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Lévi-Strauss erudita 1 Alcune note critiche sulla genealogia ed attualità del pensiero lévistraussiano di Michele Parodi Cercherò nelle osservazioni seguenti di ordinare liberamente alcune critiche a Lévi-Strauss che sono venuto formulando durante le mie ricerche di campo in Brasile tra il maggio 2006 e l’ottobre 2008. La lett ura di un libro di Edmund Leach dedicato a Lévi-Strauss (Leach 1970) e la conoscenza di alcuni dettagli del l’e spe rie nza bra sil ian a del l’e tno log o francese, han no isp irato le mie prim e rif lessio ni sul pen siero lévistraussiano, parte anche di una indagine personale sulle origini della mia vocazione etnologica. Nel momento in cui un nuovo interesse per il folclore (i saperi tradizionali, la cultura materiale, i patrimoni intang ibili), sponsoriz zato dalle influenti politi che diffu se dall’UNESCO, sembra affer mars i con una sorprendente naturalezza, senza che tale ritorno (come un ritorno del rimosso) sia oggetto di un esteso ed app rof ondito esame critico da par te di ant rop olo gi e scienz iati soc ial i 2 , evidenziare un certo tipo di genealogia del pensiero di Lévi-Strauss, mostrarne le contiguità con lo stile enciclopedico estetizzante degli studi folclorici più tradizionali, permette di rilevare il percorso sotterraneo che l’ideologia folclorica ha compiuto, sotto false spoglie, negli ultimi decenni. Non si tratta di disconoscere la ricchezza dei contributi alle discipline antropologiche presenti nell’opera complessiva di Lévi-Strauss (illustrati nella loro varietà anche nei testi precedenti qui pubblicati), ma di svolgere una valutazione politica o ideologica di alcuni nodi del suo pensiero. Il criterio dell’autenticità  Nell’ultimo capitolo di  Anthropologie Structurale (Lévi-Strauss 1958b) 3 appare la traccia del  programma di una peculiare etnologia della  prossimità. La pr og re ssiva scomparsa real e e 1 Questo articolo è apparso per la prima volta in “Achab”, Rivista di Antropologia, n. 14, 2009, pp. 22-28. 2 Il seminario  La costruzione del patrimonio culturale discussioni critiche tra antropologia e altri territori , organizzato dalla “Fondazione Basso” e dalla “Società Italiana per la museografia e i beni Demo Etno Antropologici” (simbdea) nel marzo-maggio 2007, e la pubblicazione di alcuni volumi sulle politiche e le poetiche patrimoniali (Palumbo 2003; Pizza 2004; vedi anche l’“Annuario di Antropologia” dedicato al patrimonio culturale curato da Irene Maf fi nel 2006) segnal ano l’e mer gere tra gli ant rop olo gi italia ni di una pro spe ttiv a di ana lis i dei pro ce ssi di  patrimonializzazione più problematizzante e critica. In Francia e nel Nord America un simile dibattito è iniziato già verso la fine degli anni ottanta (vedi ad esempio i lavori di Lowenthal 1985 e 1997, Handler 1988, Jeudy 1990, Choy 1992, Poulot 1993). In Brasile (dove le mie ricerche riguardano le politiche del patrimonio in São Luís do Maranhão) una prospettiva simile ha iniziato a prendere consistenza a partire dalla pubblicazione nel 1996 del volume di Reginaldo Gonçalves,  Retorica da perda (1996), ispirato ai lavori di Handler (suo tutor nella stesura della tesi di dottorato) e Cliffo rd, e dalla fonda zione ne l 2002 de l Grupo de Trabalho Permanente do Patrimônio Cultural istituito dalla  presidenza della “Associação Brasileira de Antropologia” (cfr. Abreu 2007). Nella Università Federale del Maranhão il  prof. Alexandre Fernandes Corrêa, leader del Grupo de Estudos Culturais al quale ho partecipato durante la mia  permanenza in Brasile, svolge dal 2002 una critica puntuale alle pratiche patrimoniali (v. Corrêa 2003; v. anche http://gpeculturais.blogspot.com/). La presenza di questi autori e di questi gruppi, almeno in Italia, ma anche in Brasile, sembra però relativamente marginale rispetto al proliferare di pubblicazioni e ricerche documentarie descrittive. L’elenco di iniziative, conferenze, seminari, master e scuole di specializzazione inscrivibili in un ottica “applicativa” avente come finalità l’inventario, la  protezione o la rivitalizzazione dei patrimoni, è praticamente infinito. Si verifica qui una convergenza tra gli interessi di certi gruppi accademici (come i settori del design culturale, della comunicazione, della moda, delle belle arti e del restauro) e le istanze di valorizzazione identitaria organizzate o sponsorizzate dagli enti locali e condotte da un numero crescente di associazioni ed istituzioni museali (si veda per fare solo un esempio il convegno,  Patrimonio culturale immate riale, tradizione locale e rete globale, organizzato dalla Regione Lombardia nel maggio 2008 a Milano; locandina dell’evento disponibile in internet: http://www.agranelli.net/ DIR_rassegna/convegno_LombBBCC_08.pdf - ultimo accesso 3 maggio 2009). 3 Cap. XVII:  Place de l’Anthropologie dans les sciences sociales et problèmes posés par son enseignement (testo già  pubblicato nel 1954 nel volume edito dall’UNESCO, Les Sciences sociales dans l’enseignement supérieur ). 1

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7/30/2019 Lévi-Strauss erudita. Alcune note critiche sulla genealogia e attualità del pensiero lévistraussiano, di Michele Parodi

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Lévi-Strauss erudita1

Alcune note critiche sulla genealogia ed attualità del pensiero lévistraussiano

di Michele Parodi

Cercherò nelle osservazioni seguenti di ordinare liberamente alcune critiche a Lévi-Strauss che sonovenuto formulando durante le mie ricerche di campo in Brasile tra il maggio 2006 e l’ottobre 2008. La letturadi un libro di Edmund Leach dedicato a Lévi-Strauss (Leach 1970) e la conoscenza di alcuni dettaglidell’esperienza brasiliana dell’etnologo francese, hanno ispirato le mie prime riflessioni sul pensierolévistraussiano, parte anche di una indagine personale sulle origini della mia vocazione etnologica. Nelmomento in cui un nuovo interesse per il folclore (i saperi tradizionali, la cultura materiale, i patrimoniintangibili), sponsorizzato dalle influenti politiche diffuse dall’UNESCO, sembra affermarsi con unasorprendente naturalezza, senza che tale ritorno (come un ritorno del rimosso) sia oggetto di un esteso edapprofondito esame critico da parte di antropologi e scienziati sociali2, evidenziare un certo tipo digenealogia del pensiero di Lévi-Strauss, mostrarne le contiguità con lo stile enciclopedico estetizzante deglistudi folclorici più tradizionali, permette di rilevare il percorso sotterraneo che l’ideologia folclorica hacompiuto, sotto false spoglie, negli ultimi decenni. Non si tratta di disconoscere la ricchezza dei contributialle discipline antropologiche presenti nell’opera complessiva di Lévi-Strauss (illustrati nella loro varietàanche nei testi precedenti qui pubblicati), ma di svolgere una valutazione politica o ideologica di alcuni nodidel suo pensiero.

Il criterio dell’autenticità

 Nell’ultimo capitolo di  Anthropologie Structurale (Lévi-Strauss 1958b)3 appare la traccia del

 programma di una peculiare etnologia della  prossimità. La progressiva scomparsa reale e1 Questo articolo è apparso per la prima volta in “Achab”, Rivista di Antropologia, n. 14, 2009, pp. 22-28.2 Il seminario  La costruzione del patrimonio culturale – discussioni critiche tra antropologia e altri territori,

organizzato dalla “Fondazione Basso” e dalla “Società Italiana per la museografia e i beni Demo Etno Antropologici”(simbdea) nel marzo-maggio 2007, e la pubblicazione di alcuni volumi sulle politiche e le poetiche patrimoniali(Palumbo 2003; Pizza 2004; vedi anche l’“Annuario di Antropologia” dedicato al patrimonio culturale curato da IreneMaffi nel 2006) segnalano l’emergere tra gli antropologi italiani di una prospettiva di analisi dei processi di

 patrimonializzazione più problematizzante e critica. In Francia e nel Nord America un simile dibattito è iniziato giàverso la fine degli anni ottanta (vedi ad esempio i lavori di Lowenthal 1985 e 1997, Handler 1988, Jeudy 1990, Choy1992, Poulot 1993). In Brasile (dove le mie ricerche riguardano le politiche del patrimonio in São Luís do Maranhão)una prospettiva simile ha iniziato a prendere consistenza a partire dalla pubblicazione nel 1996 del volume di ReginaldoGonçalves,  Retorica da perda (1996), ispirato ai lavori di Handler (suo tutor nella stesura della tesi di dottorato) e

Clifford, e dalla fondazione nel 2002 del Grupo de Trabalho Permanente do Patrimônio Cultural  istituito dalla presidenza della “Associação Brasileira de Antropologia” (cfr. Abreu 2007). Nella Università Federale del Maranhão il prof. Alexandre Fernandes Corrêa, leader del Grupo de Estudos Culturais al quale ho partecipato durante la mia permanenza in Brasile, svolge dal 2002 una critica puntuale alle pratiche patrimoniali (v. Corrêa 2003; v. anchehttp://gpeculturais.blogspot.com/).La presenza di questi autori e di questi gruppi, almeno in Italia, ma anche in Brasile, sembra però relativamentemarginale rispetto al proliferare di pubblicazioni e ricerche documentarie descrittive. L’elenco di iniziative, conferenze,seminari, master e scuole di specializzazione inscrivibili in un ottica “applicativa” avente come finalità l’inventario, la

 protezione o la rivitalizzazione dei patrimoni, è praticamente infinito. Si verifica qui una convergenza tra gli interessi dicerti gruppi accademici (come i settori del design culturale, della comunicazione, della moda, delle belle arti e delrestauro) e le istanze di valorizzazione identitaria organizzate o sponsorizzate dagli enti locali e condotte da un numerocrescente di associazioni ed istituzioni museali (si veda per fare solo un esempio il convegno,  Patrimonio culturale

immateriale, tradizione locale e rete globale, organizzato dalla Regione Lombardia nel maggio 2008 a Milano;

locandina dell’evento disponibile in internet: http://www.agranelli.net/ DIR_rassegna/convegno_LombBBCC_08.pdf -ultimo accesso 3 maggio 2009).

3 Cap. XVII: Place de l’Anthropologie dans les sciences sociales et problèmes posés par son enseignement (testo già pubblicato nel 1954 nel volume edito dall’UNESCO, Les Sciences sociales dans l’enseignement supérieur ).

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7/30/2019 Lévi-Strauss erudita. Alcune note critiche sulla genealogia e attualità del pensiero lévistraussiano, di Michele Parodi

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concettuale dello specifico oggetto di studio dell’antropologia, le società “primitive”, sottilmente edambiguamente enunciata da Lévi-Strauss già in Tristi Tropici (Lévi-Strauss 1955), inducel’antropologo francese a spostare il suo sguardo di etnologo rimpatriato dai luoghi esotici della suainiziazione professionale al proprio territorio di origine, trovando così una nuova missione e unnuovo campo di ricerca: la rivelazione dell’autenticità preservatasi nei complessi meandri della

società moderna. È significativo che il concetto di autenticità tanto caro ai folcloristi si ripresenti neltesto della svolta strutturalista di Lévi-Strauss. Nel paragrafo intitolato  Il criterio dell’autenticità

(segnalatomi dal prof. Alexandre Corrêa; v. anche Corrêa 2007: 244) l’autore, ribaltando le tipichedefinizioni negative con cui, ancora alla fine degli anni ’50, erano individuate le società primitive – società “non civili”, “ senza scrittura” – ne identifica le sostanziali caratteristiche positive: laraffinata complessità di rapporti sociali fondati “su relazioni personali, su rapporti concreti traindividui”, “sul tipo delle relazioni più dirette, di cui la parentela offre il solido modello” (Lévi-Strauss 1958a: 400). Ciò che interessa qui osservare, è il fatto che tale ribaltamento, più che essereil frutto dell’approfondimento di un’analisi fondata su un’osservazione empirica prolungata,contiene dei chiari elementi polemici e di valore. Per Lévi-Strauss è la società occidentale ad esserecaratterizzata in termini di privazione:

Le nostre relazioni con altri non sono più, se non in maniera occasionale e frammentaria, fondate suun’esperienza così globale, su una comprensione così concreta dei soggetti tra loro. […] Siamo collegati alnostro passato, non più attraverso una tradizione orale che implica un contatto vissuto con persone – novellieri, preti, saggi o antichi – ma per tramite di libri immagazzinati in biblioteche […]. E sul piano del

 presente, comunichiamo con la grande maggioranza dei nostri contemporanei attraverso ogni sorta diintermediari – documenti scritti o meccanismi amministrativi – che certo allargano immensamente i nostricontatti, ma conferendo loro nello stesso tempo un carattere di inautenticità (id.: 401, corsivo mio).

Certamente, continua Lévi-Strauss, “le società moderne non sono integralmente inautentiche.[…] possiamo anzi constatare che, interessandosi sempre più dello studio delle società moderne,l’antropologia si è applicata a riconoscere e isolare in esse livelli di autenticità” (id.: 402). Lévi-

Strauss conclude trionfalmente il paragrafo esaltando i futuri meriti dell’antropologia:

L’avvenire giudicherà probabilmente che il più importante contributo dell’antropologia alle scienzesociali, sta nell’avere introdotto (d’altronde inconsciamente) questa fondamentale distinzione fra duemodalità di esistenza sociale: un genere di vita percepito in origine come tradizionale o arcaico, che èanzitutto quello delle società autentiche; e forme, di più recente apparizione, da cui il primo tipo non è certoassente, ma in cui gruppi imperfettamente e incompletamente autentici si trovano organizzati in seno a unsistema più vasto, affetto a sua volta da inautenticità (id.: 402-3).

 

Nostalgia di un’unità perduta

La nostalgia di Lévi-Strauss per le società “autentiche” – per un luogo fortemente desiderato e

definitivamente perduto, ipotetico stato di natura originariamente incontaminato, al medesimotempo, luogo epistemologico della scoperta e fantasma di desideri più profondi e inconfessati – ècontinuamente presente anche in Tristi tropici. Uno stile riflessivo percorre con una venaangustiante tutto il testo dell’antropologo francese, tentativo di svelare a se stesso e a noi qualcosadi oscuro. Tale progetto di auto-indagine sarà però successivamente messo in secondo pianodall’autore conquistato dal fascino estetico di altre logiche e altre strutture.

Un famoso brano di Tristi tropici rimane la sintesi testuale più compiuta di questa nostalgia:

il visitatore che per la prima volta si accampa nella boscaglia con gli indios è preso dall'angoscia e dalla pietà di fronte allo spettacolo di questa umanità così totalmente indifesa; schiacciata, sembra, contro lasuperficie di una terra ostile da qualche implacabile cataclisma, nuda e rabbrividente accanto a fuochivacillanti. Egli circola a tastoni fra la sterpaglia, evitando di urtare una mano, un braccio, un torso di cui si

indovinano i caldi riflessi al chiarore dei fuochi. Ma questa miseria è animata da bisbigli e da risa. Le coppiesi stringono nella nostalgia di una unità perduta; le carezze non si interrompono al passaggio dello straniero.S'indovina in tutti una immensa gentilezza, una profonda indifferenza, una ingenua e deliziosa soddisfazione

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animale, e mettendo insieme tutti questi sentimenti diversi, qualche cosa che somiglia all'espressione piùcommuovente della tenerezza umana (Lévi-Strauss 1955: 316)

Affiora qui un desiderio erotico, dove la nostalgia di una mitica unità perduta non è certo lanostalgia degli indigeni, ma la proiezione su di essi della nostalgia dell’autore per una “ingenuasoddisfazione animale”.

L’atteggiamento polemico e nostalgico di Lévi-Strauss pur nella sua inadeguatezza analitica emetodologica, manifesta l’espressione di un malessere, di una sofferenza interiore che non riesce adincontrare forme efficaci di mobilitazione pratiche o teoriche. È interessante notare come, ad uncerto punto, Lévi-Strauss tenti legittimare le sue affermazioni citando Wiener, il rappresentantedella “più moderna delle scienze sociali – quella della comunicazione”:

It’s no wonder that the larger communities […] contain far less available information that the smaller communities, to say nothing of the human elements of which all communities are built up (Wiener in Lévi-Strauss 1958b: 401).

Lévi-Strauss sembra qui percepire chiaramente il fenomeno proliferativo entropico che

caratterizza la cultura nelle società industriali, e l’inflazione dei valori culturali che tale espansioneinduce (Clifford ironicamente lo definisce “rassegnato «entropologo»”; Clifford 1988: 277), senza

 però comprendere come la missione che intende proporre, sostenuta dal metodo analiticostrutturalista, si inscriva proprio in questo stesso processo, essendone anzi uno dei supporticompensatori: riesumazione nostalgica e consolatoria di un astratto paradiso perduto infinitamentemanipolabile, decontestualizzate da una seria analisi di ordine storico-politico.

Ritorno del rimosso

L’esame del testo di Lévi-Strauss mostra un funzionamento discorsivo simile a quello dellaretorica folclorica, così confermando la complicità sotterranea tra l’antropologia e gli studi delfolclore segnalata verso la metà degli anni ’80 da Nicole Belmont (Belmont 1986). Permangono in

Lévi-Strauss visioni polemiche venate di nostalgia in cui i complessi inconsci presenti nelleconcezioni folcloriche riemergono in una specie di ritorno del rimosso, trovando nuove vesti concui accedere al livello dell’espressione. Si tratta di veri e propri sintomi, nella accezione

 psicoanalitica del termine, arcaismi che al medesimo tempo, definiscono percorsi di ricerca, posizionamenti teorici, suggestionano polemiche accademiche tra scuole e dipartimenti rivali, senzache una riflessione antropologica effettiva ne sveli la struttura più intima. Secondo Belmont lacondanna degli studi del folklore è avvenuta in Francia “senza processo” (Belmont 1986: 260) 4.Mentre al livello internazionale più generale, a partire dalla fine degli anni settanta, una vastainterrogazione autocritica ha colpito l’antropologia, fino a mettere in discussione le fondamentadella disciplina, paradossalmente, la critica scientifica degli studi folclorici, limitatasi in precedenzaagli aspetti teorici metodologici (il descrittivismo, l’assenza di rigore e oggettività), in seguito,

confinata la loro presenza ai margini dell’accademia, non si è più rivolta all’indagine e allosvelamento della loro dimensione ideologica più profonda. È forse questo “non detto” (id.) aconsentire l’attuale riemergere dell’ideologia folclorica in ricerche metodologicamente distanti daldilettantismo dei folcloristi del passato, come nel caso dello strutturalismo o dell’etnosemiotica.5

4 Le traduzioni italiane di testi citati in bibliografia in lingua originale sono dell’autore.5 Da questo punto di vista il caso italiano e l’egemonia che gli studi demo-antropologici hanno conservato nel campodelle scienze antropologiche del nostro paese fino alla fine degli anni settanta, presenta delle specificità rilevanti. InItalia l’influsso del pensiero di Gramsci ha consentito un precoce rinnovamento teorico e metodologico degli studifolclorici e ha permesso una progredita, anche se non sempre efficace, critica del folclore e delle analisi folcloriche (v.ad esempio i lavori di Cirese, de Martino e Lombardi-Satriani). Alla fine della militanza politica degli anni settanta, è

seguita, però, una fase di ristagno delle ricerche sul folclore, a partire dalla quale gli studi folclorici sono potutiriemergere gradualmente in una forma  pura, filtrata dalle precedenti finalità politico-ideologiche, elaborandoconoscenze “essenzialmente rivolte al passato” (cfr. Bravo Tucci 2006: 12). In Brasile si è verificato un fenomenosimile in cui la fase di latenza ha coinciso con il primo decennio della dittatura militare (1964-1985).

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Estetismo enciclopedico

Ciò che accomuna Lévi-Strauss ai folcloristi è l’idea che l’oggetto dei propri studi siairrimediabilmente perduto, e che il proprio impegno debba di conseguenza concentrarsi nellaraccolta e conservazione di ciò che va sparendo. Un misto di romanticismo e di positivismo cheanela alla conoscenza dell’altro, ma al medesimo tempo lo irrigidisce nei suoi aspetti esteriori, così

 piegandolo ai propri fini polemici ed ad uno sguardo estetizzante che si limita a manipolarne gliaspetti formali in un raffinato gioco combinatorio. Vi è in Lévi-Strauss un rifiuto radicale della

 possibilità e della opportunità di condividere la vita dei propri interlocutori di campo. Qui si percepisce l’eredità della tradizione etnografica maussiana, caratterizzata dal sospetto nei confrontidei discorsi nativi (dove opererebbero continuamente forme di mascheramento e di omissione), edalla valorizzazione della sicurezza eloquente degli “oggetti autentici e autonomi” (cfr. Mauss inClifford 1988: 85). È a partire da queste premesse che Griaule, seguendo un diverso percorso, nonabdicando a confrontarsi con le difficoltà del campo, svilupperà il suo peculiare metodo“giudiziario”, “antagonistico” (id.: 79, 94). L’etnografia di Lévi-Strauss, portando agli ultimi esitiquesta logica, si riduce invece alla raccolta di reperti, di resti, di rovine, di miti. Secondo Lévi-Strauss si è irrimediabilmente troppo lontani o troppo vicini per poter afferrare le stranezze deiselvaggi. Da qui l’ironia del famoso passo di tristi tropici citato anche da Geertz (1988: 52-53):“Alla fine di un viaggio esaltante avevo trovato i miei selvaggi. Ma ahimè, essi lo erano troppo […]erano là pronti ad insegnarmi i loro costumi e le loro credenze e io non conoscevo la loro lingua.Vicini a me […] potevo toccarli ma non potevo comprenderli” (Lévi-Strauss 1955: 361-62). Questaimpossibilità, il “cerchio chiuso” (id.: 50), che Lévi-Strauss vuol qui far passare comeepistemologica (o episodica: la mancanza di tempo, “le limitate risorse”, “il deperimento fisico”;cit. in id. , p. 361), dipende invece essenzialmente dalle specifiche finalità conoscitive dell’autoreche lo hanno spinto a vagare per mesi nell’amazzonia piuttosto che a stabilirsi permanentemente inun villaggio indigeno, guidato da “un melange di estetismo […] e di enciclopedismo illuminista”(Geertz 1988: 39). A Lévi-Strauss in verità non interessava comprendere i significati della vita

indigena, ma, con sguardo di esteta, mettere a sistema la diversità delle manifestazioni materiali chesi davano alla sua vista: tatuaggi, ornamenti, rappresentazioni grafiche, oggetti rituali, relazioni di parentela, miti e loro varianti. È questo tipo di attività che ha caratterizzato anche le ricerchefolcloriche, nella fase in cui, verso la fine dell’ottocento e i primi del novecento, tentarono di darsiuna parvenza di scientificità. La linguistica strutturalista darà poi a Lévi-Strauss gli strumenti concui nobilitare questa attività dandone una veste più filosofica.

L’atteggiamento di Lévi-Strauss, come quello dei folcloristi, è simile ai fenomeni di fissazione suun “monumento” della vita passata che caratterizzano certi tipi di nevrosi, dove le manifestazioni

 psicotiche possono giungere fino a negare la realtà e il presente (cfr. Freud 1909: 135-36; cit. inBelmont 1986: 265).

Lévi-Strauss archeologo

Per Lévi-Strauss il lavoro etnografico consiste nel viaggio (nonostante il famoso incipit di Tristi

tropici dica il contrario: “Odio i viaggi e gli esploratori; Lévi-Strauss 1955: 19) e nella raccolta dei“reperti” incontrati lungo il percorso (Geertz considera Tristi tropici il risultato della mescolanza di

 più generi di testi: un libro di viaggi, una etnografia polemica, un testo filosofico, addirittura unaguida turistica; Geertz 1988: 40-50). Lévi-Strauss più che ad un etnografo può allora essere

 paragonato ad un archeologo, ad una specie di “ flâneur antropologico” (Clifford 1988: 274) o ad uncollezionista (non ad un viaggiatore “puro” i cui vagabondaggi comportano sempre anche la

 possibilità di un non ritorno e da qui probabilmente l’incipit sopra citato)6. Questa ipotesi è

6 In un passo di Tristi tropici, Lévi-Strauss si riconosce “viaggiatore, archeologo dello spazio, che invano tenta diricostruire l’esotismo con l’aiuto di frammenti e rottami” (Lévi-Strauss 1955: 50). Una delle tante confessioni contenute

nel libro e successivamente rimosse, come se la confessione delle proprie contraddizioni avesse reso Lévi-Strauss piùagile e leggero nel convivere con le proprie ossessioni. Ugo Fabietti in una recente lezione seminariale, osserva comeguardando la traiettoria complessiva dei lavori di Lévi-Strauss si resta colpiti dall’affiorare, scomparire e riapparire dialcuni nuclei di idee ricorrenti, come se nel suo pensiero lavorassero delle forme fisse che non si sviluppano in modo

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confermata, dall’idea che egli ha sempre avuto del destino dell’antropologia. Nel 1988 intervistatodal giornalista francese Didier Eribon affermava: “[L’antropologia] cambierà la sua natura. Sel’indagine sul campo non avrà più oggetti, ci trasformeremo in filologi, storici delle idee, specialistidi civiltà avvicinabili solamente attraverso i documenti che antichi osservatori hanno raccolto”(Lévi-Strauss 1988: 202). In realtà questa trasformazione per Lévi-Strauss è avvenuta

 precocemente, alla conclusione della sua esperienza brasiliana nel 1939. In seguito, scrollatosi didosso l’impiccio di ogni residuo etnografico potrà “dedicarsi al tema che – come afferma Geertz – gli è veramente proprio: “il gioco formale dell’intelletto umano” (Geertz 1988: 37). Non è diconseguenza un caso che la ricerca di campo tra i Nambikwara, la più prolungata della sua carriera,non occupi un ruolo di rilievo nella sua produzione teorica. In effetti è lo stesso Lévi-Strauss ariconoscerlo: “io mi sentii ben presto uomo da biblioteca piuttosto che uomo da campo. […][Holavorato sul campo] abbastanza per imparare e capire che cos’è questo lavoro, condizioneindispensabile per giudicare correttamente e utilizzare il lavoro fatto da altri” (Lévi-Strauss 1988:70, 72).

Lévi-Strauss erudita

Quanto detto finora corrisponde alla tesi presentata da Edmund Leach nel primo capitolo del suolibro dedicato a Lévi-Strauss (Leach 1970), dove include l’antropologo francese nella genealogiadegli antropologi eruditi, famiglia a cui assegna come prototipo Frazer e alla quale contrappone lagenealogia degli antropologi che fanno della ricerca di campo intensiva il momento cruciale dellaloro professione, primo fra tutti, secondo Leach, il padre dell’“osservazione partecipante”Bronislaw Malinowski. In effetti tutta l’esperienza etnografica di Lévi-Strauss si può ridurre adalcuni mesi trascorsi tra gli indios Caduvei e Bororo (tra il 1935 e il 1936, alla fine del primo annoaccademico all’università di São Paulo dove era professore visitante) e tra gli indios Nambikwara(giugno-dicembre 1938; cfr. Faria 2001; Domingues, Monte-Mór, Sorá, 1998). Se i frutti della

 prima missione etnografica nel Mato Grosso si concretizzarono nella raccolta di una importantecollezione di artefatti etnografici per conto del futuro Musée de l’Homme, la seconda missione tra i

 Nambikwara, nel cui territorio Lévi-Strauss trascorse circa quattro mesi, fu spesa per la gran partein spostamenti. Come riconosce Lévi-Strauss, intervistato dall’antropologo e fotografo brasilianoMarcelo Fiorini

[i Nabikwara] non parlavano il portoghese, salvo alcuni di essi che conoscevano una decina di parole. Iostesso non sapevo parlare Nabikwara, con competenza, e, pertanto, noi costruimmo insieme un tipo di gergocomune, formato per metà di parole portoghesi e per metà di parole Nabikwara, il che ci permetteva unminimo di comunicazione. Evidentemente con ciò non si poteva andare molto lontano (Lévi-Strauss inFiorini 2007: 11).

Leach osserva:

É perfettamente vero che un antropologo sperimentato, visitando per la prima volta una “nuova” società primitiva e lavorando con l’aiuto di interpreti competenti, sarà capace, dopo una permanenza di alcunigiorni, di sviluppare nella sua mente un “modello” ragionevolmente esauriente di come funziona il sistemasociale; ma è anche vero che, se permanesse lì sei mesi e apprendesse a parlare la lingua locale, molto pocoresterebbe di quel “modello” iniziale. Significativamente, il compito di comprendere come il sistemafunziona sembrerà ancora più formidabile di quanto non lo fosse stato nei primi giorni successivi al suoarrivo.

Lévi-Strauss non ebbe mai l’opportunità di soffrire questa esperienza demoralizzante…[Egli] come Frazer, è insufficientemente critico, in riferimento al corpo basico di informazioni su cui

lavora. […] Qualsiasi prova, per molto dubbia che sia, è accettabile – dal momento che si aggiusti adaspettative logicamente calcolate (Leach 1970: 20).

 

irreversibile, ma si ripresentano ciclicamente in forme solo leggermente variate (Fabietti 2008).

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Dopo le prime iniziazioni etnografiche in Brasile, Lévi-Strauss non compirà più alcunasignificativa ricerca di campo dedicandosi interamente allo studio minuzioso dei testi etnograficiraccolti da altri antropologi sulla cui base elaborerà le sue opere teoriche più famose.

Lévi-Strauss e il Brasile

La retorica testuale di Lévi-Strauss, il suo estetismo e il suo moralismo (Geertz, nell’articolo giàcitato, provocatoriamente parla di Tristi tropici come di un “trattatello riformista”; Geertz 1988:46), ha probabilmente la sua origine, oltre che nel più generale contesto culturale delle scienzesociali della Francia degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, nella storia personale dell’etnologofrancese (ad esempio nel fatto che il padre fosse un pittore di ritratti rovinato dall’avvento dellafotografia…), nella condizione di classe della sua famiglia (borghesia intellettuale in declino), enella sua specifica traiettoria accademica (è lo stesso Lévi-Strauss a dichiarare il carattereautodidatta dei suoi primi studi antropologici; cfr. Fiorini 2007: 11). La lunga intervista rilasciata daLévi-Strauss a Didier Eribon nel 1988 è da questo punto di vista illuminante (Lévi-Strauss 1988).

Ci sembra però che la permanenza in Brasile di Lévi-Strauss abbia assunto un’importanzaspeciale nel definire la sua vocazione e la sua traiettoria intellettuale. In particolare nel definire il

suo stile etnografico e la sua vena polemica.È nota l’influenza di Lévi-Strauss e dello strutturalismo sullo sviluppo dell’antropologia e dellescienze sociali in Brasile (vedi ad esempio i primi lavori di Roberto da Matta: da Matta 1973 e1976). Forse meno nota l’influenza del modernismo brasiliano e delle ricerche folcloriche di questo

 paese sul suo pensiero. Con la moglie Dina, durante la sua permanenza in Brasile come professorevisitante, partecipò nel 1936 alla fondazione della Sociedade de Etnografia e Folclore (FUNARTE,INF 1983: 70), organizzata da Mario de Andrade – romanziere, poeta, etnografo, musicologo, tra ifondatori con Oswald de Andrade nel 1928 del modernismo antropofago brasiliano. Dina, segretariadella rivista della Sociedade (id.: 10, 72), pubblicherà a puntate sul  Boletim le  Istruções práticas

 para pesquisas de Antropologia Física e Cultural  (Lévi-Strauss D. 1936), una specie di Notes and 

Queries aggiornato, inspirato dalle esigenze enciclopediche dei lavori di Frazer e Mauss.7

È qui importante segnalare l’affinità profonda che univa Lévi-Strauss e Mario de Andrade,accomunati da medesimi studi umanistici e filosofici, figure poliedriche in cui la scritturaetnografica e la letteratura si incrociano spesso.

 Negli anni del loro incontro si trovarono uniti nella comune missione per la salvaguardia di un patrimonio di cui temevano la rapida estinzione: la cultura delle “ultime” popolazioni indigene e letradizioni folcloriche del popolo brasileiro, culture localizzate nel  Brasil profundo, sopravvissutealla rapida avanzata della  frontiera brasiliana. Da qui l’urgenza per entrambi di dislocarsi neiterritori “selvaggi”, dove ancora era possibile incontrare questo Brasile. Si trattava per de Andradedi riscoprire l’inconscio della nazione, mentre nella visione universalizzante dell’etnologo francesedi rivelare l’inconscio dell’uomo stesso.

Si può forse ipotizzare che il progetto universalista di Lévi-Strauss sia nato proprio a partire

dall’incontro con de Andrade e il Brasile, dalla mediazione del disegno nazionalista di de Andrade per tramite della tradizione illuminista francese. Furono numerose le spedizioni folcloriche neidintorni di São Paulo a cui Lévi-Strauss partecipò insieme a de Andrade: “qualcuno ci informavadello svolgimento di una festa di mori e cristiani o di  Bumba-meu-boi e noi ci andavamo” (Lévi-Strauss in Sandroni 1993: 239). Viceversa fu lo stesso de Andrade, per tramite del “Dipartimento diCultura” del municipio di São Paulo, da lui diretto dal 1935 al 1938, a finanziare parzialmente lemissioni etnografiche di Lévi-Strauss nell’interno del Brasile (id.: 238). L’elogio della diversitàassumeva per de Andrade un significato emancipatorio, rivelando la singolarità brasiliana, per Lévi-

7 Un questionario speciale fu organizzato dalla Sociedade al fine di realizzare una “carta geografica” di alcuni costumi

 popolari nello Stato di São Paulo, carta che, su invito di Dina Lévi-Strauss, fu presentata al Congresso Internazionaledel Folclore di Parigi nel giugno 1937. Il tema specifico del congresso riguardava la cartografia folclorica (promossa inFrancia da Van Gennep; cfr. Cocchiara 1952: 521) e la promozione dell’accesso degli studi folclorici al campo dellescienze antropologiche (FUNARTE, INF 1983: 11, 73-75).

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Strauss un significato etico: elogio, come dirà nei primi anni ’50, della varietà in sé “in un mondominacciato dalla monotonia” (Lévi-Strauss 1952: 407).

Di qui l’irrilevanza di una permanenza prolungata sul campo e la preferenza per missioniitineranti di breve durata dove collezionare un vasto e diversificato numero di artefatti etnografici8.Entrambi erano posseduti da una vera e propria voracità antropofaga di “oggetti culturali”9: un

“cannibalismo nostalgico” (Lévi-Strauss 1955: 48) di “turisti apprendisti” (nel 1927 de Andradeiniziò a scrivere per il giornale O Diario Nacional una sorta di quaderno di viaggio poetico e criticointitolato O Turista Aprendiz ) su cui fondare, secondo de Andrade, la incerta identità nazionale

 brasiliana, per Lévi-Strauss, un istintivo gusto per il bricolage e i giochi combinatori consentiti daun insieme di oggetti, o di stili10, sciolti dalle proprie relazioni sociali. Per entrambi alle origini diquesto comune sentire vi era il surrealismo e il simbolismo francese (nel caso di Andrade anche ilfuturismo italiano), ma il senso di spaesamento che nei surrealisti più militanti diventava elementodi trasgressione e di fiduciosa adesione alla dinamica imprevedibile del reale, era vissuto in loro inmodo più angoscioso, continuamente contrastato da un turbato e contraddittorio bisogno di identitàe di confini. Così per entrambi, ad un certo punto, la dissociazione della cultura e l’attaccosovversivo surrealista, si sciolgono in operazioni di rielaborazione e sistemazione estetica di

frammenti culturali che la legittimazione scientifica e l’azione organizzativa delle istituzioniconsentono di accumulare.

 Non per caso l’universalismo differenzialista e nazionalista dell’UNESCO all’inizio del nuovomillennio ha ritrovato in Lévi-Strauss un interlocutore ideale (cfr. Stoczkowski 2008), mentre ilfamoso  Anteprojeto di de Andrade (Andrade 1936) – il “Piano preliminare per la creazione delservizio del patrimonio artistico nazionale” – da lui elaborato nel 1936 su sollecitazione dell’alloraministro dell’educazione Gustavo Capanema e accantonato durante la dittatura di Vargas (1937-1940), è diventato in seguito una delle principali fonti di ispirazione delle politiche del patrimonio

 brasiliane (da Silva 2002)11.Sia Lévi-Strauss che de Andrade, seppur con sfumature diverse, amano le identità ben definite. Il

nazionalismo per de Andrade era l’unica maniera di universalizzarsi: “Poiché un popolo solo siuniversalizza nel momento in cui concorre con il suo contingente particolare e inconfondibile adarricchire questa cosa sublime, uniforme ma multipla che è l’umanità” (Andrade 1924-1936: 150).Citazione che ricorda un famoso brano di  Razza e storia (testo commissionato a Lévi-Straussdall’UNESCO): “il contributo delle culture non consiste nell’elenco delle loro invenzioni

 particolari, ma nello scarto differenziale che esse presentano fra di loro” (Lévi-Strauss 1952: 403).8 Durante le spedizioni del 1935-1936 Lévi-Strauss collezionò un grande numero di oggetti. Il successo della mostra cheegli e la moglie Dina organizzarono a Parigi sulla base di questi materiali nel 1937, permise a Lévi-Strauss di ottenere ifondi per la spedizione del 1938 (Lévi-Strauss 1988: 37-38; 1955: 265). Nei “viaggi etnografici” del 1927 e del 1928-1929, e nella famosa missione folclorica nel Nord del Brasile del 1938, Mário de Andrade raccolse invece unaimportante collezione di registrazioni musicali, di fotografie e immagini filmate delle tradizioni popolari brasiliane (cfr.

 Nogueira 2005).9 In una lettera a Luís da Câmara Cascudo (fondatore a Natal nel 1941 della “Fundação da Sociedade Brasileira deFolclore”), nel settembre 1924, Mário de Andrade scrive: “Ho una fame per il Nord, che non immagina. Mi mandialcune fotografie della sua terra. Vi sono opere di arte coloniale? Immagini di legno, chiese interessanti? Conosce i loroautori? Ha delle fotografie? Mi creda: tutto ciò mi interessa più della vita. Non abbia paura di inviarmi un ritratto di unacasa abbandonata che sia. O di un fiume, o di un albero comune. Sono le delizie della mia vita queste fotografie di pezzifamiliari del Brasile. Non è per sentimentalismo. Ma so sorprendere le cose comuni della mia terra. E la mia terra èancora il Brasile” (Andrade 1991: 34).10 Vale la pena qui ricordare il seguente brano di Tristi tropici: “L’insieme dei costumi di un popolo è contrassegnatosempre da uno stile; essi costituiscono dei sistemi. Sono persuaso che questi sistemi non esistono in numero illimitato[… ]. Facendo l’inventario di tutti i costumi osservati […] si giungerebbe a comporre una specie di tavola periodicacome quella degli elementi chimici, in cui tutti i costumi reali o semplicemente possibili apparirebbero raggruppati infamiglie, e in cui non avremmo più che da riconoscere quelli che le società hanno effettivamente adottato.” (Lévi-Strauss 1955: 201).11 L’ Anteprojeto di de Andrade includeva, già a quell’epoca, tra i patrimoni degni di protezione, l’arte archeologica eamerindia, il folclore e l’arte popolare (cfr. Andrade 1936), anticipando di più di trent’anni le politiche di protezione dei

 beni culturali dell’UNESCO sancite per la prima volta dalla “Convenzione sulla Protezione del patrimonio culturale enaturale mondiale” di Parigi nel 1972.

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Possiamo così vedere come nazionalismo e relativismo culturale in Lévi-Strauss e de Andrade(per de Andrade l’identità brasiliana è sostanzialmente meticcia) si siano influenzatireciprocamente, diventando le due facce di una stessa medaglia (come nei paradossi del razzismoculturalista). Entrambi ossessionati dal confine (Clifford Geertz giunge fino ad accusare Lévi-Strauss di etnocentrismo; Geertz 1986: 546-547), mossi da un polemico impulso interventista più

sensoriale che politico, hanno finito per inscrivere parte della loro militanza nelle istituzioni degliStati e delle organizzazioni internazionali, lasciando in esse le tracce del loro pensiero.

Conclusioni provvisorie

In queste note sintetiche ho cercato di mettere in luce i punti di contatto sintomatici tra l’opera diLévi-Strauss e i tratti caratteristici degli indirizzi più tradizionali degli studi folclorici: 1) attrazionenostalgica e polemica per le antichità (i “selvaggi” o i “primitivi” nel caso di Lévi-Strauss); 2)dilettantismo erudito e autodidatta; 3) contatto diretto, anche se temporaneo e di breve durata, congli oggetti di studio; 4) fascinazione per gli artefatti (compresi le testimonianze orali, i miti, i

 proverbi) e disinteresse per i problemi e i processi sociali; 5) organizzazione sistematica e formaledei materiali empirici; 6) ossessione per i confini e le classificazioni; 7) più o meno velato

campanilismo (regionalismo, nazionalismo patriottico o etnocentrismo).12

Il gusto estetizzante, quasi antiquario, che è possibile rintracciare nella traiettoria complessiva diLévi-Strauss, ci sembra essere il medesimo che oggi guida le politiche di selezione e salvaguardiadei monumenti nazionali (materiali o intangibili, eruditi o popolari che siano), così come la messa inordine delle diversità culturali organizzate dall’UNESCO nella lista dei patrimoni dell’umanità. Sitratta di forme discorsive che occultando in opposizioni distintive e giustapposizioni spettacolaril’artificiosità convenzionale di queste operazioni, allo stesso tempo dissimulano, naturalizzandoli, imeccanismi reali di dominio, le asimmetrie di potere e le dinamiche economiche globali che sonoalla base della riduzione a simulacri della diversità delle culture.

Lo sguardo da lontano di Lévi-Strauss che rifiuta di interagire con i suoi oggetti (interlocutori concui non vuole interloquire) limitandosi a contemplarli con nostalgia, finisce per sostenere una

visione depoliticizzata della cultura e della ricerca etnografica, contribuendo al più generalearretramento della sfera pubblica e della critica.

 Nello strutturalismo lévistraussiano la ricchezza della ricerca etnografica si confonde con lamoltiplicazione dei suoi oggetti in detrimento di una interrogazione più radicale, sostituita da“un’arte della descrizione che impone la sua propria finalità” (Jeudy 2005: 34).

L’etnografia, al contrario è il luogo dell’incontro, il luogo di un apprendimento sensibile erelazionale che si avvera sul piano etico della pluralità. Luogo dove nella dialettica tra generale e

 particolare l’oggetto e i limiti del campo sono decisi nella pratica (cfr. Bourdieu 1992: 185)Tale esperienza in Lévi-Strauss risulta impoverita, poiché sistematicamente scissa dall’impianto

teorico. Ed è proprio questa separazione a definire l’antipolitica del suo metodo. Le culture sonoapprese nella rigidezza dei dati raccolti dall’etnografo e delle analisi strutturali compiute

dall’antropologo, non nella realtà fluida e dinamica dove etnografo e antropologo si confondono.L’ideologia folclorica, depurata dei suoi residui moralistici (la critica tradizionalista del presente),

aggrappandosi ai vettori forniti dal contesto competitivo del tardo capitalismo (liste patrimoniali,inventari di beni etnografici, cartografie folkloriche, design culturale) e da paradigmi teoricisincronici e non dialettici come lo strutturalismo, si riattiva in forme nuove purificate dalle passate

12 Giulio Angioni, agli inizi degli anni settanta, formulava così le caratteristiche del “quadro clinico” della demologiaitaliana di stampo romantico-positivista: “propensione alla genericità astratta o sentimentale”, “gusto del pittoresco”,“vagheggiamento idillico”, “difesa campanilistica dei buoni villici delle proprie regioni” (Angioni 1971: 183). SecondoAngioni la mancata attenzione critica ai dislivelli socio-economici e culturali conduceva le ricostruzioni storico-diacroniche a “una sterile ricerca del «fossile culturale» in via di sparizione, da raccogliere in un museo o da ripristinare

 più o meno contraffatto in qualcuna delle numerose manifestazioni turistico-dopo-lavoristiche (per le quali è sempre

facile trovare finanziamenti da parte di burocrati […][e] mecenati provinciali appassionati di storia locale)” (id.: 185), privando al medesimo tempo le ricerche sociologico-sincroniche di oggetti significativi cui dedicarsi. Concludevadichiarando l’abitudine, per tradizione, dei demologi italiani “a ricercare esclusivamente oggetti («monumenti» dell’arte

 popolare) e prodotti «letterari» orali, e non comportamenti e concezioni” (id.).

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interdizioni. Si afferma un’arte seduttiva, come denuncia Henri-Perre Jeudy parlando degli studidell’etnologia della Francia, dove le ricerche etnologiche, abbandonato qualsiasi proposito teorico,si riducono alla missione di rianimare le identità e le memorie collettive “mostrando ciò che non simostra” (come nel caso dell’esposizione organizzata delle memorie operaie; cit. in Jeudy 2005: 34-35).13 Non vi sono allora più problemi da investigare, ma solo patrimoni da rivelare

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13 Si osserva qui una strana sinergia dove la freddezza delle analisi strutturali può accoppiarsi con gli approcci

interpretativi che puntano a valorizzare il punto di vista nativo, rinforzando processi antagonistici di estetizzazione eframmentazione identitaria. Si tratta di una questione complessa e delicata che non abbiamo qui la possibilità diapprofondire. Ci sia consentito di lasciare questo cenno sperando di poter in futuro verificare e chiarire la nostra

 posizione.

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