lezioni filosofia comunicazione

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Lezioni di flosofa della comunicazione 1 comunicazione è problema flosofco da quando esiste civiltà umana ha avuto fenomeni di comunicazione, arte politica, negoziati econo- mici e rappresentazione religiosa. Loroi-gourham: il fenomeno dell'ominazione ha al suo centro la liberazione delle risorse fsiche necessarie alla parola. Il linguaggio è il principale strumento comuni- cativo. A partire da Aristotele l'uomo è politico e sociale. L'uomo non può essere senza l'altro e ciò lo lega alla natura linguistica. Heidegger insiste su natura linguistica del con-essere. La voce per Aristotele la parola e il discorso (foné e logos) specifci degli uomini sono analizzati come strumenti di espressione o indicazione. Hanno anche la funzione di riportare contenuti tra al- tri animali o esseri umani, di renderli signifcativi o manifesti per loro, condividerli. Sono strumenti di comunicazione. Due vettori dell'attività comunicativa: Uno è verticale-semantico: lega attività espressiva al mondo: cosa stai dicendo? Di cosa parli? L'altro è comunicativo-orizzontale: unisce interlocutori intorno al discorso secondo domanda: a chi, con chi, per chi sto comunicando? Le capacità comunicative del linguaggio e del sistema dei segni costituiscono il fondamento della di- mensione sociale degli umani e ne fondano dimensione politica ed etica informazione e comunicazione: informazione: si trova alla base di qualunque processo comunicativo o è un senso fsico-atematico: misura dell'improbabilità, non banalità, ripetitività. es. l'orbita di un pianeta è prevedibile e porta scarsa informazione. Un eccesso di informazione è caotico e altrettanto insignifcante. La nozione di informazione si usa per misurare le probabilità statistiche dei processi fsici e per con- siderate questi processi in quanto portatori di probabilità. Le tecnologie dell'informazione consistono nella produzione artifciale e controllata del giusto grado di informazione da parte di un soggetto che permetta decodifca a riceventi secondo principi di pertinenza: la parte imprevedibile del processo artifciale 8MESSAGGIO) DEVE ESSERE CORRELATA AGLI INTERESSI DI CHILO PRODUCE (emittente) o lo osserva (destinatario) oltre a qualche aspetto del mondo o della mente (signifcato). Questa è la base dell'a comunicazione. Il processo fsico è infuenzato dall'interferenza (rumore) di altri processi, superabili con un costo es. amplifcando processo fsico o modifcandone le caratteristiche con ripetizioni e dispositivi di ridon-

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Page 1: lezioni filosofia comunicazione

Lezioni di flosofa della comunicazione

1 comunicazione è problema flosofco

da quando esiste civiltà umana ha avuto fenomeni di comunicazione, arte politica, negoziati econo-

mici e rappresentazione religiosa. Loroi-gourham: il fenomeno dell'ominazione ha al suo centro la

liberazione delle risorse fsiche necessarie alla parola. Il linguaggio è il principale strumento comuni-

cativo. A partire da Aristotele l'uomo è politico e sociale. L'uomo non può essere senza l'altro e ciò

lo lega alla natura linguistica. Heidegger insiste su natura linguistica del con-essere.

La voce per Aristotele la parola e il discorso (foné e logos) specifci degli uomini sono analizzati

come strumenti di espressione o indicazione. Hanno anche la funzione di riportare contenuti tra al-

tri animali o esseri umani, di renderli signifcativi o manifesti per loro, condividerli. Sono strumenti

di comunicazione.

Due vettori dell'attività comunicativa:

Uno è verticale-semantico: lega attività espressiva al mondo: cosa stai dicendo? Di cosa parli?

L'altro è comunicativo-orizzontale: unisce interlocutori intorno al discorso secondo domanda: a chi,

con chi, per chi sto comunicando?

Le capacità comunicative del linguaggio e del sistema dei segni costituiscono il fondamento della di-

mensione sociale degli umani e ne fondano dimensione politica ed etica

informazione e comunicazione:

informazione: si trova alla base di qualunque processo comunicativo o è un senso fsico-atematico:

misura dell'improbabilità, non banalità, ripetitività. es. l'orbita di un pianeta è prevedibile e porta

scarsa informazione. Un eccesso di informazione è caotico e altrettanto insignifcante.

La nozione di informazione si usa per misurare le probabilità statistiche dei processi fsici e per con-

siderate questi processi in quanto portatori di probabilità.

Le tecnologie dell'informazione consistono nella produzione artifciale e controllata del giusto

grado di informazione da parte di un soggetto che permetta decodifca a riceventi secondo principi

di pertinenza: la parte imprevedibile del processo artifciale 8MESSAGGIO) DEVE ESSERE

CORRELATA AGLI INTERESSI DI CHILO PRODUCE (emittente) o lo osserva (destinatario)

oltre a qualche aspetto del mondo o della mente (signifcato). Questa è la base dell'a comunicazione.

Il processo fsico è infuenzato dall'interferenza (rumore) di altri processi, superabili con un costo es.

amplifcando processo fsico o modifcandone le caratteristiche con ripetizioni e dispositivi di ridon-

Page 2: lezioni filosofia comunicazione

danza.

Questi processi fsici sono il fondamento materiale di diverse situazioni comunicative.

Codici ed enciclopedie vanno valutate per gli effetti che apportano al comportamento di interlocu-

tori.

Non è interessante fermarsi sui dettagli del meccanismo informativo sfruttato, del suo formato, salvo

che certe caratteristiche non infuenzino la comunicazione al di là della pertinenza esplicita. Lo stile

di un'immagine o di una frase orale sono strati di informazione inevitabile

Si determinano modalità di comunicazione stessa e si produce meta comunicazione determinante

per stabilire relazioni fra interlocutori e loro identità.

Secondo un'altra concezione dell'informazione, essa è la parte dei processi comunicativi che si carat-

terizzano per avere effetti prevalentemente cognitivi sui loro interlocutori e riferiscono loro conte-

nuti al mondo reale esercitando implicitamente per tutti i loro signifcati una pretesa di verità che

non appartiene ai materiali fnzionali ma a quelli relazionali.

2 iscrizione, interazione, signifcazione, traccia

2.1 iscrizione

derrida: riprende contrapposizione fra oralità e scrittura rovesciandone il criterio di valore a favore

della scrittura e ampliandone il senso in dialettica fra comunicazione e iscrizione.

Platone: oralità superiore a scrittura, incapace di trasmettere contenuti decisivi perché fraintendibi-

le; Derrida: l'oralità è preceduta comunque e necessariamente e costituita dal fenomeno fondamen-

tale, quello del deposito di tracce capaci di stabilire il doppio fenomeno fondamentale riassunto dal-

la “differance”: la posizione o percezione di una diversità percettiva come portatrice di senso e la

sua capacità di perdurare, di differire i propri effetti del tempo. Per ferraris si tratta anche di entità

come moneta, letteratura, matrimonio, che non sono né oggetti logici né immagini puramente sog-

gettive.

Per ferraris è anche possibile interpretare la crescita di documenti caratteristi del contemporaneo e

la loro dematerializzazione.

L'iscrizione è una delle condizioni preliminari necessarie di ogni possibile comunicazione perché i

singoli messaggi per agire devono essere memorizzati e lasciar traccia. L'uso di un suono o di forma

visiva stabilito socialmente implica il suo riconoscimento come esemplare di una certa forma, con-

venzionale o naturale, che presuppone deposito di questi modelli e una loro traccia mnestica o so-

ciale: un'0iscrzione.

La comunicazione ha bisogno di tracce modello, materiali stabilizzati. Trasformare certa caratteri-

Page 3: lezioni filosofia comunicazione

stica materiale in segno richiede di iscriverla, marchiarla con una discontinuità, o isolare la perti-

nenza di una discontinuità già presente in essa (es. lettura fondi caffè) e rapportare queste forme a

modelli sociali esistenti e già iscritti nella memoria sociale o individuale. Il carattere di fssazione o

iscrizione infuenza il funzionamento dei suoi strumenti caratteristici: testi, segni o messaggi.

Le tracce fa sì che questi oggetti agiscano comunicativamente sempre dall'esterno e richiedano sem-

pre lavoro interpretativo perché siano compresi. Il carattere di traccia è essenziale alla comunicazio-

ne Tracce e iscrizioni si limitano a sottolineare certe discontinuità materiali di oggetti e processi che

si ritrovano continuamente nel mondo.

Le tracce quando sono volontarie rientrano nell'ambito delle iscrizioni, ma molte sono insignifcanti.

Doppia relazione che la comunicazione analizza: una fra traccia signifcante e contenuti del mondo

o del pensiero (intenzionalità), che la comunicazione è capace di indicarli, crearli e ritagliarli nel

continuum del reale; e relazione comunicativa tra produttori e destinatari del segno. Un segno deve

annodare o intessere diverse tracce di diversi ordini: es. deve mettere insieme certe linee visibili sulla

carta, tracciate con la penna. La traccia sociale del modello riprodotta nella memoria inconsapevole

del lettore; le immagini acustiche di saussure tracce sonore di queste linee; il loro montaggio secon-

do certe logiche; è essenziale che la struttura di questo rimando non sia semplice ma doppia: relazio-

ne sociale non è mai fatta da iscrizione ma da due in relazione asimmetrica fra loro: la prima, feno-

meno fsico/ percettivo rimanda all'altra che è oggetto mentale o sociale e non viceversa

Questa struttura è costituita per essere manifestata in certe situazioni Ciò non si spiega solo con que-

ste più di quanto il funzionamento di motore si spieghi con materiali di cui è composto.

2.2 interazione

goffman: persone interagiscono fra loro in modi regolati in maniera complessa da grammatiche so-

cialmente determinate. Queste interazioni derivano da progetti individuali che calcolano le possibili

reazioni degli altri interlocutori. Conseguono strategie complicate e non trasparenti in cui hanno

uno spazio importante le credenze, aspettative e reazioni reciproche.

Le relazioni sociali e le azioni che le formano sono simboliche: si svolgono attraverso costruzione e

manipolazione del senso

2.3 signifcazione

greimas: è essenziale p per l'analisi dei testi comunicativi la sua intuizione per cui essi vanno visti

come oggetti sociali costituiti su molti livelli di articolazione diversi e non per quel che sembrano

Page 4: lezioni filosofia comunicazione

dire alla superfcie. La struttura profonda dei testi ha sempre un certo carattere narrativo e si riferi-

sce alla circolazione sociale di valori che il testo serve in defnitiva a legittimare. Il presupposto del-

l'autonomia del testo e dell'autosuffcienza del primato della signifcazione rispetto alla comunicazio-

ne è insostenibile: i testi non si producono da soli ma sono frutto di un lavoro umano allo scopo di

produrre certi effetti (cognitivi, emozionali, pratici). È la signifcazione a esser e prodotta per la co-

municazione e non viceversa

2.4 schema elementare della signifcazione

queste relazioni avvengono per mezzo di oggetti o fenomeni materiali iscritti secondo certe regole

complicate in maniera da riferirsi a un contenuto. Questo rapporto di signifcazione implica la de-

terminazione di un repertorio di unità e relazioni culturali fra cui il contenuto è precisato e può ite-

rarsi molte volte. La signifcazione è realizzata in vista di un destinatario.

Jakobson:

codice

emittente messaggio destinatario

contatto

contesto

emittente e destinatario: persone gruppi o istituzioni. Il primo fa sì che dal secondo possa venir per-

cepito un fenomeno materiale, un messaggio, organizzato secondo un codice comune a entrambi.

Messaggio, segnale o traccia è già pensato nella dimensione materiale, oggettivata, iscritta. Perché il

messaggio possa raggiungere il suo obiettivo è essenziale che vi sia contatto fra emittente e destinata-

rio, un canale materiale che permetta il trasferimento dell'informazione del messaggio.

Il contesto: la comunicazione si realizza con qualunque cosa possa essere assunta come segno. Se-

gno è ogni cosa che possa essere assunta come sostituito signifcante di qualcos'altro. Questo qualco-

s'altro non deve necessaria sussistere La comunicazione è l'ambito in cui la falsità e la menzogna di-

ventano possibili. La possibilità della menzogna non è messa in evidenza dalla linearità di questo

schema.

La qualità più importante della comunicazione umana e del linguaggio rispetto a quella animale è la

sua capacità produrre senso intorno a ciò che non esiste o non è presente, cose che non ci sono e

che sono rese presenti da opere d'arte.

Messaggio: è sempre doppio perché funziona grazie a capacità di richiamare o sostituire qualcos'al-

Page 5: lezioni filosofia comunicazione

tro, di essere assunto in quanto richiamo di qualcos'altro da parte del ricevente. Il messaggio appare

come qualcosa di più di quel che è materialmente, un eccesso che costituisce uno dei nuclei proble-

matici della flosofa della comunicazione Provoca presenza dell'assenza: richiamo di qualcosa che

non è e che non c'è; è estraneo rispetto a ciò che dice senza ridursi a meno di ciò che è .

********

2 ambienti comunicativi

1 sfere, cerchi, aree

comunicazione ha dimensione spaziale perché avviene in demeritate condizioni di spazio che deter-

mina per il solo fatto di porsi fra esseri umani, stabilendo certi rapporti logici strutturali e fsici fra

loro Arendt e habermas. Sfera. Bisognerebbe parlare di cerchio Sloterdijk: fgura sfera è connessa a

globalizzazione. Si parla di ambienti comunicativi.

2 all'inizio, la comunicazione

siamo animali che comunicano. La comunicazione è costitutiva della condizione umana. Il linguag-

gio e le varie abilità comunicative sono dentro di noi, danno forma alla nostra attività intellettuale e

cognitiva Sul piano flogenetico dell'ominazione come su quello ontogenetico dello sviluppo di una

persona, la comunicazione è condizione preliminare all'acquisizione dell'umanità. La comunicazio-

ne è introno a ogni neonato prima che acquisti capacità intellettuali e di conoscenza. Nel circolo vir-

tuoso dell'evoluzione umana, la comunicazione è stato un elemento propulsivo fondamentale. es. re-

ligione: dio ha creato il mondo con la parola.

3 il discorso, dentro e fuori di noi

siamo sempre immersi in ambiente di comunicazione. Al comunicazione è intorno e dentro di noi

perché la nostra mente è plasmata dal linguaggio. La disponibilità di nomi e relazioni tratte dal no-

stro ambiente comunicativo determina in maniera profondala nostra capacità di concepire la realtà

e farci immagini del mondo La comunicazione non può non entrare nella defnizione flosofca del-

l'essere umano. Gli esseri viventi sono isole provvisorie in cui l'entropia non cresce secondo la secon-

Page 6: lezioni filosofia comunicazione

da legge della termodinamica ma il negativo dell'entropia è equivalente all'informazione. La vita è

informazione. La comunicazione umana è diversa perché è tutta determinata dall'innovazione del

linguaggio.

Ipotesi sapir-whorf: ogni singolo concreto linguaggio determinerebbe il pensiero delle popolazioni

che lo parlano; teoria innatista e universalista: grammatica universale; relativista e particolarista; il

linguaggio è un momento essenziale del nostro rapporto cognitivo e affettivo col mondo della nostra

attività intellettuale. Le forme e gli stili della comunicazione determinano aspetti centrali del nostro

rapporto con la vita sociale e col mondo fsico. Le grandi convenzioni musicali marcano il ritmo del-

le attività corporee nelle società, i modi della narrazione infuenzano le descrizioni degli avvenimen-

ti individuali e collettivi. La comunicazione e i suoi modi plasmano la coscienza dei singoli e delle

società. L il linguaggio è la condizione del modo specifco che instauriamo in rapporto al mondo.

Siamo linguaggio.

Il linguaggio esiste fuori di noi, fra noi. Il linguaggio può interagire con la nostra cognizione anche

quando non lo usiamo perché ci ha presentato il mondo secondo certe categorie, secondo certe eti-

chette. La soggettività e la memoria sono costituite da qualche forma di dialogo interiore di conti-

nua auto narrazione in cui scriviamo la nostra coscienza. Il linguaggio e la comunicazione è un tra-

mite che unisce e distingue le persone nella loro pluralità irriducibile. Ciascuno è unico, è possibile

interlocutore, soggetto di linguaggio condiviso. La dimensione dell'io e del tu è prevalente nella co-

municazione rispetto a quella del noi biologico. Gli esseri umani hanno comportamento determina-

to dalla cultura, da regole stabilite per via non genetica ma comunicativa.

La comunicazione esercita tra li uomini è il discorso, verbale, visivo, gestuale. È variabile nei conte-

nuti e nelle occasioni. Semioticamente la nozione di discorso si contrappone a quella di testo come

atto al fatto che ne consegue come contrapposizione deve dar ragione dell'attività enunciazionale.

Sutura: fenomeno di coinvolgimento semiotico: partecipazione virtuale di lettore a vicende descrit-

te, identifcazione con un personaggio; interpellazione: capacità che i testi hanno di rivolgersi a loro

eventuali destinatari in quanto qualcuno.

Si creano spazi di esistenza in cui possono manifestarsi.

L'ambiente comunicativo è lo spazio che circonda la vita e che defnisce come animale che comuni-

ca sempre anche quando non se ne rende conto. L'ambiente comunicativo è sempre specifcato con-

cretamente.

4 tempo e spazio degli ambienti comunicativi

un'area comunicativa è una struttura temporanea. Ogni discorso è interlocuzione. Flusso: allude a

dimensione temporale; stesso vale per strutture sintagmatiche della semiotica per quelle linguistiche

Page 7: lezioni filosofia comunicazione

e narrative, lineare e organizzate secondo il tempo M; e per quelle comunicative non lineari com le

immagini, predisposte e concepite secondo ordine preciso e linearizzate nel corso del processo co-

municativo.

Gli ambienti comunicativi si collocano nello spazio naturalmente. L'interlocutore avviene fra sogget-

ti compresenti nello spazio.

Tutte le sistemazioni cerimoniali, i cortei, le processioni e gli schieramenti sono per necessità spa-

zialmente determinati.

La dimensione spaziale è sempre presente nell'esteriorità degli interlocutori.

Goffmann: in ogni comunicazione c'è scena e retroscena, spazio esterno fatto per essere visto e spa-

zio interno i n cui i protagonisti si preparano e gestiscono gli effetti che vengono fatti percepire al

pubblico.

La verità della comunicazione è pubblica.

L'area comunicativa si sviluppa quasi sempre in forma circolare o ellissoidale: già in omero si trova

menzione del cerchio. Spazio centrale è riservato a preda comune da dividere o a eroe che parla. La

posizione dell'eroe dà sacralità alla parola.

Oggi questa struttura è sempre più mediata da elettronica. La progressiva sostituzione di mezzi di

comunicazione sembra confermare impressione frammentazione dell'unità del cerchio.

5 lingua

le scelte linguistiche e comunicative non sono isolate: ogni ambiente ne privilegia alcune e ne sfavo-

risce altre. Ogni area discorsiva è determinata dai linguaggi della comunicazione, è aperta e realiz-

zata da un'attività di linguaggio. Essa autorizza un certo uso del linguaggio e non altri.

Questo regime può essere garantito da qualcuno che se ne fa carico col consenso più o meno esplici-

to e spontaneo degli altri partecipanti all'area discorsiva. Possono essere ammessi certi contenuti e

non altri, previste certe regole, possono essere richiesti certi titoli o competenze per partecipare.

L'ambiente discorsivo si defnisce secondo certi fni, usa certi mezzi di comunicazione.

6 apertura e chiusura dell'area

ogni ambiente discorsivo costituisce uno spazio aperto. La sua struttura è disponibile a discorsi dei

suoi partecipanti.

Vi sono limiti alla partecipazione dal punto di vista semiotico si tratta di competenza acquisita ri-

spetto a ruolo tematico/attanziale. Un'area discorsivo è spazio aperto ai discorsi che ha bisogno dei

discorsi per sussistere. Un parlamento è luogo per discute re della politica ecc.

Page 8: lezioni filosofia comunicazione

ciò dà diritto a chi ne ha titolo di intervenire nell'ambiente discorsivo. Ovunque c'è discorso è possi-

bile provare a intervenire. Molti ambienti discorsivi tendono a rinchiudersi intorno a certi parteci-

panti aventi titolo Nasce l'area discorsiva abituale e delimitata, gruppo di discussione abituale infor-

male marcato da un luogo, da un tempo e da attori che si ritagliano certi ruoli. Si possono conside-

rare diverse strategie di inclusione e di esclusione. Ci possono essere circoli esclusivi La chiusura de-

gli ambienti discorsivi non è mai completa o indiscutibile. Ogni essere umano può almeno tentare di

entrare in ogni ambiente discorsivo Un luogo aperto linguistico in cui ogni persona competente può

cercare di penetrare con la lingua,. Il diritto di petizione consiste in questo.

7 la responsabilità del linguaggio:

interpellazione è la base della pretesa al discorso: è la chiamata al discorso che si rivolge a qual-

cuno, da una petizione politica alla richiesta di informazioni Il telegiornale parla agli spettatori, un

testo chiama i suoi lettori...l'interpellazione si rivolge sempre a qualcuno in una sua certa qualità.

Ha l'effetto di costringere l'interlocutore ad assumere tale ruolo.

La ragione della pretesa al discorso è fondamentale. Alla base di qualunque riconoscimento vi è

il riconoscimento come umani, deteriori di un diritto alla parola. l'interpellazione fa appello alla re-

sponsabilità di chi controlla l'occasione discorsiva

Il primato dell'altro si fonda su l'interpellazione cui l'altro mi sottopone sempre nella forma più ge-

nerale. L'interpellazione da un lato è l'appello sempre possibile che qualcuno mi fa ad aprire un'oc-

casione discorsiva comune sulla base della mia responsabilità, a partire dalla comune natura di esse-

ri parlanti e coscienti; dall'altro può degenerare in tecnica che mi schiaccia su una condizione preci-

sa, mi risucchia in totalità o collettività di uomini etichettandomi.

8 l'eccezione umana

il poter rispondere delle proprie azioni è criterio linguistico e discorsivo di adeguatezza e condizione

perché qualcuno possa essere ritenuto responsabile delle sue azioni. Responsabilità delle azioni è f-

losofca per l'attribuzione del libero arbitrio della soggettività che gli è legata. La distinzione tradi-

zionale tra anima e corpo è sottoposta a critica e nessuno riconosce posizione di eccezione metafsi-

ca alla mente umana come sostanza diversa da quella delle cose. Oggi una pretesa generale e accet-

tata è che gli esseri non siano solo oggetti. Contraddizione nel pensiero scientifco tra nostra ontolo-

gia e nostra etica e politica.

Vi è base comunicativa per pretesa di eccezione umana per cui noi non siamo semplicemente ciò

che siamo materialmente: NON SI è SEMPLICEMENTE Ciò CHE SI è, ma si presenta un ecces-

so che costituisce un senso che è una caratteristica che abbiamo rilevato come essenziale per segni,

Page 9: lezioni filosofia comunicazione

testi, messaggi,. Popper: il linguaggio è capace di fondare mondi diversi da quello materiale organiz-

zati secondo proprie regole

es. teorema matematico non si riduce a eventi della catena causale nel cervello che permettono di ri-

concederne la dimostrazione: la necessità della matematica è diversa e autonoma rispetto a struttura

causale del mondo e delle cose.

La trascendenza del senso rispetto al signifcante e del parlante rispetto al discorso è la caratteristica

del terreno linguistico comunicativo.

Aver parola signifca poter pretendere di essere trattato come soggetto, avere il titolo fondamentale

per irrompere in ogni discorso e interpellare chiunque. Ogni area discorsiva è parte di un generale

ambiente linguistico che coincide con società umana.

Espellere qualcuno dal linguaggio è espellerlo dalla società umana.

Linguaggio-ragione: logos. Linguaggio no è semplicemente uno strumento di comunicazione ma

comprende e organizza il mondo Aver linguaggio è partecipare di questa azione e cambiare con ciò

il livello di azione.

9 esteriorità e maschera

esteriorità: pur sentendoci come soggetti e quindi esseri interiori e prevalentemente legati all'asse

temporale, siamo percepiti spazialmente dall'esterno. Chiunque entri in ambiente discorsivo lo fa

sulla base della sua esteriorità. Lévinas vede nel volto altrui una trascendenza, un più dell'apparire

che deve essere rispettato. Su questo si deve fondare ogni etica che si voglia autenticamente umani-

sta dopo gli orrori politici dell'antiumanesimo flosofco. L'altro non è mai del tutto identità alla sua

faccia, non è mai interamente comprensibile dalla sua faccia. I partecipanti a un'area discorsiva

sono sempre trascendenti rispetto a essa, vi si affacciano. Su questa trascendenza, su questo essere

dentro e fuori lo spazio si fonda la pretesa di libertà del parlante, capace di sorprendere e sottrarsi

alla presa del discorso se non altri col silenzio.

Chi partecipa a un'occasione discorsiva non è mai soggetto nudo. I titoli per parlare in una certa

area sono sempre di natura sociale e hanno c he fare con ciò che si è. Solo la persona è riconosciuta,

non il soggetto. La persona è ciò che si presenta davanti. Le maschere non si usano solo sulla scena,

ma si tratta di identità sovrapposta al volto del singolo individuo, che gli sopravvive e può circolare,

ed è anche componente centrale per la defnizione dell'io in società. Entrare in un'occasione discor-

siva presuppone la costruzione di una maschera adatta e insieme la provoca. C'è una drammaturgia

degli ambienti discorsivi.

Rispettare le maschere senza pretendere di annullarle è un principio fondamentale di etica del

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discorso. Non è possibile forzare la parola/faccia altrui se non al silenzio o secondo modelli stereoti-

pati. Ci deve essere una collaborazione di colui che è costretto, di chi sceglie un comportamento in-

desiderato pur di evitare danni maggiori. L'interpellazione riporta l'altro in una sfera discorsiva che

è stabilita sui titoli di chi parla.

10 débrayage

come nei testi così nei discorsi c'è un livello dell'enunciazione e uno dell'enunciato. Il soggetto dell'e-

nunciato incluso nel testo non coincide in linea di principio col soggetto dell'enunciazione. Fra essi

vi è una differenza radicale: il débrayage. Anche quando i due sono la stessa persona non vi è men-

zogna o fnzione, anche quando il soggetto dell'enunciato è solo traccia dell'enunciazione nell'enun-

ciato

Il soggetto dell'enunciazione è sempre virtuale e presupposto rispetto alla comunicazione, mentre il

soggetto dell'enunciato è sì realizzato nell'interazione comunicativa, ma costruito ed esposto all'in-

terpretazione più o meno corretta dei suoi lettori. Il partecipante a una sfera discorsiva vi appare

sempre sotto un qualche débrayage. È stato sottoposto o si è sottoposto da sé a un processo di distac-

co dalla sua intimità autentica, il che fa di lui una persona pubblica. Ha assunto un ruolo, una posi-

zione, una personalità, un carattere. La possibilità dell'anonimato o l'utilizzo di pseudonimi sono

condizioni importanti per partecipare a sfere discorsive

In quanto soggetto dell'enunciato. Il parlate è parte della sfera discorsiva Chi parla non è mai tutto e

solo dentro le sue parole. Parte di lui è dietro di esse. Il fatto di essere presente al discorso come este-

riorità e oggettivazione, soggetto dell'enunciato, è garanzia per ogni essere umano di trascendere

quella posizione. È il gioco che si inserisce tra maschera e volto, il fatto che ciascuno no vi sia com-

pletamente aderente, ma vi balli. L'irriducibilità del parlante alle sue parole è il principale vantaggio

etico della posizione che riconosce esteriorità del parlante.

Vi è anche vantaggio cognitivo: il soggetto dell'enunciato, riducendosi a posizione discorsiva, è pie-

namente accessibile all'analisi e all'osservazione come qualunque altro fatto testuale.

11 rappresentanza e rappresentazione

Gli ambienti discorsivi più importanti sono quelli pubblici. L'esteriorità del partecipante all'occasio-

ne discorsiva si presenta come gioco di faccia o maschera. È importante essere percepito come qual-

che cosa. In questi giochi di faccia non si parla in quanto tali , non si esprimono le ragioni di tali

qualità ma le si esercita. Ciò non solo costituisce il titolo che permette di accedere all'occasione di-

scorsiva ma istituisce anche rappresentanza. Parlare come, rappresentare un ruolo non è diverso dal

Page 11: lezioni filosofia comunicazione

parlare al nome di. La dimensione comunicativa per cui qualcuno assume pubblicamente il proprio

ruolo e vi si adegua. Ci si spazializza in modo da apparire per quello che è. Questo tipo di rappre-

sentazione si è rimodellato sotto la categoria dell'immagine, che differisce dalla rappresentanza per il

fatto di essere pensata come effetto di superfcie introdotto dalla comunicazione e non come lumino-

sità dell'apparire quel che si è Vi è parentela con la fgura drammaturgica della rappresentazione in

cui l'attore appare come un personaggio.

Bisogna notare la somiglianza con la fgura della rappresentanza com'è intesa nella democrazia de-

legata. La persona rappresentata è il presentato-innanto, il rappresentato e il rappresentante che

esercita i diritti di questa è da essa dipendente. Nel rappresentare vi è un'esposizione, vi è un dipen-

dere. Solo colui che è rilevante può essere rappresentato e solo chi ha dignità per farlo può realizza-

re la sua rappresentanza.

È possibile formarsi rappresentanza interiore, rappresentazione mentale di tutte le diverse opinioni

concepibili in maniera da tenerne conto La premessa di partecipazione positiva alla sfera discorsiva

pubblica sarebbe la formazione paradossale di una sfera pubblica virtuale interna alla coscienza di

chi vuole intervenirvi.

12 mimesi e sfera discorsiva

Aristotele, poetica: narrazioni diegetiche: azione viene raccontata e descritta nel suo svolgimento da

un punto di vista interno o esterno all'azione, personifcato in un narratore o meno,. Impone sguar-

do e voce interamente determinati nel testo. Pretende di poter accedere all'interiorità dei personag-

gi.

narrazione mimetica: non viene fltrata da una voce o da uno sguardo, ma il testo mostra pluralità

di voci che esprimono punti di vista diversi e uno spazio fra loro Narrazione mimetica non si conce-

de l'accesso privilegiato all'interiorità dei personaggi né aspira alla verità psicologica corrispondente.

Nella narrazione diegetica il narratore informa sull'anima dei personaggi,nella mimesi non è possibi-

le. Ciascuno accede all'interiorità del proprio sé. Al di là di ogni considerazione di tipo estetico, que-

sti vincoli valgono per occasioni discorsive. Mentre narrazione diegetica riproduce modalità della

memoria soggettiva, con ipotesi sul senso e su intenzioni delle persone coinvolte nell'evento narrato,

la narrazione mimetica cerca di riprodurre esperienza anche spaziale della sfera discorsiva

A partire da analisi della mimesi narrativa è facile vedere che la sfera pubblica si organizza su base

di pluralità di voci esterne l'una all'altra. Ciascuna è prospettiche: vede cose da un punto di vista

parziale L'aspetto dell'apparire è la condizione fondamentale della comunicazione.

Page 12: lezioni filosofia comunicazione

13 informazione e visibilità

informazione è diminuzione incertezza. Comunicazione viene intesa come passaggio di informazio-

ne da emittente a destinatario. Legame con entropia, il disordine termico che cresce in ogni sistema

fsico chiuso, con ridondanza

Vi sono aspetti non colti, come dimensione intrinsecamente dialogica di ogni comunicazione

Ciò che conta non è fornire informazione nuova ,ma spesso è rappresentare un ruolo, dare corpo a

una posizione, metter in comune un modello di essere di fronte agli altri, apparire.

Comunicare è mettere in comune, portare all'esterno, costruire spazio di interazione. La funzione

fondamentale della comunicazione è dare senso al mondo, edifcare tracce come supporti per la si-

gnifcazione e ridescrivere il mondo in maniera da fare emergere il senso. Il mondo no è semplice

insieme di cil che vi è,no è identico al reale. Kosmos è ciò che è bello e ordinato, mundus è ciò che

pulito e dignitoso. Mondo è realtà umanizzata, costruita da mani di uomini. Il senso per potersi de-

positare nel mondo deve apparire, diventare esteriore.

Vi è sempre nell'esperienza umana un deposito di senso nella dimensione collettiva. Il mondo come

concrezione di senso signifcato ha bisogno di essere continuamente ricompreso e ridescritto. Il se-

gno sparisce quando si interrompe catena di interpretanti. La comunicazione che cade fuori dalla

pratica del senso, diventando opaca, muore.

Il nostro mondo vive perché continuamente ripercorso, ridescritto, riportato alla luce della comuni-

tà. È importante capire che si tratta di un portare alla luce, di un far apparire. La sfera pubblica co-

stituisce uno spazio di visibilità, un luogo dove l'apparenza può esercitarsi, un nucleo di mondo.

14 partecipare

a un'occasione discorsiva si prender parte Implica diversi tipi di sineddoche tra chi partecipa e sfera

di partecipazione: da identifcazione mistica a concorrenza.

Totalità: il tutto è descritto come corpo mistico. Parteciparvi vuol dire condividerne l'essenza, essere

organo. Prendere parte a una sfera può voler dire parteggiare, appartenere a un partito, essere par-

tigiano. Prendere parte partigiano implica accettazione di regole del gioco. L'area discorsiva cui si

partecipa offre un gioco, uno spazio di libertà e movimento, regolato da certe convenzioni che van-

no dai turni di parola alle norme del mercato ecc.

arendt: democrazia ateniese non chiedeva solo di partecipare, ma anche di parteggiar, di impegnar-

si nelle sorti della città, di prendere partito, cioè decidere.

15 presenza

Page 13: lezioni filosofia comunicazione

in ogni occasione discorsiva si sta in carne e ossa. Solo con la presenza al discorso in carne e ossa si

spiega l'io. Chiunque parli è un io, ma l'io è un latro, è una posizione grammaticale vuota senza

identità sostanziale Vi è una condizione deittica nell'accesso e nella presenza a un'occasione discorsi-

va. Essa ha a che fare con la responsabilità del parlante, col fatto che entrare in un'occasione discor-

siva no è semplice condizione linguistica ma un gesto un atto linguistico che comporta pretese, con-

dizioni di felicità e impegni.

La possibilità di un'interazione fra individui dipende da identità, da individuazione di ciascuno. Il

più plausibile principium individuationis è la materia nella sua concreta collocazione spazio-tempo-

rale. Derrida polemizza contro presenza come principio di base della comunicazione. Platone so-

stiene che solo la presenza dell'autore può difendere il testo dall'arbitrio e dall'incomprensione. La

presenza viva dell'altro all'occasione discorsiva obbliga a riconoscerne la sua irriducibile alterità.

16 tensioni e opposizioni

dal punto di vista teoretico si pongono problemi di legittimità conoscitiva dei discorsi che vi si svol-

gono, del rapporto che l'occasione discorsiva ha da un lato con il ragionamento e a verità, dall'altro

con la costituzione cultura del discorso; dal punto vis vista etico i problemi riguardano impegno del-

l'esser e umano nelle sue aree discorsive; dal punto di vista giuridico sono le norme esplicite e impli-

cite che garantiscono l'uso di aree discorsive diverse. Vi è ambito sociologico e storico che riguarda i

problemi posti concretamente dalle singole aree discorsive costituite in una certa società.

17 pubblico/privato

pubblicità e privatezza sono concetti più generali degli ambienti comunicativi. Pubblico è ciò che è

accessibile a tutto, privato è ciò che è riservato a una certa cerchia. Le sfere pubbliche spesso esclu-

dono naturalmente alcune persone. La sfera pubblica può essere spiegata con una tensione prospet-

tica. Ciascun essere umano per Hall si può pensare al centro di tre spazi concentrici che stabiliscono

tre distanze socialmente riconosciute:quella intima, quella personale e quella pubblica

Si possono distinguere aree discorsive a seconda del modo in cui defniscono e riorganizzano gli spa-

zi degli interlocutori. L'area discorsiva, essendo virtuale, no è composta da spazi e distanze ma entra

in relazione con i suoi partecipanti rispettando più o meno dei limiti di accessibilità che sono analo-

ghi a quelli prossemici. Un'area discorsiva pubblica è quella cui non chiunque può entrare; un'area

privata presenta limitazioni analoghe a quelle prevista per l'accesso della sfera personale; area di-

scorsiva interna è del dibattito che ciascuno intrattiene con sé.

Page 14: lezioni filosofia comunicazione

Fra i diversi livelli c'è un regime di sguardi: la pubblica è la zona dove si guarda e si è guardati libe-

ramente e dove regna l'apparire; privata è la zona dove lo sguardo è ristretto a un gruppo limitato di

persone per cui non ci si vergogna di non apparire anche se si è visti; intima è la zona del corpo e

della vita in cui si suppone di non essere visti o non essere guardati.

L'importanza della barriera fra pubblico e privato varia da società a società Sfera pubblica passiva

il privato nel pensiero greco era una dimensione mancante, carente, sottoposta all'assolutismo del

pater familias.

Molti regimi di pubblicità da apparire e restare nella memoria a rappresentazione del proprio ruolo

a nascita di pubblicismo opinione pubblica a pubblicità di merci,d a civiltà di massa all'area pubbli-

ca elettronica di internet.

Vi è dimensione pubblica e privata di occasioni discorsive dedicate alla decisione.

18 negoziare e argomentare

il discorso fra interessi assume forme di negoziato in cui ciascuna parte cerca di ottenere il massimo

risultato in cambio di minima concessione sui propri obiettivi. Il risultato di una trattativa del genere

può essere un punto di equilibrio.

L'altra modalità discorsiva è l'argomentazione: trovare dei principi generali ritenuti accettabili in

quanto tali da tutti o dalla maggioranza. La retorica è teoria dell'argomentazione in questo senso.

Quel che interessa è che gli argomenti si presentano come generali, come validi razionalmente o

emotivamente per la totalità della sfera pubblica interessata. Glia argomenti son più potenti degli in-

teressi perché possono mobilitare anche coloro che non sono personalmente interessati all'argomen-

to in discussione ma si trovano convinti e costretti dall'argomento che è stato avanzato.

La politica è l'attività discorsiva che trasforma interessi in argomenti.

Gli argomenti sono reciprocamente correlati e la necessità della coerenza è connaturata alla loro na-

tura universalista e alla loro costituzione che trae forza dal risalire a premesse sempre più generali.

Dentro l'atteggiamento argomentativo si possono distinguere due modi di partecipare alla sfera pub-

blica: vi può essere modalità strategica prevalente nella sfera politica in cui gli argomenti sono avan-

zati come stratagemmi per conquistare il consenso e una modalità dialogica inc cui si cerca davvero

il consenso condiviso di tutti i partecipanti della sfera pubblica.

19 apparire, parlare.

Altra tensione è fra vista e parola. Vi sono ambienti comunicativi riservati all'apparire destinati ade

essere visti. La massa degli altri partecipanti a una tale sfera pubblica sono spettatori o testimoni di

Page 15: lezioni filosofia comunicazione

tali gesti. Il potlac fa parte di questa categoria di eventi. Il loro scopo è stabilire superiorità, sancire

privilegio, riconfermare memoria o fedeltà.

Fanno parte di sfere pubbliche passive. A differenza di attori che vi partecipano attivamente. La

pubblicità o visibilità Essi non restano senza effetto su chi li guarda che diventa testimone.

Nel teatro accade sospensione dell'incredulità. L'azione pubblica visiva pretende alla serietà e di soli-

to consiste in gesti che hanno valore performativo, realizzano un'azione. Se la sfera pubblica visiva

non esclude la parola, la sfera della parola non esclude l'apapl'apparizione visiva e la sua pompa. È

nella sfera pubblica della parola che si possono formare maggioranze e minoaranze. Nelle aree di

decisione, quando sono pubbliche, tendono a non confgurarsi come puramente operative ma come

sfere pubbliche della parola, luoghi di discussione. L'eccezione è costituita da situaizoni elettorali.

La sfera pubblica democratica nel senso moderno si costituisce come ambiente di decisione e anche

come area di discussione La sfera pubblica è un luogo astratto. In questo luogo ideale idee, progetti,

desideri, interessi, progetti narrativi di individui o gruppi vengono espressi, portati all'aperto, defni-

ti, confrontati fra loro Essa è il contesto generale della comunicazione.

3 le ragioni del dialogo

1 le radici del dialogo

1 una condizione paradossale

logos: ragione, pensiero, linguaggio. Unità che lega la realtà. Il dialogo è dia-logos. È un logos in

mezzo, un logo-fra, diviso. È un ossimoro perché leghein è mettere assieme. L'ossimoro opposto e si-

mile che permette di tentare una spiegazione è condividere. Si condivide qualcosa che non è di nes-

suno ma di tutti, che viene divisa e riferita alle parti in gioco ma non è distribuita fra loro, resta per

tutti. Il parlare, la comunicazione, ha natura di essere esposta a una pluralità, di prodursi fra parti.

Teoria della partecipazione o carattere intermedio della condizione umana: l'uomo è mancanza. Da

cui tensione verso, intenzione, mancanza che si fa desiderio.

Intermedio è anche il dialogo, né discorso compiuto né silenzio. Asimmetria fra me e l'altro, io im-

manente, l'altro trascendente. Trascendenza è valore da salvaguardare.

2 azione sugli altri

mentre si può avere il logos, il dialogo non lo si può avere. Tutti gli esseri umani possiedono il noos,

Page 16: lezioni filosofia comunicazione

ma nessuno può avere da solo la dianoia, la conoscenza, che non è monopolizzabile in quanto ciò

che insieme si è riusciti a raggiungere.

Benveniste: io e tu sono veri pronomi, terza persona si situa su un altro piano, oggettivato. Solo si-

tuazione dialogica vede il soggetto pienamente riconosciuto

Sistema linguistico è dialogico perché si parla a, con, per l'altro. Il dialogo è un gioco linguistico in

senso wittgensteiniano in cui ogni mossa argomentativa ha valenza strategica. Il linguaggio, nel dia-

logo, non è innocente.

La teoria del dialogo prevede il contropiede come tecnica fondamentale.

Capacità dei discorsi di modifcare il punto di vista dell'interlocutore e di avere infuenza sul mondo.

Popper: nella dimostrazione la parola porta a una costrizione dell'altro che non è spiegabile in ter-

mini di causalità fsica, che ci obbliga ad accettare il teorema di Pitagora per es.; ma è attività dialo-

gica e comunicativa: la convinzione ha senso solo fra interlocutori. È la dimostrazione che il mondo

immateriale degli oggetti ideali può avere effcacia causale rispetto al mondo fsico. La sfda a parole

caratteristica del dialogo è possibile in quanto può esistere fra le parole relazione diversa dalla cau-

salità fsica ma altrettanto costrittiva: rapporto di inferenza. Al momento del convincimento le paro-

le causano degli stati mentali come credenza e sapere e certi comportamenti che incidono diretta-

mente sugli stati del mondo.

3 le radici

il concetto di dialogo va concepito a partire da due diverse fondazioni: quella greca e quella ebrai-

ca.

La radice greca ha fatto del dialogo il teatro e il dialogo flosofco, ha intessuto istituzioni come poli-

tica e giustizia. Dialogo è inteso come confitto verbale fra due parti che agiscono in uno spazio pub-

blico. Confronto è fnalizzato a un risultato, una decisione o una verità. Si può anche non raggiun-

gere (aporetici).

Colli: il dialogo flosofco nasce come eco della lotta di enigmi in cui si esprimeva la Grecia arcaica.

Il dibattito scientifco dell'europa si è sviluppato come una lotta ideale per dimostrare int termini ra-

zionale l'errore dell'altro. È in ciò l'erede dei dialoghi platonici che derivano da dispute per enigmi

degli antichi maestri. Popper: la verità scientifca non è il risultato di un accumulo di risultati positivi

ma un metodo di refutazione delle teorie che non reggono la prova sperimentale. La scienze proce-

de come logomachia.

Tra polis greca e modernità questa tradizione conosce eclissi: lesa maestà in politica e eresia in

flosofa, religione e scienza Esprimere posizione rivendicante autonomia dei confronti del dogma

dominante ha comportato esclusione radicale discorsiva e fsica.

Page 17: lezioni filosofia comunicazione

C'è differenza tra chiedere alla parte di pensare anche al tutto e imporre alla parte di essere il tutto o

adeguarsi secondo il tutto.

Il dialogo politico esiste dove c'è la possibilità legittima di essere parte; quello religioso dove la fede è

affare privato del cittadino e diverse adesioni sono possibili; quello scientifco quando la ricerca della

verità non subisce limiti.

Radice ebraica: nella tradizione biblica è evidente grande paradosso: un dio personale ma trascen-

dente. Dio si presenta nominandosi “sarò ciò che sarò”, come futuro. Implicita è la rinuncia a copri-

re in maniera esclusiva il ruolo del tutto che è per lasciar spazio alla parte. Il ritirarsi divino come

base della creazione è pensato come zimzum. Dio ebraico è trascendente ma polemico

II il dialogo greco

4 il dialogo come genere

dialoghi: luogo in cui le opinioni si confrontano in maniera fortemente agonistica e spregiudicata Si

gioca continuamente qualche cosa,d alla reputazione, alla faccia alla vita.

La ricerca della verità e la possibilità di esercitar le asprezze del dialogo per Socrate sono più impor-

tanti della sua vita. Il suo è pensiero tagliente e pericoloso sotto apparente gentilezza e cautela. La

pratica agonistica del dialogo è diversa da quella della maieutica. I dialoghi platonici sono su più di-

versi argomenti ma non dialoghi su dialoghi: il metalinguaggio è pericoloso e i tentativi di portare il

discorso ad un livello metalinguistico sono praticati occasionalmente e con cautela. Le regole del

dialogo sono rigide ma non vengono quasi mai esplicitamente negoziate. Il dialogo non ha lieto fne,

nessuno convince l'altro, non vince sempre Socrate,m a continua fno al riconoscimento di un'apo-

ria, un'impossibilità.

Socrate si caratterizza per atteggiamento parricida nei confronti della scrittura sapienziale: il rifuto

di mettere il suo pensiero per iscritto. Essendosi perduta la sapienza e la continuità nella trasmissio-

ne del saper,e la flosofa può solo essere la ricerca del patrimonio andato perduto e questa ricerca

deve essere orale. La sua trasmissione può passare solo attraverso contatto diretto fra maestro e al-

lievo, una scrittura dell'anima.

Il dialogo solo è adeguato alla dialettica delle idee e può avvenire nel dialogo vivo. I dialoghi presen-

tati da Platone sono orali. Platone esprime contraddizione nel miti dell'invenzione della scrittura nel

Fedro: re degli egizi e dio theut: il dio del commercio e della comunicazione. Platone: dio ha inven-

tato scrittura e cerca di farla approvare dal re. Il re lo contrasta con due argomenti: la scrittura di-

minuisce memoria individuale attiva sostituendola con un deposito, un'iscrizione; la scrittura è inca-

pace di difendere ciò che dice da aggressioni e fraintendimenti. Quand'è contestata o equivocata

Page 18: lezioni filosofia comunicazione

può solo riproporsi.

È nel confronto verbale che si forma la verità attraverso la messa in crisi e il soccorso offerto al pro-

prio logos. La scrittura è inerte ripetizione. Dopo derrida è chiaro per noi che in questo modo di

proporre la ricerca della verità si nasconde metafsica ingombrante. È da questo metodo che parte la

nostra idea di dialogo come processo conoscitivo e la nostra costruzione metodologica del sapere

scientifco.

5 gorgia e Protagora: la pratica e la teoria del dialogo

gorgia: Socrate è principale oppositore dei sofsti, gorgia è illustre autore di discorsi. Dialogare im-

plica la volontà di chiedere e la disponibilità a esporsi. Il dialogo di Socrate si contrappone all'epi-

deixis, la conferenza di gorgia. Socrate chiede: tì estì? Cos'è? Cerca essenza.

La flosofa contemporanea non ritiene più di avere accesso a un secondo e più profondo livello

di verità, mentre la scienza ha cambiato il problema in com'è?

Protagora: oggetto, retorica. Ignorante Socrate esercita decostruzione scalzando la pretesa di com-

petenza dell'interlocutore per il solo fatto di porsi nella posizione di chi domanda. Come soluzione

Socrate propugna educazione attraverso dialogo e conoscere se stessi. Dall'altra parte ci sono profes-

sionisti della retorica come Protagora e gorgia, che Socrate accusa di vendere una tecnica sprovvista

di senso. Socrate distingue due modi di argomentare e discutere: brachilogica (discorso breve) e ma-

crologia (discorso lungo). La contrapposizione fra dialogo e retorica è congruente con quella fra bra-

chilogia e macrologia.

Socrate insiste per procedere con domande e risposte brevi e puntuali. Consente contestazioni pun-

tuali. Per gorgia l'importante è che la risposta sia adeguata, non vera. La domanda che gli rivolge

Socrate è: qual è la technè della tua episteme? Qual è l'arte della tua scienza?

6 combattimento per la verità

il dialogo è per Socrate spazio pubblico di ricerca in cui si presuppone che la verità non sia già ac-

quisita e defnita. È ciò che gli consente dia accettare l'altro con la sua proposta di verità come inter-

locutore reale ostentando di riconoscergli la sua stessa possibilità in potenza. Il dialogo platonico

punta con forza alla propria conclusione conoscitiva ma parte dall'assenza di dogma, inammissibile

in situazione fortemente gerarchica. È la premessa di un combattimento per la verità determinante

per l'esser umano, impopolare. Il dialogo appare democratico e tollerante ma la sua mira è la co-

struzione di un'autorità teorica che non permette evasioni o dissensi.

Al di là del processo agonistico deve esserci capacità del discorso di generare verità arrivando per

Page 19: lezioni filosofia comunicazione

via di scarto delle diverse ipotesi all'univoca opzione necessaria per tutti La flosofa presenta fn dal-

l'inizio una dimensione di flosofa della comunicazione: pretende paradossalmente dia arrivare a

conoscere il funzionamento della cose a partire dal modo in cui noi ne sappiamo parlare, richiede

rifessione sul valore del discorso. La grande svolta rispetto ai presocratici è quella che porta alla vita

sociale e politica dell'uomo e ne fa l'unico luogo vero di ricerca possibile

7 a che serve discutere?

Socrate vs gorgia: retorica è arte con tre caratteristiche collegate: potente, neutra rispetto ai conte-

nuti, capace di produrre persuasione e modifcare scelte collettive. Socrate fa coincidere male con

ignoranza. Intellettualismo etico. Chi conosce la giustizia non può che essere giusto. Se così stanno

le cose o la retorica è un'arte neutra di trucchi senza sapere o è sapere di giusto e ingiusto ma allora

non è neutra e non può fare dell'ingiusto.

Gorgia vede i linguaggio come strumento, Socrate come via alla verità che complica impegno

ontologico. Il dialogo è una sfda a vincere l'altro a partire dai suoi propri argomenti e ogni consenso

richiesto e ottenuto verrà usato come un'arma. Per Socrate ci sono due tipi di persuasione: uno le-

gittimo che è l'insegnamento di un sapere e uno illegittimo che è l'instillare una credenza.

La credenza può essere versa o falsa, la conoscenza può essere solo vera. Entrambe portano per-

suasione. È la contrapposizione fra doxa ed episteme, opinione e scienza, apparenza ed essenza.

Scopo della scienza è spiegare la doxa in termini di episteme producendo riduzione dei possibili di-

scorsi e uniformità totale dei contenuti ammissibili Lo scarto fra i due livelli è premessa della metaf-

sica. Fainomai: imporsi come verità, epifania.

Gorgia: da un lato la retorica è vuota perché se è tecnica non ha competenze precise; dall'altro è in-

nocente perché indifferente alla nozione di verità, l'uso dipende da ciascuno. Va usata solo per il

bene, il maestro non è responsabile dell'uso dell'allievo, la retorica è neutra in sé.

Socrate: se la retorica deve essere usata per il bene non è neutra, se è neutra non può essere usata

per il bene, diversi modi di vincere un dialogo: persuadere l'avversario a cambiare idea partendo

dalle sue stesse passioni e convinzioni; fari sì che non capisca più niente; far sì che si autocontraddi-

ca e se ne accorda. Questo è il metodo di Socrate

La fne del dialogo è intersoggettivamente negoziata.

Il fondamento del dialogo è la convinzione dell'altro, il consenso, e la base non è data ma costruita.

8 una cultura dialogica?

Il dialogo parte dall'ipotesi: ciò che sta sotto la discussione. Dal problema Il dialogo è il processo di

Page 20: lezioni filosofia comunicazione

verifca di queste ipotesi attraverso interazione. Il primo passo è la parola arcaica, opposta al silen-

zio. Poeta costituisce e tramanda la memoria, fa emergere la verità per perpetuare la fame ala gloria

dei protagonisti della storia, salvandoli dal destino umano dell'insignifcanza. È parola veritiera per-

ché*é è effcace. La giustizia ha la forma dell'ordalia, la prova divina della ragione o del torto, qui.

La parola laica è la parola successiva, parola dei guerrieri della tradizione omerica, non dialogica.

Viene messa in mezzo al cerchio dei guerrieri. Da qui idea della poesia di simonide: poesia su com-

missione. Parola come strumento di propaganda. Platone guarda ciò come inganno la cui effcacia è

quella della comunicazione, non della verità.

Parola poetica vicina a parola politica.

Il principio logico-dialogico si allarga a tutti i cittadini. La retorica diventa tecnica dominante, am-

ministrata e indagata dai sofsti. Parola laica: teoria della persuasione contro la ricostruzione di un

sapere quasi religioso.

Il problema centrale è quello della verità: l'inizio della flosofa è segnato da una perdita di sapienza,

della profezia, del sapere ispirato. Il vero profeta non è mai l'indovino o il lettore del futura della sua

immagine caricaturale della modernità, è colui che fa apparire davanti, possiede la verità e la rivela.

Il divino della profezia greca parla per cenni. Signifca.

La verità della profezia è aletheia: svelamento Il profeta scopre, ricorda, espone ciò che è nascosto.

In tempi laici nessuno è gravido di verità e la maieutica funziona come tecnica di selezione e distru-

zione di ciò che non funziona.

La maggior parte del lavoro degli scienziati e dei flosof consiste non nel creare nuove teorie ma

nell'affossare quelle vecchie. Ci si espone al dialogo per le più varie ragioni. Nel momento in cui vi si

è immersi il dialogo ha le sue ragioni la più importante delle quali è la garanzia del suo ordinato

svolgimento. Dialogo è ambiente chiuso da cui non si può evadere, né possono le posizioni espresse

perché in ogni proposizione c'è una serie di conseguenze che vengono sviluppate.

Per Socrate contraddizione è di per sé una sofferenza, discordia dell'anima che non è sopportabile.

Habermas: la comunicazione è la struttura fondamentale del nostro mondo, ciò ci autorizza a im-

maginare regole pragmatiche trascendentali poste a condizione della possibilità stessa della cono-

scenza e e della percezione della realtà.

Impegno comune è nel dialogo un combattimento simbolico per la verità.

Passaggio dal pensiero mitico a pensiero razionale:

nietzsche distingue tra apollineo e dionisiaco, tragedia è dionisiaca, flosofa è apollinea. Secondo

colli la Sapienza ascritta nella tradizione greca a nome di apollo non è pacifcata ma violenta e ca-

ratterizzata da enigma, la cui radice è esperienza religiosa arcaica: confitto fra uomini e dei.

Sapere e voler sapere sono per colli questione di vita o di morte, divinità del sapere è divinità perico-

losa. Apollo è dio anche dell'epidemia.

Page 21: lezioni filosofia comunicazione

Nell'enigma, che ha senso multiplo, c'è l'idea che chi non riesce a penetrare abbastanza in profondi-

tà la parola e la sapienza non solo perde la sfda ma si perde lui stesso.

Tra V e VI sec. La lotta si trasforma in dialettica: formata da un bivio cui segue una discussione ar-

ticolata in problemata posti da un interrogante in forma di dilemmi e da scelte di un dichiarante

concatenando le quali si dovrebbe giungere all'eliminazione dell'opposizione sbagliata. Si suppone

che interrogante sarebbe disposto a demolire entrambe le opzioni in gioco, rifuto di ogni verità

data. In socrate e Platone l'interrogante è custode di una verità che cerca di far emergere. Il proces-

so funziona come acido che elimina le dissolvenze ma lascia intatto un nucleo incorruttibile di veri-

tà.

La polifonia del dialogo non semplice premessa a una comunicazione di signifcati ma lotta regolata

in cui l'opposizione è fondamentale e fruttuosa e il negativo mostra la sua capacità creativa. L'espli-

citazione stessa del confitto è un valore.

III il dialogo biblico

9 un altro dialogo

approccio biblico differente: si caratterizza per responsabilità dell'altro. . Interrogazione su identità e

trascendenza dell'altro nel novecento.

Rivendicazione contiguità con l'altro in un'ottica di rassicurante vicinanza. Sia buber che Lévinas

pongono a condizione dell'accettazione dell'altro il riconoscimento della sua incommensurabilità,

accettazione di una distanza.

Nel caso biblico si tratta di individui, ma l'Altro è terminazione di una relazione verticale: non ci è

uguale e determina in maniera assoluta ogni relazione. Nella bibbia il dialogo ha una valenza non

gnoseologica ma etica: il valore di riconoscere in dio l'altro come soggetto che non si riesce ad affer-

rare mai del tutto. Etico ha a che fare con il costume, la regola e la comunità. La sfera della moralità

non concerne una costruzione interiore, soggettiva, ma un dialogo che viene condotto a partire da

una posizione per forza esteriore.

In occidente la legge morale è dentro di me, la verità abita in interiore homine.

La comunicazione e la sua morale stanno fra gli uomini, l'atto di comunicare coincide con lo spor-

gersi, con l'eccesso di esistenza che è fra i temi dominanti della flosofa del novecento.

Instaurare un rapporto di dialogo signifca riconoscere all'altro una trascendenza, lasciare che emer-

ga come soggetto da un processo comunicativo che si proietta all'esterno fuori dal controllo e che ri-

schia sempre il fraintendimento. L'etica biblica è all'opposto dell'intimismo romantico e dell'idea cri-

stiana del primato dell'uomo interiore (vedi sant'Agostino).

Page 22: lezioni filosofia comunicazione

Nel dialogo biblico c'è il tema dell'appello: il riconoscimento del nome dell'altro.

La verità nella bibbia è dichiarata su base della responsabilità personale, e ciò che conta è quello

che non conta nei dialoghi platonici; l'altro e la sua identità.

Marti buber e emile benveniste: la struttura dialogica della comunicazione, si articola sempre sue

due grandi vettori del linguaggio complementare ed eterogenei: prima e seconda persona verbale,

che dal parlante va verso l'ascoltatore e torna da questi a lui; e quello della terza persona che con-

giunge gli interlocutori all'oggetto del loro discorso.

I fatti sono ostinati: su questa ostinazione si fonda possibilità di flosofa e scienza. Ripetizione è all a

base della scienza moderna e della speculazione.

Tutto ciò si situa su asse io-ciò: soggetto-oggetto, l'oggetto è ob-jectum, proiettato contro.

Diventa centrale nei dialoghi biblici il problema della persona, connesso con il concetto di responsa-

bilità.

Da un lato vi è l'aspetto trascendentale, luogo dell'unifcazione delle percezioni non solo spaziali ma

anche temporali. L'unità dell'essenza dell'altro quello cartesiano dove si proietta o ricostruisce l'unità

dell'esistenza. Dall'altro quello dell'imputabilità: si presuppone esista dimensione in cui il soggetto sia

liberamente se stesso consapevole, un luogo dell'imputabilità.

Soggetto è gravato dell'onere di unifcare passato e futuro. Dire eccomi, realizzarsi come soggetto

dialogico, esso accetta due fardelli: essere unito e libero.

10 il serpente e Caino: seduzione e non dialogo

il serpente nella bibbia è primo esempio di dialogo fra persone e ha forma di seduzione.

Serpente associato al diavolo nella tradizione cristiana. Diabolos, gettare fra: separare < dia ballein.

Con seduzione ha in comune il portare via sed-ducere.

Pratica essenzialmente comunicativa: si seduce con esibizione del corpo o delle insegne di raccolgo-

no, con discorso, con celebrità, con dimostrazione del potere.

Negli episodi di seduzione degli dei nell'Iliade la seduzione è problema linguistico, costruzione di un

fantasma, di immagine desiderabile. Si tratta di linguaggio corporeo e dell'abbigliamento.

Il linguaggio del serpente è un vero e proprio parlare: è un dialogo di valenza perlocutiva orien-

tato al far fare che usa tecniche linguistiche molto sofsticate. Promette di farli diventare simili al di-

vino e fargli avere conoscenza di bene e male.

C'è nel discorso attribuzione di intenzioni precostituite al destinatario della comunicazione secondo

logica caratteristica della fgura della seduzione: il valore dell'oggetto è dato e convalidato dalla stes-

sa proibizione che dovrebbe impedire di raggiungerlo. La seduzione non mira al corpo ma al desi-

derio dell'altro.

Page 23: lezioni filosofia comunicazione

Altro dialogo: dio chiede: dove sei? Appello fondamentale. Va considerato un appello: un'assunzio-

ne di responsabilità, del tu rispetto a dio.

sta chiamando qualcuno che nonostante il suo potere riconosce come esterno, autonomo, indipen-

dente. Deve manifestarsi, rendersi presente e riconoscere la distanza. L'interlocutore è sempre altro-

ve, può scegliere di rispondere o no, perché non è controllato. Il suo dove si può chiedere perché

non è mai qui. Il dove è un appello:

rispetto all'identità, che è qualcosa di dato, la posizione può essere cambiata perché è presa, rag-

giunta. L'identità può essere prodotto delle posizioni prese, ma non vi si identifca direttamente, se-

duzione e violenza sul piano dialogico non sono così diverse.

11 Abramo e la responsabilità del dialogo

Abramo si rivolge a dio con una modalità di interrogazione e di appello.

Nella distanza più totale e al di là di qualunque gerarchia il dialogo è un'apertura che mette sotto

quesitone entrambi i dialoganti.

Quando il dialogo fallisce c'è a monte un fallimento della dimensione etica.

Da questa trattativa de chiamo riesce a imporgli si capisce che il dio biblico non è concepito come

essere intollerante che rifuta la discussione. Egli accetta la richiesta di giustifcare il proprio compor-

tamento.

L'etica è la condizione del dialogo: la cosa fondamentale è non commetter ingiustizia nei con-

fronti dei giusti seppure confusi nella massa degli iniqui, il dialogo cambia il mondo, infuisce sugli

atteggiamenti degli interlocutori, ma richiede atto di coraggio previo. Un mettersi in gioco.

L'eccomi di risposta alla chiamata di dio è l'assunzione del proprio esserci. Non vuol dire stare in un

posto ma assumere la propria esistenza locale.

Abramo: accettazione tragica.

Mettere alla prova, saggiare, misurare, sfdare l'interlocutore al suo massimo è una delle modalità

fondamentali del dialogo biblico.

12 roveto ardente

la modalità del dialogo non richiede fusione ma riconoscimento di una distanza e di una diversità.

es. roveto ardente. La lontananza non è dovuta a paura e colpa come Adamo, ma al rispetto e rico-

noscimento di separazione di principio. Mescolare umano e divino è pericoloso, rende questi dialo-

ghi molto tesi. Mosé chiede di vedere dio e dio glielo nega. Accetta di farsi vedere per tracce. Nella

Page 24: lezioni filosofia comunicazione

concezione ebraica, se è di spirito elevato l'uomo può parlare con dio, ma non vederlo. Può incon-

trarlo sull'asse comunicativo io-tu, mai su io-ciò,asse che caratterizza ogni visione.

Nella tradizione greca l'interrogazione sulla identità si può accostare alla ricerca di Edipo Viene ri-

solta pubblicamente, non in introspezione. La domanda chi sono io di Mosé ha valenza etica (mio

valore rispetto a questo compito) sia dialogica (chi sono io rispetto a te= e richiama il problema della

costruzione della faccia.

Segno in ebraico è ot, che vuol dire anche lettera e miracolo.

Il segno inviato da dio è promessa circostanziata, impegno.

La dominanza del futuro nella semantica del dialogo biblico porta al nome di dio: il nome proprio

può essere scritto ma non pronunciato YHVH.

Per Mosé il problema è tentare di defnire l'altro senza circoscriverlo, senza volerlo afferrare.

Dio: io sono quel che sono o sarò quel che sarò.

Siamo agli antipodi del dialogo platonico che tendeva in maniera paradossale verso la propria fne e

aveva lo scopo di concludersi escludendo una delle due tesi.

L'instaurazione e continuazione di un dialogo dipendono da un bisogno di uscire dalla solitudine

più forte del rischio di soffririi. Blumenberg: la realtà nell'esperienza pre-tecnologica è forza sover-

chiante che governa la vita umana e le si oppone con assolutismo cieco e invincibile

Alle origini della cultura occidentale c'erano due mondi: uno è il mito, narrativizzazione e raziona-

lizzazione idi realtà in principi con dialettica reciproca, e patto a cui anche dio si senta vincolato e

che implichi la possibilità di una valutazione etica del comportamento suo e degli umani.

Rendersi disponibile signifca presentarsi e spostarsi da dimensione fattuale in potenziale.

La domanda sul nome è interrogazione su identità, richiesta di presenza che si perpetui, disponibili-

tà a continuare nel rapporto.

13 il libro di giobbe

satàn arriva al cospetto di dio dopo soggiorno sulla terra. Giobbe ha condizioni di vita prospere. Sa-

tàan stermina tutto. Lo manda ramingo per il mondo. Giobbe perde anche la salute e chiede di par-

lare con dio.

È una richiesta di dialogo. Non soddisfatta. Il divino parla ma da una distanza.

Il mondo ci sovrasta e non sappiamo perché. Il dubbio di giobbe riguarda l'esistenza dell'Interlocu-

tore silenzioso

È quando non si crede più alla possibilità di una partecipazione dialogica di dio che le cose si modi-

fcano profondamente, il discorso passa dal piano dialogico a quello oggettivante. Non si parla più a

dio ma di dio e della sua creazione. È il problema della teodicea: la domanda che la ragione pone a

Page 25: lezioni filosofia comunicazione

dio sulla commisurazione fra mezzi e fni. Il lavoro continuo di giobbe è un tentativo di costruzione

del tu,uno sforzo di mantenere viva un'apertura. Il concetto nuovo è che il dialogo non perde la sua

effcacia anche se la risposta non è pertinente alla domanda. C'è un'autonomia e una responsabilità

di entrambe

IV IL PENSIERO DIALOGICO NELAL MODERNITà E NEL NOVECENTO

nel pensiero greco classico domina il punto di vista oggettivista per cui la verità è data nel mondo e

si tratta di come raggiungerla. Via via che prevale impostazione soggettivista, la conoscenza si pre-

senta come problema di certezza: ha a che fare con la soggettività solitaria dell'osservatore.

Il soggetto della conoscenza è una res cogitans sola nel suo rapporto col mondo.

14 hegel

la coscienza si presenta come certezza sensibile, pura e apparentemente concreta esperienza indivi-

duale del questo, dell'ora. L'immediato sarebbe in questa fase l'io.

Il primo emergere isolato della coscienza nella sua relazione al mondo si mostra com la prigionia di

una sorta di illusione, la falsa concretezza del questo che non si può dire. Il momento della cono-

scenza scientifca arriva tardi. La strada per la costituzione dell'uomo riguarda ordine di esperienza

diverso: vita, bisogno, aggressività e rapporti fra gli uomini.

La prima caratteristica dell'autocoscienza è l'appetito o desiderio che contrappone l'io a tutti i diver-

si oggetti del mondo. Rapporto elementare di fronte al mondo che caratterizza l'autocoscienza è il

consumo, la distruzione, l'eliminazione dell'indipendenza della cosa per affermare oggettivamente la

propria esistenza.

L'oggetto è indipendente all'autocoscienza, che no fa altro che riprodurre l'oggetto l'appetito

L'infnitezza del desiderio è l'esperienza fondante dell'autocoscienza. Per capire la condizione uma-

na bisogna partire da un io mancante, carente, alla ricerca di un oggetto con cui realizzarsi e inca-

pace di fermarsi in questa ricerca. L'esperienza della soggettività è quella del bisogno, del desiderio,

della brama, della pulsione verso oggetto che is sottrae infnitamente perché è solo disponibile e non

reagisce. È un io che non è chiuso e completo.

In forza dell'indipendenza dell'oggetto, l'autocoscienza può giungere all'appagamento quando l'og-

getto stesso compia la sua negazione. L'autocoscienza raggiunge il proprio appagamento solo in

un'altra autocoscienza Autocoscienza è tanto io quando oggetto. Io che è noi e noi che è io. Autoco-

scienza non è solo appercezione, ma è anzitutto negatività. È pluralità unifcata accanto all'altro da

sé. In questo senso diventa spirito e cultura. Il riconoscimento signifca sapere di avere incontrato

Page 26: lezioni filosofia comunicazione

qualcuno o qualcosa e attribuirgli una qualità e un valore Si supera l'impossibilità di essere oggetto

non si tratta di essere oggetto nel senso conoscitivo sul piano dell'interazione, dello cambio del desi-

derio. L'altro, autocoscienza identica ma fuori di sé, è l'unico oggetto adeguato per se stesso perché

noi lo siamo per lei. Abbiamo interazione. L'altro è che il desiderio di cui stiamo parlando continui

a essere appetito, brama, voglia di appropriazione che ha natura assoluta e distruttiva, che consuma

il proprio oggetto per affermarsi

Opposizione tra schiavo e padrone. L'autocoscienza quando vede altra autocoscienza smarrisce

se stesa perché ritrova se stessa come essenza diversa; ha così superato l'altro perché vede nell'altro

se stessa. Deve togliere questo suo esser altro. La coscienza deve procedere a togliere l'altra essenza

indipendente e divenir certa di se stessa come essenza. Mediante il togliere riottiene se stessa toglien-

do il suo esser altro.

Non è possibile dal punto di vista hegeliano una realizzazione dell'io che non sia passata attraverso

disfda mortale. Essa introduce nella storia e nella dialettica dell'autocoscienza la dissimetria fra l'es-

ser per sé e l'esser per un altro: signore vs servo. Il lavoro è appetito tenuto a freno, è dileguare trat-

tenuto: il lavoro forma. Il rapporto negativo verso l'oggetto diviene forma dell'oggetto stesso, qualco-

sa che permane.

Con hegel l pluralità degli uomini e il regime dei loro rapporti esce alla luce come premessa essen-

ziale per la costruzione dello spirito.

La dialettica va sempre a chiudersi in sintesi che è superamento e toglimento dei suoi elementi.

15 il novecento

15.1 husserl:

fenomenologia è l'operazione con cui il pensiero che si interroga sulla possibilità di una conoscenza

scientifca del mondo rinuncia a porsi il problema della realtà di questo e si confronta con la struttu-

ra dell'apparenza e delle sue proprietà intrinseche. Il fenomenologi si ritrova a partire da questo ge-

sto di riduzione e ignorare sia il mondo come costituito da realtà vere o cose in sé sia il suo stesso io

come insieme di caratteristiche personali e psicologiche scoprendo che a tale livello trascendentale

si ripropongono le problematiche più generali del livello reale.

Questione del corpo: husserl: korper: massa fsica e biologica; leib: nostro essere proprio nel mondo,

legato alla nostra identità.

Questione dell'oggettività del mondo: perché sia possibile la scienza non può esser trattato come

rappresentazione mentale di un soggetto ma intersoggettivamente condiviso. Le strutture dell'io tra-

scendentale che ritroviamo nel lavoro di riduzione devono valere per tutti. Di qui la necessità di

Page 27: lezioni filosofia comunicazione

qualche forma di accesso agli altri nella meditazione solitaria che il soggetto di husserl compier.

Questione dell'altro. Guardandosi attorno nel mondo il soggetto riconosce agli altri oggetti simili

a lui che appaiono dotati di corpo proprio e assimila la loro esperienza alla propria. Bisogno attri-

buire loro un modo di essere analogo al mio e il mio stesso principio conoscitivo. Bisogna supporre

che essi condividano il mio steso mondo. Solipsismo: riconoscimento degli altri come simili a me è

condizione della possibilità di conoscere il mondo. Se il riconoscimento fra gli individui è passaggio

di rispecchiamento in cui l'altro è visto come alter ego, quello che manca è il dialogo. Spingendo la

linea cartesiano-kantiana fno alla costruzione dell'intersoggettività, husserl non costruisce un tu

quanto un altro io, condizione non suffciente per instaurarsi di un dialogo vero e proprio.

15.2 heidegger

esserci è caratteristico di sussistere degli umani: dasein non è mai pura coscienza solitaria, ma è un

in-essere che si profla sullo sfondo del mondo che abita. Analisi deve partire dal quotidiano, dal

mondo come ambiente immediato. Chi e esiste non si trova in mezzo a semplici masse fsiche o con-

fgurazioni di stimoli, ma in mezzo a cose che sono percepite come mezzi.

Gli altri non sono frutto di un astrazione, non sono ciò cui deve far ricorso il soggetto per ipotizzare

che le sue percezioni valgano al di là di se stesso, ma essi costituiscono il contesto rispetto a cui l'es-

serci è, da cui non è distinguibile.

L'essere nel mondo è la dimensione comune dell'esistenza nelle modalità del prendersi cura (lavoro)

e avere cura (degli uomini) che fondano l'esserci nella loro virtualità positiva quanto in quella negati-

va.

Il con esserci è il percorso che porta dal prendersi cura all'avere cura: la natura fondamentale del

conesserci emerge quando ognuno sia lasciato a se stesso rispetto agli altri. La nostra condizione de-

fcitaria è la prima e più fondamentale prova della naturalità della dimensione del conesserci. L'es-

serci è un'esistenza situata, localizzata, situata nel mondo. È con-esserci, modalità essenziale che io

scopro nella mancanza e che si specifca come aver cura Nei rapporti umani reali si ha indifferenza:

il si generico, il man, la condizione delle mode, dell'opinione pubblica, di una totalità inautentica

che è caratteristica dell'esistenza attuale L'autenticità riguarda decisione solitaria, che riguarda l'es-

sere per la morte o adesione a un destino storico collettivo.

In heidegger non c'è spazio per il dialogo ma spazio che aspira all'unanimità del popolo o al silenzio

della morte.

16 verso un pensiero del dialogo

Page 28: lezioni filosofia comunicazione

Platone: modalità scientifco/politica del dialogo

bibbia: modalità etica

moderni: importanza dimensione plurale dell'umanità; impossibilità del dialogo; rapporti umani

come lotta;

16.1 buber:

ich un du. Rabbino, teologo, traduttore della bibbia. Portò pensiero chassidico dell'ebraismo

orientale. Teoria del dialogo: duplice è il modo di essere dell'uomo: parole base sono coppie di paro-

le, una è io-tu altra è io-esso.

Il volto del mondo dipende dallo sguardo dell'uomo e dalla sua parola. Le parole base pronun-

ciate danno vita a un esistente. Non si possono pronunciare separate dall'essere.

Il gesto fondamentale dell'esistenza umana è la scelta di un modo di comunicazione e insieme di una

qualità di esistenza, quello oggettivante che cerca di estrarre fatti dal mondo e lo conferma nella sua

realtà di massa di cose opache o insensibili, o quello che si impegna a considerare l'altro un interlo-

cutore e si apre discorso con lui, non su di lui.

Io di io-tu appare come persona e acquista coscienza di sé come soggettività; l'individualità ap-

pare in quanto si distingue da altre individualità. Lo scopo della relazione è la sua stessa essenza, il

contatto con il tu. L'autentico dialogo e ogni reale compimento della relazione interumana signifca

accettazione dell'alterità.

Tre specie di dialogo: autentico: in ciascuno dei partecipanti intende l'altro o gli altri nella loro esi-

stenza e particolarità e si rivolge lor con intenzione di far nascere una vivente reciprocità; tecnico:

bisogno di intesa oggettiva; monologo; travestito da dialogo, ma in cui ognuno parla a se stesso. Dia-

logo è realizzazione della possibilità fondamentale della natura umana, quella di costituire asse io-tu

come atteggiamento di vita. Implica responsabilità: uno che mi appella primariamente da un regio-

ne indipendente da me al quale io debbo rendere conto.

Ogni realtà è effetto di cui sono parte senza portelo fare mio. Consiste nel non essere più semplice-

mente uno vicino all'altro ma nell'essere uno presso l'altro di una molteplicità di persone che fa espe-

rienza di reciprocità, di dinamico esser di fronte, tutti convergenti verso un centro.

Conversione: decisione di superare l'atteggiamento naturalmente centrifugo del singolo per costruire

la sfera pubblica.

16.2 Lévinas

Page 29: lezioni filosofia comunicazione

critica all'antropologia flosofca tradizionale, costruita con al centro il sapere. È concezione che il

nostro relazionarci come uomini abbia come fondamento e modello l'attività conoscitiva, consiste

all'accumulo di conoscenze per cui anche forme difettive vanno chiarite e sistematizzate.

Il motto psicanalitica si tratta di programma di emersione alla coscienza, di appropriazione del ciò

da parte di un io solitario e osservatore. Per Lévinas il grande progetto storico dell'occidente che ini-

zia con Socrate è la trasformazione del mondo in esperienza, il far convergere ogni cosa nel sapere.

Il soggetto è pensato come colui che riporta ad unità l'esperienza universale. Essere è una categoria

inventata dall'occidente come risultato della trasformazione del mondo in esperienza. Il ciò buberia-

no.

Il contenuto fondamentale del pensiero europeo è visto dal Lévinas come processo con cui si

porta a conoscenza il mondo,. Essere è poter essere conosciuto, da un'attività immanente al sogget-

to, qualcosa che non è necessario incontrare fuori di noi La riduzione della trascendenza in imma-

nenza deriva da preminenza accordata al sapere come nodo centrale dell'esperienza.

La conoscenza consiste in forma di appropriazione del futuro e del passato nella programmazione e

nel ricordo. È rivelatrice. Il pensiero dell'immanenza è il pensiero dell'autosuffcienza che sembra

poter bastare a se stesso. Concepiamo la realtà, la pretesa della flosofa è di poter capire la realtà a

partire dal modo con cui noi ne parliamo Dall'altro lato il pensiero si organizza e si struttura sulla

realtà colla stessa correlazione stretta che modella la realtà a a partire dalle strutture del pensiero.

Peculiare è il termine medesimo che Lévinas applica all'io per sottolinearne carattere di identità. Il

soggetto è sempre lo stesso, continuo, non dà sorprese. L'altro può essere grazia, esperienza, illumi-

nazione. La logica della tradizione flosofca appiattisce l'altro sul medesimo rendendo disperata-

mente diffcile l'esperienza del tu. Il primo passo verso il dialogo è la considerazione del linguaggio.

La presenza del linguaggio è una rottura dell'univocità del dato che costituisce uno spazio di libertà.

Quando la cosa viene pensata in termini di contenuto linguistico si crea virtualità di molteplicità di

discorsi legati fra loro in termini di connessione o contrapposizione.

Il linguaggio non basta a realizzare il dialogo nell'immanenza. Rifuto della dialettica hegeliana per-

ché porta sempre a una sintesi, una conclusione, un'unità.

La scienza è conversazione, discussione. Ricerca infnita. La tesi che sostiene Lévinas mira all'elimi-

nazione di questo tipo di concezione.

Nella tradizione che viene dalla Grecia, il dialogo è il luogo in cui si può ottenere la verità. Il dialogo

può essere il solo metodo con cui ci si accorda per la cessione della sovranità. Lévinas è perplesso sul

fato che la pace possa venire dal riconoscimento dell'uguaglianza perché implicherebbe delle ragioni

costituiste con un dialogo e così' via all'infnito. La flosofa fa dipendere il linguaggio dalla cono-

scenza, radicandolo in un terreno cognitivo. Si propone di riconoscere facoltà di linguaggio innata

Page 30: lezioni filosofia comunicazione

che avrebbe forma di un linguaggio della mente. Da un punto di vista cognitivo il linguaggio ideale

apparirebbe quello matematico, che riesce a fare astrazione da chi lo parla, al contrario di quello

quotidiano pieno di ambiguità e imprecisioni.

Lévinas critica in husserl questa interpretazione cognitivista del linguaggio che toglie spessore al

dialogo ponendo alla sua base un'immanenza univoca. Si fa qui riferimento alla teoria dell'altro hus-

serlinana che è basata su rappresentazione che consiste nell'inferenza che io faccio circa la soggetti-

vità dell'altro a partire dalla rappresentazione della mia soggettività. L'esperienza del tu è subordina-

ta perché viene posta all'interno della mia immanenza, ed è subordinata alla mia accettazione della

presenza di un alter ego. E un altro io no sarà mai un tu.

Lévinas propone una teoria della radicale differenza e della non autosuffcienza dell'io. L'io non è

autarchico Rifuto anche del soggetto trascendentale e disincarnato che si comporta in una certa

maniera in generale in favore del singolo concreto io. Nel momento in cui si riconosce l'essenziale

parzialità del soggetto, si pone il problema di come coniugare le esigenze, percezioni, pensiero di

questa pluralità di individui diversi. Nel pensiero di Lévinas una delle condizioni di un dialogo non

chiuso sta nel riconoscersi mancanti.

In quello reale come reale ricchezza della condizione umana, alla base della nostra caratteristica di

essere animali che desiderano. Desiderio e comunicazione si apparentano e derivano dalla parziali-

tà. Se la nostra condizione fondamentale è il desiderio non è quello sovversivo di rovesciare le cose

né progetto di appropriazione di tutto ma di un desiderio che si coniuga nel senso dell'amore. Si teo-

rizza la positività della carenza Quello che costituisce trascendenza dell'altro è il riconoscimento di

questa distanza come valore e di conseguenza come rispetto della libertà dell altro. Los cambio fon-

dato sulla trascendenza è un dialogo etico perché è il punto di partenza di una morale. Il desiderio

presenta il rischio di volersi appropriare dell'altro. L'esteriorità è rapporto di non appropriazione,

totalità che pretende di riassorbire differenze è regno del medesimo, risultato di un'annessione.

È inevitabile risentire tendenza della nostra società a privilegiare uno e mio. Lévinas sostiene che

solo nel tu la molteplicità è garantita Il nodo centrale consiste nel pensare che ci sia nel mondo qual-

cosa di cui io non posso appropriarmi nei confronti del quale il mio atteggiamento non passa dal sa-

pere al potere. La trascendenza del ciò era presentata nel pensiero mitico ma rapidamente abban-

donata e distrutta,disincantata. Niente che sia ciò può essere trascendente. Il pensiero trova che egli

possa riconoscere come assolutamente altro da lui lo trova nell'interlocutore, nel tu con cui parlare.

Da qui un primato etico della comunicazione. Quando apro un discorso sono portato al di là dei

fatti che si verifcano. Sono sempre obbligato a implicare che quanto accade concretamente mi rin-

via sempre ad altro. Io identifco nell'altro la fonte attiva di un'interpretazione. Mi modello sulla for-

Page 31: lezioni filosofia comunicazione

ma dell'esperienza degli altri. Il mio senso si misura su loro comprensione Non ci può essere rivendi-

cazione di soggettività nella comunicazione senza il riconoscimento di un assolutamente altro con

cui pote intrattenere un discorso.

Nel momento in cui apro un discorso sono portato al di là dei fatti che si verifcano. Si rinvia sempre

ad altro. Ciò che nell'altro non è di questo mondo è la sua interiorità che si rifette nel volto. L'altro

è davvero un altro per me quando questo anteriorità non è un fatto del mondo, non è qualcosa che

possa avere sotto mano. Ciò che dell'altro mi appare quando gli parlo o lo guardo, esprime, contie-

ne e nasconde la sua interiorità. In Lévinas il volto è l'altro nella sua concretezza, nel suo essere fsi-

camente presente.

Il rapporto di alterità di questo altri rispetto a noi no è duna differenza che rimandi a una totalità

nel comune essere cose. Altri è l'interlocutore, colui cui siamo legati dal discorso e dal riconoscimen-

to che già sempre implica.

In Platone la trascendenza era dell'io, del suo sistema di motivazioni e di responsabilità In Lévinas la

trascendenza dell'io è effetto della trascendenza dell'altro, di questo altro che è imprevidibilità Liber-

tà è libertà degli atri perché essi sono l'unica cosa davvero non determinata La conseguenza etica è

il rispetto di questa libertà. Noi non abbiamo il linguaggio, sia effetti di linguaggio.

4 necessità dell'interpretazione

l'interpretazione è inseparabile dalla comunicazione, soprattutto quella letteraria.

Ermeneutica è flosofa continentale che si occupa dell'interpretazione.

Interpretazione fa parte del lessico di Platone e Aristotele (hermeneia). È parte del lavoro più carat-

teristico della comunicazione, la ricerca del senso nel mondo e nei testi. Hermeneia signifca indica-

zione o espressione. Interpretazione è stata trasportata nella lingua e cultura latina da cicerone . A

partire dall'innesto nella flosofa della problematica biblica della lettura dei libri sacri con Agostino,

Abelardo e san Tommaso, viene intesa come chiarimento dei signifcati oscuri di un testo e come

esplicitazione della sua dimensione allegorica e profetica. La funzione di scioglimenti ed esplicitazio-

ne dei signifcati oscuri o problematici era già stata rivendicata dagli stoici per omero, da flone d'A-

lessandria per una decodifca della bibbia ebraica, da san paolo per la bibbia come prefgurazione

della vicenda di Gesù

Da posizioni allegorizzanti deriva la dottrina medievale dei molteplici sensi dei testi, poiché il valore

allegorico si aggiunge a quello letterario senza eliminarlo

Nella cultura ebraica si teorizza il PaRDeS:

Pshat: senso letterale

Remez: senso nel contesto

Page 32: lezioni filosofia comunicazione

Derash: senso omiletico

Sod: signifcato mistico o segreto.

Almeno nei testi ispirati ogni dettaglio del testo sia signifcativo e portatore di senso. Il cristianesimo

rende pertinenti in questa maniera quasi esclusivamente dettagli del contenuto testuale.

Nel mondo ebraico, che si fonda sull'idea di una trasmissione letterale del testo sacro, l'interpretazio-

ne si estende anche ai dettagli del signifcante.

Col declinare del rapporto fra flosofa e teologia a partire dall'umanesimo e con la sostituzione del

gran libro della natura alle scritture sacre come deposito fondamentale del sapere, anche a nozione

di interpretazione decade: se il libro della natura è scritto in caratteri matematici, si tratta di leggerlo

esattamente verifcando sperimentalmente ciò che vi si trovi e non di costruirvi sopra arbitrarie co-

struzioni allegoriche: hypotheses non fgno, scrive newton.

I primi secoli della modernità sono quelli in cui è più ftta l'invenzione di lingue perfette fra le cui ca-

ratteristiche più cospicuamente programmatiche vi sarebbe quella di non richiedere e non ammette-

re interpretazione perché prive di ogni possibile ambiguità e sovrasignifcazione.

L'ideala, per Leibniz, era la possibilità di calcolare la verità grazie a un linguaggio adeguato.

Il tema dell'interpretazione rientra nella stoira della flosofa a partire dalla fne del settecento,

col romanticismo e grazie a una diversa considerazione delle lingue di autori come von humbolt

hermann e herder. Viene sottolineato un legame con le forme di vita, identità e attitudini di diversi

popoli, si affaccia la metafora delle lingue come esseri viventi, viene fuori con forza la teoria secondo

cui le forme espressive non sarebbero indifferenti al loro contenuto e viceversa. Tutto ciò richiama

la necessità dell'interpretazione come lavoro preliminare alla comprensione.

Emerge anche il nesso fra interpretazione e traduzione. Oltre a quello del linguaggio, un altro cam-

po importante per la riaffermazione dell'interpretazione è quello delle scienze dello spirito, cui verrà

attribuito un metodo autonomo fondato sulla comprensione e sull'interpretazione, diverso dalla de-

scrizione di fenomeni oggettivi caratteristico delle scienze della natura. La discussione sull'ermeneu-

tica is è per lo più posta fno a oggi nei termini della sua legittimità scientifca.

L'interpretazione non è una cosa data. Prima di queste discussioni è necessario chiarire quale tipo di

pratica si voglia intendere sotto questa etichetta.

Esposizione, indicare/intendere, chiarire/comprendere: proprio in tedesco si è svolta buona parte

del dibattito sull'interpretazione, estendendo la ricerca linguistica le connotazioni si estenderebbero.

Una flosofa della comunicazione ha come passo necessario la defnizione di ciò che si vuole inten-

dere per interpretazione, che non è scontato.

Nietzsche: non esistono fatti ma solo interpretazioni Chiama interpretazioni le opinioni soggettive o

le letture del mondo dettate da interessi o volontà di potenza. Queste hanno rapporto vado con le

altre accezioni.

Page 33: lezioni filosofia comunicazione

Schleiermacher: teoria romantica dell'interpretazione: si tratta della compressione di ogni testo il

cui signifcato non sia immediatamente chiaro per arrivare a proporre l'idea che l'interprete deve

proporsi di capire il discorso altrettanto bene e meglio di quanto lo capisse l'autore stesso.

Dilthey: i segni sono manifestazione di qualcosa di psichico che noi chiamiamo comprendere. Psico-

logismo ermeneutico. Si rifuta la trascendenza di altri interlocutori. Distinzione tra comprensione e

interpretazione: se interesse è limitato, lo è anche comprensione. Manifestazioni vitali fssate in

modo durevole sono esegesi o interpretazione. L'arte del comprendere ha punto centrale nell'esegesi

o interpretazione di ciò che è racchiuso in documenti scritti come resto di esistenza umana. L'erme-

neutica è la teorica dell'esegesi di monumenti scritti.

L'interpretazione sarebbe comprensione caratterizzata dal fatto di occuparsi di testi scritti, in parti-

colare letterari. La richiesta di essere interpretato verrebbe dall'ambito delle attività umane, anche

al di là di forme simboliche. Solo la semiotica seguirà un progetto di descrizione vasto delle diverse

forme di comunicazione.

Dilthey sembra pensare che la comprensione e l'interpretazione sia una forma di intuizione imme-

diata che non ha bisogno di una tecnica né di regole e strumenti di analisi e che il suo scopo sarebbe

l'interiorità dell'autore. Pensiamo il contrario: é l'esteriorità e non l'interiorità al centro dell'interpre-

tazione

Heidegger: l'essere in quanto comprensione progetta il suo essere in possibilità. L'interpretazione si

fonda sulla comprensione. Non è questa a derivare da quella, ma l'interpretazione non consiste nel-

l'assunzione del compreso, bensì nell'elaborazione delle possibilità progettate nella sua comprensio-

ne.

Si comprende e si interpretano degli utilizzabili: parti del mondo che possono entrare in progetto

umano e vengono intese come appartenenti a certe categorie. Ciò che viene compreso esplicitamen-

te ha la struttura del qualcosa in quanto qualcosa, un oggetto che può servire per un progetto. La ri-

petizione dello stesso termine qualcosa separato dall'in quanto nella defnizione heideggerian di in-

terpretazione non è tautologica. Ogni cosa è compresa in quanto qualcos'altro. Segno: aliquid pro

aliquo intesa da versante concettuale a progettuale. Qualcosa he serve per qualcos'altro.

Il mondo per heidegger è già sempre compreso e proprio per ciò interpretabile. L'interpretazio-

ne è una selezione delle possibilità che sono già incluse nella comprensione, una sua realizzazione.

L'interpretazione non è mai apprendimento neutrale di qualcosa di dato. Il dato immediato è

null'altro che la ovvia assunzione dell'interpretante, assunzione implicita in ogni procedimento inter-

pretativo come ciò che è già posto a base di ogni interpretazione Se l'interpretazione deve muoversi

nel compreso e nutrirsi di esso può portare a circolo. Non è un circolo vizioso: l'importante non sta

nell'uscire fuori dal circolo, ma nello starci dentro nella maniera giusto. Il circolo della comprensio-

Page 34: lezioni filosofia comunicazione

ne non è un semplice cerchio in cui si muova qualunque forma di conoscere, ma l'espressione della

pre-struttura propria dell'essere.

Heidegger: esserci è esistenza umana nella sua concretezza e complessità. La comprensione è una

delle dimensioni basilari e primitive dell'umanità Vita umana e interpretazione si implicano a vicen-

da perché non vi sarebbe rapporto con il mondo che non fosse interpretativo e non vi sarebbe inter-

pretazione che no si basasse su pre-comprensione del mondo che caratterizza ogni esistenza e che

non fosse essenzialmente circolare.

Vi è senza dubbio intuizione profonda sulla condizione umana nella posizione di tale ermeneutica

della fatticità e in quella del circolo ermeneutico.

2 che cosa signifca interpretare?

L'interpretazione prende un frammento di testo il cui signifcato non è chiaro o un aspetto della

realtà che si sceglie di intendere come testo, a cui si voglia dare un senso, e realizza questa intenzio-

ne formulando un secondo testo.

Si tratta di una specie di traduzione: sarebbe qualcosa cui viene attribuito un carattere signifcante e

questo senso verrebbe esplicitato da chi ha fatto questa scelta e si attribuisce l'autorità di stabilire l'e-

quivalenza.

Si interpreta qualcosa che sappiamo dire, che siamo capaci di nominare.

L'interprete è colui che ha capito due volte: la prima ha realizzato l'enigma di un'espressione bi-

sognosa di senso, la seconda ha creduto di aver compreso tale senso e ora lo propone come nuova

espressione. La comprensione interpretativa non è una presa iniziale e immediata come voleva hei-

degger: è frutto di un percorso, si lega alla soluzione di un enigma, richiede impegno e fatica o un

sapere accumulato che faccia da ponte fra espressione e interpretazione. Presuppone spesso una

qualifca. L'interprete è critico, sacerdote, rabbino, magistrato.

L'interpretazione è sempre un lavoro di secondo grado su un senso che è già presupposto come pre-

sente, sebbene insuffciente. Voler intepretare signifca aver già capito almeno in parte. Aver costi-

tuito un testo, strutturato in espressione e contenuto. Non si interpreta l'assolutamente incomprensi-

bile, il totalmente caotico, l'esclusivamente individuale; lo si incontra. È diffcile percepirlo e serbar-

ne traccia se non avvolgendolo in una rete di metafore che sono già un ritaglio nella continuità insi-

gnifcante e un'attribuzione di senso. È il caso delle costellazioni del cielo. La catena dell'interpreta-

zione si può forse stendere indefnitamente in avanti, un explicans dopo l'altro, una chiarifcazione o

estensione di senso dopo l'altra , ma il suo punto di partenza non è la realtà nuda, bensì un pezzo di

mondo già compreso.

Dal nostro punto di vista che si fonda sul signifcato dizionariale, un'interpretazione è sempre un

Page 35: lezioni filosofia comunicazione

rapporto fra due testi: uno di partenza, già realizzato socialmente come tale, o un frammento di

mondo ritagliato, e un testo d'arrivo, una parafrasi o traduzione o equivalente che viene proposto

come spiegazione.

Questo dispiegamento ha la forma del suo opposto, cioè della piega. Accade spesso per l'inter-

pretazione si presenta spesso come meta-testo, un testo che parla di un altro testo nominandolo o

meno e che fa delle asserzioni sul rapporto fra questo testo oggetto o di partenza e ciò di cui esso

parlerebbe e il suo signifcato.

Interpretazione si dice:l'atto di interpretare; il testo in cui si concretizza quest'atto che è sempre lin-

guistico o comunicativo;explicans: il nuovo testo che si propone di sostituire al vecchio.

All'asse verticale per cui ogni testo ha un ciò di cui parla, si affanca un asse orizzontale comunicati-

vo che va da chi parla a chi ascolta. Chi parla, l'interprete, si assume la pretesa ermeneutica, asseri-

sce che il secondo testo interpreta il primo.

La scommessa interpretativa può avere molte forme e molte motivazioni, ma si giustifca sempre

alla luce del suo destinatario.

Chi interpreta esercita sempre una pretesa ermeneutica che si pone su diversi livelli: la scelta e l'indi-

cazione del testo interpretabile; la defnizione della grammatica dell'equivalenza proposta, che si

può analizzare in una pertinenza e in una proposta di codice che viene usato per estrarre i tratti in-

terpretativi e sostituirli con i lor equivalenti; la pretesa generale della validità dell'interpretazione, la

richiesta di essere creduti; la pretesa alla verità che è logicamente propria di qualunque asserzione.

L'interpretazione è dunque un'attività che pone un'equivalenza che afferma: dove è detto que-

sto, s'intende quello. L'equivalenza non deve essere banale: deve suggerire un signifcato diverso da

quello generalmente compreso. L'interprete che la suggerisce deve dare delle ragioni per l'equiva-

lenza e indicare in generale dei passaggi intermedi. L'interpretazione si colloca e si giustifca sempre

solo in un contesto socioculturale. Solo un'enciclopedia semiotica sostiene l'interpretazione, no vi

sono interpretazioni naturali. La pretesa interpretativa non è mai isolata nei due sensi di riferirsi

sempre a un destinatario e di prendere autorità da una cultura. L'interpretazione pretende in genere

di attenersi a un principio di carità nei confronti del testo: leggerlo nella maniera che più gli renda

ragione. Giustifca la pertinenza che ha scelto come quella che si caratterizza per far emergere un

senso che in altro modo sprofonderebbe nell'insensatezza. L'interpretazione fa parlare il testo. In

questo senso si giustifca la pretesa ripetuta per cui l'interpretazione capirebbe il testo meglio di

quanto esso tesso o il suo autore abbia saputo fare.

Ci si pone il problema di regole di una corretta interpretazione: entrano in gioco i concetti di inten-

zione (dell'autore, dell'interprete, dell'opera) (eco), la compatibilità di tali intenzioni più o meno im-

plicite, il rispetto di un'etica dell'interpretazione. Obiettivo polemico è la teoria della decostruzione,

secondo cui si rivendica la liceità di letture che vanno a cercare il senso delle posizioni culturali an-

Page 36: lezioni filosofia comunicazione

che sotto o dietro la lettera dei testi, studiandone le lacune e i silenzi portandoli a scontrarsi con i

casi limite che non considerano o introducendo elementi tratti dallo statuto biografco dell'autore

Questo ambito problematico ha senso all'interno di un sistema interpretativo che accetti di legit-

timare solo interpretazioni che si attengano a certe regole. Questi criteri non vanno da sé ma deriva-

no dalla comprensione cha ha di se stessa l'interpretazione. Da un punto di vista flologico, l'inter-

pretazione rabbinica o cristiana sono improprie. Dal punto di vista di chi pensa a un testo divina-

mente ispirato, l'ipotesi flologica di stratifcazione del testo è poco pertinente. È possibile leggere nei

testi diverse premonizioni o aperture alla propria interpretazione. L'interpretazione è una parte im-

portante del pensiero. Si può anche pensare di proibire tout court le interpretazioni di certi testi. In-

terpretazioni sgradite comunque accadono continuamente, e un pensiero che voglia osservare i fe-

nomeni comunicativi non può non tenerne conto.

3 comprendere non è interpretare nel momento in cui sottopone un testo a interpretazione, l'in-

terprete deve naturalmente presupporre che la sua azione non sia arbitraria e che corrisponda a una

sua comprensione di ciò che il testo dice a livello elementare e quindi ampli questa comprensione in

qualche modo, sulla base di paragoni con altri testi, di letture causali e storiche, del ritrovamento di

simboli...sempre sulla base di una previa comprensione elementare del testo.

L'interpretazione stessa è un discorso, un'attività di comunicazione o signifcazione, non può non

supporre di essere comprensibile, sia nella parte implicita, ma necessariamente sempre presente, che

dichiara la sua pretesa ermeneutica di stabilire un'equivalenza. Deve presupporre che il destinatario

dell'interpretazione possa comprendere il suo stesso signifcato letterale. Ogni interpretazione è pre-

ventivamente affdata alla possibilità i comprensione Non ogni comprensione va considerata come

un'interpretazione, né bisogna presupporre l'esistenza di una tale interpretazione,s e così fosse non

vi sarebbe mai fne al processo di comprensione.

Possono essere interessanti le passeggiate inferenziali o le semiosi illimitate che arricchiscono il senso

di ogni comunicazione, ma perché funzionino ogni passo deve essere a sua volta comprensibile e

compreso.

Perché vi sia una comprensione effettiva a qualunque punto di questi discorsi bisogna pensare che vi

debba essere a un certo punto un atto di appropriazione in cui il messaggio comunicato sia sempli-

cemente compreso: esso non deve più venir ritradotto in altre espressioni che dovrebbero a loro vol-

ta essere comprese, ma deve venir com-preso: preso e messo insieme al resto del sapere, e trasforma-

to così nella nostra mente o nel nostro sistema nervoso in qualche cosa che non sia più un altro te-

sto, ma uno stato del sistema, una certa sistemazione della memoria, una certa confgurazione del-

l'enciclopedia o della rete neuronale.

Questo far proprio non va inteso come iscrizione da qualche parte di un testo speciale di un linguag-

Page 37: lezioni filosofia comunicazione

gio della mente o di un signifcato metafsico, ma un modo non interpretativo, cioè diretto di appro-

priarsi del signifcato ricevuto, facendolo oltrepassare così in quel momento la barra la lacuna che

separa signifcante e signifcato.

Non è vero che un signifcato debba essere un altro signifcante di una catena di segni equivalenti:

non riusciremmo a comprendere mai nulla. Trasformare il signifcante in una certa disposizione

mentale e cerebrale è il risultato cognitivo della comunicazione. Si tratta di incorporare nella totalità

magmatica che è l'identità. Si sa di essere amati o si conoscono le vicende della storia,anche quando

non ci si ricorda più le parole da cui si è capito qualcosa. Questo è il modo normale che abbiamo di

intendere la nostra lingua, i gesti, le immagini, i colori della nostra cultura e qualunque comunica-

zione ci arrivi. Non si tratta di un signifcato ultimo né innato o naturale o vero, tant'è che esso è

sempre appreso, in particolare nel caso del linguaggio. Non si ha bisogno di qualcuno che interpreti

il ciao.

Dal punto di vista di una flosofa della comunicazione basata sapere che vi sono dei punti in cui il

circuito comunicativo termina, superando quella che abbiamo chiamato la barra della signifcazio-

ne. Cosa avvenga topo è materia delle neuroscienze.

La comprensione permette di assimilare quel che è detto. Nei casi standard di comunicazione all'in-

terno di una cultura condivisa la comprensione funziona bene perché la comunicazione si è svilup-

pata sulla base delle nostre capacità semantiche. L'interpretazione in tali circostanze è superfua.

4 al di là della tautologia

vi sono interpretazioni che dal punto di vista logico non svolgono la funzione di sostituire una com-

prensione imperfetta o diffcoltosa, non sono tautologiche rispetto al testo originale, ma integrano in

altro modo il senso del testo. Se la prima consiste nella sostituzione del testo di partenza con: che

cosa signifca questo testo? L'altra risponde a: perché vi è questa signifcazione e non un'altra?

Interpretare un testo signifca costruire una teoria su cil che voglia dire, sulla sua ragione.

Tutte queste domande non pretendono di proporre un'equivalenza semantica stretta nel senso che

si richiede a una traduzione o a un'interpretazione tautologica. Esse costituiscono una spiegazione.

E un'appropriazione secondo il termine proposto da ricoeur: attualizzazione e presa del testo da

parte di un suo esecutore o performer. L'aspetto caratteristico per noi di questa pratica è che essa si

basa su un punto di vista comunicativo: vede il testo da interpretare all'interno di un processo di co-

municazione in cui diversi interlocutori interagiscono al di là del tempo e dello spazio piuttosto che

dal punto di vista temporale di un contenuto astratto. L'interpretazione non tautologica lo considera

come un atto linguistico e si sforza di rendere esplicito questo suo statuto tenendo conto delle fun-

zioni che esso si è assegnato e di quello che svolge.

Page 38: lezioni filosofia comunicazione

A seconda dei casi,. Di questo voler dire e di questo perché si può dare un'interpretazione pi à o

meno interna alla soggettività dell'autore: si può pensare che l'interpretazione debba indicare ciò

che l'autore voleva dire, ama anche ciò che non voleva rivelare e costituisce la causa della sua

espressione È questo il caso dell'interpretazione freudiana dei sogni e di molte letture smascheranti o

decostruttive che rivelano i pretesi condizionamenti ideologici.

Rispetto a questa pratica di lettura risulta restrittiva anche la proposta gadameriana della fusione

degli orizzonti dell'autore e del lettore come ideale regolativo dell'ermeneutica.

Uno dei problemi centrali della teoria dell'interpretazione è il suo rapporto con la testualità nel sen-

so di scrittura depositata, distinta dalla viva voce o dalla presenza attiva dell'autore. Una critica tra-

dizione della scrittura mette sotto accusa la sua chiusura, l'impossibilità di intervenire, di criticare e

di chiedere spiegazioni in cui si è confnato il lettore.

Queste osservazioni possono oggi essere estese a tutta comunicazione asincrona che oggi possiamo

assimilare. In tali critiche vi è la loro chiusura, la loro condizione strutturale di no intervento da par-

te dell'autore. Ciò determina la possibilità dell'attività interpretativa intorno a esse. Proprio la reif-

cazione del pensiero in segno e la distanza che la scrittura stabilisce fra i termini della comunicazio-

ne, l'oscurità in cui il tempo la avvolge, la possibilità di fraintendimento che produce, richiede al let-

tore un lavoro interpretativo autonomo. La teoria dell'interpretazione è nata a partire dal problema

di quei passi delle sacre scritture che non erano comprensibili in senso letterale e si è poi sviluppata

anche fuori dalla bibbia Dilthey: l'intendere intenzionale di manifestazioni della vita fssate in ma-

niera durevole è detto interpretazione, poiché la vita spirituale trova soltanto nella lingua la sua

espressione compiuta, l'interpretazione giunge al suo culmine in rapporto ai resti dell'esistenza uma-

na contenuti nello scritto.

Nel modo inc cui l'intende Dilthey, l'interpretazione si applicherebbe alle tracce della vita, non

alla sua presenza attiva, per cui essa funzionerebbe soprattuto con la scrittura e le forme di comuni-

cazione analoghe sono le tracce di tale espressione a essere interpretate, non l'espressione nel suo

farsi. Non esiste una traduzione veramente simultanea.

Un'altra caratteristica dell'interpretazione è che essa è sempre un intender concreto e motivato, essa

segue un certo progetto, deriva da una certa precomprensione, da qualche necessario pregiudizio.

Questa particolare caratteristica di autoreferenza dell'interpretazione è l'inevitabile circolo ermeneu-

tica cui abbiamo già accennato. Ogni interpretazione che pretenda di esserne esente in quanto na-

turale rischia di essere insuffcientemente critica verso se stessa.

Possibilità di pensare che l'uso del linguaggio sia un'applicazione di regole. Ricerche flosofche di

wittgenstesin: vi è senza dubbio una relazione fra avanzare un'interpretazione e rispettare una rego-

la nell'uso del linguaggio: perché forse la regola deve essere interpretata per poter essere rispettata e

Page 39: lezioni filosofia comunicazione

perché un'interpretazione per non essere arbitraria deve giustifcarsi con l'applicazione id una certa

strategia ermeneutica regolata Qualunque sistema di regole è sottodeterminato da qualunque com-

portamento: ogni comportamento può essere giustifcato da un'infnità di regole più o meno formu-

late ad hoc. Il discorso entro certi limiti vale anche all'inverso: ogni regola può essere interpretata in

maniera tale da permettere un'infnità di comportamenti. Quel che alla fne giustifca un'interpreta-

zione è la pratica comunicativa o la forma di vita in cui si inserisce.

5 rifutare l'interpretazione?

Susan sontag: contro l'interpretazione. Condivide l'idea che l'interpretazione sia la proposta di un'e-

quivalenza e si chiede quale ragione possa spiegare una tale curiosa trasformazione del testo.

L'interprete modifca il testo senza ammettere di farlo, ma volendolo rendere comprensibile.

L'interpretazione non è un atto fuori dal tempo ma va giudicato per il suo valore nel contesto con-

creto, che è certamente condivisibile.

Alla consapevolezza della materia linguistica e del destino interpretavo di ogni testo dobbiamo gran-

di capolavori e un certo grado di afasia e paralisi. È diffcile pensare che tutto ciò derivi dal dominio

dell'interpretazione, che tutto sommato è solo un altro aspetto dello stesso fenomeno.

Prima dei rabbini, già i profeti si dicono interpreti di una parola divina che non è mai vista come

semplice e lineare. Oppure gli oracoli. È diffcile pensare che l'interpretazione arrivi solo tardi per

rendere accettabili testi che non possono essere più presi alla lettera.

6 interpretazione giuridica

interpretazione è necessaria. Il funzionamento del diritto si può schematizzare: una società ricono-

sce una norma, sia essa scritta o orale, tradizionale o di pretesa origine divina o emanata da un so-

vrano, da un parlamento o da un'altra autorità. Questa norma contiene di solito un imperativo posi-

tivo o negativo seguito o meno dalla minaccia di un castigo per i trasgressori La forma moderna di

questi comandamenti ha di solito la forma di un periodo ipotetico. Se qualcuno fa x sarà punito con

y.

La norma in condizioni standard avrà carattere generale, non potrà riguardare la singola persona o

la singola circostanza e dovrà essere emanata prima del fatto, per evitare una legislazione assurda-

mente ridondante che ricopra i comportamenti sociali, x non può essere che una descrizione molto

abbreviata delle possibili azioni e circostanze. A decidere dei casi concreti è un giudice, una giuria,

un sacerdote... in linea di massima il giudicante non può avere conoscenza diretta degli eventi, non

può esserne direttamente testimone ma li deve ricostruire a partire da testimonianze. Per realizzarle

Page 40: lezioni filosofia comunicazione

devono essere interpretate le fonti in maniera non tautologica. Il giudicante deve poter dire non solo

che cosa in realtà voleva dire il teste A, ma anche che egli ha mentito.... blablabla.

Filosofe del sospetto: Marx, nietzsche e Freud

Una volta ricostruita la verità dei fatti, arriva la seconda parte del lavoro del giudicante che consiste

nel decidere se questa verità ricada o meno in una fattispecie generale della legge È chiaro che le re-

gole concrete del sistema giuridico e di quello politico determinano molto fortemente il risultato d

quest'ultimo processo nelle sue previsioni fnali, complessivamente la scelta se applicare o meno una

norma a un caso comporta una sua interpretazione, magari ripetitiva e letterale, più spesso non tau-

tologica.

Quel che rende peculiare l'interpretazione giuridica nei casi concreti + che essa non solo deve

giungere a una decisioni, che implica un'interpretazione, ma di fatto vi giunge sempre.

L'interpretazione giuridica non può non chiudersi e scegliere.

Il caso giuridico è formale, motivato e sic conclude con una decisione.

5 al principio. Interpretazione oltre l'interpretazione

1 espressione e contenuto?

La torah risponde al principio per cui tutto signifca: esso è considerato perfetto e dettato dal-

l'onnipotenza e onniscienza divina. Sia il signifcante che il signifcato hanno valore. Anche per il

linguaggio dell'arte e della poesia dove il ripetersi variato del gesto interpretativo della lettura è se-

gno inequivocabile della vitalità di un'opera. La caratteristica di inesauribilità del testo è una funzio-

ne della sua densità: nessun dettaglio di un testo poetico può essere lasciato all'insignifcanza del

caso. Ogni interpretazione di testi è sempre parziale e lascia spazio ad ulteriore lavoro ermeneutico:

nuove interpretazioni scoprono nuovi dettagli signifcanti e costruiscono quelli su questi. Questo è

un esempio in cui La scrittura dove nulla a nessun livello è casuale, non c'è distinzione tra principio

di espressione e contenuto.

Testi densi: interpretativamente infniti perché la loro semantica non consiste nel sostituire un

singolo oggetto, nello stare al posto di qualche cosa, ma nel generare e provocare continuamente

nuovi signifcati per via di pertinenze formali sempre rinnovate: non nuovi interpretanti della stessa

cosa ma catene interpretanti nuove, segni veramente nuovi.

2 genesi 1,1

bereshìt barà elò-him et ha shamàyim ve et ha àretz

be: in, con, per

reshit < rosh (testa) stato costruito

Page 41: lezioni filosofia comunicazione

barà: perfettivo terza persona creare

elo-him: dio, tetrgramma YHVH

et preposizione per indicare c.o.d.

Ha è articolo determinativo indeclinabile

shamàyim è cielo maschile

àretz è terra

3 in principio

primo commento politico: ha a che fare con sovranità di Israele in terra e carattere metatestuale.

Rashì: in principio creò è invito a interpretare il testo per amore della torah.

Rashì applica principio ermeneutico usato nell'interpretazione canonica dei testi sacri ebrei secondo

principi che autorizzano a interpretare il signifcato di un'espressione sostituendola con ciò che ne è

designato in un'altra sua occorrenza anche se in apparenza senza rapporto semantico

rashì si sente autorizzato ad affermare come prima interpretazione che il bereshìt si riferisca alla to-

rah e che ciò di cui parla è anche Israele La ripresentazione di una parola non va considerata come

un caso ma si può leggere come altamente signifcativa capace di rivelare un livello nascosto nel te-

sto in cui questi designata sono sostituibili e mutuamente capaci di spiegarsi a causa del nome comu-

ne che ricevono nel testo. È una prima applicazione del primato del signifcante. Si dà autonomia

assoluta al testo che attraverso le corrispondenze interne è in grado di essere codice a se stesso, cau-

sa sui.

La possibilità di scomporre la prima parola nelle altre due ritiene che corrisponde a una natura-

le composizione del suo signifcato, che si faccia ricorso alla struttura del signifcante per indagare

sulla realtà del signifcato. Shamayim < esh fuoco e mayim acqua

ci sono corrispondenze tra parole e numeri e si possono fare anagrammi e acrostici. Si presup-

pone che l'ebraico sia la lingua santa, sia non una lingua arbitraria ma la lingua della creazione.

Come wittgenstein nel tractatus: la proposizione è l'immagine della realtà. C'è La concezione com-

posizionale del senso naturale delle parole che c'è nel cratilo di Platone

L'impressione è che la rete semantica del linguaggio ebraico sia più sistematica e più ftta di

quanto accade nelle lingue europee. La logica degli spostamenti di senso nell'interpretazione biblica

si realizza più facilmente secondo l'organizzazione del signifcante, per legami sul piano dell'espres-

sione, anche se naturalmente non mancano fgure del contenuto, interpretate dai lettori moderni

come metafore. Per rashì l'organizzazione della storia della creazione ai suoi inizi non è cronologica

ma logica.

La torah inizierebbe con la bet e non con la alef perché il mondo sarebbe stato creato per due prin-

Page 42: lezioni filosofia comunicazione

cipi: Israele e la torah. Non ci sarebbe prima del mondo se non l'unico come prima della bet non c'è

che l'alef. La teologia rabbinica secondo pareyson rimanda a un evento più originario della creazio-

ne, l'avvento di un dio che dice di sé io ed è questo l'inizio assoluto, l'atto primo con cui dio origina

se stesso.

Per la struttura morfologica l'armatura consonantica delle parole come il nocciolo duro del loro sen-

so. È con sistematiche apofonie vocaliche, più che con l'uso di suffssi e prefssi, che una radice di-

venta verbo coniugato in certe persone e tempi, diventa passivo e rifessivo o si fa aggettivo, sostanti-

vo d'azione e di agente e così via...

la creazione appare come signifcato implicito nel nome divino:

4 interpretazione plurale e totalizzante

c'è pluralità nei commenti che abbiamo elencato. Nella stessa interpretazione vengono esposti diver-

si signifcati possibili per lo stesso testo. Reshìt può essere torah o Israele e o parola composta con

rosh. Queste interpretazioni non son pensate come incompatibili ma vengono viste come integrative

e sovrapponibili. È un principio teologico. Ci sono due scuole: quella di shammai e quella di hillel

Bisogna seguire solo una delle due interpretazioni ma sono entrambe interpretazioni vere, scoprono

una verità e la fanno vivere.

La pluralità si giustifca secondo una serie di narrazioni e spiegazioni diverse. Ognuno può e

deve credere di avere il suo senso personale da cercare e da costruire nel testo.

L'infnita signifcatività del testo è fondamentale conseguenza. Ogni elemento testuale può essere

usato nell'interpretazione. Più che strutture codifcanti prestabilite nell'interpretazione sono utilizza-

te corrispondenze semisimboliche. Si radica nel primato del signifcante: quel che è tramando e

deve essere rispettato e interrogato non è un senso ma un grandissimo e complessissimo signifcante.

L'intera torah viene vista come unico nome divino

5 ermeneutica ebraica

abbandono ermeneutico del testo nelle mani dell'interprete. Si ritene che il testo chieda di essere in-

terpretato al di là del suo senso letterale. Questo signifca che l'intentio operis fondamentale è perce-

pita come più larga del signifcato letterale e che l'intentio autoris sia giudicata aperta, indetermina-

ta, volta al futura della sua attuazione più che al passato di una semplice conservazione.

Fra i molti problemi che si pongono nel Fedro, Platone individua un nesso tra fssità del testo scritto,

che realizza il primato del puro signifcante sull'intenzione e sui contenuti della signifcazione, cioè

sui signifcati autentici,; e la sua interpretabilità impropria: il rotolare altrove, l'essere nelle mani del

Page 43: lezioni filosofia comunicazione

lettere, il suo abbandono ermeneutico. Nel talmud ciò che è stato dato non dipende più dalle inten-

zioni dell'autore il quale non deve intervenire a chiarirlo se non come interprete fra tanti. Il suo è un

testo fuori dalla disponibilità, pubblico in quanto soggetto a interpretazione. La soluzione consiste

nel prescrivere l'adozione delle decisioni ermeneutiche vincolanti da parte di una maggioranza di

competenti.

Differenza tra pensiero greco ed ebraico rispetto a scrittura e interpretazione. La defnizione di

flosofa indica una mancanza rispetto a un sapere, un'incertezza fondamentale, un vuoto da colma-

re. La condizione di mancanza è sentita da Platone come giovinezza del mondo, carenza di sapere

tramandato. Sono dunque ricerche personali in cui è essenziale il controllo da parte dell'autore del

saper prodotto dall'esplorazione per evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni e perché si tratta

anche di eterno work in progress. l'insegnamento della saggezza è lavoro personale, autoconoscen-

za. Gnothiseauton che non può essere solitario ma ha bisogno di rifettersi nell'animo di un altro. I

rabbini, al contrario, sono saggi: depositari della sapienza, perché il loro è un sapere integro, fonda-

to su un testo incrollabile dato una volta per sempre e mai più modifcabile La torah ha anche una

parte orale che è stata scritta. Ha la forma di conversazioni fra rabbini.

Le conclusioni che vengono registrate sono indicate secondo norme interne e raccolte in compila-

zioni giuridiche La relazione progressiva con la sapienza implica la possibilità di aggiornare il testo

antico senza modifcarlo, interpretandolo rispetto alle nuove esigenze. Sono testi normativi che codi-

fcano obblighi religiosi, costumi liturgici, relazioni economiche e il diritto penale. Per poter essere

applicati restando se stessi non devono restare più immobili in cielo, cioè nelle intenzioni dell'autore;

al contrario, questo intenzioni sono pensate come segreti del testo che si disvelano quando è il caso.

6 basi storiche e sociali

l'interpretazione potrebbe apparire uso del testo. Questa logica non riguarda i testi normativi,

ama anche quelli che genericamente possiamo indicare come narrativi, i quali richiedono compren-

sione invece che applicazione e stabiliscono principi etici invece che norme.

Wiesel: commentare un testo signifca stabilire fra se stessi e il testo una relazione di intimità: io

esploro le profondità in modo da cogliere il suo signifcato trascendente. Si aboliscono le distanze.

Commentare signifca richiamare dall'esilio una parola o un concetto rimasti ad aspettare fuori

dal regno del tempo e dentro le porte della memoria.

L'interpretazione diventa un trarre alla luce, come la verità heideggeriana dell'aletheia: un non-na-

scondimento. Non è la semplice ricezione di un testo o di un segno, ma è un lavoro attivo che sele-

ziona caratteristiche non ovvie del signifcante del testo e ne estrae sensi non banali. Lo studio del-

Page 44: lezioni filosofia comunicazione

l'ermeneutica ebraica costituisce sfda signifcativa in questa direzione perché questa modalità ano-

mala dell'interpretazione è ben defnita, canonica e formalmente auto consapevole

Non una catena progressiva di inconsapevole misinterpretazioni, né libere variazioni sul tema di te-

sti precedenti, né derive prive di responsabilità nei confronti del testo, ma procedimenti regolati e

molto sofsticati che si sforzano di estrarre un senso pensato come già implicito nei passi interpretati

e tale che potrebbe essere approvato dai loro autori, anche se ben lontano dal loro signifcato ovvio

ed esplicito.

Non solo questa linea estensiva dell'interpretazione non è anomala ella tradizione culturale cui

apparitene, am è canonica e diffusa dentro la sua cultura. È anticipata all'interno dei testi destinati a

esser interpretati. Anche l'organizzazione del testo in senso stretto del talmud va in questa direzione

di apertura all'interpretazione. Vi sono segni di auto interpretazione nel testo della stessa torah.

C'è l'idea che la superfcie verbale possa e debba essere manipolata o forzata in modo da trarne

un sovrappiù di senso che vi si trova sempre nascosto. È il principio tecnico di moltissime fra le in-

terpretazioni più tarde.

È importante in tale contesto tenere sotto controllo il processo ermeneutico per impedire che si

accumuli e dilaghi in maniera insensata. La storia mostra che la pratica interpretativa ebraica è stat

suffcientemente moderata.

Vi sono tuttavia alcuni principi testuali che presiedono alla catena delle interpretazioni, come un

certo numero di regole formali di interpretazione. Agisce nello stesso senso la distinzione fra testi

normativi e storico-narrativi. L'innovazione normativa in questa tradizione interpretativa è rarissi-

ma. Prevale un principio di prudenza per cui nel dubbio è probabile che prevalgano interpretazioni

restrittive più che estensive.

Ogni nuovo passo ermeneutico deve cercare di basarsi su linee di interpretazione già presenti

nella letteratura rabbinica e quindi vi è un frequente uso di interpretazioni di interpretazioni, secon-

do schema arborescente.

La fede ebraica è fducia in qualcuno e nel testo, più che fede. La fducia è una condizione co-

municativa essenziale in molte situazioni

La libertà di interpretazione è regolata da un principio di carità verso il testo biblico e la tradi-

zione. Al principio di carità si accompagna il metodo dell'auto riferimento generale del grande con-

testo della scrittura, della sua assoluta autonomia. Le interpretazione operano non solo per via di

spiegazioni, cioè spiegamenti per cui un frammento viene esteso per un discorso, ma anche di ripie-

gamenti: il testo biblico da interpretare viene riportato e ripiegato su altri frammenti testuali di fonti

diverse ma facenti parte del grande corpus della scrittura sacra. L'interpretazione ebraica segue il

principio strutturale della piega più che della lisciatura. Tale operazione di ripiegamento si intergra

e non si contrappone a quella di spiegazione o piegamento: l'insieme di questi due movimenti erme-

Page 45: lezioni filosofia comunicazione

neutici assicura al testo sacro la sua particolare resistenza e adattabilità. Le pieghe mettono in corri-

spondenza una parte del testo biblico con un altro luogo del testo, le interpretazioni che se ne trag-

gono sono vincolate anche dal principio di autorità: un'interpretazione può spiegare solo se ricorre a

principi ermeneutici accettati ma allo stesso tempo si appoggi a un'interpretazione precedente accre-

ditata. Non ci si chiede tanto cosa voglia dire un versetto ma cosa esso insegni, quale sia il suo valore

per noi, la sua possibile capacità di guida pragmatica o arricchimento cognitivo.

Il principio metacomunicativo del trarre insegnamento rispetto a ricevere informazione implica

nell'attribuzione del senso un primato della ricezione sull'emissione.

L'insegnamento è produttivo nel senso che trasforma chi lo riceve e rende la sua comprensione

più ricca e vasta rispetto a ciò che viene insegnato È sempre anche un esempio di un sapere più va-

sto che deve essere realizzato personalmente. Non si tratta di produrre un suo interpretante, cioè un

altro segno che dica la stessa cosa, ma di dire qualcosa di più: l'interpretante dell'insegnamento è

strutturalmente più ricco del soggetto.

La trasposizione da uno spazio semantico all'altro accresce il senso.

7 per una semiotica dell'interpretazione

interpretazione: la capacità di riferire una confgurazione signifcante a molteplici fattori, di mo-

strarne le coerenze, individuarne le pertinenze. I principi strutturanti del primato del signifcante,

dell'autonomia del testo, dell'attribuzione semisimbolica del senso, della piega del testo su se stesso

come principio di spiegazione. L'interpretazione esplicita e distinta dalla comprensione naturale, è

formalmente una proposta di sostituzione/equivalenza testuale. L'interprete estrae dal testo che gli

interessa un frammento o una caratteristica del signifcante e propone di leggere il testo anche come

se al posto di x ci fosse altro frammento testuale y più vasto ed esplicito.

T (x) Y T (y)

questa sostituzione produce nuovo testo più ampio che signifca che l'interpretazione presuppone

sempre la comprensione. Accade una sostituzione di signifcanti. Il nuovo segno però non si riferisce

necessariamente alla stessa cosa, ma accade che esso non riformuli il signifcato ma trovi nuovi signi-

fcati per il signifcante dato. In questo senso l'interpretazione lavora sull'intenzione del segno, ma

solo in senso oggettivo, a partire dal fatto che il testo si può leggere anche secondo nuova equivalen-

za proposta come se vi si tendesse Per questo l'interpretazione esplicita non è esclusiva. È un vel non

un aut.

Secondo il vecchio modello informativo che sta alla base dello schema della comunicazione di ja-

kobson (eco, encoding/decoding, sociologia...) la situazione comunicativa ideale è quella per cui la

decodifca è simmetrica alla codifca e rivela signifcato già costituito in partenza. Anche la distinzio-

Page 46: lezioni filosofia comunicazione

ne fra espressione e contenuto viene messa in crisi dalle procedure semisimboliche. Riuscire a pen-

sare come sia possibile l'interpretazione in senso forte e comprendere quali siano le strutture di seno

che la sostengono è un problema teorico che riguarda i problemi di funzionamento della semantica

delle lingue naturali.

6 la cicatrice di Odisseo

la formazione dell'io è doppiamente discorsiva: esso si realizza come certa modalità di produzio-

ne del discorso, separazione di esterno e di interno che avviene per via di autocomunicazione e per-

ché quest'idea sul mondo non è naturale o universale ma si costituisce progressivamente in occiden-

te attraverso discorsi e modellizzazioni flosofche, poetiche, religiose.

Nella cultura contemporanea assistiamo a morte dell'io o dissoluzione. L'io sarebbe un effetto

che attende di essere analizzato a fondo nel meccanismo e risolto nei componenti. Non sappiamo

come funzioni. È un gioco di superfci.

Nella cultura contemporanea crediamo di essere degli io ingannandoci: l'io è una simulazione

motivata socialmente o psicologicamente in varie maniere

tesi mente corpo: materialista estremista: esistenza mentale è illusione o simulazione; la tesi op-

posta è quella di un'anima sostanziale creata che si aggiunga al corpo.

L'esperienza introspettiva che a noi descrive un io continuo e dominante in questo caso non ci sa-

rebbe: antropologia, diverse forme di defnizione personalità in diverse culture

Oggetto di interesse è testimonianza storica e linguistica di un certo io caratteristico della nostra

tradizione letteraria. Ego di tipo cartesiano agostiniano: spazio interiore immediatamente accessibile

a se stesso e allo stesso tempo capace di escludere da sé tutto il resto, di un io come spazio interno.

Capire tappe costruzione io.

Coscienza come modo di descrivere organizzazione mentale che rende uomini diversi da altri

animali.

Julia jaynes: L'uomo dell'Iliade no n ha soggettività come noi, non ha consapevolezza della sua

consapevolezza del mondo, non ha spazio mentale interno su cui esercitare introspezione. Vengono

detti all'individuo dal linguaggio che gli è familiare da un dio da una voce. Da demoni o esseri simi-

li. Nell'odissea è visibile un maggior uso delle ipostasi preconsce e nella loro interiorità spaziale e

personifcazione e più chiaro nei fatti sociali.

Snell e jaynes concordano nel vedere gli indizi di una frattura nei poemi omerici. Snell si interes-

sa allo sviluppo dello spirito greco, jaynes alla plasticità dell'organizzazione mentale delle risorse ce-

rebrali in connessione alla teoria della differenziazione funzionale degli emisferi.

Analisi terminologica in omero è strumento.

Page 47: lezioni filosofia comunicazione

Snell: non si trova corpo in quanto tale, ma : guia, melea è corporeità del corpo; chròs è limite

del corpo, demas è statura.

I termini per indicare mente invece sono: thymos, che è sostanza vitale, soffo dell'anima; psyché

è principio di vita; noos è mind o understanding. Ha a che fare con intenzione e progetto. (popper)

noos è intelligenza cosciente e cosciente di sé.

Il punto è che l'esperienza del sentimento di sé negli eroi omerici deve essere stata strutturata di-

versamente che da noi.

Nei poemi omerici non esiste terminologia che si riferisca all'interiorità.

Snell:

thymos: ciò che provoca emozioni, noos ciò che fa sorgere le immagini. Non si possono determi-

nare confni tra noos e thymos. Noos è la facoltà di avere idee chiare, corrisponde a un intendimen-

to, a un'intenzione.

Rapporto con l'azione: per Kant il carattere decisivo dell'io è il poter essere soggetto a imputa-

zione: poter prendere la responsabilità di un'azione.

In omero ogni volta che l'uomo fa o dice qualcosa di più di quanto ci si poteva aspettare da lui,

per questo omero lo attribuisce all'intervento di un dio. È ignoto a omero l'atto della decisione uma-

na.

Manca foro interiore, luogo mentale in cui il mondo sia rappresentato e in cui si prendano deci-

sioni, si facciano piani, si valutino le diverse spinte dell'istinto e delle passioni per arrivare a una sin-

tesi unitaria.

Lo spazio pubblico, la sfera della discussione, non appare successivamente alla testimonianza di

un io autonomo, ma abbiamo indizi di una sfera pubblica precedente al riconoscimento di questa

forma di soggettività e funzionante senza di essa.

Come in omero manca una concezione unitaria del corpo, così è assente una concezione unita-

ria della persona. L'imputazione kantiana non è possibili non per ragioni morali , ma perché la

struttura psichica non lo consente.

Anche in Caino e Abele e in giglamesh manca qualunque sviluppo di autocoscienza nel senso di di-

stinzione fra interiorità e mondo, di coscienza come centro interno presente a se stesso.

La fgura che incarna la nuova antropologia dell'io nei poemi omerici è Odisseo

È un personaggio di cui viene sottolineata spesso la specifcità e l'isolamento rispetto ai suoi com-

pagni di avventura. Detto: polytropos, polymetis, polyfronos, polymechanos: intensifcazione, molti-

plicazione e diversifcazione delle facoltà mentali. L'astuzia, la metis: forma di intelligenza e di pen-

Page 48: lezioni filosofia comunicazione

siero, modo del conoscere,implica insieme complesso e coerente di atteggiamenti mentali che com-

binano intuito sagacia previsione, spigliatezza fnzione attenzione... tutte le qualità dello spirito di

cui è composta la metis sono spesso spinti nell'ombra, cancellati dal campo dell'autentica conoscen-

za e ricondotti al livello della pratica.

Nell'esempio di Achille davanti alla richiesta di Agamennone di prendersi briseide, davanti al-

l'incertezza, la scelta di Achille avviene in maniera tradizionale per mezzo di un intervento divino. È

un processo di decisione tutto esterno: non esiste un io padrone di sé ma una condizione di passività

che viene dalle emozioni.

Nel caso di Odisseo, al contrario di quello di Achille, è lui stesso che svolge le funzioni che nel

precedente svolgeva Atena È un cambiamento narrativo che comporta spostamento nel pensiero

della persona umana e uno slittamento nell'esperienza che gli uomini reali ebbero di se stessi. Sentir-

si guidati dagli idei è diverso che attribuirsi capacità di scelta e di decisione.

La metis diventa una facoltà o modalità interna e specifca dell'intelletto di Odisseo non la dea

prima sposa di Zeus Metis, per essere ragione calcolante, deve essere anche simulazione e dissimula-

zione, macchina semiotica per costruire apparenze. Quest'operazione comporta un gioco di imita-

zioni, un effetto di mimesis: montare effetti di senso, far credere e di non far sapere allo stesso tem-

po, di impostare apparenza. La persona umana si rivela un animale strategicamente mimetico, e

questo rapporto fra poesia, illusione e manipolazione è centrale. Il nesso fra apparenza e segreto è

centrale per lo spostamento di cui cerchiamo le tracce: struttura a due livelli: un'apparenza e piano,

fantasma e progetto. Analogo a segno e signifcante. Il limite inferiore dei processi di semiosi va cer-

cato dove qualche fenomeno può essere usato per mentire. Il signifcante è costituito apposta in odo

da celare il suo signifcato nel famoso “nessuno” di Odisseo In Ulisse c'è già anche l'embrione di

una struttura temporale estatica dell'esistenza o l'unifcazione al di là della cronologia della coscien-

za dell'identità numerica in tempi diversi. Al contrario di altri eroi omerici che hanno ricordi e desi-

deri ma non in modalità connessa al momento cruciale del presente che è la decisione, che non ap-

partiene a loro.

È la decisione, la capacità di unifcare tutto il comportamento della persona

La metis non è solo un attributo che si aggiunge alla natura di soggetto ma contribuisce potente-

mente a costruirlo e ciò deriva da un meccanismo comunicativo, dall'esposizione particolarmente

consapevole allo spazio pubblico. Se l'autocoscienza è pensata tradizionalmente come intima a se

stesso, bisogna supporre che questa vicinanza si costituisce per contrasto o per compensazione ri-

spetto all'opacità dell'apparenza che viene offerta al mondo esterno. Se essa è responsabilità, ciò na-

sce della non immediatezza dei suoi atti, dalla possibilità della premeditazione, dal rapporto strategi-

co col mondo.

Nella genesi il primo momento romanzesco è quello di Abramo: si riconoscono personaggi e in-

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tenzioni, trama non puramente teologica. Il primo soggetto della storia ebraica, Abramo, si presenta

alla storia con un inganno, con l'esposizione di uno stato di famiglia ingannevole. C'è l'evidenza del-

l'anticipazione, la capacità di fgurarsi le conseguenze di una situazione, la capacità semiotica di

compiere delle scelte strategiche, di preparare dei mascheramenti per modifcare questa previsione.

C'è l'imputazione. L'irruzione dell'inganno, inteso come metis, provoca un salto narrativo, una

discontinuità nel modo di considerare i personaggi. La conoscenza si presenta subito come moderni-

tà, come illuminismo. Vedi horkheimer e adorno. La disposizione alla metis di Odisseo non è priva

di inconvenienti e pericoli. Tornato a casa deve farsi riconoscere e affermare la sua autorità su una

folla di pretendenti. La sua identità viene provata attraverso una dozzina di storie fno alla prova di

Penelope C'è un aspetto centrale dell'io: la sua opacità all'esterno, la sua possibilità di simularsi e dis-

simularsi, la sua natura di oggetto comunicativo e la sua problematicità nella comunicazione.

La metis è un apparato di produzione semiotica che serve a complicare, confondere e imbroglia-

re l'identità del soggetto nella comunicazione strategica. L'eroe della metis è colui che è capace di

nascondersi sotto i segni, non potrà non avere diffcoltà con la sua stessa identità. Odisseo è ancora

descritto nell'ambito di un confitto di mentalità. è il primo dei moderni e l'ultimo degli eroi. L'ano-

nimato non è la condizione che Odisseo cerca per regola di vita, ma è il punto di partenza che pre-

lude all'uso della metis. L'io nuovo nasce nella comunicazione, con l'inganno e per l'inganno. Odis-

seo è uno che si vanta di poter non avere identità, col rischio di non essere facilmente creduto sulla

parola, di non credere lui stesso a sé. Ci sono una mezza dozzina di episodi in cui è sottoposto Odis-

seo per raccontarsi e affermare la sua identità. Il racconto di Odisseo a un bambino che poi si sco-

pre essere Atena travestita appena arriva a Itaca, la rivelazione a telemaco, il riconoscimento da

parte di argo, la lavanda dei piedi da parte di euriclea che riconosce la sua cicatrice( prova decisiva

dell'identità, corpo come segno e non più bisogno di parole), infne la prova dell'arco e quella del ta-

lamo di Penelope La stessa metis che gli ha dato la possibilità dell'inganno, della manipolazione, l'ha

reso proteiforme, inafferrabile. La memoria è la chiave, non il corpo, ma la mente conserva segni si-

curi e veramente non falsifcabili. L'identità di una persona è il suo saper restare uno nel tempo.

Questa memoria, questi segni sicuri, questa identità ha uno spiccato carattere comunicativo: consi-

ste nella capacità di raccontarsi, di esporre agli altri il proprio spazio mentale che normalmente è

celato. Si tratta della costruzione di una nuova superfcie signifcante.

7 comunicazione mediata

è chiaro che la struttura materiale condizione molto la comunicazione e questa struttura ha cono-

sciuto una notevole evoluzione da quando fu inventata la scrittura.

Page 50: lezioni filosofia comunicazione

L'invenzione della scrittura permise ai messaggi comunicati una persistenza temporale che prima

non era possibile Così accade con la capacità di sostenere comunicazioni a distanza,a partire dal te-

legrafo. Allo s tesso modo viaggiare in aereo è esperienza diversa dal camminare a piedi. Bisogna

chiedersi quanto queste innovazioni agiscano sul tema centrale della flosofa della comunicazione,

sulla costruzione del senso e sula condizione umana di animale comunicativo che le è correlativa.

La comunicazione consiste fondamentalmente nell'attività di rendere comuni, di condividere delle

risorse immateriali di senso nella società umana. La mediazione è da sempre nella sua natura più

profonda. La comunicazione consiste nella costruzione di un terreno condiviso, essa ha luogo fra gli

esseri umani. È sempre un mezzo non solo nel senso i strumento che possa servire a fni pratici, ma

anche e soprattutto perché si frappone fra persone e lor o gruppi

Ogni strumento di comunicazione va pensato come un canale che ha i suoi limiti di quantità e qua-

lità e insieme come un codice che fltra entro certe categorie i contenuti possibili.

Ivan illich ha mostrato come molte caratteristiche di organizzazione dei testi che si considerano ef-

fetto della stampa in realtà precedono la sua invenzione e forse ne hanno reso possibile l'affermazio-

ne.

Non è chiaro cosa signifchi mezzo di comunicazione, se si tratta di supporti fsici.

Se si decide di essere inclusivi, il determinismo delle grandi innovazioni sfuma in una miriade di

progressi che gradualmente mettono a disposizione delle società una rete sempre più vasta di possi-

bilità di trasporto materiale e immateriale fra cui le socletà appaiono aperte e dipendenti dalla gran-

di costanti antropologiche di una cultura. I mezzi di comunicazione non si presentano mai nudi ma

sempre organizzati secondo certi generi.

La linearità proposta da mcluhan è troppo generica per indicare una caratteristica dimostrabile

Bisogna aggiungere che i generi sono capaci di trasferirsi da mezzo a mezzo. Al di là del determini-

smo tecnologico generale, oggi circola una tesi ulteriore che vorrebbe il nostro mondo rivoluzionato

dai nuovi media. Il mondo occidentale attraverso periodo di forte espansione della comunicazione

da circa due secoli. Fra un'invenzione e la sua stabilizzazione commerciale sono passati diversi de-

cenni di sviluppo. Lo sviluppo di una tecnologia in genere segue il modello di diffusione caratteristi-

co di tutte le innovazioni, come le epidemie: una curva logistica che si può analizzare nell'inizio len-

to, una diffusione accelerata e un appiattimento quando ci si avvicina alla saturazione. La saturazio-

ne non signifca cancellazione delle tecnologie mature.

Vi sono due grandi opzioni sistemiche: le stesse tecnologie possono essere usate per mezzi broadca-

sting dove gli emittenti sono pochi e i riceventi molti e la comunicazione è formalizzata in generi e

palinsesti oppure in networking, dove ogni ricevente è anche emittente. La conversazione faccia a

faccia ha molto più peso nelle scelte politiche dei comizi, il telefono è più usato della televisione, le

mode infuenzano i comportamenti collettivi più della pubblicità. Ci sono casi intermedi come il

Page 51: lezioni filosofia comunicazione

web o casi analizzati dalla teoria dei two steps of communications dove il broadcasting è mediato da

opinion leaders locali che comunicano con la loro audience locale per lo più a networking.

Si può dire che in generale la comunicazione a network non solo è primaria ma rappresenta una

tendenza nei sistemi a broadcast. E esiste un bisogno di comunicazione questo non consiste in una

sete di intrattenimento o informazione ma nell'esigenza di partecipare, di scambiare, di essere prota-

gonisti assieme agli altri, di essere soggetti attivi della comunicazione, coinvolti in veri e propri am-

bienti comunicativi.

Mezzi di comunicazione di massa: da uno a molti, asimmetrici nel rapporto fra mittente e destinata-

rio. Nella storia cultuale occidentale l'uno che comunica e aumenta la porzione di sapere comune si

individualizza, si fa autore e acquista autorità, ma si fa via vai più astratto fno a divenire collettivo

Non più persona sola ma istanza sociale, enunciatore formale.

Mezzi reticolari o diffusi sono in quanto tali senza contenuto, puri canali.

Se il mezzo è il messaggio, il messaggio di comunicazioni reticolari è omogeneo fno alla monotonia:

la necessità di restare in contatto, di non isolarsi dal gruppo, la comunicazione non come scambio di

informazione ma come coordinamento sociale. L'appartenenza all'ambiente comunicativo è un va-

lore perché conferma la nostra umanità.

L'idea che ci sia una Tecnica destinata ad affermarsi su ogni ostacolo e volontà umana grazie alla

propria razionalità strumentale e attraverso le sue manifestazioni nel quotidiano non regge alla pro-

va dei fatti. Le tecniche sono diverse, in concorrenza fra loro, in cui non vince la più effciente ma la

più conveniente. Non vi è nessuna tendenza autonoma all'espansione indiscriminata dello sviluppo

tecnologico ma solo un processo di rinnovamento di modi di produzione e di prodotti di dipendenza

dalla spinta dominante della nostra società, quella del massimo proftto.

La comunicazione di massa è funzionale a un sistema di produzione di massa rivolto al consumo.

Comunicazione massa è la fglia legittima del grande fenomeno del feticismo delle merci: è essenzia-

le quando, la struttura delle nostre economie è basata sulla produzione di beni e servizi essenzial-

mente superfui.

Lotman:nozione di semiosfera: ambiente semeiotico in cui gli esseri umani vivono in una piccola

frazione del pianeta, la biosfera. È la più generale sfera discorsiva. Un modo per indicare la semio-

sfera è la sua conseguenza, la traccia che lascia e che serve da base alla futura produzione di discor-

so. In una società si guarda al testo generale che contiene tutto il senso che in esse viene prodotto.

Il testo generale non serve solo a unire le persone che appartengono a una certa società ma anche a

volgerle in una certa direzione, a diffondere un certo orientamento e certi valori. In esso c'è di tutto,

dalla pornografa alla divulgazione scientifca, dall'informazione al puro intrattenimento. Al di là

delle citazioni esplicite e degli incroci, l'incontro avviene sulla base di un comune sottotesto: cresce

la consapevolezza, nei media, che la comunicazione non è solo o tanto scambio di informazione fra

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un io e un tu ma azione di un soggetto su un altro.

Si innesta così un circolo virtuoso : chi annuncia la novità, cioè il futuro come un fatto, è anche chi

la determina in realtà.

Se questa ipotesi è esatta, se la linea principale del nostro testo generale è la persuasione che si auto

realizza, questo signifca che nell'ambito dei mass media contemporanei il modello principale è

quello pubblicitario. La pubblicità ha colonizzato i media. Il testo generale della nostra cul-

tura oggi è compiutamente pubblicitario, la pubblicità è in un certo senso la forma comune, il para-

digma dei mezzi di massa.

La piazza virtuale è caratterizzata dalla sparizione tendenziale dello spazio pubblico sostituito da le-

gami virtuali fra spazi tutti privati. Il determinismo tecnologico non ci convince perché ignora la

complessità dei fenomeni storici che portano a ogni stadio di sviluppo del sistema dei mezzi di co-

municazione ma anche perché ignora il dato fondamentale che tutti i mezzi di comunicazione svi-

luppano la capacità e potenzialità già presenti nello spazio dell'umano, ancorché limitate e bloccate

da circostanze materiali Una flosofa della comunicazione si giustifca di fronte alla semiotica e alla

sociologia e psicologia della comunicazione proprio per questa pretesa di richiamare i dispositivi e i

contenuti comunicativi dalla condizione umana,. Perché l'essere l'uomo un animale linguistico, cioè

culturale, determina tutto il suo itinerario comunicativo, dall'ambiente discorsivo in cui nasce e agli

altri cui partecipa, ai dialoghi in cui è coinvolto, alla realizzazione di quel dispositivo comunicativo

che è la mente fno alle sue pratiche interpretative e mediatiche.