leadership energetica

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massimoborgatti.it ® diritti riservati www.esperio.it 1/9 Conversazioni sulla Leadership Intervista a Massimo Borgatti Parlaci di te, chi sei e come si diventa studiosi della materia Leadership (se così si può chiamare)? Se a te sta bene, prima di raccontare di me (cosa che non è detto interessi ai nostri lettori), vorrei entrare nel vivo del tema, non tanto parlando di quanto o di cosa ho studiato in proposito, ma raccontando cosa ho osservato, cosa ho sperimentato, per poi magari condividere con voi le conclusioni alle quali sono arrivato. Dal 1998 ad oggi, so di avere formato oltre 1000 persone e, con un rapido conteggio, posso garantirvi di avere conosciuto, lavorativamente parlando, almeno altrettante persone durante progetti di consulenza. Inoltre, attraverso specifici questionari, ho valutato i profili di alcune centinaia di altri professionisti. Posso senza rischio di smentita affermare di disporre di un campione di circa 2200/2500 persone, ben assortito tra amministratori, imprenditori, direttori, dirigenti, quadri, impiegati, capi reparto e operai. Ho visto queste persone lavorare insieme, discutere, affrontare problemi, prendere decisioni, perseguire obiettivi comuni, gestire conflitti e negoziazioni, insomma ho visto circa 2500 esseri umani e professionisti muoversi in quei contesti nei quali la leadership trova il proprio naturale campo di espressione. Ebbene posso dirvi in tutta la mia esperienza di avere incontrato soltanto una decina di leader pienamente espressi e non più di un centinaio di leader potenziali (ossia persone che per ruolo o per età non erano nelle condizioni di esprimere appieno il loro potenziale, ma che forse avrebbero potuto essere dei buoni leader). Vi sto dicendo (e sono estremamente convinto di questa affermazione) che ho conosciuto un solo leader ogni 250 persone incontrate e che ho riconosciuto una potenzialità latente e ipotetica di leadership in una sola persona ogni 25! Forse, a questo punto dovresti darci una definizione di cosa tu intendi per leadershipOhi ohi! Ora mi piacerebbe cavarmela con una battuta dicendo che, evidentemente, la leadership è un qualcosa che manca nelle aziende e nelle organizzazioni che ho conosciuto (alcune decine)! Potrei aggiungere -con scontato sarcasmo- che, anche là dove c’è, non sempre viene riconosciuta o premiata! So bene che è troppo facile esimermi dal dare una definizione, eppure ti confesso che non ne ho in testa una abbastanza sintetica e soddisfacente da sentirmi di proporla qui, ai nostri lettori. Potremmo forse pensare ad alcuni personaggi storici che nell’immaginario collettivo rappresentano figure di leader. Non vorrei essere io a fare questo esercizio: invito chi ci legge ad individuare tre o quattro personaggi, di periodi diversi, che a suo parere sono stati leader nella loro epoca. Ebbene, cosa hanno in comune le persone che avete individuato? Scommetto che hanno influito, con il loro comportamento e con il loro pensiero sul comportamento e sul pensiero di un gran numero di persone.

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La leadership come gestione impeccabile dell'energia umana

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Conversazioni sulla Leadership

Intervista a Massimo Borgatti

Parlaci di te, chi sei e come si

diventa studiosi della materia Leadership (se così si può chiamare)?

Se a te sta bene, prima di raccontare di me (cosa che non è detto interessi ai

nostri lettori), vorrei entrare nel vivo del tema, non tanto parlando di quanto

o di cosa ho studiato in proposito, ma raccontando cosa ho osservato, cosa

ho sperimentato, per poi magari condividere con voi le conclusioni alle quali

sono arrivato.

Dal 1998 ad oggi, so di avere formato oltre 1000 persone e, con un rapido

conteggio, posso garantirvi di avere conosciuto, lavorativamente parlando,

almeno altrettante persone durante progetti di consulenza. Inoltre,

attraverso specifici questionari, ho valutato i profili di alcune centinaia di altri

professionisti. Posso senza rischio di smentita affermare di disporre di un

campione di circa 2200/2500 persone, ben assortito tra amministratori,

imprenditori, direttori, dirigenti, quadri, impiegati, capi reparto e operai.

Ho visto queste persone lavorare insieme, discutere, affrontare problemi,

prendere decisioni, perseguire obiettivi comuni, gestire conflitti e

negoziazioni, insomma ho visto circa 2500 esseri umani e professionisti

muoversi in quei contesti nei quali la leadership trova il proprio

naturale campo di espressione. Ebbene posso dirvi in tutta la mia

esperienza di avere incontrato soltanto una decina di leader pienamente

espressi e non più di un centinaio di leader potenziali (ossia persone che per

ruolo o per età non erano nelle condizioni di esprimere appieno il loro

potenziale, ma che forse avrebbero potuto essere dei buoni leader).

Vi sto dicendo (e sono estremamente convinto di questa affermazione) che

ho conosciuto un solo leader ogni 250 persone incontrate e che ho

riconosciuto una potenzialità latente e ipotetica di leadership in una sola

persona ogni 25!

Forse, a questo punto dovresti darci una definizione di cosa tu intendi per leadership…

Ohi ohi! Ora mi piacerebbe cavarmela con una battuta dicendo che,

evidentemente, la leadership è un qualcosa che manca nelle aziende e nelle

organizzazioni che ho conosciuto (alcune decine)! Potrei aggiungere -con

scontato sarcasmo- che, anche là dove c’è, non sempre viene riconosciuta o

premiata!

So bene che è troppo facile esimermi dal dare una definizione, eppure ti

confesso che non ne ho in testa una abbastanza sintetica e soddisfacente da

sentirmi di proporla qui, ai nostri lettori.

Potremmo forse pensare ad alcuni personaggi storici che nell’immaginario

collettivo rappresentano figure di leader. Non vorrei essere io a fare questo

esercizio: invito chi ci legge ad individuare tre o quattro personaggi, di

periodi diversi, che a suo parere sono stati leader nella loro epoca.

Ebbene, cosa hanno in comune le persone che avete individuato?

Scommetto che hanno influito, con il loro comportamento e con il loro

pensiero sul comportamento e sul pensiero di un gran numero di persone.

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Scommetto che hanno compiuto o permesso ad altri di compiere imprese

apparentemente impossibili. Sono sicuro che, a ben vedere, hanno in qualche

modo risposto ad un bisogno di quelle persone che li hanno riconosciuti come

leader. Certamente hanno dimostrato una visione del contesto e del periodo

nel quale vivevano più ampia di quella dei loro contemporanei. Infine,

scommetto che le persone che avere individuato come leader, sono state

capaci di comunicare, ispirare, fornire modelli e stimolare la crescita dei

singoli e della società; sono state capaci di coinvolgere, motivare e unire le

persone.

Se non mi sono sbagliato, se i personaggi che avevate individuato

rispecchiano queste caratteristiche, allora avete un concetto di leadership

vicino al mio e molto probabilmente, come me, sareste destinati a subire

dure delusioni se vi metteste a caccia di leader nelle organizzazioni e nella

società contemporanea. Non dubito, per esempio, che avrete osservato

abbondanti aree di miglioramento nella leadership espressa dal vostro capo

ufficio, così come in quella espressa dai nostri amati politici!

Quindi? Una definizione?

La leadership è certamente legata alla capacità di influenzare

positivamente il comportamento e il pensiero delle persone. La capacità di

influenzare positivamente, non ha nulla a che vedere con l’uso dell’autorità o

della manipolazione, è piuttosto un’attitudine correlata alla capacità di

guidare attraverso la propria autorevolezza, testimonianza, coerenza e

credibilità.

La leadership deve certamente avere un risvolto concreto, deve portare un

gruppo all’azione, al conseguimento del risultato. La presenza del leader

deve facilitare, senza mai sostituirlo, il lavoro del gruppo.

La leadership, per fare veramente presa, deve conoscere e prendere in

considerazione i bisogni delle persone sulle quali vuol essere esercitata.

Difficilmente riconosceremmo come leader qualcuno che ci chiede uno sforzo

esclusivamente per soddisfare un proprio bisogno (o raggiungere un proprio

obiettivo).

Il leader deve essere in un qualche modo un visionario, deve possedere una

visione ampia dell’ambiente e del contesto, da questa visione deve

essere in grado di immaginare (di sognare) scenari futuri.

Forte di questa sua visione, il

leader deve essere capace di

trasmetterla, di ispirare, di

fornire senso. Il Leader deve

alimentare la fiamma che spinge

ciascuno verso la crescita

personale e professionale.

Infine il leader deve essere in grado di costruire un gruppo, di

trasmettere senso di appartenenza, di stimolare in ciascuno il

coinvolgimento personale.

Ma forse la prova conclusiva di un efficace leadership si ha solo

quando il leader riesce a rendersi superfluo e può lasciare il proprio

gruppo senza che questo o i suoi risultati ne subiscano conseguenze

negative.

Un essere perfetto!?

È davvero raro trovarsi di fronte a veri leader. Ricordate la mia esperienza?

“Il nano vede più lontano del gigante, quando ha le spalle del gigante sulle quali montare.”

(Samuel Coleridge, The friend)

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Un solo leader ogni 250 persone che ho incontrato! Sono indubbiamente

personaggi rari, eppure esistono.

All’opposto, capita quotidianamente di imbattersi in discorsi o letture che

affrontano il tema della Leadership. Avete un’idea di quanti libri escono ogni

anno su questo tema? Avete mai osservato la quantità e la varietà delle

proposte formative sulla leadership?

Come spieghi tutto questo interesse?

Forse proprio la rarità di esempi concreti e il divario tra ideale e reale sono i

motivi alla base del tanto parlare e scrivere che si fa oggi sulla leadership.

Ma se vogliamo andare un po’ più a fondo sulla questione, proviamo a

rispondere alla tua domanda muovendoci su due fronti: quello delle

organizzazioni che sembrano essere impegnate in una spasmodica ricerca

di leader e quello dei singoli che appaiono invece forsennatamente a caccia

di leadership personale.

Vorrei dimostrare che in entrambi i casi la spinta verso la leadership nasce

da un bisogno concreto di efficacia. Vorrei inoltre insinuare il dubbio che,

a fianco del sano bisogno di efficacia, esista su entrambi i fronti una

pulsione esclusivamente narcisistica. Infine, con voi, vorrei analizzare

cosa succede ad un’organizzazione o un singolo che con serietà e

determinazione intraprende il cammino verso la leadership. Perché non

sempre sono rose e fiori…

Partiamo dal bisogno di efficacia…

Sì… il bisogno di efficacia per le organizzazioni. Partiamo da qui.

Se l’obiettivo di un’azienda fosse esclusivamente il profitto, forse basterebbe

avere buoni capi e si potrebbe fare a meno dei leader (quando parlo di capi,

intendo persone con competenza tecnica e gestionale in grado di pianificare,

organizzare e gestire il lavoro di altri).

Ma oggi l’obiettivo di ogni azienda che voglia garantirsi il futuro è sì, quello di

trarre profitto ma di farlo, come contropartita della soddisfazione del cliente.

La soddisfazione del cliente è diventato il tema centrale di qualunque attività.

Oggi dunque, non basta più la produttività e l’economicità, ma occorrono

qualità e servizio.

Permettetemi di schematizzare in maniera drastica la situazione: fino a un

paio di decenni fa le aziende potevano permettersi il lusso di “trarre profitto”

dalla propria attività. Potremmo rappresentare questo approccio (centripeto)

in questo modo:

Oggi nessuna impresa può più permettersi di operare in un’ottica

esclusivamente centripeta: il contesto nel quale si muove (parliamo di stake

holders e non più unicamente dei clienti diretti) richiede attenzione, rispetto,

sostenibilità, cura della qualità del prodotto e del servizio. Potremo

schematizzare questo nuovo approccio in questo modo:

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Ovviamente rimane prioritario il flusso centripeto in termini di profitto, ma

deve necessariamente essere sostenuto da un flusso centrifugo di valore

intangibile.

Il vecchio modello di “capo”, se pur efficace sul fronte di produttività e di

economicità, non sembra essere in grado di garantire gli aspetti intangibili

dell’attività, come la qualità e il servizio. Quindi possiamo asserire che le

organizzazioni sono a caccia di leader in quanto garanti degli aspetti

intangibili della loro attività verso il cliente finale e il contesto esterno.

Pur essendo l’azienda interessata principalmente al valore percepito dal

cliente finale, ci si è resi conto che l’intero processo deve essere improntato

sul concetto di valore intangibile per poter offrire con credibilità e costanza

tale valore al cliente finale. E’ come se tutto il lavoro svolto in un ufficio o in

un reparto produttivo dovesse avere un’anima per potere accumulare in essa

il valore intangibile e trasmetterlo fino al cliente.

Ciascuna persona che opera sul processo deve essere stimolata ad apportare

il proprio personale contributo e ad aggiungere il proprio valore all’attività.

Non si tratta affatto di una cosa semplice. Per essere disposti a farlo

abbiamo bisogno di sentirci coinvolti, responsabili, appassionati, ci

serve trovare un senso al nostro lavoro.

E’ qui che nasce l’esigenza di sostituire i capi con i leader.

La logica conseguenza di questa evoluzione è che tutti i capi vecchio stampo,

percepiscono la propria inadeguatezza, sentono il bisogno di nuovi strumenti,

e rincorrono un modello evidentemente più efficace: nasce la caccia alla

leadership personale.

Quindi anche i singoli, ricercano la leadership come

strumento di efficacia di fronte alle

nuove sfide?

Certamente si, per tutti i motivi che abbiamo analizzato sopra.

Riflettiamo anche sulla evidente evoluzione che la nostra civiltà sta vivendo

in questi anni: i bisogni basilari che hanno spinto i nostri nonni e gran parte

dei nostri genitori a lavorare non sono più le spinte primarie che orientano le

nostre scelte e la nostra attività. Un po’ tutti noi, chi più chi meno, siamo a

caccia di soddisfazione personale, di stimoli, di crescita e di significato da

attribuire alle nostre giornate. Se vent’anni fa si poteva coordinare un gruppo

focalizzandosi esclusiva-mente sugli

obiettivi da raggiungere e sulle

modalità del lavoro, oggi non si può

prescindere dalle individualità che

compongono il gruppo, dalle

motivazioni di ciascuno e dalle

aspettative personali.

Le persone hanno bisogno di senso e di passione. Anche il concetto di

“motivazione” non appare più attuale: oggi si tende maggiormente a parlare

di “coinvolgimento”! Riuscire a coinvolgere le persone nei contesti

lavorativi è prerogativa del leader.

Queste spinte che portano il tema della Leadership alla ribalta sono

dunque sane… Ma cosa intendevi con “pulsione

Intendevo metterci sul chi va là perché, come spesso accade nei fenomeni di

moda (e possiamo certamente dire che parlare di leadership sia di moda),

esiste un rischio concreto di confondere i mezzi con i fini, laddove di mezzi

stessi offrano un ritorno di immagine o una gratificazione personale, a

prescindere dal raggiungimento dei fini.

Allora può succedere che un’organizzazione intraprenda impegnativi progetti

“Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per far loro raccogliere legno, per

distribuire i compiti e per suddividere il lavoro, ma insegna loro la nostalgia del

mare ampio e infinito”

(A. De Saint-Exupery)

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narcisistica”? di sviluppo della leadership, spinta primariamente dal fattore moda e

contando sul ritorno di immagine che queste operazioni possono generare,

internamente ed esternamente alla struttura.

Parallelamente accade che singoli manager si sentano talmente attratti da

questa ricerca di leadership, da divorare quantità industriali di libri

sull’argomento e da iscriversi a proprie spese a qualunque improbabile corso

di formazione, purché ne prometta lo sviluppo.

Come sempre, là dove c’è la domanda, l’offerta non stenta a fiorire. E, se la

domanda continua a crescere, l’offerta diventa presto una giungla, popolata

di piante più o meno sane con frutti più o meno nutrienti. Insomma in questa

situazione, sulla scia di un bisogno primariamente narcisistico, non

dobbiamo stupirci se i ciarlatani trovano terreno fertile.

Così arriviamo

al “non sempre

sono rose e fiori”…

I rischi di incontrare sedicenti guru che ben poco hanno da trasmettere sulla

leadership, o di partecipare a corsi improbabili e del tutto inefficaci, oppure di

leggere libri assolutamente privi di contenuti, sono certamente da tenere in

considerazione. Dicendo “non sempre sono rose e fiori”, però mi riferivo ad

un altro tema che vale la pena di affrontare: un leader è esattamente

l’opposto dell’uomo sociale che popola il pianeta terra oggi.

Questo ha conseguenze importanti sia per le organizzazioni che per i singoli.

Per un’organizzazione, arruolare tra le proprie fila un certo numero di leader

significa predisporsi a un cambiamento drastico, a una inversione nei flussi

energetici: un terremoto nei processi gerarchici, relazionali e di crescita

(quindi anche delle aspettative) dei dipendenti.

Per il singolo, intraprendere seriamente il cammino verso la leadership

significa abbandonare la propria struttura, le proprie convinzioni e invertire i

propri flussi energetici.

Flussi

energetici?

Mi piace parlare di flussi energetici partendo da un presupposto: tutto è

energia. Ogni nostro pensiero è energia, ogni nostra emozione è

energia, ogni nostra azione richiede e muove energia.

Sulla falsariga di quanto abbiamo fatto parlando delle organizzazioni,

possiamo schematizzare le dinamiche energetiche dell’uomo sociale comune

(e quindi dei capi “vecchio stampo”) in questo modo:

La rappresentazione qui sopra sottintende che l’uomo sociale comune

prende energia dall’ambiente circostante e quindi anche dalle relazioni

interpersonali. I pensieri, le emozioni e i comportamenti dell’uomo sociale

comune sono basati su una dipendenza energetica dall’esterno. Questo porta

l’uomo sociale a ricercare costantemente conferme e sicurezza, a lottare per

il potere e a fare di tutto per non uscire da quegli schemi consolidati che

apparentemente gli garantiscono la sussistenza. Conseguenza diretta di

questa dipendenza energetica sono le continue lotte alle quali tutti

assistiamo nei contesti lavorativi.

Ovviamente questo schema comportamentale non è compatibile con le

caratteristiche auspicate per il leader. Quando infatti rappresentiamo un

leader dobbiamo utilizzare uno schema di questo tipo:

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Il leader, all’opposto dell’uomo sociale si assume in prima persona la

responsabilità della propria indipendenza energetica (leggi: pensieri,

emozioni, azioni). Egli, piuttosto che cercare conferme all’esterno, offre

opportunità, spunti, occasioni di crescita. Al contrario dell’uomo sociale, il

leader vive nel flusso, è disposto al cambiamento e pronto a mettere in

discussione le proprie convinzioni e i propri comportamenti.

Ecco allora dove volevo arrivare: essere leader è una conquista che si

guadagna con un duro lavoro su di sé, occorre una coerenza spietata e

una ricerca continua nell’utilizzare al meglio l’energia propria e delle persone

che ci circondano.

Quindi lo sviluppo della leadership richiede una crescita personale?

A mio avviso assolutamente sì. Vedi, fino a ieri si pensava di poter fare il

leader, oggi appare evidente che occorre essere leader. Intendo dire che non

basta mettere in atto un comportamento piuttosto che un altro: si tratta di

essere coerenti e credibili in ogni atto, nella espressione delle proprie

emozioni e nella formulazione dei propri pensieri. Il leader è sotto gli occhi di

tutti e non può permettersi di recitare una parte o di bluffare.

Essere leader allora è una sfida con se stessi, è una scelta di vita che

va ben oltre una moda o un’esigenza contingente.

Solo attraverso l’assoluta coerenza e la capacità di influenzare positivamente

l’ambiente, il leader è efficace nel portare il cambiamento nelle

organizzazioni. Egli partirà da una situazione di questo tipo:

L’organizzazione si aspetta da lui il cambiamento, ma l’inerzia data dalle

persone che vi lavorano è fortissima. In questa fase la forza e la

determinazione del leader sono davvero messe a dura prova. Il leader molto

spesso in questa fase è solo.

I cambiamenti organizzativi non possono venire dall’alto, non possono essere

imposti, devono nascere necessariamente dal basso e il leader deve iniziare

a influenzare ad uno ad uno tutte le persone sulle quali ha la possibilità di

agire.

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Raggiunto la massa critica di persone che abbracciano il nuovo approccio, per

un fenomeno di risonanze energetiche l’intera organizzazione è pronta a

cambiare e risultato del successo dell’azione del leader può essere

rappresentato in questo modo:

Cosa fare quindi

per diventare un leader?

Non credo alle ricette e neppure penso che esista un’unica strada per

raggiungere una destinazione.

La mia esperienza mi hai insegnato che la chiave per acquisire leadership

passa attraverso la consapevolezza di se stessi e del fatto che l’essere

umano è costituito da comportamenti, emozioni e pensieri e che questi tre

livelli, come armoniche di energia, si influenzano reciprocamente.

Intraprendere il cammino verso la leadership forse significa

assumersi la responsabilità di gestire al meglio (mi piace utilizzare il

termine impeccabilmente) la propria e la altrui energia su tutti questi

livelli.

La grande difficoltà da affrontare è che, per agire in maniera impeccabile

su tutti i livelli, occorre ribaltare i legami di causa effetto

generalmente accettati e condivisi dall’uomo sociale comune.

Cosa intendi per

“Ribaltare i legami Causa - Effetto”?

Chi di noi non è convinto che il suo comportamento sia principalmente una

legittima reazione al contesto con il quale si confronta? Chi di noi non è

sicuro che le proprie emozioni siano il legittimo risultato di questo confronto?

Chi di noi sarebbe disposto a ribaltare completamente quest’approccio

dicendo che la responsabilità di ciò che ci accade e di ciò che sperimentiamo

emozionalmente è esclusivamente nostra?

Osservo ogni giorno come l’uomo sociale (e non mi posso sottrarre a questo

insieme di appartenenza) abbia la tendenza a cercare le cause all’esterno di

sé e a giustificare in questo modo gli effetti che sperimenta in termini di

emozioni e di pensieri. Mi spiego meglio: ci viene molto facile affermare che

un nostro malessere dipende da una circostanza esterna, anche quando

un’altra persona di fronte alla stessa identica circostanza potrebbe magari

non provare alcun malessere. Quindi per noi uomini sociali, spesso la causa

degli effetti che sperimentiamo all’interno, risiede all’esterno di noi.

Da qui nasce la sensazione di impotenza che spesso paralizza la nostra

attività, inibisce la nostra creatività, assorbe totalmente le nostre energie. Da

qui nasce la nostra dipendenza energetica

dall’esterno, dalle relazioni, dalle circostanze, dagli

altri.

Ribaltare i legami causa-effetto significa assumersi

totalmente e incondizionatamente la responsabilità

di ciò che pensiamo, di ciò che proviamo

“Che tu pensi di farcela o di non farcela…

hai ragione.” (Henry Ford)

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emozionalmente, e di ciò che accade nella nostra vita. Significa anche

comprendere che ciò che pensiamo influenza i nostri stati emozionali e che i

nostri stati emozionali condizionano pesantemente la nostra attività e la

nostra efficacia nella vita di tutti giorni.

Un leader sa di essere responsabile dell’utilizzo dell’energia che ha a

disposizione. Un leader sa che deve utilizzare in maniera impeccabile

la propria energia e non può concedersi il lusso di disperderla,

riversandola là dove non ha il potere di azione. Sa bene che in questo

modo, la dissiperebbe provando frustrazione.

Inoltre, un leader, gestendo in maniera impeccabile la propria

energia, è in grado di condurre un gruppo in maniera estremamente

efficace proprio perché non dipende dall’approvazione del gruppo. La sua

indipendenza energetica garantisce che al gruppo verranno offerte

opportunità di crescita e di realizzazione. Il lavoro del leader all’interno di

quel gruppo sarà terminato allorquando ciascun componente del gruppo

stesso avrà acquisito l’indipendenza energetica e il gruppo sarà quindi capace

di auto regolarsi e di auto condursi verso il successo.

Ecco, ora mi sento di darti una definizione di leadership: la leadership è la

capacità di gestire in maniera impeccabile la propria personale

energia e quella di un gruppo di persone.

Mi sembra di

intuire che tu ci stia raccontando delle teorie tue personali. Da dove provengono?

In effetti hai ragione, vi sto raccontando (come vi avevo anticipato) quelle

che sono le mie personali osservazioni sull’argomento. Non si tratta di teorie

consolidate ma di uno studio che sto portando avanti sulla base della mia

esperienza oramai decennale. Parallelamente al percorso professionale, un

mio cammino personale mi ha avvicinato alla cultura e alle tradizioni delle

popolazioni indios sudamericane. Dall’approfondimento di queste tradizioni

ho maturato la convinzione che alcuni dei loro concetti base fossero

estremamente attuali e spendibili nei nostri contesti organizzativi. Ecco da

dove nascono queste mie riflessioni. A breve pubblicherò un testo che

approfondirà appunto le tematiche qui appena accennate.

Quali spunti possono trovare i nostri lettori nella letteratura più classica sull’argomento?

Per chi volesse affrontare il tema della leadership, seguendo vie più

consolidate, suggerisco la lettura dei testi di Blanchard, autore anche

attualmente molto prolifico che, (al termine degli anni ’80) introdusse il

modello della Leadership Situazionale. Ve lo propongo perché fu il primo a

porre in maniera strutturata l’enfasi sulla necessità per il leader di adottare

stili diversi in funzione delle diverse persone. In particolare Blanchard

propose di considerare il livello di motivazione dei collaboratori e il loro livello

di competenza, adattando alle specifiche circostanze diversi stili di

leadership:

- Dirigere: in caso di bassa motivazione e bassa competenza

- Guidare: in caso di alta motivazione ma bassa competenza

- Supportare: in caso di bassa motivazione ma alta competenza

- Delegare: in caso di alta motivazione e alta competenza

Come noterete in questo primo modello si parlava comunque ancora di

modificare i comportamenti come se la leadership potesse essere esercitata a

prescindere da un reale lavoro su se stessi. Vi cito l’esempio di Blanchard,

anche perché proprio lui, di recente ha introdotto nei suoi testi la

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componente della crescita personale come prerequisito alla leadership.

I testi sulla leadership sono comunque una quantità spropositata ed è

davvero difficile orientarsi. Se lo ritenete il caso magari posso allegare una

piccola bibliografia...

Prima di salutarci vuoi

dirci qualcosa di te e del tuo lavoro?

Volentieri: mi chiamo Massimo Borgatti, ho 37 anni, sono ingegnere

gestionale e dal 1997 lavoro nelle organizzazioni private e pubbliche. Mi

occupo di consulenza organizzativa, di gestione delle risorse umane e di

formazione (sulle tematiche della leadership e dello sviluppo delle

competenze manageriali).

Ancora un accenno al testo sul quale sto lavorando. Si intitolerà:

SCIAMANAGER “la via dell’Impeccabilità” (probabile edizione: Il Punto

di Incontro) e presenterà un approccio al management e alla leadership

basato sulla rivisitazione e sull’adattamento ai tempi moderni e ai contesti

organizzativi, della conoscenza delle tradizioni sciamaniche sud americane. I

concetti chiave di questo approccio sono: la convinzione che tutto è energia

(il pensiero, le emozioni e la materia) e l’importanza della consapevolezza

nella gestione dell’energia (impeccabilità) come chiave di efficacia

nell’espressione di sé. Nel testo approfondirò inoltre le applicazioni pratiche

nel mondo aziendale e nell’esercizio della leadership di queste conoscenze,

anche attraverso l’uso di tecniche specifiche provenienti da queste tradizioni.

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