leadership energetica
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La leadership come gestione impeccabile dell'energia umanaTRANSCRIPT
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Conversazioni sulla Leadership
Intervista a Massimo Borgatti
Parlaci di te, chi sei e come si
diventa studiosi della materia Leadership (se così si può chiamare)?
Se a te sta bene, prima di raccontare di me (cosa che non è detto interessi ai
nostri lettori), vorrei entrare nel vivo del tema, non tanto parlando di quanto
o di cosa ho studiato in proposito, ma raccontando cosa ho osservato, cosa
ho sperimentato, per poi magari condividere con voi le conclusioni alle quali
sono arrivato.
Dal 1998 ad oggi, so di avere formato oltre 1000 persone e, con un rapido
conteggio, posso garantirvi di avere conosciuto, lavorativamente parlando,
almeno altrettante persone durante progetti di consulenza. Inoltre,
attraverso specifici questionari, ho valutato i profili di alcune centinaia di altri
professionisti. Posso senza rischio di smentita affermare di disporre di un
campione di circa 2200/2500 persone, ben assortito tra amministratori,
imprenditori, direttori, dirigenti, quadri, impiegati, capi reparto e operai.
Ho visto queste persone lavorare insieme, discutere, affrontare problemi,
prendere decisioni, perseguire obiettivi comuni, gestire conflitti e
negoziazioni, insomma ho visto circa 2500 esseri umani e professionisti
muoversi in quei contesti nei quali la leadership trova il proprio
naturale campo di espressione. Ebbene posso dirvi in tutta la mia
esperienza di avere incontrato soltanto una decina di leader pienamente
espressi e non più di un centinaio di leader potenziali (ossia persone che per
ruolo o per età non erano nelle condizioni di esprimere appieno il loro
potenziale, ma che forse avrebbero potuto essere dei buoni leader).
Vi sto dicendo (e sono estremamente convinto di questa affermazione) che
ho conosciuto un solo leader ogni 250 persone incontrate e che ho
riconosciuto una potenzialità latente e ipotetica di leadership in una sola
persona ogni 25!
Forse, a questo punto dovresti darci una definizione di cosa tu intendi per leadership…
Ohi ohi! Ora mi piacerebbe cavarmela con una battuta dicendo che,
evidentemente, la leadership è un qualcosa che manca nelle aziende e nelle
organizzazioni che ho conosciuto (alcune decine)! Potrei aggiungere -con
scontato sarcasmo- che, anche là dove c’è, non sempre viene riconosciuta o
premiata!
So bene che è troppo facile esimermi dal dare una definizione, eppure ti
confesso che non ne ho in testa una abbastanza sintetica e soddisfacente da
sentirmi di proporla qui, ai nostri lettori.
Potremmo forse pensare ad alcuni personaggi storici che nell’immaginario
collettivo rappresentano figure di leader. Non vorrei essere io a fare questo
esercizio: invito chi ci legge ad individuare tre o quattro personaggi, di
periodi diversi, che a suo parere sono stati leader nella loro epoca.
Ebbene, cosa hanno in comune le persone che avete individuato?
Scommetto che hanno influito, con il loro comportamento e con il loro
pensiero sul comportamento e sul pensiero di un gran numero di persone.
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Scommetto che hanno compiuto o permesso ad altri di compiere imprese
apparentemente impossibili. Sono sicuro che, a ben vedere, hanno in qualche
modo risposto ad un bisogno di quelle persone che li hanno riconosciuti come
leader. Certamente hanno dimostrato una visione del contesto e del periodo
nel quale vivevano più ampia di quella dei loro contemporanei. Infine,
scommetto che le persone che avere individuato come leader, sono state
capaci di comunicare, ispirare, fornire modelli e stimolare la crescita dei
singoli e della società; sono state capaci di coinvolgere, motivare e unire le
persone.
Se non mi sono sbagliato, se i personaggi che avevate individuato
rispecchiano queste caratteristiche, allora avete un concetto di leadership
vicino al mio e molto probabilmente, come me, sareste destinati a subire
dure delusioni se vi metteste a caccia di leader nelle organizzazioni e nella
società contemporanea. Non dubito, per esempio, che avrete osservato
abbondanti aree di miglioramento nella leadership espressa dal vostro capo
ufficio, così come in quella espressa dai nostri amati politici!
Quindi? Una definizione?
La leadership è certamente legata alla capacità di influenzare
positivamente il comportamento e il pensiero delle persone. La capacità di
influenzare positivamente, non ha nulla a che vedere con l’uso dell’autorità o
della manipolazione, è piuttosto un’attitudine correlata alla capacità di
guidare attraverso la propria autorevolezza, testimonianza, coerenza e
credibilità.
La leadership deve certamente avere un risvolto concreto, deve portare un
gruppo all’azione, al conseguimento del risultato. La presenza del leader
deve facilitare, senza mai sostituirlo, il lavoro del gruppo.
La leadership, per fare veramente presa, deve conoscere e prendere in
considerazione i bisogni delle persone sulle quali vuol essere esercitata.
Difficilmente riconosceremmo come leader qualcuno che ci chiede uno sforzo
esclusivamente per soddisfare un proprio bisogno (o raggiungere un proprio
obiettivo).
Il leader deve essere in un qualche modo un visionario, deve possedere una
visione ampia dell’ambiente e del contesto, da questa visione deve
essere in grado di immaginare (di sognare) scenari futuri.
Forte di questa sua visione, il
leader deve essere capace di
trasmetterla, di ispirare, di
fornire senso. Il Leader deve
alimentare la fiamma che spinge
ciascuno verso la crescita
personale e professionale.
Infine il leader deve essere in grado di costruire un gruppo, di
trasmettere senso di appartenenza, di stimolare in ciascuno il
coinvolgimento personale.
Ma forse la prova conclusiva di un efficace leadership si ha solo
quando il leader riesce a rendersi superfluo e può lasciare il proprio
gruppo senza che questo o i suoi risultati ne subiscano conseguenze
negative.
Un essere perfetto!?
È davvero raro trovarsi di fronte a veri leader. Ricordate la mia esperienza?
“Il nano vede più lontano del gigante, quando ha le spalle del gigante sulle quali montare.”
(Samuel Coleridge, The friend)
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Un solo leader ogni 250 persone che ho incontrato! Sono indubbiamente
personaggi rari, eppure esistono.
All’opposto, capita quotidianamente di imbattersi in discorsi o letture che
affrontano il tema della Leadership. Avete un’idea di quanti libri escono ogni
anno su questo tema? Avete mai osservato la quantità e la varietà delle
proposte formative sulla leadership?
Come spieghi tutto questo interesse?
Forse proprio la rarità di esempi concreti e il divario tra ideale e reale sono i
motivi alla base del tanto parlare e scrivere che si fa oggi sulla leadership.
Ma se vogliamo andare un po’ più a fondo sulla questione, proviamo a
rispondere alla tua domanda muovendoci su due fronti: quello delle
organizzazioni che sembrano essere impegnate in una spasmodica ricerca
di leader e quello dei singoli che appaiono invece forsennatamente a caccia
di leadership personale.
Vorrei dimostrare che in entrambi i casi la spinta verso la leadership nasce
da un bisogno concreto di efficacia. Vorrei inoltre insinuare il dubbio che,
a fianco del sano bisogno di efficacia, esista su entrambi i fronti una
pulsione esclusivamente narcisistica. Infine, con voi, vorrei analizzare
cosa succede ad un’organizzazione o un singolo che con serietà e
determinazione intraprende il cammino verso la leadership. Perché non
sempre sono rose e fiori…
Partiamo dal bisogno di efficacia…
Sì… il bisogno di efficacia per le organizzazioni. Partiamo da qui.
Se l’obiettivo di un’azienda fosse esclusivamente il profitto, forse basterebbe
avere buoni capi e si potrebbe fare a meno dei leader (quando parlo di capi,
intendo persone con competenza tecnica e gestionale in grado di pianificare,
organizzare e gestire il lavoro di altri).
Ma oggi l’obiettivo di ogni azienda che voglia garantirsi il futuro è sì, quello di
trarre profitto ma di farlo, come contropartita della soddisfazione del cliente.
La soddisfazione del cliente è diventato il tema centrale di qualunque attività.
Oggi dunque, non basta più la produttività e l’economicità, ma occorrono
qualità e servizio.
Permettetemi di schematizzare in maniera drastica la situazione: fino a un
paio di decenni fa le aziende potevano permettersi il lusso di “trarre profitto”
dalla propria attività. Potremmo rappresentare questo approccio (centripeto)
in questo modo:
Oggi nessuna impresa può più permettersi di operare in un’ottica
esclusivamente centripeta: il contesto nel quale si muove (parliamo di stake
holders e non più unicamente dei clienti diretti) richiede attenzione, rispetto,
sostenibilità, cura della qualità del prodotto e del servizio. Potremo
schematizzare questo nuovo approccio in questo modo:
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Ovviamente rimane prioritario il flusso centripeto in termini di profitto, ma
deve necessariamente essere sostenuto da un flusso centrifugo di valore
intangibile.
Il vecchio modello di “capo”, se pur efficace sul fronte di produttività e di
economicità, non sembra essere in grado di garantire gli aspetti intangibili
dell’attività, come la qualità e il servizio. Quindi possiamo asserire che le
organizzazioni sono a caccia di leader in quanto garanti degli aspetti
intangibili della loro attività verso il cliente finale e il contesto esterno.
Pur essendo l’azienda interessata principalmente al valore percepito dal
cliente finale, ci si è resi conto che l’intero processo deve essere improntato
sul concetto di valore intangibile per poter offrire con credibilità e costanza
tale valore al cliente finale. E’ come se tutto il lavoro svolto in un ufficio o in
un reparto produttivo dovesse avere un’anima per potere accumulare in essa
il valore intangibile e trasmetterlo fino al cliente.
Ciascuna persona che opera sul processo deve essere stimolata ad apportare
il proprio personale contributo e ad aggiungere il proprio valore all’attività.
Non si tratta affatto di una cosa semplice. Per essere disposti a farlo
abbiamo bisogno di sentirci coinvolti, responsabili, appassionati, ci
serve trovare un senso al nostro lavoro.
E’ qui che nasce l’esigenza di sostituire i capi con i leader.
La logica conseguenza di questa evoluzione è che tutti i capi vecchio stampo,
percepiscono la propria inadeguatezza, sentono il bisogno di nuovi strumenti,
e rincorrono un modello evidentemente più efficace: nasce la caccia alla
leadership personale.
Quindi anche i singoli, ricercano la leadership come
strumento di efficacia di fronte alle
nuove sfide?
Certamente si, per tutti i motivi che abbiamo analizzato sopra.
Riflettiamo anche sulla evidente evoluzione che la nostra civiltà sta vivendo
in questi anni: i bisogni basilari che hanno spinto i nostri nonni e gran parte
dei nostri genitori a lavorare non sono più le spinte primarie che orientano le
nostre scelte e la nostra attività. Un po’ tutti noi, chi più chi meno, siamo a
caccia di soddisfazione personale, di stimoli, di crescita e di significato da
attribuire alle nostre giornate. Se vent’anni fa si poteva coordinare un gruppo
focalizzandosi esclusiva-mente sugli
obiettivi da raggiungere e sulle
modalità del lavoro, oggi non si può
prescindere dalle individualità che
compongono il gruppo, dalle
motivazioni di ciascuno e dalle
aspettative personali.
Le persone hanno bisogno di senso e di passione. Anche il concetto di
“motivazione” non appare più attuale: oggi si tende maggiormente a parlare
di “coinvolgimento”! Riuscire a coinvolgere le persone nei contesti
lavorativi è prerogativa del leader.
Queste spinte che portano il tema della Leadership alla ribalta sono
dunque sane… Ma cosa intendevi con “pulsione
Intendevo metterci sul chi va là perché, come spesso accade nei fenomeni di
moda (e possiamo certamente dire che parlare di leadership sia di moda),
esiste un rischio concreto di confondere i mezzi con i fini, laddove di mezzi
stessi offrano un ritorno di immagine o una gratificazione personale, a
prescindere dal raggiungimento dei fini.
Allora può succedere che un’organizzazione intraprenda impegnativi progetti
“Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per far loro raccogliere legno, per
distribuire i compiti e per suddividere il lavoro, ma insegna loro la nostalgia del
mare ampio e infinito”
(A. De Saint-Exupery)
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narcisistica”? di sviluppo della leadership, spinta primariamente dal fattore moda e
contando sul ritorno di immagine che queste operazioni possono generare,
internamente ed esternamente alla struttura.
Parallelamente accade che singoli manager si sentano talmente attratti da
questa ricerca di leadership, da divorare quantità industriali di libri
sull’argomento e da iscriversi a proprie spese a qualunque improbabile corso
di formazione, purché ne prometta lo sviluppo.
Come sempre, là dove c’è la domanda, l’offerta non stenta a fiorire. E, se la
domanda continua a crescere, l’offerta diventa presto una giungla, popolata
di piante più o meno sane con frutti più o meno nutrienti. Insomma in questa
situazione, sulla scia di un bisogno primariamente narcisistico, non
dobbiamo stupirci se i ciarlatani trovano terreno fertile.
Così arriviamo
al “non sempre
sono rose e fiori”…
I rischi di incontrare sedicenti guru che ben poco hanno da trasmettere sulla
leadership, o di partecipare a corsi improbabili e del tutto inefficaci, oppure di
leggere libri assolutamente privi di contenuti, sono certamente da tenere in
considerazione. Dicendo “non sempre sono rose e fiori”, però mi riferivo ad
un altro tema che vale la pena di affrontare: un leader è esattamente
l’opposto dell’uomo sociale che popola il pianeta terra oggi.
Questo ha conseguenze importanti sia per le organizzazioni che per i singoli.
Per un’organizzazione, arruolare tra le proprie fila un certo numero di leader
significa predisporsi a un cambiamento drastico, a una inversione nei flussi
energetici: un terremoto nei processi gerarchici, relazionali e di crescita
(quindi anche delle aspettative) dei dipendenti.
Per il singolo, intraprendere seriamente il cammino verso la leadership
significa abbandonare la propria struttura, le proprie convinzioni e invertire i
propri flussi energetici.
Flussi
energetici?
Mi piace parlare di flussi energetici partendo da un presupposto: tutto è
energia. Ogni nostro pensiero è energia, ogni nostra emozione è
energia, ogni nostra azione richiede e muove energia.
Sulla falsariga di quanto abbiamo fatto parlando delle organizzazioni,
possiamo schematizzare le dinamiche energetiche dell’uomo sociale comune
(e quindi dei capi “vecchio stampo”) in questo modo:
La rappresentazione qui sopra sottintende che l’uomo sociale comune
prende energia dall’ambiente circostante e quindi anche dalle relazioni
interpersonali. I pensieri, le emozioni e i comportamenti dell’uomo sociale
comune sono basati su una dipendenza energetica dall’esterno. Questo porta
l’uomo sociale a ricercare costantemente conferme e sicurezza, a lottare per
il potere e a fare di tutto per non uscire da quegli schemi consolidati che
apparentemente gli garantiscono la sussistenza. Conseguenza diretta di
questa dipendenza energetica sono le continue lotte alle quali tutti
assistiamo nei contesti lavorativi.
Ovviamente questo schema comportamentale non è compatibile con le
caratteristiche auspicate per il leader. Quando infatti rappresentiamo un
leader dobbiamo utilizzare uno schema di questo tipo:
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Il leader, all’opposto dell’uomo sociale si assume in prima persona la
responsabilità della propria indipendenza energetica (leggi: pensieri,
emozioni, azioni). Egli, piuttosto che cercare conferme all’esterno, offre
opportunità, spunti, occasioni di crescita. Al contrario dell’uomo sociale, il
leader vive nel flusso, è disposto al cambiamento e pronto a mettere in
discussione le proprie convinzioni e i propri comportamenti.
Ecco allora dove volevo arrivare: essere leader è una conquista che si
guadagna con un duro lavoro su di sé, occorre una coerenza spietata e
una ricerca continua nell’utilizzare al meglio l’energia propria e delle persone
che ci circondano.
Quindi lo sviluppo della leadership richiede una crescita personale?
A mio avviso assolutamente sì. Vedi, fino a ieri si pensava di poter fare il
leader, oggi appare evidente che occorre essere leader. Intendo dire che non
basta mettere in atto un comportamento piuttosto che un altro: si tratta di
essere coerenti e credibili in ogni atto, nella espressione delle proprie
emozioni e nella formulazione dei propri pensieri. Il leader è sotto gli occhi di
tutti e non può permettersi di recitare una parte o di bluffare.
Essere leader allora è una sfida con se stessi, è una scelta di vita che
va ben oltre una moda o un’esigenza contingente.
Solo attraverso l’assoluta coerenza e la capacità di influenzare positivamente
l’ambiente, il leader è efficace nel portare il cambiamento nelle
organizzazioni. Egli partirà da una situazione di questo tipo:
L’organizzazione si aspetta da lui il cambiamento, ma l’inerzia data dalle
persone che vi lavorano è fortissima. In questa fase la forza e la
determinazione del leader sono davvero messe a dura prova. Il leader molto
spesso in questa fase è solo.
I cambiamenti organizzativi non possono venire dall’alto, non possono essere
imposti, devono nascere necessariamente dal basso e il leader deve iniziare
a influenzare ad uno ad uno tutte le persone sulle quali ha la possibilità di
agire.
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Raggiunto la massa critica di persone che abbracciano il nuovo approccio, per
un fenomeno di risonanze energetiche l’intera organizzazione è pronta a
cambiare e risultato del successo dell’azione del leader può essere
rappresentato in questo modo:
Cosa fare quindi
per diventare un leader?
Non credo alle ricette e neppure penso che esista un’unica strada per
raggiungere una destinazione.
La mia esperienza mi hai insegnato che la chiave per acquisire leadership
passa attraverso la consapevolezza di se stessi e del fatto che l’essere
umano è costituito da comportamenti, emozioni e pensieri e che questi tre
livelli, come armoniche di energia, si influenzano reciprocamente.
Intraprendere il cammino verso la leadership forse significa
assumersi la responsabilità di gestire al meglio (mi piace utilizzare il
termine impeccabilmente) la propria e la altrui energia su tutti questi
livelli.
La grande difficoltà da affrontare è che, per agire in maniera impeccabile
su tutti i livelli, occorre ribaltare i legami di causa effetto
generalmente accettati e condivisi dall’uomo sociale comune.
Cosa intendi per
“Ribaltare i legami Causa - Effetto”?
Chi di noi non è convinto che il suo comportamento sia principalmente una
legittima reazione al contesto con il quale si confronta? Chi di noi non è
sicuro che le proprie emozioni siano il legittimo risultato di questo confronto?
Chi di noi sarebbe disposto a ribaltare completamente quest’approccio
dicendo che la responsabilità di ciò che ci accade e di ciò che sperimentiamo
emozionalmente è esclusivamente nostra?
Osservo ogni giorno come l’uomo sociale (e non mi posso sottrarre a questo
insieme di appartenenza) abbia la tendenza a cercare le cause all’esterno di
sé e a giustificare in questo modo gli effetti che sperimenta in termini di
emozioni e di pensieri. Mi spiego meglio: ci viene molto facile affermare che
un nostro malessere dipende da una circostanza esterna, anche quando
un’altra persona di fronte alla stessa identica circostanza potrebbe magari
non provare alcun malessere. Quindi per noi uomini sociali, spesso la causa
degli effetti che sperimentiamo all’interno, risiede all’esterno di noi.
Da qui nasce la sensazione di impotenza che spesso paralizza la nostra
attività, inibisce la nostra creatività, assorbe totalmente le nostre energie. Da
qui nasce la nostra dipendenza energetica
dall’esterno, dalle relazioni, dalle circostanze, dagli
altri.
Ribaltare i legami causa-effetto significa assumersi
totalmente e incondizionatamente la responsabilità
di ciò che pensiamo, di ciò che proviamo
“Che tu pensi di farcela o di non farcela…
hai ragione.” (Henry Ford)
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emozionalmente, e di ciò che accade nella nostra vita. Significa anche
comprendere che ciò che pensiamo influenza i nostri stati emozionali e che i
nostri stati emozionali condizionano pesantemente la nostra attività e la
nostra efficacia nella vita di tutti giorni.
Un leader sa di essere responsabile dell’utilizzo dell’energia che ha a
disposizione. Un leader sa che deve utilizzare in maniera impeccabile
la propria energia e non può concedersi il lusso di disperderla,
riversandola là dove non ha il potere di azione. Sa bene che in questo
modo, la dissiperebbe provando frustrazione.
Inoltre, un leader, gestendo in maniera impeccabile la propria
energia, è in grado di condurre un gruppo in maniera estremamente
efficace proprio perché non dipende dall’approvazione del gruppo. La sua
indipendenza energetica garantisce che al gruppo verranno offerte
opportunità di crescita e di realizzazione. Il lavoro del leader all’interno di
quel gruppo sarà terminato allorquando ciascun componente del gruppo
stesso avrà acquisito l’indipendenza energetica e il gruppo sarà quindi capace
di auto regolarsi e di auto condursi verso il successo.
Ecco, ora mi sento di darti una definizione di leadership: la leadership è la
capacità di gestire in maniera impeccabile la propria personale
energia e quella di un gruppo di persone.
Mi sembra di
intuire che tu ci stia raccontando delle teorie tue personali. Da dove provengono?
In effetti hai ragione, vi sto raccontando (come vi avevo anticipato) quelle
che sono le mie personali osservazioni sull’argomento. Non si tratta di teorie
consolidate ma di uno studio che sto portando avanti sulla base della mia
esperienza oramai decennale. Parallelamente al percorso professionale, un
mio cammino personale mi ha avvicinato alla cultura e alle tradizioni delle
popolazioni indios sudamericane. Dall’approfondimento di queste tradizioni
ho maturato la convinzione che alcuni dei loro concetti base fossero
estremamente attuali e spendibili nei nostri contesti organizzativi. Ecco da
dove nascono queste mie riflessioni. A breve pubblicherò un testo che
approfondirà appunto le tematiche qui appena accennate.
Quali spunti possono trovare i nostri lettori nella letteratura più classica sull’argomento?
Per chi volesse affrontare il tema della leadership, seguendo vie più
consolidate, suggerisco la lettura dei testi di Blanchard, autore anche
attualmente molto prolifico che, (al termine degli anni ’80) introdusse il
modello della Leadership Situazionale. Ve lo propongo perché fu il primo a
porre in maniera strutturata l’enfasi sulla necessità per il leader di adottare
stili diversi in funzione delle diverse persone. In particolare Blanchard
propose di considerare il livello di motivazione dei collaboratori e il loro livello
di competenza, adattando alle specifiche circostanze diversi stili di
leadership:
- Dirigere: in caso di bassa motivazione e bassa competenza
- Guidare: in caso di alta motivazione ma bassa competenza
- Supportare: in caso di bassa motivazione ma alta competenza
- Delegare: in caso di alta motivazione e alta competenza
Come noterete in questo primo modello si parlava comunque ancora di
modificare i comportamenti come se la leadership potesse essere esercitata a
prescindere da un reale lavoro su se stessi. Vi cito l’esempio di Blanchard,
anche perché proprio lui, di recente ha introdotto nei suoi testi la
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componente della crescita personale come prerequisito alla leadership.
I testi sulla leadership sono comunque una quantità spropositata ed è
davvero difficile orientarsi. Se lo ritenete il caso magari posso allegare una
piccola bibliografia...
Prima di salutarci vuoi
dirci qualcosa di te e del tuo lavoro?
Volentieri: mi chiamo Massimo Borgatti, ho 37 anni, sono ingegnere
gestionale e dal 1997 lavoro nelle organizzazioni private e pubbliche. Mi
occupo di consulenza organizzativa, di gestione delle risorse umane e di
formazione (sulle tematiche della leadership e dello sviluppo delle
competenze manageriali).
Ancora un accenno al testo sul quale sto lavorando. Si intitolerà:
SCIAMANAGER “la via dell’Impeccabilità” (probabile edizione: Il Punto
di Incontro) e presenterà un approccio al management e alla leadership
basato sulla rivisitazione e sull’adattamento ai tempi moderni e ai contesti
organizzativi, della conoscenza delle tradizioni sciamaniche sud americane. I
concetti chiave di questo approccio sono: la convinzione che tutto è energia
(il pensiero, le emozioni e la materia) e l’importanza della consapevolezza
nella gestione dell’energia (impeccabilità) come chiave di efficacia
nell’espressione di sé. Nel testo approfondirò inoltre le applicazioni pratiche
nel mondo aziendale e nell’esercizio della leadership di queste conoscenze,
anche attraverso l’uso di tecniche specifiche provenienti da queste tradizioni.