l’opinione degli italiani e delle agenzie di comunicazione · italiani delle agenzie di...

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74 Advertiser Communication Strategies

L’Osservatorio Permanente sul Cambiamento della Comunicazione di Unicom propone la seconda ricerca sul tema della comunicazione CSR con la nuova metodologia di

indagine che prevede il confronto tra chi fruisce la comunicazione e chi la crea. A che punto siamo sulla CSR? Qual è il rapporto tra i brand e l’impatto ambientale? Cosa ne pensano le agenzie? Scopriamo insieme il sentiment dei tre target coinvolti: opinione pubblica, imprese e comunicatori, approfondendo i risultati dell’indagine

condotta da EMG Acqua per conto di Unicom.

L’opinione degli italiani

e delle agenziedi comunicazione

A curadi OPCC

ACADEMY

FARE, DIRE, COMUNICARE… LA SOSTENIBILITÀdi Federico Rossi Comitato di coordinamento OPCC Sintesi Comunicazione

Colleghi comunicatori, un invito: non scrivete nei company profile dei vostri clienti che l’azienda è sostenibile solo perché ha installato dei moduli foto-voltaici sul tetto dello stabilimento.La sostenibilità - quella vera - è qual-cosa di molto più articolato che richie-de, in primis, un salto culturale che fa da preludio a un vero e proprio cambio di paradigma. La partita è complessa e vede in campo tanti protagonisti, ten-denzialmente tutti accomunati dalla convinzione che il vecchio modello basato sullo sfruttamento indiscrimi-

nato delle risorse (siano esse risorse naturali o finanziarie, materie prime, territori, persone, comunità, etc.) non regge più. In questo scacchiere, i con-sumatori non solo sono chiamati a far propri i comportamenti virtuosi ma devono, con le proprie scelte, ricercare, selezionare e premiare le aziende che fanno della sostenibilità l’elemento fondante il proprio dna. Allo stesso tempo le aziende devono introiettare nel proprio modello di business (in ex-trema ratio anche rivedendolo in modo sostanziale) l’approccio green. Un approccio che ha una forte base tecnica e tecnologica e che prevede una profonda analisi dei processi, dei prodotti e delle filiere. Un approccio che parte dalla visione che un’azienda attenta all’ambiente, al sociale, all’e-

tica, alla trasparenza non solo è più efficiente sul fronte della gestione del-le risorse e dei processi produttivi (in molti casi anche con saving rilevanti) ma di fatto crea un sistema di relazioni positive con tutti i portatori di interes-se (tra i quali i collaboratori, i fornito-ri, il sistema del credito, le comunità di riferimento, etc.) che contribuisce in modo fondamentale all’incremen-to delle performance e alla business continuity aziendale. Anche gli enti di regolazione giocano un ruolo chiave in quanto, grazie a una serie di interventi inseriti in una strategia di lungo perio-do e non solo con spinte di incentiva-zione di natura meramente economica o con la cogenza normativa, devono agevolare l’introduzione e l’espansione della cultura della sostenibilità.

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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA IN ITALIA

Infine anche i player di interesse pub-blico (Ministeri, Comuni, multiutility, mondo della scuola, etc.) devono farsi elemento di accelerazione presso tutti gli stakeholders del processo di consa-pevolezza e di diffusione delle pratiche sostenibili. In uno scenario così defini-to, anche noi comunicatori giochiamo un ruolo importante in quanto possia-mo rappresentare un volano concreto sia sul piano della diffusione culturale, sia dal punto di vista della veicolazione di messaggi aziendali corretti e coeren-ti che possano realmente supportare i driver di scelta e le necessità informa-tive dei consumatori diventando così effettivo vantaggio competitivo per le imprese. Attenzione, però, perché la comunicazione di sostenibilità ha re-gole, obiettivi e stilemi propri che per

certi aspetti differiscono da quelli di una comunicazione commerciale che difficilmente può essere semplicemen-te adattata. Soprattutto dal punto di vista aziendale, la comunicazione di sostenibilità è un’attività che arriva al termine di un processo di revisione profonda dei modelli e dei processi. Un percorso spesso complesso che richiede grande commitment dei vertici e visione di lungo periodo. I termini della famosa filastrocca adat-tata al mondo della comunicazione si invertono e diventano: fare, dire, co-municare. Solo quando si opera con la finalità di contribuire in modo ef-fettivo e obiettivo (quindi potenzial-mente anche senza ritorni economici diretti) alla diffusione culturale della sostenibilità allora si può, se esiste

comunque una coerenza di fondo con i comportamenti aziendali, comunicare ex-ante altrimenti l’effetto greenwa-shing è praticamente assicurato. L’in-dagine Unicom-EMG Acqua punta a restituire un primo termometro, a livello consumatori e agenzie di comunicazione, del livello di con-sapevolezza e di conoscenza della sostenibilità. Il quadro che ne esce, purtroppo, non è entusiasmante e questo fa capire quanto importante sia il ruolo della comunicazione in questo processo in lento divenire e quanto fondamentale sia per tutte le figure elencate prima switchare la propria forma mentis e il proprio modus operandi perché la sostenibilità non è una moda ma un paradigma evo-lutivo ineluttabile.

LE NUOVE SFIDE DELL’OSSERVATORIO

Michele Cornetto - Comitato di Coordinamento OPCC - Tembo

Il secondo special dell’Osservatorio, che

segue lo studio di novembre scorso sulla

comunicazione politica, è dedicato alla

Corporate Social Responsibility. Lo schema

di lavoro dell’Osservatorio sempre di più è

centrato, tra gli altri, sul valore dell’inclusione

e tiene presente la voce di ogni partecipante

della filiera (consumatori e agenzie), in modo

da fornire uno studio il più esaustivo circa il

panorama del mondo della comunicazione

in Italia. Per dotare l’Osservatorio di uno

strumento di indagine sempre più ricco e

completo, ampliando orizzonti e numero

dei soggetti coinvolti, dal prossimo numero

potremo contare su risultati di analisi Big Data Driven e su ascolto delle conversazioni in

rete, grazie all’ingresso di Giuseppe Tipaldo di

Quaerys all’interno del Comitato Scientifico.

Successivamente il panel si arricchirà anche di

dati e risultati forniti dalle aziende italiane.

OSSERVATORIO OPCC DI UNICOM

LA STRUTTURA

I Numeri -15 tutor, professionisti di settore associati a Unicom di comprovata esperienza

-15 membri del Comitato Scientifico, tra cui giornalisti, accademici ed esperti

-2000 consumatori che compongono il panel di riferimento di EMG-Acqua

-5 membri del Comitato di Coordinamento, specialisti della comunicazione che

organizzano e interpretano i risultati dell’indagine e redigono il rapporto finale

Gli Intenti Fotografare e analizzare il mercato della comunicazione per fornire a tutti

professionisti di settore, tra cui in primis le imprese associate Unicom, strumenti

informativi e strategici in grado di contribuire alle loro valutazioni in merito ai trend

contemporanei e futuri, per orientarne le scelte operative e di posizionamento

Come nascono le Ricerche dell’OPCCFase 1: individuazione di una tematica da approfondire

Fase 2: somministrazione del relativo questionario ai 2 focus group, ovvero Panel di

consumatori e Agenzie associate Unicom

Fase 3: raccolta dei risultati

Fase 4: redazione di un commento tecnico sui risultati dell’indagine fa parte del

comitato di coordinamento, dei tutor di settore e del Comitato Scientifico.

Fase 5: pubblicazione dell’analisi complessiva che organizzi e presenti i risultati

ottenuti, evidenziando le conclusioni

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ACADEMY

LA RESPONSABILITA’ SOCIALE: L’OPINIONE DEGLI ITALIANI DELLE AGENZIE DI COMUNICAZIONE

di Fabrizio Masia, Direttore dell’Isti-tuto EMG Acqua e membro del Coor-dinamento OPCC

La Responsabilità sociale, questa sconosciuta! Così verrebbero da sintetizzare brevemente i risultati dell’indagine condotta da Unicom in collaborazione con l’Istituto Emg Ac-qua su un campione rappresentativo di italiani adulti e sul network delle

agenzie associate.Solo un contenuto 12,4% degli italiani ha sentito parlare di CRS (essenzial-mente tramite la tv o i siti internet) e un modestissimo 2,2% ha interagito recen-temente con qualche azienda per richie-dere informazioni sull’impatto di un prodotto o servizio. I pochi conoscitori declinano il termine «responsabilità sociale» principalmente come «atten-zione verso la comunità/la società in generale» (31,0%) o come «attenzione all’impatto ambientale dell’impresa» (28,2%). Un più contenuto 20,9% richia-ma la «responsabilità verso i dipendenti ed altri stakeholders»; un 14,2% parla,

più in generale, di etica e trasparenza della gestione aziendale». Di fronte all’esplicitazione, seppure «rough» del concetto («nsieme delle pratiche e dei comportamenti che le imprese adotta-no per arrecare benefici e vantaggi a se stesse, ma anche al contesto in cui ope-rano rispettando le preoccupazioni so-ciali - cittadini, lavoratori, istituzioni - e ambientali»), tanto gli italiani quanto le agenzie bocciano l’approccio responsa-bile delle aziende. Solo un esiguo 17,1% del campione ritiene le imprese social-mente responsabili, ma le stesse agenzie non vanno oltre la quota del 47,4% di giudizi positivi.

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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA IN ITALIA

La fragilità della comunicazione della CRS aziendale, in termini di efficacia, si legge anche nella questione pratica dell’impatto ambientale sulle etichette dei prodotti: nonostante le indicazioni siano ritenute importanti da tutte le agenzie e dalla stragrande maggioranza dei cittadini (86,0%), sorgono tra questi ultimi molti dubbi sulla veridicità delle informazioni veicolate (72%) e solo la metà le comprende appieno. E questo è un peccato considerando che, in linea di principio, una quota maggioritaria del campione (52%) ritiene giusto spendere qualcosa in più di fronte ai prodotti del-le aziende più serie e trasparenti.

Ed in effetti la credibilità della comu-nicazione delle aziende italiane naviga in cattive acque, visto che non solo un miserrimo17,5% si esprime a suo favore, ma, soprattutto, perché gli operatori stessi, cioè le agenzie, manifestano, almeno per un terzo (31,6%), parecchie perplessità sull’etica comunicativa delle imprese medesime.Gli italiani, d’altro canto, evidenziano che non ci sono sufficienti controlli (45,1%) ponendo l’accento sulle carenze istituzionali, oppure stigmatizzando il comportamento delle agenzie, il cui uni-co compito sarebbe quello di far vendere prodotti (34,4%).

Le attività condotte sul territorio dalle aziende per mostrarsi responsabili e per promuovere la tutela dell’ambien-te spaccano di conseguenza, e quasi pariteticamente, cittadini e agenzie: per una metà vedono in tale attività di comunicazione un «moda di poca sostanza» o addirittura una «presa in giro», per l’altra metà sussiste un «reale impegno responsabile» o, co-munque, un «modo legittimo di dare visibilità al brand».L’impressione che emerge è che il per-corso sia culturalmente ancora irto di ostacoli e denso di substrati culturali da scardinare a poco a poco.

SCHEDA TECNICA

L’INDAGINE

Criteri seguiti per la formazione del campioneCittadini: campione rappresentativo della popolazione

italiana maggiorenne per sesso, età, istruzione, regione,

classe d’ampiezza demografica dei comuni

Associati Unicom: accesso libero per tutte le agenzie a

questionario online

Metodo di raccolta delle informazioniRilevazione telematica su panel per i cittadini

e Cawi per gli associati Unicom

Numero delle persone interpellate,universo di riferimento, intervallo fiduciarioUniverso cittadini: popolazione italiana maggiorenne;

Campione: 1.601 casi;

Intervallo fiduciario delle stime: ± 2,4%;

Totale contatti: 2.000 (tasso di risposta: 80%);

Rifiuti/sostituzioni: 399 (tasso di rifiuti: 20%);

Campione agenzie Unicom: 19

Periodo in cui è stato realizzata l’indagineCittadini: 15–17 settembre 2017.

Agenzie: 18 settembre-02 ottobre 2017

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ACADEMY

I CONTRIBUTI DELL’OSSERVATORIO UNICOMRoberto Amarotto Coordinatore OPCC Creativa

Abbiamo sottoposto i risultati dell’in-dagine ai Tutor di settore e ai membri del Comitato Scientifico OPCC. Vi presentiamo alcuni stralci tra i con-tributi più significativi, ricordandovi che i testi completi saranno pubblicati sul blog di Unicom. Partecipate all’in-dagine pubblicando i vostri commenti blog oppure intervenendo al Workshop dedicato all’indagine che si svolgerà a Torino, presso il Circolo del Design in

Via Giolitti 26/a, giovedì 23 novembre 2017 - ore 18,30-20,00, nell’ambito del Festival di Pubblicità Progresso.Buona lettura.

UN TEMA DIFFICILE, BISOGNA IMPEGNARSI DI PIÙMichelangelo TagliaferriMembro del Comitato scientifico OPCC - Fondazione Accademia della Comunicazione - Formazione e Trend della comunicazione

I dati che emergono, come evidenzia bene il commento, sono problematici e se valutiamo che la Responsabilità dell’impresa è un impegno obbligatorio

della UE ci si rende conto di quanto ci sia da fare e come la relazione con le imprese di comunicazione risulti determinante sia per sensibilizzare gli attori economici e sociali, pubblici e privati, sia per trovare le linee di comu-nicazione più adatte a incrementare la relazione tra valori e regole in un cam-po tanto importante per la nostra vita e la Società. In ogni caso mi sembra che si richiami in modo preciso l’impe-gno delle agenzie in questa direzione. Quanto ai canali di informazione mi sembra da evidenziare come i tele-giornali siano spariti nel rapporto tra gli italiani e le agenzie. Se così fosse sarebbe grave o sintomatico del fatto che le agenzie non si informano dalla tv sul tema o meglio non si informano su cosa dice la Tv sul tema e come la loro funzione non arrivi a tener conto di questo elemento.Tenendo conto del peso della TV rispet-to alla popolazione certamente questo è un aspetto che dovrebbe essere oggetto di riflessione.Le agenzie sembrano più attente alla comunicazione digitale, ma non si evi-denzia come questa attenzione si river-beri nei confronti della comunicazione social al cittadino. Di grande interesse è la relazione tra Marchio e impatto ambientale che è cosa diversa dalla re-sponsabilità dell’impresa rispetto alla mission in sé e alle aree di intervento della comunicazione e dell’informazio-ne. Inevitabili i miglioramenti relativi alla comunicazione, emerge evidente l’impianto ideologico che sottostà al concetto. Forse sarebbe stato più opportuno fare un focus sul compor-tamento reale di scelta e di acquisto va-lutato nell’esperienza di vita sia come consumatore sia come cittadino.È inevitabile che i due modi di identi-ficarsi siano diversi e questa differen-ziazione potrebbe aiutare a cercare il legame con la Responsabilità della im-presa vissuta attraverso i suoi marchi e i suoi prodotti. La parte relativa alla opinione sulla comunicazione azienda-le rispetto al sociale che è cosa diversa dall’ambiente e dalla responsabilità è molto interessante e preoccupante. L’e-quivalenza tra negativi e positivi tra le

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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA IN ITALIA

imprese di comunicazione e i cittadini pone un problema di intervento strate-gico rispetto ai valori, le regole, i com-portamenti e le leggi oltre alla prassi amministrativa. In particolare, l’enfasi sulla strumenta-lità delle azioni di comunicazione non può che riverberarsi nella relazione con la responsabilità dei cittadini e dei consumatori che sembrano sfuggire a questo impegno. Da qui il divario sul tema della credibilità non può che esse-re notevole, ma al di là del paragone tra agenzie Unicom e Italiani è preoccu-pante l’opinione degli italiani così bas-sa nei confronti del sistema produttivo e, probabilmente, commerciale.Il richiamo ai controlli e all’uso stru-mentale delle agenzie nella comuni-cazione va nella direzione di un dato percettivo e di opinione che poco ha a che fare con lo stato reale delle cose, ma si riferisce ai luoghi comuni e agli stereotipi attivati dai media.

COMUNICAZIONE SOCIO RESPONSABILE: SI VEDE POCO, SI SENTE POCO, SI PAGA MOLTO…Maria Grazia Persico - Tutor del set-tore PR, lobbing, fundraising e formazione - MGP & Partners

I dati della ricerca condotta da EMG Acqua sono uno specchio reale e veri-tiero dello stato dell’arte della CSR in Italia, da un punto di vista di reale co-noscenza e percepito. Una percentuale ridotta come il 12,4% attesta quanto poco si sia fatto per diffondere e rende-re noto un concetto - per molti già pre-sente nel proprio modus vivendi, carat-terizzato da terminologie e significati diversi - per altri una novità, una moda da cavalcare per acquisire quote di mercato, differenziarsi, apparire sexy in un mercato troppo spesso appiatti-to su termini obsoleti. Significativo il dato di provenienza della conoscenza: ovvero quel 26,1% di popolazione che dichiara di averne appreso notizia dalla televisione e il 36,8% delle agenzie che attribuisce a Internet la fonte dell’in-formazione sono una chiara dichiara-zione di quanto tematiche come la CSR

siano fruibili oggi in un’ottica “push” con tutti i rischi che questo comporta in termini di veridicità e completezza dell’informazione fornita e della serietà di chi la diffonde. Di certo il mancato controllo comunicato dal 45,1% è un dato chiaro di come la novità e conse-guente aleatorietà costituiscano oggi un limite alla sua diffusione. Rassi-curante la percentuale significativa di coloro che vedono nella Responsa-bilità sociale d’impresa una funzione e un’opportunità: in altri termini o non esiste ma dove c’è deve essere parte integrante della realtà che la detiene (funzione) e costituisce per-tanto un’opportunità economica e di mercato. In conclusione, un quadro generale: siamo in Italia, un Paese che riconosce le nuove opportunità a fronte di vincoli e obblighi legislativi che prevedono percorsi chiari e proces-si definiti. Una stretta collaborazione agenzia/azienda può accelerare il pro-cesso di conoscenza e integrazione e cogliere la novità trasformandola in op-portunità mettendo sul piatto professio-nalità certe, budget coerenti e obiettivi misurabili.

LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA SEMPRE PIÙ CONCRETA NELLE IMPRESELoris Zanelli Tutor del settore licensing, POP, retail, nuove reti media (barter trading) - PubliOne

Vale la pena di ricordare qualche “chic-ca” emersa dalla ricerca, per confer-mare l’esigenza che la Responsabilità Sociale d’Impresa diventi una delle componenti essenziali del sempre più complesso processo di posizionamento di un’azienda e dei suoi marchi di linea o prodotti sul mercato. Ne ha sentito parlare solo il 12,4% del campione rappresentativo della popolazione ita-liana che ha partecipato all’indagine, mentre l’83% non dà a questa “mission” aziendale alcuna credibilità. Sebbene in misura minore (67,5%), il pubblico diffida molto anche delle etichette dei prodotti. L’impegno delle imprese nel sociale sarebbe importante, ma non

viene percepito come veritiero (è credi-bile solo per il 16,5% del campione) e, in ogni caso, non deve incidere molto sul prezzo delle merci.Scarsissimi i tentativi del pubblico di entrare in contatto con le aziende, per conoscere l’impatto sull’ambiente di un prodotto o di un servizio: solo il 2,2% del campione dichiara di averlo fatto, avendo ottenuto nel 42% dei casi ri-sposte soddisfacenti. Di altro tenore, in termini di conoscenza e di affidabilità, sono i dati raccolti presso le agenzie, che però potrebbero essere giudicati un po’ “di parte”. Da notare comunque che il 52% delle agenzie giudica a sua volta poco credibili gli sforzi delle imprese di assumersi una concreta responsabilità sociale.

LA CSR NEL RETAIL È UNA CHIMERA O UNA REALTÀ?Davide ArduiniTutor del settore retail - Acqua Group

La risposta a questa domanda è molto “variabile”... certamente tutte le nuove realizzazioni e i refurbishment di strut-ture già esistenti prendono in conside-razione tutti i principali cardini della sostenibilità. Esempi in questo ambito sono “Il Centro” ad Arese premiato nel 2016 come miglior centro commerciale del mondo, o il nuovo “Torino Outlet Village” o il prossimo “Westfield” di Segrate: una mega struttura, tra le più grandi a livello mondiale, che della CSR ha fatto una base del progetto. La mia considerazione però è che man-ca un coordinamento in questo ambito tra le location e i tennants che vengono ospitati nei centri commerciali, che de-vono diventare sempre più delle Smart cities. Le properties devono “obbligare” i tennants a dialogare con i consumatori e a impegnarsi veramente sulla soste-nibilità. Molto spesso infatti la CSR è solo una dichiarazione di facciata che si perde immediatamente nell’operatività di tutti i giorni. Concludendo l’unico modo possibile per far diventare il retail sempre più responsabile su questi temi è avere consumatori responsabili ma qui inizia un altro discorso che coinvolge altre dinamiche.

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CONSUMATORI, AGENZIE E IMPRESE: C’È ANCORA MOLTA STRADA DA FARE INSIEMEErica Lo Buglio Tutor del settore sviluppo sostenibile, green economy e associazionismo internazionale - Zelian

A livello generale, l’indagine evidenzia diverse criticità in tema di CSR da parte dell’opinione pubblica e in particolare:• Scarsa conoscenza della CSR; sono

veramente pochi gli italiani che ne hanno sentito parlare.

• Scarsissima fiducia nelle aziende e nella loro comunicazione.

• Diffusa insoddisfazione nei confronti delle risposte ricevute dalle aziende nei pochissimi casi di interazione diretta.

• Scarsa consapevolezza sui marchi re-lativi all’impatto ambientale apposti sugli imballaggi.

Il tema specifico della CSR rimane in sostanza confinato in una nicchia. Se-gno che l’opinione pubblica non riesce a inquadrarlo nel più ampio complesso delle tematiche legate all’ambiente e al sociale che godono, secondo altre recenti indagini, di maggiore conside-razione. Ciò significa che dal punto di vista dell’offerta, né le aziende, né le imprese di comunicazione riescono (o intendono) creare la giusta consape-volezza sulla responsabilità d’impresa nell’opinione pubblica. Sicuramente l’atavica, diffusa sfiducia, giustificata o no, nei confronti del comparto indu-striale da parte degli italiani ha ancora il suo peso. Allo stesso tempo è eviden-te che le aziende non sfruttano ancora appieno il potenziale della comunica-zione, diretta e/o indiretta, per cor-reggere tale percezione negativa. Un altro elemento che emerge dall’indagi-ne è quello relativo alla comunicazione dei marchi di impatto ambientale:

sebbene vengano ritenuti importanti dalla stragrande maggioranza degli in-tervistati, questi risultano ancora poco chiari e ancor meno credibili. Questo punto merita una riflessione anche da parte dei professionisti della comuni-cazione su come rendere almeno più comprensibili i marchi e i pittogrammi apposti sugli imballaggi.

ANDARE OLTRE ALLE PAROLE D’ORDINEEnrico Anghilante - Tutor del settore editoria online - More News

I risultati dell’Indagine rispec-chiano in modo chiaro il sentire comune: le persone comuni non sanno cosa sia la Comu-nicazione Sociale. Perché? Perché in fondo interessa loro solo se si nominano parole magiche come Bio, Equo, ecc. Allora accade la trasforma-zione delle persone che mangiano sano, vestono solidale, comprano equo ecc. I temi sono però (an-che) altri e di difficile diffusione. Quindi colpa delle agenzie di comu-nicazione se la gente non sa cosa sia la Co-municazione Sociale? Può darsi, non è da escludere. Occorre ripartire dall’assunto “non può sempre essere colpa degli altri” e con moderazione farsene una ragione: l’impresa non deve pensare di fare più reddito se “parla” di comunicazione so-ciale, ma deve imparare a farla

come normale atteggiamento d’impre-sa moderna, le agenzie non devono pre-sentarsi prone dall’impresa e assecon-dare azioni e campagne di miserabile banalità, il consumatore deve imparare che oltre bio, equo e solidale esiste un altro mondo.

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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA IN ITALIA

VIVERE E COMUNICARE LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA NELLA COMPLICATA ERA DELL’IPERCONNESSIONEFrancesco Mazzo Tutor del settore social media e mobile Bamakò

Sfiducia. È il primo concetto che vie-ne in mente analizzando i dati emersi dall’indagine; ma anche l’ultimo che, in realtà, si dovrebbe associare a un aspetto tanto importante quanto tra-scurato dal mondo imprenditoriale odierno. A questo si aggiunga la scar-sa conoscenza dell’argomento, molto più ampio di quanto non si possa spiegare in poche parole, del quale ha sentito parlare solo il 12,4% degli ita-liani (soprattutto tramite programmi televisivi e internet).Pensare che i consumatori partano da un inviolabile assioma di falsità ogni volta che hanno a che fare con campagne di comunicazione incen-trate sui temi della CSR, deve far riflettere tutti coloro che operano nel mondo delle piccole e grandi aziende ma, ancor prima, i comunicatori. Il consumer del terzo millennio è diffi-dente e proprio per questo più incline all’approfondimento, allo studio del prodotto e del marchio, alla ricerca del confronto con persone a lui vicine o perfino con sconosciuti internauti che ne abbiano già fatto esperienza. In un simile contesto si amplificano le potenzialità di una vision aziendale eti-camente corretta e realmente sensibile verso uno sviluppo armonioso della so-cietà e dell’ambiente. Il mercato si sta dirigendo verso una dimensione più “umana” ed educata al rispetto, ma deve farlo con convinzione e al di là di mode passeggere. Le agenzie di co-municazione, dal canto loro, tornino a dare primaria importanza all’autenti-cità di un messaggio sempre aderente alla realtà. Solo così ciascuno farà la propria parte sullo scacchiere di un’e-conomia che ha fatto della responsabi-lità sociale d’impresa il suo vero core business.

LE CONCLUSIONIAndrea Lupo Comitato di coordinamento OPCC - Zelian

CSR, questa sconosciuta! Sembra es-sere questa la principale conclusione che emerge dal secondo confronto pro-posto dall’OPCC Unicom tra opinione

pubblica e imprese di comunicazione sulla Responsabilità sociale d’impresa.Se il concetto di responsabilità sociale d’impresa suona quasi del tutto estra-neo al grande pubblico (ne ha sentito parlare solo poco più del 12%), anche tra le imprese di comunicazione la percezione della CSR è spesso diret-tamente collegata alla sua incidenza sulla sfera etica e/o sull’immagine e reputazione aziendale.Una possibile chiave di lettura è data dalla comples-sità del tema, si pensi ad esempio alla recente adozione da parte di governi, ma anche di organizzazioni, enti, istituzioni e imprese degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (i cosiddetti SDG), che hanno finito per incorporare al loro interno temi diversissimi tra loro (dalla bio-diversità ai cambiamenti climatici, dall’acqua all’energia, dalle politiche sociali e di inclusione alle smart ci-ties e all’IT) e che di fatto vanno a costituire il nuovo ambito in cui si esplicita nel concreto la responsabi-lità sociale d’impresa. Non sorprende pertanto che aziende e imprese di comunicazione tendano a declinare la comunicazione su uno o più di questi aspetti, derubricando magari la CSR a concetto tecnico per addetti ai lavori. Decisamente più preoccupanti i dub-bi espressi dal 75% delle agenzie sulla credibilità delle etichette ambientali dei prodotti e il quasi 50% di opinioni negative sulla comunicazione sociale delle aziende. Segno di una sfiducia generale nel comparto industriale, che non risparmia nemmeno chi a diretto contatto con le aziende ci lavora.Se parte della responsabilità è da ad-dossare alle aziende, che probabilmen-te non riescono, possono (vogliono?) sfruttare appieno il potenziale di una comunicazione diretta col pubblico e/o a dare input corretti alle agenzie, da parte di tutti sarebbe auspicabile (come suggerito da diverse impre-se Unicom rispondenti) un diverso approccio alla CSR (e agli elementi che ne compongono l’essenza come ad esempio la sostenibilità) più condivi-so e comunque meglio integrato nella strategia di business.