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Ilo169

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2008, Ilo 169 – in collaborazione con Survival Italia, il movimento per i popoli indigeni Per il Natale 2008 il Xmas Project ha scelto di sostenere Survival Italia nella realizzazione delle sue campagne di informazione, pressione ed educazione in difesa dei diritti dei popoli indigeni. Survival non fa assistenzialismo, bensì aiuta le organizzazioni indigene a difendersi in modo autonomo fornendo loro la consulenza tecnica e legale necessaria. Apartitica e aconfessionale, per mantenere la sua indipendenza, non accetta fondi da governi o partiti politici; a finanziare le sue campagne sono quasi esclusivamente i suoi sostenitori, distribuiti in oltre 80 paesi: sono loro tutta la sua voce e la sua forza! Il Xmas Project di quest’anno vuole raccogliere fondi per sostenere l’azione di Survival. La Convenzione ILO 169 è finora l’accordo internazionale più completo riguardante la tutela dei popoli indigeni. La Convenzione 169 è stata sottoscritta soltanto da 20 dei 173 Stati membri dell’ILO.

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Ilo169

È il regalo che vogliamo

farci quest’anno a Natale.

E che abbiamo scelto di farci

per tutti i prossimi Natali...

L’Associazione Xmas Project

L’Associazione Xmas Project è nata nel settembre delDuemilauno. I soci sono Roberto Bernocchi, Dario Bertolesi,Elena Casadei, Francesca Castelnuovo, Francesca Colciaghi,Alberto Cometto, Maurizio D’Adda, Jacopo Dalai, Claudio Elie,Matteo Fiorini, Filippo Marconi, Benedetta Nocita, Sarah Nocita,Sara Panizza, Renato Plati.ll Gruppo Media, azienda di arti grafiche, e Arachno, WebAgency, sono partner del progetto.

Per contattare l’Associazione e partecipare al progetto:

Associazione Xmas Project ONLUSVia Luigi Settembrini, 4620124 MilanoNumero Verde: 800 180 406Fax: 02 68 80 [email protected]

www.xmasproject.org

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Il Librosolidale

Il libro che state tenendo in mano è un libro speciale. È un“Librosolidale”. Non è in vendita, ma se lo desiderate, potetecontribuire a crearlo, a diffonderlo e soprattutto a finanziarlo.

Il Librosolidale è il frutto dell’impegno di molti. Questi moltisono il Xmas Project. Un’Associazione costituita per daresostanza e realtà a microprogetti di solidarietà, in giro per ilmondo, là dove c’è del bisogno.

Chi vuole sostenere il progetto, e quindi aderire al XmasProject, prenota una certa quantità di Librisolidali e versa uncontributo proporzionale alle copie ricevute. Potrà così utiliz-zare i libri come doni, in occasione del Natale, trasformandoliin ambasciatori del progetto stesso.

Non solo: questi doni saranno particolari, perché conterannoqualcosa di “proprio”. Perché chi aderisce al Xmas Project con-tribuisce in prima persona alla costruzione del Librosolidale,fornendo un proprio contributo: una foto, uno scritto, unapoesia, piuttosto che semplicemente la propria firma. Se avetericevuto questo libro in dono da qualcuno, sfogliatelo: vi tro-verete un suo segno.

L’aspirazione, di Natale in Natale, è quella di costituire unaCollana di solidarietà. Contattateci: è questo il regalo cheanche voi potete donare e donarvi il prossimo Natale.

Xmas Project 2008

Ilo169, Convenzione concernente Popoli Indigeni e Tribali inStati indipendenti, Pianeta Terra. È finora l’accordo internazio-nale più completo riguardante la tutela dei popoli indigeni etribali. La Convenzione Ilo169, emanata dall’OrganizzazioneInternazionale del Lavoro, organizzazione di settore dell’Onu,è stata adottata il 27.06.1989 ed è entrata in vigore il05.09.1991. Ad oggi è stata sottoscritta soltanto da 20 dei 173Stati membri dell’ILO e l’Italia non è tra questi.Il libro di quest’anno vuole essere uno strumento di sostegnoe di aiuto a Survival, l’organizzazione internazionale che daquarant’anni si batte per la tutela dei diritti delle popolazioniindigene e tribali. Vi raccontiamo l’attività di Survival, la suavocazione, le emergenze umanitarie e le battaglie in corso. Ifondi raccolti andranno a sostenere questa azione di difesadelle popolazioni indigene. All’interno del libro troverete anchela petizione da inviare al governo italiano per sollecitare la rati-fica della Convenzione Ilo169.

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“E se non puoi la vita che

desideri cerca almeno questo

per quanto sta in te:

non sciuparla”

Costantino Kavafis

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Xmas Project

Xmas Project è il regalo che vogliamo farci a Natale. E che abbiamo scelto di farci per tutti i Nata-li. Ci siamo regalati un’idea, la speranza e il coraggio di farla diventare realtà. Le abbiamo dato unnome, Xmas Project, l’abbiamo fatta diventare Associazione, le abbiamo consegnato un compito daportare a termine; faremo un libro, diverso ogni anno. Tutti coloro che desiderano farsi questoregalo: sono loro il Xmas Project.

L’idea nasce dalla necessità di dare una soluzione a un vecchio disagio, a un bisogno che nonaveva ancora trovato risposta: il disagio del regalo inutile, della forma che ha perso significa-to, del piacere di donare divenuto sterile.

Tutti noi facciamo regali diversi, in occasione del Natale: regali colmi di affetto, regali innamo-rati, regali pazientemente cercati, regali che non potevamo non fare, regali riciclati, regali“socialmente corretti”, regali di rappresentanza, regali frettolosi. Mille regali. Tanti soldi. Un vec-chio e trito discorso. Che si lega a un’altra, solita, considerazione: l’inimmaginabile divario fra iltanto che noi sprechiamo e il poco che altri non hanno.

Xmas Project si sostituisce al regalo di Natale, diventa dono, si fa libro che propone un’idea eche contemporaneamente la realizza. Perché il libro racconta di se stesso, del progetto di aiutoche, con i suoi proventi, riesce a realizzare e raccoglie i volti, le frasi, i disegni, le speranze ditutti coloro che hanno contribuito ad esso.

Puoi scegliere anche tu di regalare e regalarti il Xmas Project, è molto facile: basta crede-re in un progetto di solidarietà; scegliere all’interno della tua cerchia di parenti, amici,conoscenti, clienti i destinatari di questo dono; quindi acquistare le copie del Librosolida-le, alla cui realizzazione hai partecipato con un tuo segno, e contribuire così alla realizza-zione del progetto, da un lato finanziandolo, dall’altro diffondendolo.

Milano, settembre 2001

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IndiceProgetto 2008: Ilo 169 – Con Survival

per i diritti dei popoli indigeni 5

Il budget 57

Noi, Xmas Project 2008 62

2001-2007: I nostri progetti 104

Xmas Project 2009:

segnalateci i vostri progetti 114

l’onore di celebrare i quarant’anni di Survival divenendo-ne uno degli strumenti di azione.

Speriamo che il libro vi piaccia e che la voce risulti chiara etoccante. Siamo sicuri che, grazie a voi, alla vostra sensibi-lità, alla vostra azione di divulgazione questa voce saràanche forte e tonante. A favore dei popoli indigeni e asensibilizzazione di tutti verso il rispetto e la tolleranza neiconfronti delle identità “diverse”: permetteteci di dire chein Italia ne abbiamo un certo bisogno. Vi invitiamo quindia compilare e a spedire a Survival la petizione che trovatea pag. 102 per chiedere al nostro Governo di aderire allaConvenzione ILO 169, l’accordo internazionale ad oggipiù completo a tutela dei diritti delle popolazioni indigenee tribali: ecco un’azione facile e utile per alzare i decibeldella nostra voce. Come sempre nel libro trovate i vostricontributi, quest’anno sul tema “Io sono”: una riflessionesulle nostre esistenze, fortunatamente non violate ognigiorno da “civilizzanti” invasori. Trovate anche le vostremani. Le abbiamo raccolte, come fa da anni Survival,come segno di identità, come gesto di attenzione, comevolontà di aiuto. Grazie e buona lettura.

Per l’ottavo anno, Buon Natale!

Cosa rende straordinariamente affini Survival, l’organizza-zione internazionale che da quarant’anni si batte per latutela dei diritti dei popoli indigeni e tribali, e il nostro“piccolo” ma speriamo sempre significativo Xmas Project?Essenzialmente due aspetti: la scelta di campo e il princi-pale strumento di azione.

La scelta di campo è chiara e determinata. Il Xmas Projectha cercato in questi anni di individuare in giro per il mondodelle aree di intervento a sostegno di uomini, donne, bam-bini che si trovavano in situazione di indigenza o di diffi-coltà, o che subivano discriminazioni o ingiustizie, o chesemplicemente avevano bisogno di supporto per intrapren-dere o sostenere percorsi di crescita personali o sociali. Sur-vival si batte da quattro decenni per i popoli più indifesi eaggrediti del nostro pianeta. Intere popolazioni, milioni diesseri umani, costantemente a rischio genocidio. Ciò avvie-ne non nell’epoca preistorica, non ai tempi delle crociate,non durante l’ultima guerra mondiale. Tutto ciò avvieneoggi. Sono uomini e donne, vecchi e bambini nostri con-temporanei che ogni giorno subiscono l’aggressione divirus e batteri per i quali non hanno difese. Ogni giornovedono le loro terre aggredite, le loro case violate, le loroancestrali vite sconvolte dall’arrogante e cieco incedere delcosiddetto “mondo civilizzato”. Un mondo che, se fossetale, avrebbe l’accortezza e l’intelligenza di rendersi contodelle conseguenze delle proprie azioni. Un mondo chedovrebbe avere imparato ad avere rispetto per le diversità,che dovrebbe proteggere e custodire chi è in così manifestasituazione di pericolo e di debolezza e chi rivendica solo dipoter continuare a vivere come e dove sempre ha vissuto.Un mondo che è invece così irrimediabilmente spinto nelvortice della conquista delle terre e dello sfruttamento diogni risorsa, che si dimostra ogni giorno sordo ai lamenti dichi ne viene calpestato.

Intere popolazioni subiscono così continue e reiterateaggressioni, che mettono in crisi le loro esistenze e spessoin pericolo le loro stesse vite. Tutto ciò nel silenzio gene-rale, nell’ignoranza di ogni principio umanitario ed etico,nella noncuranza di leggi e accordi internazionali. Eccoquindi la grande azione di Survival e il secondo punto diforte contatto con il Xmas Project. Da otto anni la nostrapiccola organizzazione non ha solo raccolto fondi permirate azioni di solidarietà, ha anche tentato di racconta-re e sensibilizzare i propri sostenitori verso le cause e lesituazioni che generavano queste richieste di sostegno. Elo ha fatto attraverso le parole e le immagini di questolibro. Da quarant’anni Survival agisce nel modo più effica-ce e perseverante al sostegno dei diritti delle popolazioniindigene. Una straordinaria azione di advocacy e di sensi-bilizzazione internazionale volta a rompere il silenzio e lanoncuranza con il quale la nostra società assiste a veri epropri crimini umanitari. Questi popoli non hanno bisognodi coperte, di cibo o di case. Questi popoli hanno bisognodi una voce, hanno bisogno di avvocati, hanno bisogno dileggi e accordi internazionali, hanno bisogno di rispettoper le loro identità. Quest’anno il Librosolidale si fa quin-di voce delle popolazioni indigene di tutto il mondo e ha

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Il progetto 2008

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I popoli indigeni del mondo contano almeno 370 milioni di persone. Rappresentano il 6% della popolazione del nostro pianeta e sono distribuiti in più di 70 nazioni diverse. Tra loro, circa 150 milioni sono classificati insenso stretto come “popoli tribali”. Descriverlisenza correre il rischio di generalizzare è diffici-le perché comprendono una grande varietà ditribù e conducono stili di vita diversissimi inun’incredibile diversità di ambienti. Anche se non esiste una definizione unanime-mente accettata da tutti, con i termini “indigeno”o “tribale” ci si riferisce generalmente a popoliorganizzati in comunità tribali da generazioni.Spesso si tratta degli abitanti originari dei paesi incui vivono, o di coloro che vi abitano da centinaiase non addirittura da migliaia di anni. Normal-mente, sono popoli in larga misura autosufficien-ti, e vivono delle risorse del loro territorio: di cac-cia, pesca e raccolta, oppure di agricoltura e alle-vamento su piccola scala. Le loro economie sifondano quasi sempre su una conoscenza moltointima e profonda delle loro terre, con cui man-tengono un legame inscindibile. Per loro la terra ètutto, nel senso più letterale del termine. È l'uni-co luogo in cui possono apprendere e tramanda-re il loro sapere millenario; in cui possono procu-rarsi il cibo e tutto ciò che è necessario alla lorosussistenza; in cui possono praticare la loro medi-cina e celebrare la loro identità. Spesso sono minoranze. Le loro comunità sidistinguono nettamente da quelle non-tribali:parlano un'altra lingua, hanno usi e cultura pro-pri ereditati dagli avi, e si considerano essi stessidiversi e distinti dalle società dominanti che licircondano. I popoli tribali non coincidono necessariamentecon gli aborigeni o con gli indigeni: mentre“indigeni" sono tutti gli abitanti nativi di unacerta regione, infatti, “tribali" sono solo i popo-li che vivono in comunità tribali, e che dipendo-no dalla terra in cui abitano per ciò che riguardaogni aspetto della loro vita. Tutti gli AborigeniAustraliani, per esempio, sono “indigeni", masoltanto alcuni vivono ancora in società tribali econsiderano se stessi come tali. Plasmati, nel corso dei secoli, dalla ricchezza edall'asprezza dei loro diversi ambienti, gli indi-geni che abitano oggi il nostro pianeta costitui-scono un caleidoscopio di umanità e culturesorprendenti, irrinunciabili per ognuno di noi.I pop

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Chi sonoMa come la terra ha dato loro la vita, ora la suadistruzione li uccide. Dai ghiacci artici fino ai deserti africani, l’unica esperienza che tra -gicamente li accomuna è l'invasione dei loroterritori, iniziata secoli fa in un bagno di sanguee condotta ancora oggi con la stessa determina-zione e la stessa feroce brutalità.Sfrattati dai coloni e dallo sfruttamento foresta-le e minerario, inondati dall’acqua delle dighe esterminati da malattie verso cui non hanno dife-se immunitarie, nel nome del progresso, i popo-li indigeni contemporanei continuano a essereprivati dei loro mezzi di sussistenza e della lorolibertà; ad essere violentati, uccisi o costretti aomologarsi a società aliene. A differenza del passato, oggi la legge interna-zionale riconosce i loro diritti sulle terre ance-strali, ma raramente vengono rispettati. E se daun lato gli abusi restano quasi sempre impuniti,dall’altra vengono addirittura esacerbati dalcontinuo diniego dei governi a riconoscere aipopoli indigeni almeno il diritto di essere con-sultati quando vengono varati progetti di svi-luppo destinati ad avere un impatto irreversibilesulle loro vite. Dietro le persecuzioni ci sono solo l'avidità e unrazzismo che si ostina a dipingere i popoli tribalicome arretrati o primitivi; come reperti archeolo-gici destinati inevitabilmente all’assimilazioneculturale ed economica oppure all’estinzione. Inrealtà, i popoli tribali sono nostri contemporaneie in ogni continente stanno lottando per mante-nere la propria identità e riprendere il controllodelle loro vite e delle loro terre. Frutto di un con-tinuo sviluppo e perfezionamento, i loro stili divita non sono inferiori. Sono solo diversi e, nelcorso del tempo, hanno saputo dare risposte effi-caci e dinamiche alle sfide di un mondo in peren-ne trasformazione. Costretti dalla miopia e dallaforza soverchiante del nostro modello di sviluppoa confrontarsi quotidianamente con la minacciadi estinzione fisica e culturale, tutto ciò che ipopoli indigeni chiedono è solo terra a sufficien-za per vivere, e la libertà di decidere autonoma-mente del loro futuro. Ovunque, la loro storiariassume in sé sia il racconto di una tragedia inu-tile sia quello di una commovente resistenza.

370 milioni di persone(di cui 150 milioni sono identificati in senso stretto come “popoli tribali”)5.000 popoli diversi in 70 paesi diversi su 5 continenti6% della popolazione mondialeI popoli meno numerosi: “L'uomo della buca” (1 persona), Piripkura (3 persone), Akuntsu (6 persone)Quelli più grandi: Quechua (10 milioni), Nahuatl (5 milioni), Aymara (2 milioni)

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Nonostante secoli dimassacri e persecuzioni,i popoli indigeni sonosopravvissuti in tutti icontinenti. Sono suddivisi in più di 5.000popoli diversi e hanno saputosviluppare tecniche efficaci persopravvivere anche nelle regionipiù remote e inospitali della

Terra. Abitano nelle foreste tro-picali, nelle praterie, nei deserticosì come tra i ghiacci perenni.Alcuni sono indistinguibili dallesocietà che li circondano. Molti altri, invece, conservano laloro distinta identità pur viven-do da secoli a fianco dei colo-nizzatori. Alcuni, infine, non hanno maiavuto alcun contatto con ilmondo esterno: si tratta certa-

mente dei popoli più vulnerabilidel pianeta. Se in molte nazionii popoli indigeni sono piccoleminoranze, in altre rappresenta-no la maggioranza della popo-lazione. Ad eccezione degli Indonesianiche hanno colonizzato la parteoccidentale dell’isola, la NuovaGuinea è abitata interamente dapopoli tribali. In Groenlandiasono il 90%, il 66% in Bolivia.

I Quechua costituiscono quasila metà della popolazione delPerù e, insieme ai Quechua bo -liviani, il popolo indiano piùnumeroso d'America, tuttavia,nel quadro politico di questipaesi non hanno voce in capito-lo. In Perù, il quechua è una lin-gua ufficiale ma gli insegnantispesso si rifiutano di usarla e ibambini sono discriminati sindai primi anni di vita.

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Nukak

Yanomami Makuxi

Awá & Ka’aporAwa Guajá

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Cinta LargaPanará

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Guarani

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Mashco-Piro & NahuaAshaninka

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Enawene Nawe Pataxo Hã Hã Hãe• •

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Khanty, Waiãpi, Penan, !Xu, Marubo, Nuba, Khomani, Twa, Kanamari, Barí, Yukpa, Yabarana, Ba-aka,Yanomami, Pemon, Wichí, Igorot, Kaiowá, Masai, Ayoreo, Nukak, Jarawa, Tarahumara, Makuxi,Wapixana, Ingaricó, Tuarepang, Korubo, Ibaloi, Moni, Amungme, Dani, Twa, Jumma, Enxet,

Subanen, Himba, Boscimani, Innu, Inuit, Yora, Yugan, Panará, Dayak, Maku, Khwe, Kalagadi, Arara,Arhuaco, Aché, Akawaio, Mapuche, Martu, Kaiapò, Sami, Maori... Nonostante accettino di essere chia-

mati collettivamente come indigeni o tribali (termini utilizzati oggi dall’ONU e nelle convenzioniinternazionali), hanno nomi propri che, nella maggioranza dei casi e in ogni parte del mondo, significano

“noi, gli uomini”.

Dove sonoJumma

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•MbutiBaka

Batwa

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•Boscimani

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Twa

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Sami

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Nanais•Ul’chi

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Koryak•Itel’men•

Negidal•Evenk•

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Tofalar•

Mansi•Khanty•

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Wanniyala-Aetto

Dongria Kondh

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centinaia di Indiani, ne soprav-vivessero ora solo poche decine,mantenute in vita solo graziealla paternalistica sollecitudinedello SPI, il Servizio governativoper la protezione dell’Indio isti-tuito dal governo nel 1910. “Ma in tutti quei racconti – ederano davvero tanti”, scrivevaLewis, “c’era una zona di silen-zio, una mancanza di sincerità edi responsabilità sociale, un’evi-dente avversione a scavare nelladirezione da cui la distruzioneavanzava. Sembrava che dovessi-mo limitarci a supporre che gliIndiani si stessero semplicemen-te dissolvendo, uccisi dal duroclima dei tempi, e che fossimotutti invitati a non porre ulterio-ri domande.”Il compito di risolvere il misteroera stato lasciato nelle manidello stesso governo brasilianoe, in verità, era stato portato atermine con una franchezzabrutale e disarmante. Il procura-

tore generale Jader Figueiredo,spiegava Lewis nell’articolo, erastato incaricato di visitare gliavamposti dello SPI in tutto ilpaese alla ricerca di prove diabusi e atrocità. In 58 giorni diindagini aveva compilato undossier di 5.115 pagine da cui sievinceva chiaramente che negliultimi 10 anni migliaia di perso-ne erano state virtualmente ster-minate “non nonostante glisforzi dello SPI ma anzi con lasua connivenza, spesso con lasua ardente collaborazione”. Oggetto di indagine non erano imassacri che nei secoli prece-denti avevano ucciso oltre 6milioni di Indiani brasiliani, male azioni criminali compiutenegli ultimi anni nei confrontidei sopravvissuti. Le tragicheperdite subite dalle tribù indianein quella drammatica decadeerano catalogate solo in parte.Tuttavia, il dossier, pesante 103chili, documentava dettagliata-

Il 23 febbraio 1969, il Sunday Times inglesepubblicò un articolo che scioccò i lettori ditutto il paese. Si intitolava “Genocidio” e portava la firma diuno dei più grandi giornalisti di tutti itempi, Norman Lewis.

L’editore aveva inviato Lewis ainvestigare sui risultati di un’in-dagine intrapresa dallo stessogoverno brasiliano nel marzodel 1968. Voci sempre più insi-stenti raccontavano che nellaforesta amazzonica si stavaripetendo la tragedia che avevadecimato i Nativi Americanidurante l’ultimo secolo ma,questa volta, compressa in unbrevissimo arco di tempo. Sem-brava che laddove prima vivevano

Brasile, il genocidiopiù lungo

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mente assassinii di massa, tortu-re e guerre batteriologiche, casidi schiavitù, abusi sessuali, furtie negligenze. Il rapporto rendevanoto che alcuni gruppi di IndianiPataxó erano stati infettati deli-beratamente col vaiolo; che ifazendeiro avevano fatto ubria-care i Maxacali per poi farli piùagevolmente uccidere dai sicari;che i Cinta Larga erano statimassacrati con candelotti di di -namite lanciata dagli aerei soprai loro villaggi; che la tribù deiBeiços-de-Pau era stata stermi-nata con cibo intriso di arsenicoe insetticida. L’autore paragona-va le sofferenze degli Indiani aquelle subite dagli Ebrei neicam pi di concentramento nazistie concludeva affermando che 80tribù si erano completamenteestinte mentre di molte altresopravviveva solo qualche singo-lo individuo. L’inchiesta giudi-ziaria promossa in seguito alledenunce del rapporto avevaportato all’incriminazione di

134 funzionari governativi, ac -cusati di oltre 1000 crimini di -versi. 38 di loro furono licenzia-ti ma nessuno andò mai in car-cere. Il dossier non fu mai resopubblico: al di fuori del governolo lessero poche persone e, po -chi anni dopo, bruciò in unmisterioso incendio. La suascomparsa però arrivò tardi per-ché aveva già causato un cla-more pubblico tale da superare iconfini della nazione giungen-do fino in Inghilterra. All’editore del Sunday Timesgiunsero centinaia di lettere disgomento e, in pochi giorni, dal-l’incontro dei lettori più indigna-ti e risoluti a intervenire nacqueSurvival International. Nei treanni successivi, i missionari dellaCroce Rossa, Survival e l’Aborigi-nes Protection Society visitaronodecine di tribù e la pubblicazio-ne delle loro scoperte portòfinalmente la tragedia degliIndiani amazzonici all’attenzio-ne del mondo intero.

Le origini di Survival

“Considero la fondazione di Survival come il piu' grande successo della mia vita professionale.”

Norman Lewis

Fondata con l’obiettivo di aiu-tare i popoli indigeni a difende-re le loro vite, a proteggere leloro terre e i loro fondamentalidiritti umani contro ogni formadi sterminio, persecuzione erazzismo, da allora Survival ha

continuato a crescere e a espan -dere il suo raggio d’azione inogni continente. Oggi segue ogni anno almeno80 casi di violazione dei dirittidei popoli indigeni in oltre 40paesi diversi.

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I popoli indigeni abitanole regioni ecologicamentepiù importanti del pianeta, in territori che loro stessi, nelcorso dei secoli, hannocontribuito a plasmaree proteggere.

Dopo Sting e il Summit di Rio,nel mondo industrializzato èandata crescendo una vastapreoccupazione internazionaleper i disastri ambientali, imputa-bili ai mutamenti climatici maanche a irresponsabili politichedi colonizzazione e sfruttamentointensivo delle risorse disponibili.

La pau ra non è però stata ac -compagnata da un’adeguatariflessione sull’impatto che inostri “crimini ecologici” – e irimedi che ad essi proponiamo– hanno sulle vite dei popoliindigeni, né tantomeno sulruolo che i popoli indigeni stes-si possono avere nella protezio-

ne dell’ambiente e della biodi-versità. Per secoli, governi e colonizza-tori hanno cercato di giustifica-re l’appropriazione indebitadelle terre e delle risorse deipopoli tribali nel nome del pro-gresso. Per decenni, scienziati econservazionist i radical i c ihanno abituato a considerare lapopolazione umana solo comeun fattore di disturbo e degradodegli ecosistemi. La preoccupa-zione esclusiva per la Natura,che ha portato alla creazionedei grandi parchi africani, è arri-vata fino al punto di bandire daessi qualsiasi attività umana,comprese le tecniche tradizio-nali di caccia e raccolta di alcu-ni popoli tribali, necessarie allaloro sopravvivenza. Oggi, preva-le la tendenza a presentare ipopoli indigeni come custodi di

un patr imonio di co no -scenze sul la natura utile

allo sfrut tamento so -stenibile dell’ambien-te. Indubbiamente,nel corso dei secoli,mol ti popoli indi-geni hanno elabo-rato tecniche so -fisticate ed effica-ci di coesistenzacon i l l o ro am -biente. Ed hanno

attuato strategie diutilizzo delle risorse

che, pur trasformandoin modo permanente il

loro habitat, non ne hannoalterato i principi di funziona-

mento né messo in pericolo lecondizioni di riproduzione. Unmodello infinitamente più lun-gimirante di quello, brutale emio pe, utilizzato dalla societàoccidentale persino negli ecosi-stemi più fragili del pianeta. Maquesta loro nuova immagine di“geni dell’ecologia”, finiscetroppo spesso con l’alimentarealtri pregiudizi e nuove for me di

strumenta-lizzazione delno stro rapporto conloro. In So ciétés indigènes &Nature1, Eduardo B. Viveiros deCastro scrive che il sapere sullanatura che hanno gli indigenipotrebbe fornire loro “un passa-porto per la sopravvivenza nelmondo moderno”.In effetti, si sta diffondendosempre di più l’idea che la pro-tezione della natura e la conser-vazione della biodiversità deb-bano coniugarsi con il dirittodei popoli indigeni a preservarei loro territori e i loro modi divivere. Tuttavia, rimane essen-zialmente una questione dipragmatica, e non di principio,come sottolinea l’antropologoMarcus Colchester2, funzionaleancora una volta ai nostri biso-gni. Non a caso, gli alti ricono-scimenti tributati oggi ai popoliindigeni nel campo dell’ecolo-gia non sono accompagnati daun adeguato riconoscimentodei loro diritti.Indipendentemente dalla loropeculiare visione del mondo edella natura, i popoli indigenihanno diritto alle loro terre ealle loro ri sorse. Lo stabilisce lalegge internazionale, oltre chequella morale, e in particolare laConvenzione 169 dell’Organiz-zazione Internazionale delLavoro (ILO). Lo afferma, a livel-lo di principio, anche la Dichia-razione dei di ritti dei popoliindigeni, recentemente adottata

dalle Nazio-ni Unite, dopo

vent’anni di difficilinegoziazioni con tutti i paesimembri. Il problema, quindi,non è tanto quel lo di non-escludere questi popoli dallepolitiche e dai progetti di con-servazione dei loro territori, cosìcome si legge sempre più spessonei documenti programmatici,quanto piuttosto di riconoscerlicome i legittimi proprietari deiloro ambienti, aventi pienodiritto all’autodeterminazione eal risarcimento in caso di sfrattoo spoliazione indebiti. Un passo che governi, fonda-zioni e associazioni ambientali-ste non sembrano ancora dispo-sti a compiere.Ipocrisia e malafede sono fla-granti in moltissimi casi, comein quello dei Boscimani delKalahari, ad esempio, che inquesti anni si sono visti proibirela caccia di sussistenza, permes-sa invece ai turisti a puro scopodi divertimento. O in quello deiWanniyala-Aetto dello Sri Lanka(conosciuti con il nome di Ved -da), banditi dal raccogliere bac-che e legna nelle loro foreste,trasformate in parchi nazionali.In altri contesti, i paradossi so nomeno evidenti. Come nella corsaall’acquisto di appezzamenti diforesta per scongiurarne il d i -sboscamento e compensare leemissioni di carbonio prodotteda individui, aziende o interistati. Un mercato, patrocinato

* Liberamente tratto da Diversité biologique, diversité culturelle di Philippe Descola, pubblicato in Ethnies 29-30 da Survival International France.1 Pubblicato in Ethnies 29-30, Il y a place dans le monde pour bien de mondes, Survival International France, Parigi 2003.2 Salvaging Nature, Indigenous Peoples, Protected Areas and Biodiversuty Conservation, Istituto di ricerca delle Nazioni Unite per lo sviluppo sociale, Ginevra 1995.

Una concezione sociomorfica del cosmo*

Nella nostra visione del mondo, umani e non-umani sono collocati in domini ontologicamente diversi. Al contrario, la maggior parte dei popoli indigeni

non operano distinzioni nette tra natura e società, e le differenze tra uomini, piante e animali sono solo

di grado, non di sostanza. Ciò che noi chiamiamo natura, è per loro il soggetto di un rapporto sociale;

un mondo popolato di personaggi che interagiscono gli uni con gli altri in modo egalitario e che condividono, in tutto o in parte, le stesse

facoltà, gli stessi comportamenti e gli stessi codici morali ordinariamente

attribuiti agli uomini.

La natura non è naturale*

La natura non è “vergine” né “selvaggia” se non nell’immaginario occidentale. Al contrario,

la fisionomia della maggior parte delle foreste tropicali così come le conosciamo noi oggi, è il prodotto

culturale di una manipolazione molto antica della flora e della fauna operata da società umane a loro volta

condizionate e plasmate da secoli di convivenza con esse. Benché invisibili a un osservatore non esperto, le conseguenze di questa antropizzazione sono molto importanti, specialmente per quel che concerne il tasso di biodiversità, che è più elevato

nelle porzioni di foresta antropogenica che in quelle non modificate dall’uomo. William Baleée ha dimostrato, per esempio, che, a distanza di quarant’anni dal loro abbandono,

le aree di foresta amazzonica utilizzate dai popoli indigeni sono due volte più ricche di specie vegetali utili che le

porzioni vicine di foresta primaria da cui, a prima vista, non si distinguono affatto. In queste stesse aree si

registra anche una maggiore concentrazione di animali e selvaggina. Si stima che attualmente il 12% dellaforesta amazzonica brasiliana sia antropogenica ma è fortemente probabile che la percentuale

fosse molto più elevata prima dei disboscamenti massicci che da decenni

mutilano la regione.

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da politici e celebrità di varipaesi, che le stesse associazioniambientaliste come Green peacee Amici della Terra reputano“cortine fumogene”3, atte solo adistogliere forze e risorse dallereali soluzioni al problema delleemissioni di CO2. Una tendenzaestremamente pericolosa desti-nata, seppur in buona fede,anche a minare la battaglia che ipopoli indigeni conducono per ilriconoscimento dei loro pienidiritti territoriali e ad alimentarenuove forme di paternalismo.In ogni caso, i popoli tribali diogni continente continuano arischiare di essere esclusi dalleloro terre ancestrali nel nomedella conservazione. Loro, chehanno contribuito, in migliaiadi anni, a plasmare e salvaguar-dare questi territori a beneficiodelle generazioni future, fini-scono spesso per essere confi-nati in essi nella veste di mericonsulenti, di guardaparco, diguide o attrazioni turistiche. “Tra il saccheggio cieco che s’ab -batte ancora su numerose regio-ni del pianeta, l’utopia fun zio -nale di certe correnti New Age el’ecologia gestionale dei movi-menti conservazionisti” scrivePhilippe Descola in Diversité bio-logique, diversité culturelle4,“deve essere ascoltata un’altravoce. Quella di Davì, per esem-pio, leader e sciamano Yanoma-mi, che dichiara: ‘Noi non utiliz-ziamo la parola ambiente. Noidiciamo solo che vogliamo pro-teggere la foresta intera. Am biente è una parola di altregenti, è una parola dei Bianchi.Ciò che voi chiamate ambiente,è solo ciò che resta di quello cheavete distrutto’”5.Una considerazione che dimostrachiaramente il grande divario esi-

stente tra la nostra concezioneoggettivante della Natura, co -stantemente divisa tra un discor-so conservazionista e uno pro-duttivista, e quella cosmica e spi-rituale che accomuna quasi tuttii popoli indigeni del mon do. Perloro, infatti, la terra non è un’en-tità da sfruttare bensì un univer-so da sostenere e mantenere inequilibrio: “Quando un Aborige-no guarda una collina, pensa aWatikutjarra che l’ha creata. IlBianco ti dice che si tratta di unaformazione geologica creata dalvento e dalle correnti quando ilpaese era ricoperto dal mare,migliaia di anni fa. Così, quandoarriva una compagnia minerariaper sfruttare l’oro scoperto al suointerno, nasce un conflitto. Noinon assumiamo il punto di vistageologico secondo cui non sidevono scavare grosse buche nelsuolo perché c’è il rischio di ero-sione. E non ci appelliamo allalegge internazionale perché unsito sia protetto come Patrimoniodell’Umanità. Noi ci preoccupia-mo che non venga interrotta lacatena del Sogno, che non vengadistrutto uno dei luoghi delSogno di Watikutjarra… Ferire laterra, è ferire l’uomo perchésiamo tutti parte di Bugarrigarra[il Tempo del Sogno]”6.Non si tratta tanto di rispettodella natura, come spesso si pen -sa, ma piuttosto di una conce-zione del mondo radicalmentediversa dalla nostra: “Gli Abori-geni non proteggono la collinaperché sono degli ecologisti; noinon siamo intrinsecamente eco-

logisti; noi proteggiamo il nostropaese, vegliamo su di esso daprima che Greenpeace sbarcassein Australia… Noi non cerchiamodi essere politicamente corretti,di essere ”verdi” o di voler fareciò che è bene […] Difendere laterra è per noi una necessità e unmodo di vivere. […] Fintanto chepotremo continuare a celebrare inostri riti, a far compiere laLegge, a trasmettere le cono-scenze da una generazione al -l’altra, noi sopravviveremo. Cam-bieremo, ci adatteremo al mon doche ci circonda ma sopravvivere-mo, e la lotta potrà continuare”7.La parte sempre più preponde-rante assunta da Ong e aziendenei programmi di tutela dell’am-biente e della biodiversità testi-monia la crescente presa di co -scienza dell’opinione pubblica ela sua vasta mobilitazione. Sitratta certamente di un risultatopositivo che però rischia di dere-sponsabilizzare sempre di più igoverni dei paesi in via disviluppo, soprattutto nelcampo dei diritti territo-riali e dei programmi edu-cativi e sanitari. In gioco,infatti, sono diritti umanibasilari e servizi pubbliciminimi chegliorgani-smi privatinon hanno la ca -pacità né la possibi-l i tà di gest i re .Molti studidimo-

strano che riconoscere i dirittidei po poli indigeni e tribali alleloro terre è attualmente il modopiù efficace di proteggere l’am-biente. Anche in questo campo,quindi, il rifiuto di molti governidi ratificare la Convenzione ILO169 tradisce ipocrisia e man-canza di lungimiranza.Togliere ai popoli indigeni lapossibilità di continuare a viveresecondo la visione del mondo edella natura che gli è propria,infatti, significa, non solo con-dannarli a perdere l’indipenden-za e la possibilità di sopravviverecome popoli, ma anche inaridirei loro saperi e minare la straordi-naria diversità culturale dell’u-manità. Una diversità che so -pravvive solo se vivono i popoliche l’alimentano.

©Francesca Casella/SurvivalPer gentile concessione della rivista

“Diritto e Libertà”, n. 17, novembre 2008.

3 The great carbon con: Can offsetting really help to save the planet?, The Independent, Sophie Morris, 3.04.08.4 Diversité biologique, diversité culturelle, pubblicato in Ethnies 29-30, opera citata.5 L’or cannibale et la chute du ciel. Une critique chamanique del l’économie politique de la nature,

intervista raccolta da Bruce Albert, tra gli Yanomami, Brasile 1993. L’Homme 126-128.6 Termiti bianche e formiche verdi. Gli Aborigeni e la Natura. Wayne Barker, cineasta aborigeno,

discorso raccolto a Parigi dalla redazione di Ethnies, Survival International France,1999. 7 Termiti bianche e formiche verdi. Gli Aborigeni e la Natura. Opera citata.

Custodi della terra

Il dualismo uomo-natura*

Il dualismo uomo-natura data di qualche secolo appena in Occidente ed è all’origine sia delle scienze

positive sia della nostra stessa idea di protezione dell’ambiente. Per pensare di poter proteggere la natura, infatti, occorre innanzitutto credere

all’esistenza della natura stessa come un dominio autonomo distinto dalla sfera delle azioni umane;

un luogo di ordine e necessità in cui niente avviene senza una causa ma su cui l’uomo può

esercitare una sorta di giurisdizione al fine di sfruttarne le risorse prima e, in seguito,

di assicurarne la preservazione.

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YanomamiBrasile, Venezuela

“I Bianchi parlano continuamente del pianeta, ma nonpensano che esso abbia un cuore e che respiri. Eppure ècosì. Non l’hanno mai guardato veramente da vicino, con iloro occhi. Sanno solo studiare sui libri e parlare di politi-ca. Anche noi studiamo... andiamo nella foresta e la osser-viamo con attenzione. Loro, no. Il loro sapere è tutto sucarta. Gli Yanomami si sono sempre presi cura di questaterra, da molto prima che arrivassero i politici. Ma noi nonusiamo carta. La nostra carta sono i nostri pensieri; quelloche possediamo, sono i nostri credo... Ci piacerebbe tantoche gli uomini bianchi capissero perché la conservazione diquesta foresta è così importante per noi. Vogliamo che ciaiutiate a difendere le nostre terre, che lavoriate al nostrofianco per difendere il nostro modo di vivere... Io, DaviKopenawa Yanomami, voglio aiutare gli uomini bianchi aimparare come costruire un mondo migliore insieme a noi,a beneficio di entrambi”. Davi Kopenawa, leader Yanomami

Stretto tra i grandi bacini dell’Orinoco edel Rio delle Amazzoni, il territorio degliYanomami si estende lungo la linea diconfine tra il Brasile e il Venezuela. Adeccezione di alcuni grandi altipiani di roc-cia arenaria che si ergono imponentisuperando talvolta i duemila metri dialtezza, l’area è un susseguirsi di ripidecolline di circa mille metri d’altitudine.Tutto il territorio è ricoperto da una fittaforesta equatoriale che riceve dai due aiquattro metri di pioggia all’anno. Nellesue parti più impervie e nascoste sorgonogigantesche capanne di forma circolarechiamate yano*, o sciabono, che possonoraggiungere i 100 metri di diametro econtenere oltre 200 persone. Sono legrandi case comuni degli Yanomami:straordinarie opere architettoniche fruttodi un intelligente lavoro collettivo, perfe-zionato nel corso dei millenni.

Nonostante il grave rischio di estinzionecorso tra gli anni ’70 e ’80, oggi gli Yano-mami sono il popolo indigeno più granded’America a vivere ancora in modo tradi-zionale e in relativo isolamento. A riscriverela storia annunciata della loro estinzione èstata la pressione dell’opinione pubblicainternazionale mobilitata da Survival insie-me alla Ong brasiliana CCPY. Sono occorsioltre vent’anni per arginare le epidemie dimalaria che li stavano decimando e allon-tanare i cercatori d’oro illegali che si eranoriversati come un fiume in piena nel loromondo lasciando dietro di sé solo violenze,morte e disperazione. Ma, oggi, gli Yano-mami non solo sono ancora vivi, ma gesti-scono anche progetti innovativi volti arafforzare la loro identità e aiutarli a difen-dere meglio i loro diritti, come la Scuolabilingue nella foresta. I problemi non sonostati tutti risolti, ma la loro storia è giàdiventata un simbolo: il simbolo del ruolocruciale che l’opinione pubblica può gioca-re nelle campagne per la difesa dei popolitribali e quello della capacità che hanno ipopoli indigeni di resistere a ogni sopraffa-zione rivendicando la possibilità di decide-re autonomamente del proprio futuro.

Determinati a mantenere la propria indi-pendenza, gli Yanomami, insieme al loroleader Davi Kopenawa, chiedono conforza una maggiore autonomia in camposanitario e didattico e restano in primafila nella difesa dell’ambiente e dellaforesta amazzonica.

* in copertina, dall'alto, e in una suggestivavisione notturna a pag. 60/61.

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Si trovano a 1126 km dalla costa orienta-le dell'India, nella Baia del Bengala, ecomprendono 500 isole, delle quali solo27 sono abitate. Sono le Isole Andamane,terra natale di quattro antiche tribù. Illoro aspetto fisico è molto diverso daquello dei vicini abitanti indiani e l’analisidel DNA suggerisce una discendenza afri-cana: i loro antenati potrebbero esseremigrati dal continente nero 60.000 annifa. A differenza degli Onge e dei GrandiAndamanesi, decimati prima dai coloniz-zatori e poi dalle politiche assimilazioni-stiche del governo indiano, i Sentinelesi ei Jarawa sono sempre riusciti a proteggerei loro territori dalle invasioni. Ma se iprimi continuano a vivere in totale e vo -lontario isolamento dal mondo esternosul l’isola che porta il loro nome, sui Ja -rawa grava oggi una pesante minaccia.

Dopo aver respinto per più di dieci anniogni tentativo di contatto da parte delgoverno indiano, improvvisamente, nel1998, i Jarawa hanno cominciato a usci-re sporadicamente dalla foresta. Da quelpoco che si conosce della loro lingua,pare che a spingerli sempre più versol'interno, fino agli insediamenti dei colo-ni, sia stata la presenza di pescatori difrodo lungo la costa e lo sgomento pro-vocato dal diffondersi di alcune malattieprima sconosciute, introdotte dai brac-conieri. Qualunque sia stata la ragione,da allora la vita è cambiata. L’interventourgente di Survival è riuscito a fermareun piano di sedentarizzazione forzataelaborato nel 1999 e ad ottenere dallaCorte Suprema, nel 2002, l’ordine dichiusura della strada che attraversa lariserva. Nonostante questo, la strada re -sta tutt’ora aperta e il suo traffico au -menta sempre più moltiplicando il ri -schio di contatti fatali. Per ora, i Jarawacontinuano a vivere una vita nomade eindipendente cacciando maiali selvatici evarani, e pescando con l’aiuto di arco efrecce. Ma se le autorità non interverran-no, non potranno resistere a lungo allapressione sempre più incalzante deibracconieri e delle agenzie turistiche at -tratte dalle immagini paradisiache delleloro coste. Un grave pericolo viene anchedal razzismo che si ostina a dipingerlicome primitivi nonostante la sofisticataconoscenza dell’ambiente abbia permes-so loro di prevedere e uscire indenni dalterribile tsunami che nel 2004 uccisemigliaia di persone.

“Io posso essere definito civile, loro no.”Un avvocato indiano che difende i progetti di sedentarizzazione forzata dei Jarawa, 2001

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JarawaIsole Andamane

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“Oggi rendiamo omaggio ai popoli indigeni di questa terra, custodi delle più antiche culture viventi della storia dell’umanità.Riflettiamo sui maltrattamenti che hanno subito nel passato. Pensiamo in particolare alle sofferenze inflitte alle generazionirubate – oscuro capitolo della storia della nostra nazione. È ormai tempo, per il nostro paese, di scrivere una nuova pagina distoria riconoscendo i torti del passato e guardare così con fiducia al futuro. Presentiamo le nostre scuse per le leggi e le politi-che dei parlamenti e dei governi che si sono via via susseguiti, e che hanno inflitto pene, sofferenze e perdite profonde a quelliche sono nostri compatrioti australiani. Le nostre scuse vanno in particolare ai bambini aborigeni e a quelli delle isole delloStretto di Torres che sono stati tolti alle loro famiglie, alle loro comunità e alle loro terre. Per il dolore, la sofferenza e le ferite diqueste generazioni rubate, per quelle dei loro discendenti e delle loro famiglie, noi chiediamo scusa. Alle madri e ai padri, ai fra-telli e alle sorelle, noi chiediamo scusa per aver separato famiglie e comunità. E per aver in tal modo umiliato e calpestato ladignità di un popolo fiero di se stesso e della propria cultura, noi chiediamo scusa…” Kevin Rudd, Primo ministro australiano, 2008

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AborigeniAustralia

13 febbraio 2008, il neo-eletto primoministro australiano Kevin Rudd ha pre-sentato agli Aborigeni le scuse ufficialidel governo per le storiche ingiustiziesubite. Violenze che nel corso di duesecoli hanno ucciso quasi un milione dipersone, prima con lo sterminio direttoe poi, tra il 1930 e il 1969, con la bru-tale politica di togliere i bambini abori-geni ai loro genitori per affidarli allefamiglie dei Bianchi o ai collegi dei mis-sionari. L'obiettivo dichiarato era quellodi sradicare ogni traccia della loro cul-tura e della loro identità. Quella della“Generazione rubata” è una ferita aper-ta nel cuore di tutto il popolo aborige-no che probabilmente niente e nessunopotrà mai rimarginare.

Gli Aborigeni sono uno dei popoli piùantichi e affascinanti del pianeta. Intor-no alla terra ruota tutta la loro esisten-za materiale e spirituale al punto che,nel tempo, il furto e la distruzione deiterritori ancestrali hanno avuto su diloro un impatto sociale e fisico deva-stante. Vittime ancora oggi di persecu-zioni e razzismo, vivono spesso in con-dizioni disumane nelle periferie piùdegradate delle città. Molti affollano lecarceri e soffrono dei tassi di alcolismoe suicidio più alti del paese. Alcuni la -vo rano come braccianti sottopagati nel-le fattorie che hanno cancellato le trac-ce delle loro Vie dei Canti. Ma altri,soprattutto nella parte settentrionaledel continente, rimangono saldamenteradicati nelle terre ancestrali e vivonoancora di caccia e raccolta nonostantesecoli di contatto con i colonizzatori.Sono loro a guidare il movimento dellarinascita aborigena contro un governoche continua a fare di tutto per ostaco-lare il pieno riconoscimento dei lorodiritti. “Il Parlamento” ha dichiaratoKevin Rudd a chiusura del suo discorso,“non permetterà che le ingiustizie delpassato possano ripetersi, mai e maipiù”. Ma resta da vedere come sapràmantenere i suoi impegni a dispetto delfatto che, poco più di un anno fa, l’Au-stralia si sia rifiutata di votare per l’ado-zione della Dichiarazione dei diritti deipopoli indigeni dell’ONU. Lei, sola in sie-me a Canada, Stati Uniti e Nuova Zelandacontro il resto del mondo.

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“Viviamo in condizioni disumane, in case minuscole,sopraffatti da una miseria degradante. Non abbiamo nienteda mangiare eppure il nostro popolo ha ancora la forza dicantare con gioia e con speranza… Noi non vogliamo de -naro e ricchezza. Vogliamo solo terra a sufficienza perpoter vivere come preferiamo. Marta Silva Guarani

Quando gli Europei arrivarono in SudAmerica, i Guarani furono uno dei primipopoli a esser contattati. All’epoca conta-vano oltre un milione e mezzo di persone,distribuite tra Paraguay, Brasile, Bolivia eArgentina. Oggi ne sopravvivono pochedecine di migliaia. Nonostante secoli dicontatto con gli stranieri, i 30.000 Guara-ni-Kaiowá del Brasile hanno mantenutola loro peculiare identità e condividonocon gli altri gruppi una religione che attri-buisce importanza suprema alla terra, ori-gine e fonte della vita.

I Kaiowá stanno soffrendo terribilmenteper la perdita quasi totale delle loro terre.Ondate successive di deforestazionehanno convertito quelli che un tempoerano i loro fertili territori ancestrali in unfitto tessuto di ranch e piantagioni disoia e canna da zucchero destinata aibiocarburanti. “Mato Grosso” significa“foresta fitta” ma degli alberi non c’è piùtraccia. Le loro comunità vivono lungo lestrade o ammassate in anguste riserveistituite dal governo ai margini dellecittà: minuscoli appezzamenti di terrenosimili a bindonville, insufficienti asostentarli attraverso la caccia, la pesca el’agricoltura tradizionali. I bambini sof-frono la fame e, per sopravvivere, adulti eragazzi sono costretti a cercare lavorocome manovalanza stagionale nelle pian-tagioni e nelle distillerie d’alcol che cir-condano i loro territori. Ma tre mesi dilavoro in condizioni di semi-schiavitùspesso non fruttano loro che poche deci-ne di dollari a testa.

Rimasti senza prospettive e speranze,negli ultimi vent’anni, centinaia di Gua-rani-Kaiowá si sono suicidati; molti eranoragazzi. La più giovane, Luciane Ortiz,aveva solo 9 anni. Stanchi di aspettarel’intervento delle autorità, le comunitàhanno cominciato a rioccupare le loroterre sfidando le violente reazioni deifazendeiro e dei loro sicari, assoldati perintimidire, picchiare, uccidere. Spesso, ileader delle comunità che rioccupano iloro territori vengono uccisi brutalmentesotto gli occhi dei famigliari.

In concomitanza con l’uscita del filmBirdwatchers di Marco Bechis, Survivalha istituito un fondo a loro sostegno.Ogni euro raccolto li aiuterà a difendere iloro diritti umani, a riconquistare le terreancestrali e a ripiantare i loro orti.

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Guarani-Kaiowá Brasile

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Akuntsu Brasile

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“Immagina di sentire un rumore… Non hai mai udito nulladi simile prima d'ora. È il rombo di un bulldozer. E poi…improvvisamente arriva, e sotto i tuoi occhi sventra la tua casa,la tua terra. Provi una sola emozione: paura. E il tuo istinto tisuggerisce una sola cosa: scappa, corri e non fermarti!” Un uomo Ayoreo-Totobiegosode appena dopo il contatto, Paraguay.

Il primo contatto con il mondo esterno continua a costituire unenorme trauma per tutti i popoli indigeni, in ogni parte delmondo. Solitamente, oltre il 50% della tribù muore. In alcunicasi, muoiono tutti.

Tra tutti i popoli annichiliti dall’avanzatadel “progresso”, c’è un caso particolar-mente scioccante: quello degli Akuntsu.In Rondônia, nel mezzo di sconfinatepiantagioni di soia e allevamenti, soprav-vive un piccolo fazzoletto di foresta plu-viale. È in quei pochi ettari di terra che 6persone, gli ultimi sopravvissuti della lorotribù, cacciano la selvaggina rimasta.Quando i funzionari del dipartimentogovernativo agli affari indigeni, il Funai,li contattò nel 1995 per sottrarli allo ster-minio, il loro territorio venne subito pro-tetto ma ormai era troppo tardi. Nessunocomprende a fondo la l ingua degliAkuntsu e, pertanto, nessuno può rac-contare l’orrore che queste persone han -no vissuto. Ma si sa che gli allevatori cheavevano occupato la loro terra hannomassacrato tutti gli altri membri dellatribù e raso al suolo le loro case con ibulldozer per coprire ogni traccia dei lorocrimini. Tra poco, il loro genocidio saràcompleto. Un altro popolo, un altro mo -do di vivere, un’altra piccola parte dellameravigliosa diversità del genere umanosarà cancellata per sempre.

Il Brasile vanta una delle più alte con-centrazioni di popoli diversi al mondo. Viabitano almeno 460.000 indigeni, suddi-visi in oltre 225 differenti tribù. Il 12%del Brasile è stato designato come terraindigena ma la sua proprietà resta allostato. Gli Indiani posso ambire solo adabitarla e ad usarla. Insieme al Suriname,il Brasile è l’unico stato sudamericano anon riconoscere i diritti degli Indiani allaproprietà della terra. A differenza diqualsiasi altro paese, inoltre, dispone diun ufficio governativo dedicato agliaffari indiani (il Funai) e di ingenti fondiinternazionali per progetti a loro favore.Nonostante questo, e con poche ecce-zioni, le autorità non proteggono gliIndiani che, durante tutto il ventesimosecolo, si sono estinti mediamente alritmo di una tribù ogni due anni.

In attesa che il loro destino si compia, gliAkuntsu continuano a danzare comemeglio glielo permettono i traumi fisici epsicologici che hanno subito. Alle caviglieportano bracciali tradizionali, fatti di fibrevegetali. Ma al posto delle conchiglie, alcollo indossano collane di plastica ricava-te dai contenitori dei pesticidi gettati viadagli agricoltori che li accerchiano.

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In Siberia gli inverni sono lunghi e rigidis-simi, e la temperatura può scendere anchefino a -70 C°. Nonostante questo, vi abi-tano 30 tribù diverse. Sono i "piccolipopoli del Nord” che variano numerica-mente da meno di 200 persone, come gliOrok, a oltre 30.000, come i Nenet. Com-plessivamente contano più di 200.000individui e tra di essi ci sono i Ciukci, iDolgan, gli Entsy, gli Evenk, gli Even, gliItel'men, i Ket, i Khanti, i Koryak, i Mansi,i Nanai, i Negidal, gli Nganasan, i Nivkhi,gli Orochi, i Sel'kup, i Tofalar, gli Udege,gli Ul'chi e gli Yupigyt. Nell'estremo sud-est, gli Udege condividono la loro terracon gli orsi e con la rara tigre siberiana,che per loro è sacra. Più a nord, invece,nella tundra, l'ecosistema è così fragileche, per crescere ad altezza-uomo, unalbero può impiegare anche più di 50anni. Per sopravvivervi, i popoli indigenifanno affidamento solo sui branchi direnne, di cui seguono i cicli migratori por-tandosi appresso case mobili fatte di pelli.

Fino alla metà degli anni ’80, molti deipiccoli popoli del Nord furono sedentariz-zati e perseguitati dal regime sovieticoche arrivò persino a uccidere i loro scia-mani e a distruggere sistematicamente leloro culture e le loro lingue. Ma a minac-ciare oggi la loro sopravvivenza sonosoprattutto le industrie petrolifere e delgas. Nella Siberia occidentale, alte fiammebruciano giorno e notte i gas in ecceden-za e il petrolio finisce spesso nei fiumiuccidendo i pesci e la vegetazione. Leforeste sono state tagliate e i pascoli dellerenne devastati. Lo stile di vita e la sussi-stenza dei Khanty sono stati compromes-si dall’estrazione della ghiaia dal letto delfiume Sob. Nel sud-est, le foreste degliUdege vivono sotto la costante minacciadei taglialegna mentre nel nord-est, leterre degli Evenk, degli Even e degli Yuka-gir sono state contaminate dalle radiazio-ni dei test nucleari. Il tasso di inquina-mento delle terre indigene è così alto daaver già compromesso la salute dei popo-li che vi abitano. A causa delle radiazioni,l'incidenza dei casi di cancro ha raggiuntolivelli altissimi e le malattie respiratoriesono molto diffuse. Un bambino EvenkTchita ogni cinque ha la tubercolosi; lametà soffre di disordini neurologici. Lenascite diminuiscono e l'aspettativa divita è di 18 anni inferiore a quella delresto della popolazione russa.

“Non voglio nient'altro che la mia terra. Ridatemi la miaterra, perché io possa pascolare le renne, pescare e cacciare.Ridatemi la terra dove i miei cervi non siano attaccati daicani randagi, dove i miei sentieri di caccia non siano calpestati dai bracconieri o inquinati dai veicoli, dove i fiumi e i laghi non siano macchiati di petrolio. Voglio unaterra in cui la mia casa, i miei santuari e le tombe dei mieicari possano restare inviolati. Ridatemi la mia terra, nonquella di altri. Anche soltanto un pezzettino, ma che siadella mia terra”. Anziano Khanty, 1989

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I piccoli popoli del nordSiberia

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Enawene Nawe Brasile

“Non avremmo mai pensato che potesseroarrivare così in tanti. Fino a cinque annifa non c’era nessuno… Sono sempre piùnumerosi e, un ranch dopo l’altro, sistanno avvicinando sempre più alle rivedel fiume. Questi inuti sono molto diversida noi. Distruggeranno tutto e così non cisaranno più pesce né feste né antenati, enoi moriremo. Noi, gli Enawene Nawe,non distruggeremmo mai la foresta.Vogliamo che gli animali vivano e deside-riamo tanto che la terra si conservi bellaper sempre.” Kawari, Enawene Nawe, parla conFiona Watson di Survival, 2005

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Portano la frangetta corta e lunghicapelli sulla schiena, rasati appena soprale orecchie. Non appena arriva la stagio-ne propizia, tutti i componenti del grup-po di sesso maschile, bambini e anzianicompresi, si trasferiscono negli accampa-menti di pesca. Costruiscono grandidighe di tronchi lungo i fiumi, catturanoil pesce con nasse di giunchi e dopoaverlo affumicato, lo riportano al villag-gio con le canoe. A volte restano lontaniper mesi. Anche la raccolta del miele èaffidata agli uomini e viene celebratacon la festa del keteoko. Dopo avernetrovato grandi quantità, i cercatori fannofinta di rientrare a casa a mani vuote. Ledonne li canzonano ma poi l’ingannoviene svelato e tutti iniziano a danzare.

Gli Enawene Nawe sono poco meno di500 e vivono tutti insieme in un unicovi l laggio composto di grandi casecomuni. Fatto molto insolito per unpopolo amazzonico, non cacciano e nonmangiano carne rossa. Sono entrati incontatto con il mondo esterno solo nel1974, quando furono raggiunti dai mis-sionari gesuiti, ma, da allora, continua-no a limitare al minimo le interazionicon l’esterno. Il loro isolamento vienerotto soprattutto nei momenti del biso-gno, quando devono affrontare leminacce che gravano sul loro futuro.Alcune delle loro zone di pesca sonostate invase da allevatori e coltivatori disoia che tagliano gli alberi e inquinano ifiumi con i pesticidi. Blairo Maggi, unodei più grandi produttori mondiali disoia nonché governatore dello stato delMato Grosso, ha costruito una stradaillegale nella loro terra; inoltre, il gover-no ha annunciato il progetto di costru-zione di un vasto complesso idroelettri-co sul fiume Juruena, che scorre attra-verso le terre indigene. Con il sostegnodi Survival, la tribù ha lanciato unagrande campagna internazionale perproteggere tutta l’area e far includerenel loro territorio il bacino del Rio Preto,un cruciale e delicato ecosistema rima-sto escluso dalla demarcazione effettua-ta dal governo nel 1996. Dalla preserva-zione della vita ittica del fiume dipen-dono non solo il sostentamento dellatribù ma anche la sopravvivenza dellasua peculiare identità.

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Non è dato sapere esattamente quanti siano masappiamo con certezza che esistono: lo provanoalcuni incontri fortuiti e le tracce che lasciano die-tro di sé: frecce, utensili e case abbandonate infretta e furia. Anche se il numero dei membri diogni singolo popolo varia moltissimo, da un solosopravvissuto fino a cento o duecento persone,tutto lascia pensare che siano un centinaio. In Bra-sile ne sono stati individuati almeno 40, 15 inPerù. In Asia li troviamo nelle Isole Andamane e inNuova Guinea. Il resto vive tra Bolivia, Colombia,Ecuador e Paraguay. Ognuno di questi popoli èunico e le loro lingue, le loro culture e le loro visio-ni del mondo sono insostituibili. Sono sicuramentei popoli più vulnerabili del pianeta.

Dei popoli incontattati si sa molto poco se nonche il loro isolamento è sempre frutto di una scel-ta obbligata, compiuta per sopravvivere alle inva-sioni. Molti hanno sofferto la perdita dei loro cariper mano dell’uomo bianco nel corso di decennidi massacri silenziosi o per effetto del dilagare dimalattie introdotte dall’esterno come influenza,morbillo e varicella. Spesso sono essi stessi deisopravvissuti, o discendono da sopravvissuti adatrocità commesse in epoche precedenti; violenzeraccapriccianti che hanno lasciato segni indelebilinella loro memoria collettiva inducendoli a rifug-gire da ogni contatto con il mondo esterno. Tal-volta hanno, o hanno avuto, sporadici rapporticon i popoli indigeni più vicini ma, qualunque siala loro storia personale, nella maggior parte deicasi, la loro fuga continua ancora oggi.

Sono circondati su tutti i fronti, in ogni paese delmondo. Le compagnie petrolifere e di disbosca-mento invadono i loro territori in cerca di risorsenaturali; i coloni usurpano le loro terre e le conver-tono in allevamenti di bestiame e aziende agricole.Le strade aprono le porte a bracconieri, missionarifondamentalisti, epidemie e turisti. Le foreste dacui dipendono per il loro sostentamento vengonotagliate a ritmi vertiginosi; la selvaggina è semprepiù scarsa. Anche se cercano di sopravvivere all’a-vanzata della “civilizzazione” rifugiandosi in luo-ghi sempre più remoti, mantenersi in salvo stadiventando ogni giorno più difficile.

A dispetto di quanti pensano che siano reliquie delpassato, reperti archeologici destinati inevitabil-mente all’assimilazione culturale ed economica,oppure all’estinzione, la storia dimostra che lad-dove le loro terre vengono riconosciute legalmen-te e protette in modo adeguato, il loro futuro èassicurato. Decidere se e quando interagire con glialtri è una decisione che spetta solo a loro. Nelfrattempo, a noi resta un solo, difficile compito:quello di fare in modo che il loro inequivocabileammonimento al mondo estero – “State alla larga!”– venga rispettato.

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Popoli incontattatiLe immagini della tribù amazzonica isolata fotografata nel maggio 2008 in Brasile, appena al di là delconfine peruviano, hanno avuto una copertura mediatica senza precedenti. Nonostante il tono sensazionalista con cui alcune testate hanno diffuso la notizia, José Carlos dos Reis Meirelles, il funzionariodel Funai che ha effettuato il rilevamento aereo, ha certamente raggiunto l’obiettivo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla minaccia che grava sui popoli della zona. L’esistenzadelle tribù incontattate non è una leggenda paragonabile a quella del mostro di Loch Ness, come affermatotempo fa dal presidente del Perù Alan Garcia e dai portavoce della compagnia petrolifera di stato nel tentativo di svicolare dalle proprie responsabilità. E non è nemmeno “una bufala”. A settembre, il giornalebritannico The Observer, responsabile di aver insinuato che la notizia fosse una farsa, ha presentato le suescuse ufficiali ai lettori e a Survival per aver fornito una versione “menzognera e distorta” dei fatti.

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Papuasi Papua, Nuova Guinea

“Di Amungme mi è rimasto solo il nome. Le montagne, i fiumi, le foreste, ora appartengono tutti al Governo e alla Freeport.Io non ho più nulla." Leader Amungme

Nella terra degli Amungme sorge la Grasberg, la più grande miniera di rame e oro del mondo, di cui la Freeport è la proprietaria di maggioranza. Dopo anni di campagne da parte di Survival e altre organizzazioni umanitarie, la Banca Mondiale ha finalmente smesso difinanziare alcuni dei progetti di integrazione più brutali concepiti dal governo indonesiano. Tuttavia, le abbondanti risorse naturali diPapua continuano a essere sfruttate intensamente sotto la protezione dell’esercito. Omicidi, sequestri di persona e torture sono all’ordine del giorno. Nelle aree dove la presenza dei militari è più massiccia, centinaia di persone muoiono di fame o malattia perchéhanno troppa paura per uscire dai loro nascondigli. Donne e bambine subiscono sistematicamente stupri singoli e di gruppo, fin dai 3anni di età. Nonostante questo, continuano a resistere e combattere invocando con voce sempre più forte il loro diritto di decidere delloro futuro e di vivere in pace nelle loro terre.

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La Nuova Guinea è la seconda isola piùgrande del mondo. Vanta una sorpren-dente ricchezza di culture e custodisce il15% delle lingue conosciute sul pianeta.Papua, la metà occidentale dell'isola, èabitata da più di 2 milioni di persone. Isuoi popoli indigeni sono almeno 312 maè accertato che ve ne siano anche altri,forse 40, che non hanno mai avuto con-tatti con l'esterno.

Gli Olandesi colonizzarono Papua nel 1714ma la loro presenza sul territorio fu semprelimitata. Nel 1950, quando cedetteroall'Indonesia le colonie orientali, escluseroPapua con l'intento di prepararla all’indi-pendenza. I Papuasi cominciarono a sce-gliersi una bandiera e un sistema di gover-no. Ma l'Indonesia non sembrava dispostaa rinunciare al territorio nonostante i suoiabitanti, di origine melanesiana, non aves-sero con lei nessun legame etnico né geo-grafico. Sottoposti alle pressioni degli StatiUniti, che erano spaventati dalla prospetti-va di un’alleanza dell’Indonesia con l’U-nione Sovietica, nel 1962 gli Olandesiaccettarono un accordo me diato dall’ONU:avrebbero continuato ad amministrare ilpaese in attesa di un referendum con ilquale i Papuasi avrebbero potuto sceglierefra indipendenza o an nessione. Finalmen-te, nel 1963, ebbe luo go l'Atto di LiberaScelta. Al voto furono però ammesse solo1.025 persone che, con una pistola punta-ta alla tempia, votarono al l'unanimità perl’Indonesia. L'assunto razzista che i Papua-si fossero troppo “primitivi" per decidereda soli del loro futuro in dusse la comunitàinternazionale a sorvolare sulla manipola-zione del voto.“Non pos so immaginare che igoverni di Stati Uniti, Giappone, Olanda oAustralia possano mettere a rischio le lororelazioni con l’Idonesia per una questione diprincipio che riguarda un numero relativa-mente piccolo di uomini molto primitivi"dichiarò un diplomatico britannico nel1968. Il risultato sono stati 40 anni dioppressioni e brutalità che han no già ucci-so migliaia di persone e che, per ferocia evastità di proporzioni, sono classificaticome i peggiori abusi perpetrati oggi con-tro i popoli tribali del mondo.

Nelle regioni montuose di Papua abitano tri -bù spesso chiamate collettivamente Kotekasdal nome delle zucche vuote con cui gli uo -mini coprono il pene. Tradizionalmente alle-vano maiali, coltivano patate dolci, caccianoe raccolgono radici, bacche e noci. Tra loroci sono i Dani e gli Amungme.

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“In questa terra ci sono le nostre radici. Questa terra è l'ori-gine dei nostri nonni, delle nostre madri e dei nostri padri, èl'origine dei nostri antenati sin dalla notte dei tempi. Comepuò il governo sostenere che non è la nostra terra?”Uomo Penan, Sarawak

I Penan, i gentili nomadi del Borneo,vivono nell'entroterra dei fiumi delSarawak. Le loro foreste, intersecate daun labirinto di percorsi di caccia e vie discambio, sono delimitate da ruscelli,fiumi, rocce e montagne, a ognuno deiquali i Penan hanno dato un nome pro-prio. Nella loro società egualitaria nonvigono gerarchie e nessuno può costrin-gere un'altra persona a fare qualcosa. Ibambini aiutano a procurare il cibo, acacciare, a raccogliere legna da ardere, esono considerati membri effettivi dellasocietà; per questo, godono fin da pic-coli dei privilegi che ne derivano. Ai cac-ciatori è proibito mangiare un solo boc-cone in più di quanto non venga datoagli altri, qualunque sia la dimensionedella preda, e la condivisione viene dataper scontata al punto che nella loro lin-gua non esiste una parola per dire “gra-zie". I Penan fanno grande uso del sago,una palma selvatica che cresce moltorapidamente. Sbriciolando e filtrando ilsuo legno ottengono una farina ricca diamido che, insieme alla carne e ai fruttiselvatici, garantisce loro una delle dietepiù sane del mondo.

A partire dai primi anni '70, tutti i popo-li tribali del Sarawak sono stati sfrattatidalle loro terre per far spazio alle compa-gnie del legname, alle dighe e alle pian-tagioni di palma da olio. Costretti a vive-re in villaggi, le tribù si sono progressiva-mente ridotte in condizione di estremapovertà. Anche i 10.000 Penan sono statiin parte sedentarizzati ma continuano adipendere in modo sostanziale dallaforesta e circa 500 di loro conduconoancora una vita completamente nomade.E così, mentre le loro foreste vengonoabbattute ad uno dei ritmi più alti delmondo, mentre i fiumi si riempiono diterra, l'inquinamento uccide i pesci e laselvaggina fugge via, i Penan resistonostrenuamente alle ma lattie portate dal-l'acqua inquinata e alle violenze perpe-trate dai dipendenti delle compagnie dellegname. Dal 1987, uo mi ni, donne ebambini hanno cominciato a erigere bar-ricate umane lungo le vie di accesso deibulldozer, presidiandoli talvolta per mesi.Il governo risponde picchiando e incar-cerando i dimostranti. Ma i Penan e lealtre tribù restano determinati a lottareper impedire la distruzione dell'ultimaparte di foresta rimasta.

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Penan Sarawak

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Dongria KondhIndia

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La Vedanta è una delle 100 società piùcapitalizzate del mondo. È quotata alloStock Exchange di Londra (FTSE-100) e adetenere la maggior parte delle sue quoteazionarie sono il miliardario indiano AnilAgarwal e alcune tra le più grandi bancheeuropee. Contro di lei, il piccolo popolodei Dongria Kondh sta costruendo freccee asce con il fermo intento di impedirle didevastare la sua montagna sacra.

Si sono dati il nome di Jharnia, ovvero“protettori dei torrenti” perché a lorospetta il compito di proteggere NiyamDongar e i fiumi che sgorgano dalle suedense foreste. Contano circa 8.000 perso-ne e costituiscono una delle tribù più iso-late del continente indiano. Vivono inpiccoli villaggi lungo i pendii delle collinedi Niyamgiri, un territorio di spettacolarebellezza, coperto di dense foreste popo-late da una grande varietà di animali tracui tigri, elefanti e leopardi. Sui fianchidelle colline, i Dongria coltivano le messi,raccolgono frutti spontanei e selezionanofoglie e fiori da vendere al mercato. Sullacima di Niyam Dongar, la montagna sacrache sovrasta le colline, dimora il Dio dacui i Dongria discendono. Per loro non èsolo un santuario ma anche un sito d’im-portanza cruciale per l’intero ecosistemadelle colline. È la montagna, infatti, checonsente ai numerosi corsi d’acqua e allalussureggiante foresta che sostiene iDongria di continuare a prosperare.

Purtroppo, i Dongria Kondh non sono isoli ad avere tanto a cuore la montagna.Sulla sua cima, infatti, sono stati indivi-duati vasti giacimenti di bauxite, unaroccia sedimentaria da cui si estrae l’al-luminio. E la Vedanta si sta preparandoad aprirvi una grande miniera a cieloaperto. Il progetto prevede il disbosca-mento della vetta della montagna e lacostruzione di strade e nastri trasporta-tori lungo i suoi fianchi. Esplosivi e mac-chinari pesanti potrebbero restare in fun-zione giorno e notte profanando einquinando l’area in modo irreversibile.Per i Dongria Kondh sarebbe la fine.Disposti a morire pur di impedire la con-versione di Niyamgiri in una zona indu-striale desolata, i Dongria Kondh hannocominciato a organizzare proteste dimas sa, a bloccare le strade e a studiareun ricorso alla Corte Suprema per viola-zione dei loro diritti culturali e religiosi.Non sono disposti ad arrendersi e Survi-val continuerà a restare al loro fianco.

“Non possiamo vivere senza Niyamgiri. Come può un pesce vivere senz’acqua?” Suresh Wadaka, anziano Dongria Kondh

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Nukak Colombia

Ewapa, la donna più anziana della tribù deiNukak, è morta di malaria e malnutrizioneil 28 aprile 2008. È deceduta nella cittadi-na di San Josè, dove ha trascorso gli ultimianni della sua vita da rifugiata. Disperata edepressa, era ridotta pelleossa.

I Nukak sono un popolo di cacciatori rac-coglitori nomadi e vivono in piccoli grup-pi famigliari presso le sorgenti dei fiumiInírida e Guaviare, nell’Amazzonia colom-biana. Per cacciare usano lance e cerbot-tane lunghissime, capaci di scagliare agrande distanza, e con enorme precisione,le frecce intinte nel curaro. Si spostano incontinuazione e, quando sono stanchi,costruiscono ripari leggeri fatti di bastonie foglie di palma, appena sufficienti perappendervi sotto un’amaca e proteggere ilfocolare dalla pioggia.

La tribù è entrata in contatto con il mondoesterno nel 1988. Allora contava 1.200 per-sone. Oggi ne sopravvivono meno dellametà. A ucciderli sono state violenze e ma -lattie introdotte dagli invasori al momentodel contatto. Nonostante le difficoltà, illoro futuro sembrava comunque assicurato.A seguito di una grande campagna di Sur-vival, infatti, nel 1991 il loro territorio erastato dichiarato area protetta. Ma nel 2005,quando l’area è stata progressivamenteinvasa dai coltivatori di coca, la situazioneè precipitata. Rapidamente, la foresta deiNukak si è trasformata in teatro di guerra.A contendersi il controllo del traf fico delladroga sono arrivate ingenti forze armateappartenenti alle FARC, i guerriglieri disinistra, e all’AUC, i paramilitari di destra.L’esercito regolare, sopraggiunto a presidia-re l’area, ha cominciato a cospargere diser-banti sulle piantagioni contaminando i ter-reni e le risorse alimentari degli Indiani.Ritrovatisi improvvisamente soli nel mezzodei fuochi incrociati di una battaglia sem-pre più violenta, a piccoli gruppi, i Nukakhanno cominciato a fuggire e ad abbando-nare le loro terre in cerca di aiuto fino aldrammatico esodo verso San Josè. Era ilmarzo del 2006.

Da quel giorno, più della metà dei Nukaksopravvive dell’inefficace assistenza go -vernativa nei sobborghi della cittadina onell’insediamento allestito provvisoria-mente dalle autorità in una zona poveradi risorse naturali. Cercando di resisterealla malnutrizione, all’influenza e al mor-billo che hanno cominciato a mietere vit-time, i Nukak aspettano disperatamente dipoter tornare a casa.

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“Usciti dalla foresta, entusiasti della civiltà. I Nukak, sbucati dall’età della pietradirettamente sulla piazza di una cittadina colombiana, apprezzano la novità.” New York Times, 11 maggio 2006

A poche ore dalla sua pubblicazione, l’articolo del New York Times fu ripreso dai principali quo-tidiani di tutto il mondo suscitando grande sgomento nei sostenitori dei popoli indigeni. Anzi-ché correggere la superficiale e fuorviante interpretazione del drammatico esodo dei Nukak for-nita dal giornale americano, infatti, la stampa internazionale ne accentuava i toni sensazionali-sti. I Nukak venivano invariabilmente descritti come “primitivi stanchi di vivere allo stato selvag-gio”, come “uomini dell’età della pietra” decisi ad andare finalmente “a fare shopping in città”.Le cornici esotiche in cui le tragedie dei popoli indigeni vengono troppo spesso confinate daimedia, costituiscono una grave minaccia alla loro sopravvivenza. Contribuiscono in modo irre-sponsabile ad alimentare stereotipi e pregiudizi utilizzati ancora oggi da governi e multinazio-nali per sedentarizzarli e aiutarli, “per il loro bene”, a “stare al passo con il resto del mondo”.

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Wichí Argentina

“È stata un'iguana a mettermi nei guai. Una mattina di quattro anni fa, io dissi a mio figlio: ‘Vieni, andiamo a caccia di iguana’. Ci mettemmo in cammino. Uno dei nostri cani sentì l'odo-re di un'iguana, la trovò e la stanò. L'avevo già uccisa e messa nel sacco quando mio figlio midisse: ‘C'è un ragazzo bianco che viene da questa parte...’ Era in bicicletta e aveva con sé quat-tro grossi cani e una pistola. ‘Cosa fate qui?’, chiese. ‘Io sono il proprietario di questa terra enon ci voglio Indiani. Vi proibisco di cacciare da queste parti.’ Poi mi sparò mirando alla testa.Era a cinque metri e mi sparava come se fossi stato un giaguaro. I primi due colpi mi manca-rono... Il colpo successivo mi sfiorò la testa e l'esplosione mi squarciò il sopracciglio. Ora daquell'occhio sono mezzo cieco. Il quarto colpo mi colpì alla spalla. Il proiettile è ancora lì...Cercò di spararmi ancora ma la sua pistola si inceppò... Allora ci aizzò contro i cani. Uno diloro mi azzannò la gamba e penetrò con i denti fino al tendine... Il ragazzo prese il machete ementre io tendevo il braccio in fuori per difendermi, mi tagliò; una fetta di carne rimase pen-zoloni... Se non fosse stato per mio figlio, che riuscì a disarmarlo, mi avrebbe ucciso.”Dal racconto di Qatsí (“Colui che sta a casa") a Survival, 1991.

Due anni dopo, il figlio di Qatsí morì avvelenato. Qatsí è convinto che sia stata la madre di quel ragazzo.

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Vanno a caccia di iguane, daini e volpi.Coltivano fagioli, zucchine, meloni emais, e raccolgono erbe selvatiche come ilchaguar, che filano e tessono. Durante lastagione secca, quando il livello dei fiumiè basso, vivono dei pesci che catturanocon una rete tesa tra due pali. Immersinell’acqua fangosa fino alla vita, percepi-scono la presenza del pesce scrutando imovimenti dell’acqua sulla superficie. Aquel punto gettano la rete e, nuotandoverso il fondo, avvolgono la preda nellatrappola.

La vita dei 40.000 Wichí nell’arida e sten-tata foresta del Chaco argentino non èmai stata tanto dura. In meno di un seco-lo, coloni e allevatori hanno trasformatole loro rigogliose foreste brulicanti di vitain un deserto sabbioso e sterile. La terra èmorta e loro muoiono di fame. Ma non so -no disposti ad arrendersi. Da anni aspetta-no che il governo renda attuativo undecreto firmato nel 1991 dal governatoredella provincia di Salta che ha riconosciu-to il loro diritto alla proprietà collettivadella terra ancestrale. Nel frattempo, ladeforestazione continua e si moltiplicanoi progetti di sfruttamento commercialedella regione.

Nel 1990, quando decisero di passareall’azione, i Wichí fondarono una propriaassociazione e la chiamarono ThakaHonat, “la nostra terra”. Quindi, con ilsostegno tecnico-economico di Survivale di due antropologi di fiducia, comin-ciarono a censire le loro comunità, aregistrare la storia orale della loro vita nelChaco prima e dopo la colonizzazione e,cosa più importante, a compilare unamappa dell’intera regione per mo-straretutti i luoghi usati dal loro popolo datempo immemorabile. Volevano provarein modo inconfutabile la loro intimaconoscenza del territorio e rivendicarnela proprietà. E ci riuscirono. Il 7 agostodel 1991 il governatore di Salta ricevetteformalmente il rapporto e la mappa.Pochi mesi dopo fu firmato il decreto.

Oggi i Wichí hanno elaborato sofisticatiprogetti di recupero delle loro terre e deiloro saperi botanici e farmacologici.Confidano di poter riavere presto la loroterra ma fino a quando questo nonavverrà, Survival continuerà a restare alloro fianco.

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Allevano mucche, cammelli, pecore e ca -pre, e occupano vaste aree dell’Africa o -rien tale: circa il 70% del Kenia e il 50% diUganda e Tanzania. Generalmente, abita-no in zone molto aride dove i fiumi sonopochi e le piogge scarse. Ciononostante,un tempo riuscivano a superare anche legrandi siccità attraverso una sapientegestione collettiva delle terre. Utilizzandole risorse in modo intermittente e diversifi-cato, i popoli pastori hanno contribuito acreare e mantenere l’ecologia della savanae la sua fauna straordinaria. Ma oggi illoro mondo è in pericolo.

Le terre dei Masai del Kenia sono stategradualmente trasformate in aziende agri-cole e allevamenti di bestiame a partiredall’epoca coloniale. Via via sono statirelegati nelle aree meno fertili del paese eil loro nomadismo è stato fortemente limi-tato. Ma a sacrificare i loro ultimi pascolinel nome della conservazione è oggi ungoverno che non esita a ricorrere alla frodeper privarli dei loro diritti territoriali e cherisponde col silenzio alla loro richiesta dipoter partecipare alla gestione delle areeprotette. Nel 1958, quando vennero sfrat-tati da quello che è oggi il Parco Na zionaledel Serengeti, ai Masai venne promesso unindennizzo e il diritto di vivere per semprepresso il cratere di Ngorongoro, loro terraancestrale. Ma gli impegni non sonoancora stati mantenuti.

Per i Masai, l’allevamento del bestiame èciò che rende bella la vita, e carne e lattesono i loro cibi preferiti. Fin da piccoli,maschi e femmine si preparano ad assu-mere ruoli diversi nella società, organiz-zata secondo l’età dei sui componenti.Mentre le bambine affiancano le madrinella ricerca di acqua e legna, i bambiniseguono gli anziani lontano dai villaggiper apprendere le sofisticate tecnichedella pastorizia. A sedici anni possonopassare al rango di Guerrieri, cui spettaanche il compito di difendere le mandrieda predatori e ladri. Ma per diventareAnziani devono raggiungere la maturitànecessaria per partecipare alle assembleedel villaggio e contribuire in prima per-sona al mantenimento dell’armonia tra ivari gruppi d’età e tra le varie tribù.

Costretti, per sopravvivere, ad adottareuno stile di vita sempre più stanziale, apraticare l’agricoltura e vendere artigianatoai turisti, i Masai continuano a lottare per iloro diritti insieme agli altri popoli pastori.

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Masai Kenia, Tanzania

“Tratta bene la Terra! Non è un’eredità dei nostri padrima un prestito dei nostri figli”. Antico detto masai, Kenia.

Per i Masai di Kenia e Tanzania, Endoinyo Ormoruwak, la “Collina degli Anziani", è un luogo sacro. Si trova a metà strada tra la montagna bianca, il Kilimangiaro, e la montagnanera, il Monte Meru, ed è il luogo in cui le forze opposte chequeste montagne rappresentano si incontrano e riconciliano.Qui, ogni 15 anni circa, si svolge il rituale di iniziazioneOlng'eherr nel corso del quale i Guerrieri diventano Anziani.Oggi, la collina è stata invasa dai coloni e il governo minacciadi toglierne l’accesso ai Masai.

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Inuit Russia, Groenlandia, Alaska, Canada

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Gli antenati degli Inuit contemporaneigiunsero in Alaska prima che il ponte diterra dello stretto di Bering venisse som-merso. Erano abili cacciatori di balene e difoche e, oggi come allora, la caccia conti-nua ad avere per loro un'importanza vitale.Gli Inuit onorano gli animali con scultureche li hanno resi famosi. Foche, balene, orsipolari e gufi delle nevi vengono scolpiti inossa di balena, caribù o steatite. Alcunecomunità hanno fondato cooperative d'artegrafica dove pietre, ceppi e tecniche occi-dentali vengono usati per dare all'arte inuitnuovi mezzi espressivi. Durante l'inverno,quando il Sole non sale al di sopra dell'oriz-zonte, le famiglie trascorrono molto tem poin casa. Le donne confezionano stivali dipelle di foca cucendo i vari pezzi senzaforare la pelle da parte a parte in modo darenderli impermeabili. Gli uomini preparanol'attrezzatura per la caccia. Oltre a cacciare,molti Inuit lavorano per l'industria petroli-fera e le banche oppure insegnano nellescuole locali.

Protetti da un ambiente tanto inospitale, gliInuit hanno vissuto relativamente indistur-bati fino al 1968, quando fu scoperto ilpetrolio nella baia di Prudhoe. Tutto d'untratto, il loro mondo cambiò. Gli attentatiall’ambiente e alla fauna selvatica si aggra-vavano di giorno in giorno e mentre le tradi-zioni che costituivano le fondamenta dellavita inuit si sgretolavano, cominciarono adilagare alcolismo e suicidi. Sotto la spintadei movimenti ambientalisti, negli anni ’80vennero messe al bando la caccia alla foca ealla balena e l’economia di sussistenza degliInuit subì un tracollo devastante. Conquista-re il diritto alla caccia di sussistenza, se purvincolata, ha richiesto agli Inuit lunghe efaticose trattative, durante le quali sono statiassistiti da Survival. Il primo aprile del 1999,inoltre, dopo 15 anni di negoziati, il governocanadese ha offerto agli Inuit del Nord-Ovest il diritto di proprietà su di un quintodella loro terra (Nunavut) e il permesso dicacciare e pescare in un'altra zona – finchénessun altro la vorrà! Oggi, nei villaggi pre-fabbricati, costellati di antenne televisive emotoslitte, la cultura inuit rimane comun-que forte: nelle scuole si parla sia l’inuktitutsia l’inglese e le stazioni radiotelevisive tra-smettono in lingua. Ma senza il pieno rico-noscimento dei loro diritti alla terra, alla vitae all’autodeterminazione sull’intera patriaartica, il recupero dei loro gravi problemisociali resterà incerto.

“Prima, a scandire i ritmi della nostra vita era il susseguirsidelle stagioni. Ad agosto raccoglievamo il muschio per iso-lare le case di terra. A settembre ci preparavamo all’arrivodella neve. Ora, la nostra sola preoccupazione mensile èl’arrivo del sussidio governativo. È arrivata la bolletta deltelefono? C’è l’affitto da pagare? Oggi, i nostri mesi sonoscanditi dalla preoccupazione dei soldi”.Ootoovah, donna inuit.

Gli Inuit sono circa 110.000 e la loro terra natale si estende dallapunta nordorientale della Russia fino alla Groenlandia passandoattraverso l’Alaska e il Nord del Canada.

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“Se abbiamo un raggio di speranza per la nostra sopravvivenza,è solo grazie al vostro impegno.” Portavoce Jumma rivolto ai sostenitori di Survival, 1999

Nell'aprile 1992, con un bollettino d’Azione Urgente, Survivaldenunciò il massacro di 1.200 Jumma del villaggio di Logang,bruciati vivi dai militari. Nel novembre 1993, l'esercito e i colonibengalesi si allearono per disperdere una manifestazione pacificache si stava svolgendo a Naniachar: massacrarono oltre 100 indi-geni e ne ferirono più di 500.

Le Chittagong Hill Tracts (CHT) sonocolline ripide e scoscese lungo le qualigli abitanti originari praticano un sofi-sticato sistema di coltivazione a inter-mittenza. Tagliano e bruciano la vege-tazione di superficie prima di piantareuna mistura di sementi che fornisceloro una gran varietà di cibo per tuttol'arco dell'anno. Al termine del ciclo, sispostano su nuovi pendii per dare allaterra il tempo di rigenerarsi. Questometodo di coltivazione è conosciuto alivello locale come “jhum”, da cui ilnome collettivo di “Jumma” assegnatoalle tribù.

Gli Jumma delle CHT sono una popo-lazione di circa 600.000 persone, sud-divise in 11 tribù diverse. Si differen-ziano dalla maggioranza dei Bengalesidel Bangladesh per cultura, religione,lingua e origini etniche. Le tribù piùnumerose sono quelle dei Chakma(350.000) e dei Marma (140.000),entrambe buddiste. L' importanzaattribuita dai buddisti ai testi sacri hacontribuito a far sì che fra le tribùdelle CHT ci sia il più alto grado dialfabetizzazione del paese.

Il governo del Bangladesh considera leCHT come terre disabitate su cui tra-sferire le masse dei coloni bengalesipoveri. Cinquant’anni fa, gli Jummaerano gli unici abitanti delle colline,oggi sono diventati una minoranzanella loro stessa terra. Oltre ad esseresfrattati dagli invasori, ai quali vengo-no assegnate le terre migliori, gliJumma sono anche stati sconvoltidalla violenta repressione dell’esercitobengalese. Dal 1971, anno in cui ilBangladesh ha conquistato l’indipen-denza, gli Jumma vengono sistemati-camente assassinati, torturati, stuprati,e i loro villaggi bruciati. Per difendersidagli attacchi di questa politica geno-cida, gli Jumma hanno dato vita ad unpartito politico, la Jana Samhati Sami-ti che, anche grazie alle pressioni diSurvival, nel 1997 è riuscito a strappa-re al governo la firma di un accordo dipace che ha posto fine alle atrocitàpeggiori. Nonostante questo, periodi-camente gli Jumma continuano adessere espropriati delle loro terre e asubire atroci violenze.

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“Conoscete la questione dei Basarwa (Boscimani)... È paragonabile a quella degli elefanti: tempo fa abbiamo avutoun problema simile quando volevamo eliminarne un certo numeroma in tanti si opposero.” Margaret Nasha, ministro del governo locale, 26 febbraio 2002

Secondo il governo del Botswana, il trasferimento dei Boscimani neicampi di reinsediamento sarebbe avvenuto spontaneamente e sarebbestato legittimato dalla necessità di proteggere la fauna del Kalahari edi fornire benessere e sviluppo a “creature dell’età della pietra” altri-menti “destinate a estinguersi come il Dodo”. Ma è ormai evidenteall’intera comunità internazionale che la vera ragione sono i vastigiacimenti di diamanti individuati all’interno della Riserva.

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Boscimani Botswana

New Xade sorge a 100 km a ovest dellaCentral Kalahari Game Reserve. È uno dei“campi di reinsediamento" in cui il Gover-no del Botswana ha trasferito a forza i Bo -scimani Gana e Gwi tra il 1997 e il 2002.Lì, il più antico popolo del mondo lottaper sopravvivere con le magre razioni dicibo che il governo gli distribuisce tradisperazione, alcolismo e malattie primasconosciute, compreso l'Aids. Per il gover-no, i campi dispensano servizi e sviluppo;per i Boscimani sono luoghi di morte.

I Boscimani sono gli abitanti originari del-l'Africa meridionale e per decine di mi -gliaia di anni sono riusciti a sopravviverein uno degli ambienti più ostili della Terragrazie alla loro intima conoscenza dellasua flora e della sua fauna. Sopravvissutial genocidio che ha annientato moltetribù vicine, i Gana e i Gwi sono rimastipraticamente gli unici a condurre una vitain larga misura autosufficiente, basatasulla caccia e sulla raccolta. O almeno cosìè stato fino a pochi anni fa, quando ilGoverno ha cominciato a sfrattarli con laforza dalla Riserva del Kalahari, istituitanel 1961 proprio per proteggere loro e laselvaggina da cui dipendevano. Il governoaveva già cercato di persuadere i Boscima-ni ad andarsene “spontaneamente” me -diante intimidazioni, torture e restrizionialle loro licenze di caccia. Ma presto, difronte alla loro resistenza, si rese contoche cercare di rendergli la vita difficile nonsarebbe servito allo scopo. I Boscimanirifiutarono di spostarsi anche quando leautorità cementarono i loro pozzi e svuo-tarono le scorte d'acque nella sabbia proi-bendo a chiunque, inclusi i turisti, di por-tare loro soccorso.

Dopo anni di sofferenze, il 13 dicembre2006, l’Alta Corte del Botswana ha final-mente chiuso il processo più lungo e costo-so della storia del paese nonostante a in -tentarlo siano stati proprio i suoi cittadinipiù poveri e marginalizzati. Con una sen-tenza che sta già facendo storia e giurispru-denza, i giudici hanno definito illegali eincostituzionali i trasferimenti operati dalgoverno e hanno riconosciuto ai Boscimaniil diritto di vivere per sempre nelle terreancestrali, e di praticarvi liberamente la cac-cia e la raccolta. Ma le autorità continuano aostacolare in ogni modo il ritorno a casa deiBoscimani negando loro anche l’accessoall’acqua. La campagna di Survival continua.

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“Sono nato qui, e vivo in questa terra da moltissimotempo. A crearci è stato Gugama, il creatore, in untempo tanto lontano che non posso sapere quandoavvenne. Anche gli animali sono stati creati da Dio,per noi. Questo è il nostro posto, la nostra casa, e quitutto ci dà vita. Ma adesso accade questa cosa deltrasferimento... io non conosco tutta la verità alriguardo. Loro arrivano e dicono che devo trasferirmi,che questo luogo è riservato agli animali. Ma perchéio devo andarmene se gli animali possono restare? Sono nato in questa terra, insieme all’antilope. E dob-biamo restare insieme. La mia forza è la forza deglianimali che un tempo mio padre cacciava e mia madrecucinava. Gli animali mi hanno dato tutto quello chevedi. Sono nato con loro e devo stare con loro. Questoè mio diritto di nascita: qui dove giace il corpo di miopadre, nella sabbia. Chi sono costoro che vogliononegarmi la vita che Dio mi ha dato? Perché il governopensa di essere più importante delle persone? Algoverno interessa solo prendersi ciò che noi abbiamodi buono. Il governo è come un povero invidioso del-l’uomo ricco, e vuole rubargli quello che ha. Viviamo nel terrore di essere cacciati dalla nostraterra. Non avremo più pace. Lo spirito di mio padre miaveva avvertito che sarebbe successo… Si sono giàportati via i miei parenti. Hanno portato via anchemio fratello e io sono rimasto qui solo. Ma non hointenzione di andarmene. Se mi vogliono uccidere,perché non lo fanno e basta? So che potrebbero ucci-dermi per la mia terra. Quando arrivano, io dico loro:“Non voglio che veniate qui, ma se dovete, alloralasciate le pistole. Se venite con le armi, pronti per laguerra, dovrete uccidermi perché io non farò quelloche volete”. Ora sono contento perché Survival sta registrando lemie parole e penso che le diffonderà e, così, tantagente conoscerà la mia storia. Il governo del Botswa-na mi perseguita. Ci caccia dal nostro posto, da ciòche è nostro per diritto di nascita. Credo che Dio nonlo possa accettare: Gugama ha creato tutto ciò chec’è qui perché noi lo possiamo usare per vivere. I fun-zionari ci tiranneggiano e trasferiscono la gente senza

nemmeno chiederglielo. Arrivano e ci dicono: “Tirategiù le vostre case: le dobbiamo caricare sui camion,con voi”. Quando vennero alla comunità di Gope, c’erauna donna anziana molto, molto malata. La miserosul camion ugualmente, e così lei morì lì, lungo lastrada verso il campo di trasferimento. Morì ancheun’altra donna ma i funzionari non hanno avutorispetto nemmeno delle nostre richieste di darlesepoltura. Ci trattano così perché siamo il popolo deiBoscimani. Ma questo non è il modo di comportarsicon nessuno. Si deve chiedere alle persone la loro opi-nione, aspettare e ascoltare. I funzionari che sonovenuti qui non hanno nemmeno cercato di rispettar-mi. Quando vengono devo spiegare loro che sono unessere umano, e allora loro mi squadrano, su e giù!Il Botswana si considera un paese democratico. Maqui non è così. Ci opprimono fino a farci morire, e pre-sto non ci sarà più nessun Boscimane. Per loro siamocome briciole di spazzatura che volano via quando sialza il vento, o come minuscoli insetti che corronosulla sabbia. Ci hanno spazzato via dalla nostra terrae ci hanno gettato su un mucchio di rifiuti, lontanodai nostri animali, dalle nostre piante e dagli spiritidei nostri antenati. Questo è quello che si fa con l’im-mondizia, non con gli esseri umani. Un giorno arrivarono dei funzionari e ci dissero chequalcuno di noi aveva cacciato un’antilope. Così, ucci-sero uno di noi, e ne castrarono un altro. Non si fannoqueste cose agli esseri umani. Dicono che non possia-mo cacciare, ma io ho moglie e figli da sfamare. Sonoabituato a dar loro la carne, ma ora ho solo radici efrutta, e la vita è sempre più dura. Il governo dice divolere il nostro sviluppo. Lasciate che ci aiuti con l’ac-qua, ma poi che ci lasci vivere nel nostro posto. Svi-luppo ci può essere solo sulla propria terra. Noi pos-siamo badare a noi stessi, possiamo provvedere allenostre necessità. Il nostro futuro è nei nostri figli. Ilnostro futuro affonda le sue radici nella caccia e neifrutti che crescono qui. Quando cacciamo, noi danzia-mo. E quando piove, siamo pieni di gioia. I nostri figlidevono poter continuare a vivere nelle terre dei loroantenati.

Mogetse Kaboikanyo era un Boscimane Kgalagadi e viveva insieme ai Gana e Gwinella Central KalahariGame Reserve. Nel Febbraio 2002 fudeportato a New Xade.Morì 4 mesi più tardi.Aveva cinquant’anni. I suoi amici sostengonoche non fosse malato e che il suo cuore abbia semplicemente cessato di battere. Dopo anni di battaglieper rimanere sulla suaterra, Mogetse è statoseppellito nella desolazione di un campodi reinsediamento, lontano dalle tombe dei suoi antenati. Survival lo ha incontratopoco prima del trasferimento. Questa è la sua testimonianza, a memoria perenne della lotta dei Boscimaniper la giustizia.

A memoria perenne della lotta dei boscimani per la giustiziadi ©Mogetse Kaboikanyo

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Perché voglio aiutare i popoli tribali

di ©Julie Christie, giugno 2008

Ho incontrato Davi Kopenawa per la prima voltanel 1989 quando Survival International lo fecevenire in Europa. Era il suo primo viaggio al difuori della terra natale, ma non si trattava di unavisita turistica. Survival voleva denunciare i terri-bili eventi che si stavano verificando nella suaterra e promuovere iniziative per difendere il suopopolo. La foresta pluviale degli Yanomami,remota com'era, era stata invasa da migliaia dicercatori d'oro con modalità che ricordavano ilSelvaggio West. Le malattie introdotte dagli inva-sori avevano devastato la tribù. In pochissimianni, più della metà degli Yanomami erano morti.

Davi lanciò un appello, semplice ma diretto:“Non siamo né poveri né primitivi. Noi, gli Yano-mami, siamo molto ricchi. Ricchi della nostracultura, della nostra lingua e della nostra terra…Non ci servono denaro né altri beni. Quello dicui abbiamo bisogno è rispetto: rispetto per lanostra cultura e rispetto per la nostra terra”.

All'epoca, non sapevamo ancora che la grandemobilitazione mediatica organizzata da Survivalin quell'occasione avrebbe costituito il culminedella campagna lanciata vent'anni prima perproteggere gli Yanomami e le loro foreste dalladistruzione. Appena tre anni dopo, infatti, arrivòla vittoria: il governo brasiliano annunciò che laterra ancestrale di questo popolo sarebbe statafinalmente protetta e i cercatori d'oro allontana-ti. Fu un grande successo e, attraverso Survival,Davi inviò un messaggio alle migliaia di personeche avevano partecipato all'epica impresa: “Rin-grazio tutti voi che siete lontani, che non cono-scete il mio popolo né la mia foresta. Ci avetedato una grande speranza”.

Collaboro con Survival da allora, e le parole diDavi mi sono ritornate in mente, potenti, pochimesi fa, quando ho prestato la mia voce al DVD

dell'associazione, intitolato Uncontacted Tribes[Popoli incontattati]. Fra tutte le storie raccon-tate dalle immagini dei ricercatori di Survival,storie che parlano delle minacce che gravano suipopoli più isolati e vulnerabili del mondo, ce n'èuna che spicca in modo particolare. Un minusco-lo gruppo di appena sei individui, gli ultimisopravvissuti di un popolo un tempo fiero chia-mato Akuntsu, stava seduto su una panchina nelmezzo di una foresta disboscata. Sapendo cheavevano assistito al massacro di tutti gli altrimembri del loro popolo per mano degli allevatoridi bestiame, la loro apatia e il loro completoavvilimento non potevano sorprendermi. Maquando li ho visti incitarsi a vicenda, in modoincerto, per eseguire una strascicata danza dibenvenuto, beh, allora mi sono commossaprofondamente. In quei piccoli passi barcollantic'erano condensati tutta l'avidità e l'egoismodell'Occidente e le tragedie delle tantissime pic-cole società umane che abbiamo calpestatolungo la nostra corsa alla ricchezza. Non cono-sco nessuno tra coloro che hanno visto il film,che non ne sia stato profondamente toccato.

Per gli Akuntsu è troppo tardi. Tragicamente, perun gruppo di sopravvissuti così piccolo non c'èpossibilità di recupero. Rimasti completamentesoli, incapaci di comunicare con chiunque altro,il loro destino aleggia sopra di noi come unoscioccante riflesso della nostra disumanità versocoloro che sono considerati reliquie dell'Età dellapietra senza posto nel mondo moderno. Ho sem-pre considerato un crimine il fatto che questiatteggiamenti siano così ben radicati e ricorren-ti persino tra coloro che potrebbero diversamen-te considerarsi liberali. Ed è per questo che riten-go che il lavoro di Survival sia così importante. Cisono tragedie che spezzano il cuore, come quelladegli Akuntsu, ma gli sforzi compiuti da Survival

ci permettono di raccontare anche tante altrestorie incoraggianti.

Recentemente, Davi è tornato a Londra. Da quan-do Survival ha iniziato a lavorare con gli Yanoma-mi, la loro vita è drasticamente cambiata. Anchese subiscono ancora occasionali incursioni daparte dei cercatori d'oro, la loro terra è protetta ela popolazione ha ripreso a crescere. Non c'è dub-bio che abbiano preso il loro posto come fieri evitali membri del XXI secolo. Le immagini straor-dinarie girate da un membro dello staff di Survi-val durante una festa funebre in un villaggioyanomami mostrano centinaia di persone a luttogiocare, festeggiare e celebrare riti religiosi pergiorni, con una serenità e una vitalità che moltinell'Occidente potrebbero solo invidiare.

La storia degli Yanomami non è solo una clamo-rosa smentita delle funeste previsioni degli“esperti”, che avevano dichiarato con sicurezzache “non avrebbero potuto” sopravvivere al XXsecolo, ma anche un prova elettrizzante del fattoche, con un piccolo aiuto da parte di quelli chepossono tendere una mano, i popoli tribali nonsono inevitabilmente condannati a soccomberedavanti all'onda della globalizzazione. Gli Indianiincontattati delle fotografie non vivono in unabolla che, una volta scoppiata, collasserà persempre. Il lavoro di Survival è importante proprioperché dimostra che oggi c'è un modo sempliceed efficace per garantire che questi popoli pos-sano veramente trovare il proprio posto nelmondo: proteggere le loro terre! Quando il loroterritorio è sicuro, i popoli tribali possono convi-vere in pace, secondo le loro scelte e il loro stiledi vita, con il mondo che li circonda.

Le ultime parole pronunciate da Davi rientrandoin Brasile mi accompagneranno per moltotempo: “Senza Survival, saremmo tutti morti”.

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Gli Arhuaco guardano al mondo con sensibilità e intelligenza acutissime, e hanno per la vita un profondo rispetto e un grande senso di responsabilità.

Sanno che il ciclo della Terra è intimamente connesso con la nasci-ta e la morte di tutti gli esseri viventi e hanno elaborato credi, rego-le e rituali che affidano loro il compito di assicurare che quei ciclicontinuino a succedersi senza perturbazioni. Per l’uomo occidenta-le il mondo naturale è un’entità da sfruttare. Per loro è un universoda sostenere e mantenere in equilibrio risarcendolo per tutto quelloche esso ci dà, per ogni singolo respiro che gli viene sottratto. L’intero pianeta dipende da ciò che accade sulla Sierra e a loro, chesono i nostri fratelli maggiori (hermanos mayores) spetta il compi-to di regolare gli eventi naturali e prevenire le catastrofi medianteun complesso sistema di “offerte” alla Terra. Inondazioni e terre-moti sono una conseguenza degli errori da loro commessi nel man-tenimento dell’armonia, anche se avvengono in paesi lontani. GliArhuaco non hanno la preoccupazione di ridurre i consumi; quelloche essi usano è di per sé già ben poco! Ma anche se pensano diavere una saggezza e una comprensione mistica superiori a quelledegli altri uomini, non giudicano i loro fratelli minori, i consumistio gli esseri umani in generale necessariamente “colpevoli”. Per gli

Arhuaco l’uomo e la società umana restano sempre la cosa piùimportante. Anche se si rendono conto dell’impegno a lungo ter-mine che ciò comporta, non considerano il loro compito come unfardello quanto piuttosto come il modo più intelligente di affron-tare la vita; un modo per accettare, ad un livello molto profondo, laresponsabilità degli effetti a lungo termine e su vasta scala dellapropria esistenza. Quello che segue è un tentativo, molto sommario e talvolta crudel-mente semplicistico, di tradurre in un racconto scritto alcuni deiprincipi più conosciuti della loro filosofia. Gli Arhuaco stessisostengono che non sia possibile esprimere adeguatamente attra-verso la parola scritta quelle che per loro è una tradizione orale i cuicapisaldi vengono svelati solo ai discepoli che hanno la vocazione,l’umanità e la perseveranza necessarie. Tuttavia, bastano a darci unsaggio della profondità e del grande valore che il loro sapere ha perl’umanità intera. Di fronte al materialismo occidentale e alla corsatravolgente allo sviluppo della società industrializzata, la sopravvi-venza di popoli e culture come quelle degli Arhuaco dimostra chegli uomini potranno sempre scegliere altre priorità e altri modi divivere; prova che, nonostante tutto, ci sarà sempre qualcuno chedeciderà di dare ai problemi della vita e della morte altre risposte.Sono forse questi la sfida e il messaggio più importanti che i popo-li tribali lanciano al mondo.

Arhuaco,per ogni nostro respiro

Gli Arhuaco vivono sulla Sierra Nevada di Santa Marta, nel nord della Colombia. Nonostante distino dal Mar dei Caraibisolo 54 chilometri, le vette della Sierra Nevada sono perennemente innevate e si innalzano ripidissime dal mare fino araggiungere i 5.800 metri d’altezza. Sfruttando con grande perizia le sue varie quote, gli Indiani riescono a garantirsiraccolti abbondanti per tutto l’arco dell’anno. Coltivano mais, manioca, banane da farina e vari tipi di frutta. Con gliavocado nutrono i maiali e, da quando gli invasori spagnoli li hanno introdotti, seminano anche caffè e canna da zuc-chero. Insieme ai loro vicini, i Kogi e gli Arsario, gli Arhuaco soffrono da oltre cinquant’anni per la perdita di molte delleloro terre ancestrali e per la violenta guerra civile che imperversa alle pendici della Sierra tra esercito, guerriglieri e para-militari in lotta per il controllo del traffico della coca. Nonostante i continui e brutali tentativi dei frati Cappuccini dicancellare la loro religione e la loro cultura, gli Arhuaco hanno sempre conservato un orgoglio inattaccabile, addiritturaferoce, per la propria identità. Negli anni ’70 erano alla guida del movimento indigeno colombiano e hanno incoraggia-to la nascita delle principali organizzazioni indiane del paese, tra cui l’ONIC, che è oggi una delle più importanti di tuttele Americhe. Survival ha sempre sostenuto le loro rivendicazioni territoriali e nel 1993 li ha aiutati a raggiungere l’Euro-pa per denunciare l’assassinio dei loro leader. Il loro mamo (sacerdote) arrivò a Londra indossando solo gli abiti tradizio-nali e il cappello bianco che simboleggia i picchi innevati della Sierra. Era scalzo ma di tutti i beni materiali che furonomessi a sua disposizione, non volle accettare nemmeno un paio di scarpe.

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In principioKaku Serankua creò la Terra. La rese fertile e la prese in moglie. IImondo era sorretto da due serie di quattro fili d’oro intrecciati eappesi ai quattro punti cardinali. Dove gli otto fili d’oro si incro-ciano, lì si trova il cuore del mondo. E lì è la nostra casa, la SierraNevada de Santa Marta, che è delimitata dalla “linea nera“ chene definisce i confini e la separa dai bassipiani circostanti.

I picchi nevosi e i laghi sacri vennero posti in mezzo alla monta-gna; questa, la zona più elevata, è Chundua. I picchi sono comepersone, sotto molti aspetti simili a noi, dei “custodi dell’onore“.Sono i nostri genitori, i nostri padri e le nostre madri. E sono anchei padri e le madri dell’uomo bianco; perché il nostro dio è il suodio. Ad ogni picco fu assegnato un mamo con l’incarico di vigilaresu di esso e di prendersene cura. Ogni picco ha un mamo, propriocome ogni casa ha delle persone che ci vivono. I picchi sono pernoi come chiese o templi. Quando Kaku Serankua distribuì la terra,decise di fare della Sierra un luogo sacro dove sarebbe stata custo-dita la saggezza, in modo che un giorno potesse di nuovo essereinsegnata all’umanità. Oggi, Kaku Serankua vive lì, sorvegliando lasua creazione.

Prima di creare il mondo, Kaku Serankua creò l’acqua, che nutre laTerra come le vene dell’uomo nutrono il suo corpo. E creò anche lestelle, il sole e la luna, e ogni cosa. Quando arrivò il momento dicreare gli esseri viventi, dettò le leggi per le quattro razze umane –la bianca, la gialla, la rossa e la nera. I loro colori sono gli stessi deiquattro mantelli della terra: bunnekän, la terra bianca; minekän, laterra gialla; gunnekän, la terra rossa; e zeinekän, la terra nera. IInostro respiro è lo stesso alito che si leva dal mondo: l’aria, i venti ela brezza. Tutte le razze sono uguali; ad ognuna furono assegnateleggi e diritti propri. Ad ognuno di noi fu assegnata una strada peravvicinarsi a dio, per riconoscerlo e conoscerlo.

Ci è stato mostrato come avere rispetto di tutto ciò. Non siamo statinoi ad inventare questa legge: ci è stata data da Kaku Serankua,nostro padre. Egli ci ha insegnato anche come coltivare la terra, comedividere in maniera equa i nostri beni, come prenderci cura delle fore-ste, delle diverse specie animali, delle acque, delle colline, come pren-derci cura del sole, della luna, della stagione umida e di quella secca,come lenire i dolori e curare le malattie, ci ha dato la scienza dei ter-remoti e di ogni cosa che accade nel mondo. Tutto questo a beneficiodell’umanità intera ovunque: in ogni luogo della Terra.

Noi viviamo così. Non abbiamo mai conosciuto l’egoismo, nonabbiamo abusato gli uni degli altri, né abbiamo desiderato le cosedei nostri fratelli, né abbiamo prevaricato i loro diritti; non abbia-mo mai conosciuto la superbia, non abbiamo mai consideratoqualcuno inferiore a un altro. Queste leggi ci sono state date per-ché potessimo aiutarci l’un l’altro con equità, giustizia e compren-sione. Se uno è debole, qualcun altro gli darà la forza.

La vita, la sapienza e la legge hanno tutte origine in Chundua, i pic-chi nevosi e i laghi. Dipendiamo dalla natura, che ci dà la vita, e ogni

elemento della natura ha una sua vita spirituale. Noi dipendiamo daChundua. Ma anche Chundua dipende da noi: per mantenere l’equi-librio. Ogni animale e ogni albero, ogni fiume e ogni pietra, il sole, laluna e le stelle – tutte queste cose hanno una vita spirituale e hannobisogno di essere accudite, proprio come noi abbiamo bisogno delcibo. In mancanza di questo, morirebbero: i fiumi si asciugherebbe-ro, gli alberi seccherebbero, il sole stesso morirebbe.

Sono i mamo, i nostri sacerdoti, i nostri scienziati, a prendersi curadel mondo spirituale. Loro mantengono in equilibrio tutte questeforze. Si spostano fra Chundua, i picchi, e la “linea nera“ delle pia-nure. Cantano e danzano, celebrano cerimonie e fanno offerte allaTerra; custodiscono gli oggetti sacri, i bastoni, le maschere e lepietre sacre. Sono intermediari che sanno come muoversi tra ilmondo ordinario e quello spirituale. Curano le malattie e sannoindividuare i posti adatti per seppellire i nostri morti. Tutto questonon lo fanno per se stessi, né semplicemente per noi, ma per l’in-tera umanità e per tutte le forme di vita. Queste sono le vere leggiche furono date ad ognuno dei cinque continenti. Ogni creatura eogni fenomeno della natura ha la sua legge, e per preservarli dob-biamo rispettarla. Così è stato stabilito, e così è sempre stato.

Questa saggezza, questa legge, non è stata inventata da noi né daaltri; è una conoscenza che viene da una consapevolezza e daun’intuizione profondissime. II punto più alto di tutti si trova al dilà dei quattro punti cardinali. Laggiù si trova una sapienza che ciparla del passato, del presente e del futuro, di ogni cosa cheriguarda il mondo, le acque e i diversi pianeti. Ci dice come man-tenere in equilibrio i molti elementi della natura, così che tutto simantenga sempre in armonia. È stata tramandata da un mamoall’altro, di generazione in generazione, sin dai tempi più antichi.Imparare dalla natura quel tanto che basta per trarne vantaggio èfacile, ma è difficile cogliere i suoi differenti aspetti e capire comecoesistono. È difficile capire come averne cura per il benessere del-l’umanità. Gli ambiziosi non sanno neppure da che parte comin-ciare per arrivare a comprendere tutto questo! Kaku Serankua ciinsegna che la natura è la nostra madre, e che dobbiamo rispetta-re lei e le sue leggi. Fra gli uomini deve esserci questa comprensio-ne, e devono esserci rispetto, giustizia ed eguaglianza. È così chenoi abbiamo sempre vissuto.

Ma l’uomo bianco non sa niente di tutto ciò. Chi sa solo cometogliere la vita, e non come crearla, troverà tutto questo impossi-bile da credere. Lui ha attaccato i suoi fratelli, gli Arhuaco, e li haricacciati al di là della “linea nera“. Con le sue mani ha reciso illegame che aveva con la natura, e poiché non sa come avernecura, usa le sue conoscenze per distruggerla. Si è staccato dai suoicompagni. Non ha rispetto per i suoi fratelli, e fa leggi che li per-seguitano e sottraggono loro la terra. Se con il suo modo di viverel’uomo bianco continuerà ad accumulare debiti nei confronti dellaTerra, porterà se stesso alla distruzione. Sarà così. Fin dalla suaprima apparizione, ha cercato di toglierci la nostra terra e di pri-varci delle nostre leggi tradizionali e sagge per imporci le sue. Lesue infinite promesse non sono mai state mantenute. Molti annifa, ci ha promesso che la terra dei nostri padri sarebbe stata rispet-tata, e che i territori che ci erano stati sottratti sarebbero stati

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restituiti – ma ciò non è mai avvenuto. Dobbiamo riavere la terrache Kaku Serankua ci ha lasciato perché è nostra madre, la fontedella nostra vita e del nostro sostentamento. L’uomo bianco ne haabusato. Dobbiamo riavere la terra perché ne abbiamo bisogno pervivere. È sacra, e attraverso di lei i mamo mantengono l’ordine del-l’universo: un ordine fondato sull’uguaglianza e la sopravvivenzadi tutti gli uomini. Dobbiamo riavere nostra madre per poter con-servare la nostra cultura e le nostre tradizioni, e per difenderci dal-l’uomo bianco che chiude intorno a noi un cerchio ogni giorno piùstretto: ci spinge in zone sterili come fossimo maiali, chiusi inrecinti per ingrassare. Non abbiamo fiducia nelle leggi dell’uomobianco e non speriamo di ottenere nulla da lui. L’unica cosa chesiamo riusciti ad avere sono promesse mancate e bugie – le sueleggi hanno sempre sfruttato gli Indiani.

Abusa di noi, e ci dà ragione solo quando vuole qualcosa (per esem-pio un po’ di voti per i politici locali che promettono molto ma nonfanno nulla). L’uomo bianco ci ha insegnato nuovi e falsi bisogni, ciha allontanato a poco a poco dalle nostre tradizioni e dal modo incui anticamente producevamo tutto quello di cui avevamo bisogno.Ha portato nelle nostre comunità il suo modo di pensare. Ma i suoipensieri sono cattivi ed inducono alcuni di noi a vergognarsi diessere Indiani – proprio di ciò che dovrebbe costituire per noi il piùgrande motivo di orgoglio. Essere Indiani è come essere alla radicedelle cose. Molti Arhuaco hanno creduto alle false promesse e sisono venduti ai politici e ai proprietari terrieri – alcuni sono arrivatial punto di tradire i propri fratelli. I bianchi non hanno rispetto per ilnostro governo interno. Da parte nostra, noi abbiamo semprerispettato quello colombiano, e chiediamo che si rispetti il nostro.Ogni legge che il governo colombiano avesse intenzione di emana-re in riferimento a noi dovrebbe ricevere la nostra approvazione.Chiediamo di avere la possibilità di scegliere i nostri capi comeabbiamo sempre fatto. Chiediamo di essere interpellati prima diautorizzare chicchessia ad entrare nella nostra terra. Non vogliamoche altri bianchi vengano a depredare i nostri luoghi sacri, a guar-darci come uno spettacolo per turisti o a lavorare qui senza il nostroconsenso. Abbiamo sempre desiderato vivere in pace secondo lenostre tradizioni. Abbiamo sempre sperato che i bianchi, i nostri fra-telli minori, avrebbero capito il nostro punto di vista e avrebberocollaborato con noi. Ma adesso sono passati molti anni e tutto ciòche l’uomo bianco ha fatto è stato cercare d’imbrogliarci.

Adesso ci rendiamo conto che la nostra battaglia e la nostra soffe-renza sono condivise da tutti gli Indiani della Colombia. Non chie-diamo aiuto. Stiamo al fianco degli altri Indiani per lavorare insie-me in difesa della nostra terra e della nostra cultura. Abbiamocapito che quando i bianchi parlano di “progresso“ e di “integra-zione“ in realtà intendono miseria e morte. L’uomo bianco non cidà retta. Non vuole darci la possibilità di decidere del nostro futu-ro. Unirsi alla società dell’uomo bianco significa perdere tutto ciòche è nostro. Ora siamo ben consapevoli di ciò e sappiamo che noi,da soli, dobbiamo assumerci la responsabilità del nostro destino.

Testimonianza a cura di ©Stephen Corry,

direttore generale di Survival International

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Il lavoro di Survival è iniziato nel 1969 in un seminterrato di Londra, dove un pugno di volontaricondivideva l’angusto spaziocon altre piccole associazioni.Da allora, è stata fatta tantissi-ma strada.All’epoca, i problemi maggioridei popoli indigeni erano glistermini di massa, la schiavitù,le epidemie e la disperazione divedere improvvisamente cancel-lato il proprio universo nellaquasi totale indifferenza delresto del mondo. Oggi, ovunqueabitino, molti popoli tribalicontinuano ad essere privati deimezzi di sussistenza e costrettia cambiare vita; le loro terre re -stano invase da coloni, minato-ri, tagliatori di legna; i loro vil-laggi inondati da dighe e spaz-zati via da allevamenti di bestia-me o parchi turistici. Tuttavia, l’atteggiamento del-l’opinione pubblica nei loroconfronti è radicalmente cam-biato. Laddove quarant’anni fal’assimilazione e l’estinzione deipopoli indigeni venivano dateper scontate ed erano giudicatesolo come un doloroso ma ine-vitabile prezzo da pagare nelnome del progresso, oggi inmolti hanno cominciato a rico-noscere l’inalienabilità dei lorodiritti e il valore delle loro cul-ture. Gli ostacoli da superarerestano tantissimi: l’avidità, lamiopia, il razzismo e le dittatu-re. Ma le persone decise a lotta-re per aiutare i popoli tribali amantenere il loro posto nel mon-do e a determinare autonoma-

mente il loro futuro, sono sem-pre più numerose. È probabil-mente questo il successo piùimportante raccolto sinora daSurvival o, meglio, dai popoliindigeni stessi con il sostegnodi migliaia di persone da ogniparte del pianeta.

Un’organizzazione mondialeCon sedi e centri di supporto invari paesi europei tra cui RegnoUnito, Francia, Italia, Spagna,Germania e Olanda, Survivallavora perché vengano ricono-sciuti ai popoli indigeni i lorodiritti fondamentali contro ogniforma di violenza, persecuzionee genocidio; produce materialididattici e informativi per laconoscenza e la valorizzazionedelle culture tribali e porta nellescuole laboratori di educazionealla diversità e alla pace. Per ilsuo impegno umanitario in tuttoil mondo, nel 1989 ha ricevuto ilRight Livelihood Award, notocome Premio Nobel Alternativo. Per mantenere la sua indipen-denza, Survival non accetta fi -nanziamenti da nessun governoo partito politico. Le sue attivitàvengono finanziate esclusiva-mente dalle quote associativedei suoi membri, dalle donazio-ni dei sostenitori e dai proventidelle attività di raccolta fondigestite dai volontari. Survival ha soci in oltre 80 paesidel mondo e produce materialiinformativi in 11 lingue. Tra i suoi sostenitori ci sono ilDalai Lama, Claude Levì-Strauss,

Richard Gere, Colin Firth, PeterScott e Julie Christie. In Italia,tra gli altri, Pino Insegno, Ric-cardo Muti, Ottavia Piccolo eClaudio Santamaria.

CampagneSurvival non sostiene la teoriadella conservazione dei popolitribali in uno stato “originario”,né lavora perché essi vivano“protetti” come animali in unozoo o reperti archeologici in unmuseo. Vuole semplicementeche il mondo intero riconosca iloro diritti: alla sopravvivenzafisica e a quella culturale, al -l’au todeterminazione, alla pro-prietà delle terre ancestrali. Sur-vival vuole che i popoli tribalisiano messi nella condizione didecidere autonomamente delloro futuro e dell’utilizzo delleloro risorse. Il lavoro di Survival si fonda sucontatti personali e diretti concentinaia di comunità tribali e siprefigge di conseguire soloquello che i popoli indigenistessi vogliono o chiedono. Aquesto scopo, Survival lanciacampagne di informazione epressione in ogni parte del mon -do. Attualmente sta se guendo80 casi specifici, distribuiti gros-so modo in 40 paesi diversi,dando priorità ai gruppi chehanno contatti molto limitaticon il mondo esterno e non so -no rappresentati da nessunaorganizzazione. Sono proprioquesti, infatti, i popoli più vul-nerabili di tutti.

Una volta verificata una situa-zione d’emergenza e adottatoun caso, Survival organizza con-ferenze stam pa, produce ma -teriali in formativi e invia a tutti isuoi soci i Bollettini d’AzioneUrgente in cui, accanto alladescrizione del problema, chiedeai lettori di scrivere lettere diprotesta ai responsabili dei mas-sacri e delle devastazioni. Il fiu -me di lettere che giunge da ogniparte del mondo agli uo minipolitici e alle aziende interessati,costituisce uno degli stru mentidi cambiamento più efficaci.

Sostegno, non assistenzialismoOltre che visitare regolarmentele comunità indigene, Survivalincoraggia i popoli tribali a por-tare il proprio messaggio alresto del mondo, organizza perloro incontri pubblici e privati efinanzia i loro viaggi. Non faassistenzialismo, ma aiuta leorganizzazioni indigene a svi-lupparsi in modo autonomofornendo loro la consulenzatecnica e legale necessaria perpoter conoscere e capire il mon -do esterno, gli assetti politici esociali dei diversi stati e le leggiche li riguardano. Traduce idocumenti internazionali nellelingue indigene e mette in co -municazione fra loro i gruppiminacciati dagli stessi tipi diproblemi. In casi di grave emer-genza medica (per esempio, difronte al diffondersi di malattieverso cui i popoli tribali nonhanno difese immunitarie), Sur-

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vival finanzia piani di assistenzasanitaria che, dove possibile,vengono gestiti direttamentedagli indigeni; sostiene, inoltre,progetti su piccola scala che ipopoli tribali elaborano auto-nomamente come, per esempio,la fondazione di scuole indige-ne bilingue.

SensibilizzazioneSurvival crede che la forza piùefficace per un cambiamentodurevole sia la sensibilizzazionedell’opinione pubblica. Per que-sto, ogni giorno, dai suoi ufficiescono numerosi materiali infor-mativi: bollettini, newsletter, pa -gine web, rapporti e video suiproblemi dei popoli tribali e suiloro stili di vita. Alla produzionedei materiali informativi e didat-tici di Survival International col-laborano tutti gli uffici europeidell’organizzazione e molti grup-pi indigeni ad essa collegati.Gra zie a ciò, i popoli nativi han -no l’opportunità di raccontarsi inprima persona e di testimoniaredirettamente la profondità e laricchezza delle loro culture.

LobbyingSurvival preme per il varo di leggisempre più efficaci nella prote-zione dei diritti dei popoli indi-geni e invia regolarmente deirappresentanti alle Nazioni Unitedove riveste un ruolo consultivo

come organizzazione non-go -vernativa accreditata. Esercitapressioni sui governi, incontra gliuomini politici e partecipa a con-ferenze in tutto il mondo perportare i problemi dei popoli tri-bali all’attenzione internazionale.I soci organizzano presidi e ma -ni festazioni davanti alle am ba -sciate dei paesi in cui i diritti deipopoli tribali vengono calpestati.

DidatticaIl mondo è un crogiolo di cultu-re e società differenti. Con si de -ra re questa divers i tà comeun’op portunità e non come unostacolo significa non solo com -battere il razzismo e promuoverela tolleranza, ma anche difende-re i beni più preziosi che ab -biamo: il nostro pianeta e lanostra umanità. Allo scopo dipromuovere una cultura dellapartecipazione e del rispettodegli altri, Survival propone allescuole italiane una serie di stru-menti interdisciplinari dal titoloriassuntivo “A Scuola di Mondocon i Popoli Indigeni”. Tali ini-ziative, in linea con la didatticapiù innovativa, comprendono kite laboratori multimediali voltianche a mettere in luce gli infi-niti legami che uniscono gliuomini tra loro e all’ambienteche li circonda, risvegliando ilsenso di responsabilità versotutti gli esseri viventi e la consa-pevolezza della possibilità dipartecipare in prima persona allacostruzione di un mondo piùequo e sostenibile.

per i popoli indigeni

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Non dubitate mai che un piccolo gruppo di persone sensibili e risolute possa cambiare il mondo. In effetti, la loro determinazione è l'unica forza che l'abbia mai cambiato.

Margaret Mead

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Il progetto 2008.Ilo169, il budget

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La Convenzione ILO 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali è stata adottata nel1989 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO),un’agenzia delle Nazioni Unite.

La Convenzione riconosce ai popoli indigeniun insieme di diritti fondamentali, essenzialialla loro sopravvivenza, tra cui i diritti sulleterre ancestrali e il diritto di decidere auto-nomamente del proprio futuro. Attualmente,la Convenzione costituisce l’unico strumentolegislativo internazionale di protezione deidiritti dei popoli indigeni. Ratificandola, glistati si impegnano a garantire in modo effi-cace l’integrità fisica e spirituale dei popoliindigeni e a lottare contro ogni forma didiscriminazione nei loro confronti. È crucialeche la Convenzione venga firmata dal mag-gior numero di nazioni del mondo, inclusequelle europee. Anche se non hanno popolitribali all’interno dei propri confini, infatti, leazioni dei governi di paesi come l’Italiahanno comunque un impatto diretto suipopoli indigeni, non solo in quanto membridi istituzioni internazionali che interagisconocon essi, come la Banca Mondiale, ma ancheattraverso i progetti di cooperazione allo svi-luppo e la partecipazione ai finanziamenti ealle iniziative sostenute dall’Unione Europea.Nelle terre tribali, inoltre, si trovano soventead operare aziende europee e italiane, priva-te, statali o co-finanziate dallo stato. In Ita-lia esistono già da tempo alcuni progetti dilegge assegnati alle Commissioni Esteri diCamera e Senato che, però, non sono maistati discussi. Data l’estrema gravità delleviolazioni dei diritti umani che molti popoliindigeni stanno ancora oggi vivendo in tantipaesi del mondo, l’Italia dovrebbe ratificarela Convenzione al più presto. La sua adozio-

ne, infatti, non costituirebbe solo un dovero-so atto di solidarietà verso chi continua avedere conculcati i propri diritti fondamen-tali; al contrario, porterebbe loro un aiutoconcreto e immediato. La Convenzione esistegià da vent’anni (dal 1989), tuttavia, i paesiche sino ad oggi l’hanno ratificata sono solo20: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia,Costa Rica, Danimarca, Dominica, Ecuador,Fiji, Guatemala, Honduras, Messico, Norve-gia, Paesi Bassi, Paraguay, Perù e Venezuela.A questi si sono aggiunti recentemente laSpagna – grazie a una campagna di Survival– Cile e Nepal.

Attraverso il Xmas Project vi chiediamo diaderire concretamente all’iniziativa compi-lando (possibilmente completa di tutte lefirme) e inviando a Survival la petizioneinserita a pagina 102 di questo Librosolidale.

Le principali attività e campagnenelle quali è attualmente impegnata Survival:

Il progresso può uccidereParlando di progetti d’integrazione e svilup-po dei popoli indigeni, spesso i governi pre-tendono di agire nell'interesse delle popola-zioni coinvolte. In molti paesi, e specialmen-te in Asia e in Africa, è percezione diffusache i popoli tribali siano “primitivi" e “arre-trati", e che si debba necessariamenteimporre loro un altro stile di vita, se neces-sario anche con la forza. Al di là della pre-sunta buona o cattiva fede dei suoi fautori,quel che è certo è che il nome del progressoè servito ovunque a giustificare sia il furtodelle terre dei popoli indigeni sia le violenzeperpetrate nei loro confronti, e che gli effet-ti del cambiamento forzato sono sempredevastanti: povertà, malattie, malnutrizione,alcolismo, depressione, suicidi e morte. Con

il sostegno di Xmas Project, Survival Italiavorrebbe sensibilizzare le istituzioni e l’opi-nione pubblica sul tema mostrando cherispettare i diritti territoriali dei popoli triba-li è di gran lunga il modo migliore per assi-curare loro benessere e autosufficienza.

Popoli incontattatiOltre 100 tribù, in ogni angolo della Terra,hanno scelto di isolarsi dal mondo esterno.Sono i popoli più vulnerabili del pianeta.Molti di essi vivono in fuga costante, persfuggire all’invasione delle loro terre da partedi coloni, taglialegna, esploratori petroliferi eallevatori di bestiame. Spesso, hanno vistomorire amici e parenti, colpiti da malattieintrodotte dall’esterno o massacrati impune-mente dagli invasori. Survival ha recentemen-te realizzato un DVD in lingua inglese che rac-conta le loro storie. Grazie a Xmas Project,vorremmo pubblicarne un’edizione italiana elanciare una campagna di comunicazione sultema in tutto il territorio nazionale.

ConTattoNon sempre il contatto genera amicizia oarricchimento reciproco. Troppo spesso, alcontrario, significa sopraffazione, imposizio-ne di un solo modo di intendere lo sviluppo,i diritti, la civiltà. Ma imparare a camminaresulla Terra in punta di piedi e agire con lun-gimiranza e con tatto è possibile, e lo si puòfare anche divertendosi! È questo il presup-posto con cui Survival ha confezionato unpacchetto di iniziative didattiche che si pre-figgono di sensibilizzare i più giovani al dia-logo con le altre culture e alla salvaguardiadegli ecosistemi e della diversità. Con l’aiutodi Xmas Project, Survival vorrebbe poter con-tinuare il suo importante lavoro educativonelle scuole italiane di ogni ordine e grado e,in particolare, raggiungere nel corso dell’an-no scolastico 2008-2009 almeno 200 nuoveclassi di Milano e provincia.

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Azioni e budget

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La Convenzione ILO 169 è un’iniziativa coerente con...

LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DEI POPOLI INDIGENIIl 13 settembre 2007, dopo oltre vent’anni di difficili negoziazioni, l’Assemblea Gene-rale delle Nazioni Unite ha finalmente adottato la Dichiarazione universale dei dirittidei popoli indigeni con una maggioranza schiacciante: 143 voti a favore e 4 contrari.Durante l’ultimo anno, l’Italia ha assunto l’importante ruolo di sponsor della Dichia-razione, cioè di Stato personalmente impegnato a promuovere l’adozione dellaDichiarazione attraverso la negoziazione con quelli contrari. Coerentemente conl’impegno dimostrato nei confronti di questo tema, il Governo italiano dovrebbe oraratificare al più presto la Convenzione ILO 169, l’unica oggi in grado di dare concretistrumenti giuridici alla tutela dei diritti dei popoli indigeni del mondo finalmente

riconosciuti e sanciti anche dalla Dichiarazione. Per quanto importantissima, infatti,la Dichiarazione Onu resta solo un’enunciazione di principi e ai governi che decides-sero di ignorarla non potrà essere inflitta nessuna sanzione. La 169, invece, è vinco-lante per tutti i paesi che la ratificano e quindi ha il valore di legge.

LA CONVENZIONE UNESCO SULLE DIVERSITÀ CULTURALI Il 31 gennaio 2007, l’Italia ha ratificato la Convenzione UNESCO sulle diversità cultu-rali impegnandosi a difenderle e a promuoverle nel pieno rispetto dei diritti umani edelle libertà fondamentali. L’adozione della Convenzione ILO 169 costituisce il modomigliore per ottemperare agli impegni assunti anche in tale settore. I popoli indigenie tribali, infatti, i popoli più minacciati del mondo, sono il simbolo per eccellenza delladiversità umana e culturale; una diversità che può però sopravvivere solo se vivonogli uomini che l'alimentano.

Ilo 169Compilazione e circolazione di un dossier tematico in Senato e Parlamento italiani. Mobilitazione dei media e dell’opinione pubblica, raccolta firme, lobbying presso le istituzioni. 10.000 euro

Il progresso può ucciderePagine web dedicate, traduzione, stampa e distribuzione di un dossier monografico a istituzioni e organi competenti, lancio campagna di comunicazione sul tema in tutto il territorio nazionale. 4.500 euro

Popoli incontattatiTraduzione e realizzazione di un DVD monografico da inviare ai sostenitori e ai media. Progettazione e lancio campagna mediatica. 5.000 euro

ConTattoSelezione, formazione e gestione di 3 operatori volontari, attivi per tutto l’anno scolastico. Realizzazione del laboratorio interculturale gratuito “Io mi chiamo Guiomar, e tu?” in almeno 200 nuove scuole di Milano e Provincia, promozione e distribuzione del kit ConTatto. 15.000 euro

Poster AzioneProgettazione, stampa e distribuzione ai sostenitori di Survival di un poster dedicato ai 40 anni di attività di Survival, finalizzato alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui casi di violazione più gravi del momento e alla partecipazione attiva alle campagne urgenti. 15.500 euro

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www.survival.it

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Survival Italia

Via Morigi 820123 Milano – ItaliaT (+39) 02 8900671 F +(+39) 02 [email protected]

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Noi, Xmas Project 2008I vostri pensieri, le vostre storie, le vostre immagini. I vostri nomi. Il cuore del Librosolidale.

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Io sono! Ognuno di noi ama, odia, vive e spera: al di là del colore della pelle, dei vestiti che indossa, della lingua che parla. Ognuno di noi ha diritto a sognare un futuro, a determinare la propria esistenza, a battersi per piccoli e grandi progetti. Ognuno di noi è quindi unico e irripetibile: al di là di dove e come viva. Quest’anno vi chiediamo di raccontarci e di confidarci una piccola parte della vostra identità. Cosa siete? Per cosa vi alzate la mattina? Che cosa sognate? Non vi chiediamo i grandi ideali, ma di esprimere sinteticamente quello che vi sembra essere il senso della vostra esistenza di tutti i giorni. Quello stesso senso che popolazioni indigene di tutto il mondo vogliono preservare, nonostante ci sia chi tenti di omologarli o annientarli.

Con l’avvicinarsi del suo 40° anniversario, Survival ha lanciato un’importante campagna internazionale. Come simbolo della sua campagna ha deciso di “raccogliere” le mani dei suoi sostenitori. Da decine di migliaia di anni l’uomo lascia tracce di sé con le impronte delle mani. È da sempre il modo più semplice, evidente, universale ma al tempo stesso personale, di dichiarare la propria esistenza. Ed è anche il gesto, quello di alzare le mani, che tanti indigeni hanno fatto inutilmente e coraggiosamente di fronte ai bulldozer che devastavano le loro terre. Ecco perché Survival usa le mani come simbolo della sua attività a favore dei popoli indigeni più minacciati della Terra. Oltre che a sancire il valore assoluto di ogni vita umana, le vostre “mani”, tutte insieme costituiranno una semplice ma potentissima dichiarazione di unità e di solidarietà.

“Ogni volta che vedo quelle due grandi mani sono felice!” Leader indigeno, Tanzania.

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EMMA BRUNO... .... E LA MIA MANINA ALESSANDRA E SERGIO FEBBI ALICE RUBY RHIANNON

Noi siamo...queste orme impresse sulla sabbia australiana. Noi siamo la nostra vita quotidiana con i momenti meravigliosi ed esaltanti, quelli terribili e difficili.Noi siamo i nostri due meravigliosi bambini per i quali ci svegliamo ogni mattina con sempre più energie e voglia di crescere insieme a loro.Io sono con te e tu con me.

Alessandra e Sergio Febbi

Io sono!La forza della ragione ovvero riflessioni su pensieri sempre attuali.“Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del PIL. Il PIL comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai bambini. Cresce con la produzione di missili e testate nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione. Non comprende la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere e l’onestà dei pubblici dipendenti. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell’equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione né la devozione al Paese. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta.”Da un discorso di Robert Kennedy agli studenti dell’Università del Kansas nel dicembre 1967. Pochi mesi dopo Robert Kennedy fu assassinato.

Claudio Covini

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ANDREA MARCHETTI MARIA BORRELLI FEDERICA E MASSIMATIGIOIA! NATALIA SCHIAVON

IO SONOIO SONO addormentata!IO SONO sveglia!IO SONO al tavolo della colazione, IO SONO pronta per addentare la mia fetta con la marmellata!IO SONO una mamma, e preparo le mie bambine per la loro giornata!IO SONO finalmente pronta e usciamo tutti insieme!IO SONO sul tram, ed eccomi in ufficio…

IO SONO finalmente arrivata all’orario d’uscita… IO ora SONO con le mie bambine e mi godo i loro sorrisi, i loro giochi, il loro ESSERE!IO SONO felice, IO SONO una persona… IO SONO al mondo e nel mondo!Io ringrazio Dio per esserci!

Federica (e MassiMatiGioia!)

Io sono un misteroIo sono un mistero… proprio come voi! Nessuno si conosce e ci conosce fino in fondo.Sono i miei figli, i miei amori, le mie passioni, la mia famiglia d’origine, i miei parenti e i miei amici, le persone che incontro e dalle quali imparo qualcosa.Sono felice di svegliarmi ogni mattina, poi mi arrabbio quando le cose che mi circondano non vanno come dovrebbero. Mi interessa anche il benessere degli altri, non solo il mio. Non voglio coltivare un orticello alla fine del mondo e vedere il mio prossimo in difficoltà…Dobbiamo soffermarci tutti a pensare un po’ di più al bene comune e non solo al nostro; soprattutto ai bambini che rappresentano il nostro futuro.

Maria Borrelli

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G_ADELE_FAUST ERICA BROVELLI ANNA

INNANZITUTTO IO SONO? Vivo in una grande città composta chimicamente da azioni, che calcola l’umanità in funzione del tempo di cui si dispone e il tempo è sempre meno. E quanto misurano le mie iniziative? È un calcolo percettivo. Non conosco la distanza dal punto in cui mi trovo al resto delle cose. Lo credevo ma era un illusione.Fin da quando ho preso coscienza delle mie azioni ho pensato di agire in funzione delle mie necessità e il risultato che ne derivava era il giusto premio alla mia iniziativa. Ora però c’è qualcosa di profondamente diverso.Veniamo preparati superficialmente all'accettazione di una sorte da spartire, si procede verso un destino, uno qualunque e mentre avan-ziamo non vedo preoccupazione per il proprio “sé”. C’è una cultura che ci prepara a cogliere il benessere, rispettando i principi che il contesto da cui veniamo ci insegna, eppure non c’è nessuna dottrina pratica che adotti la nostra anima, non c’è una vera preparazione a “essere” se non attraverso quello che facciamo e decidiamo. Se capiamo qualcosa di noi lo dobbiamo, tardi, in funzione al curriculum della nostra esistenza. Sento intorno a me la straordinaria importanza che viene data alle cose, ai fatti e la mancanza assoluta di un riferimento per giudicarci:“È simpatico”, “è antipatico”, “è un cretino”, “è un grande” ma l’unità di misura delle nostre sensazioni resta banale e mai rinnovata.Mi manca… sapere chi e cosa siamo, parlare di noi, andare a fondo senza temere il confronto. Ci teniamo nascosti invece e lodiamo chi non parla di se e non parla degli altri, come fosse un merito celarsi e mandare avanti l’ipocrisia di poche frasi di rappresentanza, che funzionano da ambasciate delle nostre identità. Invece ci si può appassionare a se stessi senza diventare autoreferenziali.Come può bastarci sapere quel poco che conosciamo di noi e ancor meno quello che sappiamo degli altri? Come mai veniamo educati ad essere così timidi verso noi stessi? Ci si affanna e si lascia vorticare, in una vita che è un afflato, ad una velocità che detta la coscienza. Ma vorrei avere il coraggio di fermare chi conosco e ridisegnare insieme il modo di essere. Per ora l’inquieto vivere che leggo, proviene dal fatto che noi agiamo e pensiamo ma non abbiamo il tempo e la cultura per sapere chi siamo.Se la vita è un grande pensiero fissato in giovinezza e tradotto in pratica, allora vorrei che quel grande pensiero fosse condiviso ogni giorno per poter dire finalmente: io sono.

Lapo De Carlo

Io... io sono...Io... io sono bella e sono brutta, simpatica e odiosa, amabile ed indisponente... io sono sicura e sono dubbiosa, tenace e fragile, sono le nuvole e sono il sole, la gioia e il dolore... SONO TUTTO E MAI NIENTE!

Erica Brovelli

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ENRICA_AUGUSTA_ELENA

MATTEO FIORINI DAVIDE VOLPI LARA_1 LARA_2

Io sono una ragazzina fortunata.Mi sveglio sorridendo, felice di andare a scuola, stare con i miei nuovi prof., con i compagni e vedere chi mi piace. Ogni mattina Dinka – la mia cucciolosa – mi fa un sacco di feste. Io vorrei arrivare a scuola sempre prima del suono della campanella per fermarmi a chiacchierare fuori dal portone. Il problema a quell’ora è papà. Prima che sia pronto per uscire di casa passa una vita. La parola d’ordine è “ma non sei ancora pronto?” La mamma in compenso ripete sempre le stesse cose “hai lavato i denti? Ti sei pettinata?”. Non so come sarò da grande ma dovrò stare ben attenta a non diventare come loro!

Lara Cimmino

Io sono alfabeticamente...asino battezzato comunicativo dubbioso efficace fiorini gioioso hiker insistente lavoratore matteo nauseato ostinato papà quasicontinuo ragionevole sovrappeso tifoso ultrarapido… verace zuccone.

Matteo Fiorini

Io sono DavideIo sono Davide, un ragazzo di 11 anni che gioca, ride, scherza e si diverte, pensando che sia normale.Perché a loro viene negato? Non solo gli viene negato, li portano nelle riserve, oppure li uccidono.Questo solo per due diamanti e due pezzi di legno.Uomini primitivi? NO!Siamo NOI che abbiamo l’intelligenza di un Australopiteco!

Davide Volpi

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GABRIELE DOZZINI

FILIPPO MARCONI

MAURO FERRERO

Sono.Sono un figlio del caso e dell’amore; vivo d’ufficio e di maree, graffettando secondo a secondo.Amo: la bruma, l’odore dell’erba strappata, dormire in aereo, le rocce lisce, le donne verdi, almeno cinque persone, il color vinaccia, i romanzi d’esordio, i romanzi di commiato, i divani morbidi, la luna rossa, le piccole bugie bianche, le medie bugie grigie, il fuoco di legno d’abete, i ponti tibetani, i tibetani, il collo dei gatti, le canzoni partigiane, le persone stanche, le copertine dei libri antichi, le macchine da scrivere del secolo scorso, il secolo scorso, il giorno a venire, i sogni degli altri, le scuse fantasiose, le cozze gratinate, la scienza di confine, i confini, i con, i fini irraggiungibili, le coccinelle, la musica ispirata, le muse inconsapevoli, i riflessi, i vecchi, i vestiti delle maestre.Invidio chi conosce le ragioni della terra. Anelo all’eternità moderata o a far crescere un fiore. Dal seme.

Gabriele DozziniIO SONOPadre diMarito diFiglio di

Parente diAmico di

Ex compagno diCollega di

Terapeuta diIo sono le mie relazioni.

Filippo Marconi

IO SONO...Per poter usare le mani e averle libere è necessario

avere piedi ben radicati, appoggiati su questo

mondo, per spiccare voli...

Mauro Ferrero

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BIANCA_GIACOMO_VIVI_CLAY ELIE

Io sonoIo sono perché non dimenticoIo sono perché vivoIo sono perché spero

Natale 2008Agnese Consonni

Io sono!Chi sono? Non è una domanda retorica: se io vivessi da sempre e senza mai aver avuto contatti con alcuno, là, su un atollo corallino sperduto nell’immensità dell’oceano; fossero miei i più dolci frutti della terra; godessi dei giorni più calmi e sereni, le più serene stellate notturne; venissero da me gli uccelli più colorati e canori, le farfalle più splendenti, le più miti creature dei cieli e dei mari, ancora non saprei chi io sono.Fino a quando, da un folto di cespugli non sbucasse all’improvviso, e miracolo-samente, un solitario Venerdì, come quello che apparve un giorno a Robinson Crosue naufrago sulla sua isola deserta, e, avvicinandosi a me con cautela e timidezza, disarmato, incominciasse a guardarmi con occhi similiai miei (da me scorti a volte nello specchio di una calma fonte), e con mani simili alle mie mi sfiorasse il viso, e, curioso, imitasse i miei gesti, articolasse suoni simili a quelli che io provassi ad articolare con lui, soltanto allora io potrei incominciare a capire chi sono, chi siamo.E abbracciandolo, potrei esclamare con lui le mie prime parole “Tu Uomo! Tu fratello mio!”

Bruna Dell’Agnese

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EMMA BIRAGHI

RAIMONDO GISSARA GIACOMO LOTTI

TOMMASO E FILIPPO BOTTIN

Sono mamma,moglie, impiegata,amica, figlia, sorella e zia,cittadina, elettrice,abitante della terra.Ogni giorno mi sveglio e spero di potere (e potermi) dare abbastanza a Veronica e alla figlia che verrà,di avere sempre Stefano al mio fianco e di condividere sempre con lui le gioie e il senso della vita, di continuare a trarre soddisfazione dal mio lavoro e di potermi sempre migliorare,di riuscire ad alimentare quella rete di relazioni che è gran parte del mio essere,di vivere responsabilmente questa città,di essere informata a sufficienza per poter valutare e scegliere, di dare un senso al mio essere in questo mondo e di riuscire a sognare e immaginare desiderabile il mondo che verrà.La sera vado a letto, ma in genere sono troppo stanca per fare il bilancio di tutto quello che ho sbagliato... e , in tutta onestà, il mio unico pensiero è la vana speranza che Veronica dorma…Sogni d’oro.

Elena Salvi

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Io sono!

“L’importante non è quello che hanno fatto di me, ma ciò che io faccio di ciò che hanno fatto di me” J.P. Sartre (1966)

Non so se avete presente una soffitta, se ci siete mai saliti su una soffitta... magari quella della casa dei nonni, che poi è diventata dei vostri genitori, e poi è diventata la vostra casa... e la vostra soffitta.Non so se avete presente quante cose diverse ci si possono trovare, scatole grandi e piccole, credenze, cassoni che da qualche generazione aspettano che qualcuno si af-facci a quella porta per curiosare lì dentro. Non so se vi siete mai affacciati alla porta di una soffitta e vi siete avventurati dentro e avete accesso le luci e, armati di una scopa e buona volontà, vi siete messi a ripulirla. Quello che potrebbe essere visto come un banale lavoro di casa diventa un vero e proprio viaggio nel quale si incontrano tempi e culture diverse: ogni oggetto è diventato l’impronta che qualcuno ha lasciato dietro di sé e che rappresenta un pezzo di vita, di storia individuale e collettiva. E simili impronte le ritroviamo nel modo in cui ci rapportiamo agli altri, nelle scelte che facciamo quotidianamente, in come crescono i nostri figli. Con il mio lavoro mi capita sovente di soffermarmi, insieme ai miei clienti, su come questi segni si evidenzino e contribuiscano a creare bolle di gioia e bolle di dolore che, in continua sinergia, deter-minano la nostra crescita e quella di chi viene dopo di noi. “SONO”... io sono un atleta, io sono un medico, io sono una psicologa, io sono un im-prenditore... ci identifichiamo e ci facciamo identificare quotidianamente sulla base delle cose che facciamo e delle posizioni che occupiamo nella società... un po’ meno accade invece che ci interroghiamo più profondamente sulla nostra identità, sulle emozioni che viviamo e sulle piccole e grandi passioni che ci travolgono, le nostre paure e desideri... su ciò che davvero sono e non faccio, dico, conosco… seppur la mia identità sia fatta anche di questo e di tanto altro. E allora potremmo invece arrivare a dire... sono un simpaticone, sono un romantico, sono debole, sono allegro, sono bello, sono brutto...La cosa divertente, è che mi accorgo che quello che io sono lo sono diventata attra-verso una quantità di ruoli, situazioni, esperienze che non sempre rappresentavano quello che ero... ma è proprio grazie alla diversità, all’alterità dell’altro sconosciuto, che sono arrivata a riconoscermi nella mia identità... per ora!!!Quando lavoro, nel mio studio insieme ai miei clienti, suggerisco loro di provare a pen-sare in che modo sarà diversa la loro vita nel momento in cui arriveranno ad essere esattamente ciò che sono già... sì sembra un bel giochino di parole! E invece è che troppo spesso la maschera che ci siamo messi non viene più via. E allora non è male fermarsi un attimo e guardare in uno specchio virtuale, capace di riflettere contem-poraneamente passato, presente e futuro, la propria vera faccia. Vedere in che modo saremmo vestiti. Una volta una mia cliente che si vestiva ormai da anni solo ed esclusi-vamente di nero, si è vista in quello specchio con un allegro abito a fiori. Dopo un paio di settimane, come se l’avesse fatto per tutta la sua vita, è arrivata con una maglia e una gonna di colori sgargianti. Così, non siamo veramente sempre come siamo abituati a vederci! Anche il fatto stesso che io stia scrivendo queste parole che forse qualcuno si soffermerà a leggere fa parte della mia storia, della mia identità e di ciò che sono ora e forse farà parte anche della storia di chi queste righe le legge. Io ogni tanto in soffitta ci vado, e ne esco sempre con qualcosa che mi torna utile!

Lara Bellardita

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ROSY VOLPI

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sopportabile del gruppo... Olsen

IO SONO!È difficile in questo momento dire chi sono e trovare un senso... sembra che ogni cosa

giri intorno a me ed io rimanga ferma sempre nello stesso punto. Posso essere energia, gioia e felicità ma anche tristezza, malinconia e solitudine. Sto ancora

cercando un senso alla mia vita, sto ancora cercando di capire dove questa “folle” vita mi sta portando e ogni tanto percepisco di essere decisamente in ritardo.

Oggi sono quello che sono con i miei pregi e difetti, ma sono anche quello che sono grazie a mio padre e mia madre; due persone straordinarie che mi hanno sempre fatto capire come al di là di ogni cosa materiale, la cosa più importan-

te sia sempre l’amore, quell’amore incondizionato, viscerale, gratuito, sempre pronto a riscaldarti nei momenti più critici, quell’amore

sul quale si può sempre contare. Con l’amore è possibile superare qualsiasi ostacolo, qualsiasi barriera; con l’amore si gioisce di ogni cosa...Ecco allora quello che voglio essere: voglio essere amore per tutte quelle persone che incontro ogni giorno, che magari mi sfiorano appena, o che

magari hanno intersecato la mia vita solo per un istante; voglio essere amore per i miei amici, nipoti e fratelli e soprattutto, anche se non lo

dimostro spesso, per i miei unici ed impareggiabili genitori, Evi e Armando.

Rosy Volpi

IRENE CAMILLA LUCIA FIORINI

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MICHELE E FRANCESCO PANICHI

Io sono! Io sono ogni cosa che ho visto, che ho udito, che ho vissuto... Sono una parte di tutte le persone che ho incontrato, con le quali mi sono scontrato... Io sono l’eterno silenzio e le mille parole, io sono tutto ciò che ho scri

IO SONO!Ho riletto più volte il “tema” di quest’anno, tema difficile, molto personale e molto

comune allo stesso tempo: si chiede di “dire cosa siamo, per cosa ci alziamo la mattina” e fin qui la risposta sembra possibile. Preso singolarmente ogni giorno è

diverso dall'altro e contiene una sua possibile storia, un motivo per cui vale la pena di buttarcisi dentro, anche se si tratta semplicemente di vedere “se finalmente questa mattina sulla tangenziale c’è meno traffico”...Ma l’ultima parte della traccia, quella richiesta di “esporre il senso dell'esistenza di tutti i giorni”, sinceramente mi sembra davvero ardua. Il senso di tutti i giorni vuol dire il progetto complessivo, globale di tutta l'esistenza, quel progetto al quale ogni singolo giorno dovrebbe dare il suo contributo... beh sinceramente ammiro chi può dire di avere un tale progetto, sia esso di tipo personale, lavorativo, religioso.

Io, citando le parole di un gruppo inglese a me molto caro, mi sento soltanto di dire che, ogni giorno, “the sun is the same, in a relative way, but you’re older, shorter of breath and one day closer to death”.

Michele Panichi

CAMILLA PANICHI

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Eurologos Milanosupporta e diffonde il Xmas Project 2008

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Capricornsupporta e diffonde il Xmas Project 2008

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CHIARA, ALBERTO, ELENA, MICHELA E DARIO REGAZZONI

"Io sono"... difficile per i bambini definirsi, difficile per gli adulti leggersi dentro... Siamo indaffarati, siamo di corsa, siamo distratti, siamo concentrati, siamo informati, siamo disinformati, siamo preoccupati, siamo utopisti, siamo ottimisti, siamo curiosi, siamo seri, siamo sorridenti, siamo emozionati, noi siamo una famiglia felice, e ci auguriamo che sempre più persone possano esserlo...

Chiara, Alberto, Elena, Michela e Dario Regazzoni

APARTHEIDPuò darsi che un giorno / Può darsi che un giornoPerché è necessario che un giorno un giorno…Noi abbasseremo le nostre armiMa non abbasseremo i nostri cuoriArmadou Lamine Sall

Vorrei tanto che una briciola di me fosse rimasta impigliata nelle mani dei miei 100 e più scolari.

Paola Masini

EX ALUNNI QUARANTENNI SCUOLE ELEMENTARI

DI S. MARCO DI BORGOMANERO

Chiara, Alberto, Elena, Michela e Dario Reg

TOMMY AGRATI, il manolesta

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ALBERTO COMETTO CHIARA_DAVIDE_LUISA_BRUNO QUAINI

VERONICA_SUSANNA_STEFANO CAPELLUPO

Noi siamo...gocce d’acqua

che scendono dal cielo e si avvolgono

in un tornado di fave.

Veronica Capellupo

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Io sonoNon so più bene chi ma io sono ancora in piedi, ostinatamente, contre vents et marées. Da piccola mi alza-vo la mattina con la voglia di giocare e sperimentare, adolescente e giovane adulta con la sete di scoprire

nuovi mondi e pensieri. Ora donna matura mi alzo perché DEVO. Ogni mattina apro gli occhi e so che mi aspetta una nuova battaglia da combattere per continuare a stare in piedi e guardarmi allo specchio la

sera con la speranza che i mattoni che ho posato durante la giornata sono quelli giusti perché la mia casa continui ad essere solida. Solitaria per natura e sola per scelta, nomade – se non più di fatto, almeno di testa e di cuore – la Terra è la mia terra. Simile al giunco che si piega ma non si rompe, è dalle

mie radici e ricordi – illusioni e disillusioni, vittorie e sconfitte, gioie e pene – che attingo la mia forza. Una forza che diventa la linfa vitale che, ogni giorno, mi consente di fare

sbocciare fiori e frutti sani, belli e gioiosi dalle mie battaglie da donna, da madre, da amica, da sorella, da lavoratrice, da cittadina...

semplicemente da persona che cerca, in un mondo caotico ed ostile, di salvaguardare la sua integrità e libertà

per raggiungere un’inaccessibile stella.

Nathalie Lastella

NATHALIE LASTELLA

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CLAUDIA TADDEI

NADIA PALOMA

IL FRANCIULLI

MARGHERITA, SARA E DARIOBERTOLESI

VERONICA DIGIUNI

RINO CIMMINO

SIMONE_ALESSIA_LUCA PORTOCHESE

EMMA COMETTO

CARLOTTA VOLPI E AMALIA CONTI

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IO SONOPoche ore dopo aver letto il tema di quest anno del Xmas Project mi sono ritrovata tra le mani un nuovo libro la cui introduzione citava:

„The Davil, I safely can aver, has neither hoof, nor tail, nor sting: nor is he, as some sages swear, aspirit, neither here not there, in nothing - yet in every thing. He is - what we are”. (Il diavolo, posso dire con certezza, non ha né zoccoli, né coda, né aculeo: non è, come certi saggi giurano, uno spirito, né di qua, né di lá, non sta in nulla – eppure è in ogni cosa. Lui è – ció che noi siamo). P.B. Shelley, Peter Bell the Third.

Che caso strano... e per me, atea convinta, che non posso demandare a nessuna entità suprema gli avvenimenti quotidiani, il caso riveste un ruolo se non da solista quanto meno di tutto rispetto tra le fila degli attori che recitano sul palco della vita. A cosa mi servono le parole citate? Ne prendo spunto per cercare di capire chi “io sia” ma, non è scontato che alla fine ci riesca. “Il diavolo è ciò che noi siamo”... ma cosa significano veramente queste parole? Qualcosa che temiamo? Una parte di noi che sente e pensa ciò che non vorremmo? Qualcosa che è in noi ma che non abbiamo il coraggio di confessare?... Per ognuna ne avrei un elenco ma credo che a poco serva un tale atto di prosa; il pretesto, al contrario, ha avuto un ruolo oltre modo lodevole nell’aiutarmi a compiere un cammino che alla fine mi ha condotta in procinto di modeste, intime verità… a nulla vale quindi un “mea culpa” laico se non a me stessa. Riconoscermi nei difetti, nelle incongruenze, nelle contraddizioni del quotidiano è stato per me come compiere un percorso duro ed estenuante, una corsa in salita, una nuotata contro corrente, mi sento stanca, provata ma allo stesso tempo colta da una sorta di piacevole euforia e beatitudine, una leggerezza che, è difficile spiegare in altro modo, se non come la sensazione che mi coglie ogni volta che raggiungo la meta che mi ero prefitta, nello sport come nella vita. Chi “sono io”... non saprei! Veramente, non saprei. Parimenti non so neppure fino a che punto sia corretto porsi sempre delle domande, come faceva Amleto contemplando il teschio di Yor, ironicamente buffone di corte, e cercare di dare risposte ragionevoli, ammesso che, per ognuna ce ne sia almeno una disponibile. Non so! Anche il celeberrimo “cogito ergo sum” mi lascia spesso perplessa… basta veramente solo pensare per essere? Ed “essere” chi? Mille le risposte plausibili... Io, giusto o sbagliato che sia, le domande continuo a pormele, i dubbi mi attanagliano e le conclusioni tardano a fare capolino ma persevero nella ricerca, sperando prima o poi di diventare una persona migliore.

Greta Spoladore

GRETA SPOLADORE

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Noi siamo... ...e con il nostro lavoro costruiamo per noi e per gli altri sia materialmente sia moralmente.

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DAVIDE PLATI

FRANCESCA COLCIAGHI

RENATO PLATI

IO SONO: UNA RICERCA A RITROSONon ricordo la prima, ma proprio la primissima volta, in cui ho detto “io sono”. Ricordo la prima volta che l’ho detto in inglese, in prima media “aiemegherl”. Poi un grosso oblio. Per anni mamma e papà mi hanno detto che non contava quello che uno aveva nella vita. Certo, mi dicevano conta quello che tu sei. “Tu sei brava… quando fai il tuo dovere!”. E così da loro ho assimilato il primo modello dell’esistenza: la cultura del fare. E possibilmente del farlo bene guardando a chi fa meglio e del farlo con fatica e a lungo. Sono già stanca a pensarci! Ma si intuisce che più o meno presto, a volte tardi, comunque prima o poi, i genitori non sono più l’unico modello con i quali ci identifichiamo e arrivano gli Altri, gli amici, alcuni maestri particolarmente illuminati, poeti cantanti attori, o meglio i loro personaggi e quelli dei primi romanzi che leggiamo senza che ci siano stati assegnati come compiti delle vacanze. Quell’ “io sono” una brava bambina che compie il suo dovere in alcuni momenti, soprattutto quelli immaginati, assume contorni epici, favorita in questo anche da qualche occupazione scolastica. Un’eroina all’Allende per interderci! Adesso mettiamo un altro stop. Tutto questo l’ho capito ora che sono adulta, e non tanto tempo fa rispetto al momento in cui lo scrivo. Anni di un lungo contorsionismo emotivo, e non solo, per togliere tutte queste bucce attorno all’ “io sono”. Ma anche per aggiungere qualcosa. Martin Buber, filosofo e umanista, sosteneva che non esiste un io senza un tu. Se non ci fosse un tu davanti alla mia persona che mi renderebbe necessario pensarmi come individuo distinto e relazionato ad un altro non potrei mai dire “io”, e non ve ne sarebbe l’assunto esistenziale. È solo nel momento in cui connoto l’altro come una Persona che accade l’“io sono”.Il potere più grande che abbiamo parte dal pensare, sentire, affermare, passare attraverso l’esperienza più autentica di sé e diventare e scoprire sempre più quell’“io sono”. Dato ontogenetico che ha bisogno di libertà e responsabilità. Non è una condizione statica, si modifica e pertanto libertà e responsabilità vanno salvaguardate. E solo salvaguardando quelle del tu posso arrivare a me. È un grandissimo potere, appartiene a tutti e non si consuma (se vi va date una lettura a un libro tanto piccolo quanto significativo a riguardo “Il piccolo libro del potere” di J. Wood).Un giorno ho detto ad una persona “no, io non sono una psicologa, io faccio la psicologa”.Ora non ho più bisogno di aggrapparmi a queste distinzioni, ce l’ho ben chiara dentro di me. Con maggiore serenità ed accettazione semplicemente sono quello che sono. Sono io. Io sono.

Barbara D’Ambrogio

DIEGO PLATI

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Io sono!La maiuscola è su “sono” e non su “io”, perché anche nella mia vita la maiuscola è sull’essere. Sono una mamma, una moglie, una figlia, un’amica e un’insegnan-te, una bella responsabilità ma anche un’immensa fortuna! Ogni mattina carica di voglia di fare per tutti e alla sera sempre con qualche rimpianto per non essere riuscita ad essere per gli altri come davvero vorrei. Qualcuno pensa che io sia una sognatrice, forse è vero ma cosa sarebbe la vita senza i sogni. Cosa direbbe ora Martin Luther King del suo grande sogno? Non gli parrebbe vero! Io però non sono un’eroina, mi accontento delle piccole sfide quotidiane che affronto con allegria e tanta energia, certo quando sono stanca non statemi vicino perché potrei mordere…Ce la faccio? Non sempre, ma non mollo, il viaggio è lungo e chissà cosa mi aspetta domani… Grazie a tutti quelli che mi fanno Essere, vedo le loro facce quando mi sorridono o quando mi ascoltano. Sento le loro parole quando si lamentano e mi criticano. Tutto questo mi aiuta a crescere e mi sprona.Camminare insieme a chi voglio bene, con le mani colorate in una catena infinita. Come un arcobaleno, è così che mi vedo, che ci vedo: in marcia. Con fatica, entusiasmo, con gioia, determinazione, a volte purtroppo anche con tristezza e dolore. Insomma… con tutti i colori della vita.

Enrica Rossi e…

EMMA COMETTO

PIERO FIORINI SAMUELE MARCONI Io sono qui dentro??... MARCONI

ANDREA MARCHETTI

ENRICA VIOLA

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NOI SIAMO LA CLASSE 3a E Se i baci fossero acqua ti darei il mare, se le coccole fossero foglie ti darei le foreste e se l’amicizia fosse la vita ti darei solo la mia, e poi io sono... io sono... io non sono nessuno in confronto al mondo intero. Antonio Io sono una ragazza che in alcuni momenti è timida ma anche molto vivace. Sono simpatica ma alcune volte no! Il mio desiderio è andare meglio a scuola e non litigare con nes-suno. Edea Non so precisamente cosa sono... forse un piccolo fiore in un grande prato verde, che pensa a come può essere la sua vita senza quel prato che dà gioia e felicità alla gente... Giorgia Io sono quello che voi pensate che io sia, io sono quello che voglio essere; io sono fiero di quello che sono; di quello che sarò; nessuno mi farà cambiare idea per nulla al mondo; non mi cambierei per nessuno al mondo. Andrea ...io sono speranza; io sono coraggio; anche se sono solo una piccola goccia in un grande oceano. Federica Io sono testardo e molto dispettoso, so essere simpatico, divertente e a volte ho bisogno di un piccolo, grosso, addirittura immenso aiuto; proprio come un fannullone. Andrea Io sono quello che voglio essere ma sono sempre io! Fabio La grandezza della parola ‘io’ la si può paragonare allo spazio che occupa una lacrima in un oceano... così insignificante... tanto piccolo sono io nel mondo... eppure così importante per coloro che mi amano e stanno intorno a me. Paul Io sono un ragazzo molto simpatico e molto carino e anche gli altri mi vedono così. Però... vorrei andare un po’ meglio a scuola! Elvis Beh, cosa c’è da dire: io sono io, con i miei pregi e miei difetti e non mi importa di quello che pensano gli altri. Gabriele Tante persone desiderano essere ciò che non sono. Io vorrei essere diversa,ma ogni persona ha un suo modo di essere, chi è alto e bello, chi è basso e brutto. per me l’importante è rimanere se stessi, e non permettere a nessuno di cambiare ciò che siamo. Veronica Io sono come una barca a vela che naviga nel mare, a volte calmo e a volte agitato. Matteo Io sono quello che tu non vedi... Gavril Se l’amore fosse tutti i baci del mondo io te li darei, se il bene fosse tutti gli abbracci del mondo io te li darei,…ma se fosse l’amicizia io ti darei solo la mia, anche se…io sono…solo una ragazza che rispetto a tutto il mondo intero non vale niente; ma il bene che ti voglio va al di là di tutto! io sono…una persona che ti vuole un mondo di bene! Sarah Io sono una ragazza simpaticissima, qualche volta sono timida, però mi piace fare amicizia con persone nuove… e questo ì solo una piccola parte di me… Michelle Io sono una ragazza che ha due sogni. questi sono diventare una campionessa di nuoto e l’altro è diventare un buon architetto. Kristina

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NOI SIAMO LA CLASSE 3a B Io sono una bambina molto fortunata perché vivo in un paese dove c’è la scuola, da bere e da mangiare. Io sono una bambina fortunata perché nel mio cuore c’è tanto amore. Daniela Io sono un bambino fortunato perché non mi manca niente. Io sono un bambino molto felice perché ho tutto quello che mi serve. Jacopo Io sono una bambina, posso andare a scuola, posso mangiare, posso comprare i vestiti. Io sono una bambina felice perché posso fare rugby. Io sono una bambina sorridente e ho degli amici molto carini. Aicha Io sono Rodrigo e vorrei che i bambini poveri prendessero un po’ delle mie cose. Rodrigo Io sono un bambino un po’ monello e buono, ho otto anni, sono un bambino un po’ ricco. Davide Io sono un bambino fortunato perché mi posso permettere dei vestiti, posso mangiare, posso andare a scuola e perché ho tanti amici. Giorgio Io sono molto fortunato perché ho degli amici e tante amiche. Gioco con tutti e faccio subito amicizia. Gabriel Io sono Fabiola; sono un tipo contento e felice e mi piace scherzare come mi ha fatto imparare mio nonno e certe volte mi sento biricchina. Mi piace l’amicizia e giocare con tutti e non ho preferenze per i compagni perché sono tutti uguali e mi trovo molto bene qua con i miei compagni. Fabiola Io sono un bambino di otto anni e sono fortunato perché posso mangiare, ho una casa e perché ho tanti amici a scuola e vivo in una città ricca. Beppe Sono fortunato perché: ho la casa, posso mangiare e vado a scuola. Andrea Io sono Sara. Di notte sogno mia sorella Gaia e quando dorme fa tante forme. Quando balla sembra una farfalla, quando gioca sembra un’oca. Io sono fortunata perché ho dei genitori veramente favolosi. Sara Io sono Zhi Qiang sono cinese perché sono nato in Cina e so scrivere in cinese. Zhi Qiang Io sono un bambino molto fortunato perché vivo in un paese ricco. Spero che i bambini di tutte le popolazioni più povere riescano a vivere meglio e ad andare a scuola. Diego Io sono Irene sogno tante sirene, nel mio cuore c’è tanto amore, sono molto fortunata e molto amata. Son socievole come un cerbiatto, son saggia come un faggio, son chiara come un gufo e stellare come un lupo. Irene Io sono Federico. Io sono fortunato perché ho tutto quello che mi serve. Federico Io sono Fiona Tefiku e sono una bambina brava e gentile. Io sono molto felice perché ho una famiglia e una scuola molta bella. Fiona Io sono una bambina fortunata perché dei bambini ap-pena nati sono abbandonati. Io sono Alina e dentro il mio cuore ho tanto amore. Io sono felice perché sono una bambina fortunata. Alina Io sono un bambino che da grande vorrebbe aiutare i bambini poveri e sono un bambino fortunato. Vorrei andare in Africa per aiutare la gente povera. Cristian

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IO SONOIo sono quando mi sveglio alla mattina e vedo il sorriso di mamma e papà;io sono quando bevo il latte della mamma; io sono quando faccio lo scalatore sul mio papà;io sono quando bevo l’acqua dal rubinetto;io sono quando abbraccio i miei nonni;io sono quando appoggio la mia manina sulle ferite e le guarisco;io sono quando mando i bacini via telefono;io sono quando chiedo: “giochi con me?”;io sono quando vedo un albero;io sono quando piove;io sono quando mi tuffo nelle pozzanghere;io sono quando vedo una ruspa;io sono quando vedo il camion della spazzatura;io sono quando vedo una moto;io sono quando vedo un uccellino;io sono quando respiro il mare;io sono quando mangio la torta;io sono quando faccio la torta con la mia nonna;io sono quando vado tiro il legnetti con la mia nonna;io sono quando dipingo col mio nonno;io sono quando vado al museo col mio nonno;io sono quando mi emoziono e arrossisco;io sono quando ascolto la musica;io sono quando suono la musica;io sono quando ballo;io sono quando corro, salto, mi butto per terra;io sono quando soffro il solletico;io sono quando mi nascondo;io sono quando piango;io sono quando frigno;io sono quando mi lamento;io sono cristallino;io sono furbetto;io sono sempre;io sono Luce;io sono Amore;io sono Davide, anche io sono una persona.

Davide Tassoni

DAVIDE TASSONI

Io sono!

Io amo ed

accetto

il diver

so da me

perché è

parte di me.

Io voglio amare

il diver

so da me

perché è

parte di me.

Io mi perdono, q

uando non amo il d

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Io voglio essere

indulgente.

Io voglio essere

amorevole.

Amore genera

amore.

Perdono genera

perdono.

Le paro

le crea

no la realt

à.

Un pensiero positiv

o crea u

na realtà

positiva.

Con questo libro noi sti

amo creando

un mondo migliore.

Diana e Diego

ADRIANO TOMASETTA

EDOARDO_SHEILA_MAURI BINI, Parana 28 giugno 2008

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Io sono!Cara zietta,Sarà mai possibile che una povera ragazza dedita allo studio, che trascorre le sue giornate sul libro di matematica e che ha una media complessiva del 9.4, debba leggersi quarantasei libri in una settimana per trovare il contributo del Xmas Project da mandarti?!Se non altro posso dire con orgoglio che, pur avendo dormito due ore in sette notti, ho trovato un qualcosa che si ricollega ad un tema ogni anno più difficile da trovare su Google! Chiaramente le ore tolte allo studio della fisica influiranno negativamente sulla media scolastica finale e, per questo, probabilmente l'università finlandese di “fisica astronomica nucleare cosmopolita tu quoque, brute, fili mi!”, per la quale mi applico da nove anni, rifiuterà la mia domanda di ammissione.In un mio lampo di genio (ormai sempre più frequenti!) ho pensato di cercare in un libro di favole, ma di frasi di senso compiuto, dotate di soggetto, verbo e complemento, che c'entrassero qualcosa con “io sono...” non ne ho trovate. Ieri sera, non riuscendo a dormire a causa della mia preoccupazione per il compito di medicina astrale dantesca con riferimenti a Guicciardini e Talete, ho pensato bene di rileggermi “Il piccolo principe”, accorgendomi solo oggi di ciò che avevo sotto agli occhi e non vedevo. HO TROVATO LA FRASE!! Anzi no, in realtà sto mentendo: è stato Dodo che oggi, quando mi ha telefonato per farsi spiegare la scomposizione dell'atomo che ha dato origine alla Terra, mi ha fatto presente il capitolo più conosciuto (da tutti quei plebei, finti colti) del libro che ventiquattro ore fa leggevo in modo assurdamente distratto. Dico assurdamente perché, come tu ben sai, io non sono mai stata una ragazza distratta, magari troppo studiosa, ma distratta proprio no! Ma non dilunghiamoci, per domani devo ancora tradurre l’“Adone” di Marino dal barocco al greco ionico.“Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altra. Tu sarai per me unico al mondo e io sarò per te unica al mondo”Antoine de Saint-Exupéry Giulia Utili

IO SONOSono come tutti i bambini:

Sono come il sole, brillerò in eterno.Sono come un uccellino: volo libera e spensierata.

Sono come un topolino: così piccina e mai considerata.Eppure sono così piccola da essere importantissima.

Chiara Utili

Io sono la loro mamma...e me ne stimo moltissimo!

Sandra Casadei Utili

ELENA CASADEI

IO SONOPaziente/intransigente.

Mamma. Nonna. Un'insegnante di Filosofia.

Radicale. Anticlericale.Un'amica leale.

Io sono la Cicci Carini.

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SIMONA DINETTA

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Io sono! il cielo, la terra, io sono l’acqua, io sono il vento, io sono il sole e la luna, il giorno e la notte, le stelle e le nuvole, insomma, io sono un ragazzo. Lorenzo Losa

Io sonoIo sono una persona come le altre, Orgogliosa di essere come sono: normale e

Semplicemente me stessa in ogni situazione! Ogni giorno delle mia vita sprizzo energia da ogni poro e Non c’è un giorno in cui non sia così, perché Ogni giorno sono Chiara e basta…

e nessuno al mondo può essere Chiara come lo sono io!!

Chiara Nolfo

Io sono...Io sono… io sono… Sinceramente non saprei che cosa io sia.Ogni persona mi vede in modo diverso da altri, mi attribuisce qualità diverse, che magari io non penso neanche di avere. Per mia sorella sono una persona da imitare in tutto e per tutto, ma altre mi odiano e per loro sono, quindi, una persona che non si deve per niente imitare. Sono simpatica a certe persone, ma antipatica ad altre, ma questo è normale, avviene anche la reazione contraria.Io sono buona, ma molti credono che io sia la strega cattiva, arrivata sulla terra solo per avvelenare le persone, ma io non sono così!!!! Io sono MARTINA! E qualunque cosa succeda io sono sempre IO!!! Io, con i miei pregi, ma soprattutto con i miei difetti… io con ancora la timidezza di una bambina, nonostante abbia tredici anni… ma sono sempre io… sono e sarò sempre e solo Martina. Io, che sono come gli altri, io che sono studente come mille altri ragazzi al mondo.Beh… io credo di essere molte altre cose… Credo anche che gli stessi miei attributi vengono conferiti anche ad altre persone, ma nonostante questo io SONO ME STESSA e nessun altro è come me… e nessun altro sarà mai come me.

Martina Rota

Io sonoun essere umano che sogna di diventare un’artista. Sono molto timida e curiosa. Qualche volta cerco di essere sicura di me stessa. Per i miei amici sono una che si preoccupa, però vorrei migliorare il mio carattere, e il mio linguaggio, perché qualche volta parlo velocemente, e dico delle cose senza pensarci. Per la mia famiglia, invece, sono una ragazza dolce, e silenziosa, i miei genitori mi vogliono bene, come mi vogliono bene i miei fratelli e i miei amici. Mio padre mi ha sempre detto che non devo mai isolarmi, e di non dare mai ascolto a quelli che mi prendono in giro. Lui ha sempre avuto ragione su di me, e infatti voglio farcela, voglio riuscire a stare con tutti i miei amici più cari, devo anche smetterla di essere molto timida. Io so di potercela fare, devo solo cercare di essere sicura di me stessa.

Arianna Seno

Io sonoIo sono un ragazzo e sono uno studente. Mi reputo una persona socievole come tanti. Ho dei difetti: sono permaloso e sono un po’ dispettoso. Però ho anche dei pregi: sono generoso, una persona coerente nelle proprie idee, vero, il migliore amico per un’altra persona. Spero di diventare un po’ più studioso per quanto riguarda la scuola, per passare gli esami bene.

Andrea Di Conzo

Io sono...Matteo e ho 13 anni. Vado a scuola come qualsiasi altro ragazzo della mia età. Ho molti amici che mi rispettano e con cui gioco, sia a scuola, sia all’oratorio, dove organizziamo delle partite. Sono un ragazzo molto simpatico, e con il senso dell’umorismo (cosa che non molti hanno).Sono molto allegro e vivace, mi piace il calcio e lo pratico, la mia squadra si chiama Crespi Morbio, quest’anno non è stata la migliore, però il campionato non è ancora finito.Sono tifoso della Juventus da quando avevo 5 anni e ho cominciato a giocare a 10.Vado molto d’accordo con i miei genitori e con tutti quelli che mi conoscono, non litigo spesso e sono sovente concorde con le scelte dei miei compagni.

Matteo Vincenti

Io sonoEmily, sono Emily la stramba, sono io.Emily non è pigra, è solo felice di non fare niente...Emily non bara, segue le sue regole...Emily non è avida, ma la fa sempre pagare...Non giudicatela male, però. Emily è anche dolce, aggraziata...Cerca di risolvere i problemi degli altri inspirandosi ai suoi, tentando di far capire ai suoi amici l’importanza dei sentimenti e provando a non far sbagliare gli altri, come ha fatto lei. Emily è circondata da amici, ma spesso e volentieri si sente sola. Non si sa perché, però… probabilmente non lo sa neanche lei. Ma quando vuole, questo però accade molto raramente, sappiatelo, Emily cambia e diventa una semplice ragazzina milanese, magra, bassina, che va in terza media. Questa ragazzina si chiama Emma. Ma a Emily non piace essere. Preferisce essere... STRAMBA!

Emma Pelucchi

Io sono!Elisabetta, mi chiamano Eli, Betta, Elisa, Piffe… ma SONO sempre IO!

Io sono una comune ragazza tredicenne in un mondo di ragazze tredicenni, ma SONO IO! Io sono una ragazza a cui piace aiutare gli altri e so di non

essere l’unica, ma IO conto per una! Io sono timida. E altri miliardi di persone insieme a me, ma SOLO IO SONO IO!!

Elisabetta Confalonieri

NOI SIAMO LA CLASSE 3a AScuola secondaria di I grado Teodoro Ciresola

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Io sono solo un ragazzo, non posso fa re molto, ma nel mio piccolo vorrei aiu

tare le persone meno fortunate di me. Lorenzo Caruso

Io sono!Davide e sono un essere umano. Per gli altri sono un amico sincero e

chi mi conosce lo sa. Sono un terrestre molto simpatico e socievole, mi piace giocare con la Play ed ho una famiglia, mio padre, mia madre e mio

fratello Gabriele. Sono molto fortunato perché mi vogliono bene.Di aspetto ho i capelli bruni, gli occhi verdi e una faccia “normale”, vado

a scuola normalmente come tutti i ragazzi. Per la mia famiglia sono bravo, per i miei amici sono un amico e per un conoscente un normale

ragazzo, ma so che da grande farò qualcosa di bello per il mondo, il mio regalo al mondo. Ora non saprei cosa fare, ma di sicuro quando sarò più grandicello lo saprò. Adesso sto solo pensando alla scuola perché

ci sarà l’esame quest’anno e quindi devo impegnarmi al massimo. Certo farò qualcosa per distrarmi, per esempio andare in centro con qualche mio amico o giocare alla Play con mio fratello. Io sono più che altro un

socievole, quindi non mi piace stare da solo; cerco sempre di stare con un amico. Credo proprio, in conclusione, di essere normale.

Davide Savastano

Io sonoIo sono dove non dovrei essere: in una fabbrica di palloni.Io sono dove non dovrei essere: in una miniera di diamanti.Io sono dove non dovrei essere: in un laboratorio.Io sono dove non dovrei essere: all’angolo di una strada.Io sono dove non dovrei essere: sul fronte.Io sono dove non dovrei essere: in una conceria maleodorante.Io sono dove non dovrei essere: a spacciar droga.Io sono dove non dovrei essere: dietro le sbarre.Io sono dove non dovrei essere: in una fogna.

Perché io… sono solo un bambino.

Martina Volpi

Io sonoCome dire… per gli altri sono timida, sensibile e forse anche un po’ permalosa! Per la mia famiglia sono solo una ragazzina che sta crescendo e l’unica figlia femmina educata… per i miei fratelli sono la sorella che non capisce gli adulti, che quando ha un problema si “sfoga” con la prima persona che le capita sotto tiro e per loro sono sempre la sorella “preferita”. Per la mia migliore amica sono simpatica, sensi-bile e una buona confidente. Ah, dimenticavo: per lo zio preferito sono la nipote di cui si può fidare ciecamente, la nipote che non ha mai dato fastidio, ma soprattutto la nipote che gli vorrà sempre un MONDO di bene. Adesso tocca a me… io sono Miri o meglio Mirian Alva e ho 13 anni. Io non sono pigra, disordinata, non spendo soldi facilmente, non faccio pagare a nessuno il male che mi ha fatto. Io sono pasticciona, estroversa, allegra, ordinata, ma soprattutto sono me stessa con tutti!

Mirian Alva

Io sonoun ragazzo normale con le sue difficoltà e i suoi agi, ma come tutti i ragazzi ho dei problemi tipo essere maturo, dimenticarsi di qualcosa. Come tutti gli esseri umani sono dotato di una mente e di un cuore per essere conscio di quello che sto facendo, ma alcuni non sfruttano queste qualità a fanno del male alle persone. Per fortuna sono un ragazzo e ho tutta la strada davanti per rendermi conto di ciò che è bene e di ciò che è male.

Ettore Bertolotti

Io sono!......un ragazzo, mi reputo simpatico e gentile. Per mio fratello sono un po’ rompiscatole, però spero e credo che mi voglia bene quanto gliene voglio io. Per mio padre sono un

ragazzo che non mangia niente, per me questo non è vero perché mangio un bel po’ di cibi, però per lui sono anche un bravo ragazzo e questo mi rende molto felice. Per mia madre sono permaloso, ma un ragazzo molto simpatico e abbastanza bravo. Insomma,

sono un normale essere umano, però con il mio personale modo di vivere.

Marco Russo

Io sonoun ragazzo semplice, ma l’unica cosa che ho in mente è fare il cuoco, e non mi arrenderò mai, anche se mi dicono che è un lavoro facile a me piace ed è questo che vorrei diventare. Sono orgoglioso di essere dell’Ecuador perché la tribù del mio popolo si è battuta per la libertà e alla fine si è tenuta la terra, questo per me è un gesto da eroi, anche se alcune persone sono morte lo hanno per la propria famiglia. Io sono un ragazzo straniero in una scuola lontana, lontana dalla mia vera casa, ma mi conforta sapere che i miei genitori e mia sorella vivono con me, questo è un sollievo. Non vedo l’ora di tornare in Ecuador e abbracciare i miei nonni, i miei zii e i miei cugini. Io sono un ragazzo orgoglioso dell’Ecuador e per questo sono felice.

Deyvis LalanguiIo sono......un ragazzo come tutti gli altri ragazzi comuni. Mi piace giocare, fare sport e divertirmi, stare con gli altri e a volte combinare qualche guaio, io non so bene come descrivermi, potrei dire di essere simpatico, socievole, divertente, non molto bravo con lo studio anche se me la cavo. Queste sono le caratteristiche con le quali mi descrivono gli altri, ma io non sono solo così. Mi piace studiare, però ci sono materie che mi piacciono e materie che non mi piacciono. Io ho molti conoscenti, ma la maggior parte non sono veri amici. I miei amici veri, però, sono sempre i migliori.

Davide Cavagna

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... Se tu fossi...“Ginni, ma se TU fossi un animale, quale animale saresti?”

“Sarei un delfino perché fa le pirolette e può andare dove vuole.”

“E se fossi un colore, quale colore saresti?”“Sarei il rosso che è il mio colore preferito!”

“E se fossi un fiore, quale fiore saresti?”“Una rosa, perché è bellissima, profumata,

ma se qualcuno mi rompe lo pungo!”

“E senti amore, ma se IL MONDO fosse un animale, quale animale sarebbe?”

“Sarebbe una tartaruga di mare perché il mondo è bellissimo e tranquillo e poi perché anche quello è il mio animale preferito”

“E se il mondo fosse un fiore, quale fiore sarebbe?”“Un girasole perché quando c’è il sole si apre e lo segue sempre.”

“E se il mondo fosse un colore, quale colore sarebbe?”“Non lo so… sarebbe tanti colori”

“Allora forse sarebbe un arcobaleno.”“Sì, sì, sarebbe un arcobaleno!!!”“E noi ci cammineremmo sopra?”

Ginni ride. “Sarebbe bello mamma!”“Buona notte amore, sogni d’oro e d’argento.”

“’Notte mammina!”

Ginevra Volpi con mamma Eva

Esa soy yoEsta es mi huella

La que identifica en el universo.Tu huella... No dejes que se borre

Ama, vive, sueña y lucha por tus idealesPasa por la vida y deja tu huella

Conserva tu identidadAma con el sentimento

que solo el corazón puede entenderCáete y vulve a levantarte

… y nunca dejes de esperarEsa soy yo

Cyndra Velásquez

IO SONOIo vivo con le mani.Mani addormentate che la mattina spengono la sveglia,Mani bagnate che sciacquano il viso,Mani di routine che timbrano il biglietto del pullman,Mani allegre che salutano gli amici,Mani concentrate che prendono appunti,Mani ladre che rubano un sorriso,Mani golose che afferrano un pezzo di pane,Mani birbanti che scrivono sul vetro appannato della macchina,Mani che amano,Mani giocose che lanciano una palla,Mani conserte che pregano,Mani curiose che scostano una tenda in cerca di non si sa cosa,Mani sulla fronte per trattenere i ricordi,Mani umide che hanno appena asciugato una lacrima,Mani tese che attendono un abbraccio,Mani, Mani e ancora Mani...

Martina Todesco

CYNDRA VELASQUEZ

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ANTONIO PANIZZA

Io sono!“Se vuoi arrivare primo corri da solo;se vuoi andare lontano, cammina insieme.”

Proverbio keniota

Antonio Panizza

EVA DE LUCA

IO... intensamente SONO!

Eva De Luca

MARIKA CENERINI

IO SONO qui, TU dove SEI?”IO SONOil volto che ogni giornoincroci, ma non conosci. IO SONOil bisogno che gridaattenzione, ma non ascolti. IO SONOlo specchio del mondoche vuoi aiutare: TU dove SEI?

Marika Cenerini

MARTINA E FIFI

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MARTINA, SERENA E ANDREA

SERENA E LA MAMMA

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FABIO RUSSO

Il ghiro... e il socialeLe 07.00 non si sono ancora svegliate e la ruotina indefessa della mia testa grigia mi sbalza fuori dai confini ovattati del materasso. Si è innescata la massa inerziale; l’indice sposta con una sequen-za ripetitiva e quotidiana i drin per giungere pigro alle 08.00 passate. Giusto puntuale per essere in ritardo.Piombo dalla notte mai satura di sonno, al mattino del giorno nuovo, senza passare dalla Moka, via diritto verso Meda. È come passare da casa all’ufficio con un calcio nel culo, la ventiquattrore in una mano e la bolla al naso.Piano piano, con eleganza e delicatezza, le ore da veglio addol-ciscono e curano il ghiro. Mi gratto la testa, riconosco i profili dei volti, mi liscio la barba e ascolto le voci. Ogni giorno si rivela essere una rassicurante metamorfosi. Quando vado a dormire sono già da diverse ore un animale sociale, lieto di sentirsi tale.

Fabio Russo

MARCO TUFFI

...Tu lo sai chi sono?Io no. A volte credo di saperlo,altre ne sono convinto,… minuti dopo non lo so più.Cambio idea ogni giorno quante sono le stelle su in cielo.Vivo, a volte sopravvivo.Sempre in attesa di un qualcosa .Tu lo sai chi sono? Io no.Tu lo sai cosa aspetto? Io no.

Marco Tuffi

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Socrate: Hai osservato poi che a guardare qualcuno negli occhi si scorge il volto nell’occhio di chi sta di faccia, come in uno specchio, che noi chiamiamo pupilla, perché è quasi un’immagine di colui che la guarda?Alcibiade: È vero.Socrate: Dunque se un occhio guarda un altro occhio e fissa la parte migliore dell’occhio, con la quale anche vede, vedrà sé stesso.Alcibiade: Evidentemente.Socrate: Ma se l’occhio guarda un’altra parte del corpo umano o degli oggetti, ad eccezione di quella che ha simile natura, non vedrà sé stesso.Alcibiade: È vero.Socrate: Se allora un occhio vuol vedere sé stesso, bisogna che fissi un occhio, e quella parte di questo in cui si trova la sua virtù visiva; e non è questa la vista?Alcibiade: Sì.Socrate: Ora, caro Alcibiade, anche l’anima, se vuole conoscere sé stessa, dovrà fissare un’anima, e soprattutto quel tratto di questa in cui si trova la virtù dell’anima, la sapienza.Platone, Alcibiade primo, 132e-133b

Paola Di Bello

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Speed Transport S.I. srlsupporta e diffonde il Xmas Project 2008

Io sono l’abitante delle pietre senza memoria, sete d’ombra verde;

il popolano di tutti i villaggi e delle prodigiose capitali;

sono l’uomo universo, marinaio di tutte le finestre

della terra stordita dai motori. Sono l’uomo di Tokyo

che si nutre di pesciolini e bambù,

il minatore d’Europa, fratello della notte;

l’operaio del Congo e della spiaggia, il pescatore della Polinesia,

sono l’indio d’America, il meticcio, il giallo, il nero:

io sono tutti gli uomini. Sopra il mio cuore firmano le genti

un patto eterno di vera pace e fraternità.

Io sono...

Jorge Carrera Andrade (1903-1978)

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Gianfranco Goff i con Aliviaggi Tour Operatorsupporta e diffonde il Xmas Project 2008

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RICCARDO BRIOSCHI

MARTINA NENCINI

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Io sono: : una dei 6,7 miliardi di persone che vivono sulla terra / antipatica / mora / comunista / interprete / italiana / rompiscatole / donna

/ collega / italiana / amica / single / musica /andata e tornata / figlia / residente / cattolica / riccia / Martina / cocciuta / alta 173 cm / parole /

qui / stanca ma felice / meteoropatica / lacrime e sorrisi / affidabile / raggiungibile / lontana / sola / curiosa / opinioni / straniera. Tutte queste

cose mi sembrano scontate. E dimentico spesso che avere diritti e possibilità per esprimere chi sei e un posto da chiamare “casa” e persone da

chiamare amici non sono affatto “cose scontate”.Martina Nencini

Io sonoPugno duro e mano sottileAlito di vento o tormentaSpiraglio di luceIo sonoCicatriceViaggio senza fineParole inutiliIo sonoNulla senza te.

Vittorio Ramella

VITTORIO RAMELLA

Page 97: Librosolidale 2008/9

Sono un colore tra il chiaro e lo scuro, in chiaro-scuro percepisco la m

ia vita, il chiaroscuro è la sfumatura dei miei sogni. Paola Mirra

PAOLA MIRRA

MAURIZIO D'ADDA

Io sonoIo sono un marito, un babbo e un manager. Tutto insieme. Nel senso che di giorno, quasi tutto il giorno, quando non è vacanza, sono un manager. Di sera e al mattino sono un babbo. Di notte, beh di notte… dormo. Quindi dedico poco tempo a fare il marito: e questo è un problema. Vorrei dedicarne di più. Anche per fare il babbo vorrei più tempo. Vorrei fare il marito e il babbo a tempo pieno (Gelmini permet-tendo). Dove faccio il manager, però, non mi dicono stai a casa a fare il marito e il babbo, non c’è problema, passa a fine mese a prendere lo stipendio. In realtà non mi dicono neanche stai qua tutto il giorno. Non mi dicono niente. Cioè, niente sul tempo. Mi dicono ottieni questo e ottieni quest’altro, sul come posso decidere io. Sono furbi, perché così io cerco di ottenere quello e quell’altro a tutti i costi e per farlo consumo un sacco di tempo. Possibile che uno non possa riuscire ad essere tre cose insieme? E pensare che vorrei essere anche un amico. Ci sono tanti che se lo aspettano. Mi telefonano, mi scrivono. Ah, dimenticavo, per me è molto importante essere anche un fratello. Meno male che il mio abita vicino. E anche essere un figlio conserva una certa rilevanza, mi sembra giusto. Il nipote ultimamente lo faccio malissimo e costerebbe così poco. Confesso, spesso, nonostante tutto questo casino, dedico ogni settimana circa novantaminutipiùrecupero ad essere un tifoso, non riesco a farne a meno. Essere un po’ un atleta? Niente e si vede. Ma cosa si fa ad essere altro ancora? Eppure mi capita di essere anche un collega, un condòmino, un consumatore, un imbianchino, uno spettatore, un turista, un contribuente, un parente, un elettore, un manifestante, un lettore, un navigatore, un ascoltatore… Insomma, cerco di essere un sacco di cose insieme. Come tutti? Ammiro molto quelli che ci riescono. Ammiro quelli che riescono ad es-sere anche donatori, volontari, impegnati. Insomma importanti anche per chi non sta esattamente loro vicino. Bravi. Comunque, in defini-tiva, io sono quello che sono. Soprattutto sono quello che ho scelto di essere o che voglio tentare di essere: questo è basilare. Quindi mi chiedo: perché se uno vuole continuare ad essere un cacciatore nomade dell’Amazzonia non deve poterlo fare?

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Per gli altri sono...…Io sono grande ma per i miei compagnisono una bambina piccola.Io sono forte ma per gli altri sono debole.Io sono veloce ma per gli altri sono lenta.Io sono coraggiosa come un leonema per gli altri sono fifona come un coniglio.

Alice Ballabio

Nel mio paese non ho dirittiIo sono una bambina del Sud del Mondo.Nel mio Paese non ho diritti.Vorrei studiare, giocare,crescere bene e nutrirmi…ma nel mio Paese io non ho diritti.

Carlotta Volpi

Io sono un bambino diversoIo sono un bambino del Pakistanperò non sono come tutti i bambini.Io non ho niente ho solo un lavoro da svolgere.Io non sono un bambino come gli altri.Sono un povero.Io non ho un amico non ho giocattolinon ho una casa per viverenon ho una scuola dove studiarenon ho da mangiare e bere.Io sono magro sono sporco e non valgo niente.Vorrei essere pulito e non valere così poco.

Chatu De Silva

Nessuno e' perfetto, neanche i piu' ricchiIo sono basso ma vorrei essere alto.Io sono magro ma anche simpatico.Io sono vivace ma vorrei esserlo meno.Io sono allegro ma troppo chiacchierone.Io vivo bene in Italia ma penso ai bambini del mondo chenon vivono tanto bene come me.

Edoardo Grimaldi

Io provengo dalla poverta'Io sono una bambina del Sud del Mondoche non può giocare, andare a scuola, vivere mangiando e bevendo a sufficienza.Mi considerano sporca, non servo a nulla:sono prigioniera della fame.

Elisa Gao

Io e ioSpesso ho sognato di avere un altro io:una nuvoletta uguale a mein mezzo a tante nuvole nel cielo azzurro;un albero uguale a mein mezzo a tanti alberi nella foresta.

Una bambina che si chiama Fabianacon i miei stessi pensieri, i miei stessi ideali, i miei stessi sentimenti.Ma lei vive in Africa, lavora non gioca.Oh dolce bambina, mi senti?Che cosa posso fare per aiutarti?Un giorno le nostre strade si incontreranno?Lo spero tanto, mio altro io, e spero anche che troverai LA FELICITÀ.

Fabiana Lauro

Una bambina del Sud del MondoIo sono una bambina del Sud del Mondolavoro in una fabbrica-prigione di tappetisono povera e non son fortunatacome i bambini dei paesi ricchi,ma vorrei esserlo.Non vado mai a scuola,qui non c’è mai la voglia di giocare.Ma perché non sono come gli altri?Io non ho diritti.Noi bambini camminiamo scalzi sulla terra dura, non abbiamo una vera casae mangiamo tutto quello che troviamo così ci ammaliamo spesso.L’unica cosa che vorrei avereè la felicità, la libertà e la gioia di vivere!

Federica Peroni

Io sono... e sogno...Io sono Federico.Ho dieci anni. Corporatura media. Basso.Io ho un sogno: la pace nel mondo e chei bambini che stanno male siano guariti.E che i bambini che hanno famepossano mangiare.E che i bambini che sono solinon lo siano più.

Federico Torella

Io sono... io sognoIo sono Filippo. Ho una corporaturaadeguata perché posso crescere bene.Non è così per i bambini del Sud del Mondo.Io sogno un “mondo” migliore per i bambini dell’Africa,del Sud America, dell’Asia... Io sono un bambino che vorrebbe“lottare” per un mondo più giusto.

Filippo Brioschi

Non c'e' posto per me nel mondo?Io sono un bambino schiavo,costruisco tappeti.

NOI SIAMO LA CLASSE 5aBScuola primaria Teodoro Ciresola

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Io sono un bambino povero.Io ho una famiglia grande e devo guadagnare.Io sono buono e gentile, bello e bravo.Io non sono invidioso,ma quando vedo in vetrinai vostri giochi così carini e perfettimi viene da piangere.Io non ho casa, istruzione, cibo.Io vorrei essere come uno di voi.Nel mondo non c’è posto per me.La libertà sarebbe tutto per me.

Filippo Natola

Io sono...Io sono una bambina di nove anni. Vivo in Nepal, in un paesino vicino a Katmandù.Sono magra, mangio poco e male.È un mio diritto andare a scuola ma non ci vado. Vivo in una misera catapecchia.Io non sono una bambina come tutti,sono una bambina povera.Io vorrei essere una bambina come voi.Io sarei libera se corressi sui prati con voi.

Francesca Fanari

Noi ragazze 'adulte'”Io sono una bambina di dieci annie vivo in Pakistan, mi chiamo Gaia,ma non vivo a casa mia.Vivo in una fabbrica di tappeti.I miei genitori mi hanno vendutaper un pugno di monete.Noi ragazzine, adulte troppo presto,lavoriamo diciotto ore al giorno,mangiamo un pugno di risoe dormiamo sei ore.Io vorrei essere libera, felice,e vorrei poter aiutare gli altriad essere liberi e felici.È il mio sogno.

Gaia Russo

Io sono felice...Io sono felice quando... qualcuno mi dice che le situazioni brutte nel mondo sono migliorate.Io sono felice quando... sento dirmi che un’associazione per migliorare il mondoha raggiunto il suo obiettivo.Io sono felice se... un bambino abbandonato viene adottato da una persona comprensiva.Io sono felice se... un bambino povero arriva in Italia e trova una casa,una scuola, del cibo e affetto.Io sono felice quandoi diritti dei bambini vengono rispettati.

Giulia Tartufari

Io sonoIo sono un bambino, un bambino povero,non vivo in un mondo libero come gli altri.Un mondo di libertà, per noi ci potrà essere?Io sono me stesso.Ho gli stessi diritti degli altri.Eppure io ho poco cibo, poca acqua.Non vado a scuola.Sono un bambino schiavo,lavoro come uno schiavo.Per avere pochi soldi.Io non ho un sorriso che illuminatutto il mondo.Non ho quello che dovrei avere.Io vorrei essere un bambino, e qualcosa di più.

Lorena Pacchiana

Chi sono io?Per la mamma sono il gioiello più prezioso.Per il papà sono il primo passerotto del nido.Per mia sorella sono una mappa da seguire.Per mio fratello semplicemente la tata!Per i miei amici sono... io... Ma io chi sono?Io sono Marta. Sono una bambina. Sono un’amica. Sono una sorella.Sono... sono... sono... io sono me stessa!

Marta Bosio

I diritti dei bambiniIo sono Michele. Ho dieci annivivo a Milano e mangio ogni giornoio so che è così per tanti miei coetanei.Io sogno che ci sia giustizia peri bambini più poverii bambini sfruttati nei lavori minoriliper i bambini che hanno fameper i bambini che sono soli.Io mi guardo allo specchio e mi dico che sono un fortunatissimo bambino.

Michele Capodaglio

Vita - Prigione e RisposteIo non sono nessuno non ho nessun diritto, devo soltanto lavorare.Da quando sono natonon posso esprimere neancheun piccolo desiderio, mai.Questo non è vivere. È morire.Ma forse la morte è migliore.Alla fine chi sono io? E perché esisto?

Michele Guagno

Io sono un bambino pieno di sogniIo sono Iqbal Masih.Lavoro in una fabbrica di palloni.I miei genitori mi hanno fatto

lavorare a sei anni per pochissimi soldi.Adesso ho dieci anni e finalmentesono uscito dalla prigione.Uscito con i miei compagni nella libertà.E mi sono chiesto chissà se un giornosarò un bambino qualunque?Andrò a scuola?Forse un giorno il mio sogno si avvererà e potrò fare quelloche io voglio.

Mahamed Zahran

Io sonoIo sono una bambina di nome Nicole.Vivo in Italia, sono di origine filippina.Gli altri dicono che sono gentile,e che parlo un po’ troppo.Per la mamma sono sua figlia,che deve finire la scuola,che deve comportarsi bene,che deve rispettare le opinioni di tutti.Per mio papà sono come la sua gemella.Io sono stata l’amica di tutti.Mi guardo allo specchio e sembro una regina del mio paese lontano.Io sono me stessa,e non vorrei essere nessun’altra.

Nicole Gonzales

Io vorrei aiutare qualcunoIo sono un bambino, che ha dieci annie vengo dal Bangladesh,e quello è un Paese povero,e vengo dalla città di Nohacali,e vivo anche a Dacca che è la capitale.Nel mio Paese ci sono dei bambiniche non hanno i soldiper andare nelle scuoleed alcuni vivono in case fatte di terra.Io sogno di fare qualcosaper aiutare tutti loro.

Rahat Patwery

Io sono una bambina: normaleIo sono una bambina: felice, simpatica,generosa, pigrona...Ma contenta di essere: me stessa!Per gli altri sono antipatica, vanitosa, brutta...Quando gli altri riuscirannoa capire che sono una bambina NORMALE?

Shahirah Capolla

Non c'e' posto per me sull'arcobaleno della FELICITA'ÀIo sono felice quando riesco a mettere sotto i denti qualche pezzo di pane o qualche chicco di riso.Io sono felice quando fabbricoda solo un pupazzetto di pezza per me.Io sono un bambino

dell’Afghanistan molto povero.Io sarei felice se potessi stare di più con la mia famiglia,e comprendere di più me stesso e andare a scuola.Io sarei felice se le guerre finissero

Simone Fertonani

Io ho dei desideriIo sono un bambino povero,il mio papà mi ha mandatoa lavorare, a cucire palloni.Io vorrei avere dei momentidi svago, di divertimento, di libertà,come tutti i bambini.Io vorrei essere felice,stare con la mia famiglia e con i miei amici. Essere coccolato e accudito.Invece son qui a cucire palloniper poche monete.

Tommaso Baro

Io sono liberasono libera di andare a scuola, di divertirmi, di sorridere, di giocare, di scherzare...Ma i bambini che non sono liberinon si divertono

Valentina Lamperti

Io sono... gli altri mi vedono...Io sono Valentina, una bambina di dieci anni. Sono alta paffutella sportivainvece gli altri mi giudicano in tutt’altro modo.Perché non mi capiscono?Faccio fatica a trovare amiche,perché non mi accettano?Faccio fatica a parlare, a giocare con loro.Vorrei essere come loro: COMPRESA!Perché non piaccio a loro?Perché mi vedono elegante vanitosa,voglio stare sempre al centro dell’attenzione, ma non è così.Io sono Valentina, una bambina di dieci anni.

Valentina Ricotti

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PATRIZIA SEVIERIANNA B. PILAR DEL AGUILA ETTORE D'ADDA & FRIENDS

Io sonoNata in Amazzonia, ma cresciuta nella giungla di una città caotica del Sudamerica, amo la vita e non mi chiedo mai per quale ragione mi alzo ogni mattina. Semplicemente vivo, esisto, cresco, sogno, penso e agisco di conseguenza, seguo il mio istinto a volte sbagliato a volte giusto… la mia vita è un casino, ma io la adoro così...non ne vorrei una diversa.

Pilar del Aguila

Io sono!Partiamo da un presupposto: sono un soggetto da bioritmo notturno che adora svegliarsi presto. Conseguenza diretta, cervello obnubilato almeno per un paio di ore. Agisco in maniera del tutto meccanica e, nel tempo a disposizione prima di recarmi al lavoro, devo programmare chi farà che cosa nel corso della giornata non potendo presidiare personalmente il menage quotidiano. Per anni ho studiato organizzazione del lavoro – alla Bocconi, dico io, mica in un contesto qualsiasi – appunto! Provare per credere a far girare una famiglia… Nessuno però mi può levare il tempo impiegato per recarmi in ufficio, venti minuti scarsi ma fondamentali. Sono il mio attimo di preghiera, il momento di riflessione… Ascolto intensamente la Mannoia “c’è gente che ama mille cose e si perde per le strade del mondo…” Ecco mi ci ritrovo perfettamente. La mia esistenza è una rincorsa. Sono una bulimica della vita e sono totalmente incapace di non impegnarmi, in tutto. Poiché non sono wonder woman – al contrario sono piuttosto lenta e meticolosa (mio padre a ben pensarci aveva proprio ragione “la perfezione è nemica dell’efficienza” mi ricordava sempre) l’equazione è semplice: so cosa comincio e non so mai quando e ciò che concludo. La verità è che ho il terrore di stare alla finestra a guardare la vita, la mia vita, scorrermi innanzi come un film ed io non essere lì tra i protagonisti. Non so quanti giorni, ore o minuti avrò a disposizione ma desidero fortemente che nulla vada sprecato. È un dovere. È l’unico modo che ho a disposizione per ringraziare della fortuna di essere nata da questa parte del mondo.

Cristina Poletti

IO SONO ETTORE,CAPO DEL MARE SERIE CARTONE ANIMATO. SONO ANCHE UN GENIO E ANCHE UN POWER RANGER. SHADOW RANGER. SONO D’ADDA, ETTORE D’ADDA. BAMBINO. BRAVO. ANZI ORA SONO SOMMO LUMINESCENTE D’ADDA.

Ettore D’Adda

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SARAH NOCITA MATTEO PANIZZA PABLO PANIZZA MARCO ROSSI

MI RIGUARDA Un sentiero solitario: La stanchezza del giorno grava sulle spalle dolenti e la tentazione di fermarsi è un gioco sottile di luci ed ombre.

Restare in disparte, ai bordi della strada come ai bordi della vita.

Ma... se tu mi parli delle tue pene segrete,questo mi riguarda,se tu mi dici la tua rabbia nascosta, il tuo disagio, la nostalgia di terre lontane questo mi riguarda,se tu mi chiedi una bambola per i tuoi bimbi appena nati, questo mi riguarda…

E ti ascolto e il tuo dire diventa il mio tempo mentale.

Cadono bacche vermiglie sul sentiero solitario e foglie sempre verdi. La tentazione si fa incerta, svanisce. Senza rumore.

Orta San Giulio, Sacro Monte Rosanna Travaglino

Chi sono io?Tante volte mi sono fatto questa domanda nella mia vita soprattutto quando si parla di obiettivi di ambizioni e su cosa ci riserverà il futuro. La vita è piena di incertezze e alterna momenti felici e momenti di difficoltà. Noi dobbiamo sempre vivere pensando positivo cercando di poter inseguire i propri sogni, ma è nostra la responsabilità cercare di renderli reali. Ogni decisione però deve essere presa sapendo che non ci sono garanzie e certezze nella vita. Ogni scelta che si fa comporta un rischio, ma con un po’ di pratica, decidere diventerà via via più facile nella tua vita.Indaga e rifletti sui tuoi talenti naturali e impara ciò che vuoi fare bene, cerca di capire quali attività ti danno più piacere e soddisfazione, e quale stile di vita vorresti avere nel futuro.Io sono in quell’età di mezzo dove pensi al futuro ma cominci ad avere già un passato, non rincorri miti e mode perché penso che sono semplicemente io, me stesso e non vorrei essere nessun altro. Spesso sento il bisogno di staccare da tutto e da tutti, a volte sono in conflitto con il mondo intero ma quando arrivo a casa ho la fortuna di avere con me la mia famiglia, mia moglie i miei bambini e la loro gioia e serenità mi danno la forza di essere una persona migliore.

Bruno Quaini

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MARINA GIANESINI

Io sono!...sono come una miscela di colori. Il più

delle volte colori caldi, rosso, arancio.I colori dell’energia, del fare, dello spe-

rimentare; a volte colori freddi, blu, ver-de. I colori dell’incertezza, dell’attesa,

dell’inquietudine. Sulla mia tela, linee di “sogni infantili” si sono nel tempo

intrecciate con quelle dell’età adulta… nulla sembra più certo. Ma se metto da

parte “i sogni infantili” e guardo la tela, con tutto quel suo intrecciarsi di sfumature

armoniche, calde e fredde... sono felice.

FABRIZIO CARBONE

Io sono:l’amico di tutti.La mano!La mano è neraLa mano è biancaLa mano è marroneLa mano è sempre ugualee nessuno è diversoper il colore!

Tommaso Volpi

TOMMASO VOLPI

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FED

ERIC

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Io sono... Il custode del cimitero di Swain lane

Mi chiedo se posso contare le righe del mio viso come si possono contare i cerchi dei tronchi degli alberi per stimare la loro età e scoprire eventuali traumi.Mi chiedo se posso comprendere il tutto solo attraverso questa mia vita.Mi chiedo se posso essere chi sono per un motivo. Mi chiedo qual è il motivo.Vorrei la fede in un dio.Vorrei la certezza di una vita oltre la morte. Limbo di Eden.Ovunque vado porto disagio, sospetto ed alienazione.E poi d’improvviso sono luce nel buio, sono salvezza nella perdizione, sono la vita di chi non l’ha più.Chi sono io? Angelo custode o demone evocatore?Pazientemente seduto, scavo nella psiche di chi mi si avvicina, per un giorno o per anni.Connubio di odio e amore.Sorrido perché mi piace l’aria che respiro, anche se è inquinata.

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Noi siamo e dobbiamo crescere tutti in maniera uguale!

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ALESSANDRO MARCHETTI

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Xmas Project 2008 e margherita bertolesi ♥ edoardo sheila mauri bini ♥ monica marini ♥ katia tumidei ♥ cicci carini ♥ alessandro bompieri ♥ sarah nocita ♥ giulia utili ♥ chiara utili ♥ elena casadei ♥ monica burdese♥ alberto bruno ♥ emma bruno ♥ alessandro bruno ♥ alessandro febbi ♥ alberto lazzaretti ♥ virgilio beltrando ♥ barbara boffa ♥ giorgio bertolo ♥ daniele allocco ♥ franca miretti ♥ john skinnader ♥ loris genesio ♥ studioagrò ♥ padre gianni nobili ♥ giorgia morra ♥ marco patagarro eula ♥ max garbo ♥ massimiliano tinelli ♥ marina gemic e vittorio salvini ♥ luca buratti ♥ marco mangini ♥ manuela bocco ♥ massimo durante ♥ marco di gregorioe donatella ♥ andrea ceccarelli ♥ federico barral ♥ massimo santambrogio ♥ alessandro de angelini ♥ gianfranco de cesaris ♥ nicola cascino ♥ elena pini ♥ giulia montrasio ♥ luca musumeci e stefania spennacchio ♥ stefanoronzoni ♥ giovanna giuliana ♥ federica rovelli ♥ andrea volonté ♥ elisa reginato ♥ paola budini ♥ paolo brosio ♥ patrizia manzone ♥ stefano stirpe ♥ stefania e fabrizio barale ♥ sandra abbona ♥ isabella valletti ♥ maurasemprevivo ♥ luca agnelli ♥ samuela bozzoni ♥ silvana terrini ♥ elisabetta broglio ♥ ricard solé ♥ andrea saetti ♥ adriano tomasetta ♥ martina casadei ♥ claudia mazzei ♥ alessandro gallio ♥ maurizio d’adda ♥ alessandrogullo ♥ francesca piovaccari ♥ valeria zorzi ♥ nicole e flavia galimberti ♥ giacomo moletto ♥ nicola moletto ♥ danilo daniela margherita veronica marco e davide fava ♥ roberto garavaglia ♥ silvana anzil ♥ laura anzil ♥ fridafrezza ♥ luca roldi ♥ micaela rambelli ♥ alessia castelli ♥ lorella bazzani ♥ leo conti ♥ laura pacchioni ♥ marco panza ♥ davide e alessandro mustica ♥ maria elena stocchi ♥ luisa valsecchi ♥ gianluca sanvito ♥ gianluca falsitta♥ elisabetta vezzani ♥ associazione musicaingioco ♥ emanuela federico e ludovico ♥ michele elena e maresa acquarone ♥ maria teresa bortoluzzi ♥ stefano d’adda ♥ marcello casadei ♥ raffaella cova ♥ marco pignattai ♥alessandra camurri ♥ tommaso albinati ♥ sandra casadei ♥ luca utili ♥ andrea tosi ♥ paolo ortolina ♥ luca sacchi ♥ mara soldera ♥ loredana miola ♥ nicola persegati ♥ stefano mancini ♥ alberta magni ♥ nicola speroni ♥benedetta speroni ♥ ivana capozzi ♥ ettore d’adda ♥ davide dania ♥ alessandra ghirotti ♥ sergio febbi e riccardo febbi ♥ paola tarabra ♥ fabio russo ♥ alessandro concetti ♥ gina lagalia ♥ ivano palombi ♥ grazia e enzo ♥paola e max ♥ diego e davide plati ♥ greta e claudia ♥ jacopo dalai ♥ elena morabito ♥ tiziana ♥ giulia di sipio ♥ laura calligarich ♥ anna biasi leonardo biasi e raffaella foschi ♥ alessandro vittoria e luca ♥ michela dario chiaraalberto e elena regazzoni ♥ federica poletti ♥ piero macchi ♥ luisa baldini ♥ barbara alberti ♥ raffaella capellaro ♥ amparo restrepo ♥ lucia camilla e irene fiorini ♥ valentina vanoni ♥ annamaria bichisao ♥ alberto ciancio ♥jessica manfreda ♥ monica botto ♥ stefano errico ♥ matteo errico ♥ chiara baj ♥ fabrizio lepri ♥ silvia saler ♥ lia gugino ♥ 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daniela rocco ♥ diego rossi ♥ valentina kovacic ♥ dario inglese ♥ chiara forgillo ♥ chiara schimd ♥ mauro favagrossa ♥ gherardo e luigi poli ♥ giovanna zanimacchia ♥ ivan laura martina provini ♥ casa morigi

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Il Librosolidale, per una collana di solidarietà.

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I progetti sono sogni con delle scadenze.

Abbiamo iniziato nel Natale del 2001, con il primo Librosolidale,dedicato al progetto della Fondazione I Nostri Bambini, inRomania. Non sapevamo come sarebbe andata e se saremmostati capaci di continuare, Natale dopo Natale. Ci stiamoancora provando, e ancora ci sono dei momenti in cui cichiediamo se ce la faremo a proseguire. Ma poi ci guardiamoalle spalle, guardiamo lo scaffale della nostra libreria e lavediamo: la Collana di Solidarietà che fin dal primo librosperavamo di riuscire a costruire. Grazie a tutti voi, a ciascunodi voi. Questi sono i vostri libri, voi siete questa Collana.

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in collaborazione con la Fundazione “I nostri bambini”str. Ciresului n° 100 Bals - c.p. 235100 (Olt) RomaniaConto corrente RO39 RZBR 0000 0600 0389 2107Tel./Fax 0040 249 454246 e-mail: [email protected] www.inostribambini.org

Budget preventivo progetto Slatina Euro 8.041TOTALE FONDI RACCOLTI Euro 23.255Spese progetto (stampa, spedizione, segreteria) Euro 4.996Fondi a disposizione per progetto Slatina Euro 18.259Fondi stanziati per progetto ristrutturazione Euro 9.259Fondi stanziati per progetto “Assistenti materne” Euro 9.000

Carissimi Amici del Xmas Project,

il Natale è alle porte, ed eccomi di nuovo qui a raccontare di noi sullepagine del Librosolidale.

L’autunno ci ha portato buone e cattive notizie: i problemi della “crisiinternazionale” e della scuola italiana, un grande freddo e in alcuni casianche la neve che, per quanto temuta da noi adulti, rappresenta una gioiagrande e un autentico prodigio per i bambini.

Purtroppo l’ultimo si è verificato essere un anno difficilissimo, ma alcontempo fantastico per la nascita di Fabiola e per l’adozione del piccoloDamiano. Una bomba. Una felicità immensa, inspiegabile. Un miracolo.Questo sono i bambini: Miracoli!

Qui, alla “Casa dei Sogni”, sono avvenuti dei veri miracoli. Tutti ineonati presi in affidamento l’anno scorso si sono negativizzati,stanno bene, si prospetta una vita possibile!

Ma, insieme a questi miracoli, c’è stata anche la riduzione delle attivitàdella Fondazione, destinata purtroppo alla chiusura totale. Qui in Romaniaabbiamo sempre meno risorse e il costo della vita sale vertiginosamente. Ilpersonale non si accontenta più di un magro salario e sceglie piuttosto ladifficile strada dell’emigrazione per potersi permettere la sopravvivenza.

E così, molte delle persone che ritenevamo affidabili e che avevanoacquisito una valida esperienza, se ne sono andate.

Senza risorse e senza competenze, per noi è diventato quasi impossibilegestire la quotidianità. Stiamo comunque facendo del nostro meglio perfare in modo che i bambini che ospitiamo vengano affidati a famiglie o aistituzioni che garantiscano loro il meglio.

L’assurdo è che lo scorso anno sono stato insignito dell’onorificenza diCavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana: ma che cosa cene facciamo delle medaglie? Ci fanno provare solo una grande amarezza.

Non ci servono a far crescere i bambini o a pagare il personale. Sono solola dimostrazione di quanto sia “vuota” la politica. Solo chiacchiere buttateal vento da parte di tutti gli schieramenti.

Non sappiamo che cosa ci aspetta il prossimo anno, possiamo solo sperareche sia migliore. Noi continueremo a credere e soprattutto ad agire, perfare in modo che ognuno di noi possa sentire di esistere. Che ognuno dinoi, e per primi i bambini, possano dire: “Io sono”.

Con amicizia, Antonio Ellero e “I Nostri Bambini”

2001 in RomaniaRistrutturazione di alcuni bagni e camere della sezione di malattieinfettive pediatriche dell’Ospedale giurisdizionale di Slatina, in Oltenia,e mantenimento per tre anni di un’assistente materna.

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02Mohamed, Aghali, Abdoulahi, Mohamed e Tanalher.

A fine giugno hanno preso un pulmino e per la prima volta si sonoallontanati da Assada per andare a fare gli esami per il certificat, un esameche segna il termine degli studi primari e la possibilità di iscriversi alcollege, proseguendo il percorso degli studi.

Dal Niger ci hanno detto che erano tutti molto stupiti dal viaggio, dallecose nuove che hanno visto e soprattutto molto emozionati per la provache dovevano affrontare.

Dobbiamo dire che anche noi da qui, in Italia, non ci siamo detti nulla maun po’ emozionati lo eravamo anche noi: ormai da sei anni gli alunni dellascuola di Assada non sono più solo dei nomi e delle liste, ma dei bambiniche abbiamo imparato a conoscere e che siamo riusciti a seguire in tutto illoro percorso di studi.

La costruzione della scuola, infatti, è cominciata nell’ottobre del 2002 e,anche grazie al sostegno dell’Associazione Xmas Project e del PAM, è stato possibile assicurare il funzionamento della mensa, dell’orto e ilfinanziamento degli stipendi degli insegnanti e degli operatori.

Gli esami del certificat hanno rappresentato, quindi, una verifica anche perla nostra scuola: si tratta della prima valutazione di merito esterna dei

bambini formati ad Assada. Bisogna dire che le statistiche non eranoproprio dalla nostra parte: in Niger normalmente meno della metà deglieffettivi iscritti all’ultima classe del livello primario consegue questodiploma perché l’esame è molto difficile e spesso la preparazione ricevutadai ragazzi è insufficiente per affrontarlo.

Invece il 19 luglio arriva la notizia: cinque dei nostri studenti hannopassato l’esame con dei buoni voti e una degli “heureux admis” è unaragazza: Tanalher.

I pensieri vanno veloci ai loro volti e ci piacerebbe veramente essere lì acongratularci con loro, perché ce l’hanno fatta.

E ovviamente siamo orgogliosi anche degli insegnanti della scuola e di tuttiquelli che hanno contribuito alla formazione dei ragazzi: in questi annihanno fatto un buon lavoro.

E così per l’anno scolastico 2008/2009 si moltiplicano i nostri impegni:oltre al sostegno della scuola di Assada con i suoi 100 iscritti e gliinsegnanti, si apre la nuova sfida di accompagnare i nostri cinque studentinel loro nuovo percorso di studi al college di Agadez.

Paola Amigoni, Les Cultures

Budget preventivo progetto Scuola Euro 29.000TOTALE FONDI RACCOLTI Euro 36.750Spese per spedizioni Euro 1.100Spese di segreteria e cancelleria Euro 150Stampa Librosolidale 2002 Euro 8.100Fondi stanziati per progetto Euro 27.500

in collaborazione con Les Cultures ONLUSLaboratorio di cultura internazionale

Corso Martiri, 31 - 23900 LeccoTel.: +39 0341 284828 - Fax: +39 0341 370921

[email protected]

2002 in NigerCostruzione e avviamento di una scuola nel villaggio di Assada (aule,

alloggi, servizi igienici, cucina e magazzino nonché muro di recinzione).

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in collaborazione con la Fundación Niños de los AndesCarrera 20 bis A # 164-51 – A.A. 103659, BogotáTel.: 0057 1 6780655Fax: 0057 1 [email protected]

Budget preventivo progetto Casa Hogar Euro 35.000TOTALE FONDI RACCOLTI Euro 35.340Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Euro 540Stampa Librosolidale 2003 Euro 8.100Fondi stanziati per progetto Euro 26.700

Amigos de Xmas Project:

siamo lieti di riportare di seguito le attività promosse presso CasaAlbachiara fino al mese di ottobre di quest’anno.

La problematica dei giovani in strada, in cerca di opportunità concrete diimpiego, rimane il principale sforzo nel quale insieme alla vostraorganizzazione cerchiamo di profonderci.

Senza dubbio abbiamo ottenuto risultati incoraggianti con i giovaniaccolti negli ultimi tre anni presso Casa Albachiara. La Colombia nonpuò che esprimere tutta la sua gratitudine: ancora mille grazie alXmas Project.

L’obiettivo principale del programma che viene promosso da CasaAlbachiara è di inserire i giovani in un processo di adattamento socio-ambientale e pedagogico realizzando analisi preliminari per aree diincidenza e definendo un Piano Individuale e Familiare d’Intervento.

La maggior parte degli adolescenti assistiti nel 2008 sono soggetti amaltrattamenti e abusi, causa diretta del loro essere violenti e aggressivi.

Il comune intento dei giovani colombiani è la lotta alla sopravvivenza,ragion per cui spesso tale necessità porta al furto, allo sfruttamentoinfantile e al traffico di stupefacenti.

Il grado di scolarizzazione degli adolescenti accolti nel 2008 è a livelliaccettabili, ma c’è da notare che la maggior parte degli adolescenti inseritinel programma si trova oltre la soglia di età scolare. Ciò necessariamenterende difficile l’integrazione in istituzioni educative distrettuali diurne edetermina una maggiore attenzione verso un processo di accoglienza eadattamento in grado di fornire allo stesso tempo una formazionescolastica adeguata e l’inserimento in un ambiente prelavorativo conformeai propri interessi.

In merito alla formazione prelavorativa, si riscontrano miglioramentinell’inserimento di giovani in programmi di abilitazione offerti dal SENA(Servizio Nazionale di Apprendistato) presso imprese e industrie che hannoselezionato giovani in relazione al profilo e alle caratteristiche del lavoro.

Un abrazo,Pedro Fernández Vargas, Fundación Niños de los Andes

2003 in ColombiaAcquisto nell’area urbana di Bogotá di una Casa Hogar (casa famiglia)destinata a ospitare circa 60 giovani che hanno concluso il processo di reinserimento sociale all’interno della Fondazione e si preparano a lasciarla.

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04Cari amici del Xmas Project,

Lo sviluppo di FEDO (Feminist Dalit Organization) – la ONG nepalese partnerdel progetto, nata nel 1994 da donne dalit con l’obiettivo di migliorare lecondizioni di vita della comunità dalit, delle donne in particolare – non puòprescindere dal fatto che in Nepal vi sono ancora disaccordi sostanziali frale parti politiche che rendono difficile il processo di pace.

Nonostante tutto, FEDO prosegue con i progetti di rafforzamento eresponsabilizzazione dei dalit, rispettando così i suoi obiettivi.

La modalità di intervento utilizzata da FEDO è quella di una capillarepresenza nelle comunità attraverso l’offerta di un ampio spettro formativocon strumenti accessibili a tutti, tra i quali particolarmente usati sono ilteatro di strada e performance musicali.

È importante sottolineare come la capillarità dell’intervento spinga FEDO autilizzare parecchi volontari che, facendosi partecipi delle attività, vengonoanch’essi formati ai princìpi di base che motivano le azioni di FEDO.

Il Programma di rafforzamento dei Dalit (DEP) è stato condotto nei distrettidi Lalitpur e Doti e i beneficiari diretti dell’intervento sono state 3.770persone, mentre quelli indiretti 28.877.

Le tematiche più significative trattate vertevano sulla salute, sull’igiene,sull’alfabetizzazione e sulla formazione di base in ambito sociale ecommerciale (fra cui risparmio e credito). Inoltre, sono stati offertistrumenti di supporto all’agricoltura (irrigazione).

Il coinvolgimento delle donne dalit nel processo democratico (IDWDP) hacome scopo l’aumento della loro partecipazione politica, cosa che staavvenendo anche a livello del processo di pace attraverso l’AssembleaCostituente (WEPPDCA). Questo le ha spinte a una più larga partecipazioneal nuovo processo di ricostruzione del Nepal permettendo così laresponsabilizzazione della gente rispetto ai diritti della comunità dalit.

Infine, con il sostegno di Actionaid Nepal, FEDO sta creando unastruttura per monitorare le condizioni delle donne dalit e, attraversocampagne di difesa pubblica contro le ingiustizie e le discriminazioninei distretti, aspira alla nascita di una rete di alleanza tra lapopolazione.

In conclusione si può proprio dire che il programma ha raggiunto tutti gliobiettivi prefissati.

Maria De Carli, GRT Italia

Budget preventivo progetto Dalit Euro 28.000TOTALE FONDI RACCOLTI Euro 36.890Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Euro 790Stampa Librosolidale 2004/5 Euro 8.100Fondi stanziati per progetto Euro 28.000

in collaborazione con G.R.T. Gruppo per le Relazioni Transculturali

Via Desiderio 26/A - 20131 MilanoTel./Fax: + 39 0226681866

e-mail: [email protected]

2004 in NepalProgetto socio-sanitario a favore di una comunità di donne Dalit

nella regione di Rupandehi: 18 borse di studio, produzione di materialeinformativo e acquisto di attrezzature mediche per cliniche mobili.

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in collaborazione con l’Asilo Nido Giramondo Via Candiani, 139 - 20158 Milano – Tel.: +39 02 39313197Cooperativa sociale Città NuovaPiazza Alfieri, 3 - 20158 MilanoTel./Fax: +39 02 3760512E-mail: [email protected]

Budget preventivo progetto Chiedo asilo a Milano Euro 38.500TOTALE FONDI RACCOLTI Euro 39.240Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Euro 860Stampa Librosolidale 2005/6 Euro 7.080Fondi stanziati per progetto Euro 31.300

Ciao a tutti voi, Amici del Xmas Project!

Io Sono Giramondo, l’asilo nido privato convenzionato nella zona Bovisa aMilano che da qualche anno riceve il vostro più sincero affetto e sostegno.

Sono nato, sono stato aiutato e lo sono tuttora, e sono diventatoabbastanza bravo: senza falsa modestia vi posso dire che il Comune diMilano non solo continua a confermarmi la convenzione ma mi hachiesto di aumentare la disponibilità dei posti pubblici! In particolaresa quanto lo staff al femminile che mi caratterizza sia aperto alle sfide.

Ci sono davvero tanti bambini dentro di me, e sono di tutti i colori.

IO SONO DI TUTTI I COLORI! Le richieste che il Comune mi invia spessopartono da famiglie straniere, molte bimbe e molti bimbi arrivano eimparano tra le mie mura le prime parole di italiano.

Vi assicuro che oltre a farmi sudare e lavorare, divertire ed arrabbiare, micommuovono.

Cresco con loro. In questo ultimo periodo è un po’ faticoso a causa dialcuni problemi inerenti aspetti burocratici che senza volerlo micoinvolgono, ma io stringo i denti e lotto e vado avanti e sono sicuro chedavanti a me continuerà ad esserci un bellissimo arcobaleno!

I bambini, i loro cari e tutto il personale mi chiedono di salutarvi. Io viauguro di poter affermare sempre senza esitazione “Io Sono”.

Io sono vivo e ringrazio di questo!

Con amicizia, Giramondo, asilo nido.

2005 in ItaliaRealizzazione del “Progetto 100 euro” che prevede l’inserimento in un asilo nido di Milano di 10 bambini stranieri, figli di “genitori soli”in situazione di grave disagio economico e sociale.

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06Carissimi,

Tra il 2007 e l’inizio del 2008 sono stati completati i 10 punti d’acquaprevisti dal progetto co-finanziato da Xmas Project. Migliaia di personesono state sensibilizzate, hanno partecipato direttamente ai lavori dicostruzione degli invasi, sono state rese abili ad occuparsi in prima personadel bene preziosissimo che è l’acqua e ne percepiscono oggi il possesso.Migliaia di donne oggi hanno a disposizione acqua potabile a pocadistanza dal posto in cui abitano.

Mentre il mondo dei bianchi è così sviluppato da privatizzare nelle mani dipochi enormi gruppi finanziari la risorsa che rende possibile la vita allaTerra e che esiste dall’inizio del mondo, il mondo dei neri impara che èpossibile la condivisione e che non è più necessario farsi la guerra peraccaparrarsi punti d’acqua nel deserto.

Gongode e le altre aree che sono state toccate dall’intervento (Achi Kumbulti, Hamerland) oggi hanno qualcosa di ancora piùimportante dell’acqua potabile: hanno la dignità dell’esercizio di undiritto umano.

Rendere possibile tutto questo attraverso lo sforzo di un manipolo dipersone che in Italia realizzano e vendono il Librosolidale è qualcosa che hadel miracoloso.

A distanza di due anni da quando tutto è incominciato rinnoviamo ilnostro ringraziamento a quanti hanno partecipato a una impresa cosìsemplice e allo stesso momento così enorme.

Stefano Zimbaro, Sara Cravero, John Skinnader, Asrat Taddese e migliaia di bambini, donne e uomini del South Omo, Etiopia.

Budget preventivo progetto Acqua per Gongode Euro 29.000TOTALE FONDI RACCOLTI Euro 31.902Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Euro 850Stampa Librosolidale 2006/7 Euro 8.052Fondi stanziati per progetto Euro 23.000

in collaborazione con Associazione OMO Onlus (Overtly Multiethnic Oriented)

Strada Bria, 6 - 12042 Bra (CN) ITALYTel. +39 335 7919166 - Fax +39 0172 411907

[email protected]

2006 in EtiopiaRealizzazione del progetto “Acqua per Gongode” che prevede la

costruzione di 10 bacini artificiali per la raccolta di acqua piovana,attrezzati con una pompa tidal ad azionamento manuale.

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in collaborazione con l’Associazione SGUAZZI c/o Biblioteca Civica – via Matteotti1024046 Osio Sotto (BG)[email protected][email protected]

Budget preventivo progetto Ospedale di Man Euro 31.334TOTALE FONDI RACCOLTI Euro 38.280Spese per banca, spedizioni, segreteria e cancelleria Euro 935Stampa Librosolidale 2007/8 Euro 8.345Fondi stanziati per progetto Euro 29.000

Maggio 2008. Il progetto vince la quinta edizione del Premio Takunda,vincere con la solidarietà, tenutasi a Bergamo - presso il Teatro Donizetti -il 27 maggio 2008, per la categoria “Bergamo per il mondo” al progetto dicooperazione (vedi foto). Una delegazione del Comitato ritira il premio eincontra i partner lombardi.

Luglio 2008. I dettagli economici, il piano d’azione, le strategie e gliobiettivi del progetto sono stati presentati e approvati dalla regioneLombardia, nell’ambito del bando per i Progetti di Cooperazione decentrata.

Agosto 2008. Termina la ristrutturazione dei locali della biblioteca. La salainformatica viene dotata di 10 PC messi in rete, (di cui 1 adibito a server),una stampante, uno scanner, acquistati in loco. Vengono utilizzati 8.000euro del Xmas Project.

Agosto 2008. Presentazione alle autorità locali di Man e al direttoreregionale dello stato dei lavori.

La giornata riscuote un grande successo di pubblico e la televisionenazionale mostra le immagini dell’evento.

Settembre 2008. La Regione Lombardia non finanzia il progetto. Sarànecessario trovare altri finanziatori per reperire i fondi necessari alla messain atto del piano formativo.

Cari Amici e Sostenitori del Xmas Project,

Come superare l’isolamento tecnico scientifico denunciato dal personalesanitario dell’ospedale di Man? Da questa domanda nacque il progetto “UnaBiblioteca per l’Ospedale di Man”. Il Librosolidale 2007/8, voluto da XmasProject, si proponeva di contribuire alla realizzazione di questo obiettivo.

Ecco, in sintesi, tutti gli step di lavoro svolti quest’anno:

Gennaio 2008. Il Comitato Biblioteca di Man si costituisce AssociazioneACIM: Association Culturelle Informatique et Médicale.

Febbraio 2008. Essendo stato scelto dal consorzio capeggiato dall’AgenziaSpaziale Europea come attività da seguire e valutare nel corso dell’anno2009, nell’ambito della fase 4 del Progetto CBICT Capacity BuildingThrough ICT: the Satcom element, “Una biblioteca per l’Ospedale di Man”beneficerà della connessione gratuita al satellite per tre anni e di una partedi fondi per acquistare le apparecchiature.

Marzo 2008. Inizio dei lavori di ristrutturazione dei due locali chediverranno rispettivamente una sala di consultazione libri e sala PC\video -conferenza. Vengono utilizzati 5.000 euro provenienti da Xmas Project.

Aprile 2008. Spedizione di 300 libri nuovi medici donati dalla casa editriceSpringler. La sala consultazione è dotata ora di 500 libri.

2007 in Costa d’AvorioAcquisto di un’antenna parabolica con relativo trasporto e installazione e del materiale per la sala per videoconferenze della biblioteca medico-scientifica dell’ospedale di Man.

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Cosa succederà nel 2009?Gennaio-febbraio 2009. Trasporto e installazione della parabola.

Marzo-maggio 2009. Prime esperienze con utilizzo di internet veloce.

Giugno 2009. Seminario fondativo in videoconferenza con tutti i partneritaliani e ivoriani del progetto. Il seminario sarà preparato congiuntamentein Italia e a Man attraverso incontri presso l’Università di Bergamo e laBiblioteca di Man.

Luglio 2009. Viaggio a Man per verificare lo stato dei lavori. Xmas Projectè invitato.

Settembre 2009. Inizio dell’attività di e-learning e formazione a distanza.

Mirco Nacoti, Sguazzi Onlus

Ottobre 2008. Vengono ordinati i materiali per l’installazione della parabolae del collegamento wireless: antenna C-Band, cavi, gruppo continuità, router,apparati wireless, protezione, cavi di rete, cavi di antenna. 10.000 euro dei20.000 necessari per l’acquisto provengono da Xmas Project. I restantiprovengono da ESA.

Novembre 2008. Ospedali Riuniti di Bergamo e Università degli Studi diBergamo siglano un accordo formale per destinare risorse umane materiali,finanziarie e offrire copertura istituzionale al progetto per favorire accordibilaterali tra Italia e Costa d’Avorio. Sguazzi mette a disposizione 5.000euro (4.000 provengono da Xmas Project) per sottolineare l’impegnoassociativo nell’accordo.

Dicembre 2008. I 2.000 euro rimanenti del Xmas Project verrannoutilizzati per stipendiare il bibliotecario nell’anno 2009.

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Xmas Project 2009? In primavera la scelta.

Segnalateci i vostri progetti.

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A partire dal Librosolidale 2004 abbiamo introdotto un piccolo grande cambiamento: non tro-vate infatti nessuna anticipazione sul progetto del prossimo Natale. Abbiamo deciso di rinviarela nostra scelta in primavera, perché desideriamo ampliare le nostre possibilità di intervento:vogliamo infatti dare modo a tutti voi di segnalarci iniziative che ritenete interessanti o di indi-rizzare verso di noi eventuali associazioni con le quali siete in contatto.

Ecco i criteri che ci hanno ispirato fino a oggi nelle nostre scelte e con i quali verranno valutate lefuture proposte.

Un progetto “finito”: scegliamo progetti il più possibile delineati e dettagliati, conobiettivi chiari, anche se piccoli, un budget definito e un tempo di realizzazione certo.

Un progetto “rispettoso”: appoggiamo progetti richiesti e voluti da chi ne beneficerà, oda chi opera direttamente sul campo. Pur gradite e necessarie tutte le associazioni “tramite”, cipiace alla fine arrivare ad aiutare un partner locale, che esprima un proprio progetto e il bisognodi finanziarlo.

Un progetto “sostenibile”: diciamo intorno ai 30.000 euro. Questa è la nostra poten-zialità, quindi meglio tenerne conto. Ci piace avere un budget preciso e dettagliato del proget-to. A preventivo e poi a consuntivo.

Un progetto “diverso”: desideriamo che la nostra piccola collana di libri ci aiuti anche ascoprire la varietà del mondo. Ci piace immaginare dei Librisolidali che ci portino di anno inanno ad avvicinare luoghi e problematiche differenti.

Altre cose che ci piacciono: ci piacciono le piccole associazioni che hanno progetti serie interessanti, ma un po’ meno strade aperte per finanziarli. Ci sembra più utile portare il nostropiccolo contributo là dove non ci sono grandi possibilità di finanziamento. Ci piacciono leassociazioni ben organizzate, quelle disponibili e desiderose di contribuire attivamente alladiffusione del Xmas Project.

Segnalateci dunque i vostri progetti, segnalateci alle associazioni che li portano avanti. Ricordatevi che dovrà essere realizzato nel 2010, anno in cui noi potremo finanziarlo. Sarà il protagonista del Librosolidale 2009/10.

All’interno della copertina di questo libro, trovate tutti i dati per contattarci.

Appuntamento quindi in primavera per la scelta del progetto. Buon Natale a tutti voi!

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per la stampa del Librosolidale 2008

per la realizzazione e il mantenimento del sito www.xmasproject.org

per la rilegatura del Librosolidale 2008

Un grazie particolare a:Paola Scodeggio e Gianluca Sanvito per l’insostituibile “aiuto contabile”. L’équipe di Capricorn per il preziosissimo supporto grafico.Patrizia Zapparoli per la correzione bozze del Librosolidale 2008. Paola Mirra per la traduzione del testo relativo al progetto in Colombia.Fiorenza Roveda e Cristina Campagnolo della cooperativa sociale “Città e Salute” insiemeal Dott. Barigozzi della “Fonderia Napoleonica Eugenia” per la loro eccezionale ospitalità.Antonio e Tatiana Ellero della Fondazione “I Nostri Bambini”. Paola Amigoni e Giorgio Redaelli dell’Associazione “Les Cultures”.Pedro Isaac Fernández Vargas della “Fundacion Niños de los Andes”. Valeria, Maria e Loris Panzeri del Gruppo GRT.Barbara D’Ambrogio e tutta l’équipe dell’Asilo Nido Multietnico Giramondo. Stefano Zimbaro, Sara Cravero, John Skinnader, Asrat Taddese di OMO Onlus. Il grande Mirco Nacoti dell’Associazione Sguazzi.Francesca Casella e Sara Fumagalli di Survival Italia: grazie per la straordinaria passione che ci avete trasmesso!Tutti coloro che credono in questo progetto.

Testi del Progetto 2008: ©Francesca Casella/Survival

Realizzazione grafica: Jacopo Dalai & Matteo FioriniStampato a Milano, Novembre 2008

È consentita la diffusione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione in via telematica a uso personale dei lettori, purché non sia a scopo di lucro.

Xmas Project ringrazia:

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Photo Credits © FionaWatson/Survival PAG. 22/23

© Juan Mayr/Survival PAG. 50

© Livia Monami/Survival PAG. 24/25

© Yedis Campos/Survival PAG. 53

© Dennison Berwick/SurvivalCOVER

© FionaWatson/Survival PAG. 26/27

© FionaWatson/Survival PAG. 55

© Livia Monami/Survival PAG. 1

© Gleison Miranda/FUNAI PAG. 28/29

© Riccardo Truffarelli/Survival PAG. 57

© Pilly Cowell/Hutchison Picture Library PAG. 3

© Jeanne Herbert/Survival PAG. 30/31

© Bart Penashue/Survival PAG. 58

© Victor Englebert 1980/Survival PAG. 5

© Ben Gibson/Survival PAG. 32/33

© Survival PAG. 58

© Adam Fowler/Survival PAG. 6/7

© Jason Taylor/Survival PAG. 34/35

© Yankun García/Survival PAG. 58

© Antonio Ribeiro PAG. 10

© Gustavo Politis/Survival PAG. 36/37

© Mikkel Ostergaard/Panos PAG. 58

© FionaWatson/Survival PAG. 11

© Jonathan Mazower/Survival PAG. 38/39

© Jeanne Herbert/Survival PAG. 59

© Victor Englebert 1980/Survival PAG. 14/15

© Adrian Arbib/Survival PAG. 40/41

© Victor Englebert 1980/Survival PAG. 59

© Salome/Survival PAG. 16/17

© Brian & Cherry Alexander/www.arcticphoto.co.uk PAG. 42/43

© Salome/Survival PAG. 59

© Penny Tweedie/Panos PAG. 18/19

© Mark McEvoy/Survival PAG. 44/45

© FionaWatson/Survival PAG. 59

© Marie Hippenmeyer PAG. 20/21

© Survival PAG. 46/47

© Victor Englebert 1980/Survival PAG. 60/61

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È il regalo che vogliamo

farci quest’anno a Natale.

E che abbiamo scelto di farci

per tutti i prossimi Natali...

L’Associazione Xmas Project

L’Associazione Xmas Project è nata nel settembre delDuemilauno. I soci sono Roberto Bernocchi, Dario Bertolesi,Elena Casadei, Francesca Castelnuovo, Francesca Colciaghi,Alberto Cometto, Maurizio D’Adda, Jacopo Dalai, Claudio Elie,Matteo Fiorini, Filippo Marconi, Benedetta Nocita, Sarah Nocita,Sara Panizza, Renato Plati.ll Gruppo Media, azienda di arti grafiche, e Arachno, WebAgency, sono partner del progetto.

Per contattare l’Associazione e partecipare al progetto:

Associazione Xmas Project ONLUSVia Luigi Settembrini, 4620124 MilanoNumero Verde: 800 180 406Fax: 02 68 80 [email protected]

www.xmasproject.org

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Il Librosolidale

Il libro che state tenendo in mano è un libro speciale. È un“Librosolidale”. Non è in vendita, ma se lo desiderate, potetecontribuire a crearlo, a diffonderlo e soprattutto a finanziarlo.

Il Librosolidale è il frutto dell’impegno di molti. Questi moltisono il Xmas Project. Un’Associazione costituita per daresostanza e realtà a microprogetti di solidarietà, in giro per ilmondo, là dove c’è del bisogno.

Chi vuole sostenere il progetto, e quindi aderire al XmasProject, prenota una certa quantità di Librisolidali e versa uncontributo proporzionale alle copie ricevute. Potrà così utiliz-zare i libri come doni, in occasione del Natale, trasformandoliin ambasciatori del progetto stesso.

Non solo: questi doni saranno particolari, perché conterannoqualcosa di “proprio”. Perché chi aderisce al Xmas Project con-tribuisce in prima persona alla costruzione del Librosolidale,fornendo un proprio contributo: una foto, uno scritto, unapoesia, piuttosto che semplicemente la propria firma. Se avetericevuto questo libro in dono da qualcuno, sfogliatelo: vi tro-verete un suo segno.

L’aspirazione, di Natale in Natale, è quella di costituire unaCollana di solidarietà. Contattateci: è questo il regalo cheanche voi potete donare e donarvi il prossimo Natale.

Xmas Project 2008

Ilo169, Convenzione concernente Popoli Indigeni e Tribali inStati indipendenti, Pianeta Terra. È finora l’accordo internazio-nale più completo riguardante la tutela dei popoli indigeni etribali. La Convenzione Ilo169, emanata dall’OrganizzazioneInternazionale del Lavoro, organizzazione di settore dell’Onu,è stata adottata il 27.06.1989 ed è entrata in vigore il05.09.1991. Ad oggi è stata sottoscritta soltanto da 20 dei 173Stati membri dell’ILO e l’Italia non è tra questi.Il libro di quest’anno vuole essere uno strumento di sostegnoe di aiuto a Survival, l’organizzazione internazionale che daquarant’anni si batte per la tutela dei diritti delle popolazioniindigene e tribali. Vi raccontiamo l’attività di Survival, la suavocazione, le emergenze umanitarie e le battaglie in corso. Ifondi raccolti andranno a sostenere questa azione di difesadelle popolazioni indigene. All’interno del libro troverete anchela petizione da inviare al governo italiano per sollecitare la rati-fica della Convenzione Ilo169.