maggio - giugno 2016...8 contents in copertina roberto cacciapaglia foto di matteo cherubino food 60...
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club milano N. 32
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Elisabetta Sgarbi: «Ogni tanto è necessario dire, con garbo, che non si è d’accordo con quello che accade»Milano è una città bike friendly. Lo dimostra l’apertura di ciclofficine dove si fa altro oltre a riparare le biciRiscoprire il territorio? Si può iniziare con un tour dei laghi intorno a Milano, dal Maggiore a quello di IseoEnrico Bartolini: «Milano l’ho desiderata e ora che sono qui voglio che i milanesi conoscano la mia cucina»
MAGGIO - GIUGNO 2016
Roberto Cacciapaglia : “Andrò fiero sempre della sonorizzazione dell’Albero della Vita”− pagina 16
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Esattamente un anno fa Milano si preparava ad accogliere il mondo nella caotica cornice di Expo. Un’avventura molto travagliata che però si concluse in un trionfo inaspettato. Dopo le abbuffate e le fi le chilometriche ai padiglioni di Giappone ed Emirati Arabi, abbiamo passato mesi a decantare e a godere di quel successo. Oggi è venuto il momento di domandarsi cosa ci abbia lasciato quell’avventura: il tem-po, come sempre, è un perfetto miscelatore di esperienze che fa emergere solo le migliori. Chi resiste al di là dei numeri e dei proclami è perché ha effettivamente qualcosa da dire. Se Expo aveva rappresentato l’ingresso di Milano in una dimensio-ne 2.0, internazionale e proiettata al futuro, oggi è il momento della maturità e del consolidamento. Sostenibilità, spazi condivisi, mobilità alternativa, riciclo, recupero del territorio, energie rinnovabili, investimenti in ricerca, nuovi modelli abitativi, poli universitari attrattivi, valorizzazione delle periferie, sinergie e capacità di fare sistema. Ma anche rispetto delle nostre tradizioni, amore per la cultura e per le arti, conser-vazione del nostro saper fare. Per ogni cittadino responsabile e per il settore privato questi non sono solo progetti astratti o slogan, ma obiettivi su cui impegnarsi tutti i giorni per rendere la nostra città un modello di convivenza davvero alternativo. Per chi ci amministrerà devono diventare i capitoli di un programma che non sia solo elettorale. Un chiodo fi sso e una piacevole ossessione, perché non ci basta più essere belli e ammirati solo in occasione del fuorisalone o durante le fugaci fashion week. Vogliamo essere cittadini del mondo, ma senza muoverci da qua, protagonisti di una nuova idea di progresso 365 giorni all’anno. Club Milano, come sempre, sarà lì a rac-cogliere per voi le novità e le testimonianze più belle, restituendovele come storie in cui riconoscersi e di cui essere orgogliosi.
Milano 3.0
Stefano Ampollini
EDITORIAL
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CONTENTS
point of view 10Come si desidera
di Roberto Perrone
inside 12Brevi dalla città
a cura di Elisa Zanetti
outside 14Brevi dal mondo
a cura di Elisa Zanetti
portfolio 20Infinite Mongolie
testi e foto di Claudia Ioan
cover story 16Roberto Cacciapaglia
di Simone Sacco
interview 32Dario Fo
di Paolo Crespi
focus 30Mollo tutto e vado al mare
di Marilena Roncarà
interview
Elisabetta Sgarbi
di Marilena Roncarà
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focus 26Ciclofficine storiche e freak
di Marzia Nicolini
sight 42A me gli occhi!
di Alessia Delisi
focus 36Sorsi di salute
di Filippo Spreafico
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CONTENTS
In copertina
Roberto Cacciapaglia
Foto di Matteo
Cherubino
food 60Enrico Bartolini
di Roberto Perrone
free time 62Da non perdere
a cura di Enrico S. Benincasa
secret milano 62L’aedo di pietra
di Elisa Zanetti
overseas 46 Camere con vista
di Elisa Zanetti
style 52Effortless Summer
di Luigi Bruzzone
style 50Gli opposti si attraggono
di Giuliano Deidda
weekend 56 Non è un lago per vecchi
di Carolina Saporiti
wheels 54 La storia continua
della Redazione di Club Milano
weekend 58Di verde mi voglio vestire
di Tullia Carota
hi tech 44Il mondo da un oblò
di Paolo Crespi
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POINT OF VIEW
roberto perroneGiornalista e scrittore dalle radici “zeneisi” si è occupato di sport, enogastronomia e viaggi al Corriere della Sera. Ora è freelance. Il suo sito è perrisbite.it. Il suo ultimo libro è Manuale del Viaggiatore Goloso (Mondadori): guida da leggere e consultare per mangiare e bere bene.
«Come incominciamo a desiderare? Incominciamo desiderando ciò che vediamo ogni giorno» (Hannibal Lecter, Il silenzio degli innocenti). Lo so, la citazione è un po’ inquietante, ma sia nel famoso thriller di Thomas Harris sia nelle nostre vite è così che si arriva alla risoluzione di un mistero, alla comprensione di un signifi-cato. Il primo senso è sempre la vista. Noi vediamo e desideriamo. Magari solo di stare lì, a guardare quello o chi ci passa davanti, perché in quel momento abbiamo quello che vogliamo. Dalla finestra del mio studio non godo, in generale, di un grandissimo panorama. Però in questo momento non vedo nulla. C’è un’impalca-tura per dei lavori in corso sulla facciata del palazzo dove abito e davanti a me si parano una struttura in ferrotubi, assi, carrucole, un telone che copre ogni cosa. In un momento come questo capisco quanto sia importante vedere. In un momento come questo anche il mio panorama che a voi potrebbe sembrare – e non avreste torto – non proprio mozzafiato, mi provoca nostalgia. Vi propongo un test. Affac-ciatevi alla finestra a cui siete più legati, per la posizione, per lo scorcio che offre, perché lì avete vissuto un’emozione forte, magari aspettando una persona che amavate o comunque perché, stando lì appoggiati vi siete rilassati, fantasticando, riflettendo, prendendo una decisione importante, pregustando qualcosa. Che cosa vedete? Ora io, se non ci fosse l’impalcatura, vedrei le auto parcheggiate sul retro del mio condominio, poi un’inferriata e di là un prato, degli alberi, un giardino lussureggiante e, in fondo, una casa. Forse, se abitassi all’ultimo piano, o in una di quelle case in Galleria di cui ogni tanto si sente parlare per via degli affitti troppo bassi o dei costi troppo elevati, o in un appartamento sul Naviglio o in uno di quelli recenti, con il “bosco verticale”, potrei dire che la mia vista è fantastica. Ma vi confesso una cosa. Lo dico anche di quella che si vede dalla mia finestra, perché è mia. Sono stato a ritirare un certificato all’anagrafe e l’impiegata veden-do i luoghi di nascita rivieraschi mio e di mia moglie mi ha chiesto: «Ma che ci fate qui?». Da tanti anni vedo panorami, scorci, pezzi di Milano. Mi lamento per tanti aspetti della metropoli che non mi piacciono. Però ho imparato a vederla, a guardarla e quindi a desiderare di stare qui, a viverla. A volte la nostra vista non si ferma abbastanza su quello che abbiamo da imparare ad accettarlo, a vivere la realtà. Certo, con la volontà di cambiarla, ma sempre partendo dal desiderare di esserci, di starci. Spesso desideriamo cose che non vediamo, che sono lontane da noi e non ci accorgiamo di quello che, di bello, di stimolante, di intrigante, di ras-serenante c’è davanti ai nostri occhi.
Come si desidera
Roberto Perrone
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INSIDE
3847 musei, 240 aree archeologiche, oltre a 501 monumen-ti e complessi monumentali. Sono i numeri del patrimonio artistico dell’Italia che quest’anno, dal 3 al 9 luglio, ospite-rà la 24esima conferenza generale dei musei organizzata da ICOM. Il tema sarà “Musei e Paesaggi Culturali” e tra i rela-tori ci saranno ospiti come lo scrittore turco Orhan Pamuk, l’architetto Michele De Lucchi e l’artista bulgaro Christo, che proprio in questi giorni sta lavorando a una grande instal-lazione sul Lago d’Iseo.icom.museum
Sulla terra rossaHa raggiunto la sua 57esima edizione il Trofeo Bonfiglio, uno dei più importanti tornei di tennis per under 18 che anche quest’anno si disputerà sui campi del Tennis Club Milano Alberto Bonacossa. I migliori talenti provenienti da tutto il mondo si sfideranno sulla terra rossa dal 14 al 22 maggio. L’ingresso per assistere alla manifestazione è gratuito. www.tcmbonacossa.it
ICOM sbarca a Milano
La Sicilia a MilanoSi chiama SlowSud ed è uno street food bistrot che promette di portare la calma e i segreti delle cucine di strada del Sud nel cuore di Milano. Creato da tre giovani siciliani, si trova in pieno centro – in via delle Asole 4 – ed è aperto da mattina a sera. Tavoli e banconi sono in legno d’ulivo, mentre le pareti dalle tonalità chiare regalano agli ospiti un piacevole senso di relax. www.slow-sud.it
Temporary Marketing MuseumLa nostra storia raccontata attraverso l’evoluzio-ne del marketing. È questa l’originale prospettiva del Temporary Marketing Museum. In mostra più di 100 progetti di grandi marchi da Zucchi a Fiat, da Bic a Nestlé, da L’Oréal fino a Swatch. Una sala speciale è dedicata alle creazioni di Elio Fio-rucci, ispiratore e mentore dell’agenzia Marketing Consultants, che per il suo 45esimo compleanno ha scelto di aprire il suo archivio. www.marketingcons.it
Right as Rain Sono “storie di pioggia” quelle raccontate dagli studenti del Master in Fashion Design Menswear and Womenswear dell’I-stituto Marangoni insieme a Sealup per il Right as Rain Award. Il noto marchio di rainwear e outwear ha lanciato un contest dedicato ai talenti emergenti. Le creazioni vincitrici saranno prodotte dall’azienda in una mini capsule collection uomo e donna e saranno esposte al prossimo Pitti Uomo.www.sealup.net
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OUTSIDE
In città e sul campoL’allenatore del Bayern Monaco Pep Guardiola non ha dubbi quando deve scegliere quale capo-spalla mettere in campo: si tratta dell’impermeabile con cappuccio staccabile in tessuto 2Layers Gore-Tex della linea Herno Laminar. Resistente al vento e in finissima piuma d’oca, permette all’ex gio-catore e tecnico di stare sempre al caldo e di concentrarsi solo sul suo lavoro, sia in giro per la città che a bordo campo.www.herno.it
Probabilmente avete avuto modo di incontrare le sue rabbit chair in giro per la città durante la settimana del design milanese e ora qeeboo presenta la prima collezione: una linea di 25 prodotti in plastica tra sedie, tavoli, lampade e accessori. Creato dal celebre designer Stefano Giovannoni, questo nuovo marchio italiano ha saputo attrarre attorno a sé figure di spicco come Gabriele Chiave, Marcel Wanders, Nika Zupanc, Andrea Branzi, Front e Richard Hutten. www.qeeboo.com
È nato queboo
La città che viveNel suo borgo vivono otto abitanti e spesso è stata definita “la città che muore”, ma Civita di Bagnoregio non ci sta. Con l’aiuto di Regione Lazio e Airbnb prova a volare alla sede dell’Une-sco per ottenere il riconoscimento di patrimonio dell’umanità. Visitata da più di 5 milioni di viag-giatori nell’ultimo anno, la località chiede alla sua community di sostenerla in questa sfida firmando la petizione pubblicata sulla piattaforma Change.www.change.org
Nel nome degli altri Racconta quello che accade a chi vive l’esperienza del disturbo mentale per mano di coloro che invece dovrebbero curarsene il Festival dei Matti di Venezia. Le performance si in-terrogano su cosa determini la misura della normalità, su quali siano gli strumenti che possano legittimarla e su i dazi pagati da coloro che in quella misura non rientrano. Il festival si è tenuto il 13, 14 e 15 maggio in molti luoghi della città.www.festivaldeimatti.org
Colori d’autunnoSarà il grigio accostato al cammello il protagoni-sta della nuova collezione Uniformity di AT.P.CO, mentre in Rare Birds troveremo tonalità calde come il beige, il sabbia e i grigi chiari che dialo-gano con stampe e pattern declinati sia sui pan-taloni sia sulle giacche. Per il prossimo autunno inverno AT.P.CO ha realizzato anche una capsule di otto giacche realizzate con il pregiato tessuto biellese del Lanificio Angelico.www.atpco.it
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COVER STORY
Cita volentieri Andy Warhol, Peter Gabriel e Brian Eno. La multimedialità e la musica stessa che – parole sue – «resta un’arte troppo grande per essere svilita con un comportamento compiacente.». Lui è il Maestro Roberto Cacciapaglia: ascoltato da milioni di visitatori per via della sua sonorizzazione de L’Albero della Vita allo scorso Expo e tuttora figura carismatica di una Milano che crede nel potere intrinseco del creare a ogni costo. Partendo da una semplice emozione
di Simone Sacco - foto di Matteo Cherubino
ROBERTO CACCIAPAGLIA
SCUOTENDO L’ALBERO
Varcare la soglia dell’incantevole stu-dio privato di Roberto Cacciapaglia, a pochi passi dai giardini di Porta Ve-nezia, è come immergersi nel silenzio più appagante. Un alveo di quiete e contemplazione, avvolto nel legno e nella moquette, dove la musica prende forma volentieri tra manifesti d’epoca, computer ultra-moderni e strumen-ti vintage. Quella stessa musica che il Maestro (laureato al conservatorio me-neghino Giuseppe Verdi nei primi anni Settanta) ha sempre inseguito con de-vozione estrema, partendo dagli esordi quasi kraut rock di Sonanze (1974) fino ad arrivare alla soddisfazione non indif-ferente di aver musicato l’Expo 2015 tramite l’accensione quotidiana (e se-rale) de l’Albero della Vita. E poi pas-sando attraverso una miriade di proget-ti e album che vi invitiamo volentieri ad ascoltare partendo dal sublime Live From Milan (2011), un doppio CD dal vivo (più DVD) dove i pianismi roman-tici di Cacciapaglia arriveranno svelti e risoluti alla vostra anima. «Però lei, pri-ma, mi ha confessato che è un grande fan di questa mia composizione…», mi
stuzzica il Maestro e, ancor prima che possa rispondergli, esegue al pianoforte una versione cristallina di Double Vi-sion che fu utilizzata per uno spot della FIAT al tramonto degli anni Ottanta, prima di finire su disco (Ten Directions - Il lancio del pensiero) solamente nel 2010. Resto semplicemente senza fiato e Cacciapaglia non potrebbe essere più appagato di così. «Non farei la musica che amo senza avere questo contatto con il mio pubblico: diecimila spetta-tori valgono quanto lo stupore di uno e viceversa. La musica deve comunicare il più possibile, altrimenti è giusto che resti imprigionata in uno spartito mai pubblicato. O, semplicemente, nella te-sta del suo autore». Il più – a livello filo-sofico – è già stato enunciato, ma altre domande affollano i miei appunti. Ra-gione per cui cedo la parola a una delle più eloquenti eccellenze meneghine in concerto all’Auditorium di Milano di Largo Gustav Mahler il 16 maggio.Maestro, partiamo dal futuro: sta già lavorando a qualcosa di nuovo?In tutta onestà, non ancora. Tree Of Life, in definitiva, resta un progetto
recente (l’album è uscito nell’autunno scorso, NdR) e ora ho questo tour esti-vo da organizzare. Anche se…Anche se?Mi conceda una confidenza: la Believe Digital, la mia attuale casa discografica, si è già portata avanti con i tempi e ha programmato un “Best Of Cacciapa-glia” in uscita per le prossime festività natalizie. E lì ci saranno sicuramente tre miei inediti. Per l’album nuovo, in-vece, c’è tempo: inizierò sicuramente a ragionarci più avanti.Mi diceva del tour: la data milanese è in programma il 16 maggio all’Audi-torium di Largo Mahler. Cosa atten-derci in definitiva?Sì, a maggio ci saranno queste antici-pazioni del tour estivo che toccheran-no Firenze, Roma, la nostra città e poi, più avanti, anche Torino (il 23 giugno al teatro Carignano, NdR). Una parte del concerto milanese sarà dedica-ta ovviamente ai brani di Tree Of Life con l’accompagnamento della Cele-stia Chamber Orchestra. Suonerò an-che un paio di inediti tra cui un pezzo come Handel Hendrix House a cui ho
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COVER STORY
sempre tenuto e una cover di David Bowie, vale a dire una versione spe-ciale di Starman. Un po’ come tributo all’artista recentemente scomparso, un po’ perché il Duca Bianco è un punto di contatto con Andy Warhol, ovvero un’artista che è stato fondamentale per il mio percorso artistico.Si sente anche lei un po’ devoto alla Pop Art?Assolutamente sì: come le dicevo pri-ma, senza un dialogo con il pubblico, l’artista non esisterebbe neanche. Andy Warhol, Brian Eno, Peter Gabriel, lo stesso Bowie: quella è tutta gente che è sempre riuscita a comunicare con la propria audience tramite l’arma del-la multimedialità. Non mi prenda per presuntuoso, ma io sento di apparte-nere a quel tipo di emotività artistica. Mi veda come un musicista in grado di non chiudersi nel proprio sapere per-sonale, ma capace di “parlare” a chi lo ascolta.In effetti la sonorizzazione dell’Albe-ro della Vita ha riscosso un enorme successo di pubblico allo scorso Expo milanese. Milioni di visitatori di ogni nazionalità, alle dieci di sera, si sono radunati sotto quella scultura post-moderna. E hanno ascoltato…Una cosa di cui andrò fiero per tutta la vita. Amo chiamarlo “il potere del suono”: una capacità empirica di fon-dere musica e pubblico in un tutt’uno. Il famoso e agognato “dialogo”, giusto per parlare di cose concrete e non me-taforiche.Tecnicamente cos’è stato l’Albero per lei? Una sonorizzazione, una colonna sonora oppure un medley di musiche
che Roberto Cacciapaglia aveva già precedentemente composto?Mettiamola così: per me si è trattato di un’opera lirica priva di libretto. In fondo io e i miei collaboratori visuali dovevamo commentare i quattro ele-menti (acqua, aria, fuoco e terra) solo ed esclusivamente con il potere delle note: non c’erano voci da seguire né trame da narrare. Tutto quello che ave-vamo a disposizione era la musica. E poi l’aspetto visivo, certo: quella strut-tura che si illuminava nella notte mila-nese e lasciava tutti con il naso all’insù per dodici lunghi minuti. Ecco perché prima ho citato non a caso la parola “multimedialità”.Come sta la musica al giorno d’oggi, così oppressa dal fenomeno dei talent show, delle canzoni “usa e getta”, dei dischi che escono quasi in maniera carbonara…Domanda impegnativa (sorride, NdR)! Dunque, per me la musica odierna gode di ottima salute e sul web si tro-vano esempi di artisti encomiabili; però effettivamente quello che manca è il supporto delle case discografiche.Forse sono venuti meno la pazienza e la voglia imprenditoriale di far cresce-re un talento puro?Esatto. Lei prima parlava di “musica usa e getta” e, a me, quello che preoc-cupa maggiormente è proprio il verbo “gettare” con tutte le relative delusioni che comporta. Voglio dire: che ne sarà di tutti questi promettenti ragazzi illusi dalla gloria effimera di un talent show? Che contraccolpi psicologici subiranno una volta spenta la luce della telecame-ra? Mi faccia aggiungere una cosa sotto
forma di un’ennesima domanda reto-rica: lo sa cos’è che oggi mi fa storcere il naso?No, me lo dica lei...Il fatto che il pubblico per la cosiddet-ta “buona musica” oggi esiste eccome… Solo che bisogna raggiungerlo! Il pro-blema odierno è una società istituzio-nale che non supporta affatto autori e musicisti. Una discografia che non ha tempo e insegue esclusivamente il suc-cesso istantaneo. E poi, a volte, si fa anche fatica a trovare il supporto fisico. Con tutto il rispetto per iTunes o Spotify, forse la musica di Cacciapaglia andrebbe in primis apprezzata su vinile o CD. Accendere uno stereo, appoggiare la puntina sul solco o inserire un disco nel suo vano, creerebbe molto più sen-so d’attesa…Non lo dica a me che ho album veri e propri pubblicati in Italia, Russia, Spagna, Olanda, Stati Uniti e tanti al-tri. Però, allo stesso tempo, vanto anche quindici milioni di utenti su Spotify e quindi lungi da me spacciarmi per luddista (ride, NdR)! La metta così: la mia musica verrà sempre distribui-ta su supporto fisico, ma altre sono lo strade odierne per creare quel famoso “contatto” tra artista e pubblico. E quei percorsi, mi creda, non vanno assoluta-mente trascurati.Le piace il rock rumoroso?Mi piace eccome. Adoro anche l’heavy metal da questo punto di vista… Vede, per me fare musica significa scatenare quelle forze prorompenti che genera-no vita, amore e contatto. A fine anni Sessanta, appena quattordicenne, ho
“Non farei la musica che amo se non avessi il contatto con il pubblico: diecimila spettatori valgono quanto lo stupore di uno e viceversa”
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COVER STORY
avuto la fortuna di assistere a un con-certo di Jimi Hendrix al Piper di Mila-no e poi ho vissuto in prima persona la lunga stagione del Parco Lambro nel decennio successivo. Il rock, al pari del-la musica sacra e classica, è fortemente presente nel mio DNA. Se inserirò una chitarra elettrica nel mio prossimo al-bum? Chi lo sa? Magari… A proposito, perché a un certo punto ha desistito dal produrre pop italia-no? Negli anni Ottanta lei collaborò ad alcuni album di Gianna Nannini, Alice, la compianta Giuni Russo…Perché gli artisti pretendono troppo. Scherzi a parte, produrre pop italiano, oggi come allora, è troppo impegnati-vo: ci sarà sempre quel cantante che vorrà respirare assieme a te, mangiare in tua compagnia, svegliarti alle due di
notte perché avrà avuto una idea genia-le da sviluppare in studio… Lavorare a dischi altrui è stato senz’altro un’e-sperienza piacevole e arricchente però, allo stesso tempo, mi sono sentito in dovere di chiudere quella porta già nel lontano 1985. Altrimenti – con tutto il rispetto – non sarei riuscito a dedicar-mi alle mie composizioni personali.Lei, giusto per restare ancorati al pas-sato, collaborò in qualità di tastierista al secondo album di Franco Battiato: il fondamentale “Pollution” del 1972. Lo ascolta ancora di tanto in tanto?Sinceramente no, ma amo quel lavoro e la stima per Franco è rimasta immutata nel corso di tutto questo tempo. Anzi, è aumentata progressivamente.Però con Battiato ha suonato solo in quel disco…
Sì, feci con lui la tournée di Fetus (1972) e mi ritrovai automaticamente in studio per Pollution. Poi Franco la-vorò a Sulle Corde di Aries e Clic, ma io ero già presissimo dalla scrittura di Sonanze – che uscì appunto nel 1974 – e da allora siamo rimasti “solo” grandi amici. Giusto in conclusione, mi dica la su-prema verità: cosa non farebbe mai nei confronti della sua adorata musi-ca?Probabilmente non compiacerei mai la musica stessa. Sa, non mi piace svilire quest’arte in maniera speculativa. La vera musica è una cosa troppo grande di per sé: arreca gioia e dolore all’ascol-tatore sviluppandosi in un’esperienza totale. Non riuscirei mai a mancarle di rispetto.
20
PORTFOLIO
In questa pagina.
Un connubio
inscindibile, in
Mongolia, quello tra
l’uomo e il suo cavallo:
mezzo di trasporto,
di sostentamento e
protagonista assoluto
nelle gare di abilità.
Nella pagina a fianco.
Gobi è il termine
mongolo che si riferisce
alla steppa con i suoi
pascoli aridi
21
finite | infinity | infinito | finito è il titolo del lavoro fotografico realizzato in Mongolia nel 2012 che racconta un viaggio interiore. Perché questa terra dell’Asia centrale è un pianeta di immensità spaziale e di apparente sospensione temporale, in cui tutto fa rivolgere il proprio sguardo all’interno di sé. La Mongolia è una terra governata da forze elementari, atmosferiche, inarrestabili e qui l’uomo tende ad armonizzarsi con l’ambiente, senza combatterne gli estremi. È terra di soglia tra quegli estremi, in bilico tra epoche, continenti e culture. Questo è un viaggio verso orizzonti in allontanamento costante
testi e foto di Claudia Ioan
INFINITE MONGOLIE
PORTFOLIO
23
PORTFOLIO
In questa pagina.
In Mongolia la
convivenza di epoche
diverse è molto
evidente nei mezzi di
trasporto.
Nella pagina a fianco.
Una vera esplosione
cromatica in ogni
insediamento umano
stabile. L’architettura in
legno delle abitazioni
è visibile da lunghe
distanze
24
PORTFOLIO
claudia ioan Claudia Ioan vive tra Perugia, dove è docente universitaria, e Roma. Dopo studi di fotografia, mostre e attività associazionistica, all’inizio del 2015 ha fondato con Massimiliano Tuveri Offici-ne Creative Italiane, laboratorio di comunicazio-ne creativa tramite fotografia e parola, all’interno del quale realizza i suoi progetti fotografici. www.officinecreativeitaliane.wordpress.com
25
PORTFOLIO
In questa pagina.
Una banca. L’eredità
russa, visibile
nell’alfabeto cirillico,
si sovrappone alla
tradizione asiatica.
Nella pagina accanto.
La jurta è l’abitazione
tipica ad ambiente
unico circolare:
emblema di isolamento
e promiscuità
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di Marzia Nicolini
CICLOFFICINE STORICHE E FREAKDa quella democratica e partecipativa aperta dagli studenti di Agraria all’insegna
centenaria di Rossignoli. Passando per le nuove proposte che, alla passione per le due ruote, abbinano quella per il design, il buon vino e le piante
FOCUS
Anche se i più critici fanno notare che le piste ciclabili non coprono ancora tutta la città, che ci sono troppe buche per strada, che i ciclisti non vengono considerati abbastanza, la verità è che Milano è una città bike friendly. Lo dimostrano le postazioni in aumento di BikeMi. Lo conferma il numero crescente di biciclette che si incrociano per strada. Lo stabiliscono, soprattutto, i bellissimi negozi aperti o rinnovati nel cuore della città tutti dedicati alle biciclette e ai milanesi che pedala-no. Veri e propri luoghi culto, stanno acquisendo sempre più la patina di spazi utili e bellissimi allo stesso tempo. In puro stile milanese, radical chic per eccellen-za, le ciclofficine non potevano limitarsi al loro normale uso di pit stop funzionali. La tendenza di estendere il concetto di mere stazioni di ripara-zione bici inizia con il giovane progetto di Ciclo-sfuso. Negozio “due in uno” inaugurato da meno di un anno in via Sartirana (zona Porta Genova) da due giovani soci milanesi, propone l’abbinata goduriosa bicicletta&vino. Come funziona? Im-maginate un ex spazio industriale posto al pian-
terreno di una casa di ringhiera poco fuori dal centro. Un ingresso conduce al locale, dove darsi alle degustazioni enologiche, mentre una secon-da porta fa accedere alla ciclo officina, dove un meccanico esperto è a disposizione per rimette-re a nuovo i veicoli usati. Chi lo desidera, infine, può acquistare una bici della collezione di casa, made in Italy e personalizzabile. Lanciato di re-cente, ma già molto di moda, è anche Bici&Radici, in zona Pasteur. Anche in questo caso la formula è double: qui biciclette e piante convivono amabil-mente. Basta una piccola bottega per ricreare un ambiente friendly, dove discutere di verde e mo-bilità, comprare fiori, rampicanti e libri a tema e nel frattempo farsi mettere a posto la bici. Per non farsi mancare nulla, Stefania e Marco, ideatori del progetto, organizzano anche corsi e letture, con un forte radicamento nel quartiere.A fianco di questi luoghi, resistono le ciclofficine storiche della città. Su tutte Biciclette Rossignoli in corso Garibaldi 71, oggi pieno centro della mo-vida milanese, un tempo quartiere più ruspante. Insegna centenaria, Rossignoli è testimone di un
01
01. Ha aperto a Milano
il primo Bianchi Cafè
& Cycles d’Italia, con
ristorante, caffetteria e
bike store
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FOCUS
rapporto in evoluzione tra milanesi e due ruote: dalla crisi del ‘29 al boom degli anni Cinquan-ta, quando pedalare era una necessità e non una moda, fino alla Milano di oggi, sempre più soste-nibile, ecologica e consapevole. Passata di padre in figlio per cinque generazioni, Rossignoli – con la sua mitica targa rossa e le due vetrine su strada – mette a posto le bici ammaccate, ma vende an-che modelli da corsa e pezzi da collezione per un pubblico di amatori altamente informato, cultore dell’estetica, oltre che della praticità.Altra novità nel panorama delle ciclofficine mi-lanesi è lo spazio super centrale e decisamente cool Bianchi Cafè & Cycles Milano, aperto non stop dalle 6.30 di mattina a mezzanotte, confor-memente al frenetico ritmo metropolitano. In una location moderna e minimale di 570 metri qua-drati in via Cavallotti, a due passi dal Duomo, il negozio invita a scoprire il mondo Bianchi, storica azienda che ha legato il suo nome alle imprese di Coppi e Gimondi, e lo spirito sportivo di cui da sempre è permeato. Dal negozio di biciclette con officina meccanica e bike fitting al lounge bar di
design il passo è breve. Una conferma: l’idea di abbinare relax e due ruote sembra essere quella davvero vincente.Se invece siete in cerca di un’atmosfera meno chic e decisamente più informale, troverete la vostra dimensione andando nella Ciclofficina RuotaLi-bera, autogestita dagli studenti della Facoltà di Agraria in via Celoria, Città Studi. Aperta tutti i venerdì pomeriggio, è da anni il posto ideale per chi non ha paura di sporcarsi le mani e deside-ra imparare ad aggiustare la propria bicicletta da sé. Aperta e partecipata, RuotaLibera offre servi-zi gratuiti e, inevitabilmente, promette amicizie e nuove conoscenze, in un clima informale. Amatis-sima dal pubblico più giovane, oggi è affiancata da altre postazioni che ne imitano lo spirito inclusi-vo e democratico, come la Ciclofficina Cuccagna (zona Porta Romana), che da lunedì a venerdì offre manutenzione e riparazione di biciclette e vendita di modelli usati, mentre il sabato propone un laboratorio aperto in cui imparare a riparare la propria due ruote. Le donazioni sono sempre ben accette, ma niente di obbligatorio qui.
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02. Ciclosfuso è invece
una ciclo-officina
con annesso spazio
degustazioni: vino alla
mescita e prodotti del
territorio
indirizzi Biciclette Rossignolicorso Garibaldi 71Bici&Radicivia Nicola D’Apulia 2Ciclosfusovia Sartirana 5Ciclofficina RuotaLiberavia Celoria 2Ciclofficina Cuccagnavia Privata Cuccagna 2Bianchi Café & Cyclesvia Cavallotti 8
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INTERVIEW
Da capo editoriale di Bompiani alla guida di una casa editrice indipendente: l’ideatrice de La Milanesiana ci racconta il suo viaggio appena cominciato a bordo de La Nave di
Teseo e ci dà appuntamento al prossimo Salone del Libro di Torino
di Marilena Roncarà
ELISABETTA SGARBI
L’UMILTÀ DI RICOMINCIARE
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INTERVIEW
Lei, Elisabetta Sgarbi, ha lasciato la direzione editoriale alla Bompiani per sottrarsi alla fusione Mondadori-Rizzoli e contrastare «l’asfissia di un colosso troppo grande» a salvaguardia dell’identità e dell’indipendenza.Aprire una casa editrice è una prova di coraggio…Non ricordo momenti facili nell’edi-toria, un mercato che nasce già diffi-cile, seppure oggi possa dirsi in ripresa. Certo affermarsi è più complesso per una nuova casa editrice che non per un grande gruppo editoriale, però intorno a La Nave di Teseo avverto il calore e l’attenzione dei librai, dei promotori, dei lettori. E questo è un capitale di inestimabile valore.Cosa significa essere una casa editri-ce indipendente oggi? Significa potersi permettere di sba-gliare il meno possibile, significa avere meno tempo a disposizione per costru-irsi un’identità e doversi confrontare con una quantità enorme di soggetti che, insieme, concorrono alla vita del libro. Perché abbiamo così tanto bisogno di editori indipendenti?Perché ogni tanto è necessario, con gar-bo ed eleganza, dire che non si è d’ac-cordo con quello che accade, alzarsi e andarsene. Anche per questo è impor-tante l’esperienza de La Nave di Teseo.Parlando della vicenda Bompiani ha ribadito che i principi non sono nego-ziabili…Intendevo dire che un editore non può controllare il 35-38% del mercato. E infatti è una situazione che non si veri-fica in nessun Paese occidentale se non da noi. Ma la mia – come ho già sottoli-
neato – non è una lotta alla Mondado-ri, è una lotta in nome di un principio che, appunto, non è negoziabile. Sulla vicenda Bompiani penso solo che fosse prevedibile che l’antitrust avesse qual-cosa da ridire, dato che proprio dagli autori della Bompiani è nato il «no» a tutta l’operazione.Si è definita un editore “monello”…Era un paradosso. Tenevo un discorso alla Scuola dei Librai e, poiché non rie-sco a parlere ex cathedra, ho detto che non ero un editore modello, come mol-ti degli editori presenti in sala, ma “mo-nello”, nel senso che amo sconfinare, a volte azzardare in campi non stretta-mente editoriali, come la Milanesiana o il cinema dimostrano.A proposito di cinema, la sua casa di produzione si chiama Betty Wrong, come la canzone di David Bowie: cosa hanno in comune Elisabetta Sgarbi e Betty Wrong?Elisabetta Sgarbi ama molto Betty Wrong. Non sono sicura del contrario.Invece con la Milanesiana ha avuto modo di sperimentare un altro aspet-to del fare cultura…La Milanesiana è la versione live, on air, di tutto quello che accade nel’espe-rienza editoriale e della mia passione cinematografica. È una sintesi, molto momentanea, delle cose che mi piac-ciono e che mi stanno a cuore. Tra poco sveleremo il programma dell’edizione 2016.Si dice che un editore debba avere fiu-to. Da cosa capisce che un romanzo diventerà un bestseller o che un libro vale la pena di essere pubblicato?I bestseller in genere non sono pianifi-cabili. Sorprendono. Però ci sono best-
seller che valgono 7mila copie. Non lo si direbbe, non entrano in classifica, ma “fanno” la pancia dell’editore. Bisogna sempre pensare che il catalogo di un editore è fatto di libri che si tenta di “fare andare bene”, diffondendoli al massimo delle potenzialità che si rie-sce a mettere in campo. Ho pubblicato libri molto complessi, e il mio lavoro è stato di venderne più copie possibile, farli conoscere nella misura della loro complessità. Poi ogni autore, se lo pub-blichi, è perché ti ha aperto una nuova finestra sul mondo.Qual è l’idea di editoria che sta alla base de La Nave di Teseo e come sarà il vostro catalogo? Il nostro obiettivo è costruire una casa editrice che abbia un catalogo di auto-ri, e per autori intendo scrittori anche molto differenti tra loro, che però sap-piano dare la loro impronta, libro dopo libro, alla casa editrice. La Nave di Te-seo nasce dalla Bompiani, ma non è la Bompiani. L’idea del nome è di Um-berto Eco e questa sfida è stata anche uno dei suoi ultimi grandi gesti. Per ora siamo in sette a lavorarci all’interno: sono tutti professionisti che conosco molto bene.«Nella vita non ci sono che inizi» è la lezione di Madame de Staël che sem-bra perfettamente sincrona a questo momento, che cosa consiglierebbe a un giovane appassionato di editoria?L’umiltà, sempre e comunque. Che non vuol dire essere remissivi e non avere orgoglio. Ma significa umiltà.Ormai vive e lavora a Milano da anni, che rapporto ha con la città? La amo perché si può vivere in dispar-te ed essere comunque pieni di attività.
“Sono un editore ‘monello’, nel senso che amo sconfinare e azzardare anche in campi non strettamente editoriali”
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01. Scorcio di Cascina
Torrette di Trenno, la
struttura seicentesca
che riapre alla città
dopo un restauro
conservativo si trova in
via Gabetti 15, in zona
San Siro.
Foto di Marco Menghi
«Tutto è cominciato da un sogno: creare un centro che rimettesse in moto il rapporto fra la creazione artistica, la vita e la società». Inizia più o meno così la nostra conversazione con Paolo Aniello che, insieme ad Andrea Capaldi e a Benedetto Sic-ca, è uno dei fondatori di Mare Culturale Urbano, il centro di produzione artistica che inaugura a maggio in zona 7, a Milano. «Con questo proget-to volevamo portare la ricerca artistica fuori dal-le nicchie elitarie, mettendo in campo azioni di scambio con il territorio». Ecco il sogno: dare vita a un centro che fosse luo-go di rigenerazione artistica e rigenerazione urba-na. Da qui il recupero di due spazi dismessi in zona San Siro: la Cascina Torrette di Trenno, che aprirà i battenti a maggio, e i 3mila metri quadri di via Novara 75, la cui apertura è invece fissata per il 2018. Dal concept ideale si è presto con-
cretizzata l’occasione di incontrare il Comune di Milano che nel 2014 aveva lanciato un bando per alcuni spazi abbandonati in città. «Già parlavamo di rigenerazione del territorio e uno spazio come quello di via Novara non faceva altro che consen-tirci di accumulare ulteriore senso», ci racconta sempre Aniello.Oltre a partecipare al bando e a vincerlo, da subi-to Mare inizia a tessere una serie di relazioni sul territorio: nel 2013 invita i collettivi artistici di Landscape Choreography e Cohabitation Strate-gies a ideare un programma di attivazioni urbane che diventano l’occasione per una ricerca socio-demografica sul quartiere, mentre tre classi mul-tietniche della scuola elementare Lombardo Ra-dice vengono coinvolte in laboratori creativi sulla società del futuro. «Volevamo evitare di piombare nel quartiere dall’alto come degli ufo» prosegue
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di Marilena Roncarà
MOLLO TUTTO E VADO AL MARE«Siamo di fronte a un altro miracolo a Milano» con queste parole il sindaco uscente ha salutato lo scorso marzo la presentazione del progetto Mare Culturale Urbano.
A qualche mese di distanza siamo andati a vedere come comincia la storia del centro culturale di zona 7 di cui, c’è da scommetterci, sentiremo parlare
FOCUS
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FOCUS
02. Studenti e
appassionati all’opera
nel laboratorio officina
#costruirelimprovviso:
grazie anche a un
crowdfunding che
porta lo stesso nome
sono stati costruiti
gli arredi ed è stato
allestito un cortile
comune
Aniello e in questo senso va segnalata anche l’e-sperienza del laboratorio e falegnameria #costru-irelimprovviso nato per la creazione degli arredi della Cascina e aperto agli studenti universitari Polimi e IED, ma anche agli abitanti del quartiere. «Non è che poi ve ne andate? – era la domanda che ci veniva rivolta con più insistenza all’inizio, ma noi abbiamo intenzione di restare qui almeno 30 anni. Il nostro lavoro si basa sulla costruzione di relazioni forti a livello territoriale e le relazioni, come succede per l’amore, hanno un loro ciclo, dopo l’entusiasmo iniziale c’è una fase di rallenta-mento in cui bisogna consolidare». Insomma volevano arrivare con i tempi giusti, quelli di Mare, al taglio del nastro di Cascina Tor-rette di Trenno, un edificio del Seicento restau-rato e restituito alla città come spazio pubblico a forte vocazione artistica e sociale all’interno dell’housing sociale Cenni di Cambiamento. 1.700 metri quadri con 40 postazioni coworking, un laboratorio-officina, spazi polivalenti dedicati alla formazione, due sale prova musicali, una sala da ballo-sala eventi, una cucina popolare con birre-ria artigianale, un palco per piccoli concerti e un cortile comune. Qui da giugno a settembre si terrà la rassegna di cinema, spettacolo dal vivo, musica, laboratori e gastronomia Dopo andiamo al mare?. La festa di inaugurazione è fissata per il 21 giugno
con, fra gli altri, il dj economista ed esperto di cu-cina Don Pasta e la cantante Marianne Mirage che si esibirà in un live dalle 21.30. Ma già il 21 e il 22 maggio Cascina Torrette di Trenno aprirà le porte alla città diventando protagonista di Piano City Milano ospitando 10 concerti speciali, tra cui uno per bambini da 0 a 3 anni e uno per due pianofor-ti a 24 mani. E siamo solo all’inizio. L’obiettivo è trasformare quest’area periferica in un laboratorio del fare, abbassando le barriere d’accesso all’arte e alla cultura. Il progetto è una bella sfida «ma Milano, che già sta mettendo in atto un percorso di trasformazione in città poli-centrica, era il luogo giusto per farlo, perché qui insieme a economia e finanza si muovono anche le idee – prosegue Aniello – la complessità è cre-are un modello che sia sostenibile in termini eco-nomici, mentre l’orgoglio sarebbe riuscire poi a esportarlo all’estero». In mezzo a tutto questo entusiasmo viene da pen-sare che oggi la ricerca artistica per diventare un reale motore di sviluppo dovrebbe davvero stimo-lare partecipazione e inclusione sociale, attivando quella rete di conoscenze reciproche che (anche in riferimento alla questione dei migranti) è fra i nodi più urgenti della nostra contemporaneità. E un centro culturale che produce pensiero è già un successo.
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UN CORTILE COMUNE DOVE STARE BENECostruire insieme una cosa che non c’era, questa l’idea del crowdfunding #costruirelimprovvi-so attivato con Comune di Milano ed eppela.com per realizzare il cortile comune della cascina, facendone una piazza attrezzata con wi-fi, casetta dell’acqua, forno comune e stazione per ricaricare le bici elettriche. Per partecipare c’è tempo fino all’inizio di giugno. www.maremilano.org
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INTERVIEW
«A questo punto dell’esistenza, il “piano” sarebbe quello di riposarmi, ma come vedete non è possibile». È un Dario Fo stanco, irritabile come sono spesso gli anziani alla nostra
latitudine, in trincea per i molti impegni con se stesso e con il mondo di fuori che se lo contende, quello che ci riceve nella bella casa-atelier di Milano per concederci una breve
intervista prima di tornare alle prove per il suo spettacolo del prossimo 27 maggio
di Paolo Crespi - foto di Matteo Cherubino
DARIO FO
L’ETÀ DELL’ORO
Un ritmo che stroncherebbe un cavallo e che invece il grande affabulatore pre-mio Nobel deve reggere da solo – coa-diuvato da un team di tre persone che lavorano con lui a tempo pieno – ora che Franca Rame, la compagna di una vita, non c’è più. «Un vuoto immenso, incolmabile» confessa lui, che la sogna quasi ogni notte, e tuttavia una presen-
za molto forte, palpabile, nella dimora che la grande “coppia aperta, quasi spa-lancata” del teatro italiano ha condiviso per quarant’anni, intrecciando vita pri-vata e militanza intellettuale. Al giro di boa dei novant’anni, festeg-giati in pubblico, qualche mese fa, in un Piccolo Teatro Studio gremito, Da-rio Fo non ha tirato i remi in barca. Lo
testimoniano i dipinti ancora freschi e i colori di cui si circonda e tra i quali ama farsi ritrarre. Così è sempre stato, di fatto, anche nel tempo in cui le sue tele venivano vendute alla buona sui banchetti dei teatri amici per finanzia-re le attività del collettivo teatrale di cui lui e Franca erano a capo. E lo cer-tifica soprattutto un’agenda strapiena
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INTERVIEW
di inaugurazioni, incontri, conferenze, spettacoli (pochi quelli dal vivo), ripre-se televisive, altre interviste.Ma è come se la sua leggendaria capa-cità di raccontare e raccontarsi si fosse improvvisamente inaridita e l’attore dovesse centellinarla per riversala nei lavori incompiuti. Un tentativo di pro-teggersi, certo, anche dall’assalto della luce che oggi ferisce i suoi occhi malati costringendolo a rifugiarsi il più a lun-go possibile dietro un paio di pesanti occhiali scuri e a contare quasi esclu-sivamente sulla sua prodigiosa memo-ria d’attore, resa più selettiva dall’età e dal bisogno di concentrarsi su ciò che conta davvero. Per Fo, del resto, parla la sua vita. Nel lungo momento della consacrazione, c’è poco da rivendicare, che non sia già stato detto. Compresa quella milanesità acquisita che ancora desta in lui, ex studente di Belle Arti prestato al teatro, una grata meravi-glia. «A Milano sono sempre rimasto fedele, fin dai tempi di Brera. Allora c’era un clima molto diverso. Era fi-nita la guerra, noi avevamo scavalcato e gettato alle ortiche il fascismo (non completamente, ogni tanto c’è qualche riverbero che ancora ti acceca). Aveva-mo scoperto che esiste una cosa che si chiama libertà. E perfino giustizia. E soprattutto convivenza. E questo era molto eccitante. Sorgeva un mondo nuovo dove esistevano una letteratura e un pensiero liberi. Si dipingeva e non si dovevano chiedere permessi. C’e-ra ancora la censura, è vero, ma di lì a poco non avrebbe tenuto. Siamo riusci-ti a debellarla».
La Milano del secondo dopoguerra è un’età dell’oro nel ricordo di Fo – che arrivava da Sangiano, nel Varesotto, a un paio di chilometri dal Lago Maggio-re –, poi qualcosa si è rotto, nel clima di partecipazione alla ricostruzione civile. Sul perché dell’involuzione, Fo non ha dubbi: «Figurati se poteva mancare tutto il gioco abilissimo della DC, che poi è la stessa tecnica che utilizza oggi il nostro capo del governo: raccontare storie, falsificare, inventare regole, pro-mulgare leggi che non lasciano spazio... È questo che ha cambiato per sempre la dimensione dell’essere, dello stare insieme: era finito il momento della collettività, della difesa a oltranza dei diritti di libertà».Ma se lo scambio osmotico fra l’artista e la città ha sempre funzionato il meri-to è soprattutto delle persone comuni. «La gente qui è stata eccezionale. Senza il suo contributo sarebbe stato difficile arrivare, non solo per me ma per tutti quelli che lavoravano in libertà e vole-vano sinceramente cambiare le cose. A Milano uno spettacolo che meritasse faceva il pieno, subito. Le persone di-scorrevano delle cose che noi mette-vamo in scena, delle nostre canzoni, le imparavano. Almeno il 70% delle belle canzoni che sono nate nel dopoguerra non parlavano soltanto genericamente di amore, ma della vita, della colletti-vità, del piacere di aiutarsi l’uno con l’altro. Di rispetto. E l’ironia, soprattut-to… Dio, una città che aveva un senso della satira straordinario, suscitava l’in-teresse e lo stupore dell’Europa intera che veniva a Milano per vederci recita-
re. Così, quando noi andavamo all’este-ro mi conoscevano già».Impossibile per Fo enumerare i perso-naggi della Milano vecchia e nuova a cui si sente più legato. E lo stesso vale per i luoghi della convivialità. «Forse ho una predilezione per Isola, ma com’era prima che la sventrassero e cancellas-sero il bosco di Gioia». E alla domanda se Milano abbia perso la sua anima, la risposta è invariabilmente «non so se Milano avesse un’anima, quanto piut-tosto una condizione di intelligenza e di amor proprio, il desiderio di fare e vivere con intensità insieme agli altri, e quindi immaginare, creare, meraviglia-re ed essere meravigliati».Una prerogativa che l’autore di Miste-ro Buffo, il cavallo di battaglia in sce-na nuovamente a Milano, al Ciak, per l’unica data del 27 maggio, non ha mai perso, come dimostrano anche i nume-rosi impegni in corso e in programma su tanti fronti diversi: le mostre, i libri. E soprattutto la pedagogia, questione ca-pitale: riguarda la sfera della sua eredità che appartiene ai tanti figli teatrali ma anche all’unico che ha i suoi geni: «Con Jacopo ho appena terminato in Umbria il workshop di teatro che di anno in anno porta alla Libera Università di Al-catraz centinaia di giovani attori, registi e appassionati. Lui, così diverso da me, riesce a essere un fratello minore e un complice. Noi discutiamo, ci troviamo in conflitto, ma poi riusciamo sempre a lavorare insieme… Ci compensiamo: assomiglia di più a Franca, ha il suo sen-so dell’organizzazione, io invece, si sa, sono un po’ un casinista».
“A Milano uno spettacolo che meritasse faceva il pieno. Le persone parlavano dei nostri spettacoli e imparavano le nostre canzoni”
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01. Dagli anni Quaranta
Viel è un punto di
riferimento a Milano
per i frullati. In menu
si trovano anche
centrifugati proteici
e cocktail con frutta
fresca frullata
Che la frutta faccia bene l’abbiamo sentito, giu-stamente, migliaia di volte. Eppure, a parte qual-che inguaribile vegano, per la maggior parte dei palati onnivori l’attrazione nei confronti di mele, kiwi e banane è tutt’altro che scontata. Sarà il re-cente trionfo dello street food e la voglia di provare gusti sempre più forti e originali, ma in Italia la frutta rimane ancora la sorella triste che compare, più per tradizione che per un reale desiderio, alla fine di pranzi e cene, come un inevitabile pegno che siamo chiamati a pagare. Ma con l’avvicinar-si dell’estate (e l’aumento delle temperature), all’improvviso la frutta riacquista una naturale dignità: non solo nella sua interezza, ma anche sotto forma di centrifughe e succhi, che torna-no a riempire colazioni, pranzi e vari momenti di pausa della giornata, complici anche quei colori vivaci e brillanti che trasformerebbero chiunque in un instagrammer senza pudore. In questi anni dove persino il cibo subisce le logiche di un re-branding continuo, i frullati si sono trasformati in smoothies, ma la sostanza è da sempre la stessa: del resto chi non associa le merende della propria
infanzia ai bicchieroni di latte e frutta frullata? È anche vero che di strada ne abbiamo fatta da quando a fine Ottocento i milkshake venivano preparati senza frutta e con l’aggiunta di whiskey e uova: le abitudini alimentari si sono evolute, perfezionate e diversificate, e oggi abbiamo a di-sposizione una miriade di varianti e alternative per tutti i gusti, da chi cerca la bomba proteica post-allenamento e da chi invece necessita di una carica di benessere. Ed è proprio sul benessere che si combatte la guerra tra frullati e centrifughe: se i primi preve-dono al proprio interno la presenza della polpa e quindi delle fibre del frutto, le seconde inve-ce sono puro succo estratto, di cui la polpa è un semplice prodotto di scarto. Come risultato, nelle centrifughe le sostanze nutritive del frutto sono disponibili per l’organismo in altissime concen-trazioni e vengono rilasciate nel sangue in tem-pi rapidi: senza la fibra, infatti, tutto il processo digestivo è molto più breve. Attraverso il succo l’assimilazione di enzimi e vitamine è quindi maggiore, raggiungendo anche il 70% (contro il
01
FOCUS
sul webwww.viel-milano.comwww.vivaviva.itwww.acai-frullateria.com
di Filippo Spreafico
SORSI DI SALUTE Frutta, verdura ma anche semi, alghe e superfood vitaminici: con l’arrivo
del caldo tornano protagonisti frullati, smoothies e centrifughe. E il benessere si beve
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02. Oltre alle insalate,
con le verdure si
realizzano anche
centrifughe nutrienti.
Viva è il nuovo format
di natural fast food e
take away con diverse
specialità naturali e
biologiche
20% del frutto frullato), nutrendo e idratando il corpo anche a livello cellulare. È da tali conside-razioni che in questi ultimi anni assistiamo a due tendenze che sembrano inarrestabili: da una par-te il mercato degli estrattori e delle centrifughe sta diventando sempre più competitivo e con un giro d’affari in crescita esponenziale, dall’altra si è affermata prepotente la moda del juicing e dei re-gimi detox, con aziende e locali specializzati nella produzione e nel commercio di mix studiati di succhi, da somministrare in precisi momenti della giornata. Succhi che oltre alla frutta prevedono anche l’utilizzo di verdure, come cetriolo, spinaci, cavolo, sedano e perfino prezzemolo ed erba di grano: se volete davvero essere trendy, i “centrifu-gati verdi” ad alto dosaggio di clorofilla non pos-sono mancare tra i vostri healthy food dell’estate. La velocità di assorbimento dei nutrienti, unita alla grandissima possibilità di personalizzazione e alla facilità di consumo, hanno conquistato gli amanti del fitness: ecco che frullati e centrifughe si rivelano un aiuto essenziale perfino per la pa-lestra, grazie all’aggiunta di integratori, proteine
in polvere e amminoacidi essenziali che li trasfor-mano in veri e propri shake proteici. Capitolo a parte meritano poi i cosiddetti “superfood”, ovvero tutti quegli alimenti naturali che per la loro stessa composizione molecolare permettono di dare un apporto di vitamine, antiossidanti e sali minerali decisamente superiore alla norma. All’interno di questa grande famiglia di cibi su-pernutrienti troviamo sia alimenti conosciuti e diffusi, come ad esempio i mirtilli rossi e il melo-grano, sia frutta e verdura che arrivano da lontano, come bacche, alghe e semi dai nomi più bizzarri. Si chiama acai na tigela il tipico frullato di bacche di acai e cereali, venduto in Brasile praticamente a ogni angolo di strada e che recentemente ha fat-to la sua comparsa anche da noi in locali specia-lizzati. E poi ancora la pitaya dalla polpa bianca, il frutto dell’albero del pane, l’acerola, l’alga spiruli-na, la moringa, il ginseng peruviano: in barba alla filosofia del km 0, le frullaterie diventano sempre più esotiche e colorate, ma soprattutto diventano il luogo numero uno in città dove trovare tutto il benessere che stiamo cercando.
FOCUS
02
centrifugare ma non troppoNonostante l’entusiasmo diffuso verso estratti e centrifughe, non è certo tutto oro quello che si beve. La mancanza di fibre provoca infatti nel corpo umano un velocissimo assorbimento degli zuccheri della frutta, causando picchi glicemici
elevati e potenzialmente pericolosi. Per questo motivo un eccessivo consumo di succhi può anche avere un vero e proprio effetto boomerang per la nostra dieta (e la nostra salute). Come in ogni ambito dell'alimentazione, il con-sumo moderato rimane la regola migliore.
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forniti dal marchio alla Marina fran-cese negli anni Settanta. Le anse con fori laterali e biselli particolarmente accentuati sono da includere tra gli ele-menti estetici storici adottati da que-sto nuovo modello. Anche il cinturino dell’Heritage Black Bay Bronze am-micca alla storia: la Marina francese or-dinava gli orologi Tudor senza bracciale e vi aggiungeva i propri cinturini, a vol-te fatti a mano. Uno di essi, ritrovato su un orologio d’epoca, era ricavato dall’elastico di un paracadute francese. Da questo cimelio, riconoscibile per il caratteristico filo giallo centrale, di-scende il cinturino in tessuto jacquard beige e marrone del nuovo cronografo, ma in linea con le caratteristiche della linea Heritage, esso è accompagnato anche da un cinturino marrone in pelle invecchiata.
www.tudorwatch.com
logio subacqueo ideale: uno strumen-to dall’eleganza discreta, affidabile e funzionale. Nei sessant’anni successivi, l’orologio subacqueo Tudor è stato co-stantemente migliorato e ogni modello ha ottenuto il riconoscimento unanime dei professionisti del settore, incluse al-cune tra le marine militari più impor-tanti del mondo. La famiglia Heritage Black Bay si è arricchita quest’anno con l’arrivo del nuovo modello Heri-tage Black Bay Bronze, un orologio su-bacqueo con cassa di 43 mm con fini-ture spazzolate, ispirato alla storia del marchio, che richiama l’uso del bronzo sulle navi e sugli equipaggiamenti da immersione del passato. La corona di carica particolarmente sporgente ricor-da quella della famosa referenza 7924 del 1958, soprannominata appunto Big Crown, mentre le lancette dalla carat-teristica forma spigolosa, note come snowflake, sono riprese dagli orologi
Tudor ha arricchito in questo 2016 la sua collezione Heritage con quattro nuovi modelli. Inoltre, il modello He-ritage Black Bay, presentato nel 2012, è stato aggiornato quest’anno con un movimento meccanico sviluppato in-ternamente da Tudor (che garantisce un’autonomia di 70 ore) e una serie di modifiche apportate al bracciale in acciaio e ai cinturini in tessuto che lo accompagnano. In questo cronografo restano condensati sessant’anni di sto-ria di orologi subacquei Tudor. Tutto ha inizio nel 1954, anno in cui fu presen-tata la referenza 7922. Primo esempla-re di una lunga serie di modelli ergono-mici, leggibili, precisi e resistenti, essa incarnava perfettamente l’approccio formulato dall’architetto americano Louis Sullivan secondo cui la forma di un oggetto deve rispecchiarne la fun-zione. La referenza 7922 pose inoltre le basi estetiche e tecniche dell’oro-
Continua ad arricchirsi la famiglia Heritage di Tudor. Una delle novità più importanti presentate a Baselworld 2016 è Heritage Black Bay Bronze, che richiama l’uso del bronzo sulle navi e gli equipaggiamenti da immersione del passato
Bronze Age
ADVERTORIAL
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www.premiumexhibit ions.com
OLTRE LO SGUARDOÈ forse il senso che più sfruttiamo, almeno coscientemente. Sarà per questo che quando dobbiamo scegliere la meta di un viaggio ci facciamo convincere soprattutto dalle immagini. E non è un caso che anche la tecnologia stia puntando sulla vista. Le aziende produttrici di device stanno immettendo nuovi prodotti sul mercato. L’importante è continuare ad apprezzare ciò che i nostri occhi vedono, ancora meglio se dall’alto
illustrazione di Virassamy
SIGHT
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Se avete in mente
una tazza di tè con
il Cappellaio matto,
niente di meglio di
questo visionario
servizio disegnato
dall’inglese Richard
Brendon
Dall’arte alla grafica e di qui alla moda, all’arreda-mento, all’architettura: è la parabola della Op Art – o arte cinetica – dalla metà del secolo scorso a oggi. Nata negli Stati Uniti a partire dalle elabora-zioni teoriche e pratiche dell’astrattismo geome-trico, si diffonde presto anche in Europa, venendo rapidamente assorbita dagli anni Sessanta e Set-tanta, dove, tra pattern stranianti e allucinazioni in bianco e nero, rispecchia l’euforia e la tensio-ne sociale della generazione psichedelica. Decli-na rapidamente, come spesso accade ai fenomeni di massa, ma la sua eredità è tuttora presente nel design e nella moda. Reinterpretazioni della Op Art si rintracciano infatti nelle collezioni proposte per questa primavera estate da Anya Hindmarch e Gareth Pugh, Byblos e Pal Zileri. Se Optical è il nome della collezione di lampade da terra e a sospensione presentata all’ultima Milano Design Week da Lee Broom, Pierre Marie, giovane illu-stratore di origine francese, disegna per Hermès una collezione di foulard dalle pulsanti vibrazioni policrome. Da una fantasia di Alberto Pellini, fon-datore di Spazio Pontaccio, nasce invece Creden-za: una collezione di piccoli mobili che, fondendo
la raffinatezza di Patricia Urquiola e il genio di Fe-derico Pepe, riprende la tecnica quasi abbandona-ta del vetro piombo utilizzata per le vetrate delle chiese e la riporta in vita valendosi però di colora-te combinazioni di moduli geometrici elementari. Un’autentica esperienza visiva in cui gli effetti di riflessione e rifrazione della luce creano atmosfere uniche e imprevedibili. Alla Op Art sono dedicate anche due grandi mostre: Eye Attack e The Illusive Eye, rispettivamente al museo Louisiana di Co-penhagen fino al 5 giugno e a El Museo del Barrio di New York fino al 21 maggio. In entrambe l’os-servatore si trova al centro di un mondo in cui tan-to l’illusione ottica quanto l’impressione plastica del movimento intendono stimolare il suo coin-volgimento. Anche qui non mancano i richiami al mondo del design: The Illusive Eye espone infatti una collezione di gioielli che lo spagnolo Chus Burés ha realizzato con alcuni esponenti dell’ar-te ottica, come Antonio Asis, Carlos Cruz-Diez e Julio Le Parc. In area milanese segnaliamo invece l’attività della galleria 10 A.M. ART che espone, tra le altre, opere di Getulio Alviani, Marina Apol-lonio, Gianni Colombo e Dadamaino.
di Alessia Delisi
Variando ripetutamente moduli geometrici elementari, in bianco e nero o a colori, crea nello spettatore illusioni ottiche stranianti: è la Op Art, oggi tornata alla ribalta grazie alle sue reinterpretazioni nella moda e nell’arredamento
A ME GLI OCCHI!
SIGHT
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OpticalDal design alla moda: una serie di oggetti che destabilizzano la percezione
Hermès - Bonnes Vibrations
La geometria sonora scoperta
alla fine del XVIII secolo dal fisico
tedesco Ernst Chladni ha ispirato
la composizione di questo foulard
dall’allure psichedelica
www.italy.hermes.com
Lee Broom - Optical
Pattern lineari che sembrano modificarsi a seconda dell’angolo
di osservazione per queste lampade a sospensione presentate
all’ultima Milano Design Week
www.leebroom.com
Artifort - Ribbon
La storica poltrona Ribbon – fu progettata da Pierre Paulin per
Artifort nel 1966 – incontra Momentum Blue Flame, il tessuto
disegnato l’anno successivo da Jack Lenor Larsen
www.artifort.com
Spazio Pontaccio - Credenza
Riprendendo la tecnica del vetro piombo utilizzata per le vetrate
delle chiese, nasce questa luminosa collezione di arredi che invita
a “credere” nel potere seduttivo del design
www.spaziopontaccio.com
Chus Burés - Sin título
Esponente della Op Art, l’argentino Antonio Asis
firma per Chus Burés questo ciondolo specchio in
edizione limitata esposto a El Museo del Barrio di
New York all’interno della mostra The Illusive Eye
www.chusbures.com
SIGHT
44
HI TECH
Oculus Rift, l’innovativo
casco per la realtà
virtuale creato da
Palmer Luckey e
acquistato per una cifra
iperbolica da Facebook,
costerà piuttosto caro
anche ai suoi early
adopters e servirà
soprattutto a giocare
In un’era dominata dall’immagine, prodotta e ri-prodotta in milioni di esemplari, dei nostri cinque sensi canonici la vista è sicuramente quello più corteggiato. E anche il più sfruttato. Prevale, in ge-nere, la tendenza a fruire ogni istante e ogni vissu-to, sia in pubblico sia nella sfera privata, attraverso uno schermo, il più possibile definito, luminoso e “smart”. Quest’attitudine, che in altri tempi sareb-be stata bollata come voyeurismo, ha fatto crescere enormemente anche il nostro gusto estetico per la fotografia e il video: non più appannaggio di una cerchia, per quanto ampia, di appassionati e addetti ai lavori, ma linguaggi trasversali alla por-tata di tutti, in grado di coinvolgere, convincere ed emozionare.Dai groufie (i selfie di gruppo) alle sessioni solitarie e vagamente esoteriche di Instagram, dalle imma-gini navigabili alle dirette senza rete di Snapchat e Periscope o ai canali professionali di YouTube pro-grammati per mietere milioni di visualizzazioni, la realtà si costituisce davanti ai nostri occhi sotto forma di immagine digitale, suscettibile di infinite variazioni, manipolazioni, condivisioni. Sorta di estensione della retina, il display ha ormai sostitu-
ito nella nostra esperienza di soggetti-oggetti del-la visione il vecchio mirino, sopravvivenza di un mondo analogico in via di estinzione, richiamato in servizio, in versione elettronica, solo quando lo scatto ha esigenze strettamente professionali. Realtà virtuale e aumentata, finalmente disponi-bili per il largo pubblico a oltre vent’anni dalle prime pionieristiche applicazioni hardware e software lanciate in Italia da “Virtual” (il mensile dell’era digitale fondato e diretto da Stefania Ga-rassini) sono la ciliegina sulla torta di un mondo in cui la semplice visione diretta, naturalistica, senza filtri né diaframmi, sembra non interessare più. Ed ecco allora proliferare visori VR da abbinare ad app e scenari 3D evoluti caricati su smartphone, foto-videocamere compatte e superstabilizzate in cui è difficile (e forse non ha più senso) definire quale sia la funzione preminente, se il video da cui estrapolare i frame migliori o le istantanee a raffi-ca che si animano sul display in live photo sorpren-denti e cangianti… E ancora webcam governate dall’intelligenza artificiale, telefoni con doppia fo-tocamera posteriore di marca, lettori sottili come lenti a contatto. Vedere per credere.
di Paolo Crespi
Realtà virtuale, immagini a 360 gradi, smartphone costruiti intorno a un (duplice) obiettivo fotografico, ebook reader quasi immateriali, webcam di sicurezza con riconoscimento facciale. E i social dietro l’angolo
IL MONDO DA UN OBLÒ
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TecnovistaAlcuni device di nuova generazione nati per deliziare la nostra vista
Kindle - Oasis
Talmente sottile e leggero da scomparire quasi tra le mani
e lasciarci immergere completamente nel mondo immaginato
dall’autore per mesi: l’ottava generazione del lettore Amazon
ha infatti una batteria supplementare nascosta nella cornice
www.amazon.it
Samsung - Gear 360
Compatibile con Galaxy S6 e S7, la nuova videocamera è dotata di due lenti
fisheye contrapposte, che abbracciano ciascuna un angolo di 180°. Scopo: girare
video a 360 gradi, perfettamente navigabili
www.samsung.it
Huawei - P9
Il nuovo smartphone cinese, grazie all’accordo con
Leica per l’ingegnerizzazione di una dual-camera,
conferisce profondità e nitidezza alle immagini
www.huawei.com
Netatmo - Welcome
La webcam identifica i volti delle persone che
“vede” all’interno della casa e ne invia i nomi,
mediante notifica, al proprietario: gli permette
così di distinguere i familiari da eventuali intrusi.
Un altro passo avanti nella domotica di sicurezza
www.netatmo.com
HI TECH
Sony - RX100 IV
L’ultima incarnazione della supercompatta
giapponese ha un sensore da 1” con memoria
dedicata per aumentare la velocità di “lettura” e
un mirino da 2,35 milioni di punti. Scatta a oltre 20
megapixel e gira video in 4k restituendoli subito
sullo schermo inclinabile da 3”
www.sony.it
46
«Per me va bene qualsiasi buco, – continuò la signo-rina Bartlett – ma è ben triste che tu debba avere una camera senza vista». Nel celebre romanzo Ca-mera con vista di Edward Morgan Forster, il pano-rama anelato è quello di Firenze baciata dall’Arno e sarà proprio questa veduta a dare il via a tutta la storia. Dominare un paesaggio, poterlo ammirare dall’alto diventa spesso un desiderio irrinunciabile quando viaggiamo e andiamo alla scoperta di un luogo che non conosciamo. Così siamo certi che chiunque non possa avere la sua camera con vista, non potrebbe però mancare l’appuntamento con il belvedere della città, quel punto panoramico che promette di offrire la migliore prospettiva di un luogo. Del resto lo dice con chiarezza la parola stessa: un belvedere offre una bella vista, è ristoro per gli occhi e spesso anche per l’anima. Ci sono punti panoramici così noti da attrarre ogni anno milioni di visitatori, luoghi dove tutti sognano di poter passare almeno una volta nella vita. Fra i più celebri al mondo sicuramente quello offerto dal monte Corcovado, a Rio de Janeiro, dal quale il
famoso Cristo Redentore veglia sulla città; le gole del Gran Canyon in Arizona, la vista della Gran-de Muraglia Cinese o ancora il panorama di cui si può godere dalla cima del “monte vecchio”, il Machu Pichu, in Perù. Qui sono diversi gli alber-ghi con vista dove potrete scegliere di soggiornare (il Sonestas Posada è ospitato da un antico mo-nastero in stile coloniale), ma se avete tempo e fiato, raggiungete la vetta grazie al cammino inca: dormirete in tenda e per percorrerlo vi occorre-ranno circa quattro giorni accompagnati da una guida, ma la soddisfazione finale vi ripagherà di ogni goccia di sudore. Decisamente faticoso da raggiungere, ma straordi-nario è il panorama che si può ammirare a Pailon del Diablo, in Ecuador, dove una ripidascalinata af-fianca una delle cascate più famose del Sud Ame-rica. Resa scivolosa a causa dell’acqua e spesso immersa nella nebbia, regala una vista mozzafiato e un vero e proprio tuffo nella natura a chi ha il coraggio di percorrerla. Per chi preferisse un itine-rario più comodo, ma altrettanto spettacolare, le
01
di Elisa Zanetti
Alcuni attirano ogni anno milioni di turisti, altri sono sconosciuti ai più e spesso difficili da raggiungere. Dal Brasile ai Paesi Baschi, dall’Austria al deserto di Atacama, un viaggio attraverso i punti panoramici più suggestivi al mondo
CAMERE CON VISTA
OVERSEAS
sul webwww.sonesta.comwww.darazawad.comwww.explora.com
01. La meravigliosa
vista di cui possono
godere gli ospiti
dell’hotel Explora, a
Rapa Nui, l’Isola di
Pasqua in lingua nativa.
Circondata dal Pacifico,
la località ospita le
misteriose statue
dei moai
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cascate del Niagara sono il punto da cerchiare sul-la mappa. Le opzioni sono diverse: dall’alto della Sky Wheel, la ruota panoramica situata sul suolo canadese; dai 236 metri di altezza della Skylon Tower; attraversando il Rainbow Bridge a piedi, in bici o in auto; oppure armati di impermeabile a bordo del Maid of the Mist, il battello che dalla metà dell’Ottocento accompagna i turisti alla sco-perta delle più grandi cascate del mondo.Narra una storia antica il celebre Belvedere dei Palazzi Vaticani progettato da Bramante nel XV secolo. In esso papa Giulio II riunì le sculture dell’originario Museo Vaticano, tra le quali pro-prio l’Apollo e il Torso del Belvedere. A Vienna al Belvedere è dedicato un castello intero: affacciato su meravigliosi giardini e dapprima residenza del principe Eugenio di Savoia, divenne poi sotto Ma-ria Teresa d’Austria una delle prime gallerie d’arte pubbliche al mondo. Invitano alla meditazione e a lasciare perdere il proprio sguardo nell’infinito due isole estremamente diverse fra loro. La pri-ma è nota a tutti come Isola di Pasqua o Rapa Nui, “grande roccia”, in lingua nativa. Circonda-ta dall’Oceano Pacifico ed estremamente isolata, ospita sulle sue rive l’affascinante popolazione di
pietra dei moai, i 638 grandi busti rivolti verso il mare il cui sguardo ancora oggi non è stato possi-bile decifrare. Leggende locali dicono che metta-no in contatto i vivi con i morti, studi recenti so-stengono siano un omaggio ai capi tribù indigeni. La seconda è più piccola e affacciata sull’Oceano Atlantico, si tratta di San Juan de Gaztelugatxe, nei Paesi Baschi. Lontana da tutto, questa minu-scola isola è collegata alla terraferma grazie a una scalinata che con i suoi 231 gradini a picco sul mare si snoda come un serpente di pietra dalla costa spagnola sino all’eremo di San Giovanni Battista, unica costruzione presente. La vista del deserto rappresenta un altro richiamo irresistibile. Se scegliete il Marocco e il Sahara non perdete l’occasione di soggiornare a Dar Azaward la struttura offre stanze dotate di ogni comfort, ma nessuna comodità potrà sostituire l’emozione di sognare circondati dalle dune nelle tende del bivacco degli uomini blu. Più mosso il paesaggio offerto dal deserto di Atacama in Cile, dove avrete la possibilità di ammirare anche le Ande. Scegliete di dormire da Explora, la vostra camera con vista vi offrirà “uno scorcio” in più grazie all’osservato-rio astronomico interno alla struttura.
02 03
OVERSEAS
02. Il sito archeologico
del Machu Pichu, in
Perù.
03. Il deserto di
Atacama, in Cile.
Estremamente arido,
lo scorso novembre
ha visto una fioritura
straordinaria che lo
ha trasformato in una
distesa di malva
48
4848
rizzato a un pubblico adulto e consa-pevole, Re-HasH è dedicato a persone protagoniste delle loro scelte e refratta-rie ai diktat della moda. Per enfatizzare l’unicità dei capi e il loro fit, Re-HasH ha studiato un nuovo “visual concept” per la comunicazione, presente nello showroom e nei negozi rivenditori. Il busto e i piedi del nuovo “focal point” dal design essenziale, realizzati in filo metallico, sagomato e verniciato, sono un omaggio ai manichini in maglia me-tallica regolabile utilizzati nei labora-tori sartoriali nella metà del secolo. Il nuovo elemento espositivo che accom-pagna la nuova collezione interpreta e declina i valori estetici e gli elementi di-stintivi dell’azienda: produzione realiz-zata artigianalmente, cura dei dettagli e lavorazioni e materiali distintivi.
www.rehash.it
si diversifica nella confezione di jeans e pantaloni di qualità sartoriale, distri-buiti in modo selettivo nel canale who-lesale. Realizzati interamente in Val Vibrata, i capi d’abbigliamento proposti sono il risultato dell’impegno, delle conoscen-ze, della passione e dell’entusiasmo di un intero distretto industriale. Il desi-derio di superarsi collezione dopo col-lezione, sia dal punto di vista stilistico sia qualitativo, e la volontà di assicurare vestibilità perfetta, si traducono in pro-dotti esclusivi, curati nei minimi det-tagli, impeccabili nel fit e in grado di soddisfare le preferenze di un pubblico ampio e variegato. Re-HasH, invece, rappresenta il mar-chio di riferimento di F.G. 1936 – che ha tra gli obiettivi l’ampliamento dell’offerta complessiva fino a ricom-prendere top, camicie e accessori. Indi-
Sotto le pendici del Gran Sasso, in Abruzzo, vengono confezionati i capi Re-HasH, marchio di punta di F.G. 1936, azienda fondata negli anni Trenta da Filippo Caucci, nonno degli attuali titolari, Maurizio, Filippo e Ugo. Inizialmente l’impresa fu impegnata nella confezione di capi sartoriali, ma nel secondo Dopoguerra, grazie agli stretti legami con i fornitori di tessuti e con le piccole manifatture a condu-zione familiare, Caucci decise di dedi-carsi all’attività commerciale, iniziando a vendere tessuti. È questo mix di com-petenze che ha permesso di aprire, ne-gli anni Sessanta, un piccolo laboratorio di confezione di pantaloni; ed è bastata, poi, una decina di anni per diventare un punto di riferimento.All’inizio degli anni Duemila, nell’in-tento di differenziare la propria offerta, la famiglia Caucci dà vita a F.G. 1936 e
Forbici, ago e filo. Ma soprattutto esperienza e artigianalità. Sono questi gli ingredienti usati in F.G. 1936 che garantiscono, a ogni collezione, oltre 250 articoli declinati ciascuno in un’ampia variante di colori, vestibilità e finissaggi
La cura del dettaglio
ADVERTORIAL
50
STYLE
È un momento particolare questo per la moda. Grandi maison, aziende e brand di target diversi sono tutti presi dalla spasmodica ricerca di rinno-vamento. C’è chi scommette su direttori creativi inediti e inusuali, chi si affida a designer superstar e chi addirittura coinvolge personaggi dello star system per la creazione di capsule collection. Una strategia non nuovissima, ma che da qualche anno è diventata sempre più frequente, è quella del co-branding, anche perché è l’operazione che sembra produrre i migliori risultati, sia dal punto di vista creativo, sia da quello dell’immagine, con conse-guenti benefici dal lato commerciale. Questo, na-turalmente, quando la partnership tra due marchi è credibile e sensata e dall’incontro di due mondi diversi nasce qualcosa di unico.È quello che è successo con l’inaspettata collabo-razione tra Herno, marchio leader dell’outerwear sportivo di lusso, e Pierre-Louis Mascia, designer visionario che preferisce definirsi “disegnatore”. Il lancio della capsule firmata dall’artista di To-losa, durante l’ultima edizione di Pitti Immagine
Uomo, è stato infatti uno dei piatti forti della ma-nifestazione, con un immediato riscontro positivo da parte degli addetti ai lavori. L’iniziale curio-sità è stata naturalmente suscitata dall’elemento sorpresa causato da quest’incontro di due realtà apparentemente opposte. In realtà, per Herno, si è trattato di un ritorno alle origini, come ha spie-gato Claudio Marenzi, presidente dell’azienda di Lesa (in provincia di Novara): «L’anno scorso ho visto una sciarpa di Pierre-Louis Mascia in un negozio in Giappone e ho avuto un’illuminazio-ne. Negli anni Sessanta e Settanta, i miei genitori utilizzavano i foulard come fodere dei capispalla. L’idea di questa collaborazione in realtà si aggan-cia con il nostro passato. Ovviamente il discorso si è evoluto dal momento in cui, tornato in Italia, ho contattato Pierre-Louis. Insieme, abbiamo studia-to una nuova interpretazione dell’universo Herno, rendendo protagoniste le sue fantasie molto forti, utilizzandole non solo per gli interni ma anche all’esterno». Negli anni Sessanta, del resto, uno dei focus dell’azienda erano proprio i double face.
01
di Giuliano Deidda
Herno unisce le forze con l’illustratore visionario Pierre-Louis Mascia per proporre, per il prossimo autunno inverno, una capsule collection di quindici capi da uomo e altrettanti da donna, nella quale i tessuti performanti e tecnici tipici del marchio incontrano la creatività astratta del designer francese
GLI OPPOSTI SI ATTRAGGONO
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STYLE
01 02. Alcune proposte
della collezione autunno
inverno 2016 Pierre-
Louis Mascia e Herno
Anche per Mascia, l’incontro si è rivelato imme-diatamente stimolante: «Quando mi hanno aperto le porte dell’azienda ho percepito subito una sen-sazione positiva. Mi hanno messo a disposizione i loro mezzi e dato totale libertà, cosa che non succede spesso al giorno d’oggi». Fondamentale per uno come lui, abituato a lavorare per il brand che porta il suo nome in totale libertà artistica, anche se mantenendo una consapevolezza prag-matica. La sua collezione, nata nel 2007, è infatti realizzata in collaborazione con la stamperia seri-ca Achille Pinto di Como. All’inizio era composta solo da una selezione di sciarpe, ma nel tempo si è allargata a maglieria, capispalla, zaini, plaid e cuscini. «Lavoro come un pittore, per me la seta è come un foglio di carta, un mezzo per dar vita alle mie illustrazioni». I suoi pattern sono un mix di ispirazioni e disegni diversi, dai tessuti vintage optical alle pagine strappate di libri, passando per le carte da parati rétro.Il risultato della partnership è una capsule col-lection di quindici capi da uomo e altrettanti da
donna estremamente contemporanei, realizzati in materiali performanti, antivento e antipioggia, utilizzati per creare imbottiti dal fitting deciso, giacche d’ispirazione militare, cappotti reversibili e bomber, decorati dalla creatività di Pierre-Louis Mascia. «Per la collezione maschile ho seleziona-to degli stili che mi piacerebbe indossare, mentre quella femminile, se pur connessa, ha ovviamente un appeal diverso. Ho una predilezione per i capi nei quali le mie fantasie sono all’esterno, perché è stata una scommessa trattare il nylon e gli altri tessuti tecnici come la seta. Per gli interni, inve-ce, è stata utilizzata la seta dell’Achille Pinto». Lo studio dei pattern utilizzati segue percorsi spazio temporali eterogenei e apparentemente distanti, dai patchwork di antichi motivi tartan agli intrec-ci tessili di Louise Bourgeois, dal camouflage alle righe pigiama, passando per influenze dal sapo-re etnico, come gli antichi tappeti intrecciati. Sia Marenzi che Mascia hanno le idee chiare su come definire il nuovo stile nato dalla collaborazione: «uno sharpa metropolitano».
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STYLE
EFFORTLESS SUMMER
di Luigi Bruzzone
a.testoniStringata in vitello scamosciato con suola in cuoio e gomma
berwichPantaloni in cotone stretch lavato e tinto indaco a stampa check
sealupImpermeabile realizzato in 100% lana vergine accoppiata a membrana in poliuretano
Per la primavera estate 2016 di Ermenegildo Zegna Couture, Stefano Pilati abbina l’eccellenza sartoriale all’heritage della lavorazione delle fibre più nobili. Il risultato è una collezione in continuo equilibrio tra eleganza formale e nonchalance
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Mykita
Occhiali da sole con doppio ponte
e lenti polarizzate
www.mykita.com
Dettagli rétro e lenti colorate per i nuovi occhiali da sole dal sapore vintage
Waiting for the sun
L.G.R
Occhiali da sole realizzati a mano
in metallo con lenti piatte in cristallo
www.lgrworld.com
Retrosuperfuture
Occhiali da sole con montatura
in metallo e lenti piatte specchiate
www.retrosuperfuture.com
Komono
Occhiali da sole con montatura
in acciaio inossidabile
www.komono.com
Invu
Occhiali da sole con doppio ponte
in corno, legno e metallo opaco
www.invueyewear.com
Etnia Barcelona
Occhiali da sole con montatura
in acetato con clip
www.etniabarcelona.com
Hackett London
Occhiali da sole in acetato con
doppio ponte in metallo
www.hackett.com
Hapter
Occhiali da sole in acciaio chirurgico
e tessuto del Lanificio F.lli Cerruti
www.hapter.it
Modo VS1
Occhiali da sole della capsule
disegnata da Valerio Sommella
www.modo.com
Tomas Mayer
Occhiali da sole realizzati
artigianalmente in acetato e acciaio
www.tomasmaier.com
Prada Linea Rossa
Occhiali da sole con montatura
in metallo ultra sottile
www.luxottica.com
Sunday Somewhere
Occhiali da sole con lenti piatte
colorate
www.sundaysomewhere.com
STYLE
54
WHEELS
Con l’apertura del nuovo showroom di via Novara salgono a duele nuove sedi in città per AutoRigoldi, concessionaria milanese dei marchi Volkswagen e Škoda. Una storia cominciata più di un secolo fa che continua oggi grazie a Giovanni Rigoldi, Managing Director del gruppo, che ci racconta in questa intervista le tante novità che stanno presentando in questo 2016
della Redazione di Club Milano
GIOVANNI RIGOLDI
LA STORIA CONTINUA
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WHEELS
Quest’anno AutoRigoldi compie 110 anni. Una ricorrenza importante, ce-lebrata in questo mese di maggio con l’apertura di una nuova sede in via Novara 235, la seconda in pochi mesi dopo quella di via Pecchio 10 dedica-ta a Škoda. La sua famiglia è stata senz’altro tra le prime a Milano a en-trare nel settore automobilistico…Sì, sicuramente siamo stati tra i primi, ovviamente in una dimensione diversa da quella attuale. Nel 1906 eravamo agli albori dell’automobile, quello che oggi è un settore era solo una nicchia. La nostra sede allora era in corso Bue-nos Aires, non molto distante da via Pecchio, dove lo scorso febbraio ab-biamo inaugurato il nuovo showroom Škoda, e da via Doria, che è una nostra sede storica dagli anni Settanta.Dai dati degli ultimi mesi sembra che il settore automotive sia in fase di ripresa. Qual è la sua opinione a ri-guardo?Nel mercato dell’auto c’è un’inversio-ne di tendenza rispetto all’anno scorso. C’è una ripresa del privato, che nel cor-so degli ultimi anni aveva perso cinque punti di quota. I primi mesi del 2016 hanno avuto aumenti a doppia cifra, fattore senza dubbio positivo. A Milano la cosa cambia un po’ rispetto agli altri capoluoghi di provincia. I volumi sono inferiori perché c’è stato un aumento della mobilità integrata e il parco circo-lante è diminuito. È una sfida che chi è nel settore dell’automobile, però, cono-
sce bene e deve affrontare. Una parte della sfida passa senz’altro dall’affermazione dell’elettrico…Sì, è un tema fondamentale ed è un ambito in cui il gruppo Volkswagen è abbastanza avanti con questo tipo di motorizzazioni. Nella nostra gamma sono presenti la Golf e la Passat plug-in hybrid e la E-Up alimentata solamente a batterie. A breve, poi, ci sarà anche un modello di Golf totalmente elettri-ca. La sede nuova sarà totalmente com-pliant sull’elettrico e sull’ibrido, per esempio saranno presenti le colonnine di ricarica. Cosa bisognerebbe fare in città per fa-vorire questo tipo di motorizzazioni?Sono ovviamente di parte, ma sono anche un cittadino di Milano e penso che non si possa risolvere il problema mobilità con provvedimenti spot come i blocchi al traffico. Lo sviluppo di un parco circolante meno inquinante pas-sa dall’implementazione di infrastrut-ture, ma anche attraverso un sostegno da parte dello Stato. Lo si è visto con carburanti alternativi come il GPL e il metano, che sono decollati proprio gra-zie a interventi a loro sostegno. In una città come Milano, poi, le vetture elet-triche hanno senso, ma sono necessari provvedimenti che favoriscano questa scelta.Nell’esperienza di acquisto di un’au-to, quanto sono importanti oggi i ser-vizi pre e post vendita? Offrire assistenza al cliente anche dopo
l’acquisto è fondamentale. Anche per questo abbiamo deciso di dotarci di più sedi e offriamo i nostri servizi su entrambi i lati della città. Per i clien-ti della zona est ci sono i nostri spazi di via Doria e via Pecchio, per quelli della zona ovest via Inganni e il neona-to showroom di via Novara, senza di-menticare la nostra struttura logistica di Mazzo di Rho con centro ricambi e carrozzeria.In questi giorni arriva sul mercato la nuova versione della Tiguan, molto diversa rispetto al modello attuale…È realmente un’altra vettura, con mo-torizzazioni diverse e più performanti e con un design che segna un deciso cambio di rotta rispetto ai canoni sti-listici della precedente. Uno dei punti di forza della nuova Tiguan sarà la con-nettività: oltre a un visore da 17”, sarà dotata di tecnologie come Car-Net, che consentono anche all’auto di co-municare con l’assistenza all’occorren-za. Per le nuove generazioni è qualcosa di realmente necessario oggi.Signor Rigoldi, lei ha visto e guidato tante auto. Qual è quella che le è ri-masta nel cuore?Sicuramente il Maggiolino. È stata la prima automobile che ho guidato in autostrada quando ho preso la patente, una versione cabrio 1.6. Adesso c’è il nuovo Maggiolino, che è una vettura molto divertente. Ricorda molto quel-lo “storico”, non solo dal punto di vista estetico.
La nuova Tiguan,
rivista profondamente
nel design, fa il
suo ingresso alla
presentazione ufficiale
del nuovo showroom
AutoRigoldi di via
Novara 235
56
01. La vista da Stresa
sul Golfo Borromeo
del Lago Maggiore
comprende l’Isola
Madre, l’Isola Bella e
l’Isola dei Pescatori.
Foto di Andrea
Lazzarini per Archivio
Distretto Turistico
dei Laghi
A breve distanza dal capoluogo milanese sono sia il Lago di Como, sia quello Maggiore. Chi ama uno, ammetterà difficilmente che l’altro è bello “tanto quanto”: «vuoi mettere Bellagio?», «vuoi mettere le isole Borromeo?». Se non siete di parte, la soluzione ideale è dedicare del tempo a entram-bi per decidere voi stessi. Senza dimenticarsi che attorno a Milano ci sono tanti altri laghi, alcuni piccoli e poco conosciuti, veri gioielli dove tra-scorrere ore in solitudine o in compagnia. Ma pri-ma di iniziare il tour un consiglio: muovetevi in macchina o in moto perché spesso i posti più cari-ni sono difficili da raggiungere e con poco tempo a disposizione affidarsi ai mezzi locali, seppur bello, comporta una perdita di tempo inutile. Partiamo dal Lago di Como. Impostate il naviga-tore (o cercate sulla mappa) per raggiungere il paese di Santa Maria Rezzonico o prendete un battello per Torno e tralasciate pure Cernobbio che per quanto meravigliosa sia, è quasi sempre affollata di turisti a caccia di George Clooney. A Como visitate Villa Erba, dove si tengono mani-
festazioni di vario tipo ma se non ce ne fossero in programma, potete comunque fare due passi nel bellissimo parco; visitate il centro storico della cit-tà costruito su impianto romano, con palazzi me-dioevali e del primo Rinascimento e poi Sant’Ab-bondio, la chiesa più simbolica del Romanico lombardo. Quando sarete stanchi avrete moltissi-me possibilità per mangiare bene. Qualche nome? La trattoria Il glicine o quella di Sant’Anna e, per una vista mozzafiato, potete provare L’Escale Fon-due & Wine Bar con una terrazza panoramica e una proposta a base di fondute e grigliate di carne e pesce, cotte direttamente sulla tavola. Se inve-ce amate le passeggiate, potete andare a piedi alla Baita Riella, a 1.200 metri sotto il Monte Palan-zone, e lì mangiare la polenta. La chicca? Pescallo, un piccolo paese che guarda la sponda di Lecco e che si raggiunge con il battello che sbarca a Bel-lagio più una passeggiata di 15 minuti. È il luogo ideale per chi cerca rifugio dalla folla e c’è un uni-co ristorante. Considerato da sempre il competitor numero 1
01
di Carolina Saporiti
Sfatare i luoghi comuni non è mai facile, tanto meno quando si parla di viaggi e se siete “lacustri”, lo sapete, i vostri amici vi avranno spesso detto «il lago è un posto triste». Ecco alcuni consigli sui laghi intorno a Milano per organizzare gite fuoriporta o fughe davvero invidiabili durante i prossimi weekend
NON È UN LAGO PER VECCHI
WEEKEND
57
02. Con i suoi piccoli
paesi sulle sponde il
Lago di Como è la
meta ideale per brevi
tour e gite fuoriporta.
E quando vi siete
riempiti lo stomaco
potete risalire per
ammirare il lago
dall’alto.
Foto di Gian Luca
Ponti
del Lago di Como è il Maggiore. Chi vive in que-ste zone lo sa: la sponda in provincia di Varese è considerata quella magra, mentre quella piemon-tese quella grassa. Qualunque sia la vostra scelta, il consiglio è di non perdervi un giro sulle isole borromee. Si può prendere il battello da Stresa dove poi la sera ci si può fermare per l’aperitivo. Sull’isola Bella si può visitare l’antico Palazzo Bor-romeo e i suoi giardini, sull’isola Madre si trova il giardino botanico più antico d’Italia e infine c’è l’isola dei Pescatori, la più bella delle tre perché anche la più “rustica”. Se preferite un’atmosfera più rilassata, invece di Stresa, andate ad Arona, meglio fuori stagione o in settimana per evitare la ressa. Suggestiva e imperdibile è la gita all’Eremo di Santa Caterina del Sasso abbarbicato su uno strapiombo di parete rocciosa a picco sul lago. An-che il Lago Maggiore offre intorno a sé molti iti-nerari per fare passeggiate più o meno lunghe. Un buon punto di partenza per il trekking è il Rifugio Campiglio, ma se siete pigri va bene anche come destinazione finale della vostra gita fuoriporta. Il rifugio dispone di alcune camere e di un ristoran-te con vista sul Lago e sulla catena del “gigante” Rosa. Ma uno dei punti più panoramici della zona
è il Mottarone: la sua dolce cima divide il Lago Maggiore dal Lago d’Orta, offrendo panorami e scorci mozzafiato, compreso l’impareggiabile sce-nario dei Sette Laghi (Orta, Maggiore, Mergozzo, Biandronno, Varese, Monate, Comabbio). Tip da insider? In estate quando il Lago Maggiore viene invaso da turisti conviene muoversi verso il picco-lo Lago di Monate, uno specchio d’acqua surgiva. Dopo aver visto questi due laghi, quello di Iseo saprà di nuovo stupirvi con le sue sponde e i colori selvaggi, la scenografia perfetta di una storia d’a-more in stile Cime tempestose versione moderna. Monte Isola è la perla del lago e ha uno charme d’altri tempi, la passeggiata litoranea (circa 9 km) è imperdibile. Se amate l’archeologia dovete dedi-care una mezza giornata per visitare la riserva na-turale delle piramidi di Zone, un paesaggio surre-alista e se siete in grado bisognerebbe concedersi anche la salita al Monte Guglielmo, accompagnati dai fischi delle marmotte. A Brione sopra Gussago si può mangiare alla Trattoria La Madia: la cuci-na è ottima e si gode di una bellissima vista sulla Franciacorta. E in serate particolarmente serene si scorge la Torre dell’Unicredit di Milano. Se pro-prio vi dovesse mancare la città.
02
camminare sull’acquaTra il 18 giugno e il 3 luglio sulLago d’Iseo si potrà passeggiaresull’acqua grazie all’installazione The Floating Piers di Christo e Jeanne-Claude. L’opera segna il ritornodi Christo in Italia dopo 40 anni e col-legherà Sulzano, Montisola e l’isola di San Pietro. Il progetto prevede la realizzazione di una passerella larga 16 metri e lunga 1.30 km, innalzata di 50 centimetri dal livello dell’acqua, ma con lati spioventi che sfiorano il pelo dell’acqua.www.thefloatingpiers.com
WEEKEND
58
01. Dai tetti dell’Opera
House si può ammirare
il fiordo di Oslo e il
porto della città; con
la bella stagione ci si
può anche fermare a
prendere il sole.
Foto di Roberto
Meazza
Ci sono cieli più blu e boschi più verdi, ci sono po-sti dove la natura ha tonalità più brillanti e in una ipotetica battaglia contro l’uomo trionferebbe. Siamo nella capitale norvegese, nel Nord Europa, ma non così a Nord da essere invivibile – nem-meno per noi mediterranei – anche a primavera. A Oslo già da marzo si può godere delle giornate soleggiate per fare una passeggiata lungo la zona dei docks e respirare l’aria pulita e primaverile.È vero, si dice che delle capitali scandinave sia quella meno bella e senz’altro è meno affascinan-te di Copenaghen, ma Oslo vi conquisterà in fret-ta. Qui si respira natura, e quando le temperature iniziano a farsi più miti, le attività da fare all’aria aperta, comprese lunghe colazioni vista fiordi, sono tantissime.Tra i tanti percorsi tematici che si possono sce-gliere per visitare un luogo, noi questa volta sce-gliamo quello dei colori. La vicinanza di Oslo con la natura contribuisce alla creazione di numero-si spazi all’aperto facilmente raggiungibili con i mezzi di trasporto pubblico. Non importa che sia-
te interessati a viaggiare in modo ecosostenibile o meno. Lasciatevi trascinare dall’amore – e soprat-tutto, vedrete, dal rispetto – che i norvegesi hanno per l’ambiente e godetevi in tutta semplicità la vita all’aria aperta. A questo proposito: fate caso a quante automobili elettriche vedrete in città. En-tro il 2019, infatti, Oslo bandirà le auto dal centro storico, diventando la prima capitale in Europa ad attuare un simile provvedimento (insieme alla promessa di dimezzare in cinque anni le emissioni di CO2 rispetto al livello del 1990 e di ridurle del 95% entro il 2030).Insomma qui l’essere ecosostenibili non è una moda, ma un impegno di tutti i cittadini. In un’area precedentemente industriale accanto ad Akerselva sta crescendo da qualche anno uno dei progetti di sviluppo urbano più interessanti della città: Vulkan. Questa zona, che sorge tra i quartieri di St. Hanshaugen e Grünerløkka, com-prende abitazioni, scuole, hotel, ristoranti e centri culturali, i cui consumi energetici sono pari a un terzo di quelli medi. Il mercato locale, ricavato
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di Tullia Carota - foto di VisitOslo
Capitale della Norvegia, Oslo è una metropoli che sorge tra l’Oslofjord e le foreste. Il suo fiordo ospita circa 40 isole da visitare muovendosi in traghetto. Ma anche se rimarrete in città, respirete natura ovunque vi troviate
DI VERDE MI VOGLIO VESTIRE
WEEKEND
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02. L’Ekebergparken
è un parco e museo a
cielo aperto, donato
alla città da un magnate
norvegese.
Foto di Tord Baklund
e Louise Bourgeois/
BONO.
03. In estate il fiordo di
Oslo si riempe di kayak,
ma le attività sportive
che si possono fare in
città sono tante altre.
Foto di Tord Baklund
in una vecchia fabbrica, vende cibo biologico e a km 0. Ma l’attenzione del quartiere si spinge oltre all’ambiente, infatti l’albergo Ps:hotell, nato per favorire l’integrazione nel mondo del lavoro, assume quasi esclusivamente persone che hanno bisogno di un supporto in più. La vastità di cromie continua anche in cucina e gli amanti di quella bio saranno ampiamente soddi-sfatti. Tra bar e ristoranti che servono organic food troverete di tutto: dai bistrot economici fino al premiato ristorante Maaemo, che ha tre stelle Mi-chelin. Questo è stato il primo locale della Nor-vegia a servire solo cibo a base di materie prime biologiche e ingredienti naturali. Il V Bar & Bistro invece è situato all’interno dello Scandic Vulkan (nell’area di cui si è parlato poco sopra), e la sua cucina è aperta da mattina a sera.Anche il numero di hotel ecologici nella capita-le norvegese è in continuo aumento e sono tre le attestazioni attualmente in uso. Per essere certi-ficati, gli hotel devono rispettare alcuni severi criteri che riguardano la gestione di spazzatura, acqua, scarichi, utilizzo dell’energia e, non ulti-mo, la scelta dei fornitori. Se avete tempo libe-ro e un buon paio di scarpe troverete tutto ciò che vi serve a due passi da voi. Le “City Bikes” vi danno la possibilità di girare la città al vostro rit-mo. Ma Oslo vanta, ovviamente, un’ottima rete di trasporti, che vi farà arrivare dove volete, sia che
vogliate raggiungere un bosco, sia una delle isole del fiordo della città. Potete, per esempio, andare all’Ekebergparken che è sia parco sia museo a cie-lo aperto con sculture di Rodin, Dalì e Bourgeois e un’opera di James Turrell che si può ammirare solo la domenica.Affacciandosi sull’Oslofjord, la capitale norvegese è una metropoli in mezzo al verde delle foreste e al blu del mare. Questo fiordo ospita circa 40 isole, su alcune delle quali in estate si può cam-peggiare gratuitamente. Per ammirare la zona portuale di Oslo un punto panoramico è l’Opera House, la sua forma ricorda un iceberg, soprattut-to in inverno quando è ricoperta di neve. In estate, invece, sul tetto inclinato si può prendere il sole e ammirare l’area Bjørvika della città che com-prende il lungomare, ex area industriale che oggi è stata convertita in zona pedonale e destinata a diventare il centro culturale.A proposito di colori, non dimenticatevi che que-sta è la patria di Munch, il pittore de L’Urlo. Il museo a lui dedicato custodisce più della metà delle sue opere, ma scoprirete che altri suoi lavori sono in giro per la città e si possono ammirare gratuitamente. Il modo più semplice per entrare in contatto con un’opera di Munch è una visita al centro commerciale Paleet. Nella piazzetta al pia-no terra trovate il dipinto Karl Johan. Anche fare shopping ha una altro sapore in Norvegia.
WEEKEND
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FOOD
Pistoiese di Pescia, classe 1979, a 13 anni comincia a lavorare con lo zio Attilio al Colono di Larciano: sei metri di spiedo, forno a legna, la domenica 600 coperti. Frequenta la scuola alberghiera. Dopo il diploma si sente confuso e si iscrive a Economia e dà un paio di esami. A Parigi comincia la sua carriera di cuoco, poi passa per Londra, poi dagli Alajmo e per l’Oltrepò delle Robinie. All’hotel Devero conquista le due stelle. Ora è arrivato a Milano
di Roberto Perrone
ENRICO BARTOLINI
Denuncio subito la mia predilezione: adoro Enrico Bartolini, come cuoco ma soprattutto come persona. È ironico, parla a voce bassa con lentezze riflessi-ve. Mai banale, è colto, curioso. A casa perfino le porte sono opere d’arte. La sua cucina di genio e passione ora è a Milano, al Mudec. Posto nuovo, gusto inalterato. Come diceva il mitico Rino Tommasi, i pronostici li sbagliano solo quelli che li fanno: per me Enrico avrà le tre stelle. «Noi toscani non siamo sca-ramantici, però…» Se vuole ritiro...Ma no, va bene così. Da Cavenago a Milano, non un per-corso lunghissimo?Quando sono arrivato a Cavenago ve-nivo dai numeri bassi delle Robinie, nell’Oltrepò. Un posto unico, però ci avrei vissuto. Invece Cavenago mi è parso da subito un luogo in cui non passare la vita. Ma c’era la struttura per riuscire a far funzionare tutto e avere gratificazioni. Iniziavo a vedere la for-ma di quello che facevo, una sensazio-ne entusiasmante. Poi sei mesi fa ho ricevuto la disdetta dall’hotel. Ho velo-cizzato la curiosità di guardare altrove.E lo sguardo abbraccia non solo Mi-lano, ma anche Bergamo con Casual e l’Andana. Tre tipologie diverse di ristorazione, nuove persone. In Toscana ho anche
deve essere anche imprenditore. Sono in equilibrio. Non voglio che dal-la cucina escano piatti con meno sapo-re. Non so se il vero imprenditore si oc-cupa anche di questo, però questo per me è indispensabile. Mi va di sposare un’etica e andare avanti. In questo c’è impresa e attività quindi deve finire in attivo e non in passivo. Se non tornano i conti male, se tornano così così, via. Se volevamo fare i soldi si stava in un settore diverso. Io di ristoratori che fan-no il 10 per cento di utile ne conosco pochi. Nella sua vita a chi deve dire grazie? A tante persone. In questo periodo sono arrabbiato. Continuo a chiedermi se sbaglio qualcosa, ma soffro davanti all’ignoranza di principio. Le persone ignoranti non dovrebbero esserci, c’è Google. Massimiliano Alajmo è la per-sona più profonda che abbia conosciu-to, non ci frequentiamo tanto ma da quando sono uscito da lì non è passato un giorno che non mi abbia rivolto un pensiero.Il piatto di Anton Ego, che suscita emozioni sopite?Pane, burro e acciughe. Ogni tanto qualcosa di orientale. Ho gusti così: tartare di manzo, formaggio, burro e alici, salmone selvaggio, caviale (se c’è). Il burro è sempre il premio. Un burro buono è difficile da trovare.
un’azienda agricola che confina con Podere Forte. La Val d’Orcia me l’ha fatta conoscere Pasquale Forte di cui sono amico. E per rispetto a lui non produco nulla, è talmente bravo. E allora che ci fa con l’azienda? Ho messo l’erba spagna, ci sono gli uli-vi. E poi volevo un bosco mio dove po-ter cacciare i cinghiali. E all’Andana, propaggine di Bellavi-sta in Toscana dove ha preso il posto di Ducasse?Ci saranno Marco Ortolani, già spalla di Gozzoli all’Armani, e Davide Maca-luso. Spiedo, grande griglia, forno a le-gna. Nei miei piatti c’è tanta toscanità, lì bisogna tirarla un po’ più fuori. Menu compatto: pici, ravioli che assomigliano ai bottoni, una zuppa che non è la ri-bollita ma convince ugualmente. E il rapporto con Milano, invece?La prima volta che ho visto a Milano vivevo a Parigi. Sono venuto per andare a cena da Cracco, già stellato. Ho visto una città vecchia di cinquant’anni con i tram, i sampietrini, certi rumori e mi sono detto: «Ho fatto bene ad andare a Parigi». Milano, poi, l’ho vista come la città italiana dove accadono le cose. Le ho girato intorno, l’ho desiderata e ora voglio esplorarla, conoscerla e vor-rei che i milanesi conoscessero la mia cucina. Claudio Sadler dice che oggi il cuoco
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FOOD
Ingredienti: 8 gamberi di Mazzara del Vallo di prima, 80 g di polpa di tamarindo naturale, 15 g di zucchero moscovado, 3 g sale maldon, semola e olio di semi per frittura
Gambero mezzo fritto
Procedimento: mescolare la polpa di tamarindo con lo zucchero e il sale. Stenderla sul silpat (2mm circa) e ab-batterla di temperatura a -18°C. Pre-parare il gambero eliminando la parte superiore del carapace della testa e la parte del carapace del dorso della
coda, in questo modo resteranno solo le zampe, che vanno passate nella se-mola e fritte in olio caldo mantenendo il gambero crudo. Servire sulle “piastri-ne” di tamarindo che in precedenza vanno posizionate sul piatto caldo, fino al decongelamento.
La ricetta dello chefUn piatto vivace che sintetizza una grande tecnica e che si declina in un sapiente equilibrio nella cottura
l’arte e il gusto «Avevo visto due posti più centrali. Non conoscevo il Mudec. Quando sono arrivato sono sceso diretta-mente nel parcheggio. Sono uscito fuori e l’impatto non è stato facile perché mi sono trovato in mezzo al cemento. Poi ho visto dentro, ho girato: il Museo delle Culture, il ristorante, il bistrot, le sale eventi e mi sono detto: questa è una macchina. E siamo in via Tortona. Mi è piaciuto, ho visto degli aspetti che per me andavano sistemati diversamente, ad esempio l’arredo del ristorante, a me piaceva più moderno, più essenziale». Atter-rato a Milano, Enrico Bartolini ha già dato un’impronta al suo locale, sia nella forma, con i mobili di Riva e le luci targate Catellani & Smith, sia nella sostanza, con i suoi piatti d’autore. Enrico Bartolini - Mudecvia Tortona 56 - Milanowww.enricobartolini.net
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Uno degli eventi più riusciti e apprez-zati dal pubblico milanese negli ultimi anni arriva alla sua quinta edizione, sa-pendosi rinnovare e coinvolgendo nuo-ve zone della città. Stiamo ovviamente parlando di Piano Milano City che, con le sue 50 ore di musica suonata in ol-tre 400 concerti è il più grande evento di musica dal vivo (senz’altro in ter-mini quantitativi) della città. Il quar-tier generale della manifestazione sarà sempre la GAM a Palestro, che ospi-terà inoltre uno degli ospiti più attesi, Michael Nyman. Saranno però coin-volti anche alcuni dei nuovi spazi del-la città che hanno debuttato proprio quest’anno come Santeria Social Club (che ospiterà Pianorave), Base (tea-
tro di Pianonight, invece) e il neonato Mare Culturale Urbano. Quest’anno si “sconfina” andando anche a Monza nella splendida Villa Reale, che nei suoi giardini ospiterà un concerto per quat-tro pianoforti dislocati sulla sua scali-nata. Sono veramente tanti i progetti speciali che animeranno il programma, molti di essi sono stati confermati dalle scorse edizioni come i concerti al Mu-seo dei Bambini alla Rotonda della Be-sana o quelli sui tram e sui barconi dei Navigli, senza dimenticare gli house concert e i secret concert. Sul sito della manifestazione sono disponibili tutte le informazioni per potersi prenotare ai vari eventi in programma laddove fosse necessario.
Piano City Milano
Luoghi vari - Milanosal 20 al 22 maggiowww.pianocitymilano.it
Una selezione dei migliori eventi che animeranno la città nei prossimi mesi
Da non perdere...
a cura di Enrico S. Benincasa
FREE TIME
Te.District Seconda edizione per Te.District, questa volta tramite la formula di un open day serale per conoscere tutte le numerose attività creative che hanno sede negli ex capannoni industriali di via Tertulliano 70, a due passi da Porta Romana. Dalle 18.30 del 19 maggio previste mo-stre d’arte, performance artistiche e spettacoli musicali e teatrali realizzati per l’occasione. Spazio Tertulliano - Milano il 19 maggio
Taste of MilanoI migliori ristoranti di Milano si ritrovano tutti assieme per offrire al pubblico gourmet della città i loro migliori piatti in formato “assaggio”. Taste of Milano torna per una nuo-va edizione negli spazi del The Mall in Porta Nuova, con la sua formula collaudata e tanti eventi come showcooking, corsi e degustazioni imperdibili per gli amanti della buona cucina.The Mall - Milano dal 19 al 22 maggiowww.tasteofmilano.it
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FREE TIME
La Galleria Carla Sozzani anche quest’anno offre la possibilità di am-mirare i migliori scatti del World Press Photo, giunto quest’anno alla sua 59esi-ma edizione. Un premio che certamen-te ha bisogno di poche presentazioni, un riconoscimento al lavoro dei mi-gliori fotoreporter del mondo che, tutti gli anni, in forma anonima, presentano i loro migliori scatti a una giuria indi-pendente incaricata di selezionare i vincitori tra le otto categorie presenti (Spot News, General News, Contem-porary Issues, Daily Life, Portraits, Na-ture, Sports, Long-term Projects). Sono state quasi 83mila le foto presentate quest’anno, opera di 5775 fotografi pro-venienti da 128 diversi Paesi. La giuria,
composta da 18 membri e presieduta da Francis Kohn, presidente di France Presse, ha premiato anche due italiani: Francesco Zizola, secondo classificato nella categoria “Contemporary Issues” e Dario Mitideri, terzo posto nella ca-tegoria “Portraits”. Entrambe saranno presenti in questa mostra, oltre ovvia-mente alla vincitrice del “World Press Photo of the Year 2015” scattata dal fo-tografo australiano Warren Richardson. La foto ritrae due profughi siriani, un uomo e un bambino, impegnati a vali-care la frontiera tra Ungheria e Serbia. Un’immagine figlia dei nostri tempi, che dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, l’importanza del fotogiornali-smo e la sua capacità di comunicare.
World Press Photo ‘16
Galleria Carla Sozzani - Milano fino al 5 giugnowww.galleriacarlasozzani.org
La MilanesianaLa 17esima edizione de La Mila-nesiana sarà dedicata al tema della vanità: la rassegna come di consue-to comprenderà tanti eventi di arte, musica, cinema, spettacolo, scienza e letteratura “spalmati” su quasi un mese di programmazione. Si comincia il 23 giugno al Teatro Dal Verme con i saluti del Ministro della Cultura, ma ci saranno “sconfina-menti” anche a Torino e Firenze. Luoghi vari dal 23 giugno al 18 lugliowww.lamilanesiana.eu
Umberto Boccioni: genio e memoriaUltimi mesi per visitare la mostra dedicata al più grande esponente del Futurismo italiano, scompar-so proprio 100 anni fa all’età di 34 anni. Oltre 280 le opere e i documenti raccolti, compresi molti inediti, oltre a un’eccezionale selezione di 60 disegni prove-nienti direttamente dal Castello Sforzesco. Palazzo Reale - Milanofino al 10 lugliowww.palazzorealemilano.it
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Che chiese e cattedrali fossero un po’ le lavagne del passato, attraverso le quali il clero trasmetteva al popolo precetti e insegnamenti, è cosa risaputa. Quel che forse è meno noto è il florilegio di storie non solo sacre, ma anche profane che uno dei più grandi esempi del go-tico ha saputo raccogliere nel corso dei secoli attraverso le sue statue. Instanca-bile aedo di pietra, il Duomo di Milano non ha mai smesso di raccontare a chi lo ha saputo ascoltare storie incredibili, meritandosi una volta in più la defini-zione di “fabbrica del Duomo”. La leg-genda vuole che una notte del 1386 il diavolo apparve in sogno a Gian Gale-azzo Visconti, chiedendogli di costruire una chiesa ricca di immagini demonia-che, altrimenti gli avrebbe rubato l’a-nima. Gian Galeazzo, che al Duomo donò l’usufrutto esclusivo del marmo delle cave di Candoglia, fece così riem-pire le facciate della cattedrale di figure inquietanti. E non solo. Sono 3400 le
statue arruolate per il Duomo, ma il suo esercito è ben più ricco: le sculture compromesse vengono infatti riparate e sostituite da copie e prendono posto in parte al Museo del Duomo, in parte in un deposito segreto alle porte della città: trovarlo non vi sarà facile, entrare ad ammirare la suggestiva schiera silen-te di personaggi ancora meno. Ma tor-niamo alla cattedrale: si arrampicano fra le sue guglie numerosi santi e figure pagane. Si può riconoscere San Giovan-ni Battista, San Marco con il leone, ma anche Maddalena, Davide con la testa di Golia, Adamo ed Eva nuda e persi-no la sirenetta di Andersen. Iniziata nel XIV secolo la costruzione del Duomo fu terminata soltanto nel XIX per vole-re di Napoleone che realizzò la faccia-ta e volle lasciare una sua traccia tra le sculture. Non fu il solo: trovano posto anche Vittorio Emanuele e Mussolini, anche se nel secondo dopoguerra il suo volto venne modificato. Avventurando-
vi sulle terrazze potrete poi scorgere figure di spicco della storia italiana: da Dante a Toscanini, senza dimenticare personaggi più popolari come il pugile Carnera. Una statua è dedicata anche agli unici che possono vantare di ave-re residenza in cattedrale: i piccioni, mentre gli ultimi arrivati sono stati nel 2006 i Beati cardinale Ferrari e Padre Monti e nel 2013 don Gnocchi. Forse vi sembrerà impossibile scorgere tut-ti questi volti, ma non temete, la sor-presa più grande è di semplice indivi-duazione. Se guardate sopra la porta d’ingresso, ai lati del balcone di Santa Maria Nascente, resterete folgorati dal-la solennità delle statue della Giustizia, che porta in mano una tavola, e della Fede, con fiaccola e corona. Philippe Daverio racconta che accadde lo stesso al giovane scultore francese Bartholdi che le sovrappose per dare vita alla sua opera più famosa e figlia di Milano: la Statua della Libertà di New York.
La Madonnina è sicuramente la più celebre, ma altre 3400 statue le fanno compagnia: personaggi illustri, santi e peccatori spiccano fra le guglie del Duomo testimoniando la vita religiosa e civile della città. Le storie che raccontano affondano le loro radici nel tempo e vanno ancora più lontano. Fino in America.
L’aedo di pietra
di Elisa Zanetti - foto di Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano
SECRET MILANO
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night & restaurant: Al fresco Via Savona 50 Angolomilano Via Boltraffio18 Antica Trattoria della Pesa V.le Pasubio 10 Bar Magenta Largo D’Ancona Beda House Via Murat 2 Bento Bar C.so Garibaldi 104 Bhangra Bar C.so Sempione 1 Blanco Via Morgagni 2 Blue Note Via Borsieri 37 Caffè della Pusterla Via De Amicis 24 Café Gorille Via De Castillia 20 Caffè Savona Via Montevideo 4 Cape Town Via Vigevano 3 Capo Verde Via Leoncavallo 16 Cheese Via Celestino IV 11 Chocolat Via Boccaccio 9 Circle Via Stendhal 36 Colonial Cafè C.so Magenta 85 Combines XL Via Montevideo 9 Cubo Lungo Via San Galdino 5 Dada Cafè / Superstudio Più Via Tortona 27 Deseo C.so Sempione 2 Design Library Via Savona 11 Elettrauto Cadore Via Cadore ang. Pinaroli 3 El Galo Negro Via Taverna Executive Lounge Via Di Tocqueville 3 Exploit Via Pioppette 3 Fashion Cafè Via San Marco 1 FoodArt Via Vigevano 34 Fusco Via Solferino 48 G Lounge Via Larga 8 Giamaica Via Brera 32 God Save The Food Via Tortona 34 Goganga Via Cadolini 39 Grand’Italia Via Palermo 5 HB Bistrot Hangar Bicocca Via Chiese 2 Il Coriandolo Via dell’Orso 1 Innvilllà Via Pegaso 11 Jazz Cafè C.so Sempione 4 Kamarina Via Pier Capponi 1 Kisho Via Morosini 12 Kohinoor Via Decembrio 26 Kyoto Via Bixio 29 La Fabbrica V.le Pasubio 2 La rosa nera Via Solferino 12 La Tradizionale Via Bergognone 16 Le Biciclette Via Torti 1 Le Coquetel Via Vetere 14 Le jardin au bord du lac Via Circonvallazione 51 (Idroscalo) Leopardi 13 Via Leopardi 13 Les Gitanes Bistrot Via Tortona 15 Lifegate Cafè Via della Commenda 43 Living P.zza Sempione 2 Luca e Andrea Alzaia Naviglio Grande 34 MAG Cafè Ripa Porta Ticinese 43 Mandarin 2 Via Garofano 22 Milano Via Procaccini 37 Mono Via Lecco 6 My Sushi Via Casati 1 - V.le Certosa 63 N’ombra de Vin Via San Marco 2 Noon Via Boccaccio 4 Noy Via Soresina 4 O’ Fuoco Via Palermo 11 Origami Via Rosales 4 Ozium t7 café - via Tortona 7 Palo Alto Café C.so di Porta Romana 106 Panino Giusto P.zza Beccaria 4 - P.zza 24 Maggio Parco Via Spallanzani - C.so Magenta 14 Patchouli Cafè C.so Lodi 51 Posteria de Amicis Via De Amicis 33 Qor Via Elba 30 Radetzky C.so Garibaldi 105 Ratanà Via De Castillia 28 Refeel Via Sabotino 20 Rigolo Via Solferino 11 Marghera Via Marghera 37 Rita Via Fumagalli 1 Roialto Via Piero della Francesca 55 Serendepity C.so di Porta Ticinese 100 Seven C.so Colombo 11 - V.le Montenero 29 - Via Bertelli 4 Smeraldino P.zza XXV Aprile 1 Smooth Via Buonarroti 15 Superstudio Café Via Forcella 13 Stendhal Via Ancona 1 Tasca C.so Porta Ticinese 14 That’s Wine P.zza Velasca 5 Timè Via S.Marco 5 Tortona 36 Via Tortona 36 Trattoria Toscana C.so di Porta Ticinese 58 Union Club Via Moretto da Brescia 36 Van Gogh Cafè Via Bertani 2 Volo Via Torricelli 16 Zerodue_Restaurant C.so di Porta Ticinese 6 3Jolie Via Induno 1
stores: Ago Via San Pietro All’Orto 17 Al.ive Via Burlamacchi 11 Ana Pires Via Solferino 46 Antonia Via Pontevetero 1 ang. Via Cusani Bagatt P.zza San Marco 1 Banner Via Sant’Andrea 8/a Biffi C.so Genova 6 Brand Largo Zandonai 3 Brian&Barry via Durini 28 Brooksfield C.so Venezia 1 Buscemi Dischi C.so Magenta 31 Centro Porsche Milano Nord Via Stephenson 53 Centro Porsche Milano Est Via Rubattino 94 C.P. Company
C.so Venezia Calligaris Via Tivoli ang. Foro Buonaparte Dantone C.so Matteotti 20 Eleven Store Via Tocqueville 11 Fgf store Piazza xxv Aprile1 Germano Zama Via Solferino 1 Gioielleria Verga Via Mazzini 1 Joost Via Cesare Correnti 12 Jump Via Sciesa 2/a Kartell Via Turati ang. Via Porta 1 La tenda 3 Piazza San Marco 1 Le Moustache Via Amadeo 24 Le Vintage Via Garigliano 4 Libreria Hoepli Via Hoepli 5 MCS Marlboro Classics C.so Venezia 2 - Via Torino 21 - C.so Vercelli 25 Moroso Via Pontaccio 8/10 Native Alzaia Naviglio Grande 36 Open viale Monte Nero 6 Paul Smith Via Manzoni 30 Pepe Jeans C.so Europa 18 Pinko Via Torino 47 Rubertelli Via Vincenzo Monti 56 The Store Via Solferino 11 Valcucine (Bookshop) C.so Garibaldi 99
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beauty & fitness: Accademia del Bell’Essere Via Mecenate 76/24 Adorè C.so XXII Marzo 48 Caroli Health Club Via Senato 11 Centro Sportivo San Carlo Via Zenale 6 Damasco Via Tortona 19 Palestre Downtown P.za Diaz 6 - P.za Cavour 2 Fitness First V.le Cassala 22 - V.le Certosa 21/a - Foro Bonaparte 71 - Via S.Paolo 7 Get Fit Via Lambrate 20 - Via Piranesi 9 - V.le Stelvio 65 - Via Piacenza 4 - Via Ravizza 4 - Via Meda 52 - Via Vico 38 - Via Cenisio 10 Greenline Via Procaccini 36/38 Gym Plus Via Friuli 10 Intrecci Via Larga 2 Le Garcons de la rue Via Lagrange 1 Le terme in città Via Vigevano 3 Orea Malià Via Castaldi 42 - Via Marghera 18 Romans Club Corso Sempione 30 Spy Hair Via Palermo 1 Tennis Club Milano Alberto Bonacossa Via Giuseppe Arimondi 15 Terme Milano P.zza Medaglie d’Oro 2, ang. Via Filippetti Tony&Guy Gall. Passerella 1
art & entertainment: PAC (Padiglione Arte Contemporanea) Via Palestro 14 Pack Foro Bonaparte 60 Palazzo Reale P.zza Duomo Teatro Carcano C.so di Porta Romana 63 Teatro Derby Via Pietro Mascagni 8 Teatro Libero Via Savona 10 Teatro Litta C.so Magenta 24 Teatro Smeraldo P.zza XXV Aprile 10 Teatro Strehler Largo Greppi 1 Triennale V.le Alemagna 6 Triennale Bovisa Via Lambruschini 31
hotel: Admiral Via Domodossola 16 Astoria V.le Murillo 9 Boscolo C.so Matteotti 4 Bronzino House Via Bronzino 20 Bulgari Via Fratelli Gabba 7/a Domenichino Via Domenichino 41 Four Season Via Gesù 8 Galileo C.so Europa 9 Nhow Via Tortona 35 Park Hyatt (Park Restaurant) Via T. Grossi 1 Residence Romana C.so P.ta Romana 64 Sheraton Diana Majestic V.le Piave 42
inoltre: Bagni Vecchi e Bagni Nuovi di Bormio (SO) Terme di Pre-Saint-Didier (AO)
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redazione
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Elisa Zanetti
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Gian Luca Ponti, Scenari srl,
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