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LUCIANO PACOMIO DIOCESI DI MONDOVÌ LETTERA PASTORALE 2009-2010 IL DONO DI UNA QUALITÀ DI VITA IL DONO DI UNA QUALITÀ DI VITA DA ACCOGLIERE, ESPERIMENTARE, DA ACCOGLIERE, ESPERIMENTARE, TESTIMONIARE TESTIMONIARE LA SPERANZA LA SPERANZA CHE NON DELUDE CHE NON DELUDE (Rm 5, 5) (Rm 5, 5)

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LUCIANO PACOMIO

DIOCESI DI MONDOVÌLETTERA PASTORALE 2009-2010

IL DONO DI UNA QUALITÀ DI VITAIL DONO DI UNA QUALITÀ DI VITADA ACCOGLIERE, ESPERIMENTARE,DA ACCOGLIERE, ESPERIMENTARE,

TESTIMONIARETESTIMONIARE

LA SPERANZALA SPERANZACHE NON DELUDECHE NON DELUDE (Rm 5, 5)(Rm 5, 5)

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LUCIANO PACOMIO

LA SPERANZACHE NON DELUDE

(Rm 5, 5)

Il dono di una qualità di vita

da accogliere, esperimentare, testimoniare

Lettera pastorale per la Chiesa di Mondovìper l’anno pastorale 2009-2010

Diocesi di Mondovì

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I N D I C E

Cap. I “Senza speranza” 7

Cap. II La grande speranza 11

Cap. III Stili e esercizi di speranza cristiana 21 Il Benedictus 24 L’Ave Maria 27

Cap. IV Una fi gura di speranza 31 Preghiera del S. Padre per l’anno sacerdotale 35

Cap. V «Che cosa dobbiamo fare» (At 2, 37) 37 Sal 31(30) 2-8. 13-17 42

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Carissimi tutti,sacerdoti, diaconi, religiosi/e, famiglie, giovani, ammalati

vivo con grande speranza cristiana questo appunta-mento annuale di incontro, di insegnamento, di ascol-to. Tutti siamo discepoli della Parola del Signore. Tutti abbiamo bisogno di vivere con la grande speranza nel “cuore”, per dar senso alla nostra vita, per condividere e aiutarci reciprocamente a voler vivere per amore e con amore.1. Tre sono le ragioni per interrogarci, ascoltare e ac-cogliere il dono divino, e poi vivere testimoniando una qualità di vita piena di speranza cristiana.

Sottolineo: speranza cristiana.Perché si tratta non solo di educazione, di buona

cultura, acquisita con il solo nostro impegno umano, ma di Dono Divino, azione-opera del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Per questo la teologia, giunta fi no a noi, e ancor più il Catechismo della Chiesa Catto-lica (nn. 1817-1821), qualifi ca la speranza come virtù teologale: cioè condizione e qualità di vita permanente e crescente, ma divina (theòs = Dio; logos = discorso, realtà, parola di o su [Dio]).

Prima motivazione, molto umile e casereccia: il pia-no quinquennale di intensifi cazione della conoscenza della Parola di Dio scritta per noi, prevedeva proprio per l’anno pastorale 2009-2010: la speranza.

In secondo luogo, abbiamo ancora gli occhi (per la lettura) e l’animo (il nostro io) illuminati dall’Encicli-ca del Papa Benedetto XVI “Spe salvi”, di cui dovremo continuare a “nutrirci”.

In terzo luogo, è proprio un’esigenza vitale impre-scindibile, per ciascuno/a di noi, crescere nella speranza teologica e debellare una cultura e un modo di vivere senza speranza. È l’identità e la testimonianza storica di chi è e vuole essere cristiano.

Invece la cultura di cui siamo parte viva; ciò che è

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sotto i nostri occhi del comportamento di tanti; quel che spontaneamente siamo portati a pensare e a fare, ci fanno cogliere l’attimo presente, l’occasione da non perdere.

Questo è importantissimo da tenere continuamen-te presente nell’educazione dei giovani. I nostri “sì”, e i nostri “no”, ben motivati, sono proprio per far crescere ragazzi e giovani con una grande speranza nel cuore; non abbandonati allo spontaneismo, ma coscienti e capaci di accogliere il dono e farlo fruttifi care: essere progettuali ben fondati.

2. Inoltre nell’anno particolarmente dedicato dal San-to Padre, nell’anniversario del «dies natalis» (la data della morte) del Santo Curato d’Ars, ai sacerdoti (pre-sbiteri) è doveroso, in particolare per noi ordinati, al di là dei limiti temperamentali, e non solo di ciascuno di noi, testimoniare che siamo soprattutto uomini di Dio e da Dio, pieni di speranza. Siamo noi, ministri ordinati, il nativo supplemento di speranza per i fratelli e le sorelle.

Così ci ha insegnato il Santo Padre: «La “redenzio-ne”, la salvezza, secondo la fede cristiana… ci è off erta, nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affi dabile, in virtù della quale possiamo aff rontare il no-stro presente: il presente, anche faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustifi care la fatica del cammino» (Spe salvi, n. 1).

Teniamo presente l’interazione delle tre «virtù teo-logali»: la speranza cristiana o teologale è la speranza che crede e che ama; e non c’è atto di fede che non sia anche atto di speranza; e senza speranza non c’è vigile conoscenza di essere da sempre e per sempre “amati da Dio” e abilitati ad amare, sempre più, sorelle e fratelli di ogni condizione di età, di censo e di cultura.

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Capitolo primo

“SENZA SPERANZA”

3. Non è un grande sforzo guardarci attorno e aprire bene gli occhi sulla condizione di vita di tante persone, giovani e meno giovani, che ci vivono accanto.

Sono persone di speranza?Certamente la vita storica è faticosa per tutti. Non si

può fi n da giovanissimi darci o inoculare come scopo del vivere: l’evitare ogni soff erenza; accontentare e acconten-tarci in ogni esigenza; desiderare solo di godere, soddisfar-ci, stare bene. Un simile scopo è, umanamente, chimera per ogni età. In modo preconscio, perseguiamo sempre questo scopo o meta (irraggiungibile), illudendoci nella vita aff et-tiva, nella vita familiare, nell’impegno professionale, nella gestione del tempo e dei beni, di poter un giorno dire: «Finalmente, esperimento la vita che desideravo».

Ci muoviamo tra illusioni-presunzioni e delusioni-abbattimenti.

4. Il rischio più grave è vivere o/e essere «senza speran-za». E non è di fatto condizione così insolita e inusuale nella vita di tanti.

Abbiamo un insegnamento nell’epistolario attribui-to a S. Paolo apostolo, riproposto anche dal Papa, che ci fa rifl ettere su un passato che può coinvolgere o che ha coinvolto qualcuno di noi, e che – lo ripeto – per tanti può essere il loro presente.

«Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella car-ne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla citta-dinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo» (Ef 2, 11-12).

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Diversa cosa è essere “senza speranza” o invece im-parare a coniugare limiti, desideri e doni che l’educa-zione alla speranza donata dal Signore, attua in noi; così accogliamo Lui (il Signore) e sappiamo “vedere” e “accettare” Lui e, in Lui, noi stessi, la nostra storia e la presenza degli altri con noi.

Voglio proporre alla vostra meditazione e, ose-rei aggiungere, alla vostra aff ettuosa memorizzazione tre testi di S. Paolo che colgono il limite, le prove e il cammino dei credenti: apostoli e discepoli del Signo-re Gesù. Possono essere fari illuminanti la vita di ogni cristiano e le premesse per capire e accogliere il divino dono della speranza.

«Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, santifi cazione e redenzione, per-ché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore» (1 Cor 1, 26-31).

Inoltre:«Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affi n-

ché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; per-seguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, por-tando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre, infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita» (2 Cor 4, 7-12).

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Così si passa a una vita e testimonianza di speranza.«Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui

sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi credia-mo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, per-ché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l ’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio. Per questo non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fi ssiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne» (2 Cor 4, 13-18).

Scopriamo così la legge fondamentale della grande speranza:

«... e per la straordinaria grandezza delle rivelazioni. Per questo, affi nché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di satana, per percuo-termi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l ’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza in-fatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie de-bolezze, negli oltraggi, nelle diffi coltà, nelle persecuzioni, nelle angosce soff erte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12, 7b-10).

5. Certamente è questo un cammino umanamente incredibile. In un mondo postmoderno, fi gli della cul-tura della modernità, il Papa ci richiama le rifl essioni fatte da Bacone a Kant, e poi fi no al neomarxismo del-la scuola sociologica di Francoforte, nella personalità di W. Th eodor Adorno. Questi pensatori hanno fatto risuonare parole importantissime: ragione, libertà, pro-

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gresso, scienza, politica; infi ne l’uomo nella libertà e se-condo ragione, prodotto delle condizioni economiche. Tutte queste parole esprimono forti istanze e anche grandi valori, unilateralmente percepiti, ma anche vere mete possibili. Ma non basta tutto questo per la per-sona umana, per il senso della sua vita, per l’esperienza della felicità. Non solo non sono suffi cienti, ma tutte queste parole restano ambigue. Cioè ragione, libertà, progresso… a qualunque livello realizzativo continuano ad essere aperti al bene e al male.

Proponiamo dunque interrogativi a cui la fede cri-stiana ci dà una risposta; ma è risposta-proposta da riannunciarci ripetutamente, continuamente, a ogni cambio di stagione della nostra vita personale e ad ogni nuova generazione che sale alla ribalta della storia.

Ed è sempre nuova, sempre ulteriormente motiva-bile e approfondibile.

Che cosa è la vita umana?Che senso ha la storia?Che cosa pensiamo della morte?Che cosa è l’eternità, la vita eterna?Quale speranza ci è proposta?

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Capitolo secondo

LA GRANDE SPERANZA

6. Usiamo il linguaggio che ci ha insegnato il Papa. La vita è piena di tante piccole speranze. Speriamo di ar-rivare a mete di lavoro, di studio, di impegno professio-nale; speriamo in un benessere che permetta alla nostra famiglia di vivere dignitosamente, speriamo di stare in salute, speriamo anche spiritualmente di fare progressi e di essere persone costruttive.

Insieme a piccole speranze buone e anche encomia-bili, ci sono speranze con fi nalità arrivistiche, con mete confl ittuali, e perfi no malvagie.

Certo è che tutti sentiamo l’esigenza di vivere “una speranza che non delude”, la grande speranza (Rm 5, 5).

Ci proponiamo poi una seconda rifl essione molto importante. Trattandosi di libera adesione al Signore che si dona a noi, per vivere la nostra storia concreta, aperta a un dopo storia, al futuro come pienezza di vita e di dono da parte del Signore e da parte nostra verso gli altri, bisogna in ogni svolta culturale, in ogni nuova generazione, in ogni nuova stagione della vita, perce-pirci sempre di fronte a «un nuovo inizio». La nostra li-bertà è costantemente da liberare; è sempre di nuovo da conquistare; ci dobbiamo costantemente confermare e convincere sul bene, sul vero, sul gioioso. Nessun pe-riodo storico, nessuna struttura o strumento o metodo umano può garantire o assicurare la stabile e defi nitiva libertà ed adesione piena al bene (cfr. Spe salvi, n. 24).

7. Mi permetto di rimandare a un testo paolino che ritengo orientativo sui fondamenti della speranza, che ci aiuta a un inizio di risposte agli interrogativi radicali e ri-correnti in ogni cultura e in ogni storia personale umana.

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Proprio rileggendo e pregando sul testo di Rm 15, 1-13 che può essere riconosciuto come una unità di an-nuncio, riscopriamo un grande dono per confermarci e crescere nella speranza cristiana.

Per rendere subito perspicuo il messaggio, possiamo proporre questo schema semplice:

v. 1 La coscienza che abbiamo di noi stessi/e.

A. v. 2 Scelta normativa

A . v. 7 Confi gurazione concreta della nostra scelta

B. v. 3 1ª ragione di speranza: Cristo

B . v. 8 Ripresa della 1ª ragione di speranza: Cristo

C. v. 4 2ª ragione di speranza: Le Scritture

C . vv. 9-12 Ripresa della ragione di speranza: antologia di testi dell’A.T. (Salmi, Deuteronomio, Isaia).

D. v. 5-6 3ª ragione di speranza: L’agire di Dio e la nostra preghiera

D . v. 13 L’identità di Dio della Speranza - la nostra supplica.

Ecco il testo: « Noi che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza com-piacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edifi carlo. Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me. Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della

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consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, per-ché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cri-sto accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorifi cano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: Per questo ti loderò fra le genti/e canterò inni al tuo nome. E ancora: Esultate, o nazioni, insieme al suo popolo. E di nuovo: Genti tutte, lodate il Signo-re; / i popoli tutti lo esaltino. E a sua volta Isaia dice: Spunterà il rampollo di Iesse, / colui che sorgerà a governare le nazioni:/ in lui le nazioni spereranno. Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spi-rito Santo».

Paolo inizia constatando (v. 1) un convincimento; possiamo sentirci o valutarci forti, pervenuti a notevole sicurezza di fede. Però, posta questa coscienza di noi stessi/e abbiamo due mete da perseguire, portare l’in-fermità dei deboli e non attardarci nel compiacerci di eventuale nostra robustezza.

C’è quindi da fare una precisa scelta.Prima scelta è così annunciata:«Ciascuno di noi cerchi di compiacere al prossimo nel

bene, per edifi carlo» (v. 2);poi viene cristologicamente confi gurata:«Accoglietevi perciò gli uni gli altri, come anche Cristo

accolse voi, per la gloria di Dio» (v. 7).Dobbiamo essere grati a Paolo che confessando il

Padre, come «Dio della speranza» (v. 13 a) ci dà tutta una serie di motivazioni e fondamenti che educano e ci fanno crescere nella speranza.

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La prima ragione di speranza è Gesù stesso, nel suo modo di essere e di agire

«Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: “gli insulti di coloro che mi insultano sono caduti sopra di me”» (Sal 66, 10).

«... come Cristo accolse voi... Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri» (v. 8).

Ma Gesù e il disegno d’amore del Padre li cono-sciamo, e vi cresciamo grazie alle Sacre Scritture, e qui la seconda fondamentale ragione di speranza.

«Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza» (v. 4).

E in concreto vengono anche citate esplicitamente le Scritture.

«... le nazioni pagane invece glorifi cano Dio per la sua misericordia come sta scritto: “Per questo ti celebrerò tra le nazioni pagane, e canterò inni al tuo nome” (Sal 17,50).

E ancora:“Rallegratevi, o nazioni, insieme al suo popolo” (Dt 32, 43)E di nuovo:“Lodate, nazioni tutte, il Signore, i popoli tutti lo esal-

tino” (Sal 116, 1).E a sua volta, Isaia dice:“Spunterà il rampollo di Iesse,colui che sorgerà a giudicare le nazioni:in lui le nazioni spereranno” (Is 11, 10)».È una antologia di testi biblici che ci educano a una

preghiera che ci porta a lodare il Signore e a riconosce-re la sorgente della speranza.

Possiamo cogliere la terza ragione della speranza, che ci dà il criterio interpretativo e il fondamento del-la nostra vita quotidiana: come pregare, come credere, come vivere.

«E il Dio della perseveranza e della consolazione vi

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conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull ’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore Nostro Gesù Cristo» (vv. 5-6).

Ribadito conclusivamente: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (v. 13).Siamo dunque di fronte a:

confessioni di fede, quasi dossologia;preghiera di supplica;testimonianza di Chi Dio (Padre, Figlio e Spiri-to) è e come opera nella storia;progetto, frutto di dono divino, di vita fraterna, accogliente, in comunione, lodante il Signore;riconoscimento che il vivere questa fede implica una pienezza di speranza, frutto dello Spirito.

Certamente dobbiamo sempre ricordarci: vive questa speranza chi ha fede. Credere che Gesù è il Signore (Dio), avere sempre davanti agli occhi la sua vita storica (che fa da vaglio per i nostri desideri e ci prospetta quel che nel soff rire o nel gioire ci può accadere), signifi ca aprirci:

alla fi ducia,al pieno ragionevole abbandono,al veritiero sentirci sorretti, aiutati, guidati,alle virtù-valori del perdono, della sopportazione, della pazienza ben motivata e operosa,al senso della storia come missione di amore in mezzo a limiti e guai da assumere, interpretare, fi nalizzare,al futuro, del nostro dopo-storia e quindi del no-stro dopo-morte come varco e passaggio, quale pienezza di vita, di gioia, di totale dedizione al Signore, capaci di affi ancamento collaborativo ed effi cace ai nostri cari e a tutti coloro che sono ancora nella storia e nel tempo.

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8. Il Papa in merito ci propone un testo della epistola agli Ebrei (discorso più che lettera per i cristiani diso-rientati) che esamina in modo prolungato e articolato, di cui volentieri ci facciamo ascoltatori e discepoli.

«Richiamate alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo; avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa. La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Ebr 10, 32; 11, 1).

Ciò che nella Bibbia CEI è tradotto fondamento il Papa ci ricorda che corrisponde rispettivamente in greco e in latino ai termini «hypostasis; substantia». Con la fede, già in modo iniziale sono presenti (sussistono) le cose che si sperano (cfr. Spe salvi nn. 7-8).

Questa «fede permeata di speranza», ci annuncia un futuro dopo la storia, «beni promessi», una «patria mi-gliore». Così ci scrive l’epistola agli Ebrei, Parola di Dio scritta per noi:

«Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenu-to i beni promessi, ma li videro e li salutarono da lonta-no, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città» (Ebr 11, 13-16).

9. Rileggiamo due pagine dell’Enciclica del Papa «Spe Salvi» nn. 26-28

«Non è la scienza che redime l ’uomo. L’uomo viene redento mediante l ’amore. Ciò vale già nell ’ambito pu-ramente intramondano. Quando uno nella sua vita fa l ’esperienza di un grande amore, quello è un momento di “redenzione” che dà un senso nuovo alla sua vita. Ma ben presto egli si renderà anche conto che l ’amore a lui donato non risolve, da solo, il problema della sua vita. E’ un amore che resta fragile. Può essere distrutto dalla morte. L’essere

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umano ha bisogno dell ’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: “Né morte né vita, né an-geli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall ’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 38-39). Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l ’uomo è “redento”, qualunque cosa gli accada nel caso particolare. E’ questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha “redenti”. Per mezzo di Lui siamo diventati certi di Dio – di un Dio che non costituisce una lontana “causa prima” del mondo, perché il suo Figlio unigenito si è fatto uomo e di Lui ciascuno può dire: “Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20).

In questo senso è vero che chi non conosce Dio, pur po-tendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (cfr Ef 2,12). La vera, grande speranza dell ’uomo, che resiste no-nostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora “sino alla fi ne”, “fi no al pieno compimento” (cfr Gv 13, 1 e 19,30). Chi viene toccato dal-l ’amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe “vita”. Comincia a intuire che cosa vuole dire la parola di speranza che abbiamo incontrato nel rito del Battesimo: dalla fede aspetto la “vita eterna” – la vita vera che, intera-mente e senza minacce, in tutta la sua pienezza è sempli-cemente vita. Gesù che di sé ha detto di essere venuto perché noi abbiamo la vita e l ’abbiamo in pienezza, in abbondan-za (cfr Gv 10,10), ci ha anche spiegato che cosa signifi chi “vita”: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l ’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente della vita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora “viviamo”.

Ma ora sorge la domanda: in questo modo non siamo

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forse ricascati nuovamente nell ’individualismo della sal-vezza? Nella speranza solo per me, che poi, appunto, non è una speranza vera, perché dimentica e trascura gli altri? No. Il rapporto con Dio si stabilisce attraverso la comunio-ne con Gesù – da soli e con le sole nostre possibilità non ci arriviamo. La relazione con Gesù, però, è una relazione con Colui che ha dato se stesso in riscatto per tutti (cfr 1 Tm 2,6). L’essere in comunione con Gesù Cristo ci coinvolge nel suo essere “per tutti”, ne fa il nostro modo di essere. Egli ci impegna per gli altri, ma solo nella comunione con Lui diventa possibile esserci veramente per gli altri, per l ’in-sieme».

Fondatamente, il credente cristiano, come in Rm 15, possiamo proclamare: Gesù Cristo è la nostra spe-ranza.

10. Un altro testo paolino ci aiuta a confermarci nel-le mete e contenuti della speranza cristiana: «Cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perchè io possa conoscere lui, la potenza della sua risurre-zione, la partecipazione alle sue soff erenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla ri-surrezione dei morti. Non però che io abbia già conquista-to il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sen-timenti: se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, continuiamo ad avanzare sulla stessa linea. Fate-vi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si compor-tano secondo l ’esempio che avete in noi. Perchè molti, ve l ’ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici nella croce di Cristo: la perdizio-

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ne però sarà la loro fi ne, perchè essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra. La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfi gurerà il nostro misero corpo per con-formarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi!» (Fil 3, 9b - 4,1).

Siamo sollecitati a crescere in una coscienza criti-ca della nostra condizione di pellegrini (“Viator”) che camminiamo, che continuiamo ad avanzare, che corria-mo. Possiamo incappare in avversari che ci portano nel tempo e nella storia a fare scelte scriteriate. Per questo c’è una forte esigenza di “luce”: la rivelazione di Gesù (del Buon Dio) ha una portata veritativa; e ci è off erto il senso della storia.

Siamo illuminati e orientati sul futuro, sul dopo storia: come rapporto (aspettiamo il Salvatore; saremo in Cristo Gesù); come condizione di vita e come consi-stenza personale (“patria”); come qualità di dono (“pre-mio”); come pienezza di vita (“perfezione”). È annuncio da continuamente riproclamare e in cui immergerci, crescendo nella grande speranza da testimoniare.

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Capitolo terzo

STILI E ESERCIZI DI SPERANZACRISTIANA

11. La speranza ci anima. È il modo con cui Dio (Pa-dre, Figlio, Spirito) pensa la storia umana. Il futuro storico possibile è una Chiesa di santi e di peccatori che però vivono e promuovono uno stile e una cultura di Dono. Loro e noi lo sappiamo: non ci è data una ricompensa ogni giorno, né una volta al mese; né dopo grandi fatiche e belle iniziative. Queste sono conquiste sindacali o mete acquisite per una coscienza di giustizia distributiva equa.

La Speranza ci fa sempre donare il nostro tempo, il nostro sorriso, le nostre fatiche, il nostro soff rire, le nostre umiliazioni e delusioni. Accanto a noi molti sentono il diritto di pretendere e di esigere che noi siamo, che noi facciamo: e noi ci sentiamo di assecondare o noi non condividiamo. Ma sempre speriamo. La pienezza, l’armonia totale, la qualità di vita perfetta, non sono patrimonio della storia, né di questo mondo. Non le possiamo esigere; né posso-no esserci date. Ma sempre speriamo. La Speranza è madre della gioia, della pace, dell’attesa fi duciosa, della vita operosa, della pazienza, dell’attesa con mo-tivazioni e senza.

12. Con Gesù il Signore è sempre possibile donare; do-nare Lui che è “tutto in tutti” (Col 3, 11).

La Chiesa come tale deve porre dei punti fermi, orientare e precisare scelte e comportamenti, ma non è padrona né della vita, né dei cuori. Può solo e sem-pre donare «sperando contro ogni speranza» (Rm 4, 18). E tutto questo non è solo sogno; è desiderio costante

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e fondato. È proposta e concreta esperienza di vita. È annuncio permanente e contagiante.

Se siamo persone con la Speranza abbiamo una condizione di stabilità (non siamo destabilizzati), di mitezza (non viviamo ansietà o apprensioni verbali o relazionali di vario tipo), di fortezza (il nostro fare e dire è “sì! sì”; “no! no”), di benevolenza costruttiva (non ci sentiamo giudici o peggio condannatori degli altri; ma come chi tende la mano e ci riprova fi no alla fi ne della vita).

È la fi ducia ferma e incrollabile in Dio che ci rende così. Persone in attitudine di dono e capaci di soff rire per amore: pagare di persona. La speranza non è ven-dicativa, non dice mai basta, non tronca per sempre. Sa che “basta”, “mai più”, “sempre” sono solo da Dio. «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato al suo potere» (At 1,7).

13. Come credente, che crede nell’amore (agàpe) anche come dono del Signore e del Suo Santo Spirito, so che la fede che ama è atto di speranza e apre alla speranza come esperienza di vita, come capacità di attesa, come cammino lieto e faticoso verso il futuro.

La speranza cristiana ci aiuta a vivere bene il ri-cordo del passato; a raccogliere in modo profi cuo i ri-cordi; ad avere una costante possibilità di purifi care la memoria, la fantasia, il bagaglio storico impresso anche nella propria carne (malattie, menomazioni), nella pro-pria psiche. Perché ha questo eff etto? Perché la speran-za che posa lo sguardo su Gesù, sulla sua storia, sulla sua qualità di vita, nel suo insegnamento, ci fa vivere il quotidiano (e il passato è fatto di tanti giorni, vissuti l’uno dopo l’altro) in un certo modo rispetto alle preoc-cupazioni e alle soff erenze («A ciascun giorno basta la sua pena» Mt 7,34), mai da accumulare o rendere insoppor-tabili i pesi concentrati nell’attimo che diviene omicida o suicida. Così pure “il portare la propria croce ogni gior-

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no” (Lc 9,23) non è rendere ogni giorno crocifi sso “ad mortem”, giacché croce non è sinonimo di morte, di do-lore e di soff erenza semplicemente, ma è morte, dolore, soff erenza, interpretata e off erta per amore. È vivere il quotidiano con speranza: in dialogo con qualcuno, con attenzione amica, con la stessa potenza e forza di Dio (Col 1, 11).

14. E il passato si accumula ad ogni nuovo presente, ad ogni nuovo giorno che deve essere segnato dal bisogno sopperito e dal bisogno interpretato e trasceso: «Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano» (Lc 11,3). Questo è attesa, è preghiera, è certezza umile vera del dono. Giacché «L’uomo non vive di solo pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8, 4). Per questo vive di spe-ranza e con speranza divina chi nel presente accoglie, si nutre, ma ha uno sguardo, una tensione forte e allietan-te, verso il futuro.

Non si dà speranza, senza futuro, senza attesa del poi.

Nessuno sa se gli è stato dato un nuovo giorno. E nell’attenderlo, non lo dà (per ragione di età, di salute, di progetti) per scontato: «Vivrò certamente domani…». Non è mai un detto, o un pensiero, totalmente scontato.

Ma in tutti i casi il domani defi nitivo supera la vita storica, relativizza i progetti, coglie il tempo come straordinaria profezia, preparazione, e pedagogia possi-bile, di una vita piena, senza tempo.

La speranza cristiana dischiude in ogni cultura questo orizzonte.

Esisterò anche dopo la mia morte biologica.Esisterò in quel modo nuovo: pieno. Cioè non solo con la gioia di essere; ma di poter amare ef-fi cacemente, di poter collaborare con tanti altri.Perché sono con il Signore, vivo della sua po-tenza d’amore; gioisco di Lui e con Lui, facen-do spazio in un modo nuovo, non faticoso, non

I.II.

III.

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peccaminoso, agli altri, grazie al mio totale rap-portarmi a Lui, secondo il Suo divino progetto di vita e di senso.

Tutto questo è sperato dal momento in cui ho cre-duto in Gesù, l’ho saputo ascoltare, ho nutrito il mio vissuto della Sua parola di speranza: “So a chi ho credu-to”; “so in chi ho posto la mia fi ducia”.

Di qui gli stili di vita cristiani: fi ducioso sempre non arrogante, mai sprezzante; paziente sempre, non mil-lantatore, non succube, non rassegnato; operoso sem-pre, non inetto, non sfaccendato, né faccenduoso.

15. Il primo grande esercizio per crescere giorno dopo giorno nella speranza è la preghiera. E la prima fonte della nostra preghiera è la Sacra Scrittura. Li ci incon-triamo con i personaggi di speranza che si sono incon-trati con Dio, hanno vissuto con Lui, hanno guardato e sperato nel futuro “celeste” (contrapposto, o meglio, in successione al «terrestre» caduco, relativo, scomposto, drammatico). Così i patriarchi, i giudici, i profeti, i sag-gi: uomini e donne. Tra le due colonne: Abramo (padre di tutti i popoli) e Maria (madre di tutte le persone umane).

Così dovremo proclamare i Salmi ponendo molta attenzione alle espressioni di fi ducia, di pieno abban-dono, di speranza; coi titoli con cui ci si rivolge a Dio: mia roccia, mio baluardo, mia sicurezza.

E ci affi diamo in particolare due preghiere biblica-mente ben fondate che sono il Benedictus e l’Ave Ma-ria.

16. Il «Benedictus», proposto nel Vangelo di Luca come preghiera proclamata da Zaccaria padre di Giovanni il Battista (o il testimone: secondo Gv), è per eccellenza la preghiera di Lodi, mattutina che la Chiesa fa pregare a tutti i ministri ordinati e a tutti i monasteri femminili e maschili, a bene di tutta la Chiesa e di tutta l’umanità.

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«Benedetto il Signore Dio di Israele»Il cantico, posto dall’evangelista Luca (1, 68-79) è

un cantico che si ispira ai cantici anticotestamentari di ringraziamento (azione di grazie). La prima parte del cantico (vv. 68-75) è piena di citazioni e risonan-ze bibliche, annuncia di fatto la venuta e la presenza di Gesù. Il soggetto a cui si rivolge è Dio: benedetto, Signore. L’ orante e il soggetto destinatario è il popolo: «noi, nostri», Israele. È celebrato il rapporto fontale e vitale della vita di ogni persona (cfr Sal 108, 26; 117, 26; Dan 3, 52-57)

perché ha visitato e redento il suo popolo v. 68e ha suscitato per noi una salvezza potente v. 69nella casa di Davide suo servocome aveva promesso v. 70per bocca dei suoi santi profeti di un tempo,salvezza dei nostri nemici v. 71e dalle mani di quanti ci odiano

L’agire di Dio è dono di salvezza (due volte: vv. 69.71; ed è radice del nome Gesù) che si esprime nel-la visita di benevolenza, nella redenzione (riacquistare, quasi ricomprare per dare la libertà a chi è schiavo). C’è una storia in cui si snoda la dinastia del re Davide e si succedono i profeti, interpreti degli eventi di liberazio-ne dai nemici e da chi odia.

È richiamata la condizione storica del popolo: con-dizione triste e drammatica.

Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri v. 72e si è ricordato della sua santa alleanza,del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre v. 73

La terminologia ci fa ripercorrere tutta la storia di Israele da Davide a Maccabei: (1 Sam 2, 10 dal cantico di Anna; 2 Sam 3, 48; 7, 12: dalla dinastia davidica al-

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l’oracolo di Natan; santi profeti, santa alleanza: 2 Cr 36, 22; 1 Mc 1, 15.63).

Così la preghiera dei Salmi è riproposta per le nostre labbra in preghiera: Sal 18, 3. 18; 105, 8-9; 106, 45; 132, 17.

Notiamo la successione: dei verbi, concedere, ricor-dare; dei doni, misericordia, alleanza, giuramento. E ci si richiama alle origini della storia di benedizione e di universale paternità: con Abramo.

di concederci, liberati dalle mani di nemici, v. 74di servirlo senza timore, in santità e giustizia v. 75al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.

La realtà dell’esodo si rinnova in ogni generazio-ne. Con la presenza di Gesù nella storia, è defi nitivo (“per tutti i nostri giorni”) il passaggio dalla schiavitù (ritornante in ogni cultura e in ogni periodo storico; e necessitante di liberazione) al servizio. Già Davide è chiamato servo. Ma questo servizio è con una facilità di rapporto (“al suo cospetto”) e con una particolare qualità di vita (“senza timore, in santità e giustizia”).

E tu bambino sarai chiamato profeta dell ’altissimo v. 76

È la seconda parte del cantico (vv. 76-79) dove si fi ssa lo sguardo su Giovanni il Battista, sulla sua sto-ria e missione (così come risulta dai dati dei vangeli e delle catechesi degli Atti degli Apostoli). Profeta del-l’Altissimo, titolo inusitato per l’AT, ma profeta pre-visto (Is 40, 3-5; Mal 3, 1; Israele era da molto tempo senza profeti: 1 Mac 4, 46; 9, 27). Il suo ruolo è prepa-rare la strada del Signore: il tema della via non è tanto e solo la strada della purifi cazione per incontrare, alla fi ne della vita, il Signore, ma è la via che Egli (Gesù) ha già percorso nella sua storia e ora percorre gior-no dopo giorno con noi (Lyonnet J.). Così il duplice

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eff etto: la conoscenza (amore) della salvezza (Gesù), proprio attraverso il perdono-remissione dei peccati.

«perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza v. 77nella remissione dei suoi peccati,grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, v. 78per cui verrà a visitare dall ’alto un sole che sorge,per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre v. 79e nell ’ombra della mortee dirigere i nostri passi sulla via della pace».

Tutto questo avviene, perché sorge un astro (Mes-sia: cfr. Nm 24, 17; 2c 3,9); ed è divino “dall ’alto”; come la salvezza (sal 102, 20; 144, 7). A forma di inclusione (cfr. il versetto iniziale: 68) è di nuovo qualifi cato “vi-sita”. Chi agisce, o meglio l’avvenimento è operato da un divino amore buono “materno”, viscerale: “grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio”.

La fi nalità è quella stessa dell’Emmanuele, del Messia (cfr. Is 9, 1; 42, 7): luce nelle tenebre; un accen-to ancor più drammatico e più esigente salvezza è dato «dall ’ombra delle tenebre» (Sal 107, 10; esperibile nelle carceri: Is 42, 7; 49, 9; e nell’ignoranza: Ia 60, 1-3).

Il tutto è un camminare guidato «sulla via della pace», sintesi di tutti i beni messianici. Gesù nasce con l’annuncio-dono della «pace» (Lc 2, 14). Egli che è «la nostra pace» (Ef 2, 14).

17. Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù.

È preghiera di grande speranza, nel momento che ci riannuncia l’opera di Dio per eccellenza, attraverso

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l’umile e straordinaria collaborazione di una mamma. Ave, è saluto messianico (So 3. 14-16; Za 9, 9-10) e sollecitazione alla gioia: gioisci! Maria, così già si chia-mava la sorella di Mosé e Aronne; e secondo antichis-simi testi ugaritici (Ras Shamrah del 2° millennio a. C.) signifi cava: «signora», «dama»; «principessa». San Girolamo propone rifacendosi all’ebraico (mar = goc-cia, «stilla» in latino; yam = mare) il signifi cato: «stilla maris», divenuto poi «stella del mare».

Piena di Grazia (cfr. l’annuncio del Signore a Ma-ria, Lc 1, 28) è participio perfetto passivo: gr. Kechari-tomene (verbo: charitoo = conferire la grazia). Il Signo-re è con te, è l’antichissima formula di identifi cazione (o di appartenenza) usata per gli antichi patriarchi da Abramo a Giuseppe, per i giudici, per il Messia l’Em-manu-el (“Dio con noi”). Riproposta nel NT a comin-ciare da Maria e da Giuseppe. Augurio costantemente rinnovato nella Liturgia: «Il Signore sia con voi».

Dall’annuncio del Signore a Maria, ci spostiamo a riproclamare la confessione di fede di Elisabetta (Lc 1, 42) nei riguardi di Maria: «Benedetta... Benedetto...». (cfr. Gdc 5, 24; Gdt 13, 10). Benedetto sarà utilizzato in Luca, ancora due volte nei riguardi di Gesù; citando il Salmo 108, 26 (Lc 13, 35; 19, 38). Ciò che è accaduto a Maria, la maternità rispetto a Gesù è «benedizione»; è per eccellenza opera creatrice di Dio, che ci lascia be-nedicenti Maria e Gesù «il frutto». L’incontro tra Elisa-betta e Maria è stata defi nita «protopentecoste».

Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte.

È preghiera della Chiesa. Non corrisponde ad un testo biblico ma al credere bimillenario dei cristiani. Maria è riconosciuta «santa», persona in cui Dio ha “operato grandi cose” a bene suo e di tutti (Lc 1, 49); è

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proclamata «Madre di Dio» a partire in modo infallibile dal Concilio Ecumenico di Efeso (431 d. C.). Il suo modo di essere, di agire è come quello di Cana (Gv 2, 1-10): pregare per noi il suo Figlio; è la supplice «po-tente». «Noi» siamo sempre prima di tutto «peccatori». Il riconoscersi peccatori è una delle tre condizioni per pregare in modo corretto ed effi cace, secondo Luca (Lc 18, 9-14: il fariseo e il pubblicano). E questa fi ducia nell’intercessione della Madonna è coestensiva a tutta la nostra vita, nella sua durata storica e nel suo conclu-dersi: «adesso e nell ’ora della nostra morte».

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Capitolo quarto

UNA FIGURA DI SPERANZA

18. Ogni santo o santa canonizzata è fi gura, modello, compagno/a del viaggio della speranza cristiana.

Il Santo Padre Benedetto XVI ci ha proposto come aiuto nell’anno particolarmente dedicato ai sacerdoti (presbiteri) proprio il Santo Parroco di Ars, Giovan-ni Maria Vianney (1786 – 1859) a 150 anni dalla sua santa morte. Ho letto nella mia prima giovinezza ripe-tutamente la biografi a: F. TROCHU, Il Curato d’Ars, (ed. Marietti) 1964. E’ da quest’opera che traggo una breve antologia della Speranza.

19. Il programma del nuovo pastore«Il suo programma, meditato dinanzi al Tabernaco-

lo, era quello di ogni pastore, preoccupato per la salvez-za del suo gregge: prendere contatto con i parrocchiani il più presto possibile, assicurarsi la cooperazione del-le famiglie migliori, migliorare i buoni, richiamare gli indiff erenti, convertire i peccatori scandalosi, e, più di tutto, pregare Dio, dal quale vengono tutti i doni, san-tifi care se stesso, per santifi care gli altri, far penitenza per i peccatori. Dinanzi all’opera da intraprendere, si sentiva debole e insuffi ciente. Ma il giovane Curato di campagna possedeva in sé la forza misteriosa della gra-zia. Dio sceglie l’umiltà, per abbattere le potenze del-l’orgoglio; un santo sacerdote realizza grandi cose, con mezzi in apparenza assai modesti».

20. Gli argomenti delle prediche«Che predicava al suo gregge “quell’ignorante nel-

l’arte oratoria”»? I loro doveri. S’indirizzava soltanto ai suoi parrocchiani, con chiarezza, senza sottintesi e sen-

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za inutili lodi. Alcune delle sue frasi sembrano molto dure, ma il predicatore, soprattutto nei primi anni, batte forte perché l’idea penetri. Spesso però il tono s’addol-cisce, s’intenerisce: l’Apostolo non è solo un converti-tore, ma anche un pastore ed un padre. Nell’uditorio ci sono anche cuori da sollevare, volontà da incoraggiare. Frequentemente ci diceva parole come queste, riferisce Guglielmo Villier, che aveva 19 anni quando arrivò ad Ars don Vianney: “Miei cari parrocchiani, cerchiamo di andare in Paradiso! Là vedremo Dio. Come saremo contenti! Andremo tutti in processione, se la parroc-chia diventa buona, e il vostro Curato sarà alla vostra testa”. “Bisogna proprio che andiamo in Paradiso, di-ceva ancora. Che dolore se alcuni di voi fossero dal-l’altra parte!”. Ripeteva spesso che, per la gente di campagna, è facile salvarsi, perché possono pregare facilmente, anche durante il lavoro. Si congratula-va discretamente, con molto tatto, con i giovani e le giovani di Ars, che rinunciavano al disordine e s’im-pegnavano risolutamente sulla retta via».

21. Vita edifi cante, “collaboratore della gioia” degli altri«Ars era diventato veramente un focolare di santità.

Per riceverne l’immediata infl uenza, alcune persone fer-vorose vi si erano trasferite defi nitivamente o vi dimo-ravano a lungo: le signorine Pignaut, Lacand, Berger, di Belvey, le sorelle Ricotier, Marta Miard; i signori Faure de la Bastie e Pietro Oriol, Ippolito Pagès (di Beaucaire), Gianclaudio Viret (di Cousance, nel Giura), Sionnet (di Nantes), Sanchez. Rémon: uffi ciale carlista esiliato dalla Spagna... Parecchi di loro si erano ritirati nel villaggio, con la speranza d’essere consolati dal Santo nelle loro ultime ore... Infatti, se era dolce vivere in quella parrocchia privi-legiata, sembra fosse ancor più dolce morirvi.

Mentre fu Curato don Vianney, ci furono mor-ti particolarmente serene, edifi canti, quasi aureolate d’una gioia divina.

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L’ultimo giorno dell’ottobre 1825, Luigi Chaff an-geon, di 75 anni, l’uomo delle adorazioni silenziose, durante la sua agonia cantava con gli occhi raggianti di speranza: “Andrò a vedere la mia diletta Madre”.

Nel Natale del 1832, la contessina Anna Colomba di Garets, di 78 anni, si spegneva nella pace degli eletti».

22. Parole che convertono«Era la santità stessa del Curato d’Ars che dava alla

sua parola tanta effi cacia. Sulla bocca di altri tali espres-sioni sarebbero passate per luoghi comuni, ma con qua-le accento venivano proferite! Inoltre del Curato d’ Ars vi era un’altra cosa ancor più irresistibile che le parole, ed erano le lacrime. Egli giunse talvolta a spezzare an-che cuori induriti solo indicando, mentre piangeva, un Crocifi sso appeso alla parete.

Dal suo confessionale si udivano ogni tanto sospiri irrefrenabili che gli sfuggivano e che facevano nascere nei penitenti sentimenti di dolore e di amore. Un gior-no - racconta don Dubouis parroco di Fareins - alcu-ni sacerdoti di una vicina Diocesi criticavano qualche direzione del Sacerdote d’Ars. A questa conversazione partecipava un giudice di pace, antico penitente del Santo, il quale disse: “Ciò che io posso assicurarvi, si-gnori, è che don Vianney piange e che si piange con lui: ciò che non succede ovunque”».

23. Forza di consolazione«Don Alfredo Monnin, che conobbe così da vicino

il nostro Santo, parlò con precisione ed esattezza della “potenza di consolazione” che emanava da don Vian-ney. Sono passate davanti a lui tutte le miserie della ter-ra: padri, madri e spose in lutto, vere Moniche in cerca dei loro Agostini, ammalati di corpo e d’anima, stanchi della vita, cuori spezzati. scoraggiati, disperati... Ed egli sembra-va che in quei momenti non pensasse che ai loro dolori. Ascoltava con compassione le confi denze amare, e levava

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al cielo le sue mani scarne e tremanti... Infi ne consolava con una tenerezza tutta sacerdotale lieto di asciugare tante lacrime. Dopo aver riversato le proprie pene nel suo cuore profondo si ripartiva più rassegnati, più tranquilli, più forti di fronte al dolore, alle prove ed all’avvenire».

24. Rassegnazione cristiana e fede che spera«Si contano a migliaia gli ammalati che domanda-

rono al Curato d’Ars la guarigione, ma non si può dire in quale proporzione siano stati esauditi. E’ certo che per la maggior parte non furono guariti, perché il Santo implorava per essi doni migliori, apprezzando il benefi -cio soprannaturale della soff erenza cristiana.

“La più grande croce è quella di non averne”, pro-clamava egli. Ed al fratello Atanasio che gli confi dava le sue pene rispondeva: “Tanto meglio, amico mio, tan-to meglio: la soff erenza rianima la fede!”.

“Un giorno che lo seguii presso un malato - dice don Dufour -, lo intesi dire: ‘Amico mio, non so se devo pregare per la vostra guarigione: non si deve levare la croce dalle spalle che sanno portarla cosi bene’... “

Quando qualcuno si rivolgeva a lui, implorando una guarigione, don Vianney esigeva come condizione indispensabile la Fede. “O donna, la tua fede è gran-de!”, aveva detto il Maestro prima di guarire la fi glia della cananea, ed il Curato d’Ars non esigeva di meno, quando gli si domandava un prodigio».

25. La pace della sera della sua vita«Se qualche volta sembrava temere ancora i giudi-

zi di Dio e se tremava al pensiero di “morire curato”, non era però più incerto sulla sua vera vocazione. Non aveva forse fatto tutto quello che dipendeva da lui per lasciare il suo posto? Era ormai persuaso che solo Dio lo avrebbe tolto da Ars, e per questo il suo timore era temperato da una confi denza piena di amore. “Nel suo ultimo anno - dice Marta di Garets - venne al castello,

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ci parlò dell’amore di Dio e pianse...”. Spesso anche dal pulpito, dopo avere cominciato un altro argomento, ritornava a considerare Nostro Signore presente nella Santissima Eucaristia, e il fascino per la presenza reale di Gesù aumentò in modo ancora più sensibile verso il termine della sua vita. S’interrompeva, versava lacrime e la sua fi gura diventava radiosa: allora non si udivano che esclamazioni d’amore.

Con la lotta continua aveva acquistato la calma dei forti. “Durante la mia prima malattia - confes-sava ingenuamente - vi era ancora qualche cosa che mi turbava, ma ora non vi è più nulla”. Erano scom-parse anche le prevenzioni degli uomini, poiché ora tutti avevano per lui il massimo riguardo, ed il suo vicario don Toccanier gli dimostrava apertamente il suo cuore di fi glio. Don Vianney aveva un solo rim-provero da fare a lui e ai suoi confratelli: diceva che erano troppo premurosi per il povero Curato d’Ars! Un giorno in cui ripeteva questa sua osservazione al vicario, don Toccanier ebbe la felice idea di rispon-dergli: “Sta scritto: onora tuo padre e tua madre se vuoi vivere lungamente sulla terra”. Il sorriso radioso che illuminò il volto di don Vianney dimostrò piena-mente come lo avessero colpito quelle parole».

26. Preghiera del Santo Padre Benedetto XVI per l ’Anno sacerdotale

«Signore Gesù, Tu hai voluto donare alla Chiesa, attraverso San Giovanni Maria Vianney, un’immagine viva di Te, ed una personifi cazione della Tua carità pa-storale.

Aiutaci, in sua compagnia ed assistiti dal suo esem-pio, a vivere bene quest’Anno sacerdotale.

Fa che possiamo imparare dal Santo Curato d’Ars il modo di trovare la nostra gioia restando a lungo in adorazione davanti al Santissimo Sacramento; come la Tua Parola che ci guida sia semplice e quotidiana; con

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quale tenerezza il Tuo Amore accolga i peccatori penti-ti; quanto sia consolante l’abbandono fi ducioso alla Tua Santissima Madre Immacolata; quanto sia necessario lottare con vigilanza contro il Maligno.

Fa’, o Signore Gesù, che i nostri giovani possano apprendere all’ esempio del Santo Curato d’Ars, quanto sia necessario, umile e glorioso il ministero sacerdota-le che Tu vuoi affi dare a quelli che si aprono alla Tua chiamata. Fa’ che nelle nostre comunità - come ad Ars a quel tempo - ugualmente si realizzino quelle mera-viglie di grazia che Tu compi quando un sacerdote sa “mettere l’amore nella sua parrocchia”.

Fa’ che le nostre famiglie cristiane si sentano par-te della Chiesa - dove possono sempre ritrovare i Tuoi ministri - e sappiano rendere le loro case belle come una chiesa.

Fa’ che la carità dei nostri pastori nutra ed infi am-mi la carità di tutti i fedeli, affi nché tutte le vocazioni e tutti i carismi donati dal Tuo Santo Spirito possano essere accolti e valorizzati.

Ma soprattutto, o Signore Gesù, concedici l’ardore e la verità del cuore perché noi possiamo rivolgerci al Tuo Padre Celeste, facendo nostre le stesse parole che San Giovanni Maria Vianney utilizzava quando si ri-volgeva a Lui:

“Vi amo mio Dio, e il mio unico desiderio è di amarvi fi no all ’ultimo respiro della mia vita. Vi amo, o Dio infi ni-tamente amabile, e desidero ardentemente di morire aman-dovi, piuttosto che vivere un solo istante senza amarVi. Vi amo Signore, e la sola grazia che Vi chiedo è di amarVi in eterno. Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere sem-pre che io Vi amo, desidero che il mio cuore Ve lo ripeta ad ogni mio respiro. Vi amo, o mio Divin Salvatore, perché siete stato crocifi sso per me; e perché Voi mi tenete crocifi sso quaggiù per voi. Mio Dio, fatemi la grazia di morire nel-l’amandoVi e sentendo che io Vi amo. Amen”».

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Capitolo quinto

«CHE COSA DOBBIAMO FARE?» (At 2, 37)

27. Mi rivolgo, in prima istanza, per questo futuro anno pastorale benedetto ai nostri sacerdoti e a tutti coloro che il Signore chiama al presbiterato, con sacrifi cio ma con immensa gioia.

I sacerdoti (presbiteri) sono per eccellenza uomini di speranza, pena il tradire la propria identità, l’essersi fermati al Tabor, abbacinati da ciò che si è visto e non è più, avvinti da ciò che saremo e avremo, ma che per ora non c’è e non sperimentiamo.

Siamo uomini di speranza, non perché costituiti migliori eticamente degli altri, più valenti nel costrui-re la Chiesa, più effi caci nel programmare gli spazi e i tempi della vivibilità degli altri, nel cammino della fede cristiana.

Siamo anche noi, come scrive Paolo, «vasi di creta» (2 Cor 4, 7) contenenti il tesoro.

A noi tocca ricoscientizzarci continuamente ed essere memoria e testimoni di questo “tesoro”; a sa-perlo e volerlo contenere; ma nel frattempo per nulla dimentichi che siamo “d ’argilla”, cioè di una fragi-lità, di una scompostezza, di una vulnerabilità, che non cessa di sorprendere anche noi stessi, oltre che gli altri.

28. Il “tesoro” è Gesù di Nazaret, il Signore. La nostra persona e la nostra vita, come quella di ogni cristiano è qualifi cata, confi gurata, sorretta e allietata dal rapporto con Lui. È un rapporto voluto e donato da Lui (dalla Trinità Santa): è dono gratuito, costantemente ravviva-to e riproposto. È un rapporto vitale che ha il profumo

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dei vent’anni, del giorno dell’ordinazione diaconale e presbiterale. È il rapporto che ha la forza e la fragi-lità dei trenta, dei quarant’anni. E’ il rapporto che ha le delusioni e le molteplici attività dei cinquanta, dei sessant’anni. È il rapporto delle fatiche e delle recrimi-nazioni, dei settanta, e così fi no alla conclusione della nostra storia mortale.

29. Ma lo sguardo è sempre fi sso a Lui (Ebr 3, 1; 12, 1): la luminosa stella di ogni mattino (2 Pt 1, 19) di ciascuno di noi.

E questo “tesoro” non è musealizzato; è seme, fer-mento, presenza viva donantesi e interpellante. E a noi sacerdoti (presbiteri) ci abilita (sacramento dell’Ordine nel grado del presbiterato) a donarlo a tutti: nell’Euca-ristia, nella Parola di Dio scritta, nell’amore cristiano, agàpe, nella Riconciliazione.

Non è una nostra fi sima. Ce lo dice la Scrittura; ce lo conferma il servizio interpretativo infallibile e pastorale, della Chiesa. (Concilio di Trento, sessio-ne XIII. XXII; Concilio Vaticano II, Presbiterorum Ordinis).

E ci riconosciamo contenitori critici e responsabili di un «tesoro», che ci è stato donato per a nostra volta donarlo.

30. Di qui la testimonianza che siamo uomini di spe-ranza chiamati ad aiutare tutti, fratelli e sorelle di ogni età e di ogni condizione, a vivere con speranza, a con-tare i proprii giorni con la sapienza del cuore (cfr Sal 90/89, 12).

Come Paolo sappiamo di «non essere padroni della fede degli altri, ma collaboratori della loro gioia» (cfr 2 Cor 1, 24).

Come è facile, fratelli, cambiarsi lentamente i con-notati! E non solo a livello fi sionomico e temperamen-tale, ma sostanziale, profondo. Non essere «protesi verso

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il futuro» (cfr. Fil. 4, 13), ma abbarbicati a un passato che non è più nostro, e a un presente che ci sfugge ine-sorabilmente; a spazi e cose di cui non siamo padroni, ma usufruttuari per testimoniare un servizio d’amore.

31. Queste mie risonanze alla Parola di Dio e al Ma-gistero della Chiesa, mi fanno ridire: «Coraggio, fra-telli! Non temete! Non temiamo! Il Signore è con noi!». E se Lui è con noi «siamo sempre più che vincitori» (cfr. Rm 8, 35) sui nostri limiti, sui nostri ricordi di fatiche e umiliazioni, sui limiti ambientali e sociali, sulla nostra età, sui nostri e altrui guai di ogni tipo.

32. Nel passare a suggerire scelte concrete a tutta la nostra carissima Chiesa monregalese, per l’ennesima volta raccomando il canto liturgico a noi sacerdoti, ai diaconi, ai nostri animatori di coro e di comunità, giacché la Commissione Episcopale per la Liturgia della CEI ci off re un nuovo prezioso volume con 384 canti.

Penso che tutti ne possiamo benefi ciare con re-sponsabilità e educazione al senso liturgico del pregare e del celebrare (cfr. Mondovì Ceciliana, n. 37. Foglio di collegamento tra gli operatori musicali nella pastorale diocesana).

Ritengo che dobbiamo proporci con responsabi-lità la meta di fare cantare (preghiera in canto) tutta l’assemblea. Per questo anche la nostra Commissio-ne Liturgica diocesana ci darà appropriati completa-menti al sussidio e preziose indicazioni attuative.

33. A tutte le nostre comunità cristiane, ai giovani e agli adulti diciamo: siamo chiamati a fare “atti di spe-ranza”. Ogni «virtù» (abitudine buona nel pensare, nello scegliere, nell’agire) cresce e si consolida proprio ripetendone gli “atti”. Conosco tre modi di confermare la speranza.

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Innanzitutto nella lettura-preghiera dei Salmi sottolineare le espressioni di speranza, sia riferite al fondamento (Dio, Tu sei mia forza, mia roccia, mia rupe… In Te spero; in Te solo ho fi ducia…), sia sottolineandone le scelte e i comportamenti (Ho fi ducia, ho speranza, mi affi do, mi acquieto, mi ab-bandono).Coltivando pensieri ragionevoli e valutazioni cri-stiane sulla storia, sulla nostra identità-missione, sia sul futuro dopo-storia, acquisite con la fede-conversione a Gesù (cambiamento di mentalità e relazione vitale crescente giorno dopo giorno in Lui).Facendo la «lectio divina» la lettura-meditazione dei “libri di Dio”. E l’anno corrente ci propone: Genesi, Esodo, Geremia, Sapienza.

Io stesso, secondo un calendario distribuito (dopo la “Settimana biblica” su Genesi), al martedì, per non intralciare le iniziative delle «Unità pastorali» e favo-rire al sabato i corsi istituzionali del “Casati-Trona”, propongo

dalle 9,30 alle 11,30 il libro dell’Esododalle 17,30 alle 19,00 il libro della Sapienza,dalle 20,30 alle 22,00 il libro di Geremia;

e il libro di Genesi è come l’orizzonte promoven-te una cultura di speranza; l’Esodo è il cammino tra fatiche e prove della chiamata alla fede che spera; Geremia è il profeta «romantico» della speranza nella passione; la Sapienza è la scuola quotidiana educatri-ce alla speranza.

34. Per formarci a una cultura e a uno stile testimo-niale della speranza è opportuno riprendere il “corredo” del frutto dello Spirito (Gal 5, 22). Ogni mese sarebbe

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b.

c.

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bene impegnarsi su uno dei doni “frutto dello Spirito”: la gioia, la pace, la pazienza, la benevolenza, la mitezza… Così costruiamo il mondo “nuovo” per questa nostra generazione e riaffi diamo il “tesoro” cristiano alle gene-razioni susseguenti.

35. Siamo sollecitati infi ne a riconoscere nella S. Messa, nutriti dalla Parola di Dio scritta proclamata, il ritmo (altalena-dialettica) della Speranza: rinnoviamo infatti il sacrifi cio di Gesù, il Signore. Dalla morte alla Vita (Risurrezione) è la fondamentale dinamica per poter e saper vivere ogni nostra giornata; e interpretare con-templativamente la nostra storia povera in sé e ricca di tante possibilità di bene.

Sarebbe un anno benedetto se tanti riscoprissero la portata di speranza che il Sacramento della Riconci-liazione ha e dona, celebrandolo ogni mese o almeno nei tempi forti: Avvento, Natale, Quaresima, tempo pasquale, e in occasione di una solennità estiva; oltre ai giorni importanti delle nostre date personali e degli avvenimenti familiari.

36. La lettera pastorale ci off re la possibilità di preghie-re “divine” e altamente educative alla speranza: il Be-nedictus, l’Ave Maria e anche la preghiera del S. Padre Benedetto XVI per l’anno sacerdotale. Come gradirei che fossero fotocopiate e distribuite, perché fossero per tanti “cibo nutritivo”!

37. La “carità” (anche come elargizione compassio-nevole) non deve mai venire meno. Abbiamo anche da pensare sempre alla Cittadella della Carità. Per queste esigenze bisognerebbe donare tempo, cuore e parte dei nostri averi secondo le possibilità: dalla decima sulle nostre entrate ad 1 euro al giorno.

Un’unica scelta il cristiano deve assolutamente evi-tare: fare nulla.

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38. Concludo, affi dando questo anno pastorale sacerdo-tale e della speranza cristiana, all’intercessione di Maria SS. Regina del Monte Regale, all’aiuto del S. Curato d’Ars e a tutti i nostri Santi patroni e vi propongo come ulteriore preghiera di fi duciosa speranza il Salmo 31 (30), 2-8; 13-17:

«In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; difendimi per la tua giustizia. Tendi a me il tuo orecchio, vieni presto a liberarmi. Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortifi cato che mi salva. Perché mia rupe e mia fortezza tu sei, per il tuo nome guidami e conducimi. Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché sei tu la mia difesa. Alle tue mani affi do il mio spirito; tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele. Tu hai in odio chi serve idoli falsi, io invece confi do nel Signore. Esulterò e gioirò per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria, hai conosciuto le angosce della mia vita. Sono come un morto, lontano dal cuore; sono come un coccio da gettare. Ascolto la calunnia di molti: «Terrore all’intorno!», quando insieme contro di me congiurano, tramano per togliermi la vita. Ma io confi do in te, Signore; dico: «Tu sei il mio Dio, i miei giorni sono nelle tue mani».

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Liberami dalla mano dei miei nemici e dai miei persecutori: sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto, salvami per la tua misericordia.»

In fraterna preghiera quotidiana, pieno di speranza,

8 settembre 2009Solennità patronale della Natività di Maria SS.

+ Luciano PacomioVescovo

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Tema e ConcilioConoscenza d’amore

della Scrittura

1. Fede DV (credere)

2. Speranza LG (ho fi ducia, mi abbandono) (v. enciclica)

3. Agape/Carità I GS (come, quando, chi amare) (v. enciclica)

4. Preghiera SC (pregare si impara pregando)

5. Servizio II GS collaborativo

Introduzione Paolo 14 lettere

Antico Testamento(tranne: v. anni seguenti)Gn/Es Ger/Sap

Nuovo TestamentoVangelo dell’annoLettere Cattoliche

Salmi - Apocalisse

Atti - Isaia - Siracide

fi

p

I

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Interrogativod’impegno

Preghieradonata

Come vorrò nutrirmi ogni giornodella Sacra Scrittura?

Come mi impegno nel crescere nella fi ducia nel Signore e nell ’abbandono critico/evangelico?

Quale caratteristica dell ’agàpe scelgo e per quanto tempo? (1 Cor 13)

Quale preghiera prediligo in ogni tempo liturgico?

In che servizio concreto mi impegno? (Perché e per quanto tempo alla setti-mana)

Credo

Benedictus

ComandamentiBeatitudini

Padre NostroAve Maria

Magnifi cat

SCOPO: Riconoscere la Presenza operante di Gesù, il Signore, e l’azione dello Spirito Santo nella Scrittura; avere nella Scrittura il referente fondamentale del nostro credere e pensare la fede, ricevendo forza, orientamento e capacità del nostro rendere ragione della nostra speranza (1 Pt 3); passare dal bisogno psicologico alla esigenza di fede rispetto alla no-stra vita sacramentale, spirituale, culturale, sociale.

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FOTOCOMPOSTO DA COOPERATIVA EDITRICE MONREGALESE STAMPATO DA ARTI GRAFICHE DIAL

MONDOVÌ, SETTEMBRE 2009

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