magzine 01
DESCRIPTION
mag | zine - La free-press della Scuola di giornalismo dell'Università CattolicaTRANSCRIPT
019novembre
22novembre2009
Quindicinale di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica
www.magzine.it
Sovraffollamento, mancanza di personale specializzato, condizioni igieniche scarse.
Il sistema penitenziario italiano è al collasso. E i casi di suicidio continuano a crescere
Sovraffollamento, mancanza di personale specializzato, condizioni igieniche scarse.
Il sistema penitenziario italiano è al collasso. E i casi di suicidio continuano a crescere
Malat idi C a rc e re
Malat idi C a rc e re
»» Obama, le elezioniin un documentari o
»» Narcotraffico,le nuove rotte della coca
»» Fa b rizio Gatti,g i o rnalismo sotto copert u r a
»» Libertà di stampa,a bbasso la satira
»» Urbanske t c h e r. c o m ,appunti di viaggio d’art i s t a
»» Obama, le elezioniin un documentari o
»» Narcotraffico,le nuove rotte della coca
»» Fa b rizio Gatti,g i o rnalismo sotto copert u r a
»» Libertà di stampa,a bbasso la satira
»» Urbanske t c h e r. c o m ,appunti di viaggio d’art i s t a
magzine
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 20092
inchiesta
di Roberto Dupplicato
Nelle carc e ri italiane mancano 18 mila posti letto.S c o n t a re la pena in uno spazio igienicamente a ri s c h i oalimenta il disagio psicologico e aumenta le possibilitàdi trasmissione delle infezioni.U n ’ e m e rgenza italiana
O P O E S S E R E S T A T A A R R E S T A T A, ogni persona ha
diritto ad avvisare qualcuno e all’assistenza
legale. In carcere chi entra è registrato, fotogra-
fato e perquisito. Non si possono portare soldi,
che vanno depositati su un libretto intestato a
proprio nome con un tetto massimo di 520
euro al mese. Vanno lasciati fuori anche orolo-
gi, oggetti di valore e apparecchiature elettroniche, telefoni cellula-
ri compresi. Il detenuto può tenere solo la fede. Ai
reclusi viene fornita la biancheria per il letto, una
coperta, una saponetta, carta igienica, due piatti,
un bicchiere e le posate. È possibile acquistare
materiale al mercato interno, ad esempio il denti-
fricio, utilizzando i propri soldi. Al momento del-
l’ingresso in carcere tutti i farmaci in possesso del dete-
nuto vengono sequestrati; è quindi importante dichiarare
subito i problemi di salute o l’eventuale sieropositività, per ricevere
tempestivamente le cure o gli alimenti adeguati. Il primo incontro
con i familiari è fissato entro cinque giorni dalla convalida dell’arre-
sto previa autorizzazione del magistrato: ogni detenuto ha diritto a
sei colloqui al mese ma può chiedere carta e penna per scrivere
tutte le lettere che vuole, senza temere la censura su quello che rice-
ve o invia.
I detenuti italiani sono circa 65 mila, 20 mila in più rispetto ai
43 mila posti disponibili. Monica Pardo Cases è reclusa al car-
cere di San Vittore a Milano, è spagnola ma scrive in italiano la sua
testimonianza: «Una banale infezione o un raffreddore in carcere
possono metterci in difficoltà. Per due mesi ho dovuto combattere
per poter spostare un letto che, attaccato al muro, si bagnava
durante i giorni di pioggia perché la parete si inumidiva. La dispo-
sizione degli oggetti nelle celle è decisa dall’alto e a noi è vietato spo-
starli senza autorizzazione». Gli spazi piccoli richiedono un rispet-
to totale dell’igiene, una virtù rara quando in ogni cella si vive in sei
o sette persone. «La prevenzione in carcere - scrive un’altra detenu-
ta di San Vittore - è impraticabile, la nostra salute è minacciata con-
tinuamente. Il bagno coincide con la cucina e il tavolo è a circa un
metro dalla turca». Le condizioni di vita. È questo il problema cen-
trale della privazione della libertà. Il luogo
di detenzione prova a descriverlo Monica
Pardo Cases: «C’è un’umidità incredibile,
mura scrostate e poca luce, sembra un
cimitero nel quale buttano i fantasmi».
Passare trent’anni, due mesi o una
vita in galera per saldare il debito verso la
società è ritenuto dai reclusi una pena
ingiusta e insopportabile. Il disagio dei
primi giorni è fortissimo.
«I casi di autolesioni-
smo o i primi segni di istinti suicidi - racconta
nell’anonimato uno psichiatra che lavora in un
penitenziario lombardo - sono molto più fre-
quenti durante i primi giorni di detenzione.
Spesso non basta avere forza mentale. Per il dete-
nuto è traumatizzante vedere andare via i parenti dopo una visita».
Ogni due giorni muore un detenuto. Il 2009 è l’anno nero dei sui-
cidi: a novembre sono stati registrati 61 casi, a cui se ne aggiungo-
no dieci quotidiani di autolesionismo.
Per scoraggiare le tendenze suicide - spiega L u i g i
P a g a n o, provveditore per le carceri lombarde ed ex
direttore del carcere di San Vittore - si muove il proget-
to Dars (Detenuti a rischio suicidale), finanziato dalla
Regione e attivo dal 2004 negli istituti penitenziari di San Vittore,
Opera, Pavia, Monza, Como, Busto Arsizio e Bergamo». «Il carce-
re - spiega C o s t a n z a, detenuta al San Vittore - è un luogo così ser-
rato e blindato che è difficile evaderne anche solo col pensiero. Il
tempo è dilatato, infinito, sembra quasi non avere unità di misu-
ra. Per capire cosa voglia dire bisognerebbe provare a vivere in una
stanza per ventidue ore al giorno e uscire per due ore. Si comincia
a sentire un sottile malessere che attraversa il corpo, rende più
faticoso camminare, leggere, respirare e pensare. Il carcere è come
tale una malattia».
In Italia ci sono sei Ospedali psichiatrici giudiziari situati ad
Aversa, Napoli, Castiglione della Stiviere, Reggio Emilia,
D
A m m a l at id i e t ro les b a rre
Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto. La
Commissione interministeriale Giustizia-Salute, istituita nel 2002
per studiare il riordino della medicina penitenziaria, ha avuto
come ulteriore compito quello di proporre possibili modelli inno-
vativi per la cura nei confronti di soggetti affetti da patologie psi-
chiatriche. I detenuti degli Opg sono soggetti psicotici che hanno
commesso gravi reati verso altre persone con una spiccata ten-
denza alla recidività.
Il disturbo schizofrenico paranoide è la diagnosi
più frequente, tranne ad Aversa, dove prevale al 50% il
disturbo schizo-affettivo. Molto alto è anche il numero
di coloro che soffrono di disturbi della personalità
(paranoide, antisociale, borderline). La Commissione
interministeriale ha però evidenziato la carenza di per-
sonale specializzato e l’inadeguatezza di alcune strutture: sono
edifici vecchi, con un’identità indefinita a metà strada tra l’ospe-
dale e il carcere.
Sotto il profilo psicologico e dal punto di vista igienico, la vita
quotidiana in un carcere italiano è sempre più difficile non solo per
i detenuti, ma anche per chi nei penitenziari
lavora o va a trovare i reclusi. «I problemi di
convivenza - spiega Francesco Ceraudo,
presidente dell’Associazione dei medici
penitenziari e direttore per la Toscana del
Dipartimento per la salute in carcere - accre-
scono il disagio psicologico e le possibilità di
ammalarsi di malattie come la tubercolosi
africana». Solo il 20% dei detenuti è sano, il
21% vive in condizioni di tossicodipendenza,
il 15% soffre di depressione e di altri disturbi
psicologici, mentre più di mille detenuti
hanno contratto il virus dell’Hiv.«Le condi-
zioni igieniche e sanitarie - spiega il senatore
Filippo Berselli, presidente della Seconda
Commissione Giustizia del Senato - sono
disumane e inaccettabili».
Nel nostro paese i detenuti
hanno la possibilità di tenersi
impegnati con diverse attività.
Tra queste c’è anche la creazio-
ne di riviste: ad oggi se ne contano circa 90, a fronte di 205 istituti
penitenziari. Organi informativi di varia natura nati all’interno dei
penitenziari o sostenuti da associazioni di volontariato che hanno
aiutato la circolazione della cultura tra i detenuti. Nell’istituto peni-
tenziario di Bollate nel 2005 è nato C a r t e B o l l a t e, periodico registra-
to al Tribunale di Milano che tratta anche temi importanti di intro-
spezione sulla vita dei detenuti. Ci sono articoli di commento o di
analisi sulle leggi che regolamentano la vita dentro i peni-
tenziari o evidenziano quei temi che restano quasi sempre
fuori dal circuito mediatico. Nel carcere di Padova c’è
Ristretti Orizzonti, rivista il cui nome indica i detenuti e che
cerca di interpretare i fenomeni della vita carceraria anche
attraverso il commento di persone che svolgono ruoli
medici o istituzionali. A Milano c’è il Due, net magazine del
carcere di San Vittore, che deve il proprio nome al numero civico 2
di piazza Filangieri, dove i detenuti venivano rilasciati e riacquista-
vano la libertà.
Sul sito (w w w . i l d u e . i t), graficamente ben curato, sono presen-
ti focus e storie, oltre ad una ricca serie di link che collega ad altri siti
di associazioni, onlus e gruppi di volontariato. A Roma c’è
Papillonrebibbia che tratta i temi dalle carceri con un occhio di
riguardo alla situazione dei penitenziari capitolini, dando spazio alle
ultime notizie che riguardano le carceri di tutto il mondo. La concen-
trazione di tutte queste riviste è polarizzata tra Emilia, Toscana e
Lombardia. In tre sole regioni d’Italia c’è quasi il 50 per cento degli
organi informativi interni ai penitenziari.
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 3
Tavoli a un metro dalla turcae 20 mila detenuti in esubero. Un morto ogni due giorni,dall’inizio dell’anno 61 suicidi
Per sap e rne di piùPietro Anastasia e Patrizio Gonnella
Pat rie ga l e re . Vi a ggio nell’Italia dietro le
s b a rre ( C a ro c c i ) ; Autori vari, M a l ati in car -
c e re . Analisi dello stato della salute delle
p e rsone detenute ( Franco A n g e l i ) ; J e a n -
Louis Senon, La salute mentale in carcere
( C e n t ro Scientifi c o ) .
A V O L O N T À N O N G L I M A N C Ae le sue
parole hanno dato al mondo
una speranza di progresso,
tanto da ricevere il premio
Nobel per la Pace, ma ha anco-
ra molto da imparare. «Obama deve reinven-
tare la ruota e riscoprire il fuoco della politica
estera Usa - spiega John L. Hirsch, ex
ambasciatore Usa in Sierra Leone -. Il presi-
dente - spiega - dovrà riscoprire metodi di
agire tradizionali per trovare la soluzione alla
questione del Medio Oriente e nelle altre aree
di crisi».
Sono tre i punti che Hirsch, consigliere
dell’International peace institute di New York
e docente di Affari pubblici e internazionali alla
Columbia University, indica nel tracciare un
bilancio positivo dei primi nove mesi dell’am-
ministrazione Obama: apertura al dialogo,
approccio immediato alle questioni cruciali,
atteggiamento propositivo per nuove alleanze.
Esempi del nuovo corso sono l’apertura,
per la prima volta dopo trent’anni, di un dialo-
go con l’Iran e l’attivismo in Medio Oriente.
«Obama - spiega Hirsch -, come i predecessori,
appoggia la soluzione dei due Stati in Palestina
e Israele ma, diversamente, riconosce in modo
più chiaro le aspirazioni palestinesi e si dice
contrario ai nuovi insediamenti israeliani».
Anche nei rapporti con la Cina, Hirsch
vede miglioramenti e loda la linea del pragma-
tismo: «È possibile una convergenza di inte-
ressi per neutralizzare le conseguenze della
crisi, riequilibrare il commercio e ridurre l’in-
quinamento atmosferico».
Infine l’Afghanistan e quella che, come
la definisce il diplomatico, è ormai “la
guerra di Obama”. Hirsch non nega le
difficoltà ma spiega: «Ormai non c’è
più un netto confine tra pace e conflitto, ma
transizioni a lungo termine impossibili da giu-
dicare giorno per giorno. In Afghanistan -
conclude - non ci sarà un giorno della vittoria.
Ci saranno, spero, una serie di passaggi che
ridurranno le influenze negative». N o -
nostante il giudizio complessivamente positi-
vo, John L. Hirsch, c h e ha anche ricoperto
incarichi in Somalia, Pakistan, Israele e
Sudafrica, è convinto che non sia il caso di
aspettarsi miracoli dalla politica estera di
Obama: «L’amministrazione - spiega - è
ancora in fase di apprendimento, sta rianno-
dando i fili di antiche questioni per trovare
nuove risposte».
Nei recenti attentati talebani in Pakistan
le vittime sono state quasi trecento. È pos -
sibile che l’epicentro della crisi si stia spo -
stando dall’Afghanistan al Pakistan?
Il segretario di Stato Hillary Clinton a
Islamabad ha cercato di convincere il popolo
pakistano che sconfiggere i talebani è nel loro
interesse. La crisi afghana e quella pakistana
sono distinte ma legate tra loro: la frontiera tra
i due paesi è permeabile, il popolo pashtun è
sparso su entrambi i fronti. In Pakistan però il
governo è democratico e c’è la speranza che
l’esercito combatterà con più forza i talebani.
L’Iran accetta lo schema di accordo sul
nucleare raggiunto dal 5+1 a Vienna,
ma chiede rilevanti modifiche. È un
progresso o un diversivo di Teheran?
Sono i primi contatti dopo molto tempo
tra i Paesi del 5+1 e l’Iran, siamo già un passo
avanti. Se l’Iran accetterà di arricchire il pro-
prio uranio in Russia, le cose miglioreranno. Al
contrario gli Usa chiederanno al Consiglio di
sicurezza Onu nuove sanzioni all’Iran e su que-
sto i migliorati rapporti tra Usa, Russia e Cina
potrebbero favorire una convergenza.
Il presidente palestinese Abu Mazen ha
detto di non volersi ricandidare alle
elezioni di gennaio perché deluso dagli
scarsi sviluppi del processo di pace in
Medio Oriente. Sarà un problema?
Abu Mazen non è l’unico candidato credi-
bile all’interno di Fatah. I palestinesi sono
delusi da Hamas, che a Gaza non ha dato risul-
tati su servizi, economia e sicurezza.
L’economia della West Bank controllata
dall’Autorità Nazionale Palestinese, invece, è
cresciuta e così la qualità della vita. Un contra-
sto che non credo porterà Hamas alla vittoria.
La crisi azzererà i primi sviluppi su Pil,
investimenti e riforme in Africa?
La povertà di molti paesi africani limita il
loro coinvolgimento nella crisi. Sudafrica,
Ghana e Senegal possono proseguire il loro
sviluppo. I problemi veri riguardano aspetti
preesistenti: il malgoverno, l’estrazione illegale
di materie prime e le guerre in Congo, Sudan e
Somalia. Ad ogni modo, Usa e Ue dovranno
contenere le conseguenze della crisi sull’Africa.
L’era di Obama, un anno da presidente
Il presidente Usa premio Nobel per la Pace d eve guard a re al passato e dare risposte nu ove.«Saprà re i nve n t a re la ruota e ri s c o p ri re il fuoco».Un compito diffi c i l e. L’analisi John L. H i rsch
L
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 20094
stati uniti
di Marco Billeci
John L.Hirsch È m e m b ro dell’International Pe a c e
Institute come consigliere per il Pro gra m m a
A f ri c a , docente alla Columbia Unive rsity e
a l l ’ U n ive rsità del Wi s c o n s i n . è Stato amba-
s c i a t o re degli Stati Uniti nella Repubblica di
S i e rra Leone dal 1995 al 1998. Ha pubb l i c a-
t o : S i e rra Leone: diamonds and the stru gg l e
for democra c y e Somalia and Operat i o n
R e s t o re Hope: reflections on peacemaking
and peacekeep i n g.
fired up, ready to go!
Fired up, ready to
g o !». Carico, ma anco-
ra un po’ impacciato,
Obama tenta così di
incitare, o di convincere, le prime
ristrette folle dei suoi sostenitori.
Al termine del suo discorso
l’esperto David Axelrod, suo con-
sulente per la comunicazione, lo
corregge: «Sei stato grande, però
dovresti dire fired up, lasciare alla
gente qualche secondo in più per
ripetere e poi continuare con
ready to go». Retroscena di cam-
pagna elettorale dell’uomo che
diventerà il presidente degli Stati
Uniti: a raccontarli è il documen-
tario By the people: the election
of Barack Obama presentato il 3
novembre dall’emittente Usa
H b o. La produzione racconta la
scalata di Obama da senatore a
presidente, e lo fa da una prospet-
tiva inedita. L’obiettivo della tele-
camera non fissa il grande palco-
scenico, ma si aggira in libertà
nell’inaccessibile dietro le quinte.
E il backstage non è la sola novità
di questo documentario.
L’aspetto straordinario
riguarda l’inizio delle riprese: la
prima telecamera si accende
quando nessuno ancora ha la cer-
tezza che Obama si candiderà per
la presidenza. Lo racconta A m y
R i c e , co-direttrice della produ-
zione: «Era l’estate del 2004
quando ho ricevuto una telefona-
ta di mio fratello Andrew che mi
invitava a guardare questo giova-
ne senatore, Barack Obama, che
stava dando alcune chiavi di indi-
rizzo alla Convention democrati-
ca. Rimasi molto impressionata
da quello che Obama stava dicen-
do nel suo discorso. Era davvero
innovativo ed era come se fosse la
prima volta che un politico parla-
va alla mia generazione».
Così ad Amy Rice viene
l’idea del documentario, e contat-
ta la regista Alicia Sams per aiu-
tarla a realizzarlo. Il progetto
viene presentato alla casa cine-
matografica dell’attore E d w a r d
N o r t o n , C l a s s 5 F i l m s, che lo
approva immediatamente. Le
riprese iniziano l’11 maggio 2006,
nove mesi prima che Obama
annunci la sua corsa per la presi-
denza.
Intervistato durante la tra-
smissione televisiva C o u n t d o w n,
Norton ha affermato: «Volevamo
fare una sorta di diario politico,
eravamo interessati a guardare la
politica attraverso gli occhi di un
nuovo, giovane senatore. Con un
approccio sopra le parti e senza
l’intenzione di celebrare Obama e
il suo staff, il documentario vole-
va registrare l’esperienza a livello
emotivo, cosa significa essere per-
sone che costruiscono un pezzo di
s t o r i a » .
il progetto ha vissuto un
momento critico quando lo
staff elettorale ha iniziato a
lavorare con l’obiettivo
della Casa Bianca e l’entourage di
Obama ha chiesto di sospendere
le riprese: «Abbiamo dovuto con-
vincere Axelrod che noi non era-
vamo i media», ha rivelato
Norton. Presto però la questione
è stata risolta: «Avere iniziato a
lavorare già molti mesi prima ci
ha permesso di definire quello
che stavamo facendo e di costrui-
re un rapporto con lo staff», sot-
tolinea Amy Rice.
Il resto della storia, come
dice Amy, è nel film, che non
poteva avere migliore e impreve-
dibile finale: «Non sono mai stato
il candidato più probabile per
questo incarico - aveva detto
Obama nel suo discorso alla
nazione la notte della vittoria -.
Quando abbiamo cominciato
avevamo pochi soldi e pochi
appoggi». La campagna invece è
diventata possibile ed è stata
costruita «da quei milioni di ame-
ricani che hanno lavorato come
volontari, che hanno coordinato,
e che hanno dimostrato, più di
due secoli dopo, che un governo
del popolo, dal popolo e per il
popolo è ancora possibile. Questa
è la vostra vittoria».
Il documentariodi Amy Ricer i p e r c o r r ela campagnaelettorale delprimo presidentea f r o - a m e r i c a n onella storia degliStati Uniti
B a ra ck by the peopleIl film delle pre s i d e n z i a l i
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 5
di Carlotta Gara n c i n i
L T R A F F I C O D I D R O G H E è un fenomeno
in grande espansione, anche in Italia.
Lo dicono i titoli delle prime pagine
dei giornali nell’ultimo mese:
«Traffico di droga ad Arezzo» (9 otto-
bre, I r i s p r e s s), «Scoperto un chilo di cocaina a
Cosenza» (15 ottobre, Il Sole 24 Ore), «Nuovo
traffico di droga a Roma tra vip e personaggi
dello spettacolo» (4 novembre, La Repubblica) ,
«Scoperto traffico di droga tra
l’Abruzzo e la Campania» (5 novem-
bre, Libera Informazione). Non è
una casualità. E a confermarlo è il
giornalista di R e p u b b l i c a L u c a
R a s t e l l o, esperto di narcotraffico.
Nel suo ultimo libro, Io sono il mercato,
Rastello racconta la storia di un insospettabile
marito borghese, che lascia l’Italia alla volta del
Sudamerica e diventa narcotrafficante.
U n ’ a n a l i s i originale, da un nuovo punto di
osservazione, quello del trafficante, per capire
come l’economia illegale riesca a infiltrarsi in
quella legale e a condizionarla. Rastello analiz-
za le cause dell’espansione del fenomeno, la
situazione italiana e indica quale potrebbe esse-
re un rimedio al problema.
Quando ha iniziato a interessarsi di
n a r c o t r a f f i c o ?
Questo libro è il coronamento di un lavoro
che dura da diversi anni. Diciamo dagli anni
novanta, quando ho cominciato a dirigere il
mensile N a r c o m a f i e. Anche nel mio lavoro da
giornalista mi sono sempre occupato dell’argo-
mento. Oltre a concentrarmi sulla parte dei
consumatori, nel libro ho preferito cercare di
comprendere la parte criminale, anche a livello
mondiale. Come fanno i narcotrafficanti a por-
tarne tante tonnellate in giro per il mondo? Chi
li copre e glielo permette? Come si muovono?
Che relazioni internazionali hanno? Ho scelto
di raccontare la storia di uno di loro, chiarendo
alcune questioni.
Anche in Italia è sempre all’ordine del
giorno la scoperta di narcotraffici
segreti. Qualche giorno fa in Abruzzo,
poi a Roma, ora in Campania. È u n
fenomeno in espansione?
Il narcotraffico è sempre in espansione. È
un fenomeno redditizio, perché produce ric-
chezza immediata, ed è in crescita costante da
troppi anni. Per limitarlo sono state adottate
tecniche largamente fallimentari. Anche se,
come oggi, le droghe naturali sono
in leggero calo di produzione, sono
invece in aumento le droghe sinte-
tiche, diffusissime in tutta Europa.
E anche se diminuisce la produzio-
ne, non calano i consumi, perché le
droghe vengono sempre più tagliate, lavorate,
modificate e quindi sempre vendute.
Gli Stati Uniti hanno deciso di aumen -
tare uomini e basi militari per la lotta al
narcotraffico. In Italia sono attuabili
misure di questo tipo?
In America dall’arrivo di Obama sono
aumentati di molto gli sforzi, anche economi-
ci, di lotta al traffico di droga. Ora però speria-
mo si vedano anche risultati concreti. In Italia
non ci sono nuove misure. Anche perché la
nostra organizzazione militare di lotta al nar-
cotraffico è già piuttosto efficiente. Il punto è
che non serve solo la componente militare.
E allora come si può combattere vera -
mente il narcotraffico?
Il punto è che le droghe, e in particolare
la cocaina, sono la moneta di tutti gli scambi
illeciti al mondo, inclusi i finanziamenti agli
Stati in guerra. Si è però rivelato inutile colpir-
ne la produzione. In realtà lo si è fatto, ma
sporadicamente. E quando lo si è fatto, è tor-
nato utile per ottenere una forma di consenso
immediato, ma mai per risolvere il problema
del narcotraffico alla radice. Bisognerebbe
investire in campo educativo, con politiche
sociali e insegnamenti diretti. Scoraggiando la
domanda si sconfigge il mercato della droga.
Questa sarebbe la soluzione più logica.
Insieme a interventi come l’antiriciclaggio, la
lotta ai paradisi fiscali, più controllo e traspa-
renza sulle operazioni finanziarie nazionali e
i n t e r n a z i o n a l i .
Per sap e rne di piùLuca Rastello, Io sono il mercato ( e d i-
zioni Chiare l e t t e re ) .
Le rotte della cocaina,nuove regole di mercato
G i ra alle feste della capitale, t ra i terre m o t a t id e l l ’ A q u i l a , nelle discoteche di Milano, nei bardella Campania. La cocaina non è solo la droga più consumata, ma la nu ova moneta corre n t e
I
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 20096
narcotraffico
di Enrico Turcato
l‘ultimo capitolo della
lotta alla ‘ndrangheta
milanese si è aperto con
17 arresti e 48 indagati.
In manette sono finiti
numerosi esponenti di famiglie
della criminalità organizzata cala-
brese e due insospettabili
imprenditori della provincia di
Milano, della ditta K r e i a m o d i
Cesano Boscone. È la storia infi-
nita della ‘ndrangheta lombarda,
che dall’hinterland sud controlla
ormai da tre decenni droga e
appalti. «La terza generazione
spuria della ‘ndrangheta milane-
se» l’ha chiamata il procuratore
capo di Milano, Manlio Minale.
«Siamo entrati in una nuova fase,
anche se le ultime generazioni
stanno cercando ancora di capire
come evolversi», spiega P i e r o
C o l a p r i c o , giornalista di L a
R e p u b b l i c a, profondo conoscito-
re del fenomeno e autore del libro
intervista al pentito calabrese
Saverio Morabito, M a n a g e r
Calibro 9.
I capi delle famiglie Papalia
e Barbaro riescono a dirige -
re gli affari da dietro le
sbarre. Chi sono i referenti a
piede libero a capo della
piramide di affari?
Anni fa intervistai Rocco
Papalia, uno dei figli del patriarca
Domenico, ritenuto uno dei capi
dell’organizzazione. Persona affa-
bile, si sforzava di dirmi che non
era il boss, a differenza di quello
che dicevano gli altri. Il suo è
l’esempio perfetto per spiegare
che la ‘ndrangheta non è tutta
uguale. In quella aspromontana i
legami familiari sono di estrema
importanza. Fai parte di
un’aristocrazia, e non hai
scelta: operi nell’associa-
zione, volente o nolen-
te. Figli, nipoti e
parenti di sangue
“devono” condurre
un certo tipo di vita
per rispetto nei confronti dei
nonni, degli zii.
Non dico che siano schiavi,
perché è chiaro che ogni affiliato
cerca di mimetizzarsi, ma questa
è tutta un’altra generazione. I
primissimi, i nonni, facevano i
classici lavori della malavita; poi
negli anni Settanta, i padri hanno
acquisito preminenza e potere
nei confronti delle altre malavite,
grazie ai sequestri in serie. E
negli anni Ottanta hanno bene
investito soldi e posizione nel
mercato dell’eroina. Adesso ci
sono i sessantenni che hanno da
amministrare i patrimoni, e i gio-
vani che dovrebbero occupare il
ruolo operativo. Ma, da un lato,
gli manca il “supporto tecnico”,
perché i parenti sono in galera;
dall’altro, si trovano spiazzati,
perché magari hanno fatto l’uni-
versità, sono entrati in contatto
con l’altro mondo, quindi non
sono propriamente parte del-
l’universo criminale. La
terza generazione è
particolarmente com-
b a t t u t a .
La magistratura riesce a
mettere a segno questi colpi
proprio grazie all’incapaci -
tà della nuova generazione
di gestire la fase operativa?
La capacità investigativa
della procura di Milano è la
migliore in Italia, ma proprio per-
ché i nuovi non sono né carne né
pesce, hanno perso l’abitudine
rispetto ai padri di controllare i
movimenti o di stare attenti ai
t e l e f o n i n i .
Eppure, se il potere di sbar -
ramento della Procura di
Milano è così imponente,
come mai la ‘ndrangheta
non ha pensato di “liberar -
si” del problema puntando
il mirino sui magistrati in
prima linea?
Sarebbe materialmente faci-
le, ma politicamente arduo, per-
ché la reazione dello Stato sareb-
be mostruosa. Inoltre a Milano
questo tipo di operazioni sono
condotte da un pool di quattro
magistrati ed è difficile isolarne
uno. Alla fine degli anni Ottanta,
le ‘ndrine portarono un lancia-
missile a Milano per usarlo in un
attentato: fortunatamente fu
intercettato dalle forze dell’ordi-
ne. Dopo le grandi stragi di
mafia, l’idea è di non smuovere
troppo l’attenzione e ottenere i
benefici attraverso altri canali.
Inoltre, il metodo di lavoro della
Procura di Milano, basato sulla
condivisione degli elementi d’in-
chiesta tra i magistrati, è una
polizza d’assicurazione sulla vita.
Se anche uno fosse colpito, gli
altri sarebbero capaci di conclu-
dere un’indagine rimasta in
s o s p e s o
Io piuttosto rivolgerei l’at-
tenzione altrove. Il sogno di que-
sta nuova generazione è la politi-
ca, magari all’inizio fiancheggian-
do qualche prestanome, poi
facendosi largo da soli. O in alter-
nativa, essere parte dell’impren-
ditoria che tratta i grandi appalti
con lo Stato.
Ricorda il film “Il Padrino”,
quando don Vito Corleone
(Marlon Brando) si ramma -
rica vedendo il figlio
Michael (Al Pacino) a capo
della famiglia, perché per
lui aveva sognato un futuro
al Senato.Vero, anche se in Italia i
mafiosi in Parlamento ce liabbiamo dagli anni ‘30. O perlo-meno, tracce di mafia.
Per sap e rne di più P i e r o C o l a p r i c o e L u c a
F a z z o,Manager calibro 9
( G a r z a n t i ) ;Davide Carlucci e
Giuseppe Caruso,La ‘ n d ra n g h e t a
comanda a Milano ( Ponte alle
G ra z i e ) ;Mario Portanova,
Giampiero Rossi e Franco
S t e f a n o n i,Mafia a Milano,E d i t o ri
ri u n i t i ;Nicola Gratteri e Antonio
N i c a s o,Fratelli di sangue,
M o n d a d o ri .
La ve c chia ’ndra n g h e t asi riprende Milano
mafie
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 7
di Ta n c redi Pa l m e r i
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 20098
giornalismo
di Daniele Monaco
A B R I Z I O GA T T I è
uno di quei gior-
nalisti che dopo
aver perso una
telefonata, appe-
na può, richiama
il numero che ha trovato sul
display del telefonino, si trovasse
anche nel deserto del Sahara, alla
ricerca dei camion carichi di
immigrati irregolari, in un paese
dove i giornalisti sono perseguita-
ti e torturati.
Maestro dell’inside journa -
l i s m, Gatti si è travestito da immi-
grato, da bracciante, da addetto
alle pulizie e ha raccontato le veri-
tà nascoste e le vergogne dello
sfruttamento degli immigrati e
dell’inefficienza nell’amministra-
zione pubblica. Celebri sono le
inchieste per L ’ e s p r e s s o a
Lampedusa, nelle campagne di
Puglia, al Policilinico di Roma e
nella metro a Milano. In prima
linea anche nel terremoto
d’Abruzzo, è tornato in Africa per
il reportage L’amico Isaias, sugli
immigrati d’Eritrea.
Fabrizio Gatti, qual è lo
scoop a cui sei più affeziona -
t o ?
Il lavoro che più mi ha segnato è
stato il mese e mezzo di viaggio
sui camion attraverso il deserto
del Sahara con i clandestini verso
la Libia. Dopo un’esperienza del
genere non sei più quello di
prima. Tuttavia metto in discus-
sione il concetto di “scoop”.
Arrivare per primi è meglio, ma lo
scoop non è il fine, altrimenti il
compito del giornalista - che è pre-
visto anche dalla Costituzione - si
riduce a gol fatti e subiti. Lo scoop
a cui penso è sempre il prossimo,
quelli già fatti sono vecchi.
Cosa intendi per “il prossi -
mo scoop”?
Non sono affezionato al lavoro
che ho già fatto: fa parte del passa-
to. Chiuso un lavoro bisogna ini-
ziare a programmare il successi-
vo. In questo senso lo scoop
migliore è sempre il prossimo,
quello che ancora non è stato fatto
e su cui bisogna lavorare.
Ma sicuramente ti ricordi il
primo che hai fatto.
È del novembre ’88, collaboravo
per Il Giornale di Montanelli
dalla provincia di Mi-
lano. Un brutto
fatto di razzi-
smo, ai danni
di un nigeriano
insultato dal pa-
drone di casa che voleva
far sfondare la porta di ingres-
so dell’appartamento. All’in-
terno la moglie del nigeriano
stava morendo asfissiata per
il monossido di carbonio. Non
l’hanno potuta salvare.
Come sei arrivato su questa
n o t i z i a ?
Con un giro telefonico di nera.
L’avevamo noi de i l G i o r n a l e e il
C o r r i e r e. Ma Il Giornale
lo mise in prima pagina,
il C o r r i e r e no. Alla fine
sembrò che la notizia
fosse solo del G i o r n a l e e
giornali e tv si misero al
seguito per questa sto-
ria. Ai funerali di questa
ragazza, che aveva
meno di trenta anni,
parteciparono centinaia
di persone. Ecco, trovo
riduttivo definire tutto
questo come “scoop”,
perché spesso sono sto-
rie vissute sulla pelle della gente.
Quindi che parola useresti
al posto di scoop?
“Articolo”. Una volta che ci hai
messo il punto è un articolo come
un altro.
Dopo la pubblicazione di
questa esclusiva è cambiato
qualcosa nel tuo lavoro?
Sì, perché da ragazzo di provin-
cia cominciai ad avere turni di
sostituzione in redazione. Avevo
circa vent’anni e Giuliano
Molossi, capocronaca di
allora, mi chiese: «Vuoi
passare la tua vita a fare
il corrispondente di pro-
vincia o vuoi anche comin-
ciare a venire in redazione?».
Puoi immaginare la mia risposta.
Cosa deve avere un’inchie -
sta per colpire l’opinione
p u b b l i c a ?
Deve approfondire un argomento
che nessuno ha mai approfondito
e magari smentire una versione
ufficiale viziata da propaganda o
censura. Solo così il giornalismo
contribuisce alla libertà dei cittadi-
ni e far vedere loro come stanno
veramente le cose. Il bravo giorna-
lista si mette in gioco e racconta
dall’interno una realtà, spiegando-
la meglio di altri. Non si tratta solo
di avere per primi la notizia, ma
anche di saperla raccontare. Ad
esempio, il mio articolo comparso
a fine marzo sulla rotta dei
migranti in Sahara smentiva la
versione ufficiale degli accordi
Italia-Libia sull’immigrazione.
Quanto è d’aiuto la tecnolo -
gia a un giornalista?
Il giornalista è un comune cittadi-
no, per questo scende in strada. I
giornalisti che pensano di portare
la realtà dentro uno studio televi-
sivo rappresentano una distorsio-
F
Gat tid e n t ro i fat t i
R a c c o n t a re la re a l t à .È il compito del giorn a l i s t a ,ma non sempre è possibile farlo a viso scopert o.Alcune inchieste riescono solo sotto copert u ra .Ma ci sono precise regole e tecniche da ri s p e t t a re
ne. Per il C o r r i e r e mi sono
mischiato fra i tossici andando a
comprare la droga. Senza questo
metodo conosceremmo solo la
verità che fa comodo a chi la rac-
conta. D’altro canto, oggi chiun-
que può avere ascolto attraverso
internet, che libera l’informazio-
ne dai media concentrati e costo-
si come il giornale, la tv o la radio
che hanno bisogno dell’editore o
di una complessa struttura di tra-
smissione.
Credi che l’informazione dal
basso fatta dai cittadini
possa in qualche modo
sostituirsi all’informazione
dei grandi media?
Molti blogger prendono le notizie
dai giornali o da altri mezzi tradi-
zionali. Se ci fossero solo blog nes-
suno potrebbe spendere un mese
e mezzo della sua vita in mezzo ai
clandestini, nel deserto, rischian-
do la pelle. Come in una piazza
parleremmo di noi stessi senza
contatti con la realtà. Nella storia
dell’informazione i cittadini han-
no delegato ai giornalisti il compi-
to di andare a vedere e racconta-
re, ma li possono richiamare al
compito di rispettare, approfon-
dire e verificare i fatti. Ciò non
toglie che la conoscenza la dà chi
ha accertato un fatto e il blog non
riesce a farlo. Anche se alcuni blog
d’informazione non hanno niente
da invidiare a giornali e tv. Inoltre
internet può giocare sulla potenza
della multimedialità con costi
decisamente più
bassi rispetto a
radio e tv.
Un giornalista
che viene della
carta stampata
può fare un buon prodotto
con la telecamera?
Fotografare e descrivere la scena
con una piccola digitale è una
grandissima comodità. Perché
non rendere partecipe il lettore
dandogli le immagini raccolte
con quel bloc notes? Se poi l’in-
tenzione è di fare “buone” imma-
gini, il discorso è diverso. Il con-
fronto tra pellicola e digitale è lo
stesso fra un vinile e un mp3: la
velocità e la comodità del suppor-
to e della fruizione vincono sulla
qualità di resa del suono o delle
immagini. Il mio lavoro in Niger
avrà tante lacune documentari-
stiche e cinematografiche, ma i
lettori possono vedere con i loro
occhi quello che ho visto io. Al
mio ritorno ho lavorato per una
settimana al testo per il giornale e
al video per il sito. In “Policlinico
degli orrori” ho usato le immagini
come bloc notes ma anche per
difendere il mio lavoro da smen-
tite, querele e richieste di risarci-
mento danni.
Quali sono i limiti dell’inside
j o u r n a l i s m ?
Se un giornalista lo imposta come
metodo esclusivo è una deforma-
zione. Vedere un fenomeno da
vicino ti impedisce di avere un
quadro d’insieme. In antropolo-
gia però esiste l’osservazione par-
tecipante. Se sai che in un certo
posto avvengono delle violazioni
o dei reati e il clan o lo Stato ti
impediscono di verificare, come
fai? All’ufficio stampa del
Policlinico non avrei visto nulla. Il
lavoro è stato possibile sotto
copertura. Cosa avrei visto suo-
nando il campanello?
Cosa manca al giornalismo
i t a l i a n o ?
Forse troppi
giornalisti pen-
sano alla carrie-
ra personale. In
funzione di una
promozione o di
uno spazio televisivo molti sono
disponibili a tutto, ma in questo
modo tradiscono la missione di
raccontare la realtà ai cittadini. la
conseguenza di questo atteggia-
mento è una generale mancanza
di coraggio del giornalismo e la
tendenza a inginocchiarsi davanti
all’autorità e al potere. Sarà una
lacuna strutturale o di mentalità,
ma è anche il risultato di interessi
personalistici. Ma noi giornalisti
abbiamo un giuramento verso la
Costituzione italiana.
Un consiglio a chi comincia
questo lavoro?
Accettare di partire anche dalla
cronaca, dal giro di nera. Non
essere presuntuosi e non conside-
rare il giro di nera l’ultimo lavoro
della redazione, perché può uscir-
ne un articolo da prima pagina o
un pezzo da venti righe. Fare cro-
naca il più a lungo possibile. Che
si faccia il lavoro a Baghdad o in
periferia di Milano, lo strumento,
“l’abc”, non cambia. Cambiano i
rischi, ma non lo strumento: la
curiosità, la verifica, le domande
che si fanno e un buon paio di
scarpe per camminare. Anzi, a
volte si cammina anche a piedi
n u d i .
Per sap e rne di piùFabrizio Gatti, Viki che
v o l eva andare a scuola ( e d i z i o n i
Fa bb ri ) , B i l a l .Vi a gg i a re , l av o ra re ,
m o ri re da clandestini, ( e d i z i o n i
B u r ) .
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 9
Non sono un tipo che si affezionaai lavori che ha fatto: fanno partedel passato. Per me conta soltanto il prossimo, lo scoop che verrà
’O P P I O D E I P O P O L I i n
Russia non è più la
religione, ma la
televisione. «Oggi
l’opinione pubbli-
ca russa si forma con la televisio-
ne - spiega Boris Dubin, socio-
logo del centro L e v a d a, polo
indipendente di analisi politica e
sociale -. I palinsesti sono orga-
nizzati per trattare il meno possi-
bile gli affari di Stato. Così si rive-
la un intento politico: rendere gli
spettatori dei robot passivi». Un
processo che negli anni ‘90 ha
travolto la Russia come diversi
paesi dell’Occidente: uomini
delle istituzioni che sfumano la
loro identità politica trasforman-
dosi in personaggi da spettacolo
e intrattenimento. Un fenomeno
che Walter Benjamin definiva
“estetizzazione della politica”.
«Il problema - sottolinea
Dolgin, che è anche animatore
del sito P o l i t . r u, riferimento per
le coscienze democratiche russe -
è che nel nostro Paese non esisto-
no consuetudini democratiche
capaci di ridimensionare questa
deriva. Il governo utilizza un
autoritarismo soft: esistono le
opposizioni ma non sono diffu-
se». Il risultato? «Anche se le
cose vanno a rotoli - continua
Dolgin - raramente l’opinione
pubblica reagisce contro le per-
sonalità più importanti. Putin e
Medvedev sembrano trascende-
re i problemi del Paese. Da noi è
sempre stato così: la colpa è dei
boiardi, non dello Zar».
I giornali nazionali, letti
sempre meno e costantemente
monitorati dal governo, perdono
terreno nei confronti delle gaz-
zette locali, fogli agili e legati ai
fatti. È più facile, per la stampa
regionale, raccontare le distorsio-
ni della burocrazia che, sul terri-
torio, guida l’ardua transizione
dal passato sovietico al futuro
globalizzato. Internet, in Russia,
è diffuso meno che altrove: solo il
25% della popolazione può acce-
dere al web, mentre in Italia la
percentuale è del 50.
«In rete e fra i blog si muove
un’elite frammentata ma consa-
pevole - aggiunge Boris Dubin -.
Recentemente, nelle aule della
Duma, si è discusso di limitare la
trasparenza del web con inter-
venti che ricordano le norme
cinesi, ma finora questo spettro è
stato agitato senza risvolti con-
creti». Il presidente Dimitri
Medvedev cura un sito persona-
le. Dal suo canale online, qualche
mese fa, è partito un importante
messaggio di condanna al passa-
to stalinista. Un intervento rivol-
to alla parte progressista dell’opi-
nione pubblica che in tv non è
stato trasmesso.
La grande maggioranza dei
cittadini russi, nonostante tutto,
conserva un sentimento positivo
riguardo la guerra patriottica di
Stalin. Questo episodio rivela
l’importanza cruciale della multi-
medialità anche nel futuro del
giornalismo in Russia.
L
M a ro c c o,vita duraper la sat i ra fra n c e s e
Come la tvha uccisola stampain Russia
libertà di stampa
le Monde e El Pais n o n
sono più graditi in
Marocco, a causa di due
vignette satiriche che, a
detta del ministro e por-
tavoce del governo marocchino
Khalid Naciri, «attenterebbero
alla dignità dell’istituzione
monarchica». Le copie del quoti-
diano francese con la vignetta
incriminata sono state bloccate
all’aeroporto giovedì 22 ottobre e
la distribuzione del giornale è
stata interdetta per i tre giorni
seguenti. Il disegno del vignetti-
sta francese Jean Plantu r a f f i-
gura una caricatura che allude al
re Mohammed VI. Il vignettista
denuncia a sua volta il processo
in corso contro il collega maroc-
chino Khalid Gueddar, che «ha
osato ritrarre la famiglia reale
marocchina» e precisamente il
cugino de re Moulai Ismail. Il
caso riguarda una caricatura
apparsa alla fine di settembre sul
quotidiano Akhbar Al Youm, che
aveva spinto Rabat a decidere la
chiusura provvisoria del giornale.
Ora è la volta di El Pais, colpevo-
le di aver ripreso le vignette in un
articolo sulla libertà di stampa ed
espressione in Marocco.
Domenica 25 ottobre le copie
dell’edizione locale del quotidia-
no spagnolo sono rimaste nelle
stive dell’aereo. «Non abbiamo
nulla contro El Pais e Le Monde
- assicura Naciri -, ma non per-
mettiamo attentati alla monar-
chia. Non si obbliga nessuno ad
amare questo paese ma almeno
a rispettarlo». Nell’ottobre del-
l’anno scorso Rabat ha sottoscrit-
to un accordo con l’Unione
Europea in cui si impegna a
rispettare i diritti democratici in
materia, ma non è la prima volta
che in Marocco la libertà di
stampa ed espressione sono
messe in ombra. Da questa esta-
te infatti le autorità marocchine
si dimostrano più severe nei con-
fronti della libera stampa. Il 26
ottobre sono stati condannati Ali
Anouzla, direttore del quotidiano
Al Jarida Al Oula, e la giornalista
Bouchra Eddou per aver com-
mentato un comunicato della
famiglia reale che informava di
un problema di salute del re
Mohammed VI. Le pene sono
poi state convertite in sanzioni
pecuniarie. La svolta autoritaria
della monarchia marocchina è
oggetto di critiche dalla
Federazione delle associazione
dei periodici spagnoli (Fape), che
ha condannato la censura nei
confronti di El Pais, consideran-
do «deprecabile l’atteggiamento
censore del ministero della
Comunicazione marocchina» e
avvertendo del «pericolo di
minacce al pluralismo dell’infor-
mazione in Marocco». L’Unione
Europea ha ricordato che il man-
tenimento del primato del
Marocco tra i paesi arabi nel
campo della libertà di stampa è
condizione essenziale per conser-
vare i buoni legami diplomatici e
che le «preoccupanti violazioni
in questo campo potrebbero
incidere negativamente sui rap-
porti bilaterali».
«Non possiamopermettere che siattenti alla dignità d e l l ’ i s t i t u z i o n emonarchica». Così il protavocedel governo ha giustificatoil sequestrodelle vignetteche non piacevanoa Mohammed VI
di Gregorio Ro m e o
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 200910
di Fabrizio Aurilia
I N A, v e r s a n t e
s e t t e n t r i o n a-
le, monti
Taihang. A
ovest si di-
stende l’altopiano dello Shan-
xi, provincia stretta fra i rilie-
vi e la grande muraglia, terri-
torio arido e colmo di carbo-
ne. Negli ultimi anni le minie-
re sono proliferate, rendendo
l’area fra le più inquinate del
paese. Chi scende verso i gia-
cimenti, da queste parti, non
sa con certezza se tornerà
i n d i e t r o .
Sono innumerevoli gli
incidenti, spesso occultati dal
governo e dalle corporation,
che colpiscono quotidiana-
mente gli operai. Una riuscita
inchiesta di Abel Ségrétin,
giornalista free lance francese
da oltre otto anni in Cina, ha
acceso i riflettori su uno dei
segreti del “miracolo asiati-
co”. La sua indagine, condot-
ta insieme al fotografo Sa-
muel Bollendorff, è il primo
web documentary mai rea-
l i z z a t o .
La storia, disponibile online
su d o c l a b . v o y a g e a u b o u t d u -
c h a r b o n . c o m, coinvolge di-
rettamente lo spettatore at-
traverso una costruzione in-
tegrata che ricorda i videoga-
mes punta e clicca. L’utente
sceglie chi intervistare, che
domande fare, dove muover-
si attraverso le immagini e le
esperienze degli autori.
Journey to the end of
c o a l, prodotto dalla francese
H o n k y t o n k, è il primo repor-
tage interamente realizzato
per una piattaforma multi-
mediale. Abel Ségrétin rac-
conta così il progetto.
Perché avete deciso di
utilizzare questo tipo di
p i a t t a f o r m a ?
L’inchiesta era pensata per la
carta stampata, la narrazione
fotografica e la radio, ma
dopo aver incontrato Arnaud
Dressen, responsabile della
casa di produzione H o n k y
t o n k, è nata l’idea di presen-
tare l’intero materiale
in formato multime-
diale.
Gli episodi rac -
contati sono del
tutto fedeli alla vostra
esperienza in Cina?
Ogni scena del “viaggio” è
basata su fatti reali. L’unico
adattamento è stato fatto per
poter ricomporre in un’unica
avventura di due giorni quel-
lo che io e Samuel Bollendorff
abbiamo vissuto in diverse
settimane nello Shanxi. Que-
sta è la forza del nostro lavo-
ro: non è un gioco, ma gior-
nalismo in una veste nuova.
Quali sono i vantaggi
delle piattaforme multi -
mediali in relazione agli
altri media?
Innanzitutto la possibilità di
utilizzare gli strumenti offerti
da internet e della tecnologia.
Un altro vantaggio è quello di
coinvolgere gli spettatori. A
una generazione abituata a
cliccare e fare zapping questo
format dà la possibilità di
diventare parte stessa del rac-
conto. Determinante è anche
la relazione col tempo.
Journey to the end of coal
(Viaggio alla fine del carbo -
n e ) dura circa venti minuti:
troppo se comparato con gli
altri prodotti presenti sul
web. Il metodo interattivo ci
ha permesso invece di narra-
re in profondità i fatti senza
annoiare gli spettatori.
Pensa che questo tipo di
reportage possa sosti -
tuire il giornalismo tra -
d i z i o n a l e ?
No, sono format
diversi che coesisto-
no: il web doc è solo
una nuova possibili-
tà, né mi-gliore né peggiore
delle altre.
Esistono altri esempi
notevoli di giornalismo
multimediale reperibili
o n l i n e ?
Credo che Journey to the end
of coal sia il primo caso nel
suo genere. Finora sono stati
ideati diversi progetti multi-
mediali, in Italia F r o m z e r o . i t ,
dedicato al dramma del ter-
remoto che ha colpito
l’Aquila: l’utente può selezio-
nare le scene e seguire un
personaggio, ma non c’è vera
interazione. Il prodotto più
simile al nostro è T a n a t h o -
r a m a, dove lo spettatore in-
terpreta una personaggio
morto. Ma non è vero giorna-
l i s m o .
L a pagina H i s t o r y, sul sito
C r o s s o v e r l a b s . o r g, non supera le
quindici righe. Ma il progetto,
nato in Gran Bretagna nel 2007, è subito
diventato un punto di riferimento nel
campo dei media digitali, puntando, in
nome della multimedialità, sull’intera-
zione fra creativi, esperti di mercato e
autori di piattaforme web. La base è a
Sheffield, South Yorkshire, terra di accia-
io e università. A novembre, a margine
delle Giornate europee dell’audiovisivo
di Torino, è circolata l’ipotesi di portere i
laboratori anche in Italia. C r o s s o v e r l a b s
segna una svolta nel metodo di lavoro:
senza intenti preimpostati, vengono riu-
nite allo stesso tavolo figure professionali
diverse e, sotto la guida di alcuni m e n -
t o r s, i partecipanti ai seminari elaborano
progetti digitali e ragionano sulla loro
sostenibilità economica. Prima di diven-
tare direttore creativo di C r o s s o v e r l a b s,
Frank Boydè stato lo “sherpa” che ha
introdotto queste nuove metodologie in
Inghilterra. Fondatore, allo scadere degli
anni ’80, dell’Arts Technology Centre, ha
lavorato nell’ambito della cultura e del-
l’educazione applicate ai new media.
Puntando sul progresso multimediale
del b r o a d c a s t i n g, ha contribuito a posi-
zionare Bbc fra le i network più aggior-
nati del pianeta. Ora, dalla cabina di
regia di C r o s s o v e r s, Boyd vuole far gira-
re la sua esperienza. La prossima tappa è
la Svezia, dove a gennaio venti autori del
pianeta audiovisivo si riuniranno per
creare nuovi progetti digtali.
Per sap e rne di piùw w w . c r o s s o v e r l a b r s . o r g
H o n k y t o n k ,il doc è sul web
L’inchiesta “ J o u rn ey to the end of coal” ha fattoil giro del mondo. C o s t ruita come un gioco i n t e ra t t ivo, p o rta il nav i g a t o re nella Cina pro f o n d a
C
multimedia
C ro s s over Lab s,S h e ffield cap i t a l e
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 11
di Gregorio Romeo
di Gregorio Ro m e o
Per sap e rne di piùw w w . h o n k y t o n k . f r
A C C O N T A R E i l
mondo, un dise-
gno alla volta. È
la folle idea dello
spagnolo G a b i
C a m p a n a r i o, disegnatore e
giornalista di stanza a Seattle,
che poco più di un anno fa ha
creato u r b a n s k e t c h e r s . c o m, net-
work di artisti di tutto il mondo
che fotografano, disegnandole, le
città dove vivono o dove si trova-
no durante i loro viaggi. Un rac-
coglitore di immagini che in un
anno è cresciuto sorprendente-
mente. Tra la Casa Batllò di
Barcellona, primo disegno pub-
blicato l’1 novembre 2008, e l’ul-
timo post troviamo cento corri-
spondenti distribuiti su quattro
continenti, più di 3.500 post nel
blog da 56 Paesi diversi, quasi 20
mila disegni sul corrispettivo
gruppo F l i c k r. Chiare ed essen-
ziali, le regole del gruppo sono
esposte nel Manifesto ufficiale.
Disegnare sul posto, catturando
lo spazio e il tempo, interni o
esterni non fa differenza.
Raccontare luoghi comuni, le
città dove gli artisti vivono o
quelle che li ospitano per brevi
permanenze, immortalare eventi
o abitudini quotidiane. Creare
una rete tra gli artisti e condivi-
dere i disegni sul web. Basta un
click quindi per sorvolare i tetti di
Liegi, affacciarsi dai belvedere di
Lisbona o perdersi tra le stradine
dell’Alfama, il suo quartiere più
antico, o ancora scorgere tra il
fumo delle caldarroste i colori di
un autunno catanese. Quattro i
corrispondenti dall’Italia, due
donne italiane, un ecuadoregno e
uno spagnolo, che contribuisco-
no in maniera organica alla cre-
scita del network inviando
immagini di Roma, Bologna,
Napoli e Catania. A questi si
aggiungono altri semplici mem-
bri della comunità che collabora-
no saltuariamente da Torino,
Firenze, Treviso, Milano,
Livorno, Alghero. Le città più
disegnate sono Lisbona, Londra
e Madrid, con quattro corrispon-
denti ciascuna. New York racco-
glie dieci collaboratori fissi e più
di duecento immagini.
Collaborare con u r b a n s k e t c h e r s
è facile. Per prima cosa è neces-
sario condividere online i propri
disegni, creando un blog o un
profilo F l i c k r. La tappa successi-
va è inviare al network i dati per-
sonali e i link alle immagini. Si
entra così a far parte della lista
della comunità, visibile sul porta-
le. Visti gli ottimi risultati rag-
giunti, il progetto guarda avanti.
Nei prossimi mesi il gruppo si
trasformerà in associazione no-
profit per promuovere il valore
artistico, narrativo ed educativo
del reportage disegnato. In can-
tiere anche una pubblicazione
annuale e incontri internazionali.
Di s eg n atori 2. 0U r b a n s k e t c h e rs.com è un sito che raccoglie re p o rtage disegnati da artisti sparsi ai quattro angolidel pianeta. Un modo dive rso per ra c c o n t a re comecambia lo spazio urbano che viviamo ogni giorn o
Rivista quindicinale re a l i z z a t a
dal Master in Giorn a l i s m o
dell’Università Cattolica.
© 2009 - Università Cattolica
del Sacro Cuore
D I R E T T O R EMatteo Scanni
C O O R D I N A T O R ILaura Silvia Battaglia,
O rnella Sinigaglia
R E D A Z I O N EFabrizio Aurilia, Giuditta
Avellina, Chiara Av e s a n i ,
L o renzo Bagnoli, Va l e r i o
Bassan, Marco Billeci, Raff a e l e
Buscemi, Salvo Catalano,
Francesco Cremonesi, Giulia
Dedionigi, Tiziana De Giorgio,
Viviana D’Introno, Fabio Di
To d a ro, Tatiana Donno, Robert o
Dupplicato, Fabio Forlano,
Carlotta Garancini, Ivica
Graziani, Andrea Legni,
Floriana Liuni, Cristina Lonigro ,
P i e rfrancesco Loreto, Alessia
Lucchese, Daniela Maggi,
Paolo Massa, Daniele Monaco,
Michela Nana, Ambra Notari,
Ta n c redi Palmeri, Cinzia Petito,
Simona Peverelli, Gre g o r i o
Romeo, Alessia Scurati, Luigi
S e renelli, Alessandro Socini,
A n d rea To r rente, Enrico Tu rc a t o ,
R o b e rto Usai, Cesare Zanotto,
Vesna Zujovic
A M M I N I S T R A Z I O N EUniversità Cattolica
del Sacro Cuore
largo Gemelli, 1
20123 - Milano
tel. 0272342802
fax 0272342881
m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m
PR O G E T T O G R A F I C O
Matteo Scanni
SE R V I C E P R O V I D E R
w w w. u n i c a t t . i t
Autorizzazione del Tribunale
di Milano n. 81 del 20 febbraio 2009
in rete
di Salvo Catalano
MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 200912
R
☎