terre-no, danno origine a nuove piante identiche allapianta madre. Woodwardia radicans (L.) Sm.,nota come felce bulbifera, era molto diffusanell’era Terziaria (circa 40 milioni di anni fa)ed è sopravvissuta fino all’era attuale non-ostante i mutamenti climatici. Essa si trova innumerosi piccoli areali senza alcun collega-mento reciproco (indice di una ben più ampiadistribuzione passata) in Europa, America set-

tentrionale, Nuova Guinea e Giappone. InItalia vive in alcuni luoghi ombrosi e umidi delMeridione. Anche questa felce, come Asple-nium bulbiferum, presenta il fenomeno dellamoltiplicazione vegetativa, avendo sulla pagi-na inferiore di ogni foglia, nei pressi della zonaapicale, un bulbillo. Simile alla felce bulbiferaè Anchistea virginica C. Presl, specie nativadegli Stati Uniti. Osmunda regalis L., la cosid-detta felce florida, è diffusa allo stato sponta-neo in tutti i continenti ad eccezione dell’O-ceania. Presenta delle foglie completamentesterili, assolventi solo i compiti nutrizionalimediante la fotosintesi, e delle foglie la cuiparte terminale è fertile. Tra le entità presentinel Filiceto, anche Matteuccia struthiopteris(L.) Tod., tipica delle regioni circumboreali,presenta un dimorfismo fogliare. Il quadrifo-glio d’acqua (Marsilea quadrifolia L.) ha fron-de costituite da quattro foglioline ristrette allabase e inserite su un picciolo lungo 10-15 cmche conferiscono alla pianta l’aspetto di unquadrifoglio. Le spore non sono portate da so-ri, ma da strutture situate su brevi peduncoliinseriti presso la base del picciolo. Azolla fili-culoides Lam., nota come azolla maggiore, èuna felce galleggiante nelle cui foglioline viveun cianobatterio (Anabaena azollae Stras.) ca-pace di fissare l’azoto atmosferico: si instaura,così, un’associazione simbiotica in cui la felcericeve l’azoto fissato e l’alga trova nelle picco-le fronde un microambiente favorevole. Que-sta felce presenta, oltre alla riproduzione ses-suale, la moltiplicazione vegetativa per fram-mentazione; ciò le permette di colonizzare inpoco tempo ampi specchi d’acqua. La capacitàdi produrre velocemente grandi biomasse ric-che di composti azotati rende questa felce unottimo “concime verde” utilizzabile special-mente nelle risaie dei Paesi subtropicali.Gli equiseti, a differenza delle felci, non

presentano foglie verdi ben sviluppate masquame brunastre disposte ad intervalli regola-ri lungo il fusto verde. Le spore non sono rac-chiuse in sori, ma portate da foglie modificate(sporofilli) organizzate, all’apice di alcunifusti, in una struttura somigliante ad un cono digimnosperma.Le specie del genere Selaginella sono carat-

terizzate da un aspetto delicato e portano le

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spore su sporofilli organizzati in strutture aforma di spighette.Sulle rocce, nei luoghi più umidi e ombrosi

del Filiceto, si osservano delle piccole piante aforma di lamina verde: le epatiche. Questivegetali non sono delle cormofite, ma delle tal-lofite, cioè non hanno il corpo diviso in radici,fusto e foglie, ma presentano un tallo, ossiauna struttura senza differenze istologiche tra levarie parti. Questa semplicità morfologicapone le epatiche, così come tutte le altre tallo-fite, su un gradino evolutivo inferiore rispettoalle cormofite.

L’Area delle Gimnosperme

Nella Botanica classica il nome Gymno-spermae si riferisce a quelle piante che hannosemi nudi, cioè non racchiusi in un frutto,attualmente riunite nella divisione Pinophytache comprende quattro classi: Cycadopsida,Ginkgoopsida, Pinopsida e Gnetopsida, tutterappresentate in quest’Area dell’Orto Botanico(Fig. 1-M).Le Cycadopsida hanno fusto colonnare, alla

cui sommità si forma una corona di fogliecomposte (formate dall’insieme di moltefoglioline inserite lungo l’asse centrale dellafoglia); l’aspetto di queste piante può ricorda-re lontanamente quello delle felci arboree odelle palme, con le quali, però, non vi sonodiretti rapporti nella storia evolutiva. Unacaratteristica interessante di queste piante è lapresenza, oltre al normale apparato radicale, diradici modificate affioranti dal terreno, cheospitano al loro interno delle colonie di ciano-batteri fissatori di azoto atmosferico. Questeradici, la cui forma ricorda quella di un coral-lo, sono note come “radici coralloidi”. Leattuali cicadee, viventi nelle zone tropicali,rappresentano i resti di un ben più vasto grup-po diffuso nell’era Mesozoica (225-65 milionidi anni fa).Nell’Area delle Gimnosperme si trovano

solo alcune delle specie di cicadee della colle-zione dell’Orto, essendo la gran parte di essecoltivate nelle Serre Califano.

Cycas revoluta Thunb. è senz’altro la spe-cie più comune tra quelle presenti nella zona e,così come gli altri esponenti del gruppo, è dioi-

ca (con piante o maschili o femminili). Sullepiante maschili, in primavera, si possonoosservare dei lunghi coni formati da fogliemodificate (microsporofilli) inserite a spiralesu un asse centrale. Sulla pagina inferiore deimicrosporofilli si trovano strutture deputatealla produzione dei granuli pollinici. Questaorganizzazione del cono maschile è comune atutte le cicadee. Le piante femminili di C. revo-luta, sempre nel periodo primaverile, mostranogli ovuli ben evidenti inseriti su foglie prive diclorofilla e di dimensioni ridotte (macrosporo-filli). A differenza delle altre cicadee, i macro-sporofilli di questa specie non sono organizza-ti in un cono.Accanto agli esemplari di C. revoluta si

possono osservare rappresentanti dei generiDioon, Encephalartos, Ceratozamia e Macro-zamia, tra cui Dioon edule Lindl., con i suoivoluminosi coni, ed Encephalartos villosusLem. e Ceratozamia mexicana Brongn., conevidenti radici coralloidi affioranti dal terreno.La classe Ginkgoopsida, molto diffusa nel

periodo Permiano (280-225 milioni di anni fa),annovera un’unica specie vivente, Ginkgobiloba, presente in quest’Area. È una piantaarborea coltivata nei monasteri buddisti inCina. Le foglie, dalla caratteristica forma aventaglio, cadono in inverno, fenomeno assairaro nell’ambito delle gimnosperme. Anche G.biloba è una pianta dioica: nell’Orto Botanicoesistono solo esemplari maschili, fatta eccezio-ne per un ramo prelevato dall’esemplare fem-minile coltivato in uno dei cortili della sedecentrale dell’Università di Napoli Federico II einnestato su una delle piante presenti nell’Orto,presso il viale di accesso alla Sezione Speri-mentale delle Piante Officinali. Una particola-rità di G. biloba è la sua notevole resistenzaall’attacco di parassiti, agli agenti atmosferici eall’inquinamento.Gran parte delle specie presenti in que-

st’Area appartiene alla classe Pinopsida. Sitratta, in genere, di specie arboree sempreverdie monoiche.Nell’ambito del genere Pinus sono da nota-

re gli imponenti esemplari di pino nero (Pinusnigra C. F. Arnold), caratteristico dei nostriboschi, di pino delle Canarie (P. canariensis) el’elegante P. patula Schiede ex Schltdl. &

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Cham. del Messico; appartengono alla nostraflora anche il poco diffuso pino loricato (P. leu-codermis Antoine), il caratteristico pino mugo(P. mugo Turra) ed il pino bruzio (Pinus brutiaTen.), specie descritta per la prima volta daMichele Tenore nel 1830.Altri generi rappresentati in quest’Area da

specie presenti anche nella nostra flora sonoAbies e Juniperus.Anche il cosiddetto albero della morte

(Taxus baccata L.), vivente allo stato sponta-neo nei nostri boschi, è rappresentato in questosettore dell’Orto. Si tratta di una pianta dioicaestremamente tossica a causa dell’elevato con-tenuto di alcaloidi velenosi (principalmentetassina), localizzati in prevalenza nelle foglie enei semi. L’unica parte non tossica della pian-ta è la struttura carnosa (arillo) che circonda ilseme: ciò permette la disseminazione ad operadi uccelli che, cibandosi dell’arillo, ingerisco-no il seme per poi espellerlo intatto a conside-revole distanza della pianta madre.Il genere Cupressus è presente nell’Area

con il ben noto cipresso comune (Cupressussempervirens L.), introdotto nelle nostre zonein epoche antichissime, ed il cipresso delSahara (C. dupreziana A. Camus), rappresen-tante una specie relitta della vegetazione dellazona sahariana prima che diventasse desertica.Il genere Cedrus è rappresentato in questo

settore dell’Orto dal cedro del Libano (Cedruslibani A. Rich.), diffuso allo stato spontaneosui monti del Tauro e del Libano, e dal cedrodell’Atlante (C. atlantica (Endl.) G. Manetti),diffuso sulle catene montuose dell’Africa set-tentrionale.Tra le altre entità extraeuropee presenti

nell’Area delle Gimnosperme vanno ricordate:il cipresso di Montezuma (Taxodium mucrona-tum Ten.), specie originaria del Messico edescritta da Michele Tenore; la metasequoia(Metasequoia glyptostroboides Hu & Cheng),ritenuta estinta fino al 1941, anno in cui furitrovata in una foresta lungo il corso delloYang tze Kiang; le sequoie giganti (Sequoia-dendron giganteum (Lindl.) J. Buchholz eSequoia sempervirens Endl.), specie america-ne che in natura possono raggiungere età edimensioni eccezionali.In quest’Area è presente anche una colle-

zione di specie del genere Araucaria, diffuseallo stato selvatico in America meridionale edin Australia. Tali piante sono dotate di fogliesquamiformi che ricordano nella forma lefoglie laminari delle piante a fiore. Quest’ul-tima caratteristica è presente in misura mag-giore nel genere Agathis, rappresentato tra l’al-tro da un notevole esemplare della specieaustraliana Agathis robusta (C. Moore ex F.Muell.) F. M. Bailey.Una specie affine alle entità dei generi

Araucaria e Agathis è Wollemia nobilis W. G.Jones, K. D. Hill & J. M. Allen, rappresentatain questo settore da un giovane esemplare.Conosciuta come pino di Wollemi, è piantararissima, ritenuta estinta fino al 1994, anno incui fu ritrovata nel Wollemi National Park nelNuovo Galles del Sud.

Cryptomeria, Cunninghamia, Podocarpus,Tetraclinis e Torreya sono altri generi di Pino-psida rappresentati in questa zona dell’Orto.La classe Gnetopsida comprende i generi

Welwitschia, Gnetum ed Ephedra; solo que-st’ultimo è rappresentato nell’Area delle Gim-nosperme da alcune entità. Si tratta di piantecon un aspetto giunchiforme, con foglie squa-miformi disposte a corona ad intervalli regola-ri lungo il fusto verde che assolve la funzionefotosintetica. Le specie di Ephedra presenti inquesto settore hanno portamento cespuglioso,come ad esempio Ephedra distachya L., orampicante, come E. altissima Desf. Esemplaridi Welwitschia e Gnetum sono osservabili incoltivazione nelle Serre Califano.

L’Area degli Ordini di Piante a Fiore

In quest’Area (Fig. 1-S) sono coltivate spe-cie appartenenti alla divisione comprendente lepiante con fiori, nota classicamente con ladenominazione di angiosperme. Questo grossogruppo sistematico riunisce le piante a più altolivello evolutivo che, a differenza delle gimno-sperme, formano semi racchiusi da un frutto.Le piante a fiore sono riunite nella divisioneMagnoliophyta, comprendente le due classidelle Magnoliopsida e delle Liliopsida, meglioconosciute rispettivamente come Dicotiledonie Monocotiledoni. Attualmente è in atto unarevisione tassonomica di questo gruppo che si

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basa anche su dati biomolecolari.La recente riorganizzazione dell’Area

dell’Orto Botanico dedicata alle piante a fioresi è basata proprio sulle più recenti vedutesistematiche. Tale zona è infatti caratterizzatada viali rappresentanti le linee evolutive checollegano i vari ordini. Per ciascuno di questiultimi sono state selezionate per l’esposizioneuna o più specie significative, in massima partesoddisfacenti determinati requisiti. Ciascunaentità presente nell’Area è infatti, ove possibi-le, perenne, di dimensioni non rilevanti, confiori non piccoli e caratteristici del gruppo diappartenenza, dalla fioritura primaverile (inmodo da poter osservare tutti gli esemplari infioritura nello stesso periodo) e dalla facileadattabilità al clima mediterraneo.Questo settore è inoltre contraddistinto

dalla presenza di tre piccole vasche dove sonocoltivate specie appartenenti agli ordini checomprendono solo piante acquatiche.

L’Agrumeto

L’Agrumeto (Fig. 1-Q) ospita la collezionedi agrumi, cioè di specie del genere Citrus,nonché rappresentanti di alcuni generi affini.Tali piante appartengono alla famiglia delleRutaceae e, in linea di massima, hanno tutte lostesso tipo di frutto, l’esperidio, formato dauna parte esterna arancione o gialla, con ghian-dole ricche di oli aromatici, da una parte inter-media bianca e spugnosa e da una parte inter-na divisa in spicchi pieni di cellule ingrossate,a forma di fuso, più o meno succose. Gli agru-mi, nonostante siano una parte integrante delpaesaggio di alcune zone dell’Italia meridiona-le, non sono piante originarie dell’area medi-terranea ma, almeno quelle eduli, dell’Asiatropicale e subtropicale.La collezione dell’Orto Botanico, rinnovata

di recente, comprende anche alcuni esemplariintrodotti durante il regno borbonico (DEMATTEIS TORTORA & NAZZARO 2000). Tra leentità dall’aspetto più singolare vanno menzio-nate le varietà coltivate di arancio amaro(Citrus aurantium L.) contraddistinte da stranecaratteristiche morfologiche: ne sono esempil’arancio amaro a foglia crespa (C. aurantium‘crispifolia’), a foglia di salice (C. aurantium

‘salicifolia’) e a buccia percorsa da canali,detto anche “scompiglio di Venere” (C. auran-tium ‘canaliculata’). Un cenno particolaremerita una pianta i cui frutti hanno la bucciacon parti arancioni e parti gialle, da cui il nomedi “braghe tedesche” (dalla divisa a striscegialle ed arancioni dei soldati Lanzichenec-chi): si tratta di una chimera da innesto, unaparticolarità genetica per cui, presumibilmentedopo l’innesto di un limone su un arancioamaro, non si è avuto lo sviluppo di un limonema di un albero che presenta, in modo partico-larmente evidente nei frutti, caratteri dientrambi gli agrumi. Altre piante da notaresono il chinotto (C. myrtifolia Raf.) e il berga-motto (C. bergamia Risso) da cui si ricavanooli essenziali usati in profumeria.In questa zona è presente anche una colle-

zione di varietà coltivate di pompelmo (C.paradisi Macfad.), di limone (C. limon (L.)Burm. f.), di limetta (C. aurantifolia (Christm.)Swingle), di arancio dolce (C. sinensisOsbeck) e di mandarini (C. reticulata Blanco,C. nobilis Lour., C. deliciosa Ten.). Sonoanche rappresentate specie quali il cedro (C.medica L.), il primo agrume giunto nell’areamediterranea nel IV secolo a. C., ed il pumme-lo (C. grandis Osbeck), uno dei progenitori delpompelmo, caratterizzato da esperidi di note-voli dimensioni, i più grandi nell’ambito degliagrumi. Tra le specie meno conosciute delgenere Citrus, sono rappresentate nell’Agru-meto C. hystrix DC., C. ichangensis Swingle eC. indica Tanaka.In un settore dell’Agrumeto sono esposti

esemplari in rappresentanza di specie affini aiveri agrumi, ma non appartenenti al genereCitrus. Una specie interessante è Poncirus tri-foliata (L.) Raf., una caducifoglia nota comearancio trifogliato essendo provvista di fogliedivise in tre parti, di cui solo quella centrale èla vera lamina fogliare, mentre le laterali rap-presentano porzioni notevolmente slargate delpicciolo. Molto decorativa è la varietà detta“dragone volante” (P. trifoliata var. monstruo-sa Swingle), dai caratteristici rami contorti.Altre specie di particolare interesse sono: lalimetta rotonda australiana (Microcitrusaustralis (Planch.) Swingle) e la limetta digiti-forme australiana (M. australasica (F. Muell.)

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Swingle), dai frutti emananti un odore moltogradevole; la severinia a foglia di bosso(Severinia buxifolia Ten.), pianta descritta perla prima volta da Michele Tenore in questoOrto Botanico; Fortunella margarita Swinglee F. japonica Swingle, i cosiddetti “kumquat”,dall’aroma molto delicato. In quest’area, inol-tre, si trovano anche imponenti esemplari diCasimiroa edulis La Llave.Un piccolo settore dell’Agrumeto è infine

dedicato alla coltivazione delle specie descrit-te per la prima volta nel XIX secolo da botani-ci che operarono a Napoli. Esso comprendeesemplari delle già citate C. deliciosa e S.buxifolia, nonché un grosso esemplare di C.volkameriana Pasquale.

Il Palmeto

Le palme, che formano la famiglia delleArecaceae, sono piante in massima parte tropi-cali e subtropicali il cui areale di distribuzionesi è notevolmente ridotto rispetto al periodoCretaceo (circa 130 milioni di anni fa), duran-te il quale erano diffuse anche in zone geogra-fiche corrispondenti alle attuali Europa eAmerica settentrionale, a quei tempi caratteriz-zate da un clima tropicale. Solitamente sonopiante di ambienti soleggiati che presentano unfusto legnoso colonnare portante alla sommitàuna corona di ampie foglie. I piccoli fiori sonoriuniti in un’infiorescenza protetta da una gros-sa brattea, detta spata.Alcuni tipici esponenti di questa famiglia

presenti nell’Area (Fig. 1-C) sono Washingto-nia robusta H. Wendl., Jubaea chilensis Baill.,Syagrus romanzoffiana (Cham.) Glassman,Trithrinax campestris Drude & Griseb.,Erythea armata S. Watson, Brahea roezliiLinden e Howea forsteriana (F. Muell.) Becc.Esempi di palme atipiche sono alcune speciedel genere Sabal, con il fusto strisciante, eChamaedorea desmoncoides H. Wendl., dalportamento rampicante. C. tenella H. Wendl. eC. elegansMart. sono palme di piccole dimen-sioni viventi nel sottobosco. In questa zona ilgenere Phoenix è rappresentato da P. canarien-sis Hort. ex Chabaud, P. dactylifera L., P. recli-nata Jacq., P. roebelinii O’Brien e P. sylvestrisRoxb.

È interessante segnalare che molte palmehanno applicazioni economiche nei Paesi incui sono coltivate: basta ricordare la palma dadattero che fornisce alle popolazioni del deser-to una grande quantità di prodotti. Dal troncodi questa palma si ricava legno da ardere e dafalegnameria; le foglie intere sono usate comecopertura e per la fabbricazione di stuoie ecesti, i filamenti fibrosi che da esse si ricavanoservono per la fabbricazione di corde, mentrele loro punte, dure ed acuminate, vengonousate come aghi. I frutti, i datteri, oltre cheessere consumati freschi, vengono seccati,compressi e impastati con acqua, farina d’orzoe zucchero per formare il “pane del deserto”.Dalla fermentazione dei frutti si ricava un vinoche può trasformarsi in aceto, mentre dalla fer-mentazione della linfa si ottiene il “laghbi”,detto anche “vino di palma”.

La Vaseria

Sui gradoni in muratura davanti alla SerraMerola sono esposte in vaso piante bulbose,tuberose e rizomatose (Fig. 1-T), per lo più inrappresentanza di specie diffuse allo statospontaneo nella regione mediterranea o in zonea clima analogo. Tali vegetali superano la sta-gione avversa grazie ai bulbi, ai tuberi e airizomi, organi sotterranei di riserva dai qualiogni anno si sviluppano le parti aeree.Una delle famiglie maggiormente rappre-

sentate in tale collezione è quella delleLiliaceae, che comprende tra l’altro numerosespecie proprie dei nostri territori e alcune enti-tà originarie del Sud Africa. Di rilievo è la col-lezione di specie del genere Allium, che com-prende anche specie descritte per la primavolta da botanici che operarono a Napoli, qualiad esempio l’aglio di Cirillo (A. cyrilli Ten.) el’aglio napoletano (A. neapolitanum Cyr.).Anche le Amaryllidaceae sono rappresenta-

te da entità nostrane, quali ad esempio il buca-neve (Galanthus nivalis L.) e alcune specie delgenere Narcissus; tra le specie esotiche, spiccal’amarillide (Amaryllis belladonna L.), di ori-gine sudafricana e con fiori assai profumati.I generi Iris e Crocus sono quelli maggior-

mente rappresentati nell’ambito della famigliadelle Iridaceae; tra le entità presenti spiccano

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alcune specie piuttosto rare, come ad esempiolo zafferano di Imperato (Crocus imperatiTen.), endemico di alcune zone dell’Italiameridionale.Nella Vaseria sono coltivate anche numero-

se Orchidaceae della nostra flora, tra cui speciedel genere Ophrys, in cui la parte del fioredetta labello è assai simile nell’aspetto all’ad-dome della femmina dell’insetto impollinato-re, che pertanto subisce una sorta di ingannoche garantisce il trasporto del polline da unfiore ad un altro. Nell’ambito delle Orchida-ceae presenti vanno inoltre ricordati alcuniibridi abbastanza rari in natura.La collezione della Vaseria è completata da

alcune entità appartenenti alle famiglie delleZingiberaceae e delle Araceae.

La Spiaggia

In quest’area sono raccolte alcune dellepiante presenti sui nostri litorali sabbiosi. Lasabbia, porosa ed incoerente, non trattieneacqua negli strati superficiali e ciò rende laspiaggia un ambiente arido; l’acqua che vi cir-cola ha un’elevata concentrazione salina; lapresenza costante del vento, con la formazionedi dune, rende il substrato estremamente mobi-le. Tali caratteristiche rendono la spiaggia unambiente ostile alla vita vegetale per cui vipossono vivere solo piante dotate di adatta-menti atti a superare queste difficoltà.Ad esempio, tra le piante presenti nell’area

della Spiaggia (Fig. 1-I) vi sono specie, comeil convolvolo delle spiagge (Calystegia solda-nella (L.) R. Br.), dotate di radici e di fusti sot-terranei capaci di imbrigliare la sabbia e diconsolidare le dune, nonché di emettere nuovirami in sostituzione di quelli eventualmentericoperti dal substrato; altre entità, per fronteg-giare la notevole aridità, presentano adatta-menti simili a quelli delle piante desertichecome la succulenza (osservabile ad esempio inCakile maritima Scop., nota comunementecome ravastrello marino), l’aspetto coriaceo-spinoso e la presenza di un rivestimento cero-so che protegge dall’eccessiva perdita d’acquaper traspirazione (caratteristiche proprie diEryngium maritimum L., la calcatreppolamarina) o la presenza di peluria biancastra

(tipica di specie quali Medicago marina L. eDiotis candidissima Desf., rispettivamentedenominate erba medica marina e santolinadelle spiagge), anch’essa volta a limitare la tra-spirazione. Molte specie, come la silene colo-rata (Silene colorata Poir.) e la già citataCakile maritima, sopravvivono in quest’am-biente grazie al loro breve ciclo vitale.Tra le altre specie esposte nell’area della

Spiaggia sono da ricordare il papavero cornuto(Glaucium flavum Crantz), che colonizza ledune consolidate, e il giglio di mare (Pancra-tium maritimum L.), una bulbosa fornita displendidi fiori bianchi.

La Torbiera

Le torbiere sono ambienti ad elevata acidi-tà, dovuta alla presenza di un particolare tipodi muschi (gli sfagni), caratterizzati da un ter-reno saturo d’acqua e quindi carente di ossige-no oltre che povero di sali minerali. Questecaratteristiche rendono tali ambienti poveri diorganismi decompositori, per cui il materialeorganico si conserva praticamente inalteratoper lunghi periodi e ciò permette la sua fossi-lizzazione: le torbiere, infatti, sono ricche difossili. Nelle cosiddette torbiere alte, gli sfagniformano sul terreno degli strati spessi e conti-nui: le parti morte dei muschi, impregnated’acqua, fungono da substrato a quelle vivesuperficiali e così lo spessore degli stratiaumenta sempre più fino a raggiungere in alcu-ni casi un’altezza di alcuni metri. La vegeta-zione tipica delle torbiere si impianta suglistrati di sfagni e, a causa della notevole distan-za delle piante dal terreno, ha difficoltà nelricambio idrico. Nelle torbiere basse, gli sfagniformano strati meno spessi; la vegetazione, piùricca floristicamente rispetto a quella delle tor-biere alte, assume quasi sempre le caratteristi-che di una prateria. In entrambi i tipi di torbie-re, ma in special modo in quelle alte, le condi-zioni ambientali favoriscono la sopravvivenzadi un numero esiguo di piante superiori.In Italia sono presenti solo torbiere basse;

alcune specie viventi in queste ultime sonorappresentate nel relativo settore dell’Orto(Fig. 1-I). Tra le entità esposte sono da citare ilbrugo (Calluna vulgaris (L.) Hull), la carice

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gialla (Carex flava L.), il giunco contratto(Juncus conglomeratus L.), la mazza d’orominore (Lysimachia nummularia L.), il miglia-rino maggiore (Deschampsia caespitosa (L.) P.Beauv.) e il trifoglio fibrino (Menyanthes trifo-liata L.). Nelle torbiere si ritrovano anchepiante insettivore, come alcune specie apparte-nenti al genere Drosera, rappresentato in que-sta zona dell’Orto.

La Roccaglia

Nella zona della Roccaglia (Fig. 1-I) sonopresentate specie viventi principalmente sullerocce calcaree delle zone litoranee dell’Italiameridionale. La vita in tale ambiente presentauna serie di problemi per le piante: le roccenon riescono a trattenere l’acqua, cosicché ilsubstrato risulta arido; la salinità e l’irraggia-mento solare sono assai elevati; i venti sonoforti e costanti. Le piante superano questi pro-blemi con una serie di adattamenti; ad esempiodotandosi di lunghe e robuste radici che anco-rano saldamente la pianta e raggiungono glistrati più profondi e più umidi del terreno, inmodo da resistere anche alla violenza dei ventie all’aridità. Altri adattamenti all’aridità sonorappresentati dalla succulenza, caratteristica dialcune specie, come ad esempio il fico degliOttentotti (Carpobrotus edulis (L.) N. E. Br.),e dal rivestimento di peli, come si osserva nelfiordaliso delle scogliere (Centaurea cinerariaL. subsp. cineraria). Altre piante, come adatta-mento ai forti venti, hanno fusti prostrati o por-tamento a cuscinetto; costituisce esempio in talsenso il finocchio marino (Crithmum mariti-mum L.). Altre specie superano le difficoltàproprie di tale ambiente completando il lorociclo vitale nel periodo favorevole, che va dal-l’inizio della primavera alla fine dell’estate.Completano l’esposizione in tale settore

alcune specie diffuse anche in ambienti diversidai litorali rocciosi ed entità a rischio di estin-zione, viventi in areali molto ristretti e rappre-sentate in natura da popolamenti assai ridotti,come la primula di Palinuro (Primula palinuriPetagn.), che si ritrova sull’isola di Dino elungo le coste rocciose nei pressi di CapoPalinuro, e la granata rupicola (Kochia saxico-la Guss.), vivente esclusivamente a Capri e a

Strombolicchio.

La Macchia Mediterranea

Nell’area situata tra le rampe al termine delviale Cirillo sono raccolte alcune specie carat-teristiche della macchia mediterranea (Fig. 1-L). Con il termine “macchia mediterranea” sidesigna la boscaglia sempreverde tipica delleregioni costiere mediterranee, caratterizzate daclima mite con estate notevolmente secca.Questo tipo di vegetazione ha una fisionomiauniforme, anche se la composizione floristicapuò variare localmente e, nonostante le ripetu-te manomissioni umane, si presenta ancoravigorosa. Un esempio tipico della macchiamediterranea in Campania è dato dalla floradell’isolotto di Vivara, oasi di protezione natu-rale. Le caratteristiche di questa associazionevegetale sono: il predominio di piante legnosee arbustive sempreverdi e sclerofille (ossia afoglie coriacee) dall’altezza media di 2-3 m;una vegetazione densa, resa ancora più com-patta dall’intreccio di numerose piante rampi-canti; il numero limitato di piante erbacee inconseguenza della scarsa quantità di luce chefiltra attraverso la fitta vegetazione. L’ariditàestiva della regione mediterranea ha determi-nato la selezione naturale di vegetali conaccorgimenti atti a ridurre la perdita d’acquaper traspirazione, come la riduzione dellasuperficie fogliare, il rivestimento di questacon una cuticola ispessita, con peli o con prui-na (una sostanza complessa simile alla cera edotata di notevole impermeabilità). Moltepiante, inoltre, superano il periodo più aridoperdendo la parte epigea e concentrando leattività vegetative in organi sotterranei, mentrealtre hanno un ciclo ridotto ad una sola stagio-ne vegetativa.Nell’Orto l’Area della Macchia Mediterra-

nea raccoglie alcune piante tipiche di questaassociazione vegetale senza però riprodurrel’ambiente caratteristico ma limitandosi adesporre le specie distanziate fra loro, per con-sentirne l’osservazione e favorirne la cono-scenza. Tra le piante arboree presenti sono daricordare il leccio (Quercus ilex L.), la querciada sughero (Quercus suber L.), il carrubo(Ceratonia siliqua L.), l’oleastro (Olea olea-

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ster Hoffmanns. & Link) e l’alloro (Laurusnobilis L.); tra le tante specie arbustive, ilmirto (Myrtus communis L.), il lentisco (Pista-cia lentiscus L.), la fillirea (Phillyrea angusti-folia L.), il corbezzolo (Arbutus unedo L.), l’a-laterno (Rhamnus alaternus L.), il pungitopo(Ruscus aculeatus L.), l’euforbia arborea (Eu-phorbia dendroides L.), la ginestra odorosa(Spartium junceum L.), la scopa da ciocco(Erica arborea L.), il rosmarino (Rosmarinusofficinalis L.) e l’oleandro (Nerium oleanderL.). Piante rampicanti tipiche di questa zonasono la stracciabraghe (Smilax aspera L.) e ilcaprifoglio (Lonicera caprifolium L.). Uncenno particolare meritano il cappero (Cappa-ris spinosa L.), con fusti striscianti lunghi finoa un metro, i cui boccioli vengono utilizzati incucina, e la palma nana o palma di San Pietro(Chamaerops humilis L.), l’unica palma viven-te allo stato spontaneo in Italia e una delle duediffuse esclusivamente nel bacino del Mediter-raneo (l’altra è Phoenix theophrasti Greuter,endemica dell’isola di Creta). Nel nostroPaese, C. humilis è diffusa in Sicilia, in Sarde-gna e lungo il litorale tirrenico dalla Calabriaalla Toscana.

Il Deserto

In quest’Area (Fig. 1-K) sono esposte spe-cie viventi in ambienti aridi e caldi.Nell’allestimento del Deserto, risalente agliinizi degli anni ’70 del secolo scorso, sonostate rispettate le esigenze di queste piante,bisognose di un ambiente arido, molto soleg-giato e con elevate temperature. Pertanto, lacollezione di succulente è stata sistemata su unpendio orientato verso sud e quindi esposto alsole per tutto il dì. Un sistema di vasche sot-terranee comunicanti riempite di una misceladi terricci adatta, unitamente all’inclinazionedella zona, permette un efficace drenaggio cheimpedisce il ristagno dell’acqua piovana chepotrebbe danneggiare seriamente queste pian-te. Un ulteriore danno ad alcune specie vieneevitato dalla copertura, durante l’inverno, coninvolucri di plexiglass che le proteggono dalleprecipitazioni, la cui associazione con il freddopotrebbe causare la marcescenza delle piante.L’ambiente desertico si presenta ostile alla

vita vegetale e le piante che qui vivono sonocaratterizzate da adattamenti morfologici efisiologici che permettono di immagazzinaregrandi quantità di acqua e di mantenere taleriserva per lunghi periodi. Il substrato su cui disolito crescono queste piante è ciottoloso osabbioso, per cui l’acqua piovana non vienetrattenuta a lungo negli strati superficiali; per-tanto, molte succulente hanno un apparatoradicale notevolmente sviluppato in superficiee quindi particolarmente adatto al rapido assor-bimento dell’acqua dopo le rare precipitazioni.La succulenza è dovuta alla presenza di tessu-ti acquiferi in cui è conservata gran parte del-l’acqua assorbita dall’apparato radicale. Questitessuti sono localizzati in varie parti della pian-ta: nelle specie del genere Nolina si trovanoalla base del fusto; in molti altri casi, come neigeneri Aloe, Agave e nelle famiglie Aizoaceaee Crassulaceae, sono localizzati nelle foglie;nelle Cactaceae e in molte Euphorbiaceae sitrovano nel fusto.I principali adattamenti morfologici che

permettono di limitare la perdita d’acquamediante la riduzione della superficie traspi-rante sono l’assenza di foglie e di rami lateralie la presenza di spine: in questi casi, mancan-do le foglie, la fotosintesi clorofilliana è affi-data al fusto verde. Le spine di cui molte suc-culente sono dotate possono avere diversa ori-gine: in alcuni casi, come ad esempio nellamaggioranza delle specie succulente del gene-re Euphorbia, esse sono rami modificati, comeè testimoniato dalla presenza di tracce di fogliee gemme laterali; in altri casi, come si osservanell’ambito delle Cactaceae, le spine sonofoglie modificate, caratterizzate dal mancatosviluppo della lamina fogliare. Quando lefoglie sono presenti, esse possono essere di-sposte a rosetta o come le tegole di un tetto,così da limitare notevolmente la superficieesposta, essere rivestite da strati cerosi o dasetole, oppure cadere nella stagione secca.Talvolta due o più di questi adattamenti si pre-sentano nella stessa specie.Un’altra caratteristica di molte succulente è

la loro forma particolare. Echinocactus gruso-nii Hildm. e molte specie del genere Mammil-laria, ad esempio, sono caratterizzate da unaforma sferica: quest’ultima, racchiudendo il

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massimo volume nella minima superficie,favorisce una notevole limitazione della traspi-razione. Molte Cactaceae hanno la superficie“pieghettata”, ricordante il mantice di unafisarmonica, che permette alla pianta una note-vole dilatazione quando viene accumulataacqua nei tessuti e un restringimento quando,durante i periodi di siccità, la riserva idricaviene utilizzata.Sono numerose le specie appartenenti alla

collezione di piante succulente dell’Orto chemeritano di essere citate. Oltre al già menzio-nato E. grusonii, denominato anche “poltronadella suocera” o “barile d’oro”, tra le numero-se Cactaceae coltivate si ricordano Machaero-cereus eruca (Brandegee) Britton & Rose, uncactus “strisciante” che, come molte altre suc-culente impollinate da insetti notturni, fiorisceper una sola notte, il raro Borzicactus ventimi-gliae Riccobono e Cephalocereus senilisPfeiff., detto “testa di vecchio” per la sua foltapeluria bianca che rappresenta un’efficace pro-tezione contro l’eccessiva incidenza dei raggisolari e un’ulteriore barriera alla traspirazione.Meritano di essere ricordate anche le specie

dei generi Opuntia ed Epiphyllum, dotate dirami verdi appiattiti somiglianti a foglie edenominati cladodi. Di particolare interesse èla specie Opuntia vulgarisMill., spontaneizza-ta nei luoghi assolati dei rilievi della nostraPenisola. Essa, durante la stagione fredda esecca, si disidrata: questa perdita d’acquacausa una concentrazione del succo cellulare,con conseguente abbassamento del punto dicongelamento, che impedisce alla pianta digelare a temperature di poco inferiori a 0 °C. Inprimavera la pianta riprende la sua caratteristi-ca succulenza.Tra le Aizoaceae presenti in questo settore,

molto interessanti per la loro peculiare morfo-logia sono le cosiddette “piante ciottolo”appartenenti al genere Lithops. Queste piante,originarie dell’Africa meridionale, vivono interreni sabbiosi e ciottolosi e sono dotate diuna parte aerea costituita dagli apici appiattitidi foglie succulente somiglianti a sassi, cosic-ché in natura sono quasi indistinguibili dallevere pietre che li circondano.Nell’area delle succulente sono coltivate

anche specie appartenenti alle Euphorbiaceae

ed in particolare al genere Euphorbia, viventinei deserti africani e simili nell’aspetto esterio-re ai cactus, ma in realtà notevolmente diversida questi in molti caratteri, tra cui la presenzadi latice e la particolare struttura dell’infiore-scenza, detta ciazio. Gli esemplari di Euphor-bia resinifera Berg sono indubbiamente i piùappariscenti fra quelli annoverati nell’interacollezione di succulente. In questa specie l’in-sieme dei rami assume l’aspetto di una semi-sfera e la superficie soggetta alla traspirazioneviene in tal modo notevolmente ridotta.Le specie del genere Cyphostemma, appar-

tenenti alla famiglia delle Vitaceae e viventi inAfrica sud-occidentale, sono dotate di grossitronchi, al cui interno si depositano acqua esostanze organiche, e di foglie decidue, assen-ti durante il riposo invernale. Verso la finedella primavera i tronchi sviluppano nuovefoglie, piccoli fiori e frutti che ricordano nelloro insieme dei grappoli d’uva.Tra le collezioni presenti nell’Area delle

succulente meritano di essere ricordate quelledelle specie appartenenti ai generi Aloe(Aloaceae) ed Agave (Agavaceae), diffusirispettivamente in Africa e in America, i cuirappresentanti spesso si confondono a causadell’aspetto molto simile. Questa notevolesomiglianza tra piante viventi in ambientisimili, ma diffuse in diversi continenti e appar-tenenti a famiglie diverse, costituisce un esem-pio di “evoluzione convergente”, per cui sihanno strutture simili in conseguenza dell’a-dattamento allo stesso tipo di ambiente. Unesempio di evoluzione convergente si osservaanche nel caso dei cactus e delle specie succu-lente del genere Euphorbia.La collezione di piante succulente è com-

pletata da esemplari di specie delle famiglieAsclepiadaceae, Asteraceae, Bromeliaceae,Crassulaceae, Geraniaceae, Portulacaceae eRhamnaceae.

Le Epifite

Di fronte all’Area delle piante succulente,sotto un grosso esemplare di Yucca elephanti-pes Regel ex Trel., sono riunite alcune pianteepifite (Fig. 1-I).Il fenomeno dell’epifitismo è abbastanza

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comune in natura: le piante che lo presentano,pur vivendo su altri vegetali, non li parassita-no, in quanto, essendo fornite di clorofilla,sono autonome dal punto di vista nutrizionale.La maggior parte delle epifite si ancora all’o-spite per mezzo di radici che non hanno fun-zione assorbente: spesso l’assorbimento del-l’acqua e dei sali avviene per mezzo di parti-colari peli presenti sulla superficie delle foglie.Il caratteristico ambiente naturale di questepiante è la foresta pluviale tropicale, dove l’u-midità atmosferica raggiunge anche il 90%,cosicché l’approvvigionamento d’acqua attra-verso le foglie non rappresenta un problema.La fitta vegetazione di queste foreste accendeuna forte competizione tra le piante e ciò haspinto molte specie alla vita epifita per trovarespazio e luce.

Platycerium alcicorne Desv., nota anchecome felce “corna d’alce”, è originaria delleforeste del Madagascar e di alcune isoledell’Oceano Indiano. Tale specie ha due tipidiversi di foglie; quelle basali, che rappresen-tano il primo tipo, sono a forma di coppa eassolvono alle funzioni di ancorare la pianta altronco che la ospita e di raccogliere acqua, ter-riccio e altro materiale organico che, trasfor-mato in humus, fornisce alla felce le sostanzeda assorbire per mezzo del ridotto apparatoradicale; le foglie del secondo tipo, dalla carat-teristica forma di corna d’alce, sono fertili:infatti, sulla pagina inferiore, in prossimitàdella zona apicale, sono portati i sori, cosicchéquest’area della fronda assume un aspetto vel-lutato. Esemplari di P. alcicorne sono espostianche nel Filiceto.

Polypodium australe Fée., la cosiddettafelce dolce, è diffusa nei nostri boschi e puòvivere sia sul terreno sia come epifita. Persuperare periodi estivi aridi tale pianta perde lefoglie, presenti solo durante le stagioni piovo-se. Oltre che sui rami dell’esemplare di Y. ele-phantipes, questa specie è presente nel Filicetoe sul tronco di svariati esemplari arborei colti-vati in diversi settori dell’Orto.Fra le Bromeliaceae esposte è da ricordare

Tillandsia usneoides (L.) L., specie presenteanche nelle Serre Califano. Originaria dell’A-merica tropicale, tale pianta riesce a vivereanche sui fili del telegrafo, sui pali della luce e

su altri supporti inanimati. La scarsa umiditàdell’ambiente in cui vive questa specie ne con-diziona l’aspetto, che può ricordare quello diuna pianta che è sul punto di seccare.

Cotyledon umbilicus-veneris L., l’ombelicodi Venere, si ritrova anche sui tronchi di altrepiante presenti nell’Orto: la popolazione piùnumerosa si può osservare sul tronco di Zel-kova carpinifolia, nell’Arboreto. Anche questaspecie, così come la felce dolce, è spontaneanella nostra flora. Essa supera il problemadella carenza idrica del substrato con la succu-lenza delle sue foglie.Di fusti succulenti è invece dotato Crypto-

cereus anthonyanus Alexander, un cactus epi-fita originario del Messico.Accanto alla Yucca si possono osservare

esemplari di vischio (Viscum album L.), di oro-banche (Orobanche hederae Duby) e di cuscu-ta (Cuscuta sp.). Si tratta di vegetali che vivo-no in parte (il vischio) o totalmente (l’oroban-che e la cuscuta) a spese della pianta ospite. Inquesto settore, il vischio presente è emiparassi-ta su un esemplare di Crataegus sp., mentrel’orobanche e la cuscuta sono parassiti rispetti-vamente sull’edera (Hedera helix L.) e sulsenecio (Senecio sp.).Nei pressi della zona delle piante epifite è

presente la mimosa sensitiva (Mimosa speg-gazzinii Pirotta). Si tratta di una pianta le cuifoglie, se stimolate da un contatto fisico, siripiegano lungo la nervatura centrale e con-temporaneamente sembrano afflosciarsi, inquanto l’angolo di inserzione del picciolo conil fusto diminuisce.

La Vasca delle Piante Acquatiche

In questa vasca (Fig. 1-H) sono raccoltealcune specie idrofite, cioè legate per la lorosopravvivenza all’ambiente d’acqua dolce.Le principali caratteristiche limitanti la vita

delle piante nell’ambiente acquatico sono lanotevole deficienza di ossigeno e, per le partisommerse, la limitata disponibilità di luce. Perovviare a questi fattori limitanti, le cormofiteacquatiche sono dotate di particolari adatta-menti. Le parti sommerse sono di solito privedi stomi, con una cuticola molto scarsa o addi-rittura assente che non limita in misura deter-

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minante gli scambi di sostanze gassose, la cuicircolazione all’interno del corpo della pianta èfacilitata dalla presenza di un sistema di cavitàaerifere che a volte si spinge fino alle radici.Le specie presenti nella vasca si possono

riunire in tre gruppi: quelle viventi su terreniricchi d’acqua, quelle ancorate al fondo deglispecchi d’acqua e quelle galleggianti.Le specie che vivono su terreni molto umidi

presentano adattamenti per ovviare alla caren-za di ossigeno solo a livello dell’apparato radi-cale, mentre la parte aerea della pianta ha l’a-spetto di una normale mesofita (pianta viventein ambiente né arido, né ricco d’acqua). A que-sto gruppo appartengono il mentastro (Menthaaquatica L.), il miriofillo d’acqua (Myriophyl-lum spicatum L.), il papiro (Cyperus papyrusL.), il giglio giallo (Iris pseudacorus L.), lacalla (Zantedeschia aethiopica (L.) Spreng.),la stiancia (Typha angustifolia L.) e il quadri-foglio d’acqua (Marsilea quadrifolia).Le specie che vivono ancorate al fondo

sono caratterizzate da un fusto rizomatoso e,molto spesso, da foglie e fiori emergenti graziea lunghi piccioli e peduncoli ricchi di canaliaeriferi: in tal modo le parti verdi ricevonoluce sufficiente per fotosintetizzare. Le piantedi questo tipo presenti nella vasca sono le nin-fee (Nymphaea alba L. e N. lotus L.), il nan-nufero (Nuphar lutea Sibth. & Sm.), la ninfoi-de (Nymphoides peltata (S. G. Gmel.) Kuntze)e il loto orientale (Nelumbo nucifera Gaertn.).Le piante viventi liberamente sulla superfi-

cie dell’acqua presentano vari sistemi di gal-leggiamento. Vi sono specie che restano insuperficie perché imprigionano aria tra lefoglioline della fronda, come l’azolla maggio-re (Azolla filiculoides). La lenticchia d’acquaspatolata (Lemna trisulca L.) galleggia graziealla grande quantità di cavità aerifere.

Le Serre Califano

Il complesso di Serre dedicato al botanofiloprofessore Luigi Califano (Fig. 1-O) si estendesu una superficie di circa 5000 m2 ed è dotatodi sistemi di condizionamento termico, di umi-dificazione e ombreggiamento. Vari ambientidelle Serre ospitano collezioni di notevoleinteresse, oltre ad esemplari di specie coltivate

anche in altre zone dell’Orto. Sono presenti,tra l’altro, le collezioni di Cycadales, speciedel genere Tillandsia e di altri generi di Bro-meliaceae, entità del genere Sansevieria, suc-culente tropicali, felci e piante sistematica-mente affini di ambiente caldo-umido, specieinsettivore.Tra tutte le collezioni presenti nell’Orto

Botanico, quella delle Cycadales è senz’altrola più prestigiosa. Essa annovera circa 800esemplari appartenenti a più di 100 taxa, rap-presentando la prima collezione a livello mon-diale per numero di taxa (OSBORNE 1992).Queste piante sono state introdotte nell’Ortograzie a scambi di materiale vegetale con altreistituzioni botaniche, ma soprattutto in seguitoa spedizioni condotte da ricercatori afferentiall’Orto Botanico o all’annessa Sezione diBiologia Vegetale del Dipartimento delleScienze Biologiche (DE LUCA et al. 1995).Nell’ambito della collezione di Cycadales

sono di particolare interesse: Encephalartoswoodii Hort., pianta originaria del Natal (SudAfrica), estinta in natura e conservata solo inpochissime collezioni per un totale di circa 20esemplari, tutti di sesso maschile; Microcycascalocoma A. DC., diffusa a Cuba, anch’essapresente in un ristretto numero di collezioni;diverse specie dei generi Ceratozamia, Dioone Zamia, descritte su piante raccolte in naturadurante spedizioni botaniche in Messico e nel-l’area amazzonica (DE LUCA et al. 1995). Sonoampiamente rappresentati anche i generiCycas, Lepidozamia,Macrozamia e Stangeria.La collezione del genere Tillandsia com-

prende 40 specie e circa 300 esemplari quasitutti raccolti in natura durante spedizioni bota-niche in America centro-settentrionale. Sonopiante aeree, che vivono sospese ai rami deglialberi, ai pali e persino ai fili del telegrafo,senza alcun rapporto trofico con il terreno ocon altri organismi viventi. Tali vegetali, attra-verso i peli dell’epidermide fogliare, assorbo-no l’acqua e i sali minerali contenuti nel pulvi-scolo atmosferico che si deposita sulle lorofoglie. La collezione di Bromeliaceae, la fami-glia di piante a cui afferisce Tillandsia, com-prende anche numerose specie dei generiAbromeitiella, Aechmea, Ananas, Billbergia,Bromelia, Ochagavia e Puya. Di notevole inte-

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resse decorativo sono Aechmea recurvata(Klotzsch) L. B. Sm. var. recurvata e Bromeliabalansae Mez, le cui basi fogliari più vicineall’apice assumono al momento della fiorituraun bel colore rosso vivo.Di notevole interesse sono anche le colle-

zioni del genere Sansevieria (Agavaceae) e disucculente tropicali.Nelle Serre Califano sono coltivate anche

numerose crittogame vascolari viventi inambienti caldo-umidi, tra cui spiccano esem-plari di Equisetum giganteum L., il più grandeequiseto attualmente vivente, che in natura puòraggiungere 4-5 m di altezza, di Psilotum nu-dum (L.) P. Beauv., una delle tre specie viven-ti del gruppo più primitivo delle Cormofite e ilcui massimo periodo di espansione è coincisocon l’era Primaria (Paleozoico), di Lygodiumjaponicum (Thunb.) Sw., una felce rampicantedei climi tropicali, e del genere Pyrrosia, com-prendente felci tropicali che hanno un adatta-mento eccezionale per questo gruppo di piante,potendo superare brevi periodi di siccità graziealla presenza sulla superficie delle foglie dipeli stellati che limitano la traspirazione.Tra le piante insettivore delle serre Califa-

no, le più conosciute sono quelle appartenentiai generi Dionaea, Drosera, Sarracenia eNepenthes. Tali vegetali sono specializzati nel-la cattura di insetti e a tal scopo sono dotati difoglie o parti di foglie modificate in vere e pro-prie trappole. I piccoli invertebrati così cattu-rati vengono parzialmente digeriti ed assimila-ti grazie ad enzimi proteolitici prodotti in ap-posite ghiandole. Le piante insettivore assu-mono in tal modo composti azotati che nonsono in grado di sintetizzare data la scarsità diazoto nei terreni acquitrinosi in cui general-mente vivono.Assai singolare è Dionaea muscipula J.

Ellis ex L., detta comunemente acchiappamo-sche e vivente nella Carolina del Nord(U.S.A.). Ogni lamina fogliare è modificata intrappola per gli insetti e consiste in due valvedai margini cigliati unite dalla nervatura cen-trale che funge da cerniera. La parte marginaledella superficie interna di ogni valva è caratte-rizzata dalla presenza di ghiandole producentisostanze zuccherine di cui l’insetto si ciba.L’insetto, penetrando nello spazio compreso

tra le due valve, tocca ripetutamente alcuni pelisensitivi (tre per ogni valva) e ciò causa la rapi-da chiusura della trappola. Enzimi proteolitici,prodotti da cellule localizzate attorno ai peli,operano la digestione e l’assimilazione chedurano in media 5 o 6 giorni: dopo tale perio-do, la trappola si riapre.Un meccanismo di cattura diverso è presen-

tato dalle specie del genere Drosera. La pagi-na superiore delle foglie di queste piante ècosparsa di piccoli peli ghiandolari producentiuna sostanza mucillaginosa odorosa e appicci-cosa. Gli insetti sono attratti dall’odore e dal-l’aspetto invitante delle foglie e, posandosi sudi esse, restano invischiati: ciò stimola il ripie-gamento delle foglie sulle prede che vengonodigerite dagli enzimi proteolitici prodotti daapposite ghiandole.Le specie dei generi Nepenthes e Sarrace-

nia sono dotate di foglie tubolari o a forma diimbuto, denominate ascidi, che fungono datrappole. L’ascidio di Nepenthes, ricoperto dauna specie di ombrello, contiene un liquidosecreto da particolari ghiandole. Insetti nonvolatili, attratti dal nettare prodotto e dallavivace colorazione dell’ascidio, si spingono fi-no al bordo liscio di quest’ultimo, vi scivolano,cadono nel liquido e non riescono a risalire. Ladifficoltà di risalita è dovuta anche alla presen-za, presso l’estremità superiore della pareteinterna dell’ascidio, di uno strato ceroso e dipeli rivolti verso il basso. Gli insetti sono quin-di digeriti dagli enzimi proteolitici presenti sulfondo dell’ascidio. Il meccanismo di catturanel genere Sarracenia, i cui ascidi sono prividell’ombrello, è analogo a quello descritto peril genere Nepenthes.Tra gli altri generi rappresentati nella colle-

zione di specie insettivore va ricordato Cepha-lotus, che comprende la specie Cephalotus fol-licularis Labill., caratterizzata da un meccani-smo di cattura degli insetti simile a quelloosservato in Nepenthes e Sarracenia.Di particolare interesse sono le specie del

genere Genlisea, che non possono essere defi-nite piante insettivore vere e proprie, giacchèsono specializzate nella cattura di organismiunicellulari. Questi ultimi sono attratti chimi-camente da trappole simili a grosse radici, for-mate da coppie di tubicini; particolari peli

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impediscono la fuoriuscita alle prede, che sonospinte all’apice della trappola ove vengonodigerite.Nelle Serre Califano sono anche coltivate

alcune specie tipiche dell’ambiente di mangro-via appartenenti ai generi Avicennia, Conocar-pus, Laguncularia e Rhizophora. Quest’am-biente tropicale, tipico delle coste marine,delle lagune costiere e degli estuari dei grandifiumi, è caratterizzato da una grande abbon-danza d’acqua sul terreno quasi sempre fango-so che rende il suolo estremamente povero diossigeno; possono vivere in quest’ambiente,quindi, solo vegetali dotati di particolari adat-tamenti che assicurano l’indispensabile quanti-tà di ossigeno alle parti sommerse dal fango.Di particolare interesse sono le specie del ge-nere Rhizophora, note comunemente comemangrovie rosse, caratterizzate da radici aereeprovviste di un gran numero di piccole apertu-re (lenticelle) che permettono l’ingresso dell’a-ria. Queste radici, partendo dai rami, si dirigo-no verso l’acqua affondando nel fango comepuntelli. Gli embrioni di queste piante nonvanno incontro a quiescenza, ma si sviluppanosenza interruzione e, a maturità, si staccanodalla pianta madre infiggendosi nel fondo mel-moso dove continuano il loro sviluppo. Ilgenere Avicennia comprende entità, conosciu-te come mangrovie nere, caratterizzate dallapresenza di pneumatofori (radici emergentidalla melma) che permettono all’aria di rag-giungere, mediante un sistema di canali, leparti dell’apparato radicale situate nel terrenofangoso.Tra le piante utili coltivate nelle Serre

Califano va ricordata la palma da olio (Elaeisguineensis Jacq.), una specie tipica dell’Africatropicale. Dai suoi semi si ottiene il cosiddetto“olio di palmisti” che viene utilizzato, tra l’al-tro, nella produzione di sapone, nella prepara-zione della margarina, come sostituto del burrodi cacao e come lubrificante. L’olio estrattodalla polpa dei frutti dopo lavorazione oppor-tuna è di minore importanza economica rispet-to al precedente ed è utilizzato nella produzio-ne di sapone e nella preparazione della latta perlamiere per preservarla dalla ruggine.Di particolare interesse èWelwitschia mira-

bilis Hook. f., una specie appartenente alla

classe Gnetopsida. Si tratta di una pianta dal-l’aspetto singolare vivente nelle zone deserti-che dell’Africa sud-occidentale. Presenta pertutta la vita solo due foglie che si allunganoindefinitamente, non riuscendo a raggiungerelunghezze notevoli perché la parte apicale siconsuma continuamente. Questa specie, purnon essendo succulenta, riesce a sopravviverenell’ambiente desertico grazie alla radice chesi inoltra notevolmente nel terreno sabbioso,raggiungendo gli strati profondi dove l’umidi-tà persiste per più tempo.In un locale del complesso delle Serre Cali-

fano vi è una piccola serra a temperatura eumidità elevate, tali da riprodurre le condizio-ni tipiche di una foresta tropicale. In questolocale le piante provenienti da tali zone sonosottoposte ad un periodo di quarantena primadi essere collocate nell’Orto o incluse in unadelle collezioni delle Serre.Nelle Serre Califano sono custoditi anche

numerosi esemplari di Ipomoea imperati(Vahl) Griseb., una specie appartenente allafamiglia delle Convolvulaceae, caratteristicadei litorali sabbiosi. Osservata in passato sullaspiaggia di Coroglio a Bagnoli (NA) e adIschia, è successivamente scomparsa a causadell’azione antropica che ha profondamentemodificato tali siti (DE LUCA & BIFULCO1992). Attualmente, tale specie vive su alcunilitorali della regione mediterranea orientale edè stata recentemente ritrovata in Sicilia(TURRISI 2001).La coltivazione di esemplari di questa enti-

tà nelle Serre Califano costituisce un esempiodi conservazione ex situ. Per tali piante si pro-spetta una possibile reintroduzione in natura sesarà attuato il previsto recupero naturalisticodel litorale di Coroglio, con conseguente rein-sediamento della vegetazione costiera (DELUCA & BIFULCO 1992).

La Serra Merola

La Serra dedicata al botanico napoletanoAldo Merola (Fig. 1-U), direttore dell’OrtoBotanico dal 1963 al 1980, fu costruita pochianni dopo la fondazione dell’Orto (BARONELUMAGA & MENALE 2000). È una costruzionein muratura in stile neoclassico, con facciata

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caratterizzata da colonne in stile dorico cheseparano i portelloni di apertura, ruotanti su unperno centrale; questo tipo di apertura dei por-telloni è caratteristico solo di questa e di alcu-ne serre dei Kew Gardens di Londra. Il fronto-ne è decorato da metope raffiguranti motivivegetali che riproducono piante presentinell’Orto all’epoca dell’inaugurazione dellaSerra.Le piante ricoverate nella Serra Merola,

recentemente restaurata e dotata di impianto diriscaldamento, provengono da zone tropicali osubtropicali. Molte di esse, come alcuni rap-presentanti dei generi Ficus e Aralia, sonousate a scopo ornamentale. Di particolare inte-resse, inoltre, sono: Corynocarpus laevigata J.R. Forst. & G. Forst., specie della NuovaZelanda utilizzata dagli indigeni Maori che neconsumano i frutti e in special modo i semi;Dombeya spectabilis Bojer, dell’Africa tropi-cale, dalla quale si ottengono ottime fibre tes-sili altamente resistenti, usate nella fabbrica-zione di cordami e tele; Pilocarpus pennatifo-lius Lem. & Hassl., originaria del Brasile, notain medicina per le proprietà sudorifere dell’in-fuso di foglie e per le proprietà di antidotonegli avvelenamenti da belladonna; Rivinahumilis L., dell’America tropicale, le cui bac-che sono ampiamente usate per ricavare uncolorante rosso-porpora per la tintura dei tes-suti; Sapindus mukorossi Gaertn., originariadell’Asia tropicale, che trova ampio uso per ifrutti dai quali è estratta una sostanza atta allavaggio della lana kashmir e della seta, non-ché per i semi particolarmente duri usati nellafabbricazione di rosari, collane e braccialetti.Una specie dalla storia singolare è Ficus

religiosa L., originaria dell’India, sacra agliIndù ed ai Buddisti, poiché si tramanda cheBuddha abbia ricevuto l’ispirazione divinaall’ombra delle sue fronde.

La Serra Tropicale

La Serra tropicale (Fig. 1-V), localizzata inposizione adiacente alla Serra Merola, è statacostruita in tempi recenti ove in passato sorge-va la “Stufa calda” in ghisa e vetro del XIXsecolo. Realizzata ex novo nel 2005, è statacostruita in ferro e vetro tranne che per la

volta, ricoperta da pannelli in plexiglass.Al suo interno è stato realizzato un allesti-

mento dedicato ad un ambiente di foresta plu-viale tropicale del Messico. In un’ampia vascaovale è stato ricostruito un boschetto di man-grovie, formato dalle specie messicaneAvicennia nitida Sessè & Moc. (mangrovianera), Conocarpus erectus L. (mangrovia deibottoni), Laguncularia racemosa C. F. Gaertn.fil. (mangrovia bianca) e Rhizophora mangleL. (mangrovia rossa). In questa vasca sonopresenti anche numerose piante acquatiche, tracui entità dei generi Cabomba e Salvinia esoprattutto la ben nota Victoria cruzianaOrbign., provvista di foglie galleggianti chepossono raggiungere un diametro di 2 m.Tra le altre entità incluse in questa Serra,

vanno ricordate numerose specie del genereTillandsia, sistemate su rami e tronchi di vec-chi alberi.

Il Vivaio

Nel Vivaio (Fig. 1-Z) sono coltivati giovaniesemplari di specie presenti nelle varie areeespositive dell’Orto Botanico. Queste piantecostituiscono una riserva cui attingere persostituire gli esemplari in cattive condizioni omorti. Il Vivaio ha anche la funzione di faracclimatare le piante di nuova introduzionenell’Orto.

Il Giardino Biblico

Realizzato sul pendio adiacente all’Areaespositiva della Sezione Sperimentale dellePiante Officinali, il Giardino Biblico (Fig. 1-W) ospita alcune tra le specie citate negli epi-sodi più significativi delle Sacre Scritture. Talezona è divisa in due settori: quello superiore èdedicato alle piante citate nel VecchioTestamento, quello inferiore a specie menzio-nate nel Nuovo Testamento. I due settori sonocollegati da una piccola scalinata.Tra le piante citate nel Vecchio Testamento

sono qui presentate: il cedro del Libano(Cedrus libani), adoperato da re Salomone percostruire il Primo Tempio; il cipresso comune(Cupressus sempervirens), il cui legno fu ado-perato per costruire l’Arca di Noè; l’olivo

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(Olea europaea L.), protagonista del ben notoepisodio della colomba dopo il diluvio univer-sale; il papiro (Cyperus papyrus L.), che fuusato per realizzare il cesto in cui fu posto ilpiccolo Mosè.Tra le specie citate nel Nuovo Testamento

sono esposte le piante che hanno contraddi-stinto i momenti più significativi della vita diGesù, a partire dall’incenso (Boswellia carteriiBirdw.) e dalla mirra (Commiphora sp.), chesolo nella stagione favorevole sono prelevatidalla serra caldo-arida e trasferiti in questo set-tore, fino alla spina di Cristo (Paliurus spina-christi Mill.), i cui rami sarebbero stati usatiper intrecciare la corona di spine che cingeva ilcapo di Gesù.

L’Area Tattile-Olfattiva

Realizzata recentemente nei pressidell’Area espositiva della Sezione Sperimenta-le delle Piante Officinali, l’Area Tattile-Olfattiva (Fig. 1-Y) ha lo scopo di renderealcune tematiche botaniche accessibili e com-prensibili anche ad utenti non vedenti o ipove-denti (MUOIO & MENALE 2004). Tale settore èrappresentato da un vero e proprio itinerario, incui il visitatore può muoversi con autonomiagrazie a strutture e a supporti esplicativi appro-priati e concepiti per questo tipo di utenza.L’itinerario si sviluppa in parte all’interno

di un edificio, denominato Chalet, e in partenell’area adiacente. All’inizio del percorso èposta una mappa tattile, la cui consultazioneconsente agli utenti di avere un’idea dellecaratteristiche generali dell’Area Tattile-Olfat-tiva. Un corrimano conduce all’interno delloChalet, in cui sono predisposti teche e pannel-li. Le prime sono utilizzate per l’esposizione diparti di piante. Il compartimento superiore diogni teca contiene materiale vegetale ed è for-nito di un foro attraverso il quale l’utente puòpercepire al tatto le caratteristiche degli organivegetali presenti e, nel caso in cui siano espo-ste parti vegetali odorose, utilizzare anche l’ol-fatto. A lato del foro è presente un testo sinte-tico, in caratteri braille, in cui sono riportatenotizie relative al materiale vegetale contenutonella teca. I pannelli presentano nella parteinferiore quattro tappi in sughero, allineati in

successione ed impregnati di oli essenziali.L’utente può sollevare tali tappi e apprezzaregli odori che essi emanano, riconoscendo lerispettive specie grazie all’indicazione in brail-le posta accanto ad ogni tappo.La parte dell’itinerario che si sviluppa all’e-

sterno dello Chalet presenta inizialmenteesemplari di rose rampicanti senza spine. Sulcorrimano di tale parte del percorso sono staterealizzate apposite incisioni che segnalanoall’utente la presenza di piante. Ogni esempla-re esposto è corredato da una targhetta, incaratteri braille, riportante alcune informazio-ni, tra cui il nome scientifico e quello comunedella specie. Lungo il percorso sono dispostirappresentanti delle crittogame vascolari, dellegimnosperme e delle angiosperme, che con-sentono al visitatore di comprendere le princi-pali caratteristiche di tali vegetali e le fonda-mentali differenze esistenti tra i gruppi di pian-te superiori. Di seguito sono presenti esempla-ri di alcune tra le più note specie della regionemediterranea, spesso caratterizzate da intensefragranze. Sulla struttura in muratura posta allafine dell’itinerario è stata allestita un’esposi-zione di alcune entità interessanti al tatto oall’olfatto. Per tale settore dell’Area Tattile-Olfattiva sono state tra l’altro selezionate pian-te odorose e pubescenti, quali ad esempio lamelissa (Melissa officinalis L.), il millefoglio(Achillea millefolium L.) e l’assenzio (Artemi-sia absinthium L.), alcune piante succulente etalune entità del genere Pelargonium caratte-rizzate da un intenso profumo. L’esposizionenel settore esterno è completata da alcuniesemplari di bosso (Buxus sempervirens L.),sagomati in forme geometriche semplici.

La Sezione Sperimentale delle Piante Officinali

La Stazione Sperimentale per le PianteOfficinali, attualmente denominata SezioneSperimentale delle Piante Officinali (Fig. 1-X), fu istituita nel 1928 con un decreto emessosu proposta del Ministro dell’EconomiaNazionale, di concerto con il Ministro dellaPubblica Istruzione. Annessa all’Orto Botani-co dell’Università di Napoli, era gestita inmaniera consortile da un consiglio di ammini-strazione di cui facevano parte la Provincia, il

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Comune, la Camera di Commercio e l’Univer-sità di Napoli, sotto la vigilanza del Ministerodell’Economia Nazionale che elargiva quasitutti i fondi. Lo scopo di tale struttura era, co-me recita il Regio Decreto n. 953 del 16/2/28,di “eseguire studi ed esperimenti sulla coltiva-zione delle piante officinali per intensificarnela produzione e per promuovere la utilizzazio-ne dei prodotti di esse nel Paese e nelle colo-nie”. Negli anni immediatamente successivialla Seconda Guerra Mondiale, dopo l’aboli-zione del Ministero dell’Economia Nazionale,il Ministero dell’Agricoltura e Foreste divenneil maggior sovvenzionatore della StazioneSperimentale. Negli anni ‘70 del secolo scorsoessa fu sciolta di fatto, divenendo parte inte-grante dell’Orto Botanico e assumendo la de-nominazione attuale (CASORIA et al. 1996).La Sezione Sperimentale delle Piante

Officinali ospita in coltivazione specie adope-rate dall’uomo in diversi campi ed è divisa intre parti: l’Area espositiva, i Campi sperimen-tali ed il Frutteto.L’Area espositiva è in massima parte carat-

terizzata da vialetti in pietra che, oltre a con-sentire ai visitatori di attraversare tale zonaosservando da vicino gli esemplari esposti,delimitano svariate aiuole tematiche, in cui lepiante sono raggruppate sulla base delle finali-tà d’uso. Il settore più ampio è dedicato all’e-sposizione delle piante medicinali ed è orga-nizzato secondo un criterio prevalentementestorico-temporale. All’inizio di questa zona èpossibile osservare alcune delle specie noteall’uomo sin dall’antichità per le loro virtùmedicamentose; inoltrandosi lungo i vialetti, siosservano poi specie prevalentemente usate inperiodi successivi, fino a giungere alle piantele cui proprietà sono state scoperte di recente oaddirittura sono ancora oggetto di studio. Glialtri settori dell’Area espositiva ospitano alcu-ne tra le specie più importanti tra quelle usatein campi diversi da quello medicinale: sono tral’altro coltivate specie alimentari, tintorie epiante usate per la produzione di bevande,essenze, fibra e carta, olio e zucchero.L’Area è dotata di due serre che ospitano in

coltivazione piante utili viventi rispettivamen-te in ambienti caldo-umidi e caldo-aridi. Laprima serra ospita tra l’altro piante di caffè

(Coffea arabica L.), cacao (Theobroma cacaoL.), banano (Musa paradisiaca L.), palma dacocco (Cocos nucifera L.), vaniglia (Vanillaplanifolia Andrews), papaia (Carica papayaL.), kapok (Ceiba pentandra (L.) Gaertn.) emogano (Swietenia mahagoni (L.) Jacq.).Nella serra caldo-arida sono tra l’altro coltiva-te la pitaya rossa (Hylocereus undatus (Haw.)Britton & Rose), il baobab (Adansonia digita-ta L.), il mango (Mangifera indica L.), il litchi(Litchi chinensis Sonn.), nonché esemplari diincenso (Boswellia carterii) e di mirra(Commiphora sp.).L’Area espositiva è completata da un setto-

re, denominato “cromo-sensoriale”, progettatosecondo criteri che si rifanno alla cromoterapiae all’aromaterapia e ospitante in coltivazioneesemplari di specie caratterizzate da partiintensamente profumate oppure vistosamentecolorate. Tra le piante presenti sono da ricor-dare numerose varietà coltivate di geranio(Pelargonium spp.), contraddistinte da fogliecon profumazioni particolari (di menta, aran-cio, limone, rosa, noce moscata, mela, ecc.),esemplari di specie particolarmente aromati-che, come ad esempio quelle appartenenti aigeneri Salvia, Mentha e Lavandula, alcunepiante rampicanti dalla vistosa fioritura edesemplari di entità dei generi Paeonia eCallistemon.I Campi sperimentali ospitano in coltura

piante che possono costituire materiale dausare a scopo di ricerca ed esemplari apparte-nenti a specie coltivate nell’Area espositiva, daadoperare eventualmente per sostituire piantein non buone condizioni tra quelle esposte.Il Frutteto è caratterizzato dalla presenza di

alcuni esemplari di kiwi (Actinidia chinensisPlanch.) e di avocado (Persea gratissima C.F.Gaertn.), nonchè di alcuni fruttiferi raccolti indiverse località del Vallo di Diano (SA), inpassato rilevanti da un punto di vista economi-co ma attualmente quasi scomparsi.Un settore particolare incluso nella Sezione

Sperimentale delle Piante Officinali è quello incui sono esposte alcune piante velenose, sele-zionate tra quelle maggiormente diffuse negliambienti naturali e nei giardini delle nostrezone. Tra queste specie si ricordano l’oleandro(Nerium oleander L.), il ricino (Ricinus com-

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munis L.), il lauroceraso (Prunus laurocerasusL.), lo stramonio (Datura stramonium L.), ladatura (Datura arborea L.), il tasso (Taxusbaccata L.), la cicuta (Conium maculatum L.)e la mandragora autunnale (Mandragoraautumnalis Bertol.).

La Xilotomoteca

La Xilotomoteca dell’Orto Botanico, la cuirealizzazione si è ispirata al concetto classicodelle Holz-Bibliothechen, comprende sezionimacroscopiche e microscopiche di legni rica-vati da esemplari di specie di gimnosperme oangiosperme. La collezione, ospitata all’inter-no del Castello (Fig. 1-R), è costituita da sezio-ni dei legni di 61 entità (DE MARTINO et al.2005).Le sezioni macroscopiche sono state effet-

tuate in modo da mostrare la sezione trasversa-le del campione, la superficie del ritidoma e lasezione longitudinale radiale e sono state siste-mate in appositi contenitori, ciascuno dedicatoad una singola entità. Ogni contenitore è inol-tre caratterizzato da una scheda che mostraun’immagine della specie e riporta informazio-ni sulle caratteristiche morfologiche del cam-pione, sulle peculiarità del suo legno e suglieventuali usi (DE MARTINO et al. 2005).Un’altra scheda inclusa in ciascun conteni-

tore riporta le microfotografie ricavate daivetrini preparati con le sezioni microscopichetrasversali, longitudinali tangenziali e longitu-dinali radiali effettuate sugli stessi campioni.Accanto ad ogni microfotografia sono riporta-te alcune note concernenti i più importanticaratteri diagnostici del legno di ogni entità(DE MARTINO et al. 2005).

La Carpospermateca

La Carpospermateca dell’Orto Botanico,anch’essa ospitata all’interno del Castello (Fig.1-R), consiste in una collezione a caratteredidattico-museologico di semi e frutti e in unacollezione di semi vitali, raccolti sia nell’Ortosia negli ambienti naturali, destinati allo scam-bio con altre istituzioni botaniche.La conservazione dei semi vitali è effettua-

ta mediante l’uso di una camera climatizzata,

di una cella termostatica e di un congelatore;essa è sempre accompagnata dallo svolgimen-to dei saggi di qualità dei semi relativi alla lorogerminabilità e alla loro vitalità.Le attività della Carpospermateca sono

integrate dalle funzioni di “conservazione incampo” svolte da un piccolo vivaio dedicatoalla semina e alla coltivazione di giovaniesemplari, appartenenti per lo più a specie rareo minacciate e pertanto di particolare impor-tanza dal punto di vista conservazionistico.I semi custoditi nella Carpospermateca

sono inoltre catalogati in una database adope-rato per l’elaborazione annuale dell’IndexSeminum, che costituisce l’elenco delle speciedelle quali sono disponibili i semi e che vieneinviato alle altre istituzioni botaniche.

L’Herbarium Neapolitanum

L’Erbario dell’Orto Botanico, custoditopresso la Sezione di Biologia Vegetale delDipartimento delle Scienze Biologiche (Fig. 1-E), comprende circa 170.000 esemplari appar-tenenti a collezioni risalenti per lo più al XIXsecolo e agli inizi del secolo successivo. Tra lecollezioni di maggior interesse storico-botani-co vanno ricordate quella di Michele Tenore,comprendente campioni raccolti dal primodirettore dell’Orto e dai suoi collaboratori nelcorso delle erborizzazioni legate all’esplora-zione floristica dell’Italia centro-meridionale,e quella di Giovanni Gussone, discepolo delTenore ed insigne studioso della flora dellaSicilia, della Calabria e della Campania.Nella seconda metà del XIX secolo

l’Erbario si arricchì di altre collezioni, tra cuiquelle di Giuseppe Antonio Pasquale, NicolaTerracciano e Achille Terracciano. Ulterioriarricchimenti si verificarono nel secolo succes-sivo, soprattutto grazie all’attività scientificadi Fridiano Cavara sulla flora delle colonie ita-liane e alla più recente acquisizione di alcunecollezioni crittogamiche.La maggior parte delle collezioni custodite

nell’Erbario costituisce senza dubbio una testi-monianza della ricerca floristica condotta inpassato in vari territori della nostra Penisola ein particolar modo nelle Regioni centro-meri-dionali. Il notevole interesse scientifico delle

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collezioni è inoltre testimoniato dalla presenzadi numerosi “tipi”, ossia degli esemplari utiliz-zati per la descrizione di entità nuove per lascienza, nonché di campioni di specie scom-parse dai siti in cui erano state ritrovate, comead esempio Ipomoea imperati, rappresentatanell’erbario da campioni raccolti sulle spiaggedi Bagnoli (NA) e di San Montano ad Ischia, eKochia saxicola, di cui sono custoditi i cam-pioni ritrovati sugli scogli di S. Anna ad Ischia(SANTANGELO 2000).

Il Museo di Paleobotanica ed Etnobotanica

Il secondo piano del seicentesco Castello(Fig. 1-R) ospita il Museo di Paleobotanica edEtnobotanica (DE LUCA et al. 1998).La sezione dedicata alla Paleobotanica

occupa l’ingresso e le prime due sale, descri-vendo nel suo complesso l’evoluzione dellepiante terrestri a partire dal Siluriano (circa440 milioni di anni fa) fino ai nostri giorni.Sono qui raccolti fossili di piante, accompa-gnati da testi e da ricostruzioni grafiche.Nell’ingresso, una vetrina a carattere intro-

duttivo descrive gli eventi che hanno portatoalla formazione dei fossili a partire da foglie,radici, semi e frutti staccatisi durante la vitadella pianta oppure a partire da tutto l’organi-smo. Sono anche esposti i tipi di fossili che siformano per effetto delle diverse condizioni difossilizzazione: impronta, compressione, pie-trificazione, calco, resti non trasformati perchéconservati in ambra. Altre vetrine descrivonometodiche utilizzate per lo studio dei fossili.Nella vetrina intitolata “La nomenclatura dellepiante fossili” sono descritte le modalità chevengono seguite nella ricostruzione e nomen-clatura delle piante fossili: la ricostruzione diLepidodendron sp. ne è un esempio.Nella prima sala è stato costruito un albero

filogenetico tridimensionale (una struttura inferro e vetroresina alta 2,5 m e larga 3 m), cheillustra la comparsa e l’evoluzione dei princi-pali gruppi delle piante terrestri nell’arco ditempo che va dal Siluriano all’attuale. Ogniramo dell’albero corrisponde ad un Ordine,mentre una serie di colori individua le Classi.L’estinzione di un gruppo è rappresentata dal-l’interruzione del ramo corrispondente. Le

relazioni filogenetiche incerte sono evidenzia-te con bande scure e bianche alternate.L’albero filogenetico è un elemento focale delMuseo e vi fanno riferimento le vetrine dedi-cate ai vari gruppi di piante rappresentati su diesso. In ciascuna vetrina sono esposti i fossilipiù rappresentativi per ciascun gruppo che asua volta è descritto nelle sue caratteristicheprincipali da ricostruzioni e da testi. Ogni fos-sile è accompagnato da un’etichetta riportantei dati di principale interesse: Classe, Ordine,Famiglia, Specie, Autore, Età, Località eDonatore.La vetrina che descrive le antiche piante

vascolari racchiude un diorama con le ricostru-zioni di forme vegetali molto primitive: senzafoglie, senza vere radici, con fusti fotosinteticia ramificazione dicotoma e con sporangi api-cali. Una vetrina descrive i Licopodi (piantecon foglie con una o due nervature, con radicie con riproduzione isosporea od eterosporea),un gruppo che in passato era molto diffusosulla terra e che oggi è limitato ad individui dipiccole dimensioni distribuiti in aree limitate.L’ultima vetrina della sala è dedicata agliEquiseti (piante con fusti e strobili a disposi-zione verticillata, con riproduzione per spore);sono anche descritte le due principali lineeevolutive (Sphenophyllales e Calamitales) chesono in relazione con l’origine degli equisetiattuali.La prima vetrina che si incontra entrando

nella seconda sala è quella delle Felci (piantecon fronde, fusti, radici e con sporangi sullapagina inferiore delle foglie) e presenta gliOrdini dai quali trassero origine le felci attua-li: Rhacophytales, Marattiales, Coenopterida-les. Una vetrina adiacente è dedicata alleProgimnosperme che occupano una posizionechiave nell’evoluzione delle piante vascolari;diverse teorie, infatti, le collegano evolutiva-mente alle felci a seme ed alle gimnosperme.Nella vetrina delle Conifere (piante a seme conconi, foglie di solito squamiformi o aghiformi)sono descritte le caratteristiche di Cordaitales eVoltziales, gruppi di piante comparse nelCarbonifero (ed estinte rispettivamente nelPermiano e nel Giurassico) dalle quali sonoderivate le conifere. In un’altra vetrina sonopresentate le Bennettitee (o Cicadeoidee), che

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si sono estinte nel Cretaceo, e le Cicadee,molto abbondanti nel Mesozoico; i due gruppipresentano tra di loro una notevole somiglian-za delle strutture vegetative. Le Pteridospermeo felci a seme presentavano molti adattamentievolutivi che si ritrovano ben evidenti neigruppi di piante da esse derivate, quali le Gim-nosperme e le piante con fiori. Una vetrinadescrive le varie fasi dell’evoluzione delmicrofillo, del megafillo, della stele, del seme,dello stame e del carpello con l’aiuto di model-li costruiti in cotto, didascalie e ricostruzionigrafiche. La vetrina delle Angiosperme descri-ve le piante a fiore (comparse nel Cretaceoinferiore), attualmente le piante vascolaridominanti. Nella seconda sala si trovano ancheun diorama che descrive un paleoambiente delCretaceo e un bellissimo fossile di Latanitessp., formatosi da una palma dell’Eocene (54milioni di anni fa), proveniente dai giacimentidel Monte Bolca (Veneto). Infine, due vetrinea carattere generale descrivono rispettivamen-te il rapporto che intercorre tra forma dellefoglie e caratteristiche climatiche ed alcuniesempi di fossili utili (carbone fossile, ambra,terra di diatomee).La sezione dedicata all’Etnobotanica occu-

pa le tre sale successive; in essa sono espostioggetti costruiti con materiale vegetale realiz-zati presso alcune comunità indigene origina-rie di Messico, Amazzonia, Filippine, Sumatra,Borneo, Cile, Venezuela, Perù, Colombia,Costarica, Vietnam, cui si stanno aggiungendocontributi provenienti da India, Africa eOceania.Ogni manufatto è accompagnato da un’eti-

chetta che indica il suo uso, il nome locale equello scientifico delle piante utilizzate per lasua realizzazione.Attualmente, la maggior parte delle colle-

zioni comprende manufatti provenientidall’Asia sud-orientale, dal Messico e dall’A-mazzonia.Molte vetrine sono dedicate ai manufatti

provenienti dalle Filippine ed in particolare daMindoro, un’isola situata a circa 160 km a suddi Manila. Le zone interne di quest’isola, nellaparte sud-orientale, sono abitate dal gruppoetnico Hanunóo-Mangyan, studiato ed osser-vato a lungo a partire dalla fine degli anni ’80

del secolo scorso, durante l’allestimento dellaSezione del Museo. I manufatti provenienti daMindoro sono stati realizzati dai membri deivillaggi Hanunóo visitati, che hanno anche for-nito la relativa documentazione. I sistemi disussistenza e l’impiego delle risorse vegetaliadottati dagli Hanunóo, per lo più validi ancheper gli altri gruppi etnici asiatici e sudamerica-ni trattati nel Museo, sono basati sostanzial-mente sul consumo dei prodotti forestali esulla coltivazione a rotazione. Essi sono benillustrati nelle vetrine dedicate alle piante col-tivate, alle piante selvatiche commestibili, agliattrezzi agricoli, ai rituali agricoli e alla prepa-razione dei cibi.In una vetrina, intitolata l’Emporio della

Natura, sono esposte le materie prime vegetali,quali fibre, legni, fusti, frutti, semi, resine,ecc., utilizzati dagli Hanunóo per la manifattu-ra di buona parte degli oggetti in mostra. Tra inumerosi manufatti vale la pena di indicare leceste e gli zaini per il trasporto dei prodottiagricoli, nonchè gli strumenti musicali di deri-vazione spagnola, quali chitarre e violini,costruiti scolpendo la cassa armonica a partireda un unico blocco di legno e con le corde otte-nute attorcigliando capelli di donna. Le diffe-renti tonalità delle corde di violini e chitarre siottengono variando la quantità di capelli attor-cigliati. Tra gli oggetti personali, riposti sudiversi ripiani o attaccati alle pareti, sono com-presi alcuni cestini in fibre intrecciate chiare,ricavate da una palma (Corypha elata Roxb.),e scure, ottenute da una felce (Lygodium japo-nicum (Thunb.) Sw.), come pure numerosicontenitori in bambù che custodiscono unamiscela masticatoria ad azione tonica e stimo-lante composta da foglie di tabacco (Nicotianatabacum L.), foglie di betel (Piper betelBlanco), frutti di una palma (Areca catechu L.)e polvere di conchiglia calcinata. Nella vetrinadedicata alla tessitura, attraverso una serie diimmagini, sono mostrate le fasi di costruzionee di utilizzo di un telaio che è esposto con ilsuo corredo di attrezzi e con una trama già pre-disposta, mentre è lasciato in sospeso l’ordito,cosicché il visitatore possa rendersi conto delleoperazioni collegate alla preparazione del tes-suto. È anche visibile, nella stessa vetrina, unfuso per la filatura del cotone. Presso gli

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Hanunóo, la caccia viene praticata con l’ausi-lio di lance, arpioni, arco e frecce, tutti inmostra nel Museo. In particolare, per la cacciaal maiale selvatico vengono usati arpioni conla punta avvelenata con la linfa di Antiaristoxicaria Lesch. Una vetrina a parte è dedicataall’esposizione delle frecce, ognuna con unapunta di forma diversa, usate per cacciare dif-ferenti tipi di animali. Infine, nella vetrinadedicata agli oggetti domestici di uso quotidia-no sono esposti cesti di varia forma e misura,un “raschiatoio” per noci di cocco, una “affet-tatrice” per tuberi di Dioscorea spp., conteni-tori, mestoli e cucchiai fatti con noci di cocco(Cocos nucifera L.).Anche nel settore dedicato alle popolazioni

dell’isola di Palawan (anch’essa nelle Filippi-ne, a sud di Mindoro), in parte affini agli Ha-nunóo per quanto concerne l’ ”uso della fore-sta”, sono presenti numerosi manufatti utiliz-zati nelle diverse attività quotidiane. Sonomostrati oggetti utilizzati per la caccia, quali lalancia a punta estraibile costruita con il legnodi Diospyros sp., manufatti di uso personale,come i contenitori porta tabacco in fibre diPandanus sp., oggetti di uso agricolo, tra iquali le ceste per la semina in fibre di bambù(Dinochloa sp.), le cui parti scure sono anneri-te con il fumo delle torce di resina, ed infineoggetti musicali e rituali, come il flautocostruito utilizzando il fusto del bambùSchizostachyum lumampao (Blanco) Merr.Nella sezione dedicata alle popolazioni di

Sumatra sono presenti manufatti delle etnieSakai e Bonei, due gruppi protomalesi la cuieconomia dipende in larga misura dalle risorseforestali. Qui ha notevole risalto una canoa,proveniente da Sumatra, esposta con il suo cor-redo di nasse. In una vetrina ad essa adiacente,dedicata ai rituali curativi dei Sakai, si posso-no osservare alcuni oggetti rituali zoomorfi infibre di palma intrecciate, che vengono dispo-sti in prossimità della capanna dell’ammalatodurante il rito propiziatorio per la guarigioneeseguito dallo sciamano. Sono visibili anchedue tamburi, uno dei quali ha il timpano inpelle di pitone. Le attività agricole e domesti-che praticate dai Sakai e dai Bonei sono inve-ce esemplificate dai diversi attrezzi agricoli,tra cui un “raschiatoio”, numerose ceste, un

contenitore per il trasporto dell’acqua ricavatoda un frutto essiccato di una zucca (Lagenariasiceraria Standl.), un’ascia e un’asta per lasemina.Nella stessa sala è esposto il materiale otte-

nuto dalle popolazioni Ot Danum del Borneo.Sono qui presenti, tra gli altri, interessantioggetti agricoli come il coltello a “mezzaluna”,utilizzato per la raccolta del riso, il cui manicoè costruito con il legno duro di Eusideroxylonzwageri Teijsm. & Binn., ed oggetti rituali,quali ad esempio il feticcio utilizzato per ritua-li diagnostici e curativi costruito con il legno diOncosperma horridum Scheff.Nel settore dedicato al Messico sono espo-

sti principalmente oggetti di uso domestico,alcuni dei quali fatti con fibre di agave (tra cuiAgave deweyana Trel.) come l’amaca e lecorde di varie dimensioni. Sono anche visibilile fasi di torsione delle fibre per ottenere lecorde. Altri oggetti in mostra, quali borsette,cestini, ventagli, “porta tortilla”, sono fatti confibre di palme (Brahea dulcis Mart., Sabalmexicanum Mart.).In una delle vetrine dedicate agli oggetti

provenienti dall’Amazzonia sono illustrate dueimportanti colture di questa regione: il guaranà(Paullinia cupana Kunth), i cui semi torrefattie macinati vengono usati come succedanei delcaffè (contengono 3-5% di caffeina), e lamanioca (Manihot esculenta Crantz), i cuituberi sono usati per la preparazione della fari-na di cassava, una delle principali fonti ali-mentari per le popolazioni indigene. In un’al-tra vetrina sono riuniti oggetti utilizzati dadiverse etnie dell’Amazzonia nei rituali: l’ab-bigliamento cerimoniale in fibre e corteccevegetali, lo scudo in legno, le “maracas” dizucca, un diadema ornato di piume. Sono inol-tre esposti ceste e cestini di varie forme e misu-re in fibre di palma o di Araceae e ciotole ecucchiai ricavati dai frutti essiccati diLagenaria siceraria. Nell’ultima vetrina dedi-cata all’Amazzonia sono osservabili alcuniutensili da caccia e da pesca tra cui nasse, cer-bottane, archi e frecce; queste ultime spessoavvelenate con il curaro. Le frecce ed i dardisono custoditi in faretre la cui fattura è caratte-ristica per ogni gruppo etnico.Altre vetrine sono dedicate agli utensili ve-

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natori, agli oggetti domestici e di uso quotidia-no, ai tessuti, alle tinture, ai medicamenti ed ai

veleni vegetali utilizzati presso le diverse etniedi tutte le zone geografiche rappresentate.

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LETTERATURA CITATA

Finito di stampare nel mese di dicembre 2011

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