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Anna Liliana Mazzitelli Le Pedamentine di Napoli ANALISI MULTICRITERI@ E GOVERNO DELLA MODIFICAZIONE

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Page 1: Le Pedamentine di Napoli - Siti Xoom

Anna Liliana Mazzitelli

Le Pedamentine di NapoliANALISI MULTICRITERI@

E GOVERNO DELLA MODIFICAZIONE

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Tesi di Laurea

Relatore Prof. Arch. Carmine GambardellaCorrelatrore Prof. Arch. Sabina Martusciello

Titolo della Tesi:Le Pedamentine di Napoli-analisi multicriteri@ e governo della modifica-zione

Candidato Anna Liliana Mazzitelli

Page 3: Le Pedamentine di Napoli - Siti Xoom

Introduzione 3

Evoluzione storica 7Toponomastica p. 7, I Casali di Posillipo p. 9, Discesa Gaiolap. 15, Via del Fosso p.17, Via Nicola Ricciardi p.28, Di-scesa Villanova p.19, Calata San Francesco p.21, Salitadel Petraio p.22, Pedamentina di San Martino p.24, Sa-lita Cacciottoli p.26, Salita Sant’Antonio ai Monti p.27,Pendino di Santa Barbara p.28, Calata S.S.Cosma e Da-miano p.29.

Emergenze architettoniche 31Discesa Gaiola: Il Complesso Residenziale di Pausilyponp.31, La Grotta di Seiano p.33, Calata San Francesco: LaFloridiana e il Museo Duca di Martina p.32, Via Peda-mentina di San Martino: Castel Sant’Elmo p.37, La Cer-tosa di San Martino p.39, Pendino di Santa Barbara: Pa-lazzo Penna p.40.

Risorse naturali 43Doti p.43, Relazione geomorfologica p.44, Relazione sullastabilità p.50.

Risorse antropiche 52Layer tecnologia p.53, Le compromissioni p.55.

Diagnosi multicriteri@ 57Analisi Swot p.57, Metodi di valutazione [email protected], Metodo A.H.P. p.63, Il governo della modificazionep.81.

SOMMARIO

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Note 83

Bibliografia 85

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3

Come salvaguardare e ripristinare i valori funzionali, formali e segnici delle Peda-mentine?Per riappropriarsi di questi percorsi, che tagliano non solo fisicamente il tessuto edi-lizio ma che nel tempo hanno anche significato l'evoluzione della forma della cittàstorica nella sua modificazione, è necessario affrontare il problema, apparentementesemplice, attraverso un'analisi multidimensionale o ecogeometrica.Si vuol tornare, cioè, al rapporto che si instaura tra l'evoluzione continua della formaurbana e questi tagli che formano una discontinuità.Quando vengono a determinarsi queste discontinuità non devono essere interpretatesolo come risposta funzionale, ovvero come il bisogno di abbreviare il tempo di per-correnza tra un punto ed un altro della città a quote differenti.Il concetto stesso di taglio evoca un doppio affaccio e pertanto una vita di relazioneche nel caso in esame, scorre, fluisce, e nel tempo scandisce, affatica, riportando itempi di riflessione come distrazione da sé e partecipazione dell'intorno. E questo intorno non è solo materia, ma rassicurante immaterialità.L'uomo ripristina dimensioni intimistiche e, nell'interrogarsi sull'intorno, si interrogasui valori di provenienza, coglie le differenze, si rassicura delle identità, approfondi-sce le pause e affretta le distanze. E allora questi tagli non possono essere monodi-mensionali.La conoscenza finalizzata al recupero deve ripercorrere tutte le tracce del percorsocome un paradigma indiziario; le tracce non sono monotematiche, non contengonoesaustive risposte, ma implicano continui rimandi con un esercizio giocoso mentalee fisico dove non si possiede mai il tutto ma solo il frammento e, dal frammento, sipuò evocare il tutto.Partendo quindi dallo studio della Discesa della Gaiola, della Salita del Petraio, dellaVia Pedamentina di San Martino, della Calata San Francesco, della Calata S.S.Co-sma e Damiano, di Via del Fosso, di Via Ricciardi, della Salita Cacciottoli, ed infinedella Salita S.Antonio ai Monti si è utilizzata la Carta UNI.TE.MI.CA., ossia Cartadell'UNItà TErritoriale MInima di CAtalogazione.“Essa può essere definita come carta digitale del rilievo; costituisce uno strumento ar-ticolato e complesso nel tentativo di razionalizzare e dare corpo al contenuto dell'e-

INTRODUZIONE

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4 Le Pedamentine di Napol-Analisi Multicriteri@ e governo della modificazione

sperienza percettiva che, se non adeguatamente sistematizzata, può indurre ad unatrasposizione del reale solo disegnata e dunque apparente.La Carta è un sistema complesso di interrelazioni che si arricchisce di rimandi inter-rogativi e risposte sul dove, come, in che materiale, con quale tipologia costruttivaquel manufatto è stato fatto e rifatto. La sua rappresentazione, come strumento visivo, può aggiungere concretezza e ag-gettivazioni alla rappresentazione geometrica dell'oggetto.Se al disegno, sia pur digitalizzato, è dunque affidato il compito di riassumere edestrarre in linee geometriche il contenuto dell'esperienza conoscitiva, alla Carta delrilievo è riservato quello di tradurre ogni informazione materiale ed immateriale, tra-durre le sensazioni e i dati percettivi del manufatto raggiungendo, con successivi pas-saggi intermedi, le sue connotazioni materiche”1.Infatti "l' organismo, sia esso territoriale o architettonico, deve essere indagato in tuttele direzioni con tagli diacronici e sincronici: ogni punto deve diventare profondo, n-dimensionale nella direzione archeologica, storica, tecnologica, geologica, idrogeolo-gica, chimica, fisica, acustica da rappresentare in un integrale della conoscenza alladata"2.Successivamente attraverso un'analisi Swot, cioè un'attenta analisi dei punti di forzae dei punti di debolezza di ciascuna pedamentina, si è compilata la matrice del go-verno della modificazione, con lo scopo di capire la reale dimensione ed una possi-bile destinazione di tali percorsi per non lasciarli al loro destino di abbandono ed iso-lamento.La strada è il rapporto dialettico fra pedone e città, luogo di relazioni e di vita so-ciale. La sua vitalità dipende da un "giusto" tipo di architettura unito a un "giusto" tipodi umanità. Umanità che si spegne soffocata dai gas di scarico e per il poco spaziolasciato fra un edificio e l'altro, si trasforma in aggressività, angoscia, confusione.La larghezza delle strade si rapportava una volta all'altezza degli edifici che le fian-cheggiavano; oggi, invece, al numero di automobili da smaltire. Il risultato è senzadubbio triste.

1 Calata San Francesco1

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5Introduzione

Le pedamentine caratterizzano i lunghi percorsi pedonali che dalle colline conduconoal centro e al mare; sono storicamente, almeno nel tracciato, le più antiche sia per-ché nate da vecchi corsi d'acqua, sia perché raggiungevano chiese, monasteri e castelli.Lungo i percorsi più ripidi e accidentati vennero realizzate, forse già in epoca me-dioevale, gradonate di terreno battuto con bordi in pietrame per migliorarne la sta-bilità e la percorribilità.Verso la fine del secolo scorso e l'inizio di questo, l'apertura di nuove e più comodestrade carrabili, la progressiva scomparsa dei mezzi di trasporto a trazione animale el'incremento del traffico motorizzato, delinearono il carattere esclusivamente pedo-nale di tali percorsi.Riappropriarsi dunque di questi luoghi significa ripristinare valori sopiti ma presentiancora come semi di un senso originario che attendono un fertile humus per riat-tecchire e per instaurare quel destino imprescindibile che lega, rinnovando, l'uomoagli oggetti e all'ambiente.Pertanto il restauro di questi luoghi dovrà fondarsi sulla capacità dell'uomo di rico-noscere i differenti semi che, se all'apparenza possono sembrare uguali, nel dischiu-dersi offrono invece forme, colori, profumi, luci, sensazioni molteplici, affidando ladiversità della propria esistenza alla potenziale unicità di rappresentazione del sistemacomplesso che solo l'uomo può restituire in tutta la sua multidimensionalità.Tale predisposizione, proprio perché legata alla umana vicenda nel suo storico auto-riprodursi, implica la nozione stessa di divenire; in questo caso, più appropriatamente,sembra opportuno identificarne la dinamicità con la manutenzione. Una manutenzione che non si programma con un corpo di regole ma che si fondasulla volontà di tenere sempre alta l'attenzione sui valori corali di cui si è preceden-temente parlato.Il progetto è fondato sulla capacità di gestire la rappresentazione della multidimen-sionalità che definisce l'identità del luogo; lo stesso è lungi dal connotarsi concluso.

2 Salita del Petraio 2

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6 Le Pedamentine di Napoli-Analisi multicriteri@ e governo della modificazione

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1 Napoli, planimetria.

EVOLUZIONE STORICA

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Toponomastica““GGaaiioollaa (discesa): Gaiola a caiola in napoletano significa gabbia: dal latino caveola,diminutivo di cavea. Il nome è passato al notissimo scoglio e alla pendice meridio-nale della collina di Coroglio, attraverso la vicende di una magnifica villa augustea,di cui avanzano alcuni ruderi.FFoossssoo (via del): così denominata da avvallamenti del terreno sui fianchi della collinadi Posillipo alto.VViillllaannoovvaa (salitaa, traversa, via e vicoletto): E' il nome di tutto un sobborgo; che untempo fu nuovo rispetto ai più antichi villaggi di Posillipo. SSaann FFrraanncceessccoo (calata): Così denominata perché conduceva, dal Vomero, alla chiesae annesso convento di S.Francesco, detto degli Scarioni, in quanto fondato da Leo-nardo Scarioni, mercante da Prato, che aveva accumulato a Napoli grandi ricchezze,e che, con testamento del principio del '700, aveva disposto la fondazione di esso.FFiioorreennttiinnee aa CChhiiaaiiaa (vico delle): Traccia di fiorentine vere e proprie non ho trovata,ma mi pare che la stroria di questo toponimo possa così ricostruirsi. Su questo vi-colo, dal lato della salita Arco Mirelli, si affaccia l'ala meridionale del convento diS.Francesco degli Scarioni. Per disposizione testamentaria del fondatore il monasteroavrebbe dovuto accogliere sessanta monache conventuali dell'ordine di S.Francesco, edovevan essere native di Prato: ove il numero si fosse fosse raggiunto, lo si sarebbecompletato con donzelle napoletane. E infatti, sotto la guida della badessa suor Ma-ria Celeste Sassoli e della maestra delle novizie suor Maria Elisabetta Fortunata Buo-namici, 27 monacande s'imbarcarono a Livorno il 6 luglio 1723 e qui giunsero ilsuccessivo 11 luglio; visitarono la città, si presero qualche lecito svago prima di en-trare nella rigida clausura. Ora, mi pare evidente che ilvolgo, senza far tante distinzioni, chiamasse fiorentinequelle sante donne pratesi.PPeettrraaiioo (discesa, gradini, largo, rampe, salita e vico): Untempo questa abrupta e pittoresca salita, che conducedal corso V.Emanuele al Vomero, era, come molte altre

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strade di Napoli, denominata Imbrecciata. La voce napoletana, veramente, sarebbePetraro, e annota il D'Ambra, nel suo Vocabol. napoletano-toscano: " Non è cava dipietre; ma un luogo acclive abbondante di ciottoli ed altro petrame, che per piogge,o per lavori campestri, si stacca da altri terreni di alluvione". E aggiunge: "Così è no-minata una contrada di Napoli a mezza costa della collina del Vomero, con prospettobellissimo a mezzodì: ed è luogo di villeggiatura estiva".PPeeddaammeennttiinnaa ddii SSaann MMaarrttiinnoo (via e vico): Erta e pittoresca salita a gradoni, che ad-duce alla rocca religiosa di San Martino. L'etimologia di pedamentina è ovvia: lievevariante di pedemontanus.CCaacccciioottttoollii: O Cacciuottoli, cone rileviamo dal canonico Celano, il quale spiega chequella zona è così chiamata "per un delizioso casino e villa edificati da uno di que-sto casato, poi posseduti dal padre Pietro Gisolfi dei Pii Operarii ai quali serve perluogo di delizie e di ricreazione". SSaanntt''AAnnttoonniioo aaii MMoonnttii (gradini, salita e via): Da una chiesa fondata nel 1607 da CarloCarafa, e che fu casa di noviziato dei PP. Pii operari di S.Giorgio Maggiore. Eravi an-che un ritiro fondato da Luisa de Nicola, con la regola delle Solitarie Alcantarine dellaFara, in Roma. Il luogo, come tanti altri, era detto anche Belvedere; e la salita era co-nosciuta col nome del piede di S.Anna, perché conduceva a questa preziosa reliquia,venerata nel palazzo Montemiletto.PPeennddiinnoo : Le discese che conducevano dalla collina al mare furono dette, dal verbopendere, pendini: " quella che era la più estesa e certo la più frequentata, perché iviuna via pubblica introduceva dal porto alla città per mezzo della porta a nord di Fon-tana dei Serpi, ritenne nei secoli successivi il nome di Pendino, laddove per gli altriaggiungevasi il nome della località ove trovavansi ". (Gabrici, Il porto di Napoli nel-l'antichità e nel evo medio, Napoli 1913, p.21). Della parola "pendino" si ebbero leforme dialettali pennino, penninata e anche appennino, ma oggi la denominazionePendino sussiste, generica, per una sezione municipale. L'Appennino dei Moccia èdiventato Arte della lana; il pendino di Santa Barbara è ora gradini S.Barbara; la pen-ninata a Fonseca si è murata in via Bernardo Cementano.SS..BBaarrbbaarraa (pendino): Ricorda una piccola chiesa, intitolata alla santa degli artiglieri,e un tempo sita in questa ripida e pittoresca discesa. Fondata nel1194, la chiesetta di

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9Evoluzione Storica

S.Barbara fu abbazia dell'ordine di S.Basilio; ora non se ne trova più traccia. SSaannttii CCoossmmaa ee DDaammiiaannoo (calata): Da una chiesa antichissima, di cui si trova cennoin documenti dell'XI secolo; e che, detta anche di S.Maria Imbriana, appartenne allacomunità dei barbieri”3.Scrive il Summonte: " Il vico dei SS.Cosma e Damiano è quello derimpetto alla chiesadi S.Catarina Spina Corona, il quale vien a finire alla porta piccola della chiesa diS.Maria della Rosa, ove anticamente era la porta della chiesa di SS.Cosma e Damiano,la quale per esser in tutto rovinata n'è persa la memoria".

I Casali di Posillipo

“Le prime notizie di insediamenti umani nella zona di Posillipo risalgono al periodogreco-romano. Si dice che il primitivo nome della collina fosse "Ammenus", poi to-talmente dimenticato a vantaggio di Pausilypum che vuol significare, dall'etimo greco"pausa o tregua dal dolore", nome messo in relazione dai più con la bellezza del luogo,secondo altri collegato alla presenza in zona della scuola Epicurea del maestr Sirone,frequentata anche dal poeta Virgilio”4. Come è noto, infatti la filosofia epicurea insegnava agli uomini a liberarsi dagli af-fanni per raggiungere la felicità interna come assenza di turbamenti (a tarassia). Numerosi ruderi antichi sono stati rinvenuti nella partepiù occidentale della costa, nell'area compresa tra Ma-rechiaro e la Gaiola, in una zona cioè visibile da Poz-zuoli e da Baia, ma non da Napoli. Pertanto i nuclei residenziali romani, sorti sulla costa inetà imperiale, devono forse considerarsi non tanto dellepropaggini di Napoli, quanto dei Campi Flegrei. La presenza lungo il litorale di numerose ville patrizieincrementò l'attività agricola e manifatturiera dei villaggiubicati nella parte alta della collina. Data la lontananza sia dalla città che dai centri flegrei,

2 Veduta aerea della collina diPosillipo.

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l'insediamento originariamente romano, nel suo sviluppo, unitamente ai villaggi chepiù tardi venivano costruiti sulla parte alta della collina, caratterizzati dall'attività agri-cola, assume la struttura di una comunità autosufficiente . E' assai probabile che nell'età tardo-antica tutto l'abitato di Posillipo, quello sulla co-sta e quello in collina costituissero come un'isola; e tale isolamento durò in qualchemodo fino all'età moderna se si pensa che solo nel 1643, viceré Ramiro de Guzmanduca di Medina, furono rese carrozzabili le rampe di Sant'Antonio, ovvero l'unicocollegamento dei villaggi di Posillipo con la città bassa. I villaggi più antichi sarebbero quelli di Angari e Megaglia. Questi, durante il Me-dioevo, unitamente a Santostrato e Spollano formavano il Casale di Posillipo, giuri-dicamente ed economicamente autonomo. Gli abitanti della zona, fin dall'epoca degli Aragonesi, godevano di numerosi privi-legi fiscali, mantenuti anche in età vicereale per evitare ulteriori fenomeni di inurba-mento del centro di Napoli. In tale periodo, mentre nella zona collinare i piccoli villaggi continuarono a svilup-parsi, la costa fu pressoché abbandonata sotto la spinta di invasioni barbariche. Accanto agli insediamenti agricoli si stabilirono alcune comunità religiose, costituentigeneralmente delle diramazioni periferiche degli ordini residenti nel centro di Napoli.Questi possedevano la maggior parte dei terreni dai quali traevano rendite provenientidall'economia agricola dei casali e dallo jus piscandi. Nella pianta del Lafrery del 1566 si nota subito che l'espansione verso occidente e asud, verso il mare, era molto più consistente di quella verso oriente ed a nord.

Dalla seconda metà del Cinquecento, infatti, comincia-rono a svilupparsi due nuovi villaggi: Villanova e Portadi Posillipo più vicini alla città; contemporaneamente lacosta tornava nuovamente a popolarsi di ville signorili. In questo periodo il reddito delle comunità monastichesi arricchì di nuovi proventi, derivanti dalla trasforma-zione delle attrezzature agricole in organizzate masserieo in residenze di villeggiatura. A partire dai primi annidel Seicento le ville da diporto, "i casini", si trasforma-3

3 Veduta aerea dalla Discesadella Gaiola.

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Evoluzione storica

rono in case d'abitazione ed in palazzi. Per avere un quadro degli insediamenti sulla collina di Posillipo in età vicereale è ne-cessario rifarsi alla veduta di Alessandro Baratta edita nel 1629. L'immagine rende molto bene la magnificenza dei luoghi e ben si spiega la fuga dallacittà delle autorità che si rifugiarono in queste regione lontana dal caos del centro cit-tadino. Sulla collina sono visibili i profili degli antichi casali, non più numerosi di quanto lofossero già nel Cinquecento; le pendici comprese tra la costa e il crinale sono densa-mente coltivate e inframmezzate da poche case coloniche. Il promontorio di Mergellina è dominato dal complesso di Santa Maria del Parto;nella perete dell'edificio sottostante la chiesa, è inserita un'antica iscrizione marmo-rea, datata 1627, che ricorda la sistemazione di quel tratto di strada ad opera di An-tonio Alvarez de Toledo, secondo duca d'Alba, al quale il Baratta volle dedicare la ve-duta del 1629. Nel 1642 un altro viceré, il duca di Medina, prolungò la strada finoa palazzo Donn'Anna. Nel 1812 Murat fece costruire la strada di Posillipo più interna: la strada del duca diMedina scomparve, quella del duca d'Alba coincide oggi con via Sermoneta. Alla partenza di Murat da Napoli, la strada aveva raggiunto il sito dove, girando adestra, inizia via Boccaccio e, girando a sinistra, si scende a Marechiaro. Il tratto successivo, quello che scendeva per Cordoglio, fu eseguito dal Corpo del Ge-nio dell'Armata Austriaca tra il 1820 ed il 1830. Tornando ad esaminare la vedutadel Baratta, più avanti si vede la chiesa di Santa Maria del Faro. Sorta sui resti di un tempio antico e dominante il villaggio di Marechiaro, che finoall'800 dipendeva dalla Diocesi di Pozzuoli, prova questa del legame con la zona fle-grea. A mezza costa della collina, in corrispondenza dell'insenatura di San Pietro ai duefrati, si trova l'antica chiesa ed il convento di Santa Brigida. In alto ad occidente sivede la chiesa di Santo Strato, nell'omonimo casale. Ad oriente, a conclusione del promontorio, sono ripor-tate le rampe, la chiesa ed il convento di Sant'Antonio. Con il regno di Carlo di Borbone la città riuscì ad espan-

4 Veduta aerea dell’isola dellaGaiola. 4

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dersi secondo nuove direttrici, grazie all'abolizione nel 1718 della legge che vietava lacostruzioni fuori della cinta muraria. La veduta prospettica contenuta nella mappa topografica del duca di Noja (1775)permette una lettura d'insieme della città: la costa di Posillipo, anche se punteggiatadi ville, rimane ancora esterna alla vita urbana della città. Nella mappa del Carafa sono ben visibili i casali di Santo Strato, Portaposillipo e Vil-lanova e località minori come Angari, Megaglia, ed altre; del solo Spollano nel 1775non restano più tracce. Il villaggio di Angari, ubicato dove è ora il rione Spinelli, che abbiamo detto essereil più antico assieme a quello di Megaglia, si svolgeva planimetricamente ai lati diuna stradina, nota ancora oggi come cupa Angara, che partendo dalla torre Ranieriraggiungeva più a valle una località dove era la cappella di Santa Maria delle Grazie. Nella mappa il villaggio di Megaglia è quello indicato con un'estensione molto piùmodesta di Angari; eppure anche Megaglia doveva godere di una certa importanza,lo si deduce dal fatto che oltre ad essere collegato come gli altri al mare, era unitoanche a torre Ranieri e Santostrato. Oggi su cupa Angara sono ancora riconoscibili resti di case rurali; mentre l'abitato diMegaglia, che doveva corrispondere al punto dove ha inizio l'attuale via FerdinandoRusso, è stato incorporato tra le nuove costruzioni. Tra Angari e Megaglia era Santostrato, il più grande nucleo abitato della collina. La sua planimetria era molto più grande e complessa degli altri villaggi: essa presen-tava, e presenta tutt'oggi, uno schema ad avvolgimento con al centro la chiesa e lapiazza antistante. La chiesa del villaggio sorse nel 1266 sui resti di una fabbrica romana e ne furonofondatori tre greci. L'originaria cappella fu ampliata nl Cinquecento e alla fine delsecolo divenne parrocchia del nucleo dei villaggi citati.

Dalla piazza partivano diverse stradine verso il mare. La prima di queste partiva dalla piazza e, dopo aver co-steggiato l'antico cimitero, attraversava il villaggio di Me-gaglia per poi arrivare sulla costa. Un'altra, l'attuale via Nicola Ricciardi, univa Santostrato

5

5 L’isola della Gaiola dalComplesso Residenziale diPausilypon.

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Evoluzione storica

con Marechiaro. Una terza, chiamata la Sodesca, ed una quarta provenivano dalle "Casenuove" e con-ducevano rispettivamente a S.Maria del Faro e alla Gajola. I villaggi del casale, eterogenei per dimensioni e sviluppo urbanistico, sono tuttaviauniformemente definiti da aggregazioni di edifici con caratteristiche morfologiche co-muni, proprie di un'architettura minore a vocazione agricolo-residenziale. A Santostrato il tessuto edilizio e viario si presenta molto compatto ed omogeneo: leabitazioni sono allineate secondo le direzioni di penetrazione all'interno del villaggioed in alcuni punti le file di case continue si interrompono in un cortiletto sul cuispazio interno si affacciano le abitazioni, generalmente a tre piani. Ritornando a torre Ranieri, da cui iniziava un'altra strada e, con un tracciato moltosimile all'attuale via Manzoni, attraversava longitudinalmente il crinale della collina,collegando il casale di Santostrato a quello di Villanova e Portaposillipo. Da qui, poi, partivano due strade: una si collegava al convento ed alle rampe diSant'Antonio e l'altra raggiungeva il casale del Vomero. La comunicazione con Napoli avveniva invece attraverso le rampe di Sant'Antonio,rese carrozzabili solo nel 1643 dal viceré Medina della Torres. Un'altra strada ancora partiva da Angari e portava direttamente a Villanova. Ancor'oggitale strada, con un andamento quasi parallelo all'attuale via Manzoni, è nota con ilnome di Malefioccolo o del Marzano. Ciascun villaggio in collina era collegato al litorale mediante ripide salite, formate dalunghe gradinate, cupe e valloncelli naturali o canaloni, che tagliavano trasversalmenteil promontorio. Il casale di Villanova si sviluppava secondo uno schema lineare o fusiforme lungo lastrada omonima. Il nucleo abitato era limitato ad occidente dalla strada che conduceva al casale di San-tostrato ed ad oriente dal vallone che scendeva verso ilmare e sul quale le case si affacciavano in modo com-patto.A metà della via del Marzano una ripida gradinata col-

legava Villanova al mare, ad un tratto della costa chia-

6 Il Complesso Residenziale diPausilypon dal Parco Virgiliano.

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mato San Pietro ai due frati. Nella piazzetta del villaggio ancora oggi si conserva in buone condizioni la chiesa diSanta Maria della Consolazione. Da Villanova si giungeva, poi, all'ultimo casale della collina: Portaposillipo. Posto alla fine della strada che dal casale di Santostrato conduceva al Vomero si af-facciava sul vallone di Bagnoli. L'abitato era rivolto tutto a settentrione e si svolgeva ai lati della strada con uno spes-sore molto ridotto. Il villaggio all'incrocio con le rampe di Sant'Antonio terminava con una porta cheveniva chiusa durante le incursioni barbariche. La maggior parte della popolazione residente nel Casale di Posillipo si dedicava allacoltivazione dei campi, pochi erano dediti alla pesca, e i cicli produttivi raramenteandavano oltre le esigenze dell'autoconsumo. Nel 1842 Posillipo venne descritta dal Lancellotti e nel1845 dall'Alvino. Il primo corredò l'esposizione con una pianta topografica e una legenda molto det-tagliata dei luoghi e delle proprietà presenti nella zona e che pertanto chiarisce moltidubbi sollevati dalla Mappa del duca di Noja; il secondo l'accompagnò con una se-rie di incisioni di Achille Gigante, che costituiscono dei documenti sullo stato deiluoghi in quel tempo. A tutto l'Ottocento Posillipo assume ancora il ruolo di fondale pittoresco nella di-mensione metropolitana di Napoli. Per la collina di Posillpo si previde un suo coin-volgimento nel Piano di Risanamento ed Ampliamento della città fin dal 1885. In realtà, a parte la costituzione di pochi fabbricati alla fine dell'Ottocento lungo viaPosillipo, una vera espansione edilizia in questa direzione si è avuta solo con l'aper-tura di una strada panoramica, via Petrarca, iniziata nel 1926. La moderna espansione edilizia ha modificato i rapporti tra i villaggi e la costa ed in-corporato, tra le nuove costruzioni, i vecchi nuclei del Casale di Posillipo. Luoghi quasi ovunque modificati ed alterati dalla recente urbanizzazione, ma ancorariconoscibili dove si arresta la nuova edificazione.

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15Evoluzione storica

Discesa GaiolaLa discesa della Gaiola, partendo da via Tito Lucrezio Caro, scende, ai piedi della col-lina di Coroglio, fino al mare. Assolutamente al di fuori della problematica di soluzioni pedonali alla situazione deltraffico e delle comunicazioni interne alla città, l'importanza di questa strada risiedeunicamente nell'essere il solo sbocco reale e concreto sul mare non privato della zona.Nata e sviluppatasi a ridosso del mare e spesso (è proprio il caso degli antichi villaggicostieri di Posillipo) in funzione del mare, Napoli si è andata, poi, via via configu-rando in modo tale da non consentire in nessun punto del litorale un rapporto di-retto con l'acqua. Da via Partenope a via Caracciolo, che si snodano lungo il litorale con un murettoche separa quasi costantemente la zona accessibile, il marciapiede, dal mare, a via Po-sillipo, dove la strada si allontana dalla costa e gli sbocchi sul mare sono tutti priva-tizzati, la Gaiola è l'unica spiaggia esistente in città. “Non si vuole qui, naturalmente,proporre il problema, di ben altre dimensioni e forse irrisolvibile, di trovare il modoper riconsentire ai napoletani di bagnarsi senza pericolo nelle acque del golfo”; è tut-tavia importante riscoprire la possibilità, in una città di mare per antonomasia qualeNapoli, di un rapporto acqua-terra più immediato e ormai quasi ovunque compro-messo. La discesa della Gaiola, dopo un primo tratto accessibile anche alle automobili, di-venta, poi, nella parte pedonale, quasi un sentiero che si snoda tra ampie macchie diverde in parte coltivate, in parte lasciate nel più completo abbandono ed assoluta-mente impraticabili; attraversa, poi, un piccolo villaggio costituito da poche case di-sposte in fila ai margini della strada e termina, infine, come si è detto, con una spiag-gia di modeste dimensioni, ma abbastanza frequentata sia d'inverno che d'estate. Le scale incise nel tufo giallo rivelano anche nella denominazione di "discesa" la lorogenesi di collegamento essenziale tra la collina, con i suoi villaggi e gli orti ed il mare.Esse attraversano l'antico borgo fatto di poche case e si snodano in un ambiente atratti selvatico, immerso in una luminosità chiara, a cui fa da riscontro il verde dellamacchia mediterranea e poi il blu del mare, parte terminale del percorso.

8 Discesa della Gaiola,particolare della pianta diAtonie Lafrery del 1566.

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99 Discesa della Gaiola.

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A questo proposito è utile sottolineare l'incomprensibile chiusura che si verifica, al-meno nel periodo invernale, di una parte della spiaggia sfruttata ad uso privato peril ricovero delle barche, là dove la legge demaniale vorrebbe percorribile da tutti lazona della battigia. Nel quadro più globale di uno sfruttamento adeguato di tutte le zone ancora liberedella città, per colmare almeno in parte la gravissima carenza di verde pubblico at-trezzato, andrebbe opportunamente valutata la prospettiva di creare nelle zone at-tualmente incolte un parco pubblico che si spingesse fino al litorale, realizzando cosìun affascinante incontro tra mare e vegetazione: all'interno di questo progetto la di-scesa della Gaiola ne risulterebbe valorizzata. Non dovrebbe essere difficile raccordarsi lungo il fianco della collina determinandocosì un unico percorso pedonale attrezzato dal parco Virgiliano fino alla spiaggia e almolo della Gaiola. A proposito dell'origine del nome di questa strada, è da notare che nel dialetto na-poletano gaiola o caiola significa gabbia, trasformazione della parola latina caveola,diminutivo di cavea, grotta, per le numerose grotte ivi esistenti, di cui la più celebre,anche se costruita dalla mano dell'uomo , è la cosiddetta Grotta di Seiano che col-lega il vallone della Gaiola con Bagnoli, sbucando nell'ultimo tornante della discesadi Coroglio. E, per risalire al motivo per cui questo nome fu dato alla pendice me-ridionale della collina di Coroglio, quella cioè rivolta verso il mare e a tutta l'insena-tura, si scivola nel campo archeologico che, nella nostra regione, così ricca di me-morie classiche, è spesso il punto di partenza di ogni altra indagine storica. Fu verso il 1840, in occasione dei lavori per la costruzione della strada che porta aBagnoli, che l'attenzione di re Ferdinando II si rivolse alle antichità esistenti sul pro-montorio di Posillipo. Gli scavi ordinati dal re misero alla luce diversi edifici. Dimenticati o addirittura sconosciuti a quasi tutti i napoletani, questi resti archeolo-gici di notevole interesse storico-archeologico ed ambientale, dovrebbe entrare nelquadro globale della sistemazione di tutta la zona, rendendola agevolmente fruibileanche, eventualmente, nella prospettiva di sfruttarne il fascino e la suggestione comesupporto a manifestazioni culturali e rappresentazioni teatrali.

10 Discesa della Gaiola. 10

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17Evoluzione storica

Via del FossoSe le pedamentine del Vomero hanno la caratteristica di mettere in comunicazionedue nuclei abitati, i tracciati pedonali di Posillipo sono tutti proiettati da un piccolonucleo antico (anticamente erano dei casali….) verso il mare, costituendosi come rac-cordo tra l'elemento costruito e quello naturale. La collina di Posillipo è uno dei luo-ghi più celebrati di Napoli, sia per le elevate qualità paesistiche che per i numerosiricordi storici ed archeologici. Il borgo di Posillipo, noto oggi come il Casale, si chiamava, in realtà, all'epoca dellasua costruzione, S.Strato, mentre con il termine casale si intendevano, complessiva-mente, i quattro insediamenti della collina e cioè Megalia, Ancari, Spollano, e lo stessoSanto Strato. Cuore del nucleo abitato è la chiesa di Santo Strato, sorta nel 1266 suiresti di un tempio romano ed ampliata nel' 500 quando diviene parrocchia del Ca-sale posillipino (1597), ma la forma attuale si deve ai vari interventi di restauro su-biti tra il '700 e l'800. Dalla piazzetta antistante la chiesa si diparte la nostra pedamentina, Via del Fosso,che un tempo circondava l'antico cimitero (da cui forse il nome). Il tracciato cometutte la gradinate di Posillipo nasce con la funzione di collegamento della collina conla costa ed il mare. L'apertura di via Posillipo, ad opera di Gioacchino Murat, all'inizio dell'800 ha inparte snaturato l'antico percorso alterandone il rapporto diretto con la costa; infattiattualmente Via del Fosso sbuca sulla strada mentre in origine doveva spingersi finoal mare lungo il tracciato di via Ferdinando Russo. L'urbanizzazione della zona, che ha trasformato una realtà rurale in area residenziale,ha in parte salvato il Casale di Santo Strato che conserva il carattere isolato di vil-laggio popolare anche nella sua composizione sociale. In questo contesto, dominatoancora da case basse, affacciate in fila lungo viuzze strette e talora senza uscita, si in-nesta il nostro percorso, aperto sul verde circostante. Percorrendo le scalinate sembraquasi di attraversare una stradina campagna, assaporando atmosfere dimenticate e le-gate ai ritmi della natura che miracolosamente sopravvive nelle ampie zone di verdecoltivato tutt'intorno.

11 Via del Fosso. 11

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Via Nicola RicciardiE' una delle due strade (l'altra è Via del Fosso) che dal borgo di Posillipo, noto oggicome il Casale, che scendono verso il mare. Passando sotto via Santo Strato, alla cuialtezza, cambiando nome, diventa discesa Marechiaro, arriva fin giù al mare, conclu-dendosi con l'omonimo villaggio. Mentre via del Fosso, uscendo dal cuore del borgo, costeggia zone verdi relativamenteampie ed in parte coltivate, via Ricciardi, attraversando il borgo al centro, ha il ca-rattere più movimentato e vivace dello spazio urbano di relazione. Il villaggio di Marechiaro deriva il suo nome dal latino "mare planum" cioè marecalmo, diventato in napoletano "mare chiaro" ed infine Marechiaro. E' dominato dalla chiesa di Santa Maria del Faro, che fino all'800 dipendeva dallaDiocesi di Pozzuoli. La chiesa, esistente fin dal XIII secolo, sorge sul luogo di un'antica fabbrica romanadi cui restano visibili tratti della mutazione ed alcuni frammenti. Questo è il nucleo abitativo storico di Marechiaro, centro di insediamento religiosoe poi popolare, fin dal Medioevo antico borgo di pescatori, che ha conservato in partela sua fisionomia, soprattutto lungo il percorso pedonale con le comode scale che siinseriscono nell'ambiente circostante. Le scale si sviluppano tra rustiche case di pescatori e conservano la tipologia origina-ria di quando venivano utilizzate come unico collegamento tra campagna e mare.Oggi si aprono lungo i tornanti della discesa carrabile che conduce al piccolo borgo,rappresentando un'utile scorciatoia pedonale che mantiene il suo carattere vissuto evivace. Solo nel tratto più vicino alla costa, la crescita disordinata di locali di ristoro di bal-neazione ha mutato alquanto il senso di isolamento del luogo, ma, ciò nonostante lescale non hanno perso l'armonioso rapporto con la natura e l'ambiente.

12 Via Nicola Ricciardi. 12

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19Evoluzione storica

Discesa Villanova Il villaggio di Villanova si può considerare il più recente tra gli insediamenti della col-lina di Posillipo ed era ed è, tuttora, in quanto è rimasto miracolosamente inalterato,formato da due file di case lungo una stradina parallela all'attuale via Manzoni: talestradina per un tratto prende il nome del villaggio e per un altro tratto quello di Me-lofioccolo o Marzano. Questo piccolo nucleo urbano, con il suo carattere di borgo rurale, è fortunatamentesopravvissuto all'espansione edilizia dei moderni insediamenti costituendo uno deipercorsi rustici più attraenti della collina. La strada di Villanova conserva ancora esempi di edilizia contadina, con case basseche si sviluppano intorno ad un cortile interno. Questo villaggio era collegato alla costa da una discesa molto ripida, detta canalone,che rimane oggi uno dei luoghi più suggestivi della collina. Il percorso è rimasto pressocchè inalterato a raccontarci l'antica bellezza dei luoghi.La scalinata inizialmente si sviluppa tra il verde degli orti lavorati a terrazze e dellevigne, per poi proseguire ripida e scoscesa con gradini alti e stretti. Il collegamento con i casali del Vomero avveniva attraverso una strada che seguivagrosso modo l'andamento dell'attuale via Manzoni, lungo il crinale della collina; men-tre la comunicazione con Napoli avveniva attraverso le rampe di Sant'Antonio; que-ste ultime conducevano al primo villaggio detto le Porte di Posillipo che si affacciavaalla piana flegrea. Ed è accanto a questo borgo che si sviluppava il villaggio di Villa-nova sul versante della collina rivolto alla città. È da notare che il borgo di Posillipo conservava una sua fisionomia autonoma anchedi ordine amministrativo, avendo a capo un gruppo di abitanti del Casale stesso. Ed inoltre godevano di numerosi privilegi fiscali, come l'esecuzione da talune impo-ste; e questo all'evidente scopo di contenere l'attrazione che la città avrebbe potutoesercitare su questi villaggi periferici e di evitare, quindi, quei fenomeni di inurba-mento che avrebbero ulteriormente aggravato i già numerosi problemi derivanti dallacongestione di Napoli.Molto interessante dal punto di vista architettonico è la chiesa di Santa Maria della

13 Discesa Villanova. 13

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Consolazione. Essa nacque dalla fusione, avvenuta nel 1537, della cappella della Con-solazione con la più antica chiesa di San Giovanni Battista posta fuori dalla Porta diPosillipo. La forma attuale della chiesa risale al Settecento, quando la ricostruzionedell'edificio fu affidata a Ferdinando Sanfelice. La chiesa ,a pianta esagonale, (secondo gli schemi poligonali prediletti dall'autore),presenta sei angoli:nei tre più piccoli sono collocate le porte di accesso alla chiesa, allasacrestia ed al monastero, mentre nei tre più grandi vi sono le nicchie con i rispet-tivi altari. Particolarmente interessante è la copertura, per la quale l'artista inventò un'ingegnosastruttura a capriate lignee alle quali è sospesa una finta volta incannucciata. La facciata è stata rifatta nel XIX secolo e di sanfeliciano conserva solo il finestrone.Lungo il "canalone", infine, quarant'anni più tardi sorse il complesso domenicano diSanta Brigida, all'interno di un vasto podere. La presenza di queste comunità religiose, costituenti una diramazione periferica de-gli ordini residenti in Napoli, dovette agire in senso spirituale ed educativo, anchecome tramite civile, commerciale e sociale tra quelli del Casale e la città. La salita di Villanova è uno dei pochi episodi rimasto inalterato. Dopo il primo trattolungo il quale si svolge il villaggio, che è ancora in pianura, precipita giù, ripida escoscesa verso il mare, con gradini alti e stretti, chiusa a volte la visuale dalle macchiedi verde, a volte aperta con un improvviso squarcio sul mare. Incassata lungo quasi tutto il percorso tra due pareti di roccia, proprio scavata, sem-bra, nella roccia stessa, si direbbe che, oltre ad una suggestione paesaggistica, abbiaanche una sua particolare bellezza plastica, quasi scultorea. L'arrivo giù, a via Posillipo, è assolutamente singolare: la scalinata diventa ancora piùripida, ancora più stretta e si infossa in una specie di grotta per poi sbucare così, ina-spettatamente, dopo una curva, che non ne fa vedere fino all'ultimo l'innesto, sullastrada, nella località della costa chiamata "San Pietro ai due frati". Attualmente la pedamentina è piuttosto pericolosa, sia per il fondo sconnesso, sia perla ripidità degli scalini.

14 14 Discesa Villanova.

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Calata San FrancescoLa Calata S.Francesco, vecchio tracciato gradinato che interessa la parte più occiden-tale del Vomero, inizia a via Belvedere e taglia via Aniello Falcone e via Tasso, rag-giungendo il Corso Vittorio Emanuele,e di qui, cambiando nome in via Arco Mi-relli, scende dritta alla via Riviera di Chiaia, di fronte alla Villa Comunale. Già rilevata nella mappa della città di Napoli del Duca di Noja del 1775, dove è in-dicata col nome di "via che discende a Chiaia", Calata S.Francesco faceva parte di unantico agglomerato di case rurali e signorili chiamato "Casale del Vomero". Praticamente il Casale si estendeva lungo via Belvedere, dalla chiesa di S.Maria dellaLibera a via Annella di Massimo, caratterizzata originariamente da un tessuto socialein parte agricolo ed in parte nobiliare. L'intero tracciato si snoda lungo quel versante del Vomero maggiormente ricordatodalle fonti come luogo di delizia e di villeggiatura, spettacolare per la natura rigo-gliosa e per l'aria temperata e salutifera. Negli anni '30 si assiste ad una prima modificazione sociali di questo quartiere dacomplesso agricolo-nobiliare a zona popolare; attualmente, invece, Calata S.France-sco ha un carattere molto meno popolare delle altre pedamentine esaminate; pur ospi-tando ancora in alcuni punti gli strati più poveri della popolazione, dal proletariatoal sottoproletariato, si nota accanto a questi anche la presenza abbastanza cospicua,della media borghesia che ha sempre teso ad assicurare per sé le zone della città po-sizionalmente e paesaggisticamente più qualificate. Poco distante si apre la neoclassica Villa Floridiana, realizzata dall'architetto AntonioNiccolini, di cui parleremo inseguito in maniera più approfondita. Calata San Francesco, nonostante la pressante urbanizzazione che, soprattutto neglianni cinquanta ha investito la zona, ha conservato in gran parte la notevole posizionepaesaggistica aperta a mezzogiorno sul mare e sulla veduta del golfo napoletano conCapri e la penisola sorrentina. La primitiva "via che discende a Chiaja" fu denominata, poi, calata S.Francesco, per-ché conduceva alla chiesa e al convento di S.Francesco, sostituiti verso la fine del'700con villa Giordano, in cui rimane ancora incorporata la chiesetta.

15 Calata San Francesco. 15

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Il convento era detto degli Scarioni in quanto fondato da Leonardo Scarioni, mer-cante di Prato, che aveva accumulato a Napoli grandi ricchezze e che, con testamentodel principio del'700 aveva disposto la fondazione di esso. L'ultimo tratto, via Arco Mirelli, prende il nome da un arco, che ora non esiste più,che congiungeva il palazzo Mirelli con un nucleo di case.

Salita del PetraioDi tutte le strade pedonali che scendono dal Vomero, la pedamentina del Petraio èforse il percorso attualmente più frequentato. Da via Annibale Caccavello scende verso la parte occidentale della città e termina alCorso V. Emanuele, all'altezza della chiesa di S. Carlo alle Mortelle; di qui vi è unaduplice possibilità di proseguimento: o la gradoni di S. Maria Apparente, la salita Ve-triera e le successive rampe Brancaccio, che conducono nel cuore della Napoli piùelegante, via dei Mille e via Filangieri, oppure i gradoni di Chiaia, che portano ap-punto a via Chiaia. Un tempo la salita del Petraio era, come molte strade di Napoli, in ripido pendio epavimentate con ciottoli, denominata "imbrecciata" dalla parola brecce/che in napo-letano vuol dire "ciottoli". La voce napoletana veramente sarebbe "Petraro" e, annota il D'Ambra nel suo voca-bolario napoletano-toscano "non è cava di pietre, ma un lungo acclivo abbondantedi ciottoli ed altro petrame che per pioggia o per lavori campestri si stacca da altriterreni di alluvioni". D'altronde il tracciato del Petraio ricalca quello di un antico alveo torrentizio che fa-ceva defluire a valle i corsi d'acqua della collina. Il percorso si snoda attraverso un piccolo borgo fatto di case bianche e basse, apertesu graziosi slarghi o affacciate direttamente sulle scale, un edilizia spontanea che sifonde alla morfologia del luogo intessuta di spazi verdi ed aperte al seducente pano-rama della città. E aggiunge "Così è nominata una contrada di Napoli a mezza costa della collina delVomero con prospetto bellissimo a mezzodì: ed è luogo di villeggiatura estiva".

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16 Salita del Petraio.

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La salita di Santa Maria Apparente, invece, prende il nome dalla chiesa che vi si af-faccia: nel 1581 Frà Filippo di S. Giorgio dei Padri Riformati, considerando la grandevenerazione del popolo per una immagine della Vergine, dipinta su un muro, chechiudeva un viottolo preso il Petraio, con le elemosine raccolte dai devoti vi edificòuna chiesetta con un piccolo convento per i frati del suo ordine, che prese il nomedi Santa Maria a Parete in memoria di quella immagine, nome che con il tempo subìla variazione in S. Maria Apparente che oggi conserva. Il convento dei Riformati, nel secolo XVIII, fu adattato a carcere: vi giacquero, tragli altri i Giacobini nella reazione del 1799 e i liberali in quella del '48. La famiglia Brancaccio, una delle più illustri ed antiche del regno, ha dato il nomealle rampe omonime, dove vi possedeva, tra la piazzetta Mondragone e l'attuale viadei Mille, numerosi beni. Oggi è soltanto visibile, sull'arco di un ponte alla salita Vetriera, lo stemma in pietradella famiglia, con tre aquilotti e quattro zampe di leoni uscenti dai fianchi delloscudo. I gradoni di Chiaia, infine, perpendicolari a via Chiaia, una delle più celebri stradedi Napoli, non tanto nella storia quanto nella vita sociale della città, erano famosi untempo per il loro caratteristico e pittoresco mercatino dei fiori; per quanto riguardal'etimologia della parola, chiaja è la distorsione napoletana dell' antichissimo nomeplaja , che serviva a designare tutto il litorale marittimo occidentale di Napoli. Tornando ad esaminare la prima parte del percorso, precisamente le scale del Petraio,si registra in questo tratto, a proposito della composizione sociale degli abitanti, l'e-sistenza di un fenomeno non registrato negli altri percorsi esaminati e cioè la pre-senza, anche se sporadica, tra gli strati più poveri della popolazione che tipicamenteabitano queste vecchie stradine della città, di una certa classe di giovani e di intellet-tuali che hanno scelto questa zona per collocare i propri studi e anche le proprie abi-tazioni. La loro scelta è stata certamente determinata dall'esigenza di godere una certa tran-quillità che oggi solo una strada pedonale può offrire, dal livello dei fitti rimasto an-cora basso, e forse anche dal gusto di ritrovare ancora presenti certi rapporti umani"di vicinato" che lo sviluppo attuale della città, seguendo la logica speculativa e la po-

17 Salita del Petraio. 17

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litica di favoreggiamento della motorizzazione privata, ha completamente annullato.E questa presenza, naturalmente, essendosi tra l'altro inserita con rispetto e discre-zione nel contesto ambientale preesistente, dà un aspetto insolito e gradevole al nu-cleo abitato, pur rimanendo anche qui, nella maggioranza dei casi, ancora irrisolti isoliti problemi di livello igienico delle abitazioni, di carenza di servizi e di sovrapo-polazione. È evidente che la soluzione di questi problemi, tale da costituire un sensibile e realemiglioramento della qualità della vita, diventa, ancora una volta, un momento qua-lificante e uno dei principali obiettivi da perseguire.

Via Pedamentina di San Martino"Erta e pittoresca salita a gradoni che adduce alla rocca di San Martino" è tra i piùantichi camminamenti riconoscibili fin dalle prime vedute cartografiche della città. “Il suo tracciato costituisce, insieme alla ottocentesca scala di Montesanto, uno deipercorsi privilegiati di collegamento tra l'area collinare di San Martino e la zona diMontesanto utilizzato a tutt'oggi dai vomeresi. Contrariamente ad altre gradonate, il tracciato della Pedamentina non viene realiz-zato sfruttando un antico alveo naturale, ma è pensato fin dall'inizio come arteria dicollegamento tra la città bassa e la collina. La stessa etimologia del termine equivale a "pedemontano" cioè "ai piedi del monte"evidenziando l'originaria funzione del percorso che troviamo così citato già in docu-menti di età viceregnale (XVI secolo). “L'origine della Pedamentina è legata alla fondazione della Certosa di San Martino,promossa da Carlo di Calabria, figlio primogenito del re Roberto d'Angiò. Il percorso, tagliato sinuosamente sul ripido versante orientale del colle, viene infatti

creato per il trasporto del materiale necessario ai lavoriche hanno inizio nel 1325 sotto la direzione degli ar-chitetti Tino di Campiono e Francesco de Vito”5. La costruzione del monastero viene completata nel 1368sotto la regina Giovanna I che elargisce donazioni di ren-

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18 Via Pedamentina di SanMartino, particolare della piantadi Atonie Lafrery del 1566.

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dite e di terreni tutt'intorno. Il nucleo primitivo della Certosa, con una comunità formata da appena tredici Pa-dri, è racchiuso tra la chiesa ed il retrostante chiostro grande, ma di esso sono rima-ste tracce isolate dopo la radicale trasformazione avviata dai Certosini a partire dallafine del Cinquecento, mutando il volto della Certosa da gotico a barocco. Nel 1329 si avvia l'edificazione del Castel Sant'Elmo voluto da Roberto d'Angiò adia-cente al complesso di San Martino e sul luogo ove, probabilmente già in età nor-manna, era situato un torrione detto Belforete. Della costruzione angioina, non resta più traccia giacchè la fortezza viene rifatta com-pletamente tra il 1537 ed il 1547. Realizzato nella massa tufacea della collina, con una singolare pianta stellare a seipunte, il castello è voluto dal viceré Pedro da Toledo come fulcro del sistema difen-sivo della città. E' dunque dall'età angioina che ha inizio il processo di urbanizzazione della collinacon il sorgere di ville e casini immersi in una rigogliosa vegetazione, tra un paesag-gio agrario lavorato a poggi ed a terrazze. Il tracciato della Pedamentina diviene, allora, uno dei percorsi privilegiati per l'ac-cesso alla zona, celebrato per la splendida posizione ambientale come ricorda il Chia-rini: "Eccoci di ascendere l'amenissimo colle di Sant'Erasmo volgarmente addiman-dato Santermo o Santelmo, tutto sparso di casini e di giardini e che, restringendosil'alta base, va a terminare in un vertice la cui punta culminante vedesi coronata dalmaestoso castello che sta a guardia dell'intera città, e nella cima più depressa dallaReale Certosa di San Martino". Probabilmente all'inizio la Pedamentina è formata solamente da alcuni tornanti cherisalgono il fianco della collina con andamento ampio e regolare come appare nellaveduta cartografica della città di Duperac-Lafrery del 1566. Solo in seguito, con l'accrescersi del suo utilizzo e l'inserimento nel perimetro mura-rio, vengono costruite le scale di cui abbiamo una precisa rappresentazione nella Piantadel duca di Noja del 1775. La gradonata inizia dal piazzale di S. Martino, è una passeggiata molto interessanteda un punto di vista paesistico perché non essendo stata chiusa tra cortine di pa-

19 Via Pedamentina di SanMartino. 19

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lazzi,offre un ampia veduta, dall'alto, di tutto il nucleo più antico di Napoli, di cuisi distinguono nettamente il tracciato viario, le fabbriche più importanti, le chiese.Nonostante questa sua posizione invidiabile, è uno dei pochissimi esempi risparmiatidagli scempi della speculazione edilizia. Percorrendo le scale si incontrano anche tratti dell'antica mutazione cinquecentescavoluta da Pedro da Toledo. Lungo la prima parte, quella immediatamente al di sotto del Piazzale di S. Martino,la Pedamentina costeggia diversi edifici abbandonati e fatiscenti, che andrebbero re-cuperati e ristrutturati. Nell' ultimo tratto, prima del Corso Vittorio Emanuele, la gradonata attraversa unantico nucleo abitato, in cui le condizioni di degrado, il bassissimo livello igienicodelle abitazioni e la carenza di servizi rende urgente un intervento di ristrutturazione.Al Corso la pedamentina sbuca alle spalle dell'Ospedale Militare e di qui, per rag-giungere il centro, il percorso offre due alternative: la discesa di vico Trinità delle Mo-nache o le scale di Montesanto. Il vico Trinità delle Monache che costeggiando l'Ospedale Militare prosegue in viaPasquale Scura, la vecchia via dei Settedolori dal nome della chiesa che vi si affaccia,è sicuramente l'originario tracciato conclusivo della Pedamentina, ma oggi, carrabile,è il meno agevole a piedi. Infatti dal Carletti citiamo "discese dal Castello per la strada di Santa Maria de'settedolori". L'ampia scala di Montesanto, invece, inaugurata nel 1880, un tempo denominataRione Filangieri, fiancheggia il tracciato della Funicolare e termina a piazza Monte-santo, alle spalle della Pignasecca.

Salita CacciottoliLa salita -o gradini- Cacciottoli gioca un ruolo alternativo o complementare a quellodella Pedamentina di San Martino, in quanto anch'essa congiunge i due vecchi nu-clei di San Martino e del centro storico. Il percorso è già citato con questo nome dal Celano che ricorda "un lungo percorso

20 Salita Cacciottoli.20

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Evoluzione storica

detto i Cacciuottoli per un delizioso casino e villa edificata da uno di questo casato". La famiglia, originaria di Procida, aveva fin dal XVII secolo possedimenti nella zona,ceduti poi ai Padri Pii Operai "ai quali serve per luogo di delizie e ricreazione". “Il tracciato inizia a Piazza Leonardo ma basterebbe un minimo intervento per allac-ciare, con una rapida scorciatoia, tale piazza a via Bonito; in effetti il prolungamento,a monte, dei Cacciottoli consentirebbe anche ora di raggiungere San Martino, se nonfosse per il passaggio obbligato attraverso l'interno di un palazzo a doppia uscita chei proprietari non consentono”. Dall'altra parte di piazza Leonardo, invece, il percorsoscende verso il centro, in alcuni tratti con scale ripide, in altri con gradinate più dolci;passando prima sotto il ponte di via Girolamo Santacroce e poi sotto quello del CorsoVittorio Emanuele, entrambi di costruzione evidentemente posteriore. All'altezza delcorso la discesa cambia nome e diventa Sant'Antonio ai Monti. Bisognerebbe dire che le scale di cui sopra sono tra quelle vomeresi le meno note epraticate, una sorta di percorso nascosto che si sviluppa in buona parte al di sotto dellivello stradale. Il tracciato si sviluppa in una sorte di vallone lungo il fianco orientale della collinaed in origine doveva, senza dubbio, avere una valenza ambientale e paesaggistica no-tevole andata distrutta, in età borbonica, al momento della costruzione del Corso Vit-torio Emanuele che ha relegato a livello di fondaco il tessuto urbano preesistente. Una chiara visione di questo scempio si coglie affacciandosi dal Corso nel punto incui sovrasta i Cacciottoli dove la violenza operata sul territorio appare in tutta la suaevidenza. Il percorso-estremamente funzionale nei collegamenti tra la città alta e quellabassa- versa, dunque, in condizioni di degrado, abbandono ed emarginazione socialeche ne rendono purtroppo difficile l'agibilità, ciò nonostante avrebbe potenzialmentenotevoli caratteristiche ambientali e di paesaggio.

Salita Sant’Antonio ai Monti Il percorso gradinato, inserito nel quartiere di Monte-calvario, rappresenta il naturale prosieguo di quello deiCacciottoli, collegandosi ad esso all'altezza del Corso per

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Salita Sant’ Antonio ai Monti,particolare della pianta diAtonie Lafrery del 1566.

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poi giungere, in ripida discesa, fino a Montesanto. Il toponimo è legato alla presenza di una chiesa fondata nel 1607 da Carlo Carafa eche fu casa di noviziato dei Padri Pii Operai di San Giorgio Maggiore. Nel 1654 il principe Tocco di Montemiletto comprò una casa rustica con giardinoposta a cavallo della cosiddetta Valle dei Monti la maggiore depressione orograficache avrebbe incontrato nel suo percorso il futuro corso- in un sito con bella vedutadel golfo. Abbatuta la casa il Principe vi edificò un sontuoso palazzo con logge, giardini pensilie tutto ciò che allora si confaceva ad una dimora signorile. Si racconta che tra gli oggetti preziosi conservati nel palazzo vi fosse anche l'insolitareliquia, veneratissima dai fedeli, del "piede di Sant'Anna" portata dalla Grecia dauno dei Tocco (oggi è conservata nel Duomo, nella cappella dei Capace Galeotta) evisitata nelle festività da folle di fedeli devoti. Il palazzo esiste oggi nel rifacimento ottocentesco con la facciata principale sul corso.La salita S.Antonio ai Monti ha l'aspetto di uno di quei tipici vicoli di Napoli. Le lunghe gradinate, ben visibili nel loro andamento ripido e sinuoso dal ponte delCorso, si sviluppano tra due cortine di alti edifici che si susseguono senza lasciareneanche il minimo spiraglio e dove le condizioni igienico sanitarie delle abitazioni,per il problema della sovrappopolazione, raggiungono livelli intollerabili. Oggi, come tanti vicoli napoletani, le scale assolvono alla funzione di spazio aggre-gante, teatro di un mondo domestico in cui i bambini giocano e gli adulti del luogosi incontrano ed intrattengono. Questa pedamentina termina a piazzetta Olivella adiacente all'affollatissima piazzettadi Montesanto.

Pendino di Santa Barbara"E' dimostrata la posizione antichissima di questo sito…" dice il Carletti (1776) "nelquale giungeva ne' tempi antichissimi il Mare per cui tutta questa parte della Città èdono del Mare istesso". L'intera zona, infatti, si sviluppa in età medioevale quando assume la sua conforma-

22 Pendino di Santa Barbara.22

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zione urbana sopravvivendo agli sventramenti tardo-ottocenteschi dei "quartieri bassi".Il tessuto si dirama in strade strette, dall'andamento tortuoso, che contrastano con ilvicino impianto regolare del tracciato greco-romano. Il nostro percorso parte dalla piccola piazza Ecce Homo e scende ripido verso il Se-dile di Porto con una lunga scalinata che in parte si sviluppa coperta tra i fabbricati.Il termine pendino (da pendio) sta ad indicare l'accentuata pendenza della gradonatache deriva il nome da un'antica chiesetta, ora scomparsa, intitolata a Santa Barbarae fondata nel 1194 da monaci brasiliani. La scala, sul versante superiore, si snoda adiacente all'antico Palazzo Penna che resta,oggi, uno dei rarissimi esempi di architettura civile del Quattrocento. Nell'epigrafe sul portale è infatti ricordata la data di fondazione 1406 per volere delnobile Antonio Penna, consigliere e segretario del re Ladislao di Durazzo. L'edificio che "or si trova così squallido, non curato, e diremmo quasi abbandonato…"era in origine, costituito da più corpi di fabbrica digradanti verso il mare, adorno dicortili e giardini, statue e fontane e con un secondo ingresso, ad una quota più bassa,proprio sul pendino di Santa Barbara. Oggi, purtroppo, resta visibile solo la caratteristica facciata a piccole bugne rettango-lari decorate, alternativamente, con una piuma, simbolo araldico della famiglia Penna,ed il giglio angioino. Degno di nota è il portale, ad arco ribassato, ornato da un elegante festone marmo-reo, su cui sono incisi due versi del poeta latino Marziale.

Calata SS.Cosma e Damiano“La gradonata, ampia e comoda, parte dal largo dei Banchi Nuovi giungendo fino avia Sedile di Porto con un andamento quasi parallelo al pendino di Santa Barbara erappresenta una comoda scorciatoia che collega il centro antico con il Rettifilo”6. L’ origine del percorso è legata ad un evento terribile che, il 9 ottobre 1569, colpiscel'intera zona come narra il canonico Celano: "accadde un orrendo diluvio… e tantafu l'abbondanza d'acqua che calò con grande empito per la strada di San Sebastianoe di Santa Chiara rovinando tutte le case dove battè… con la morte di ventiquattro

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persone". Il terreno, devastato dall'alluvione ed abbandonato, viene acquistato dai mercanti cheavevano perso i loro antichi banchi di vendita, siti nella vecchia piazza dell'Olmo,perché abbattuti durante alcuni scontri con le truppe del viceré don Pedro da Toledo.Nascono così i Banchi nuovi, sede di mercato bisettimanale, da cui la zona ha presoil nome. Agli inizi del XVII secolo, caduta in disuso l'attività dei Banchi, il luogo viene com-prato dal marchese Alfonso Sances di Grottola che lo rivende alla Comunità dei Bar-bieri a cui si deve la costruzione, nel 1616, della chiesa dedicata ai Santi Cosma eDamiano. Ancora visibile sul versante superiore delle nostre scale, da cui derivano ilnome, la chiesa si affaccia sul Largo Banchi Nuovi con l'elegante portale seicentescoin piperno ornato, in alto, da una finestra, più tarda, di gusto rococò. L'edificio sa-cro attualmente chiuso ed in gravi condizioni di abbandono e di degrado deriva dauna riutilizzazione delle strutture a loggia dei Banchi, ancora ravvisabili nell'impiantointerno della chiesa divisa in tre crociere con quattro pilastri. Il tracciato delle gradonate, secondo il Celano, viene aperto nello stesso 1569, annodell'alluvione da Alfonso Sances di Grottola per isolare il suo palazzo (attuale palazzoGiusso, sede dell' Istituto Universitario Orientale). "In questo vicolo vi si vedono comodissime case, con deliziose fontane e una piccolaChiesa dedicata al Santo Dottore Girolamo, detto dei Ciechi, perché quei, nei dì fe-stivi, qui venivano adunati per ascoltare la divina parola ed a ricevere i Sacramenti,come anco qualche caritativa sovvenzione". Edificata nel XVI secolo e più volte re-staurata, la chiesetta è chiusa dal terremoto del novembre 1981 e si aggiunge all'altonumero di chiese cittadine ancora da recuperare e riutilizzare. La calata, fin dalla sua fondazione, unisce la parte alte dei Banchi Nuovi con la cittàbassa e portuale. Con il Risanamento, la zona subisce un innalzamento della quotanella sua parte inferiore per raccordarsi meglio alla via Sedile di Porto, anch'essa rial-zata ed allargata rispetto allo stretto vicolo medioevale.

23Calata SS.Cosma e Demetrio.23

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1 Teatro.

EMERGENZE ARCHITETTONICHE

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Discesa Gaiola

Il Complesso Residenziale di PausilyponIn epoca romana, già dal periodo repubblicano e durante i primi secoli dell'impero,il comprensorio delle coste napoletane-flegree fu interessato dall'insediamento di nu-merose ville, appartenenti a grandi esponenti politici e dell'aristocrazia. In particolare, sulla collina di Posillipo fu innalzata una imponente residenza, il Pau-silypon, che ha dato successivamente il nome a tutto il promontorio, un impiantoveramente degno di nota, l'unica villa imperiale conosciuta nell'area napoletana, unlcomplesso, che si distende tra la baia della Gaiola e Trentaremi. Organizzato in più corpi, viene realizzato nel corso del I secolo a.C. dal ricco pro-prietario Pubblio Vedio Pollione ,importante personaggio politico all'epoca dell'im-peratore Augusto, governatore d'Asia, probabilmente originario di Benevento, dovefece costruire un tempio in onore di Augusto. Gli scrittori antichi (Plinio, Dione Cassio, Seneca) ricordano di lui soprattutto legrandi ricchezze e l'efferata crudeltà. Famoso è un episodio avvenuto proprio a Po-sillipo. Si racconta che Pollione volesse gettare in pasto alle murene un suo servo, col-pevole di aver rotto inavvertitamente un suo vaso di vetro; ma l'imperatore Augusto,ospite del ricco proprietario, salvò il servo ed ordinò didistruggere l'intera collezione di vasi. Alla sua morte Ve-dio Pollione lasciò la villa ad Augusto ed ai suoi succes-sori, i quali provvidero ad ingrandirla e a dotarla dei ser-vizi necessari al funzionamento di una residenza impe-riale. Il complesso occupava un'area vastissima, dalla cala diTrentaremi a Marechiaro: edifici residenziali, quartieri pergli ospiti e gli addetti ai servizi, impianti termali, ninfei,giardini, si estendevano scenograficamente sulle pendicidella collina, i cui dislivelli erano stati sistemati con ter-rapieni e ampi terrazzamenti, fino ad addentrarsi con co-

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2 Palazzo dei Sospiri.

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struzioni avanzate quasi fin dentro al mare. Imponenti resti di tali costruzioni sono visibili a Marechiaro (Tempio della Fortuna)e, nella cala di San Basilio (Palazzo degli Spiriti), e soprattutto nel vallone della Gaiola.Sulla terrazza più alta è ubicato un teatro, con la cavea dal diametro di metri 47e 19ordini di sedili, capaci di accogliere 2000 spettatori, che fa da pendant ad un odeona picco sul mare che lo fronteggia, edificio questo destinato agli spettacoli musicali.Francesco Alvino nel suo saggio su Posillipo, avanza a tal proposito una tesi moltointeressante. Nell'area in questione, più visibili ai suoi tempi, non erano presenti solo i resti diqueste preesistenze monumentali, ma anche quelli di edifici comuni, assai vicini fraloro, tal volta costruiti in continuità, nonché avanzi di larghe strade selciate comequelle di Pompei ed Ercolano e segni di antichi servizi e infrastrutture. Sulla scorta di tanti reperti archeologici Alvino ipotizza che a Marechiaro e alla Gaiolanon vi fosse soltanto qualche villa, per quanto ampia e lussuosa, ma una vera e pro-pria città. La sua tesi si basa principalmente su due osservazioni: la prima sulla grandezza delteatro e la seconda sulla qualità costruttiva e la lunghezza della grotta che unisce laGaiola a Bagnoli (la cosiddetta Grotta di Seiano), che secondo lui non poteva servireuna o più ville, ancorché monumentali, ma doveva collegare un'intera città con iCampi Flegrei. L'ipotesi che tra Marechiaro e la Gaiola esistesse un insediamento antico, assai piùvasto di quello che si riteneva, sarebbe confermata dallo studio del Günther del 1903,che pubblica un rilievo in cui si vede che, a causa del fenomeno del bradisismo, laparte oggi sommersa dell'area era molto maggiore di quella che oggi appare in su-perficie. Per completare questi cenni sulla Posillipo romana, va ricordato che la colo-nizzazione della collina iniziò certamente dal versante occidentale: questi nuclei ro-mani di cui si è parlato costituirono non una propaggine della Neapolis, ma dei CampiFlegrei. Villa imperiale o città che fosse l'insediamento più antico, era su un'area voltaponente, visibile cioè da Pozzuoli e da Baia, ma non da Napoli.

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Emergenze Architettoniche

La Grotta di SeianoProbabilmente per dare un comodo e rapido accesso al Complesso Residenziale diPausilypon e forse anche per ottenere il materiale necessario alla costruzione del com-plesso fu realizzata la Grotta di Seiano, la grandiosa galleria lunga circa ottocento me-tri, larga in media cinque ed alta poco più di sette metri, che, partendo dall'ultimotornante dell'attuale discesa Coroglio, fora la collina di Posillipo, sbucando nel val-lone della Gaiola. Le dimensioni interne della galleria non sono uniformi da un capoall'altro: il lato orientale (Gaiola), dove il tufo è più compatto, non ebbe bisogno disupporti interni; sul lato occidentale (Coroglio), poiché il cunicolo fu scavato in untufo poco compatto e addirittura nella pozzolana, fu necessario invece realizzare mu-rature di sostegno. Tre aperture sulla baia di Trentaremi assicurano la ventilazione dellalunga galleria. Il ritrovamento della galleria - che era conosciuta dagli umanisti na-poletani, tanto è vero che al Pontano si deve il nome attribuito al cunicolo avendoegli formulato l'ipotesi che l'opera fosse stata fatta costruire dal ministro di Tiberio,Seiano - avvenne nel maggio del 1840, durante la costruzione della strada tra Coro-glio e Bagnoli. Il re Ferdinando II diede ordine di riattivare il passaggio. Furono avviati imponenti lavori di scavo della galleria, che era quasi del tutto inter-rata, e fu necessario realizzare opere di sostegno nel lato verso Coroglio, come i grandiarchi in tufo, tuttora in opera, che hanno ridotto l'apertura originaria. La galleria fu riaperta nel luglio del 1841.

Calata San Francesco

La Floridiana ed il Museo Duca di Martina La Floridiana è un complesso formato da un grande parco e da una villa che ospitail Museo Nazionale delle Ceramiche Duca di Martina. Sorge al limite sud della collina del Vomero ed offre un magnifico panorama del golfodi Napoli. Il parco ha due ingressi uno su via Cimarosa e l' altro su via Aniello Fal-cone. Il complesso fu voluto nel 1816 da Ferdinando I di Borbone quale residenzadi villeggiatura per la moglie morganatica Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia e ve-

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3 Ingresso alla Grotta di Seiano.

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dova del Principe di Partanna Benedetto Grifeo. La ristrutturazione della villa con ilparco circostante venne affidata da Ferdinando all'architetto, di origine toscana, An-tonio Niccolini, perché l'ampliasse e la ristrutturasse in forme neoclassiche. L'architetto Niccolini realizzò una villa, del tutto nuova, dalla pianta perfettamenteregolare, con un corpo centrale rettangolare e con due brevi ali perpendicolari ad esso,che accompagnavano e concludevano idealmente nel grande spiazzo antistante l'edi-ficio. Sul lato opposto, costruì una rampa a doppia tenaglia che si aggancia prospet-ticamente al rivestimento in lava del basamento e che prosegue con una fuga spetta-colare nella lunga scalinata marmorea del giardino sottostante. Egli seppe accostare con grande armonia gli edifici della Floridiana e di Villa Lucia,(che era allora parte integrante della proprietà), entrambe di gusto neoclassico, allasistemazione "all'inglese" del parco. Nella sistemazione del parco, Niccolini fu abile nel creare movimentato alternando lepraterie e le ampie aperture di effetto scenografico con una rapida successione di cupezone d'ombra, boschetti, e balze scoscese. Nelle zone in prossimità degli edifici, egli preferì, invece, adottare soluzioni regolarie simmetriche, che meglio si accordavano al carattere neoclassico delle costruzioni. Si conservò, della più antica sistemazione del parco, l'andamento rettilineo del vialed'accesso, in modo che la villa fungesse da sfondo di quel lungo cannocchiale ottico. In altre zone del parco egli adottò soluzioni tipiche del giardino "all'inglese": nel tem-pietto ionico dell'estremo sperone occidentale che si protende a dominare la vallatasottostante; nella zona piantata esclusivamente con camelie in modo da formare unvero e proprio boschetto; ma soprattutto nel "Teatrino della Verzura", che rappre-senta un esempio raro ed originale di architettura del verde, la cui pianta ellittica èperfettamente delimitata da una bassa siepe di bosso e da una doppia gradinata inpiperno per la platea, dove il passaggio degli attori è costituito da quinte arboree dimirto. L'originaria sistemazione del parco è rimasta nel tempo pressocché inalterata fatta ec-cezione per il mutamento apportato al viale principale nell'ultimo quarto dell'Otto-cento che spezza l'andamento rettilineo e che prosegue con viali curvi in modo danascondere a chi li percorre la vista della villa, per farla poi apparire sullo sfondo del

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Emergenze Architettoniche

grande prato centrale, accentuando sensibilmente l'effetto scenografico dell'insiemedel parco. I lavori si conclusero nel 1819.A quella data il complesso comprendeva due ville (Villa Lucia e Villa Floridia), il tea-trino all'aperto, il tempietto circolare, finte rovine e serre, tutto rigorosamente in stileneoclassico. Alla morte della coppia regale, il complesso fu ereditato dai figli del primo matri-monio della duchessa. Villa Lucia e parte del parco furono poi venduti a privati. La Floridiana e il resto delparco furono acquistati nel 1919 dallo Stato, che vi espose la collezione di ceramichericevuta in donazione da Maria Spinelli di Scalea, che l'aveva ereditata dallo zio Pla-cido di Sangro, duca di Martina, da cui il museo prende il nome. Il duca di Martina Placido de Sangro, secondogenito di Riccardo, duca di Sangro, edi Maria Argentina Caracciolo, nacque a Napoli nel 1829; membro di una famigliaillustre, andato al fratello primogenito Nicola il titolo paterno del ducato di Sangro,assunse tale titolo dalla madre, ultima discendente dei Caracciolo duchi di Martina.Strettamente legato alla corte borbonica, insignito dell'ordine costantiniano di SanGiorgio, fu "gentiluomo da camera con esercizio" di Ferdinando II e poi di France-sco II. Il padre Riccardo fu al fianco di Francesco II nell'assedio di Gaeta (1860-61)durante il quale morì lasciando la famiglia fortemente compromessa con il vecchioregime. Fu forse per questo che poco dopo l'Unità d'Italia i de Sangro decisero di trasferirsia Parigi dove il duca di Martina si affermò tra i maggiori collezionisti del momento.Nel 1869, quando decise di rientrare a Napoli nella sua residenza di Palazzo de San-gro a piazzetta Nilo 7, continuò ad essere annoverato fra i più importanti collezioni-sti e partecipò alle più importanti esposizioni di arte antica napoletana. Le scarse notizie fino ad oggi conosciute sul personaggio, comunque non aiutano apenetrare a fondo nella formazione della sua figura di collezionista, cosicché oggi, di-spersi i suoi carteggi e le sue note autografe, sono so-stanzialmente gli oggetti da lui raccolti, e acquisiti alleraccolte pubbliche grazie al lascito fattone nel 1911 dalnipote omonimo Placido de Sangro, conte dei Marsi (se-

4 Museo Duca di Martina,immagine della facciata nord. 4

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condogenito del fratello maggiore Nicola), a fornirci le indicazioni più precise sullapersonalità e sul gusto del duca di Martina. La donazione, composta da oltre 5300 pezzi doveva in realtà essere ancora più am-pia in quanto ne faceva parte un cospicuo nucleo di altri oggetti, poi ricongiuntisi alresto della collezione solo nel 1970 grazie al legato di Riccardo de Sangro ultimo ducadi Martina. La collezione, di quasi seimila pezzi, raccoglie porcellane cinesi, porcellane di Meis-sen, ceramiche del '400 e '500, ventagli, tabacchiere, portagioie. La ricca collezione di oggetti, messa insieme nella seconda metà dell'Ottocento daPlacido de Sangro, duca di Martina rispecchia fedelmente quel clima di entusiasmoe di rivalutazione per le cosiddette "arti minori" che, sull'onda delle grandi esposi-zioni universali, si diffuse ben presto in tutta Europa, modificando in modo sostan-ziale il gusto ed il concetto stesso di collezionismo, portando nel volgere di pochi de-cenni alla formazione di innumerevoli collezioni e musei dedicati alle arti applicate.Appassionato estimatore e conoscitore di ogni tipo di manufatto, il duca di Martinaacquistando oggetti nelle maggiori capitali europee radunò a partire dagli anni ses-santa dell'Ottocento una imponente collezione che comprende quasi tutte le produ-zioni artistiche "minori": vetri, cuoi, coralli, avori, smalti, tabacchiere e soprattuttoporcellane e maioliche, che occupano all'interno della raccolta il ruolo di maggiorerilevanza. Della originaria raccolta facevano parte inoltre, un numero esiguo di dipinti, appena28 opere di medio e grande formato, successivamente integrato con altre tavole e teleselezionate dalle raccolte del Museo Nazionale pervenute nel 1929 e nel 1930. Negli anni Settanta si decise di esporre accanto alle porcellane una selezione di boz-zetti napoletani del Settecento (Filippo Falciatore, Francesco de Mura, Domenico An-tonio Vaccaro, Francesco Solimena ed altri), scelti tra i dipinti dei musei di Capodi-monte e San Martino. La raccolta ha subito un ulteriore importante arricchimento nel 1978 quando unerede del duca di Martina, Riccardo de Sangro, lasciò al museo in legato testamen-tario una collezione di 580 oggetti fra porcellane, maioliche e mobili provenienti an-ch'essi dalla originaria raccolta di Placido de Sangro.

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Emergenze Architettoniche

La donazione di rilevantissimo valore storico artistico e che va ad integrare e com-pletare il nucleo principale della collezione, viene oggi per la prima volta presentataal pubblico dopo essere stata ufficialmente acquisita dallo Stato italiano. Interamente dedicato alle porcellane di manifattura europea è il primo piano del mu-seo; vi spiccano per importanza, qualità e numero dei pezzi le raccolte della mani-fattura sassone di Meissen (la prima in Europa a produrre porcellana a pasta dura) edelle manifatture borboniche di Capodimonte e di Napoli, e di quella del marcheseGinori a Doccia, oltre che il gruppo delle porcellane francesi che comprende quellea pasta tenera di Chantilly, Rouen, Saint Cloud, Mennency, ed una bella raccolta dipezzi di Sévres. Sono ancora esposte piccole ma scelte selezioni della manifattura di Vienna, dellemaggiori fabbriche tedesche e italiane. Accanto al nucleo delle porcellane europee vi è la vasta raccolta di arti orientali, por-cellane cinesi e giapponesi, cui si aggiungono bronzi, giade e smalti, che si imponecome una delle più importanti d'Italia in questo settore. L'altro importante nucleo della raccolta, quello delle maioliche, è esposto al pianoterreno del museo e comprende ceramiche hispano-moresche decorate "a lustro" dellamanifattura di Manises, maioliche rinascimentali di Deruta, Gubbio, Faenza, Palermoed ancora maioliche seicentesche di Castelli di Abruzzo.

Via Pedamentina di San Martino

Castel Sant’ElmoDomina la Certosa di S. Martino il Castel S. Elmo, che sorge in vetta ad un colle,alto mt. 249, chiamato anticamente Paturcium, nel luogo dov'era dal secolo X unachiesa dedicata a S. Erasmo (da cui Eramo, Ermo, Elmo). E' una formidabile costruzione, in parte scavata nel monte che ne costituisce il nu-cleo interno, a pianta di stella allungata a se punte, senzatorrioni, circondata da bastioni, da un fossato (tranne asud) e, specialmente a nord, da fortini di varia forma e

5 Castel Sant’Elmo e la Certosadi San Martino. 5

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di diverse epoche.Fu costruito, col nome di Belforte, nel 1329 da Robertod' Angiò, al posto della chiesa del X secolo intitolata aS. Erasmo. Architetti e cotruttori furono gli stessi che edificaronola vicina Certosa di S. Martino, Francesco de Vito e Tinoda Camaino. A quest'ultimo successe nel 1336 Atana-sio Primario e alla sua morte, avvenuta nel 1340, Bal-duccio de Bacza.

Completato nel 1343, fu poi interamente rifatto da Pierluigi Scrivà ( 1537 - 46), perordine del viceré spagnolo Pedro di Toledo. Grandi critiche sollevò la forma stellata del forte privo di torrioni, in luogo dei qualierano state applicate, nel fianco delle cortine, enormi cannoniere aperte negli angolirientranti. Fu teatro di numerosi avvenimenti storici di rilievo, di cui si citeranno i più signifi-cativi. Subì il primo assedio nel 1348. Nel 1390 fu ceduto, dietro compenso, ai par-tigiani di Luigi II d' Angiò. Appartenne quindi a Ladislao, e alla sua morte (1414)alla sorella Giovanna II. Nella contesa che seguì per la successione tra Alfonso d' Aragona e Renato d' Angiò,esso si tenne dalla parte di querst' ultimo che lo cedette, per denaro, al rivale arago-nese (1442). La spedizione francese comandata da Lautrec (1528) ne pose in evidenza l'impor-tanza strategica, suggerendone il rafforzamento. Si comprese infatti che da quel luogo si poteva abbattere tutta la città.Nel 1587 un fulmine caduto sulla polveriera fece saltare in aria buona parte della for-tezza, tra cui la fortezza e la casa del Castellano, uccidendo 150 uomini. Nella rivoluzione di Masaniello (1647) vi si rifugiò il viceré Luca d' Arcos, poi il po-polo tentò invano di impadronirsene. Fu assediato dagli Austriaci nel 1707; nei moti del 1799 fu preso facilmente dal po-polo, poi occupato con l'astuzia dai repubblicani, che il 21 gennaio vi piantarono ilprimo albero della libertà e il 23 vi innalzarono la bandiera della Repubblica Napo-

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Foto aerea di Castel Sant’Elmoe della Certosa di San Martino6

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letana. Alla venuta del Cardinale Ruffo, fu l'ultimo a capitolare dopo un violento as-sedio (28 giugno - 10 luglio) che lo danneggiò molto che divenne carcere dei patriotivinti. Fu ancora prigione dei liberali che nel '48 si batterono per la Costituzione; fi-nalmente fu occupato da Garibaldi, venendo meno così al suo duplice compito didifesa della città, ma anche di minaccia contro i movimenti contrari alla dominazionepolitica del momento. Prima dell'attuale sistemazione e utilizzo mussale, fu carceremilitare.

La Certosa di San Martino“La Certosa di S.Martino fu un celebre monastero, iniziato nel 1325, per volontà diCarlo duca di Calabria, figlio primogenito del re Roberto d'Angiò e compiuto nel1368 dalla regina Giovanna I. Vi lavorarono gli architetti Francesco de Vito, Mazzeodi Malotto e Tino di Camaino, poi Atanasio Primario (1336) e Balduccio de Bacza(dal 1340)”7. I primi Certosini vi entrarono nel 1337; la chiesa fu inaugurata solennemente nel1368. Di questo primitivo nucleo rimangono l'ossatura della chiesa, avanzi delle fon-damenta della Certosa e tracce nel chiostro. Nell'ultimo ventennio del '500 incominciarono radicali lavori di decorazione e di am-pliamento per opera del fiorentino G.A. Dosio; alla sua morte (1609) subentrò Gio-vanni Giacomo di Conforto, e dal 1623 assunse i lavori Cosimo Fanzago, che ebbeparte preminente nel fare del monumento l'espressione più bella e significativa delbarocco secentesco napoletano. A lui si deve la chiesa con unica navata con cappelle. Se la storia più antica della Certosa ha lontane e complesse origini, quella modernanon è priva di altre e molteplici vicende. In particolare sono gli eventi della politicache maggiormente hanno turbato la vita dei Certosini con conseguenti riflessi sulladestinazione d'uso della veneranda fabbrica. Avendo simpatizzato dei Giacobini del 1799 ed accoltocon una famosa cena il generale Championnet, essi fu-rono puniti al ritorno di Ferdinando IV, dispersi e laCertosa abbandonata. Nel 1804 ottennero il perdono,

7 Certosa di San Martino,chiostro 7

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furono riammessi a S.Martino e al godimento dei loro beni, ma, tornati i Francesi,subirono danni ancora più gravi di quelli relativi alla prima restaurazione borbonica.Infatti la Certosa fu convertita in alloggio dei militari invalidi e i religiosi trasferitinel 1807 in parte alla Conocchia, e in parte a S.Nicola da Tolentino. Riconquistatanuovamente la loro sede nel 1831, i monaci non ebbero fortuna neanche con lo Statounitario: ridotti a poche persone, videro il loro istituto religioso soppresso e la Cer-tosa passare nelle mani del Ministero della Pubblica Istruzione. Dopo il 1866, infatti, per iniziativa dell' archeologo Giuseppe Fiorelli, fu destinata araccogliere i ricordi della Storia Napoletana come Museo Nazionale di S.Martino.Notevoli i Giardini della Certosa, a cui si accede dal fondo dell'androne. I primi dueripiani in alto furono restaurati nel 1969 - 70 e aperti al pubblico. Per gli straordi-nari scorci panoramici tra il verde delle vigne e dei pioppi si possono considerare trai più bei giardini del mondo. Il ripiano più in alto, con accesso diretto dall'androne,era l'anticamente l'erbario della farmacia dei monaci; il ripiano intermedio era l'ortodel Priore, e il più accurato architettonicamente con un bel pergolato settecentesco esedili in battuto di lapillo; i ripiani inferiori erano le vigne dei monaci, contornatedalla passeggiata.

Pendino di Santa Barbara

Palazzo PennaRarissimo esempio di architettura civile del XV secolo a Napoli, il palazzo Pennavenne costruito nel 1406, come ricordato dall'epigrafe posta sul portale, per voleredel nobile Antonio Penna, gran siniscalco del re Ladislao di Durazzo. L'edificio, per il cui progetto è stato avanzato il nome di Antonio Baboccio da Pi-perno, fonde elementi catalani (come l'arco ribassato) con stilemi toscani, evidentinell'uso del bugnato. La facciata principale è appunto ricoperta da bugne decorate alternativamente con glistemmi della famiglia proprietaria del palazzo (con il simbolo araldico della piuma)e quelli della corte (i gigli angioini).

8 Palazzo Penna, facciata supiazzetta Monticelli.

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Emergenze Architettoniche

L'edificio è coronato da un cornicione, sostenuto da archetti acuti, anch'esso a bu-gne, che reca incise le corone e le armi dei Durazzo. Al di sopra del portale ligneo,ad arco ribassato, tipico del periodo durazzesco, ancora quello originario, scorre unfestone con incisi due versi del poeta latino Marziale. Superato il portone si accede ad un cortile interno, arricchito da un bel portico a cin-que arcate con un grazioso giardino ancora oggi in parte conservato. Nel cortile in origine si affacciavano sedici scuderie per circa quaranta cavalli e seicarrozze, mentre il maestoso portico era adornato da statue di epoca romana. Nell'appartamento al primo piano vi erano due saloni, di cui uno affacciava sul por-ticato e l'altro su un cortile che immetteva nel parco. Una scala di piperno portava al secondo piano, dove vi era una gran terrazza con labalaustra sempre di piperno. Scendendo lungo il lato occidentale, nell'oscuro Pen-dino di Santa Barbara, alzando lo sguardo, si possono ancora ammirare due belle fi-nestre a croce guelfa: sono quelle del secondo appartamento. Non possiamo individuare con certezza il lodevole architetto di questa costruzione.Forse Masuccio (secondo il De Dominici), forse Baboccio da Piperno (secondo i Ce-lano). Questa seconda ipotesi sembra più attendibile, perchè Masuccio, se mai è esi-stito, sarebbe morto qualche anno prima. Alla morte di Antonio Penna, il palazzopassò al nipote Onofrio, poi alla famiglia Rocca e, infine, nel 1558, ad Aloisia Scan-napieco Capuano che, a sua volta la donò, in fedecommesso, al figlio Giovan Gero-nimo, consorte di Lucrezia de Sangro. Nel 1683 la casa fu acquistata dall'Ordine dei Padri Somaschi e ad essi restò fino allasoppressione degli Ordini religiosi, nel decennio di dominazione francese del primoOttocento. Il palazzo passò allora in proprietà dell'abate Teodoro Monticelli, illustrevulcanologo, che vi sistemò le sue preziose collezioni di minerali e una ricca biblio-teca, purtroppo da tempo trasferita altrove. Il Monticelli, appartenente all'Ordine dei frati Celestini (quelli di san Pietro a Majella),fu insegnante di Storia Ecclesiastica e di Etica all'Università, ma a causa delle sue ideeliberali nel 1794, fu condannato a scontare dieci anni di carcere nell'isola di Favi-gnana. Fu liberato solo grazie all'intervento del Papa Pio VII e, divenuto abate, potèrientrare a Napoli, durante il regni di Gioacchino Murat.

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Qui però preferì lasciare l'insegnamento per dedicarsi agli studi scientifici, in parti-colare di geologia vesuviana. Talvolta l'abate si recava infatti per i suoi studi a Pozzuoli, Cuma, Ercolano o Pom-pei e, quando possibile, non disdegnava di occuparsi del commercio di pietre pre-giate, il che lo rese molto ricco, assicurandogli un'agiata vecchiaia. Spesso la sua casa, ove aveva costituito, come abbiamo detto, un vero museo di mi-neralogia e una ricca biblioteca era frequentata da illustri studiosi dell'epoca. L'abate morì dunque, in agiate condizioni, nel 1845 e il museo e la biblioteca fu-rono donati allora, secondo i suoi desideri, all'Università, mentre il palazzo finì ai suoipronipoti. Quel palazzo è dunque un cimelio prezioso. Speriamo tutti che non vada perso.

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Doti

“Le gradonate caratterizzano i lunghi percorsi pedonali che dalle colline conduconoal centro e al mare e sono storicamente, almeno nel tracciato, le più antiche, sia per-ché nate da vecchi corsi d'acqua, sia perché collegavano, come un cordone ombeli-cale, emergenze monumentali, chiese, monasteri e castelli. Una rete di brevi scale egradinate, adatte ai salti di quota imposti dalle caratteristiche orografiche, accorcia-vano e tagliavano percorsi carrabili necessariamente più lunghi per mantenere unapendenza accettabile”8.Le pedamentine, oggetto di studio, si possono suddividere in tre gruppi, in base alleloro caratteristiche ambientali circostanti. Quelle relative alla zona di Posillipo che at-traversano aree verdi a bassa densità abitativa con ampi tratti panoramici. Nella zona di Coroglio e di Villanova infatti sono presenti terreni, generalmente ac-clivi e sistemati a terrazze, il cui ordinamento colturale prevalente è quello del semi-nativo ad ortaggi, consociato con frutteto misto e vigneto. Non mancano episodi di vigneto specializzato nella zona di Villanova (vitigno Fa-langhina), di agrumeto e frutteto. Sono presenti anche coltivazioni floricole destinatealla produzione di fiori recisi da mazzeria (fresia, violacciocca, calendula, chrysanthe-mum leucanthemum, narcissus tazetta, eccetera), che costituiscono altresì elementopercettivo ad alto valore paesaggistico. L'impressione generale è che i fondi siano a conduzione familiare diretta, e che i pro-dotti, oltre che al conferimento al mercato, siano destinati all'autoconsumo ed allavendita in azienda. Sono state rilevate, inoltre, vaste aree di incolto produttivo. Nella zona di Coroglio tale fenomeno ha carattere ultradecennale ed è da mettere inrelazione al massiccio inquinamento da polveri ed agenti chimici prodotti dai viciniinsediamenti industriali (Italsider e Cementir). In corrispondenza delle linee di im-pluvio e degli affioramenti tufacei, vi sono zone più o meno estese di bosco e mac-chia mediterranea i cui fronti tendono ad avanzare sui contigui incolti.Lungo le pedamentine che partono dal Vomero,invece, pur attraversando un serratotessuto edilizio, si aprono ampi squarci panoramici.

RISORSE NATURALI

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Mentre, lungo Calata SS.Cosma e Damiano e il Pendino di Santa Barbara, la cortinacompatta di edifici non fa vedere l'ambiente circostante,provocando anche una scarsaventilazione e l'assenza di soleggiamento, dovuto principalmente al rapporto tra lalarghezza della pedamentina e l'altezza degli edifici adiacenti.Molti di questi percorsi pedonali, però,sono diventati, per la maggior parte, emargi-nati e inquietanti. I motivi del loro degrado sono causati sia dalle difficoltà di ac-cesso(tranne alcune che sono servite dalla funicolare): la nuova edilizia circostante in-fatti ha stretto sempre più la maglia, chiudendo i possibili sbocchi sia dalla sicurezzaintrinseca del percorso legata cioè alle caratteristiche morfologiche, allo stato e al tipodi pavimentazione, all'illuminazione artificiale e naturale, alla percorribilità per gli an-ziani, per i bambini e per i portatori di handicap. Le nuove esigenze di mobilità e inuovi bisogni abitativi pongono questi percorsi in un'oggettiva condizione di diffi-coltà per cui sempre più l'abbandono e la selezione sociale rendono povere, sia sottol'aspetto sociale che ambientale, queste zone.

Relazione Geomorfologica

In questa relazione si affrontano la storia geologica dei luoghi e i problemi connessial sottosuolo. Il campo vulcanico dei Campi Flegrei, a occidente,e quello di Sommae del Vesuvio, a oriente, ha determinato l'attuale fisionomia del territorio napoletano.La città di Napoli, quindi, nascendo tra i due sistemi vulcanici, e tutto il suo terri-torio, è costituita dai loro prodotti eruttivi di età recentissima, anche se all’attualepaesaggio ha contribuito una intensa attività vulcanica locale più antica.I Campi Flegrei sono un'area vulcanica complessa che comprende il territorio a oc-cidente della città di Napoli, l'abitato cittadino collocato a ovest della depressione delfiume Sebeto, le isole vulcaniche con il litorale domitio fino a lago Patria. Questi luoghi presentano, perciò, caratteristiche molto simili dal punto di vista geo-morfologico, sia pure ognuno con le sue particolarità e una storia recente diversa.Nell'area sono disseminati numerosi crateri e morfologie crateriche sepolte o modifi-cate dall'attività vulcanica più recente, riconducibili a tre eventi principali.

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45Risorse Naturali

Il primo evento é l'eruzione, che ha prodotto l'ignimbrite campana, verificatasi circa34.000 anni prima del presente, in un'area prossima ai Campi Flegrei. Il secondo evento, verificatosi circa 12.000 anni prima del presente, ha prodotto iltufo giallo napoletano che si rinviene con continuità lungo i bordi dei Campi Fle-grei. La formazione delle pomici principali è il terzo evento che risale a circa 9.000anni prima del presente. Successivamente si sviluppò un'intensa attività vulcanica che determinò la formazionedei vulcani di Cigliano, Monte Spina, Solfatara, Astroni e Senga.Un'espressione ancora evidente di questa intensa attività vulcanica sono le manife-stazioni idrotermali presenti in tutto il territorio dei Campi Flegrei. Un esempio è rinvenibile nel bacino di Agnano dove il complesso termale delle "stufe"sfrutta il vapore caldo che fuoriesce dal sottosuolo. In un’area di circa 70 ettari sonopresenti circa 30 sorgenti: le temperature vanno dai 19-20 gradi delle sorgenti freddeai 49-62 gradi delle sorgenti ipertermali. Vi sono inoltre fanghi naturali di composi-zione sulfureo-ferrugginosa, radioattivi, alla temperatura di 50 gradi. Le terme di Agnano erano conosciute anche nell’antichità e ancora oggi sono visibilii resti delle grandiose terme romane poste di fronte alle attuali, ancora funzionanti.Nell'ambito del territorio dei Campi Flegrei, relativamente all'area compresa nel piano,si possono distinguere diversi ambienti. La collina di Posillipo, è formata in gran parteda tufo giallo napoletano con una esigua copertura di prodotti incoerenti dell’attivitàrecente dei Campi Flegrei. Il versante inizia laddove la spiaggia di Coroglio incontrala costa alta. Il tufo giallo affiora lungo tutto il versante. La prima parte, fino alla stazione della vecchia funivia, è molto acclive. Si prosegue verso nord-ovest con diversi andamenti altimetrici, fino all’imbocco dellagalleria della Laziale, ove si apre l’ingresso di un antico “tunnel” romano, noto comela grotta di Cocceo o Crypta neapolitana. L’ingressione del mare unitamente all'erosione ha determinato l’accumulo, alla basedella collina e nella piana, dei materiali sciolti causando l’innalzamento del fondodella piana e un raccordo più dolce con le pareti del versante. L’abbandono dell’attività agricola, che si esplicava su tutto il versante, laddove le pen-denze lo consentivano, l’estrazione del tufo giallo napoletano con il successivo ab-

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2

3

2 Discesa Gaiola

3 Discesa Gaiola

1 Salita del Petraio

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bandono delle cave, l'intensa urbanizzazione della collina, che ha compromesso il si-stema di deflusso delle acque superficiali, l’accumulo sui versanti dei materiali di ri-sulta derivanti dagli sbancamenti, che ha modificato le pendenze originarie: tutto ciòha creato una forte instabilità lungo il versante. Un cenno a parte merita poi l’areache va da Marechiaro a Coroglio, punta estrema del promontorio di Posillipo, dovesi susseguono l’isola della Gaiola, Trentaremi, Cala della Badessa, tra i luoghi più mi-steriosi e affascinanti di Napoli. Fenomeni legati alla subsidenza e al bradisismo, uni-tamente all’azione dell’uomo, hanno creato un ambiente unico nel suo genere. La Gaiola, in epoca romana, non era un’isola bensì la piccola altura di un promon-torio che si estendeva in mare per alcune centinaia di metri rispetto all'attuale lineadi costa. Sul promontorio sorgevano ville e templi, mentre alla base si estendeva unastruttura portuale. Poco lontano vi era l’imbocco di un tunnel che permetteva la comunicazione conCoroglio e Pozzuoli: la grotta di Seiano. Resti di edifici romani sommersi fino a 5 epiù metri, si osservano lungo tutta la costa che, in prossimità della Gaiola, Trenta-remi e Coroglio, è delimitata da pareti verticali fino a circa 150 m. La presenza di queste rovine romane testimonia come il fenomeno del bradisismo, intempi recenti, abbia superato i confini di Pozzuoli investendo anche il territorio cit-tadino. Il promontorio di Coroglio rappresenta la punta più avanzata della collina diPosillipo verso il mare e la sua naturale continuazione è rappresentata dall’isola di Ni-sida, che chiude a oriente il golfo di Pozzuoli.Veniamo ora al sottosuolo e ai problemi connessi. Nella parte pianeggiante dell'areafino alla profondità tecnicamente significativa (50-80 m) il sottosuolo è costituito daterreni piroclastici sciolti attribuiti alle formazioni di Astroni in alto e di Monte Spinain basso. Si tratta, in ambedue i casi, di terreni sciolti a granulometria prevalente-mente limo sabbioso il primo, sabbioso-ghiaioso il secondo. Le caratteristiche geotecniche sono nell'insieme favorevoli. Per le ceneri grigiastre diAstroni si misurano resistenze alla punta nelle prove penetrometriche statiche del-l'ordine dei 50 Kg/cmq. Per le sabbie più o meno ghiaiose marrone-rosato di ManteSpina, le prove penetrometriche statiche mostrano resistenza alla punta elevate, sem-pre superiori ai 100 Kg/cmq che tendono ad aumentare con la profondità. Anche le

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47Risorse Naturali

prove penetrometriche dinamiche SPT dimostrano un elevato addensamento delleparticelle. Parte di questi terreni sono al di sopra del pelo libero della falda freatica esono particolarmente sensibili alle variazioni del contenuto d'acqua provocato da im-missioni di acqua nel sottosuolo (a esempio per la rottura delle fogne a delle con-dotte dell'acquedotto) che determinano cedimenti nei terreni. Tali cedimenti sonostati e sono causa di dissesti nelle strade e negli edifici. Da questo schema stratigra-fico si discostano due zone e precisamente la ristretta fascia costiera e l'ampia concadi Agnano che presentano caratteri molto meno favorevoli. Nella fascia centrale costiera, occupata in parte dallo stabilimento della Italsider, ilsottosuolo è costituito da materiali di riporto con spessori fino ad alcuni metri, se-guiti da sabbie e limi palustri ad andamento lenticolare che proseguono fino a profon-dità dell'ordine della decina di metri. Al di sotto sono presenti i terreni delle due for-mazioni precedentemente destritte. Nella conca di Agnano si individuano, a partire dall'alto, i terreni di bonifica e pa-lustri dell'antico lago con spessore dell'ordine dei 10 m. Si tratta di materiale di riporto, pozzolane con frammenti di laterizi, di ceneri ricchedi sostanze organiche e talora lenti torbose. Le caratteristiche geotecniche, dedotte dalle prove penetrometriche statiche e dina-miche (Rp circa = 20 Kg/cmq, NSPT = 5-15 Kg/cmq) individuano un materialepoco addensato in alcuni luoghi, molto compressibile e quindi dalle scadenti pro-prietà meccaniche. Per quanto riguarda l'idrologia superficiale è da osservare il notevole disordine deter-minato da interventi avvenuti in tempi diversi e non sempre coordinati fra loro. Si aggiungono inoltre carenze locali della rete fognaria, l'insufficiente manutenzionedella rete di smaltimento delle acque nonchè le variazioni delle caratteristiche dei de-flussi superficiali derivanti da forti modifiche intervenute nella destinazione dell'usodel territorio. Tutto questo durante eventi meteorici di particolare intensità provocauna insufficienza della rete di deflusso con danni soprattutto nelle aree pianeggiantie pedemontane.Passando agli aspetti idrogeologici può dirsi che la morfologia della conca di Agnanoe la natura dei terreni, globalmente di ridotta permeabilità, agevolano il deflusso su-

6 Via Pedamentina di SanMartino

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4 Salita del Petraio

5 Discesa Villanova

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perficiale delle acque che tendono a raccogliersi e a ristagnare nell'interno della de-pressione, unitamente agli apporti meteorici diretti. La difficoltà di smaltimento di tali acque è evidentemente massima nel settore meri-dionale, a minor quota assoluta, ove non a caso sono state effettuate le opere di bo-nifica. D'altra parte in questo stesso settore la già sottolineata modesta profondità delpiano di campagna fa ritenere che la falda idrica sia pressocchè affiorante con conse-guente contributo ai fenomeni di ristagno. Nel settore meridionale della stessa zonaè presente un'importante risorsa costituita da diverse sorgenti termali. Queste sono connesse a circuiti profondi che però interagiscono con circuiti più su-perficiali: è pertanto evidente la necessità di una loro attenta tutela dall'inquinamento,soprattutto in considerazione della vicinanza di numerosi insediamenti urbani e spor-tivi come l'ippodromo. Nell'area di Bagnoli-Fuorigrotta è presente una falda idricache si livella a quote di poco superiori al livello marino e che pertanto si trova (so-prattutto nei settori a sud della linea ferroviaria) a profondità ridotta dal piano cam-pagna. Tale falda, che riceve alimentazione dagli apporti meteorici diretti, può con-siderarsi parte di un più esteso fronte idrico che impegna tutta l'area flegrea a che hanel mare il recapito finale. Fenomeni di contaminazione antropica interessano talefalda e sono legati a in-quinamento urbano (esempio la presenza di nitrati) e indu-striale (esempio metalli pesanti, idrocarburi eccetera). Le pendici dei rilievi che circondano la conca di Agnano e le pendici nord-occiden-tali della collina di Posillipo sono interessate da diffusi fenomeni di erosione superfi-ciale di dimensioni rilevanti, per la peculiare natura e leggerezza dei terreni pirocla-stici, per il disordine morfologico che caratterizza le pendici in questione, per la man-canza di idonee opere di regimentazione delle acque piovane. Particolarmente dannoso è stato, in questi luoghi, l'abbandono della pratica agricolache era caratterizzata da coltivi terrazzati che consentivano una buona difesa dall'e-rosione superficiale e dai franamenti improvvisi. Questi fenomeni erosivi sono statiesaltati dall'edilizia abusiva degli ultimi decenni (un esempio evidente sono gli sban-camenti di via Sartania). A riguardo è da segnalare che a volte le acque vengono versate sulle pendici senza al-cuna protezione. I processi erosivi comportano il trasporto anche di sostanze inqui-

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49Risorse Naturali

nanti. Fra gli effetti dell'erosione vi è la formazione di solchi che vanno via via ap-profondendosi e allargandosi fino a formare vere e proprie incisioni di ragguardevolidimensioni.Per evitare l'insorgere di questi dissesti è necessario proteggere la superficie del suolo.Ciò potrà presentare difficoltà non trascurabili per l'acclività della superficie topo-grafica e potrà comportare la necessità di specifiche indagini da eseguire in sito suaree campione.Lungo le pendici anzidette si verificano fenomeni franosi di tipo colata rapida. Questi fenomeni hanno luogo su pendici con pendenze rilevanti in terreni pirocla-stici in assenza di falda idrica, in occasione di piogge di elevate intensità, coinvol-gendo volumi ridotti di terreno (spessori fino a qualche metro, superfici dalle centi-naia ad alcune migliaia di mq) che vengono asportati e trascinati a valle con elevatavelocità e che possono provocare danni rilevanti, specie in aree intensamente urba-nizzate, come si verifica sul versante nord-occidentale della collina di Posillipo (viaCampegna, via De Bonis). La stabilità di pendici cosi acclivi è forse assicurata dallapresenza delle tensioni capillari che si riducono o si annullano a seguito della satura-zione provocata dalle piogge intense. L’ impossibilità di delimitare le aree interessateda questi fenomeni, la imprevedibilità del loro verificarsi, allo stato attuale delle co-noscenze, la rapidità del movimento, rendono questi fenomeni molto pericolosi: diqui la necessità di un’opportuna prevenzione.Inoltre all'estremità meridionale della collina di Posillipo e prospiciente il mare la for-mazione tufacea affiorante con pareti anche verticali è attraversata da numerose frat-ture, che sono la causa di crolli di blocchi. Anche in questo caso sono da prevedereopere di prevenzione. E’ infine da segnalare che molto spesso le pendici in esamehanno subito profonde modifiche per interventi antropici (discariche di qualsiasi tipo,sbancamenti etc.). Sono necessari interventi che rallentino la saturazione dei terrenio che migliorino le loro proprietà.Il fenomeno del bradisismo interessa principalmente la città di Pozzuoli e l'antistantegolfo. La simmetria radiale del fenomeno determina però che, nelle aree concentri-camente più esterne, la fenomenologia sia sempre presente anche se con effetti piùcontenuti. Il principale effetto è rappresentato dalla deformazione verticale del suolo

10 Discesa Villanova

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Discesa Gaiola9

Calata San Francesco7

Salita del Petraio8

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che, nel periodo 1982-1985, ha raggiunto i 100 centimetri circa nell'area La Pietra-Bagnoli, circa 50 centimetri nella zona fra Bagnoli e gli stabilimenti dell'Ilva, 20 cen-timetri nella zona di Coroglio.Associata alle deformazioni del suolo, anche se non contemporaneamente, si è regi-strata nell'area una attività sismica che ha liberato energia essenzialmente sotto formadi sciami, interrotta da eventi di terremoto di magnitudo 3,5-4,0. Una minore atti-vità sismica si è registrata in prossimità della costa occidentale del golfo di Pozzuoli.In particolare è da osservare, che in termini di pericolosità sismica, per la zona com-presa tra La Pietra e Bagnoli, Monte Spina e parte limitata della bonifica di Agnano,tale parametro è stato stimato del VII grado di intensità.La legge di attenuazione dell'intensità sismica si è abbassata verso valori del VI gradoper la maggior parte della bonifica di Agnano, monte Sant’Angelo, Fuorigrotta e lazona retrostante l'Ilva di Bagnoli. La presenza di una zona sismogenetica attiva a ri-dosso della zona industriale occidentale non deve destare soverchie preoccupazioniper il patrimonio costruito in quanto l'esperienza vissuta di recente riferisce che idanni subiti furono di limitate entità. Anche le reti tranviarie e ferroviarie che attra-versano l'area non subirono deformazioni.

Relazione sulla Stabilità

La pendenza è uno dei fattori che maggiormente influenza l'equilibrio geomorfolo-gico di un'area, tanto da poter ritenere che il grado di instabilità sia, in molti casi,proporzionato alla pendenza. Il territorio viene suddiviso in 3 classi di acclività: mi-nore del 20%; compreso fra il 20% e il 50%; superiore al 50%. All'aumentare del-l'acclività si raggiungono condizioni di disequilibrio dei terreni, accentuate anche dallapiù intensa azione erosiva a opera delle acque meteoriche. La instabilità potenzialeviene definita come vocazione delle aree a una maggiore o minore instabilità geo-morfologica e viene valutata sommando, per ogni area, il contributo di tre fattori: li-tologia dei terreni, pendenza dei versanti, giacitura degli strati. Dalla valutazione di questi elementi si perviene a una valutazione del grado di stabi-

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51Risorse Naturali

lità di un versante quale propensione naturale, non condizionata dal suo uso reale,dallo stato di conservazione del suolo e dalla presenza di eventuali opere di stabiliz-zazione. Il grado di instabilità viene rappresentato mediante 4 classi:- aree a instabilità alta;- aree a instabilità media;- aree a instabilità bassa;- aree stabili, instabilità nulla.Si determinano situazioni ad alta instabilità in presenza di materiali a litologia in-coerente o scarsamente coerente, con scadenti proprietà meccaniche e in corrispon-denza di cospicue acclività dei versanti. Tali condizioni si manifestano anche in lito-tipi litoidi qualora questi siano interessati da intensa fratturazione e alterazione che,comuni a molte aree di versante, si accentuano notevolmente in quelle aree caratte-rizzate da un ruscellamento non regimentato delle acque. Situazioni di questo generesi riscontrano sul versante di Posillipo verso Fuorigrotta. Il calcolo della stabilità dei versanti è stato effettuato utilizzando la seguente formula:FS = tan (### + arctan 0,04)/tan ###5Si considera una situazione ad alta instabilità quando il coefficiente di sicurezza è in-feriore all'unità; a media e bassa instabilità quando il coefficiente di sicurezza è com-preso fra 1 e 1,3; stabile quando il coefficiente di sicurezza è superiore a 1,3. La carta della stabilità mette in evidenza che una lunga fascia del versante della col-lina di Posillipo, dalla grotta del Tuono sino a Villanova, presenta condizioni di altainstabilità. Questa fascia si estende quasi senza soluzione di continuità e ha al suo in-terno delle isole considerate a bassa instabilità. Tutto il versante può essere conside-rato instabile per condizioni geomorfologiche, cioè per eccessiva acclività e per parti-colari condizioni geologiche. Ciò è particolarmente vero per il versante meridionaledove l'instabilità è dovuta, oltre alle pendenze che in alcuni punti sono prossime ai90°, all’erosione marina ai piedi della falesia e alla particolare aggressività dei ventiprovenienti dal mare. Il versante occidentale, rivolto verso Fuorigrotta, può essere sud-diviso in tre fasce. La prima risulta costituita da materiali sciolti o poco coerenti che,sebbene considerata ad alta instabilità laddove coltivata a terrazzamenti o boscata, non

13 Calata San Francesco

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11 Via del Fosso

12 Discesa Villanova

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52 Le Pedamentine di Napoli-Analisi multicriteri@ e governo della modificazione

ha dato origine a fenomeni franosi negli ultimi dieci anni. La seconda, centrale, ri-sulta costituita da affioramenti di tufo giallo, dove si ha una netta rottura di pen-denza con aumento dell'acclività. L’ultima, bassa, che si raccorda con la piana di Fuo-rigrotta, dove sono presenti zone coltivate e boscate. In questo versante della collina,che è da considerare morfologicamente attivo, cioè predisposto a eventi franosi, sisono verificati, negli ultimi dieci anni e in breve successione, tre grossi eventi franosi,localizzati al di sotto della via De Bonis, causati da un eccessivo appesantimento delversante per lavori di sbancamento e riporto.E' da ricordare che le piroclastiti flegree danno origine a fenomeni franosi poco profondie di non rilevante estensione areale che interessano, generalmente, porzione di ter-reno alterate, prive di una sufficiente copertura vegetale e accentuate laddove il reti-colo idrografico naturale è stato alterato da insediamenti antropici. Nel caso del ver-sante occidentale della collina di Posillipo vi è da attendersi fenomeni franosi soprat-tutto laddove è stata abbandonata la pratica agricola e dove si ha una cattiva regi-mentazione delle acque pluviali per l'impermeabilizzazione della parte sommitale. Talvolta in una unica area classificata come instabile possono essere state accorpate learee classificate ad alta e media instabilità, in alcuni casi, anche delle piccole aree abassa instabilità. Tale scelta è finalizzata ad individuare in maniera omogenea le areeinstabili in quanto è prevedibile che piccole aree a bassa instabilità, ricadenti in areead alta e media instabilità, sarebbero comunque soggette a fenomeni di dissesto qua-lora le aree limitrofe dessero luogo a fenomeni franosi. Per lo stesso motivo vengonoinglobati nelle aree instabili alcuni piazzali di cave che, sebbene per pendenza e co-stituzione geologica possano considerarsi a bassa instabilità o addirittura stabili es-sendo circondati da fronti di scavo o da versanti ad alta o media instabilità, sareb-bero in caso di dissesto coinvolti dai materiali di frana. Tali situazioni si verificano su tutti i versanti collinari e in particolar modo su quellidi Posillipo. Per quanto riguarda le aree classificate a bassa instabilità sarà opportuno,in caso di utilizzo, effettuare una verifica anche sulle aree limitrofe laddove le stessesono considerate instabili, per valutarne l'eventuale coinvolgimento in caso di disse-sto. Mentre le zone di San Martino, del Pendino risultano come aree stabili e/o adinstabilità bassa.

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Layer tecnologia

“Tradizionalmente siamo abituati ad immaginare Napoli come una città di mare, mail suo territorio è decisamente legato ad una morfologia collinare, con alture più omeno elevate su cui, nel tempo, si è sviluppata la città”9."Una veduta di Napoli come quella elaborata da Bastiaen Stopendaal verso la metàdel'600, nella quale sono bene in evidenza i caratteri fisici della città, ci consente dimettere in luce le connessioni tra luogo, forma urbana e mobilità che spiegano l'ori-gine e la permanenza nei secoli di certi tipi di percorsi. La rappresentazione seicen-tesca di Napoli mostra una città estesa su un'area quasi coincidente con quella del-l'attuale centro storico, il cui tessuto edificato è circondato dalle colline di Posillipo,del Vomero e di Capodimonte. In posizione centrale e adiacente al mare è invece lacollina di Pizzofalcone, sede del primo nucleo abitato della città. Il sistema delle colline costituì, dall'origini, un naturale baluardo difensivo ed unaprotezione climatica, ma la tormentata orografia "intermedia" rappresentò un grossoostacolo all'espansione della città ed ai collegamenti; questi dovettero risolversi, com'èfacile immaginare, in strade e rampe più o meno ripide, scale e grodonate". Le gradonate caratterizzano quindi i lunghi percorsi che dalle colline conducono alcentro e al mare e sono storicamente, almeno nel tracciato, le più antiche strade, siaperché nate da vecchi corsi d'acqua, sia perché raggiungevano chiese, monasteri e ca-stelli. “Lungo i percorsi più ripidi e accidentati forse già in epoca medioevale vennero rea-lizzate gradonate di terreno battuto con bordi in pietrame, per migliorarne la stabi-lità e la percorribilità. Solo tra i secoli XVII e XIX, con l'utilizzazione su vasta scaladella pietrarsa, pietra di origine vulcanica di colore grigio scuro e molto resistente,essi assunsero la fisionomia delle attuali gradonate collinari”10. Dotata di grande resi-stenza all'usura, la pietrarsa è adoperata, con diverse finiture superficiali, per la pavi-mentazione di pianerottoli, pedate, e per i cordoni (alzate di scale e gradonate). L'apertura di nuove e più comode strade carrabili, il miglioramento di quelle esistenti,la progressiva scomparsa dei mezzi di trasporto a trazione animale e l'incremento del

RISORSE ANTROPICHE

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54 Le Pedamentine di Napoli-Analisi multicriteri@ e governo della modificazione

traffico motorizzato, delinearono, verso la fine del secolo scorso e l'inizio di questo,il carattere esclusivamente pedonale di tali percorsi. La muratura di tufo costituisce la "quinta" abituale per chi si muove lungo scale egradinate cittadine: sia esso muro di contenimento, parapetto o parete non intona-cata di edifici. Questa pietra caratterizza infatti quasi tutto il costruito storico dellacittà, e, com'è noto, anche il suo sottosuolo. Il tufo è anch'essa una pietra tipica dellearee vulcaniche di colore giallo, a volte grigio o azzurro, ma a differenza della pie-trarsa è tenera e friabile.Il "Ferro", la ghisa e l' acciaio sono largamente usati per parapetti e corrimano;que-sti ultimi, poco diffusi, sono collocati, nella maggior parte dei casi, lungo i brevi per-corsi a scale, mancando invece del tutto sulle più lunghe gradonate collinari. In par-ticolare la ghisa è utilizzata nelle mensole dei corpi illuminanti. Scarsa la dotazione di componenti di arredo urbano, limitata la presenza di elementidi illuminazione, o in qualche caso assente. La mancanza di manutenzione incide negativamente sulla sicurezza e agibilità dei per-corsi. Dislocazione e prestazioni inadeguate (queste ultime dovute in massima partea manutenzione insufficiente) caratterizzano diffusamente l'illuminazione artificiale ei relativi apparecchi (aerei, sospesi a cavi; sostenuti da mensole in ghisa o ferro fissatealle pareti di edifici e a muri di contenimento, montati su pali): nel corso degli ul-timi mesi si è tuttavia constatata la sostituzione dei vecchi supporti con altri appa-recchi illuminanti più efficienti ma dal disegno non esaltante. Soprattutto lungo le lunghe gradonate collinari si sente la mancanza di elementi diseduta e punti di sosta attrezzati, sebbene vi siano in molti casi, spazi potenzialmenteadatti a tale scopo. Inesistenti anche i contenitori per rifiuti e telefoni pubblici. La rete degli impianti tecnologici o servizi (fognature, acqua, gas, elettricità) è gene-ralmente presente ovunque; così pure le linee telefoniche. Gli interventi di allacciamento e manutenzione non sembrano improntate ad un'ar-monica integrazione tra costruito e reti impiantistiche, con diramazioni che corronoa vista o disordinatamente lungo i muri.

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2 Discesa Gaiola

3 Discesa Villanova

1 Calata San Francesco

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55Risorse Antropiche

Le compromissioni

"Napule è tutta rampe, scalinate, scale, gradune, grade, gradiatelle, sagliute, scese,cupe, calate, vicule 'e coppa, 'e sotto, viculille. Allero o disperato, tu saglie sempre aNapule; fai na rampa, n'ata, po' n'ata ancora, ca te leva 'o sciato. Napule 'a vide cre-scere tra rampa e rampa". (Carlo Bernati)Queste strofe di una vecchia poesia napoletana commentano il fascino e l'atmosferadelle pedamentine che avvolgono le colline napoletane. Percorrendo queste scale e gradonate si constata immediatamente che, la maggioranzadi queste, interessa aree residenziali a densità abitative medio-alte. Esclusa la zona col-linare di Posillipo, nella quale i percorsi individuati (discesa Gaiola, via del Fosso, viaRicciardi, e discesa Villanova) si svolgono per ampi tratti in aree a bassa concentra-zione edilizia e attraverso zone verdi, in gran parte coltivate, in tutte le altre questitipi di percorsi sono a stretto contatto con edifici. I palazzi adiacenti ai percorsi, con un numero di piani variabile da 2 a 5, sono inprevalenza in muratura portante di tufo e risalenti per lo più all' 800. “Nelle aree residenziali caratterizzate da elevati indici di densità e da condizioni abi-tative precarie come quelle dei "bassi", vengono trasferite sul percorso una serie di at-tività non consentite dagli angusti e inadatti spazi a disposizione. Infatti le gradonatesi adattano a lavanderia, spazio per giocare, soggiorno, luogo d'incontro e di relazionisociali in genere (nel bene e nel male)”11. L'esigenza di migliori condizioni abitative si riscontra fin nei più piccoli interventi,gestiti dagli stessi abitanti, lungo il confine tra alloggio e percorso: dalla sostituzionedi vecchie porte e finestre con infissi dalle migliori prestazioni, alla realizzazione digradini, pianerottoli, pensiline, fioriere, fino alla costruzione di vere e proprie verandeche permettono, nel migliore dei casi, solo una più consolante mediazione tra spaziodomestico e spazio pubblico. Tali interventi, però, non rientrando in un progetto diriqualificazione organica del percorso nella sua totalità, creano solo disordine e con-fusione. Commercio ed artigianato costituiscono una presenza generalmente sporadica lungo

5 Calata San Francesco

4

5

4 Salita del Petraio

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questi percorsi, localizzata quasi sempre nei tratti iniziali. E non è difficile capire imotivi, legati alle difficoltà di approvvigionamento e movimentazione delle merci,nonché al flusso limitato, spesso ridotto ai soli residenti, lungo il percorso stesso. Singolare risulta la presenza di attività commerciali più o meno stabili nelle zone an-tistanti gli accessi ai percorsi. Si tratta quasi esclusivamente di bancarelle che vendono piccoli oggetti di uso do-mestico, chioschi per bibite e giornali che cercano in tale modo di ritagliarsi uno spa-zio nel difficile panorama del commercio ambulante (e non solo) della città.

Calata San Francesco7

6

7

Discesa Gaiola6

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15

Analisi Swot

L'analisi SWOT è una delle metodologie attualmente più diffuse per la valutazionedi progetti e fenomeni. Si tratta di un procedimento di tipo logico, mutuato dall'e-conomia aziendale, che consente di rendere sistematiche e fruibili le informazioni rac-colte circa un tema specifico e fornisce informazioni fondamentali per la definizionedi politiche e linee di intervento.Il fenomeno o il progetto oggetto di valutazione, infatti, devono essere approfondi-tamente studiati al fine di mettere in luce tutte le loro caratteristiche, strutturali econgiunturali, ed evidenziare eventuali relazioni e sinergie con altre proposte e situa-zioni. Attraverso l'analisi SWOT è possibile evidenziare i punti di forza e di debolezza alfine di far emergere quelli che vengono ritenuti capaci di favorire, ovvero ostacolareo ritardare, il perseguimento di determinati obiettivi. Più specificamente nell'analisi SWOT si distinguono fattori endogeni ed esogeni. Evidenzia, quindi, i principali fattori, interni ed esterni al contesto di analisi, in gradodi influenzare il successo di un programma/piano.La terminologia consueta distingue i fattori endogeni tra punti di forza (strenghts) epunti di debolezza (weaknesses) e quelli esogeni tra opportunità (opportunities) e ri-schi (threats). Tra i primi si considerano tutte quelle variabili che fanno parte integrante del sistemastesso, sulle quali è possibile intervenire per perseguire obiettivi prefissati. Tra i secondi, invece, si trovano variabili esterne al sistema, quindi non modificabili,che possono condizionarlo sia positivamente che negativamente. In quest'ultimo caso non è possibile intervenire direttamente sul fenomeno ma è op-portuno predisporre strutture di controllo che individuino gli agenti esogeni e ne ana-lizzino l'evoluzione al fine di prevenire gli eventi negativi e sfruttare quelli positivi.L'efficacia di questa metodologia d'indagine dipende, in modo cruciale, dalla capa-cità di effettuare una lettura "incrociata" di tutti i fattori individuati nel momento incui si definiscono le politiche.

DIAGNOSI MULTICRITERI@

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E' necessario, infatti, appoggiarsi sui punti di forza e smussare i difetti per massi-mizzare le opportunità e ridurre i rischi.Per rendere più agevole tale lettura "incrociata" i risultati dell'analisi vengono, solita-mente, presentati in forma di diagramma sintetico e poi descritti più diffusamente. Il diagramma è estremamente semplice, la Figura 1 mostra una struttura elementaredi base.

L'analisi, dunque, si sostanzia nella classificazione dei risultati dell'analisi "prelimi-nare" all'interno di un diagramma predefinito che agevoli l'individuazione delle prio-rità di intervento ed offra un valido supporto all'attività di programmazione. Inoltre, attraverso l'individuazione delle opportunità e dei rischi connessi all'adozionedi un determinato progetto o di una particolare politica, si offre al decisore la possi-bilità di fare leva su aspetti sinergici o su opportunità esogene e di individuare leazioni preventive da attuare per limitare l'impatto di eventuali fattori di rischio.Diagramma sintetico di rappresentazione dei risultati dell'analisi SWOTper le Pedamentine di Napoli.

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Diagnosi Multicriteri@

In generale:

In particolare:

Discesa della Gaiola

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Via del Fosso e Via Ricciardi

Discesa Villanova

Calata San Francesco

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Diagnosi Multicriteri@

Salita del Petraio

Via Pedamentina di San Martino

Salita Cacciottoli e Salita Sant’ Antonio ai Monti

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Pendino di Santa Barbara e Calata SS.Cosma e Damiano

Metodi di Valutazione Multicriteri@

Si definisce Metodo di Valutazione un procedimento che è in grado di dedurre inmodo argomentato una graduatoria di priorità tra le alternative.I metodi di valutazione che meglio si prestano a essere utilizzati nella ricerca e nelconfronto tra soluzioni alternative sono quelli di tipo multicriterio, perché esplicitanotutti i valori, anche quelli non in uso, intrinseci e complessi e considerano sia gliobiettivi che le diverse priorità da parte di tutti i soggetti e gruppi sociali coinvoltinel processo di trasformazione-conservazione.Si può proporre una lista sintetica dei metodi:1. la CIE;2. il metodo di REGIME;3. il metodo EVAMIX;4. il VIDMA;5. il metodo AHP.I metodi sono di supporto alle decisioni, danno un contributo ai soggetti chiamatialla loro elaborazione, ma non si sostituiscono ad essi, lasciando loro la piena re-sponsabilità finale.Ci sono metodi che "funzionano" quando il numero delle alternative è molto am-pio, ma il numero di criteri è ridotto (VIDMA); e al contrario, metodi di valutazionecapaci di fare riferimento a un grande numero di criteri, ma a un ridotto numero di

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Diagnosi Multicriteri@

alternative (REGIME, AHP).Le regole che consentono di ordinare alternative diverse e in base alle quali si pos-sono suddividere i metodi stessi di valutazione sono molteplici; Janssen ne proponetre fondamentali:1. Massimizzazione del rapporto Benefici/Costi;2. Minimizzazione della distanza dal punto ideale;3. Massimizzazione dell'utilità totale.Con i metodi di valutazione, dunque, con i sistemi di supporto alla decisione, e coni sistemi informativi da cui dedurre adeguati indicatori i principi generali della so-stenibilità urbana diventano realizzabili concretamente nella città e sul territorio. Essi consentono in generale di identificare la migliore combinazione del capitale na-turale e del capitale manufatto sul territorio.In questa prospettiva, essi sono uno strumento critico per la formazione della "In-frastruttura Istituzionale"a livello locale, e in particolare per la promozione di un'ur-banistica della sostenibilità.Essi inoltre diventano lo strumento della gestione strategica della città, perché aiu-tano a identificare le azioni più efficaci, a coordinarle, a controllare i risultati e a mi-gliorare i processi comunicativi.

Analytic Hierarchy Process (AHP)

L'Analytic Hierarchy Process (AHP) è stato proposto e sviluppato da Thomas LorieSaaty negli anni '70.Il metodo AHP può essere utilizzato per determinare il rapporto benefici/costi di unprogetto quando non è possibile valutare in termini esclusivamente monetari i van-taggi e gli svantaggi che deriverebbero dalla sua realizzazione. L'autore ha avuto l'opportunità di applicarlo alla valutazione di grandi infrastruttureterritoriali nell'ambito di alcuni studi di VIA (Valutazione d'Impatto Ambientale)dove la maggioranza dei costi e dei benefici appartiene alla categoria degli intangibili,

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cioè dei beni extramercato per i quali risulta impossibile o complicato operare le si-mulazioni atte a identificarne il prezzo.I principi fondamentali intorno ai quali ruota l'AHP sono tre:

1. l'articolazione gerarchica degli elementi in gioco nel problema decisionale;2. l'identificazione delle priorità;3. la verifica della coerenza logica delle priorità.

Innanzitutto si definisce il problema, collocandolo in un contesto e considerandonegli attori e gli obiettivi, poi una volta identificati i criteri che influenzano il problema,questo viene articolato secondo una struttura gerarchica o a più livelli (Gerarchia: par-ticolare tipo di sistema, fondato sul principio che gli elementi che sono stati identi-ficati possono essere raggruppati in insiemi disgiunti, con gli elementi di un gruppoche influenzano gli elementi di un solo gruppo, e che sono influenzati da quelli diun solo gruppo).Una volta strutturata la gerarchia si effettuano i confronti a coppie tra gli elementi esi attiva il processo per la stima dei pesi relativi di ciascun criterio attraverso il me-todo dell'autovettore.Quindi si procede alla verifica della coerenza delle valutazioni aogni livello.Quando si esprimono giudizi su confronti a coppie è inevitabile che si formino giu-dizi incoerenti, in quanto la mente umana non ha la capacità di tener conto simul-taneamente di tutte le relazioni che intercorrono tra i termini del confronto.Si tratta di identificare qual è il grado di incoerenza che è possibile ritenere tollera-bile.In termini matematici, la verifica di coerenza viene espressa attraverso il calcolo del-l'autovalore principale ?max, che vale proprio n se la matrice (di rango n) è coerente.

Costruzione della matrice dei confronti a coppieTutti gli elementi subordinati allo stesso elemento della gerarchia vengono confron-tati a coppie tra loro.

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Diagnosi Multicriteri@

Gli elementi di ciascuna coppia vengono comparati al fine di stabilire quale di essi èpiù importante in rapporto all'elemento sovraordinato, e in quale misura: il risultatodel confronto è il coefficiente di dominanza aij che rappresenta una stima della do-minanza del primo elemento (i) rispetto al secondo (j).

Per determinare i valori dei coefficienti aij occorre utilizzare la scala seguente:

(scala semantica di Saaty) che mette in relazione i primi nove numeri interi conaltrettanti giudizi che esprimono, in termini qualitativi, i possibili risultati del con-fronto (Saaty 1980).Confrontando a coppie n elementi si ottengono n2 coefficienti: di questi soltanton(n-1)/2 devono essere direttamente determinati dal decisore o dall'esperto cheeffettua la valutazione, essendo aii=1 e aji=1/aij per ogni valore di i e j.La seconda condizione, nota come relazione di reciprocità, scaturisce dalla neces-

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sità di garantire la simmetria dei giudizi di importanza. I coefficienti di dominanza definiscono una matrice quadrata reciproca e positiva dettamatrice dei confronti a coppie:

Un modo alternativo di costruire la matrice dei confronti a coppie consiste nell'uti-lizzare la tecnica del rating.Secondo questa tecnica l'esperto che effettua la valutazione dispone di un budget di100 punti che deve suddividere tra i due elementi in modo che la quantità di puntiassegnata a ciascuno di essi (rating) ne rispecchi l'importanza.L'indice di dominanza aij viene calcolato allora come rapporto dei rating dei due ele-menti.L'autore, sulla base della sua esperienza, considera questa tecnica più affidabile diquella che si basa sull'uso della scala semantica.Per ogni elemento non terminale della gerarchia occorre costruire una matrice con-frontando a coppie gli elementi che sono ad esso direttamente subordinati.

Determinazione dei pesi localiI pesi sono coefficienti che misurano l'importanza relativa di singoli elementi. Supponiamo di poter determinare in modo diretto i pesi (fisici) w1, w2, ..., wn di npietre con una bilancia (ad es., w1 = 305 gr, w2 = 212 gr, ecc.) e di calcolare il coef-ficiente di dominanza di ogni coppia di pietre come rapporto dei rispettivi pesi. In questo caso 'ideale' i coefficienti aij esprimono esattamente quante volte la pietrai è più pesante della pietra j e si calcolano semplicemente così: aij = wi/wj , per ognivalore di i e j. La matrice dei confronti coppie può essere riscritta per esteso nel modo seguente:

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Diagnosi Multicriteri@

w1/w1 w1/w2 ... w1/wnw2/w1 w2/w2 ... w2/wn

A = ...

wn/w1 wn/w2 ... wn/wn

In questo caso A è una matrice consistente, cioè soddisfa la condizione aij = aik akjper tutti i valori di i, j, k.Supponiamo ora che non sia possibile calcolare i valori aij come wi/wj, perché nonpossediamo la bilancia che ci consente di determinare i pesi delle singole pietre. Questa stessa situazione si presenta del resto anche quando occorra valutare il 'peso'(l'importanza) di un insieme di obiettivi o di azioni. In questo caso non esiste lo stru-mento fisico che ci consente di determinare questi 'pesi', ma è necessario affidarsi aigiudizi di un esperto. Non disponendo di uno strumento di misura ma soltanto dellasua personale esperienza, l'esperto non è in grado di determinare direttamente i pesiwi, ma può fornire solo delle stime approssimate dei loro rapporti con l'ausilio dellascala semantica o con la tecnica del rating.Le stime fornite dall'esperto, nella maggioranza dei casi, non saranno dunque consi-stenti. Questa mancata consistenza dipende sia dalla difficoltà che esso incontra nelmantenere la coerenza di giudizio in tutti i confronti a coppie, sia dal fatto che i suoigiudizi possono essere strutturalmente non consistenti. La teoria dei sistemi relazio-nali di preferenza dimostra infatti che le relazioni di preferenza e di indifferenza checonseguono da un insieme di confronti a coppie possono essere non transitive (ades., a è preferito a b, b è preferito a c, ma a può essere non preferito a c). Obbligando l'esperto ad essere perfettamente coerente nei suoi giudizi lo costringe-remmo implicitamente (e indebitamente) a rispettare quel principio di transitivitàdella preferenza e dell'indifferenza che non dovrebbe mai essere imposto a priori.Sarebbe dunque poco realistico pensare che le relazioni aij = wi/wj debbano valereanche in questi casi: se non conosciamo i pesi wi ma solo i valori di aij (che abbiamoricavati direttamente utilizzando, ad es., la scala semantica di Saaty), il problema di

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determinare i pesi wi dai valori aij imponendo le condizioni aij = wi/wj sarebbe pro-babilmente irresolubile. I valori aij ricavati da giudizi qualitativi possono avvicinarsiai valori 'veri' wi/wj ma anche discostarsi da essi in modo significativo. Cerchiamo allora di risolvere questo problema senza imporre rigidamente le suddettecondizioni, ma consentendo ai valori di aij di poter deviare dal loro valore 'vero'. Consideriamo la i-esima riga della matrice AA: ai1, ai2 , ... ain. Nel caso 'ideale' (aij = wi/wj) questi valori coincidono con i rapporti wi/w1, wi/w2,wi/wn. Se moltiplichiamo il primo termine di questa riga per w1, il secondo per w2ecc. otteniamo:

(wi/w1) w1 = wi , (wi/w2) w2 = wi , ... (wi/wn) wn = wi

Il risultato è dunque una riga costituita da termini tutti uguali, mentre nel caso ge-nerale (non 'ideale') quello che otterremo è una riga di termini che costituiscono uninsieme di valori statistici 'dispersi' attorno al valore wi. Sembra pertanto ragionevoleassumere che, in questo caso, wi sia la media dei valori di questi termini. Nel caso generale si possono dunque rilasciare le rigide condizioni aij = wi/wj per so-stituirle con le condizioni:

Sj aij wjwi = _______ (1)

n

A questo punto resta ancora da risolvere una questione: queste condizioni meno strin-genti sono sufficienti a garantire l'esistenza di soluzioni? cioè, a garantire che abbiasoluzione il problema di trovare dei pesi unici wi quando siano dati i coefficienti didominanza aij?Per rispondere a questa domanda occorre esprimere le suddette condizioni in unaforma diversa. Notiamo innanzitutto che se le stime aij sono valide, esse tenderannoad essere molto vicine ai valori wi/wj, cioè rappresenteranno delle piccole 'perturba-zioni' di questi rapporti. Se trattiamo le stime aij come variabili è possibile che esistauna soluzione delle (1): cioè wi e wj, possono cambiare per adattarsi ai cambiamenti

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Diagnosi Multicriteri@

dei valori aij che non coincidono più con i loro valori 'ideali' wi/wj, purchè si con-senta anche al valore n di cambiare. Se chiamiamo lmax il valore che deve assumeren affinché la (1) sia risolubile, la (1)stessa assume la forma:

Sj aij wjwi = _______

lmax o, se si vuole

Sj aij wj = lmax wi

Ma queste espressioni non sono altro che l'esplicitazione di un ben noto problemamatematico consistente nel determinare gli autovalori e gli autovettori di una ma-trice. In forma matriciale questo problema si definisce nel modo seguente:

AAww = lmax ww (2)

Per determinare il valore di lmax e dei pesi w possiamo fare ricorso a due importantirisultati della teoria delle matrici.

(i) Se l1, l 2, ..., ln sono n numeri che soddisfano l'equazione:

Ax = lmax x,

(cioè sono gli autovalori di A) e se per tutti i valori di i è aii =1, allora:

Si li = n

Quando la matrice A è consistente, tutti gli autovalori sono necessariamente ugualia zero escluso uno che vale n (ciò deriva dal fatto che ponendo nella (2) l = n l'e-quazione diventa un'identità). Se ne deduce che quando A è una matrice consistente,

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70 Le Pedamentine di Napoli-Analisi multicriteri@ e governo della modificazione

n è il suo autovalore massimo lmax (o autovalore principale) ed è anche l'unico a es-sere diverso da zero.

(ii) Se si modificano leggermente i valori aij di una matrice reciproca e positiva, i cor-rispondenti autovalori variano di poco e in modo continuo.Combinando i due risultati precedenti si deduce che quando gli elementi della dia-gonale principale della matrice A sono tutti uguali a 1 e la matrice è consistente, va-riando di poco i valori aij l'autovalore principale della matrice non differisce moltoda n mentre i restanti autovalori si mantengono prossimi allo zero.Sembra dunque ragionevole ipotizzare che, nel caso generale, i pesi cercati coincidanocon le componenti dell'autovettore principale w corrispondente all'autovalore princi-pale lmax della matrice A (per una dimostrazione formale vedi Saaty 1980).In genere è preferibile ottenere una soluzione normalizzata, cioè tale che la sommadei valori delle componenti del vettore dei pesi w sia uguale a 1 (in realtà vedremoche ciò è vero solo se si confrontano degli obiettivi; nel caso di azioni l'operazione dinormalizzazione dei pesi locali dipende dalla particolare "modalità" utilizzata nell'ap-plicare AHP, cfr. 2).Un esperto, a rigore, potrebbe limitarsi a fornire soltanto n-1 stime indipendenti diaij: per determinare i pesi basterebbe in questo caso risolvere il sistema lineare nonomogeneo di n equazioni in n incognite (w1, w2, ..., wn) che si ottiene uguagliandoil valore di ogni stima a quello del corrispondente rapporto wi/wj ed imponendo lacondizione di normalizzazione.Questo metodo, a differenza di quello che comporta il calcolo dell'autovettore prin-cipale di A, non utilizza le stime 'ridondanti' di aij. D'altronde sono proprio questestime che consentono di pervenire a un risultato più affidabile: i pesi che si otten-gono risolvendo la (2) sono infatti molto meno sensibili agli errori di valutazione.Resta ancora il problema di stabilire se i pesi che si ricavano dalla (2) rispecchiano igiudizi di chi ha effettuato i confronti. In altri termini occorre stabilire se e in qualemisura i valori dei rapporti wi/wj, che si calcolano dopo aver determinato l'autovet-tore principale w, si discostano dalle stime aij fornite dall'esperto. Nel caso di consistenza perfetta CI è uguale a zero: quando la matrice è perfettamente

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Diagnosi Multicriteri@

consistente, l'autovalore principale lmax è infatti uguale ad n.Al crescere dell'inconsistenza il valore di CI aumenta (per questo motivo sarebbe piùlogico chiamarlo indice di inconsistenza).Il metodo AHP prevede che l'indice CI sia confrontato con l'indice RI (random in-dex). Questo secondo indice si calcola effettuando la media dei valori di CI di nu-merose matrici reciproche dello stesso ordine, i cui coefficienti vengono generati inmodo random (cioè casuale) da un computer. Quando il valore di CI della matrice compilata dall'esperto supera una soglia con-venzionalmente posta uguale al 10% del valore di RI, la deviazione dalla condizionedi consistenza perfetta viene giudicata inaccettabile. Secondo Saaty (1980) un valoredi CI superiore a tale soglia indica una scarsa coerenza (forse anche una scarsa at-tenzione) dell'esperto che ha effettuato i confronti, piuttosto che una non transitivitàstrutturale, e come tale accettabile, del suo sistema di preferenze. Quando il valore di CI supera la soglia, l'esperto deve sforzarsi di aumentare la coe-renza dei suoi giudizi modificando, totalmente o in parte, le stime di aij.Risolvendo la (2) per tutte le matrici dei confronti a coppie si ottengono i pesi ditutti gli elementi della gerarchia.Questi pesi sono detti locali perché valutano l'importanza degli elementi non in ter-mini complessivi, ma solo in rapporto all'elemento sovraordinato rispetto al qualesono stati confrontati.Ogni elemento ha tanti pesi locali quanti sono gli obiettivi ai quali esso è diretta-mente subordinato.

Determinazione dei pesi globali : il principio di composizione ge-rarchicaPer determinare l'importanza di ogni elemento in rapporto al goal occorre applicareil principio di composizione gerarchica. I pesi locali di ogni elemento vengono moltiplicati per quelli dei corrispondenti ele-menti sovraordinati e i prodotti così ottenuti sono sommati. Procedendo dall'alto verso il basso, i pesi locali di tutti gli elementi della gerarchia

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72 Le Pedamentine di Napoli-Analisi multicriteri@ e governo della modificazione

vengono così trasformati progressivamente in pesi globali. I pesi globali (o priorità) degli elementi collocati alla base della gerarchia, nel livellosuccessivo a quello degli obiettivi termionali, rappresentano il risultato principale dellavalutazione. Quando gli elementi terminali sono azioni, i pesi globali consentono di determinareun ordine di preferenza: un'azione (un piano, un progetto, ...) sarà tanto più prefe-ribile quanto maggiore è il suo peso globale.

Sviluppo sostenibile e recupero della Discesa della GaiolaA supporto del lavoro di tesi, finalizzato al recupero della Discesa della Gaiola, si èapplicato il metodo AHP al fine di individuare quale, tra i tre progetti ipotizzati aseguito di un'analisi multicriteri@, fosse quello da preferire. Una volta che si è strutturato il problema in forma gerarchica è stato necessario pro-cedere all'identificazione dei pesi da attribuire ai criteri e agli obiettivi particolari permezzo dei confronti a coppie tra gli elementi di uno stesso livello gerarchico rispettoagli elementi del livello superiore. Con riferimento alla struttura gerarchica prescelta sono state elaborate dodici matricidei confronti a coppie. Per quanto attiene ai confronti tra i criteri rispetto all'obiettivo principale (2° e 1° li-vello) e tra gli obiettivi particolari ed i criteri (3°e 2° livello), sono stati espressi giu-dizi verbali sulla base della scala fondamentale a 9 punti proposta da Saaty, in cui in-tervengono esponenti portatori di istanze diverse a seconda dei vari settori della so-cietà; ogni giudizio deve essere il risultato di un processo dialogico tra i diversi inte-ressi. Definite le matrici dei confronti a coppie è stato semplice passare alla seconda fasedi cui si compone il metodo AHP: la selezione delle priorità e la verifica di coesi-stenza delle valutazioni. A tale scopo sono state dapprima calcolate per ciascuna matrice le componenti deirispettivi vettori delle priorità e successivamente i relativi autovalori principali.

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Diagnosi Multicriteri@

Si riportano riportano di seguito le matrici eseguite al fine del confronto a coppie.

Livello 1 - In tale livello, che è quello che esplicita l'obiettivo dell'analisi, si sono sceltii criteri dell'efficienza economica, dell'equità sociale e della tutela ambientale, sui qualisi è costruita una matrice 3x3 in funzione dello sviluppo sostenibile, che è l'obiettivoprefissato. Per calcolare i valori della matrice si adopera il calcolo semplificato.

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74 Le Pedamentine di Napoli-Analisi multicriteri@ e governo della modificazione

Estraendo la radice cubica dei prodotti dei tre elementi di ciascuna riga, si ottiene ilvettore v di componenti

v1 =1,00v2 =0,50v3 =2,00

la cui somma è data da S=v1+v2+v3= 3,50

Che rapportata all'unità fornisce le componenti del vettore delle priorità x: x1 = v1/ S=0,29x2 = v2/ S=0,14x3 = v3/ S=0,57

con x1+x2+x3= 1

Per ottenere l'autovalore principale Kmax si moltiplicano le componenti della matricedei confronti per il vettore delle priorità x, ottenendo un nuovo vettore y di compo-nenti (y1, y2 ,y3 ):

1 2 0,5 0,29 y1=0,86

0,5 1 0,25 X 0,14 = y2=0,43

2 4 1 0,57 y3=0,57

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Diagnosi Multicriteri@

Dividendo le componenti yi del vettore y per le omologhe xi del vettore x si otten-gono le componenti zj di un nuovo vettore z:

z1 = y1/ x1=3,00z2 = y2/ x2=3,00z3 = y3/ x3=3,00

la cui somma divisa per il rango n=3 della matrice dei confronti fornisce, con buonaapprossimazione, l'autovalore Kmax

Kmax = z1+z2+z3= 3,00

Noto il valore Kmax, è possibile calcolare l'indice di coerenza C.I. per la matrice inesame di rango n=3, che è pari a:

C.I. = (Kmax - n ) / (n-1) = 0,00

Livello 2 - In tale livello che approfondisce il primo, si sono elaborate tre matrici qua-drate 3x3 in funzione dei tre obiettivi del livello precedente, fissando altrettanti cri-teri per ognuno di essi. Per calcolare i valori della matrice si adopera il calcolo semplificato.

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76 Le Pedamentine di Napoli-Analisi multicriteri@ e governo della modificazione

Per gli ulteriori calcoli si è eseguito il procedimento su esposto.

C.I.1 = (Kmax - n ) / (n-1) = 0,00

C.I.2 = (Kmax - n ) / (n-1) = 0,25

C.I. 3= (Kmax - n ) / (n-1) = 0,25

Livello 3 - In tale livello, di approfondimento ulteriore al primo, si sono elaboratenove matrici quadrate 3x3, una per ogni singolo criterio del livello precedente, cal-colate in funzione di altri tre criteri, questa volta uguali per tutte le nove matrici ecorrispondenti alle tre alternative progettuali previste.

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Diagnosi Multicriteri@

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78 Le Pedamentine di Napoli-Analisi multicriteri@ e governo della modificazione

Per quanto concerne il problema dell'aggregazione dei risultati, va innanzitutto no-tato che le componenti dei vettori delle priorità relativi a ciascuna matrice dannosomma pari all'unità ed esprimono una graduatoria tra gli elementi di un certo li-vello gerarchico rispetto ad un elemento del livello immediatamente superiore. In tal senso so parla di una scala di valutazione "locale", in quanto i giudizi conte-nuti in una matrice non tengono conto di quelli presenti in tutte le altre matrici. Se ad esempio ci si riferisce alla matrice dello Sviluppo commerciale, si evince il se-guente ordine di priorità:

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Diagnosi Multicriteri@

1° posto: Soluzione B (0,44)

2° posto: Soluzione C (0,39)

3° posto: Soluzione A (0,17)

che però non tiene conto dei pesi attribuiti a tutti gli elementi dei livelli superioridella gerarchia, né delle graduatorie delle soluzioni A, B, e C rispetto agli obiettiviparticolari. Per procedere all'aggregazione dei risultati sono necessarie due operazioni:

1)realizzare un modello "a cascata", in cui a partire dal livello più alto della ge-rarchia si moltiplicano le componenti del vettore delle priorità locali di ciascun ele-mento gerarchico per il peso del criterio dell'elemento "genitore", ovvero di quell'e-lemento del livello immediatamente superiore da cui il primo discende. Si ottiene intal modo la cosiddetta scala "globale" di valutazione, cioè tale che tutti gli elementidella gerarchia risultano tra loro connessioni.

2)Sommare per ciascun elemento dell'ultimo livello gerarchico i pesi che adesso sono stati attribuiti nei confronti di ciascun elemento del livello immediatamentesuperiore, ovvero sommare tutte le priorità globali di uno stesso elemento. Si ottienecosì l'ordine di preferibilità globale tra le alternative proposte.

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ConclusioniIl procedimento ha dato come risultato che tra i tre progetti:-Creazione di sentieri -Realizzazione di un parco archeologico-Recupero della fascia costieraquello che prevede il recupero della fascia costiera, con un peso globale G=0,327, èevidentemente quello da scegliere e da realizzare.

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Diagnosi Multicriteri@

Il governo della modificazione

"Discretizzazione e misura sono due azioni che interagendo permettono il passaggioda una conoscenza naturale ad una culturale che si esprime nel saper manipolare, conoggetti appositamente costruiti, l'ambiente e le risorse che vi si trovano. Queste dueazioni si integrano in una catena operativa strutturata, che quindi comporta cono-scenze a loro anteriori, posteriori, collaterali, interne ed esterne. Si mette quindi inatto un processo di accumulazione il cui controllo va esercitato con un'attività di co-noscenza che coinvolga le relazioni tra tecnica, società, politica ed economia e le in-fluenze che vi si stabiliscono. In questo processo di accumulazione il concetto di mi-sura è dunque un'entità concreta. La misura è rapportata ad una fisicità che deve es-sere rilevata, ma che non si esaurisce in una sorta di verbale di consistenza dell'og-getto d'indagine da affidare ad altre competenze per le specifiche valutazioni. Misu-rare, così come storicamente già indicato da Luca Pacioli, vuol dire rilevare nel sensodi gestire un patrimonio, che in quanto tale non solo deve essere geometricamentedefinibile ma deve essere discretizzato in partite, rilevato nella sua multidimensiona-lità, al fine di produrre un risultato il cui valore aggiunto sia quantificabile dalla dif-ferenza data tra il valore dell'oggetto, così come ci è pervenuto, e il valore raggiuntoper l'attività di conoscenza e di gestione delle potenzialità individuate e declinate comein un conto economico. E se in un conto economico anche i valori immateriali sitraducono in risorse quantificabili, sarà utile identificare territorio e paesaggio in un'u-nica entità misurabile. L'integrale della conoscenza presuppone dunque la formazionedell'integrale delle competenze, il che vuol dire, integrare in un'analisi multicriteri@il patrimonio di risorse umane e quello di risorse strumentali, per coniugare ecologiaed economia, al fine di valorizzare i beni culturali ed ambientali, nonché per garan-tire le azioni di sostegno e di trasferimento tecnologico al sistema territorio-impresa"1.La discretizzazione e la misura delle realtà delle Pedamentine nelle loro n dimensioni,ha permesso di "ascoltare" il territorio, di capire ciò che sono e cosa potrebbero di-ventare, di far venire alla luce il loro genius loci.

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1GAMBARDELLA C., ECOGEOMETRIA IN VENAFRO, IDENTITÀ E TRASPARENZE, ESI, NAPOLI 2001.2MARTUSCIELLO S., RILIEVO MULTICRITERI@-L’ELEMENTO ORDINATORE DELLA RAPPRESENTAZIONE,ESI, NAPOLI 2003.3DORIA G., LE STRADE DI NAPOLI, NAPOLI, 1971.4DE FUSCO R., RILEGGERE NAPOLI NOBILISSIMA, LIGUORI EDITORENAPOLI, 1989.5GUIDA G., NAPOLI IN SALITA E DISCESA, NAPOLI, 2000.6GUIDA G., op. cit.7GUIDA D'ITALIA DEL TOURING CLUB ITALIANO, NAPOLI E DINTORNI, MILANO, 1976.8CAPASSO A. NIEGO A, VITTORIA E, LO PAZIO PEDONALE E LA CITTÀ, 1983.9GUIDA G., op. cit.10CAPASSO A., CAMMINARE E VEDERE, CAMERA DI COMMERCIO DI NAPOLI, 1989.11CAPASSO A., CAMMINARE E VEDERE, CAMERA DI COMMERCIO DI NAPOLI, 1989.

NOTE

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