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Lezioni di biotecnologie

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Lezione 2

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Analisi del DNA

e delle proteine

© Zanichelli editore, 2014

Analizzare DNA e proteine Per le applicazioni delle biotecnologie

è di fondamentale importanza: 1. essere in grado di identificare con precisione

le sequenze di DNA di interesse;

2. analizzare il contenuto della loro informazione per stabilirne la funzione;

3. identificare i prodotti proteici corrispondenti;

4. saper localizzare geni e proteine all’interno delle cellule.

Esistono tecniche in grado di rispondere a tutte

queste esigenze.

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© Zanichelli editore, 2014

Leggere il DNA • Un aspetto fondamentale delle biotecnologie è la possibilità di poter leggere la sequenza del DNA, in modo da identificare con certezza la presenza dei geni o delle regioni regolative che ci interessa clonare. • La lettura della sequenza del DNA ha costituito una tappa fondamentale nella nascita delle biotecnologie. • Il procedimento attraverso cui si identificano le singole basi che compongono una molecola di DNA è detto sequenziamento.

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© Zanichelli editore, 2014

Il sequenziamento del DNA: Sanger

Nel 1975 il chimico britannico Fred Sanger (vincitore di due premi Nobel) ideò una tecnica per sequenziare il DNA basata sull’utilizzo della DNA polimerasi e di nucleotidi modificati, detti dideossinucleotidi perché privi dell’estremità 3’ OH del ribosio. Una volta incorporato, il dideossinucleotide non può essereulteriormente allungato, causando la terminazione della catena: miscelando opportunamente i 4 normali nucleotidi con i corrispondenti dideossinucleotidi, è possibile sintetizzare frammenti di DNA bloccati in corrispondenza di ciascuna base del filamento stampo.

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© Zanichelli editore, 2014

Il moderno sequenziamento (I)

I moderni sequenziatori sono basati sul metodo di Sanger. La differenza è che ciascun dideossinucleotide è marcato con un gruppo fluorescente di colore diverso. Illuminando i prodotti della reazione polimerasica con un laser è possibile distinguere la base terminale di ciascun frammento (quella corrispondente al dideossinucleotide incorporato) sulla base del colore emesso dal gruppo fluorescente.

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© Zanichelli editore, 2014

Per il sequenziamento sono necessari:

• il filamento di DNA stampo (di cui vogliamo leggere la sequenza);

• un innesco complementare a una regione dello stampo (per l’inizio della reazione di DNA polimerasi);

• la DNA polimerasi;

• una miscela di 4 nucleotidi (dNTPs);

• i 4 dideossinucleotidi (ddNTPs) fluorescenti.

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Il moderno sequenziamento (II)

© Zanichelli editore, 2014

La DNA polimerasi viene incubata in presenza del DNA, dei 4 dNTPs e di uno specifico ddNTP, posto a un rapporto molare con il corrispondente dNTP (per esempio ddATP verso dATP), tale per cui venga incorporato solo a una determinata frequenza. Se la concentrazione di ddATP fosse troppo alta, infatti, tutte le molecole di DNA si arresterebbero alla prima T. In questo modo, invece, solo una frazione del DNA sintetizzato sarà bloccato ogni volta che sullo stampo è presente una T.

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Il moderno sequenziamento (III)

© Zanichelli editore, 2014

Il moderno sequenziamento (IV)

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Facendo quattro reazioni separate, una per ogni ddNTP, sarà possibile identificare ogni base presente sullo stampo, basandosi sull’incorporazione del ddNTP complementare.

© Zanichelli editore, 2014

Sequenziamento del DNA per PCR (I)

Nella metodica classica di Sanger era necessaria una quantità rilevante di DNA per poter rilevare i frammenti sintetizzati. Oggi è possibile sequenziare quantità minime di DNA grazie all’uso della PCR, in cui il campione di partenza viene prima amplificato e successivamente vengono aggiunti i ddNTPs fluorescenti. I moderni sequenziatori automatici utilizzano l’accoppiamento tra PCR e metodo Sanger. I frammenti vengono separati in microtubi di poliacrilammide e contemporaneamente letti dal raggio laser.

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Sequenziamento del DNA per PCR (II)

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Un sequenziatore automatico Immagine: Konrad Förstner via Wikimedia Commons

Traccia della sequenza generata dal sequenziatore

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Analisi delle sequenze

Nel 2003 è stato completato il sequenziamento del genoma umano. Ma anche il genoma di molti altri organismi è stato completamente sequenziato. La sequenza del DNA genomico è costituita da una serie ininterrotta di milioni o miliardi di lettere (ciascuna corrispondente ad una base A,T,C,G) e quindi la sua lettura dall’occhio umano non consente di estrarre alcuna informazione utile. Per poter decodificare l’informazione contenuta nella sequenza del DNA sono necessari strumenti bioinformatici.

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Analisi delle sequenze: fase di lettura

Il livello di analisi più semplice è l’individuazione di geni, ovvero di sequenze codificanti. Dato che ogni amminoacido è codificato da una tripletta (3 nucleotidi), ciascuna sequenza di DNA può essere letta in tre modi diversi (a partire cioè dalla prima, seconda o terza base) o fasi di lettura. I programmi informatici effettuano la lettura a triplette su ciascuna delle tre possibili fasi di lettura e identificano quella in grado di codificare per un prodotto proteico (generalmente le fasi sbagliate mostrano codoni di stop dopo pochi amminoacidi e quindi non sono geni).

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Analisi delle sequenze: omologie (I)

Tutte le sequenze accumulate negli anni sono conservate in banche dati liberamente accessibili. Una nuova sequenza può così essere confrontata con quelle note. I programmi sono in grado di evidenziare le sequenze comuni e il grado di somiglianza.

Sequenze identiche avranno la medesima funzione. Sequenze che si assomigliano identificheranno probabilmente funzioni simili in organismi evolutivamente distanti.

Grazie all’analisi comparativa delle sequenze è possibile identificare geni simili in organismi diversi, costruire alberi genealogici e stabilire relazioni evolutive tra i geni.

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Analisi delle sequenze: omologie (II)

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Mappa circolare che compara il genoma del cromosoma 1 umano con l’intero genoma del topo: le linee colorate collegano i geni ortologhi, ovvero geni simili per struttura tra le due specie.

© Zanichelli editore, 2014

Localizzazione del DNA nella cellula

Oggi è possibile evidenziare la posizione di una qualsiasi sequenza di DNA sul genoma cellulare in vivo. Viene utilizzata la tecnica FISH (fluorescence in situ hybridization) o ibridazione fluorescente in situ, che sfrutta la capacità delle sequenze complementari di DNA di appaiarsi.

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FISH: procedimento

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1. Le cellule vengono fissate su un vetrino da microscopio.

2. Un frammento di DNA (sonda), corrispondente alla sequenza di interesse e contenente un marcatore fluorescente viene messo in contatto con il vetrino.

3. A seguito di denaturazione e rinaturazione la sonda si legherà alla porzione di genoma complementare.

4. Il vetrino illuminato da un laser è osservato al microscopio. Il segnale fluorescente identificherà la posizione della sonda sui cromosomi cellulari.

© Zanichelli editore, 2014

Localizzazione del DNA nella cellula

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Immagine: Thomas Ried via Wikimedia Commons

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FISH: applicazioni

Grazie alla FISH è stato possibile mappare la disposizione spaziale dei cromosomi umani nel nucleo interfasico delle cellule.

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Immagine: Bolzer et al. (2005), PloS Biology, via Wikimedia Commons

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È possibile identificare la presenza di una specifica proteina all’interno di una miscela complessa utilizzando la tecnica detta Western Blotting.

La tecnica si divide in 3 fasi: 1. Separazione delle proteine su gel di poliacrilammide

2. Trasferimento delle proteine su membrana

3. Rilevazione con anticorpi specifici per la proteina di

interesse.

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Western Blotting

Western Blotting: il gel (I) La miscela di proteine viene caricata su di un gel di policrilammide. Questo è un polimero dell’acrilammide, la cui struttura tridimensionale è formata da fibre. Il suo potere risolutivo è superiore a quello dell’agarosio, in virtù della maggiore densità delle maglie. L’acrilammide liquida viene miscelata con opportuni reagenti che ne causano la polimerizzazione a temperatura ambiente.

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Western Blotting: il gel (II)

Contrariamente all’agarosio, la polimerizzazione dell’acrilammide genera legami covalenti ed è quindi irreversibile.

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Western Blotting: separazione (I) La poliacrilammide viene fatta polimerizzare in verticale tra due vetri in presenza di una mascherina (detta «pettine») che forma in cima al gel delle tasche (i pozzetti) in cui sarà depositato il campione. Lo spessore del gel è di circa 1,5 mm. Al gel viene applicato un campo elettrico e le proteine vengono separate sulla base del loro peso molecolare, in modo analogo ai frammenti di DNA sul gel di agarosio.

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Immagine: Mark Sommerfeld via Wikimedia Commons

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Western Blotting: separazione (II)

La separazione avviene facendo migrare le proteine dal polo negativo a quello positivo, ma le proteine non hanno una carica uniforme negativa e spesso hanno forme diverse (globulari, filamentose) che potrebbero influenzare la corsa.

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Western Blotting: separazione (III)

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Struttura del sodio-dodecil-solfato (SDS) Immagine: Maniontim via Wikimedia Commons

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Per conferire alle proteine identiche proprietà, vengono prima denaturate al calore in presenza di SDS, una sostanza che si lega alle proteine conferendo loro una carica negativa omogenea: in questo modo tutte le proteine migreranno nel gel solo in funzione della loro massa.

Western Blotting: separazione (IV) Le proteine separate sul gel possono essere visualizzate con diversi coloranti (per esempio il blu di Coomassie).

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Elettroforesi su gel di

poliacrilammide con proteine colorate dal blu di Coomassie

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Western Blotting: trasferimento (I) Il gel contenente le proteine (non colorato) viene messo in contatto con una membrana di nitrocellulosa, una sostanza carica positivamente che tratterrà le proteine cariche negativamente. Il gel e la membrana sono messi tra due fogli di carta assorbente e inseriti in un apparecchio che applica un campo elettrico, facendo migrare le proteine dal gel alla membrana.

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© Zanichelli editore, 2014

Western Blot: trasferimento (II)

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Immagine: Bensaccount via Wikimedia Commons

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Western Blotting: trasferimento (II) Le proteine fissate sulla membrana possono essere evidenziate con diverse colorazioni reversibili (per esempio rosso Ponceau) per controllare l’avvenuto trasferimento.

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Immagine: Argymeg via Wikimedia Commons

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Western Blotting: rivelazione (I) La membrana (decolorata) viene incubata con una soluzione contenente un anticorpo primario specifico per la proteina di interesse. Successivamente si ripete l’incubazione con un anticorpo secondario in grado di legare l’anticorpo primario e che porta coniugato l’enzima perossidasi. Infine la membrana viene posta in una soluzione contenente un substrato per la perossidasi, la cui reazione genera luminescenza. Il segnale viene raccolto da una fotocamera digitale che produce l’immagine della membrana con evidenziata la proteina a cui si è legato l’anticorpo.

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Western Blotting: rivelazione (II)

Grazie a questa tecnica è possibile identificare la presenza di una singola proteina tra migliaia di proteine diverse.

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Identificazione di proteine in cellula (I)

Utilizzando una tecnica analoga alla FISH, è possibile visualizzare una proteina all’interno della cellula. La tecnica di immunofluorescenza si basa sull’utilizzo di un anticorpo primario specifico per la proteina di interesse e di un anticorpo secondario in grado di legare quello primario e coniugato ad un gruppo fluorescente.

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Identificazione di proteine in cellula (II)

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Le cellule vengono fissate su di un vetrino e incubate con l’anticorpo primario. Successivamente sono poste in contatto con l’anticorpo secondario. Infine vengono osservate al microscopio con illuminazione laser. Il segnale fluorescente mostra la posizione della proteina nella cellula. È possibile usare anticorpi con fluorescenze di colore diverso per evidenziare più proteine contemporaneamente.

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Sequenziamento delle proteine

È possibile determinare la sequenza degli amminoacidi di una proteina attraverso la sua degradazione sequenziale. Il metodo più usato è quello messo a punto da Pehr Edman, in cui:

• la proteina viene digerita con proteasi in peptidi di 50-70 aminoacidi;

• i peptidi sono fissati su un supporto solido e trattati con un reagente specifico per l’ amminoacido N-terminale;

• il trattamento consente la digestione del solo amminoacido N-terminale che può essere eluito e identificato per cromatografia o spettrometria;

• la ripetizione del processo fornisce la sequenza del peptide in esame.

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Limiti del metodo di Edman

Il metodo di Edman è utilizzato nei sequenziatori automatici di proteine, ma ha dei limiti: • funziona solo su peptidi corti (50-70 aminoacidi);

• è necessario ripetere l’analisi usando diverse proteasi che diano differenti frammenti per poter ricostruire la sequenza dell’intera proteina basandosi sui tratti sovrapposti; Oggi per l’identificazione di proteine viene sempre più utilizzata la cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa (LC/MS).

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LC/MS (I) Nella cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa (LC/MS):

• la proteina da identificare viene digerita con proteasi e i peptidi separati per cromatografia liquida;

• i peptidi sono poi analizzati da uno spettrometro di massa che ne determina l’esatto peso molecolare;

• il numero e dimensione di peptidi ottenuti con una proteasi sono confrontati con una banca dati in cui viene simulata la stessa digestione su tutte le proteine la cui sequenza è nota;

• L’identificazione di un identico pattern di digestione consente di assegnare i peptidi ad una specifica proteina nota.

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LC/MS (II)

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Anche la LC/MS è oggi una procedura automatizzata.

Uno spettrometro di massa usato per l’analisi delle proteine

© Zanichelli editore, 2014