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![Page 1: Mensile o i r Associazione Culturale p o r p n i o Thule Italia t · mondo), ABRAXA (al secolo Ercole Quadrelli, una delle voci più efficaci del gruppo di Ur) e altri anco-ra. Secondo](https://reader035.vdocuments.pub/reader035/viewer/2022081422/5c69438a09d3f2f5638ce0b5/html5/thumbnails/1.jpg)
MensileAssociazione Culturale
Thule Italia
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Editoriale
E’ con questo numero che inauguriamo il MensileUfficiale dell’”Associazione Culturale Thule Italia”da quando questa è stata costituita. Ed in quanto taleil suddetto organo sarà rivolto con maggiore incisivi-tà a diffondere le Idee e le Azioni che sono alla basedella suddetta Associazione appartenenti agli Uominie Donne che ne fanno e ne faranno parte integrante.Idee che si possono facilmente cogliere dalla letturadello Statuto come si può altrettanto con evidenzanotare che nulla hanno di particolarmente inedito:trattasi infatti di un’Associazione dedita allo studiodella Tradizione.Quanti ne hanno parlato e quanti ne parlano tutt’og-gi!!!Ma se nel passato vi sono stati chiari ed esplici esem-pi di come si possa applicare una “visione tradiziona-le” nel cammino giornaliero, di contro oggi il panora-ma è decisamente desolante. Di ciò - ovviamente - si preferisce ricercare la causain ciò che è a Noi esterno: è come se un enormecampo elettromagnetico interferisse improvvisamen-te con i nostri circuiti sinaptici impedendo una corret-ta comunicazione. E dove è che si arresta il passaggiodei dati? Nemmeno a dirlo...è proprio fra cervello emuscoli volontari che si ha l’impedimento nel trasfe-rire in Azione quel che la mente ha appreso - e sispera ampiamente elaborato - portando il conoscitoredella Tradizione in uno stato di irrigidimento corpo-reo. A chi non è capitato di incontrare replicanti che siaggirano isolatamente o in gruppi capaci di intratte-nerci per ore sul pensiero evoliano e che scaricate leloro - e altrui - batterie si afflosciano facendosi tra-sportare come organismi unicellulari immersi nel
proprio liquido di “c(u)ltura?Ma a questi, che se li conosci li eviti, si aggiunge unacategoria dalla quale è praticamente impossibilesfuggire: i virtuosi della tastiera. Solitamente geni incompresi che come dei novelliAmadeus informatici scrivono le loro note in ognido-ve e che resteranno per sempre inascoltate.L’Associazione Thule Italia al di là dei buoni propo-siti statutari è ribellione a tutto questo!!!Non sterile dottrina che rimane lettera morta ma pon-derata ed attenta traslazione dell’Idea in Azione. Si è scritto Azione attenta e ponderata non per dare unsenso di lentezza nell’Agire ma di acume, di sensopratico, di lungimiranza nell’Azione. Non possiamonon aver appreso le lezioni del passato più o menorecente per non capire che se l’Idea viene tramutata inAzione in maniera convulsa, disordinata e disorga-nizzata le conseguenze possono soltanto esserel’omicidio non tanto di se - il che è relativo rispettoalla maestosità dell’Idea - ma dell’Idea stessa.Uomini e Donne di pensiero quindi. Ma soprattuttoUomini e Donne di Azione. L’Associazione Culturale Thule Italia vuol essere -senza ipocrita modestia - Maestra soprattutto diCoerenza. E’ questa la molecola spesso mancantecausa di quell’assenza di segnale tra Idea ed Azione.La Coerenza ci porterà a vivere ed agire anelandoverso quel senso del Sacro che non è di destra o disinistra ma è lassù in Alto e la cui Emanazione è Quiin Basso. E’ la Sacralità della Madre Terra, laSacralità della Volta Celeste, è la Sacralità dell’UnicaTradizione Atemporale e Aspaziale. A tutti buon Lavoro e che gli Dei siano con Noi.MThule
Mensile Associazione Culturale Thule Italia - Tradizioni - Metapolitica - Storia - Esoterismo - AttualitàPeriodico mensileNumero 11 - Novembre 2005 - Anno IIDirettore Responsabile: Marco Linguardo ([email protected])Articoli scritti da: Gabriele Gruppo, Avatar, Ans, Lodovico Ellena, Janus, Miles, Spartiate, MThule, Alchemica
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SommarioArticoli
4 L’esempio del Gruppo UR e laThule Italiadi ANS
9 Intelligenza, vuoto a perderedi LODOVICO ELLENA
19 Roma: il Diritto come riflesso dellaLegge divinadi SPARTIATE
27 Le rivoluzioni antimoderne e laTradizione: orientamenti per laVisione del Mondodi JANUS
34 Verso il Nostro Soledi AVATAR
36 Parigi bruciadi ANS
Storia e Storielle
38 Werwolf! Guerriglia inGermaniadi MILES
46 Il "Ritorno a Castel Wolfenstein"diventa….storia! di MARCO LINGUARDO
Attualita
Gli Ultimi...
50 In merito agli ultimi accadimen-ti francesi e OLTREdi ALCHEMICA
52 Grandi Opere. RagionevoliDubbidi GABRIELE GRUPPO
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Premessa
Scopo del presente articolo è indagare i possibili
insegnamenti trasmessici da un sodalizio tradizionale
che tentò di influenzare anche la vita politica italiana
del primo dopoguerra mediante apposite operazioni
rituali volte a richiamare in vita la spiritualità di
Roma antica.
Le fonti bibliografiche che si possono consultare per
rintracciare la corrente magica e l'azione spirituale
del gruppo di Ur sono i tre volumi di "Introduzione
alla Magia" (ed. Mediterranee) e lo studio sulle rela-
zioni esistenti tra Fascismo e ambienti esoterici rea-
lizzato dal periodico HERA, pubblicato nel corso del
2003, recante il titolo "Fascismo ed Esoterismo".
Il Gruppo di Ur: una descrizione sintetica
Il sodalizio "operativo" denominato gruppo di UR, è
il frutto della collaborazione tra più studiosi, prati-
canti la via iniziatica della c.d. "Alta Magia", forma
di realizzazione interiore - e non solo - fortemente
influenzata dalla teurgia neoplatonica, dagli insegna-
menti degli occultisti contemporanei al gruppo,
Kremmerz, Crowley, Meyrinck, e dalle vie di realiz-
zazione orientale quali tantra e filosofia buddista.
Se le influenze orientali nell'occultismo dell'epoca
erano un elemento piuttosto consolidato, soprattuto a
partire dall'opera divulgativa, ma a tratti piuttosto
distorcente, realizzata dalla Blavatsky prima e da
Crowley poi, la particolarità del gruppo si articola
precisamente nei seguenti punti:
" Accettazione della visione della storia e del
mondo propria alla corrente Tradizionale, inaugurata
principalmente da R. Guenon, le cui influenze costi-
tuiscono l'impalcatura di base su cui poggia gran
parte dell'insegnamento di UR.
" Riappropriazione delle pratiche teurgiche
proprie ai neo platonici quali Giamblico e l'imperato-
re Giuliano Augusto. Queste poi in netto contrasto
con la Goetia, la corrente ctonia e tellurica propria
alla negromanzia e alla Magia Nera. La teurgia e il
L’ESEMPIO DEL GRUPPO DI UR E LA THULE ITALIA
di Ans
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neoplatonismo venivano visti come l'ultimo tentativo
da parte della Tradizione Romana Precristiano di
opporsi all'avanzata del culto cristiano mediante una
sintesi filosofica totalizzante.
" Studio filologico e pratico dei testi alchemici
della tradizione ermetica Europea. Mediante l'appli-
cazione spirituale delle formule alchemiche l'inizian-
do veniva così a percorrere quelle estrazioni di metal-
li e quelle trasmutazioni atte "a renderlo una divini-
tà".
" Presa di coscienza in forma amorale delle cor-
renti più "pericolose" intestine alla corrente magica
stessa, quali l'Anticristianesimo o la cosiddetta Via
della Mano sinistra, assimilata ad un atteggiamento
Dionisiaco e Attivo che il Mago, colui che "pensa e
vuole", pone in essere per realizzare la propria
Grande Opera. In connessione con la Via della Mano
sinistra avviene lo studio e l'applicazione dei trattati
tantrici indiani, della magia sessuale e dell'assunzio-
ne di droghe (denominate "acque corrosive" dagli
alchimisti) al fine di trasformare "il veleno in medici-
na".
Il gruppo di Ur raccolse la parte divulgabile del pro-
prio insegnamento e delle proprie esperienze in una
serie di pubblicazioni in seguito raggruppate in tre
volumi curati da Evola, membro attivo del sodalizio,
dal titolo "Introduzione alla magia quale Scienza
dell'Io". I capitoli ivi contenuti, firmati mediante
pseudonimi, sono stati tra l'altro compilati da: Pietro
Negri (al secolo prof. Arturo Reghini, autore dello
studio sul simbolismo del fascio), EA (ovvero Evola
Julius, divenuto poi famoso come cultore e divulga-
tore della visione Tradizionale della storia e del
mondo), ABRAXA (al secolo Ercole Quadrelli, una
delle voci più efficaci del gruppo di Ur) e altri anco-
ra.
Secondo gli studi effettuati sull'attività del gruppo di
Ur sembra certo che, da un certo momento in avanti,
alcuni fra gli animatori del sodalizio fossero propen-
si a vedere nel sorgere e nel consolidarsi del regime
fascista un momento da cogliere per iniziare una rivo-
luzione spirituale in Italia, sotto il segno del fascio lit-
torio infatti avrebbero potuto, secondo gli esoteristi di
Ur, riunirsi i germi di una rivoluzione più mistica e
radicale del fascismo stesso. La rivoluzione fascista,
che sino ad allora non aveva ancora stretto legami
troppo forti con la cristianità (parliamo dei tre anni
precedenti alla firma del concordato), sembrava
ancora influenzabile in senso Pagano, Romano e
Iniziatico. Così si vocifera di regali "augurali", sotto
forma di fasci littori pregni di potere evocativo, fatti
al Duce per influenzare il corso della politica fascista.
Oltre a Ciò si parla di apposite cerimonie rituali volte
a creare forme e forze metafisiche in grado di propi-
ziare il ritorno della tradizione spirituale romana.
In questo senso possiamo pensare ad un parallelo con
la Thule Gesellschaft, anche se questa, ospitando per-
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sonalità del calibro di Hess, Rosemberg, Frack,
Eckart e lo stesso Hitler in guisa di ospite, ha appor-
tato un peso anche politico maggiore.
Ur - Thule Italia / Un insegnamento che
non possiamo permetterci di tralasciare
All'interno della mole di scritti lasciataci dal gruppo
di Ur può essere di un qualche interesse prendere in
esame gli insegnamenti che i vari autori ci hanno
lasciato, certi dell'efficacia atemporale di questi prin-
cipi tradizionali.
[Occorre] creare qualcosa di fermo, di impassibile, di
immortale, tratto in salvo, vivente e respirante fuori
dalle acque […] Tale è il segreto di nostra arte, arte
del sole e del potere, della forza forte di ogni forza.
Qui ricorre il mito dell'attraversamento delle acque,
del passaggio da una sponda ad un'altra, ma anche del
simbolo delle acque, elemento ctonio, femminile e
lunare che deve essere superato, dominato ed infine
ricompresso in una unità superiore.
Al giorno d'oggi le acque sono l'onda in piena del
caos scatenato, la rottura degli argini realizzata dalla
sovversione post moderna. Ma le acque sono anche il
vincolo molle che ci lega alle convenzioni, ai mass
media e alle loro mode, alle socrciatoie del sesso vir-
tuale e/o commercializzato.
Fatti impassibile al bene e al male, impara a vole-
re senza desiderare. Senza paura, senza pentimen-
to.
Qui diviene centrale l'uccisione del desiderio, la tem-
pra di una volontà pura, liberata dagli scrupoli giu-
daici/umanitaristici che incatenano l'uomo Bianco e
lo rendono debole e pronto a farsi sottomettere.
Giunto a nulla desiderare e a nulla temere ben
poche cose vi sono di cui non diverrai signore, ma
di nessuna cosa godi, se prima non la hai vinta in
te.
In questo passo viene ripetuto un concetto identico,
completato però dal risultato metafisico, l'assunzione
di una nuova natura, di una seconda nascita, che
rende l'ariano tale, ovvero l'assurgere a un ruolo di
dominatore di se stessi e delle cose, che prima erano
oggetto di desiderio, paura e/o tormento.
Riporta il nostro M. Serrano un concetto simile, rap-
portato all' hitlerismo esoterico:
"Per arrivare ad essere un agente di questa specie,
Hitler si fece vegetariano e casto".
E in questa sede facciamo nostre i principi di Polia
sulle vie ascetiche:
"Questa pratica va intesa come una positiva liberazio-
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ne dai lacci del desiderio […] E' il Dio che discende
nell'uomo infrangendone i limiti, restituendolo alla
sua naturale dignità di appartenente alla stirpe degli
dèi e del cielo"
Ricorre poi per converso uno dei punti di E. Niekisch
per il proprio programma Nazional Rivoluzionario
"[…] Volontà di povertà. Modo di vita semplice. Che
si sia fieri di opporlo alla vita raffinata delle potenze
imperialiste occidentali".
Molte potrebbero esser le indicazioni in tal senso
nella vita di tutti i giorni che il nostro ipotetico letto-
re potrà trovarsi ad affrontare. Un portamento sparta-
no in un mondo di consumismo e di esagerazioni, di
sprechi e di inquinamento. Un atto rivoluzionario, un
esempio che chi aderisce a Thule può dare ai propri
contemporanei e che può risvegliare quella razza
dello spirito da troppo tempo assopita nella melma
borghese.
Di rivoluzioni vere ne esiste una sola, prioritaria e
primordiale: quella vissuta dentro, piegando, il
relativo all'assoluto, l'occasionale all'eterno, via
durissima e improba ma - quel che più conta -
sempre vincente, nello sgretolarsi delle convenzio-
ni e nell'adesione interiore ad un rinnovamento
radicale di se stessi, che metta poi in grado di
esemplificare, testimoniare, polarizzare.
Qui basterebbe, per shockare il lettore - non me ne
vogliano i redattori - una frase di Lenin; "Colui che
aspetta una rivoluzione sociale pura, non la vedrà
mai. Egli è un rivoluzionario a chiacchiere, che non
capisce la vera rivoluzione".
Ma al tempo stesso risuonano forti le parole indo arie
della BaghavadGìta "Io sono nei forti, nella loro forza
monda da desiderio".
Non devi distruggere il sentimento, ma devi
distruggere la torbida tua adesione ad esso, cioè la
voluttà, il desiderio e l'avversione, l'angoscia nel
sentire.
Dice la BaghavadGìta: "Il nemico costante dei saggi
è il fuoco inestinguibile del desiderio, che nasconde
la saggezza, disciplina prima i sensi e poi uccidi il
desiderio". Ecco in poche parole, semplici come gli
uomini dei primordi (al diavolo tutte le fandonie evo-
luzioniste !!!), il vero significato della grande guerra
santa.
Come sarà, se Vorrà, la Thule del Terzo
Millennio
Dice J. Evola dell'Ordine Nero SS:
"La loro aspirazione si rivolge alle origini: vogliono
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essere una comunità nella quale il ripreso contatto
con le forze originarie della stirpe e con i miti della
grande civiltà nordica primordiale si traduce in prin-
cipio di una nuova indomabile vita; e nella quale il
nuovo senso del sangue deve stabilire misteriosi con-
tatti con gli antenati e con i morti e far superare al sin-
golo il suo isolamento individualistico, per integrarlo
nella continuità del ceppo e di una corrente di vita
parentesi nuove vie verso il futuro"
Un forte senso della vita in senso eroico, quindi in
senso lato sacrificale, sorge dalla sintesi tra l'esoteri-
smo superiore e virile del gruppo di Ur, e il volgersi
all'origine che scaturisce in un ordine di uomini radi-
cati e consci della propria tradizione. La Volontà viri-
le unita al senso di responsabilità verso chi ci ha pro-
ceduto e verso chi ci seguirà.
Si rende quindi primario il principio di selezione; di
educazione come stile di vita eroico; di riproduzione
dei migliori; di risveglio delle qualità assopite.
Un speciale esempio e comportamento che faccia
affiorare l'elemento Ario e diminuisca il peso specifi-
co degli influssi non Arii.
Un esempio eroico e solare per il versante spirituale,
che consente di guardare al futuro forti di una forza di
spirito adatta agli ostacoli che saremo costretti ad
affrontare.
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Guardiamoci. Siamo ridotti male, malino, anzi malis-
simo. E la causa di ciò ha la stessa cattiva madre per
tutti: la pigrizia. Pigrizia di leggere, vedere, ascoltare,
soprattutto pensare. Certo non vale proprio per tutti
ma, a parte una "trascurabile maggioranza", sono
veramente pochi quelli che non si sono fatti mangia-
re dalla pigrizia l'intelligenza. E quante giustificazio-
ni, motivazioni, spiegazioni, costruzioni per assolve-
re questa ignoranza e non togliere la cravatta a dige-
rite convinzioni politiche, sociali, etiche, a volte reli-
giose. Parleremo quindi di quegli uomini che voglio-
no invece ancora subire un furto a tutti i costi: furto
di tempo, soldi, idee, intelligenza. Ma quanti oggi
ancora esistono con questa stravagante volontà?
Quanti oggi rovisterebbero tra i rifiuti dell'umanità
per inventare una sinfonia, una scultura, un pensiero,
un silenzio tra quest'indifferenza generale che - ben
che andasse - li condannerebbe ad un futuro sempre
più remoto? In breve: ha ancora senso oggi inventare
per questa umanità distratta e indifferente un ritratto
di gatto sodo o di gatto alla coque? Alcuni ritengono
di sì, ma sarà subito bene dire che questi "alcuni"
generalmente sarebbero da considerarsi permanente-
mente in prognosi riservata.
L'imbecillità da secoli detiene il potere e lo rinnova,
si tratterebbe quindi di capire come ciò sia stato pos-
sibile. Parlando di intelligenza andrà subito chiarito
un punto; anche se alcune persone vivranno per sem-
pre in periferia, cos'è mai alla fine questa intelligen-
za? Il paradosso è che a volte sarebbe bene invece
avere nostalgia dell'ignoranza, il che però non signi-
fica affatto affezionarsi ad essa per non mollarla più
a nessun costo. Sappiamo di gente così affezionata
alla propria nescienza che pur di continuare a covar-
la ha lasciato lupo, capra e cavoli senza risolvere la
questione dell'attraversamento del fiume, salvo poi
andare a piagnucolare presso la casa di qualche famo-
so farmacista per avere la soluzione. Il fatto è che
famosi farmacisti non se ne trovano mica tanti in
giro; un famoso astronauta o un famoso trapezista
esistono, così come un famoso scrittore o un famoso
architetto, ma un famoso farmacista è in effetti un bel
problema che l'intelligenza umana dovrà prima o poi
considerare negli anni a venire. Bene, che lo si creda
o no esistono intelligenze che si consumano su que-
stioni come questa e in ciò sta una prima dimostrazio-
ne per un importante assioma dalle grandi conse-
guenze: non siamo affatto tutti uguali.
INTELLIGENZA, VUOTO A PERDERE
di Lodovico Ellena
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Le persone intelligenti hanno generalmente alcuni
requisiti per cui sono immediatamente riconoscibili,
anche se l'intelligenza in sé è fatto ancora ben lonta-
no dall'essere qualificato e definito. Le persone intel-
ligenti risultano infatti gradevoli alla vista e all'udito
ma soprattutto all'odorato: pochi filosofi hanno avuto
il coraggio di fare un'affermazione del genere, il che
la rende originale. Sul fatto che sia anche valida si
potrà poi eventualmente dissertare ma in fondo ha poi
qualche importanza? Parlando di intelligenza in sé
alla fine ciò che conta non è tanto la veridicità di ciò
che si dice, ma se ciò che si dice può o meno essere
convincente. Lo si voglia o no, generazioni intere
sembrano aver fatto di questo principio una regola
sulla quale sono stati scritte dozzine di pepati volumi.
Nella vita ad un certo punto accade un imprevisto, si
invecchia. Le persone intelligenti lo sanno e spesso si
convincono che a loro non toccherà, quelle meno
intelligenti invece non lo sanno ma hanno la stessa
convinzione il che produce spontanea una domanda:
di che colore sarà mai fatta l'intelligenza? Pletore di
uomini hanno trovato la risposta a questo ardito que-
sito; il fatto è che per i neri l'intelligenza è nera, per i
rossi è rossa, per i verdi è verde e per i tifosi sportivi
non si capisce invece come una persona intelligente
possa tenere ad un'altra squadra che non sia la loro. A
volte la condizione umana è già di per sé mortifican-
te che non sembrerebbe il caso di aggiungerne, eppu-
re.
L'intelligenza ha allo stesso tempo un grande amico
ed un grande nemico e curiosamente ambedue hanno
lo stesso nome: religione. Alcuni ne fanno un motivo
per indagare, scoprire e stupire di tanta cecità di
fronte ad un'abbagliante evidenza che stordisce e fa
capire che anche il caos ha una sua legge cioè quella
per cui esso stesso non deve avere leggi. Altri ne
fanno invece un'arma impropria contro tutti i giorni
della settimana, il che rende precisi i confini del pro-
blema. Questi uomini andrebbero odiati per ciò che
fanno all'etica in quanto scienza, ma l'odio non è un
sentimento per persone intelligenti: per questa ragio-
ne spesso queste ultime vengono soppresse.
Generalmente da uomini, il che dovrebbe essere un
punto in più per le donne a torto spesso considerate
proprio da alcune fedi come gli unici mammiferi
senza coda: queste fedi sono come minimo sconcer-
tanti, peraltro - per dirla tutta fino in fondo - anche
certe donne lo sono.
Il vero fine dell'intelligenza non è il successo ma l'at-
tenzione, per questa ragione essa non riuscirà mai a
prendere il potere: nasce infatti già sconfitta da sé
stessa. In un mondo che fa di tutto per condannare al
rogo dell'indifferenza artisti, scienziati e fior di ano-
ressici, non stupisca quindi l'odore di bruciacchiato
che generalmente si avverte quando ci si avvicina al
mondo stesso. L'intelligenza dovrebbe invece avere
dei posti di blocco: chi ne fa uso passa e chi non ne fa
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uso venga invece trattenuto: un po' il contrario di
come generalmente funziona un posto di blocco per
alcolisti, il che potrebbe spiegare molte cose. Ma alla
fine: perché se da secoli continuano le violenze, gli
assassini, gli attentati, si continua invece a manifesta-
re - spesso senza cognizione - contro l'intelligenza?
Insomma: cos'è mai questa intelligenza?
Per spiegarlo occorreranno parole probabilmente
adatte ad un pubblico adulto e maturo, meglio mette-
re le mani avanti, anche perché andremo a far questa
guerra con una fionda. Il paradosso è questo: per
capire cos'è l'intelligenza la cosa migliore sarà quella
di frequentare dei fessi. Se frequentandoli ci sentire-
mo meglio di ciò poi diremo, ma se ci sentiremo peg-
gio una cosa possiamo subito affermarla: caspita! In
quest'ultimo caso consigliamo inoltre di interrompere
la lettura di un libro come questo, c'è infatti il rischio
che potrebbe da costoro essere frainteso, cosa piutto-
sto difficile da digerire per noi autori avventurati in
questo ginepraio dal quale non sappiamo proprio
come uscire. (Oltre a tutto con buone maniere che
giustifichino anche il tempo perso). Poniamo quindi
il caso; se una persona ascolta un altro che afferma
che "è proprio vero che il lavoro mobilita, io infatti
sono sempre in movimento", l'ascoltatore sarà meno
intelligente di chi parla o ambedue saranno da con-
dannare? Da quesiti come questo si misura l'intelli-
genza, ma sarà un'intelligenza di tipo scientifico men-
tre il dramma gli è un altro: dimostrare l'intelligenza
in sé. Lo abbiamo peraltro detto più volte e un po' di
attenzione sarebbe a questo punto auspicabile da
parte di un lettore, per Diana. Consideratelo un moni-
to e anche un po' secco.
Un neobruto non affermerà quindi mai "ho stima di
te" perché è troppa la stima che invece ha di sé, ed è
probabile che un neointelligente (qui affermiamo che
essendosi dispersa quasi del tutto l'intelligenza nel
mondo occorra ricostruirla, ecco perché l'aggiunta
del suffisso "neo". E' un'affermazione forte, peraltro
sulle porte interne dei servizi igienici delle stazioni si
legge di molto peggio senza che nessuno abbia mai
avuto nulla da ridire) abbia stima di sé stesso in quan-
to si ritiene degno di ciò: chi quindi tra i due sarà più
intelligente? Nessuno o ambedue, perché l'intelligen-
za è la facoltà propria della mente umana di intende-
re, pensare, elaborare giudizi e soluzioni in base ai
dati dell'esperienza, e l'esperienza è la conoscenza
pratica della vita o di una determinata sfera della real-
tà, acquistata con il tempo e l'esercizio. Dal che final-
mente si deduce che per essere intelligenti occorre
fare sport.
Lo sport è la negazione dell'intelligenza così come
può anche esserlo un titolo di studio: ma ciò venga
spiegato meglio. Molti infatti ritengono che coloro i
quali passano il loro tempo a rincorrersi per il posses-
so di un pallone (o sfera, o palla, o attrezzo) siano
malsani quando non addirittura beceri; altri ritengono
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invece che un titolo di studio da solo non garantisca
l'intelligenza del portatore - non a caso molti portato-
ri di titoli di studio apprezzano il gioco della sfera - e
che una persona colta non sia necessariamente più
intelligente di un'altra non colta. Peraltro anche un
cavolfiore può essere colto, così come un pomodoro
o una zucchina ma questo è un altro problema. Ma
prima di entrare nel merito di questa spinosa questio-
ne, che non è poi nemmeno così sicuro che ci torne-
remo sopra, sarà bene citare un paio di opere piutto-
sto interessanti che si preoccuparono di affrontare - se
non l'intelligenza in sé - almeno le profondità cono-
scitive: il Saggio sull'intelletto umano di Giovanni
Locke, e la Critica della ragion pura di Emanuele
Kant. La prima di queste due utili opere si preoccu-
pava di dimostrare che principi morali o religiosi non
sono innati bensì conquista e prodotto dell'esperien-
za, mentre la seconda si preoccupava di fondare come
scienza la metafisica, tanto da affermare nella prefa-
zione del 1781:
la ragione umana, in una specie delle sue conoscenze,
ha il destino particolare di essere tormentata da pro-
blemi che non può evitare, perché le son posti dalla
natura stessa della ragione, ma dei quali non può tro-
vare la soluzione, perché oltrepassano ogni potere
della ragione umana. […] Se non che, per tal modo,
incorre in oscurità e contraddizioni, dalle quali può
bensì inferire che in fondo devono esservi in qualche
parte errori nascosti, che però non riesce a scoprire,
perché quei principi, di cui si serve, uscendo fuori dei
limiti di ogni esperienza, non riconoscono più una
pietra di paragone dell'esperienza. Ora, il campo di
queste lotte senza fine si chiama metafisica.
Dal che si deduce senza ombra di dubbio una certis-
sima verità piuttosto utile all'economia del nostro
discorso: Kant, come peraltro molti altri pensatori a
lui contemporanei e posteriori, abusava di virgole.
A questo punto si affermi con forza: c'è intelligenza
pensante ed intelligenza non pensante. Potrà sembra-
re enorme ma anche invertendo la stessa affermazio-
ne si noterà che la questione non cambia il che ne
riconferma la validità sotto qualsiasi prospettiva la si
voglia vedere. L'intelligenza pensante è quindi quella
che si domanda la ragione di sé stessa e soprattutto
l'eventuale finalità (sempre di sé stessa); l'intelligen-
za non pensante è invece quella che si accorge di esi-
stere ma che cerca in ogni modo di limitarsi all'ab-
bronzatura. Espresse tempo fa un analogo concetto
un autore italiano, Roberto Antoni, in un saggio inti-
tolato Badilate di cultura in cui si sottintendeva
un'ipotesi simile. Il saggio fu letto da molti ma com-
preso da pochi, il che riporta ancora una volta in evi-
denza un quesito: è più intelligente chi legge o chi
comprende? Questo perché esistono casi di uomini
che leggono molto ma che non traggono alcun bene-
ficio da questa loro febbrile attività: certe verità crude
vanno alla fine esposte perché chi mira ad esistere sa
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bene che il presente gli sarà nemico e che il futuro lo
dimenticherà. Resterebbe il passato, ma il problema
del tempo verrà affrontato in un'altra sede.
Per alcuni gli uomini sono tutti uguali ma noi ritenia-
mo falsa questa affermazione in quanto, così fosse,
gli uomini sarebbero tutti intelligenti. Ma in effetti c'è
un fondo di verità in quest'ultima affermazione, il
fatto è che la distribuzione di questo bene non è stata
alla fine così uguale come certi vorrebbero far crede-
re. A tal proposito ricorreremo quindi ad un aneddoto
che, chiedendo tolleranza per la scivolata che andia-
mo a compiere, risulterà più efficace di molte parole
al fine di farci comprendere il senso del problema. Un
giorno quindi, in un assolato villaggio del nord (ma
riteniamo con ragione che la stessa cosa sarebbe
potuta tranquillamente accadere anche in un assolato
villaggio del sud), una rude campagnola avvicinò un
disincantato docente di greco e a lui chiese: "dimmi
un po' bel giovanotto, quanti anni hanno i tuoi scola-
ri?". L'uomo, in verità un po' seccato dal sentir defi-
nire "scolari" quelli che per lui erano invece studenti,
si rivolse alla rude: "intorno ai venti anni, buona
donna". Al che la rude, in verità piuttosto seccata dal
fatto di essere stata chiamata "buona donna", a lui
disse: "ah venti, allora già ben sanno dove mettere le
mani". L'aneddoto si spiega da sé certo è che riguar-
do al nostro discorso spiega invece ben poco, ma l'in-
telligenza di quando in quando deve avere umiltà e
mettersi da parte; in quel caso avrà un valido alleato
perché l'intelligenza da sola non basta a esser tale e
l'umiltà potrebbe invece aiutarla. E questa è forse la
prima seria verità su cui invitiamo a riflettere prima
di passare al paragrafo successivo.
Che l'intelligenza abbia odore potrà sembrare idea
balzana peraltro se odore ha l'uva, un fico o la cioc-
colata perché non dovrebbe invece averlo una cosa
così importante e per di più bizzarra? La questione è
di contro imbarazzante; un libro intelligente infatti
dovrebbe in base a questo principio odorare in modo
differente rispetto ad uno che non lo è, cosa che inve-
ce non accade affatto. Anzi, esistono libri assoluta-
mente inutili che odorano in modo fragrante ed accat-
tivante. A questo punto potrà sembrare piuttosto
demodé, ma per stabilire se un libro sia o meno intel-
ligente converrà quindi aprirlo a caso e ficcarci il
naso con malcelata indifferenza, anche se l'operazio-
ne non garantisce affatto la certezza che lo si possa
stabilire con metodo scientifico. Facciamo un esem-
pio; apriremo quindi a caso Se la luna mi porta fortu-
na di Achille Campanile, edizione Rizzoli con intro-
duzione di Umberto Eco a pagina 72 e leggiamo:
"Lei può cavarsi ogni voglia e fare un soggiorno pia-
cevole con poca spesa. Abbiamo anche un negro, tra
il personale dell'albergo. Indovini per cosa." "Per far
salire l'ascensore?" "No: per far risaltare il paesaggio
dei monti coperti di neve."
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Il romanzo è del 1960 e non si è fermato lì, consta di
214 pagine e costava 14.000 lire che oggi sarebbero
qualcosa di più che sette euro, aveva una copertina
decisamente assurda ed era suddiviso in venti capito-
li. Se fosse anche opera d'intelligenza francamente
non possiamo dire perché alla fine non è intelligente
ciò che sembra intelligente ma è intelligente ciò che
piace: ma sarebbe troppo facile uscire da questa
balorda questione con una frase fatta, per cui conti-
nueremo questa nostra indagine armandoci di pazien-
za e uova di balena per un piccolo spuntino.
Pensando ad un proverbio sarà buona regola non fer-
marsi a metà strada, cosa che invece sembra essere
prassi di molti lettori di quotidiani che si limitano
infatti alla lettura dei soli titoli. Per i proverbi non
funziona; si pensi ad esempio al detto "fidarsi è bene
ma non fidarsi è meglio". Leggendo soltanto la prima
parte - "fidarsi è bene" - uno comincerà a fidarsi a
destra e manca rischiando così di nuocere gravemen-
te alla propria salute. L'intelligenza in sé sembra aver
tenuto conto nei secoli di questa elementare misura (o
regola, o accorgimento, o astuzia), tanto da farne
quasi un punto da metodo cartesiano. Sui proverbi
sarà comunque bene aggiungere ancora che essi sem-
brano creati apposta per misurare l'intelligenza di
ognuno. Si prenda ad esempio il caso del detto "chi
lascia la via vecchia per quella nuova sa cosa perde
ma non sa ciò che trova" e lo si consideri con "chi
non risica non rosica": quale scelta di comportamen-
to farà quindi il soggetto intelligente in un caso che li
implichi? Abbiamo quindi qui stabilito un altro crite-
rio di riconoscimento dell'intelligenza, ovvero che
un'analisi completa è assai più utile di un'analisi
incompleta o superficiale e che questo vale per ogni
aspetto dello scibile, specie quando può influire sul-
l'andamento economico o sanitario. Ben farebbero
quindi quegli anoressici di ritorno che alla fine supe-
rano il quintale a completare la loro cultura sulla
posologia di alcuni farmaci o sui sempre più temuti (e
in agguato) effetti collaterali. Sono infatti questi ulti-
mi grandi nemici anche dell'intelligenza, e qui verre-
mo certo perdonati se per meglio esplicare il concet-
to di effetto collaterale andremo a ricordare un aned-
doto che ci ha colpiti in quanto collateralmente espo-
sti. Anni addietro infatti, una serie di pubblicazioni
ebbe la fortuna di avere alcuni appassionati lettori che
- dissero poi - leggevano queste opere traendone
qualche giovamento. Incuriositi da questo fatto iniziò
una inchiesta su chi fossero costoro (età, livello cul-
turale, sesso, estrazione politica, mestiere, razza e
numero di scarpe; sarebbe non male comunque a que-
sto punto affermare che questo genere di sondaggi
sempre più dettagliati hanno ormai superato la soglia
della tolleranza, anche perché tolleranza non signifi-
ca affatto accettanza); incuriositi, si diceva, venne
fuori un profilo inquietante di questo lettore tipo. Egli
era infatti sulla quarantina, commercialista, distinto,
che però dopo aver fatto accomodare piacenti clienti
le stordiva con un profumo disorientate dopodiché
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approfittava della situazione. Le clienti nulla ricorda-
vano del caso, fino a che una di queste - forse gelosa
ma senz'altro bionda - visse l'esperienza e denunciò
l'episodio: sui giornali emerse quindi che il libero
professionista, di cui in breve tutto si seppe, leggeva
anche di questi libri. Per noi fu una dura batosta in
quanto non ritenevamo che una persona intelligente
(leggendo questi libri non poteva certo non esserlo; lo
diciamo anche per compiacere chi in questo momen-
to lo sta facendo, ponendolo in questo modo a proprio
agio) potesse anche essere azzardata: fu un brutto
colpo per le nostre certezze sull'intelligenza in sé. Fu
comunque questo un effetto collaterale delle insane
letture o dell'intelligenza? Ovvero: l'intelligenza può
portare a simili eccessi o una persona intelligente può
anche essere azzardata di suo? E se è intelligente e si
accorge di esserlo, per quale ragione tace sul suo
azzardo e ostenta omertà? Così facendo non dimostra
infatti poi quella grande intelligenza, per cui essa lo è
davvero o si tratta di una simulazione? In breve ed
infine: può un paziente simulare a sé stesso intelli-
genza? La risposta è senz'altro si, il che spiega molte
cose sull'andamento dell'economia e del mondo dello
spettacolo ma ancora non risponde al quesito iniziale,
ovvero cosa sia in sé questa nostra intelligenza.
Vi è tra gli intelligenti odierni una nuova tendenza
che si sta imponendo, il siffredismo, di cui però non
andremo a parlare per non urtare cuori e coscienze
anche se l'argomento meriterebbe certamente un
qualche sviluppo. Piuttosto metteremmo l'accento
sulla totale fisicità del mondo contemporaneo che nel
siffredismo appunto vede una forma di realizzazione
quando addirittura non un supremo télos in tutte le
nostre cose, e ciò anche e soprattutto per sottili intel-
ligenze: non si dimentichi infatti il caso del professio-
nista di cui sopra. Ma vi è ancora chi, è in questo caso
il messaggero sarà Julius Evola, ritiene invece che:
oggi, come realtà, in fondo, non si concepisce nulla
più che vada oltre il mondo dei corpi nello spazio e
nel tempo. Certo, v'è chi ammette ancora qualcosa
oltre il sensibile: ma in quanto è sempre al titolo di
una ipotesi o di una legge scientifica, di una idea spe-
culativa o di un dogma religioso che egli va ad
ammettere questo qualcosa […]: l'uomo moderno
normale si forma la sua immagine della realtà solo in
funzione del mondo dei corpi. Il vero materialismo da
accusare nei moderni è questo: gli altri loro materia-
lismi, in senso di opinioni filosofiche o scientifiche,
sono fenomeni secondari.
dal che si deduce che anche Evola come Kant abusa-
va di virgole, la qual cosa pone un sorprendente inter-
rogativo utile alla nostra indagine: che l'intelligenza
abbia nelle virgole un suo alleato? In altre parole: che
sia utile all'intelligenza di quando in quando conce-
dersi qualche pausa? Se un postino ad esempio non
cessasse mai di consegnare posta, non avrebbe infat-
ti il tempo di domandarsi perché lo fa, ma sarà poi
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così utile che egli si ponga domande sul senso della
posta? Questa è la ragione per cui sono nati fotoro-
manzi, televisione e poltrone odontoiatriche: su que-
ste ultime poi riflettere è severamente proibito anche
tramite sofisticati strumenti di tortura, ma ciò che più
sconcerta è il fatto che l'uomo moderno ricompensi
poi il suo torturatore con monete fruscianti. Il mondo
moderno è nel suo insieme decisamente complesso,
intelligente non possiamo dire, ma complesso sen-
z'altro.
In realtà fino a questo punto abbiamo nascosto un
imbroglio che i più accorti avranno ormai colto. Di
fatto l'intelligenza in sé la abbiamo infatti già defini-
ta qualche paragrafo fa, prendendo a prestito le paro-
le di un qualunque vocabolario che in poche righe
hanno smontato tutta questa nostra indagine renden-
dola così vana: lo abbiamo nascosto per non urtare
alcune coscienze sporche. Sembrerà cosa da poco ma
spesso i dizionari operano tale azione procurando in
questo modo nuove nevrosi a un mondo già di per sé
piuttosto affaticato. In realtà quindi, non è più tanto
l'intelligenza l'oggetto della nostra ricerca quanto
piuttosto la sua applicazione: è infatti qui che sta il
vero mistero. Perché se l'intelligenza è infatti una le
applicazioni sono invece molte? E saranno tutte plau-
sibili? E se non lo saranno chi stabilirà quale sia e
soprattutto perché? E potrà un uomo intelligente fare
cattivo uso di questo strumento? E strumento per rag-
giungere quale fine? E questo fine sarà il fine dell'in-
telligenza o la fine dell'intelligenza? Ora è chiaro il
senso di questo problema, tutt'altro che secondario? A
tal proposito ci verrà quindi bene in aiuto un episodio
di vita vissuta che meglio renderà luce al problema;
se infatti un uomo di provata intelligenza colto in
stato di grazia si lascerà andare ad affermazioni -
peraltro giustificate da una qualche sua rabbia - del
tipo "a quello orino in testa e poi dirò che egli è suda-
to", noi stessi saremo per ciò in grado di affermare
che l'applicazione dell'intelligenza in un caso simile
sia decisamente mal gestita. Ma lo stesso personag-
gio, saremo noi così sicuri che interrogati su chi sia
invece intelligente alla fine non risponderà come quel
Luigi Bramieri che così descrisse questa vicenda.
Disse infatti quell'uomo che intelligenti siamo tutti
anche se qualche distinguo tra esseri umani andava
senz'altro fatto in quanto le razze bianche senz'altro
più lo sono delle altre. O meglio quelle bianche euro-
pee in quanto lo dicono ancora i fatti, esistono abissa-
li differenze tra un - poniamo - inglese ed un islande-
se. Ma certo se immaginiamo un inglese contro un'in-
telligenza italiana ancora andranno fatti dei distinguo
perché quest'ultimo si mangerà quell'altro: prova di
ciò le numerose barzellette sull'astuzia italica contro
quella inglese. Che comunque anche in Italia da nord
a sud cambierà il livello qualitativo in quanto sono i
primi che han fatto l'unità e non viceversa; tenendo
però conto che i torinesi son poi certo più intelligenti
dei milanesi anche solo per riconferma data dalla
dinastia regale. A ben vedere poi però in certi quartie-
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ri di quella stessa città esistono ancora notevoli diffe-
renze, non a caso alcuni di questi sono detti periferi-
ci (abiterebbe mai una persona intelligente in un
quartiere simile?) e altri no, senza contare che a
Torino in via Milano sono poi di casa effettivamente
le migliori intelligenze che si sarebbe tentati di defi-
nire le uniche. Meglio ancora, esse risiedono ad un
preciso numero civico dove di fatto abita chi parla ed
il suo dirimpettaio, anche se su di quest'ultima perso-
na in quanto ad intelligenza ci sarebbe piuttosto da
dire. Diciamolo forte: l'intelligenza a ben vedere e a
ben cercare è cosa nostra. Poco da sorridere: esistono
almeno sette persone per ogni città che hanno questa
radicata convinzione e che fanno quotidianamente
guerre soprattutto tra loro nonostante l'esposizione
alle finestre di bandiere pacifiste, gerani e cocorite.
Esistono in conclusione tre tipi di intelligenza. Quella
che si riconosce e si accetta, quella che si riconosce e
non si accetta, e quella che non si riconosce. La prima
è quella che potremmo definire affine, ovvero quella
che ci porta a ritenere intelligenti persone che condi-
vidono le nostre idee, passioni, emozioni, colore
della maglia e numero di scarpe. La seconda è quella
che potremmo definire non affine; questa è più com-
plessa della precedente e implica - da parte di chi la
riconosce - una notevole statura intellettuale in quan-
to ritenere intelligente una persona che porta una
maglia di colore differente è quanto meno dimostra-
zione di buon gusto da parte di chi lo afferma. Il terzo
tipo è invece quello più complesso e curiosamente,
forse, anche il più diffuso. E' spesso per questo tipo di
intelligenza non riconosciuto che si fanno guerre, bat-
taglie e di quando in quando anche alcune liti condo-
miniali per stabilire chi sia arrivato prima in coda. Ma
che tipo di segni particolari porterà l'uomo intelligen-
te non riconoscibile? Vediamo quindi alcuni di questi
tipi clandestini. Poniamo il caso che una attrice di
film arditi sia per sua natura timida, essa dimostrerà
quindi un certo utilizzo cerebrale se sceglierà di fare
egualmente film arditi in cui però ella non verrà mai
inquadrata: quel che si dice salvare capra e cavoli è
qui ben esposto. Oppure; che termini userà mai per
definire alcuni personaggi di basso profilo estetico
quell'uomo che vorrà apostrofarli senza però troppo
compromettersi? Userà un neologismo poco com-
prensibile, tipo "quei merdidi", che potrà essere otti-
mo escamotage per uscirne elegantemente da quel
ginepraio togliendosi però quella legittima soddisfa-
zione. E ancora; quale titolo potrà mai assegnare
quello scrittore che, scritto un suo romanzo ambien-
tato in un agosto in cui un Babbo Natale fa distribu-
zione di intelligenza al popolo di destra e di manca,
cogliendola a piene mani dal suo capiente sacco?
"Un'improbabile storia natalizia", sarà la supina
risposta. Ma quale sarà dunque il denominatore
comune di simili intelligenze abusive e ben celate?
Un'analisi attenta e puntuale lo ha recentemente rive-
lato: in entrambi i tre casi studiati questi portatori
intellettuali inconsci utilizzano calzini bleu. Emerge
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però a questo punto un'aporia piuttosto sconcertante:
esistono infatti anche persone a scarso rendimento
intellettuale - molte di esse agiscono in politica - che
utilizzano egualmente calzini bleu, come sarà quindi
possibile distinguerli dai loro più attrezzati colleghi?
E' sulla base di domande simili che, spesso, sono
state costruite alcune cattedrali nel deserto.
Si vada quindi a concludere questa nostra passeggia-
ta sulla solida base degli argomenti fino a qui procu-
rati, con il chiaro intento di avere da questa conclu-
sione un valido strumento per il futuro degli intelli-
genti di tutte le razze, etnie, nature e religioni. Che
l'intelligenza esista è quindi un dato di fatto inconte-
stabile, prova ne è - a puro titolo di esempio - l'inven-
zione delle pinne o della pizza per quattro stagioni.
Che di quando in quando essa venga utilizzata dagli
uomini è altrettanto evidente, così come di quando in
quando essa venga: a) non utilizzata, b) mal utilizza-
ta, c) utilizzata violentemente sulla base di convinzio-
ni non sperimentabili, d) utilizzata filosoficamente
sulla base di convinzioni utili soltanto ad un singolo.
Per quest'ultimo caso, e solo per quest'ultimo, valga-
no ad esempio le comunque stimolanti parole di uno
Johann Schmidt, alias Max Stirner:
Il divino è cosa di Dio, l'umano "dell'uomo". La mia
causa non è divina né umana, non è la verità, non è la
bontà, né la giustizia, né la libertà, bensì unicamente
ciò che è mio; e non è causa universale, bensì unica,
come unico sono io. Nessuna cosa mi sta a cuore più
di me stesso.
Come si può alla larga intuire vi è qui passione a
senso unico per questo strumento - l'intelligenza -che
dovrebbe invece avere il compito, almeno durante i
giorni festivi, di allargare anche ad altri il vantaggio
che il suo esercizio potrebbe procurare a giovani, fer-
rovieri, pensionati, allevatori di struzzi, lestofanti,
induisti e sindaci. Almeno e soprattutto per compren-
dere finalmente, definitivamente e inequivocabil-
mente una di quelle verità assiomatiche verso la quale
anche noi genuflettiamo corpo, anima e intelligenza:
lordare prati e boschi con sostanze inquinanti alla
lunga non porterà vantaggi. Nemmeno a quell'unico
di cui parlò Stirner.
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La prima versione del presente saggio fece la sua comparsa su "Camelot -Periodico di approfondimento tra-
dizionale del Cuib Mikis Mantakas", Numero IV, nel marzo 2002. Inizialmente concepito come recensione del
testo di G. D. Casalino "Il Sacro e il Diritto. Saggi sulla Tradizione giuridico-religiosa romana e la crisi della
modernità" (Ed. del Grifo, 2000), ben presto fu manifesta l'impossibilità che il brano in oggetto rimanesse
nei "binari" della pura e semplice recensione ed anzi la necessità per il medesimo di evolvere in "qualcosa
di più".
Ne forniamo una versione profondamente rivista e corretta per Thule Italia, in grado di rispecchiare in
maniera più fedele le idee dell'autore nel momento presente.
"Il Romano aveva coscienza di realizzare il fas mutando ontologicamente l'informe nella forma, l'infinito,
l'apeiron, nel finito; si aveva così il fas dello ius, sarebbe a dire l'ordine (rtà) della formula (ius), cioè la
legge secondo il diritto divino."
-E.Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, vol. II.
"Fas è legge divina, ius legge umana."
-Isidoro di Siviglia, Originum sive Etymologiarum libri XX, V, 2,2.
ROMA: IL DIRITTO COME RIFLESSO DELLA LEGGE DIVINA
di Spartiate
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L'analisi del Passato è estremamente difficoltosa per
l'uomo qualificabile quantomeno da un punto di vista
temporale come "moderno" poiché necessariamente
tende ad incrociarsi con l'analisi della verità.
Locuzione alquanto ambigua, <analisi della verità>,
addicendosi alla percezione di quest'ultima piuttosto
una intuizione sintetica che non una analisi. Tuttavia,
in questa, e solo in questa, sede mi si conceda di fare
della parola "analisi" un uso etimologicamente scor-
retto, lontano dal significato vero del termine - un uso
moderno, dunque, a fini di mera comodità espositiva.
Ciò che manca al moderno, ed ancor più al post-
moderno, che pur essendo post tuttavia dalle catego-
rie peculiari della modernità è profondamente segna-
to e permeato, è per l'appunto una capacità di sintesi:
ossia la capacità di cogliere intellettualmente (il che
non significa "razionalmente") una verità che, come
tale, è necessariamente di ordine preterumano, tra-
scendente, immateriale. Ne discende che la percezio-
ne di detta verità è per forza di cose immediata, id est
priva di mediazione: la sintesi realizza una fulminea
rottura di livello, che consente a chi si trova in un
determinato piano esistenziale di cogliere "qualcosa"
che del suddetto piano non fa parte se non in termini
di potenzialità, un quid pluris qualitativamente diver-
so rispetto allo status quo ante di cose.
Se guardiamo il problema da una diversa angolazio-
ne, qualcosa di analogo può avvenire anche sul nostro
piano esistenziale, caratterizzato da categorie duali
quali spazio e tempo. Prendiamo in considerazione il
dato storico: la storia è costituita da fatti e atti mate-
riali, contingenti, transeunti e che però assumono una
valenza peculiare su questo (e non su un altro) piano
esistenziale; va da sé che si può affermare l'esistenza
di una "verità storica", nei termini di una verità dei
fatti, la quale necessariamente si intreccia, sia pur
attraverso vie e per tramite di meccanismi per così
dire "sottili", con una verità di tipo metastorico, poi-
ché nulla che sia materiale esiste o sussiste a prescin-
dere da una base costituita da qualcosa che sia altro.
La verità storica (o di là dalla fattispecie presa in
esame, la verità comunque fattuale) necessita, per
trionfare, di uomini dotati di qualità sempre più rare,
quali la sincerità ed il coraggio di parlare de visu di
argomenti generalmente -id est accademicamente-
considerati "tabù".
Tra questi, Giandomenico Casalino col suo <Il Sacro
e il Diritto. Saggi sulla tradizione giuridico-religiosa
romana e la crisi della modernità> [Ediz. del Grifo],
ha contribuito a divellere diversi tabù concernenti la
realtà giuridica romana. Evidentemente conscio della
concreta importanza e reale potenza delle parole (e
dei nomi), l'Autore già nel titolo inquadra il problema
alla base del suo lavoro, uno dei più spinosi tra quel-
li affrontati dalla moderna "scienza" giuridica d'im-
pronta accademica, cattedratica, libristica.
Poiché i grandi problemi dello scibile umano posso-
no essere risolti solo abbandonando i metaforici
paraocchi, punto di non ritorno e cartina tornasole
della "scienza" moderna giuridica e non, e poiché
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Casalino ha l'abitudine di affrontare tutto secondo
l'antiaccademicissimo "metodo tradizionale" (come
da lui dimostrato anche ne <Il Nome Segreto di
Roma>, ed. Mediterranee), va da sé -quasi per sillo-
gismo- che a un lustro dalla sua uscita l'ottimo libel-
lo in oggetto è logicamente passato inosservato,
venendo relegato nei confini del milieu c.d. "tradizio-
nalista".
È dai "Saggi" dell'avvocato Casalino che prende dun-
que le mosse il presente scritto, che non è e non vuole
essere una recensione, bensì nei limiti del possibile
una esposizione di idee e concetti peculiari di una tra-
dizione senza tempo, essenzialmente irriducibili ad
assiomi-categorie-sistemi filosofici. Ribadiamo qui
l'idea necessaria e fondamentale dell'uomo evoliana-
mente differenziato (o differenziatesi...) inteso non
come "pensatore" in senso moderno, ossia come
"inventore" e codificatore di idee sempre nuove,
bensì come mezzo, strumento e bocca di qualcosa di
infinitamente più grande. Beninteso, sempre e
comunque strumento pensante, bocca dotata di favel-
la e animo dotato di capacità direzionale, a sottolinea-
re il carattere di totale attività, e non di mero balocco
privo di personalità, dell'uomo che liberamente deci-
de di conformarsi ad insegnamenti posti sotto il
segno dell'eterno.
Una visione tradizionale del mondo infatti non nega
e non può negare la personalità del singolo, bensì la
sua individualità assurta a feticcio.
La "iuridica quaestio"
In considerazione della peculiare forma mentis del
Romano, per il quale lo Stato (Res Publica) è tutto,
non si può affrontare Roma prescindendo dal proble-
ma relativo alla concezione che il Romano aveva del
Diritto.
Lungi dunque dal fare facile "esaltazionismo", non
vediamo e non vogliamo vedere in Roma solo il
Gladius e l'Imperium (nell'accezione più "terrena" del
termine), poiché nulla di tanto grande ed ineguaglia-
bile quanto l'Impero Romano, storicamente e meta-
storicamente inteso, sarebbe anche lontanamente
concepibile senza un preciso Ordine fortemente cer-
cato, voluto e attuato. L'esame di Casalino prende le
mosse proprio dalla concezione romana del cosmo,
particolarmente impregnata dell'idea di Ordo ab
Chao.
Vengono posti l'uno di fronte all'altro due tipi, il
Greco ed il Romano. L'Autore identifica la peculiari-
tà del Greco nel guardarsi intorno, osservare, poi
vedere ergo realizzare, ed infine accettare; il Greco
accetta, in senso attivo e virile, l'Ordine voluto dagli
dèi, realizzandolo tanto sul piano individuale quanto
su quello comunitario tramite il rito (sanscr. rta):
ripetizione-attuazione, secondo la ben nota formula
messa in rilievo da Eliade. Abbiamo quindi, per usare
la terminologia di Casalino, il "dato come voluto".
Non così il Romano: egli osserva, vede, constata, giu-
dica quindi vuole, e volendo impone, e imponendo
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rettifica.
Si presti attenzione: lungi dal Romano qualsiasi vel-
leità prometeica (nel senso degenere del termine) e
brama di ùbris, egli non impone un novus Ordo di sua
elaborazione. Il Romano, come il Greco, accetta
l'Ordine stabilito dagli dèi (Fas), ma realizza in
maniera più profonda e radicale del Greco (non più
Ellenikòs, quando i suoi Fati incrociano quelli di
Roma, bensì Ellenistès) lo stato embrionale ed anco-
ra parzialmente informe, non completamente svilup-
pato del còsmos e nella sua lungimiranza immediata,
segno preciso di una capacità di sintesi perfetta, vede
quanto lo circonda, quanto è di là dalle mura (non
solo fisicamente intese) dell'Urbs, come è e come
sarà, e raccogliendo il cenno, il comando e la sfida
degli dèi decide di essere. Dunque essenza del
Romano e' il Volere, dal che discende l'esatto oppo-
sto della formula sopra enunciata: il voluto come
dato.
Ferma restando la necessità, a nostro parere, di una
applicazione "plastica", scevra di irrigidimenti, delle
formulae poc'anzi esaminate è possibile affermare
che di qui discende il carattere di missione che il
Romano attribuisce al suo agire nel mondo: una mis-
sione civilizzatrice, ordinatrice in senso eminente-
mente anagogico. In un certo senso, calandoci ora
nell'ottica puramente pedagogica che informa i Libri
di Livio, la storia dell'Urbe, essa stessa un mastodon-
tico symbolon, ci offre un esempio cristallino della
funzione ordinatrice della Romanità nei confronti del
Chaos nell'episodio delle prime "campagne" di incre-
mento della popolazione della nascente Città, allor-
quando Romolo, <uetere consilio condentium
urbes>, attirava a sé "gente oscura ed umile facendo-
la passare per autoctona" offrendo loro asylum, ossia
un luogo sacro ed inviolabile intra moenia indice di
tutela piena ed assoluta, in cui persino il colpevole di
reati gravi commessi nella patria d'origine non pote-
va essere toccato.
Ponendo in risalto nel contempo la concezione asso-
lutamente negativa della humilitas nella Roma pre-
cristiana, citiamo:
<Ivi si rifugiò dai popoli vicini, avida di novità, una
folla di gente d'ogni sorta, senza distinzione alcuna
tra liberi e servi (sine discrimine liber an seruus
esset), e quello fu il primo nerbo dell'incipiente gran-
dezza.> (Livio I,8)
Nel riportare la tradizione relativa alla fondazione
dell'Urbe (unica "mitologia" nota ai Romani, secondo
un vecchio e discutibile adagio ripreso da Casalino
stesso sulla scorta di Evola et alii, sottolineando più e
più volte la presunta assenza di miti in Roma prima
del contatto con la cultura ellenica; tesi cui non pos-
siamo aderire, specialmente in considerazione degli
importanti studi svolti sul tema da Renato Del Ponte)
Livio è cristallino: la grandezza di Roma, inscindibil-
mente legata alla semplicità degli albori, ha alla base
la constatazione-realizzazione e la consequenziale
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accettazione totale e virile, vale a dire non fatalistica,
dell'elemento caotico ed informe esterno alle mura
dell'Urbs* (la obscuram atque humilem [...] multitu-
dinem natam) con il preciso intento, per così dire, di
"ricominciare da zero" in perfetta armonia con la
Legge divina cui il Romano liberamente ergo volon-
tariamente si conforma volendo quanto per il Greco e'
dato, elevando il "dato" stesso e potremmo dire, quasi
"purificandolo" da tutte le originarie incrostazioni
caotiche.
Saremmo tentati di affermare, con una espressione
iperbolica ma efficace, che Roma costituisce il primo
e forse unico caso nella storia di quello che potrem-
mo definire un "avatar collettivo, superpersonale" del
Divino nel suo svolgersi eterno: l'Ordine come ideo-
logia. La Via Romana sembra presentare una facies
alchemica, in un'ottica di catarsi di ciò che è impuro,
di sublimazione e fissazione dell'informe.
È del tutto relativo, ma pur sempre utile, sottolineare
che il fatto che una "obscura atque humilis multitudo"
abbia costituito il nucleo primo dell'Urbe di per sé
non sottende la malsana idea di una "eguaglianza" di
fatto o sostanziale che sia, propria esclusivamente ad
un concetto tutto moderno di "civiltà" intesa come
Zivilisation il cui prototipo è da rintracciare più nel
Contratto Sociale di Rousseau e nella Dichiarazione
dei Diritti dell'Uomo che non nella Romanità. Anzi,
ci sembra che il significativo aggettivo "natam",
all'accusativo nella frase sopra riportata, indichi un
substrato variegato ed informe, "caotico" appunto,
che il Romano prende e plasma, ad esso conferendo
la forma di cui originariamente era privo. Qui è in
marcia al fianco e al di sopra dei primi manipoli gui-
dati da Romolo l'Idea di Roma come realtà ordinatri-
ce; qui non è l'Homo, figlio della Terra, ad agire,
bensì il Vir, il "due volte nato" che in virtù di questa
sua qualità conferisce con la propria incrollabile
volontà in pieno accordo ed in perfetta armonia col
Divino una seconda nascita anche a ciò che tocca con
fare, diremmo, quasi taumaturgico.
Questa realtà, purificata ed elevata, non fu compresa
-probabilmente non poteva essere compresa- dalla
maggior parte delle popolazioni preesistenti alla
nascente stella di Roma, che si opposero all'invito
della res Romana a stringere con essa "alleanza e
connubi", formulato con le seguenti parole:
<anche le città, come ogni altra cosa, hanno origini
assai umili (ex infimo nasci), ma poi, se il loro valo-
re (Vir-tus) e gli dèi le assistono, acquistano grandi
forze e grande fama.> (Livio I,9)
La tradizione liviana vuole che l'ambasceria romana
venisse respinta per timore e per disprezzo della
nuova stirpe di sangue troiano, forse -è una nostra
supposizione- anche in relazione ad una impostazio-
ne rigida della questione razziale in base alla quale un
popolo nato da un substrato variegato, informe,
"geneticamente scorretto", come la traditio lascia
intuire, non poteva considerarsi un popolo "civile"
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bensì solo un'accozzaglia raccogliticcia di elementi
spuri che anche il Greco ormai Ellenistès nel pieno
della sua decadenza spirituale ed etica bollò come
barbaròi, non riuscendo più a scorgere nei duri tratti
di quel contadino analfabeta sbarcato sulle sue coste
che amava le armi gli dèi e la semplicità e rigettava il
filosofare ed il ragionare contorto, la fierezza del suo
stesso progenitore spirituale, il tipo dorico per eccel-
lenza, lo Spartano. Un approccio opposto alla nuova
visione sintetica della vita proposta dal Romano, una
impostazione propria di un mondo vecchio azzerato e
nullificato da una Weltanschauung superiore che sin
da subito si impose, col volere divino, su quelle che
altro non erano che forme decadenti e vuoti gusci, per
quanto non prive di valore e significato a più livelli.
Ius e(s)t Fas
Sono ancora molti coloro i quali modernamente non
si rassegnano alla realtà del Diritto romano inteso in
quella che e' la sua unica vera dimensione, la dimen-
sione giuridico-religiosa, senza possibilità alcuna di
scissione dei due lemmi. La visione del mondo razio-
nalistica e "scientifica" della Modernità avverte l'irre-
frenabile impulso a scindere, a dividere, a "dualizza-
re" in ogni settore dello scibile umano. Il che è facil-
mente comprensibile. La logica dialettica dell'Io-Tu,
di Questo-Quello è finalizzata alla sicurezza: finché
l'uomo contemporaneo ha un punto di riferimento
egli è salvo, si sente al sicuro, ed il progressivo allon-
tanamento dall'Uno che è il processo che segna la
nascita della modernità implica la necessità, per il
singolo come per la società, di trovare la stella pola-
re nella dicotomia anziché nell'unità, nell'approccio
analitico anziché nella visione sintetica. In questo
quadro facciamo rientrare, en passant, anche il fetic-
cio tutto moderno dell'alternativa.
Far di uno due è l'arma più efficace della modernità.
Ecco dunque che il primo dovere dell'uomo differen-
ziato o che intenda differenziarsi, dichiararsi cioè
altro da ciò che lo circonda, è quello di vedere in pro-
fondità, sin nelle pieghe più nascoste delle cose,
anche e soprattutto di quelle che appaiono prive di
importanza e di interesse e che sono invece le più
nocive in quanto le più ingannevoli, e che come tali
non vanno dunque trascurate poiché "Dio è nei detta-
gli"... Riscontriamo in ciò la sottile vena diabolica
quindi analitica dell'uomo moderno e post-moderno,
tanto più lontano dalla Verità tradizionalmente intesa
quanto più si lega a doppio filo alla visione razionali-
stica duale dell'esistenza.
Esaurita questa breve ma necessaria digressione, fac-
ciamo notare che per quanto si cerchi, non e' dato tro-
vare, nella storia di una qualsiasi comunità di popolo
"tradizionalmente inquadrata", alcun indizio che ci
induca anche solo lontanamente ad ipotizzare una
improbabile netta partizione delle sfere di competen-
za rispettivamente giuridica e religiosa.
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Ciò vale tanto più per Roma. La visione romana del
mondo vede Ius e Fas come due fattori assolutamen-
te inscindibili: l'uno non esiste senza l'altro, il Diritto
essendo concepito essenzialmente come "diritto divi-
no", ossia diritto applicato dall'uomo ma procedente
necessariamente da una superiore, eterna Legge divi-
na (il Fas). A nulla valgono in tal senso le più arzigo-
golate fantasie della dottrina giuridica moderna: giu-
snaturalismo, giuspositivismo, sono solo razionaliz-
zazioni, schemi di massima, ulteriori incarnazioni di
uno dei tanti mali della modernità, quello designato
dal suffisso <-ismo>, la particella, spesso e volentie-
ri, dei surrogati e delle concezioni raffazzonate; d'al-
tronde servirebbe a ben poco al moderno che, per
assurdo, si trovasse face to face col Romano delle ori-
gini, tentare di stordirlo con la pietosa cacofonia del
diritto naturale, del diritto positivo e via dicendo, non
potendo il secondo comprendere le pseudo-motiva-
zioni "filosofiche" o utilitaristiche del primo, che
apparirebbe alla sua anima cristallina e trasparente
come pura acqua non dissimile dal verme che si
arrampica sullo specchio.
Dunque, inscindibilità del dato spirituale da quello
giuridico in senso tecnico: verità, questa, che trova
riscontro sul piano storico nel fatto che, come tutti
sanno, la scienza giuridica in Roma fu appannaggio
esclusivo della "casta" sacerdotale, nella fattispecie
dei Collegia dei Pontifices e, per quanto attiene le
controversie internazionali ed in particolar modo le
vicende di carattere bellico, dei Fetiales. Ciò almeno
sino alla Lex Ogulnia, che apriva le porte del
Pontificato ai plebei, ed alla pubblicazione (che,
nonostante il parere contrario di Casalino, a nostro
giudizio effettivamente coincise con una sorta di lai-
cizzazione del diritto) dei libri della giurisprudenza
da parte di Publio e di Quinto Mucio Scevola,
entrambi Pontefici.
Ci chiediamo dunque quale fosse il "collante" che
permetteva la perfetta coesione degli elementi giuri-
dico e religioso a costituire una unità indivisibile:
Casalino (come già Evola nel ben noto saggio su
L'idea olimpica e il diritto naturale) individua corret-
tamente l'elemento di coesione nel Rito, che è ripeti-
zione ergo ri-evocazione e quindi ri-attuazione
dell'Atto primordiale; imitazione quindi immedesi-
mazione, ripetizione ergo realizzazione concreta nel
momento attuale di "Ciò che fu" in origine, all'atto
della liberazione dei germi dello sviluppo. Un esem-
pio lampante di quanto affermato è costituito dalle
legis actiones poste a fondamento delle arcaiche
forme processuali romane, in cui un ruolo preponde-
rante era affidato all'atto ed ai certa verba, vale a dire
alle parole, alle formule rigidamente definite il cui
deposito era affidato ai Pontefici e che venivano
comunicate di volta in volta a chi avesse intenzione di
far valere un proprio diritto in giudizio.
È dato qui scorgere una applicazione specifica della
dottrina relativa ai nomi, alle parole ed alla loro
intrinseca potenza, ben nota al mondo romano come
a tutte le altre realtà tradizionali, anche al di fuori del
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contesto generalmente definito "indoeuropeo". Se
consideriamo infatti che la posizione processuale
della parte era suscettibile di venire radicalmente
inficiata dal semplice errore di pronuncia della for-
mula affidatale dai Pontifices; se pensiamo che nel
quadro complessivo del processo arcaico un valore
particolare assumeva, in determinate circostanze, il
giuramento (legis actio sacramento); allora compren-
diamo la sacralità e la dimensione rituale del proces-
so presso la Romanità delle origini.
Il rito fa, il rito crea, il rito è realtà tangibile senza la
quale nulla è concepibile, non concependo il Romano
nulla che non sia Ordine ed essendo il rito strumento
principe per la realizzazione del medesimo. Il rito
infatti sublima, per usare una terminologia cara agli
ermetisti, la realtà circostante estraendo dall'informe,
dal Chaos, l'Ordine degli dèi voluto dal Romano.
Dunque, ed in chiusura: Ius e Fas, o meglio Ius è Fas,
essendo esso stesso in un certo senso religio, ossia
collegamento realizzato attivamente e volontaria-
mente, con piena coscienza, mediante il Rito (rta).
Come martello che lavora la materia informe a dar
vita a un simbolo imperituro quale il Fascio Littorio,
emblema immortale di Roma Aeterna, figlia predilet-
ta di Mars e Venus che vede il suo stesso Nome
impresso a caratteri infuocati in quello che De
Giorgio ha definito <l'asse bifaciale di Giano>. Tutto
il resto, sono solo voces...
<La storia della Romanità e' esclusivamente storia
del suo Diritto Pubblico, e' storia giuridica e cioè
della Costituzione Romana e quindi e' storia, nella
dimensione del Sacro, delle istituzioni che il popolo
romano si e' dato con il consenso degli Dèi>
(G. Casalino, Il Sacro e il Diritto, pag. 84)
* Per la particolare valenza sacrale delle mura nel
contesto tradizionale romano vedi R. Del Ponte,
Santità delle mura e sanzione divina
http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Del
-Ponte-Santit%E0-delle-mura.htm
26
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Questo sarà il tema di discussione che caratterizzerà
il prossimo incontro della Thule nella città di Taranto
e questo, reputo, sia l'Argomento essenziale, fonda-
mentale di un qualsivoglia progetto metapolitico e
tradizionale, prima del quale, approfondito, studiato,
risolto, sublimato, ogni altro discorso rischia di dive-
nire vano, sterile, alla mercè di uno stolto intellettua-
lismo o di un puerile movimentismo. Comprendere
realmente, effettivamente, interiormente ciò che
vogliamo ri-affermare, i Valori e le Idee che voglia-
mo difendere, la spiritualità che vogliamo ri-conqui-
stare è un processo obbligatorio per una comunità
(organica) in via di costituzione, ma anche per il sin-
golo combattente che voglia intraprendere la strada
del Fronte della Tradizione. Dobbiamo, pertanto, par-
tire da ciò che ci ha inconsciamente uniti, da ciò che
ha unito tanti uomini in lunghi anni di militanza e di
approfondimento tradizionale, da accadimenti storici,
come sono state le rivoluzioni antimoderne tra le due
grandi guerre mondiali, per andare oltre, per andar in
profondità e conoscere (non sapere) ciò che le ha ali-
mentate, ciò che volevano umanamente, storicamen-
te e contingentemente (con tutti i loro limiti!) rappre-
sentare, i loro legami, quindi, con una
Weltanschauung Tradizionale, operando una vera e
propria anamnesi platonica, di ricordo primordiale e
metafisico, intuendo, "vedendo" in che direzione si
punta il proprio arco:"In Occidente e cioè nell'Europa
elleno-romano-germanica, nonostante la sincope
della sua Tradizione, nel pieno di questa bimillenaria
notte, interrotta solo da eroici furori in cui, quella
che voleva essere l'aurora, si è mutata in un subita-
neo crepuscolo, vi è, indubbiamente, attraverso la
presenza di una Via sanguigna, un tipo umano che,
nel profondo, appartiene a quella Tradizione sinco-
pata nonché a quell'Occidente"(1). Analizzare limpi-
damente e serenamente i legami tra storia e politica
con Metapolitica e Tradizione non è cosa semplice,
specie per le implicazioni sentimentali che possono
intervenire, che possono introdursi erroneamente,
specie per quell'umana tendenza di far discendere
tutto al proprio livello, considerando, erroneamente,
l'umano come riferimento indiscutibile, che abbaglia
e non fa comprendere come, tradizionalmente inse-
gnato, l'inferiore, quindi la storia e la politica, non
possano indirizzare, giustificare, giudicare il
Superiore, quindi la dimensione platonico-realizzati-
va! Il rifiuto della linearità storico-temporale è acqui-
sizione comune di un certo schieramento ideale,
similmente la ciclicità come valore assoluto, come
LE RIVOLUZIONI ANTIMODERNE E LA TRADIZIONE: ORIENTAMENTI PERLA VISIONE DEL MONDO
di Janus
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norma generale di analisi: al di là dei riferimenti indù,
possiamo rifarci sia al tramando esiodeo sia alla
conoscenza dei saecula da parte di Etruschi e
Romani, oltre che a quello che gli Elleni denominavo
"grande anno platonico". Da ciò, simbolicamente e
geometricamente, invitiamo i lettori a considerare
una "apertura del cerchio" ed a visualizzare come
essa produca un andamento ondulatorio, con fasi
ascendenti e fasi discendenti, all'interno dello stesso
ciclo di decadenza: non una linea retta in caduta libe-
ra, ma una linea che a momenti, sporadici e non pre-
vedibili, subisce brusche interruzioni verso l'Alto,
quasi un richiamo, a volte a stento percettibile, a volte
confuso, verso il Centro, verso il Divino. Queste frat-
ture sono ravvisabili nella storia di tutte le civiltà
conosciute e sorte nel Kalìyuga: si sono manifestate
nell'Antico Egitto, in Roma Antica, nel Medioevo, tra
le due guerre mondiali! Come ripetuto più volte da
Benedetto Croce, dopo la Grande Guerra, emersero
Idee, Uomini, Influenze, che col passato recentissimo
non avevano nulla a che spartire, come se Qualcosa
ri-emergesse dall'Antichità, una sorta di moderni
Hykos; solo una visione storicistica, scientista,
moderna e quindi antitradizionale può limitarsi a con-
siderare i vettori di coagulazione socio-economica,
come la vittoria mutilata o il reducismo, che rappre-
sentano il contingente, non l'essenziale, come quadro
d'insieme! In questa sede è d'uopo considerare gli
aspetti Ideali che possono scaturire da un'analisi sto-
rico-politica, con un crisma di universalità e di atem-
poralità, come indicato in un fondamentale e raro
libretto di Cesare Mazza, della Scuola di Mistica
Fascista e come collante per la ri-affermazione della
grande Tradizione culturale Europea, e non gli ele-
menti datati, legati ad uno sterile nostalgismo che non
deve assolutamente appartenerci! La rivoluzione
antimoderna italiana, fascista si caratterizzava attra-
verso un'efficace personificazione dello Stato, per la
priorità data al volere e al benessere dello Stato stes-
so, rispetto a qualunque altro ideale libertario, come
superamento dello Stato laico ottocentesco, demo-
massonico, demo-liberale; c'è, quindi, un netto rifiu-
to delle teorie individualiste e contrattualiste:"Allo
Stato venne riconosciuta una preminenza rispetto a
popolo e nazione, cioè la dignità di un potere soprae-
levato solo in funzione del quale la nazione acquista
una vera consapevolezza, ha una forma e una volon-
tà, partecipa ad un ordine supernaturalistico"(2). Si
rifiutava, perciò, l'ideale venuto fuori dalla
Rivoluzione Francese, di cui l'elemento costitutivo
era l'individuo e la volontà dello Stato coincideva con
la somma delle volontà dei singoli, non essendo, così,
una vera volontà unitaria; lo Stato è, invece, un prius-
logico, la cui esistenza non è riconducibile all'attività
degli individui:"Senza lo Stato non vi è nazione. Ci
sono soltanto degli aggregati umani, suscettibili di
tutte le disintegrazioni che la storia può infliggere
loro"(3). L'ordine individualistico ha rappresentato
una delle più tormentate fasi di vita che la stirpe euro-
pea abbia mai attraversato e questo, in poco più di un
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secolo dal declino del sistema liberale e di quello
sociale, è
precipitato
nel dissol-
vimento. In
base a ciò
l ' o r d i n e
corporativo
si contrap-
poneva a quello individualistico per la sua finalità,
che era quella di elaborare da una massa informe
"l'entità morale del populus". In altre parole, il com-
pito primario dello Stato Tradizionale è quello di per-
mettere a ciascun membro della comunità di svilup-
pare la propria personalità attraverso il pensiero, la
azione, la lotta e la Vittoria, in relazione a qualcosa
che trascenda il banale individualismo, qualcosa che
permetta al cittadino di seguire la propria natura,
qualcosa che ponga Ordine e Giustizia dentro di sé,
quindi, come un riflesso incondizionato ponga
Ordine e Giustizia nella comunità Organica in cui
vive, secondo la Volontà degli Dei:"Noi dobbiamo
imitare, per quanto sia possibile, quell'Ordine, affer-
ma l'uomo della Tradizione, per la semplice ragione
che quanto più il mondo degli uomini, la Comunità
politica, si avvicina all'ordine cosmico che è eterno
da sé e per sé, tanto più la stessa Comunità politica
si avvicinerà all'eternità come tensione e model-
lo"(4). L'opposto è rappresentato dallo Stato
Moderno, in cui l'autorità è fatta discendere non da un
vero e giusto potere, ma dalla sopraffazione di una
parte sulle altre, in cui si manifesta il totalitarismo
che deve essere assente in uno Stato Tradizionale,
organico, articolato, differenziato, ove, sia, secondo
un'espressione di Walter Heinrich, omnia potens e
non omnia facens. Tale è l'insegnamento che deve
trarsi, la via verso la vera ed autentica Libertà, non
quella grigia e borghese dell'uomo-massa, ma la pre-
disposizione, l'attitudine ad una visione simbolica
della propria esistenza, liberamente magica, ad un
sussulto sovracoscienziale, trascendente, partendo
dall'interno, dalla propria interiorità, dalla propria
natura: il fondamento della visione del mondo e
della vita tradizionale è essere se stessi e restar
fedeli a se stessi! Seguendo tale filone, non possiamo
non notare come nella rivoluzione antimoderna ger-
manica, nel Nazionalsocialismo l'idea di Stato prima
espressa si trasmuti nell'idea del Volk, del popolo-
razza, ma non secondo canoni bio-zoologici, ma
secondo una qualità direttamente spirituale: qui non
neghiamo che in tale movimento non ci siano stati
elementi di razzismo biologico, che giustamente
Evola ha stigmatizzato e condannato, ma vogliamo
evidenziare come nelle alte sfere, nell'idea dello stes-
so Hitler l'istanza ultima e decisiva fu quella spiritua-
le(5). In quell'esperienza all'idea del Volk, al suo
Capo (quasi un centro ed una circonferenza), si
affiancò la tradizione aristocratica del Prussianesimo,
degli Junker, che riuscirono ad imprimere quella qua-
lità elitaria, d'ordine, di contro alle pretese populiste
29
![Page 30: Mensile o i r Associazione Culturale p o r p n i o Thule Italia t · mondo), ABRAXA (al secolo Ercole Quadrelli, una delle voci più efficaci del gruppo di Ur) e altri anco-ra. Secondo](https://reader035.vdocuments.pub/reader035/viewer/2022081422/5c69438a09d3f2f5638ce0b5/html5/thumbnails/30.jpg)
delle SA, stroncate drasticamente. Si riproposero le
basi affinché un nuovo "Stato dell'Ordine" prendesse
vita, retto da una elite, da un Ordine che sapesse farsi
testimone di una tradizionale visione del mondo. E'
consigliabile uno studio approfondito sui Castelli
dell'Ordine, sull'Ahnenerbe, ma quello che qui è
importante evidenziare è la consapevolezza di un
rivolgimento che fosse principalmente spirituale,
interiore, prima che politico e sociale, la creazione di
un umanità diversa, differenziata, consapevole nella
vita e nel Sacro delle proprie origini, della propria
tradizione. Analizzando, inoltre, la presenza in tale
schieramento del Giappone è ovvio notare che non si
trattò in tal caso di una rivoluzione, ma di una pluri-
secolare tradizione solare, di diritto divino che lottò
per il diritto alla propria esistenza, contro l'allora già
dilagante imperialismo americano. Da esso possiamo
riprendere la figura del Samurai, il portatore ed il ser-
vitore della Spada, cui lo lega un rigido codice etico:
l'anima di colui che impugna la spada deve essere
tagliente, acuta, forte, infrangibile e lucente, come la
spada stessa. In Giappone, infatti, la spada è ritenuta
figlia del lampo e nell'arte dello Iaido sussiste ancora
oggi il motto "sayabakare itto", "con il fodero rimos-
so il colpo è immediato", ad intendere l'impossibilità
per una lama di stazionare fuori dal fodero senza
muoversi e colpire, similmente a come avviene alla
folgore che, uscita dalle nubi, non può non muoversi
e subitaneamente colpire: è la spada l'anima purifica-
ta che deve accogliere in sé il Divino e co-vibrare con
esso. Non è casuale, poi, che negli ambienti dove si
studiava lo Iaido ed il Kendo si sia creato un gioco di
parole che avvicina il termine "Cavalleria", ossia
Kishido (Ki=cavalcare; Shi=uomo; Do=metodo),
all'arte della guerra tradizionale, il famoso Bushido
(Bu=combattere; Shi=uomo, samurai; Do=metodo).
Qui riecheggiano gli insegnamenti di altre grandi per-
sonalità, come Degrelle, Codreanu, Josè Antonio, di
questa grande rivoluzione antimoderna europea,
mondiale; in quegli anni sorse e si manifestò l'esigen-
za che noi qui, in pochi, ancora non narcotizzati
dall'Isola dei Famosi, avvertiamo come primaria, fon-
damentale, quella di una rivoluzione silenziosa, inter-
na, che sappia nel mondo, renderci differenti dallo
stesso:"Questa tradizione culturale europea si è tra-
dotta nella prima metà del XX secolo nella grande
corrente politico-culturale che si è convenuto defini-
re spiritualista nonché religiosa, come fenomeno
epocale europeo che ha rifiutato il materialismo
moderno e che è consistita in un generale stato d'ani-
mo e visione del mondo o complesso di idee senza
parole"(6). Oggi lo spettacolo cui assistiamo quoti-
dianamente è la massa informe che accorre nelle
piazze, la prevalenza della quantità sulla qualità delle
idee, proprio perché questa società aberrante porta,
chi si lascia portare, a ragionare sempre più in termi-
ni utilitaristici e non in termini di un valore spiritua-
le, di una realtà eterna che sia legittimata dall'Alto.: il
membro della comunità militante, perciò, non deve
abbandonarsi alla corrente di una società esclusiva-
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![Page 31: Mensile o i r Associazione Culturale p o r p n i o Thule Italia t · mondo), ABRAXA (al secolo Ercole Quadrelli, una delle voci più efficaci del gruppo di Ur) e altri anco-ra. Secondo](https://reader035.vdocuments.pub/reader035/viewer/2022081422/5c69438a09d3f2f5638ce0b5/html5/thumbnails/31.jpg)
mente di consumo, ma in sé deve rivivificare quello
stato d'animo di cui parla Giandomenico Casalino, in
nome dei valori sacri delle stirpi eroiche (Onore,
Fedeltà, Giustizia, Verità, Sacrificio) per cementifica-
re l'Organicità e l'Autorità della propria comunità,
che deve assumere le forme di una vera e propria
Civitas, di uno Stato Tradizionale, in cui poter libera-
mente seguire il proprio demone. Ciò che va inteso e
ribadito delle rivoluzioni antimoderne è la valenza di
riproposizione del Mito, che cerca di reincanrsarni
nella storia, di idee-forza che sublimano qualità
umane non adeguate, forse opportunamente non ade-
guate, affinché ciò che accadde valga come Simbolo
di una Reazione e non ad uso strumentale di paranoi-
che interpretazioni storicistiche, sociali, economiche.
Su tale punto, crediamo sia essenziale puntare i piedi:
considerare la rivoluzione italiana, quella germanica
o, magari, la splendida avventura legionaria rumena,
squarcandone gli accadimenti col bisturi ed il micro-
scopio per universalizzare elementi contingenti per
avvallare qualche meschina opinione personale,
significa solo condannarsi a non partecipare spiritual-
mente a quella tensione mitica, che travalica e supera
gli stessi avvenimenti e gli stessi attori dei fatti stori-
ci, quella tensione che unica può condurre l'uomo, il
militante di oggi ad accedere ad una dimensione tra-
scendente, secca, solare, priva di sentimentalismi, di
orgoglio, di vanità:" Da un lato, una nazione che, da
quando era divenuta una, non aveva conosciuto che
il clima mediocre del liberalismo, della democrazia e
della monarchia costituzionale, osò riprendere il sim-
bolo di Roma come base per una nuova concezione
politica e per un nuovo ideale di virilità e di dignità.
Forze analoghe si svegliarono nella nazione, che,
essa stessa, nel Medioevo aveva fatto suo il simbolo
romano dell'Imperium, per riaffermare il principio di
autorità e il primato di quei valori, che nel sangue,
nella razza, nelle forze più profonde di una stirpe
hanno la loro radice. E mentre in altre nazioni euro-
pee dei gruppi si orientavano già nello stesso senso,
una terza forza si aggiungeva allo schieramento nel
continente asiatico, la nazione dei samurai, nella
quale l'adozione delle forme esteriori della civilizza-
zione moderna non aveva pregiudicato la fedeltà ad
una tradizione guerriera incentrata nel simbolo
dell'Impero solare di diritto divino. Non si pretende
che in queste correnti fosse ben netta la distinzione
fra l'essenziale e l'accessorio, che in esse alle idee
facesse da controparte un'adeguata persuasione e
qualificazione delle persone, che vi fossero state
superate influenze varie risententi delle forze stesse
che si dovevano combattere. Il processo di purifica-
zione ideologica avrebbe potuto aver luogo in un
secondo tempo, risolti che fossero alcuni problemi
politici immediati e improrogabili. Ma anche così era
chiaro che stava prendendo forma uno schieramento
di forze, rappresentante una sfida aperta alla civiltà
" moderna ": sia a quella delle democrazie eredi
della Rivoluzione francese, sia all'altra, rappresen-
tante il limite estremo della degradazione dell'uomo
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occidentale: la civiltà collettivistica del Quarto Stato,
la civiltà comunista dell'uomo-massa senza volto"(7).
A tal punto, precisata l'ottica metapolitica con cui
partecipare idealmente al passato prossimo, quello
che inconsciamente ci ha riuniti, ci ha reso simili nel-
l'animo, non possiamo non vedere che da tutto ciò
una nuova Weltanschauung emerge, nuova ed arcaica
allo stesso tempo, un ricordo ed uno stato d'animo,
una vibrazione magica che ci rende partecipi degli
arcani del mondo, della Natura, della nostra più pro-
fonda interiorità. Una vibrazione che si sviluppa, in
primis, nell'individuo e nella polis in cui vive, quasi
simultaneamente, come se i sue elementi non possa-
no avere sviluppi separati, ma simbiotici, correlati tra
loro. Una vibrazione che non si manifesta senza un
ricordo, senza un'anamnesi, come scrivevamo all'ini-
zio di codesto articolo, essendo le due cose insepara-
bili, come il cittadino e la sua polis. Questa vibrazio-
ne non-duale noi la definiamo il Furor, lo stato d'ani-
mo ed il ricordo della nostra Tradizione. Nella tradi-
zione nordica Odino colloquia col gigante Mìmir,
custode di un pozzo che dispensa sapienza e cono-
scenza ai piedi dell'Albero del Mondo, essendo egli
"colui che ricorda", colui che conduce verso la via
dell'oblio celeste, di contro all'oblio terreno: in quel-
lo terreno l'uomo decade non ricordando più la sua
matrice e la sua origine divina; in quello celeste l'uo-
mo dimentica la dimensione profana, chiude i canali
di connessione con essa, non ricorda la propria con-
dizione caduca per ascendere a piani di sovracoscien-
za. Similmente in Grecia vi è Mnemosyne, dea della
Memoria e sposa di Zeus, madre delle Muse protettri-
ci delle Arti di palingenesi ermetica dell'umano nel
Divino. La Dea, infatti, rappresenta, con la sua fonte
anch'essa di saggezza, una delle due vie che l'anima
può intraprendere nel post-mortem. Secondo Platone
a destra, verso Mnemosyne, si conducono i dikaioi (i
giusti) ed a sinistra i adikoi (gli ingiusti):"Chi non ha
fresche nella memoria le beate visioni di lassù, o le
ha dimenticate del tutto, non si riporta subito all'es-
senza della bellezza allorché vede quaggiù l'immagi-
ne di essa, perciò non la venera quando la vede"(8).
La memoria, quindi, squarcia il velo dell'illusione
profana, accendendo nell'uomo un vero e proprio
fuoco divino: nella tradizione nordica tale fuoco, tale
furore, come invincibilità ed invulnerabilità, si mani-
festa nei guerrieri odinici Berserkir e Ulfeànar(9).
Un'Idea è stata mossa, evocata nel secolo avanti que-
sto da forze che ne hanno richiamato il Simbolo ed in
Thule, allora, facciano quadrato tutti quelli e quelle
che anelano fortemente a far riemergere , in primis in
sè, l'antica voce sacrale di questo Simbolo, di que-
sto Mito; occorre, infatti, che si incontrino tutti colo-
ro che "soffrono" l'ansia di essere presenti nella sto-
ria attuale e desiderano fortemente ri-collegarsi inte-
riormente con la Tradizione, quella vera, vivente,
espressione di una Forza e di un'Idea imperitura. E'
necessario, tramite la memoria, alimentare il Furor,
l'Impetus, come atteggiamento interiore, eroico, velo-
ce da tenere, come Hermes, sveglio perennemente,
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nelle antiche raffigurazioni rappresentato con elmo e
calzari alati:"Il loro agire non è umano e ciò che è
inaccessibile diviene accessibile per loro per effetto
della divina ispirazione, e si gettano nel fuoco, vi
passano attraverso, attraversano i fiumi. Tutto questo
dimostra che essi, nel loro entusiasmo, perdono
coscienza di sé e non vivono una vita umana o anima-
le, legata ai sensi e agli impulsi, bensì una vita più
divina che li ispira e li possiede completamente"(10).
Quanto scritto sinteticamente non è rivolto a tutti,
perché come spesso si è affermato Thule non è per
tutti, l'acquisizione della cittadinanza nella polis non
è automatica o dovuta, ma riservata a chi è dignifica-
to per raggiungere la Pax Interiore, attraverso la con-
quista del proprio Genius, ma anche per ri-manifesta-
re, ancora una volta, in piena Età Oscura, l'antica e
sapiente Parola della Tradizione.
Note:
1) Giandomenico Casalino, Res Publica Res
Populi, Edizioni Victrix, pag. 138;
2) Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich,
Edizioni Mediterranee, pag. 42;
3) Benito Mussolini, La Dottrina del Fascismo,
Edizioni riservata del Fuan Caravella, Roma, 1951;
4) Giandomenico Casalino, op. cit., pag. 23;
5) Julius Evola, op. cit., pag. 252-3;
6) Giandomenico Casalino, op. cit., pag. 25-6;
7) Julius Evola, Orientamenti, Primo Punto,
Edizioni Settimo Sigillo;
8) Platone, Fedro, 250e;
9) Informazioni utili sulle relazioni tra Memoria
e Guerriero è possibile ritrovarle nel testo di Mario
Polia, Furor, Guerra Poesia Profezia, Edizioni Il
Cerchio - Il Corallo;
10) Giamblico, I Misteri dell'Egitto, Red
Edizioni, pag. 63.
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Siamo nati in un tempo in cui è difficile affermare la
verità.
Noi siamo coscienti di dover rappresentare in questo
marasma umano che è la società moderna, un baluar-
do che sia da Luce a chi come noi vuole andare oltre
le illusioni che hanno ottenebrato la realtà, ma che
non potranno mai cancellare la Verità . E' tempo che
i lupi si uniscano, i nostri lupi, perché seppiatelo, c'è
un altro Lupo ed è quello che divorerà l'intera illusio-
ne, è un Lupo che si autodivorerà.
Ora, noi siamo posti di fronte a una scelta, essere, o
non essere.
Le Norne, le tre madri, drei mutter, sono sempre
state lì a tessere il Destino, ora noi, queste madri,
dobbiamo andare a richiamarle, esse sono le vie da
percorrere, è il Destino da percorrere. In questo duro
cammino, affrontiamo il fuoco, ed è come una porta
che noi passiamo, nelle nostre battaglie, che assomi-
gliano a quelle battaglie antiche, in cui bisognava
prendere i Castelli, da conquistare, da far fiorire e da
mettere tra loro in comunicazione per creare una
comunità; ecco, cosa dobbiamo fare, prendere i
Castelli, creare questa Comunità.
La base di ogni comunità sta nella Fedeltà e nella
Fratellanza, si è uno e tutti allo stesso tempo.
Non scordiamoci di Sigfrido, che conquista i dodici
castelli, da cui i suoi dodici vassalli, ma poi va lì, da
Re Gunther, ma lui li offre la mano della figlia, in
cambio del suo aiuto nel conquistare Brunilde, donna
guerriera, regina implacabile, nemica di chi vilmente
la vorrebbe prendere, quasi una sterminatrice, persi-
no di bambini. Ma lui, inizialmente si rifiuta: "io non
sarò mai un vassallo", ma ecco che scoprendo la sua
ricompensa, ci ripensa, aiuterà Re Gunther, frodando
Brunilde, facendole crederli di essere stata vinta in
duello dal solo Re. Ecco che Sigfrido va in contro a
fine tragica, forse Brunilde doveva essere la sua
donna al posto della docile Krimilde?
Questo dobbiamo chiederci. Dobbiamo chiederci la
valenza delle nostre scelte, delle nostre decisioni, è
per questo che non possiamo fare a meno di andare
avanti. Castello dopo Castello.
Chi sa se Sigfrido dopo il tredicesimo castello di
Gunther non ne avrebbe conquistato anche altri?
Troppo lontani forse, ma non inesistenti. A guidare i
"moderni" Sigfrido vi è la spada che tutti noi dobbia-
mo sguainare dal suo fodero, che sempre teniamo con
noi, è con questa che ci facciamo strada nelle orde
Nemiche, quelle orde che stanno dentro di noi, nel
nostro essere.
VERSO IL NOSTRO SOLE
di Avatar
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Sconfiggendole avremo raggiunto la nostra più gran-
de vittoria, queste orde si chiamano, materialismo,
egoismo, paura, il voler trovare il risultato matemati-
co in ciò che aborra la matematica. Guardiamo den-
tro di noi.
In questo duro cammino, molti sono i chiamati pochi
gli eletti, è il cammino della vita. Tutto dipende dal
momento in cui si decide di dare un senso o un altro
a una vita. Noi, daremo il nostro senso alla nostra
vita, e non è un caso che sappiamo come vivere per-
ché sappiamo come morire.
La morte, altro argomento su cui interrogarsi a lungo,
altra cosa che noi, come uomini sopra le rovine, non
possiamo non considerare come un fatto della nostra
esistenza. Si vive per morire? Si muore per vive-
re?…lunghe risposte si sono date a tali interrogativi,
noi, intesi come comunità dobbiamo riuscire a guar-
dare sorridenti anche di fronte al preludio della
morte, altra paura da oltrepassare.
In questo mese di Novembre, ci son cose che non
possiamo spiegarci sempre, anche sulla morte.
Dobbiamo meditare su questo con un'altra mente. I
Sigfrido, prenderanno anche il castello di Gunther, e
dalla collina vedranno sorgere il loro Sole su cui si
proietteranno, annichilendosi momentaneamente
nella loro ultima battaglia. E sarà da lì che, dopo le
battaglie di una vita, le cadute e le vittorie, avranno
trionfato finalmente, e da lì dietro, dall'ultima meta
agognata si apriranno i cancelli di quella casa a cui
hanno aspirato in tanti, a cui in tanti aspirano, ma in
cui in pochi potranno vivere, è la casa in cui avremo
compiuto ciò per cui qui ci siamo battuti. Per questo
è importante non cadere.
Vivere nella casa di Baldur o non vivere.
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E questa volta non ci sono nazisti a cui dare la
colpa.
I responsabili, sono gli unici presunti "europei" capa-
ci di tanto: gli immigrati maghrebini di prima o
seconda generazione - poco importa.
Mentre il quotidiano il "manifesto" tifa per loro, men-
tre i mass media (pilotati dai soliti egualitaristi terzo-
mondisti) li scusano, noi della Thule possiamo dire:
l'avevamo detto.
Sì, noi, invece di masturbarci con la politica elettora-
le o a favore di una "Europa musulmana unita alla
Turchia", pensavamo a mettere in guardia i lettori
dalle trame mondialiste che stanno portando alla
distruzione, questa volta totale, non parziale, della
nostra identità.
Se l'avvento del cristianesimo ha rappresentato la
definitiva caduta della nostra spiritualità, se la fine
dell'ancien regime e la rivoluzione francese hanno
eliminato ogni tipo di forma sociale e statale gerar-
chica e organica, salvo sparute eccezioni, comunque
anteriori al fatidico 1945, oggi l'avvento della società
globale e meticcia porrà fine ad ogni specificità etni-
ca ed in particolare porrà fine all'esistenza dei popoli
europei, destinati alla definitiva estinzione.
Da un anno a questa parte infatti la rivista Thule
denuncia il piano di invasione perpetrato dalle truppe
d'invasione mondialista: gli allogeni. Questi ben
lungi dall'essere utili all'economia sono semplice-
mente dei "borghesi in potenza", vestiti Nike e clien-
ti abituali di Mc Donald's.
C'è una bella differenza tra i palestinesi che combat-
tono a sassate i carri armati e i loro correligionari che
svestono il loro abiti tipici per indossare jeans e scar-
PARIGI BRUCIA
di Ans
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pe da ginnastica, tra chi proclama la teocrazia Afgana
e chi da allogeno dice di essere islamico solo per con-
venienza quando invece viola le leggi sacre in ogni
modo (non mi pare che il furto sia un precetto corani-
co). Una differenza importante da non scordare, quel-
la tra immigrati che sposano il modello occidentale -
quasi tutti - e i loro compatrioti e correligionari, che
restano nella miseria dei paesi d'origine pur di com-
battere.
In ogni caso, a differenza della maggior parte degli
europei, sempre disposti a prostrarsi di fronte alla
barbarie d'importazione, noi avevamo messo in aller-
ta il nostro lettore. Ieri a New Orleans oggi a Parigi.
A differenza della stantia, vetusta e ignorante "Area"
non ci crogiualavamo in sogni nostalgici (W gli asca-
ri !!!), immigrazionisti (vedi Fini e il voto agli immi-
grati), o tanto meno terzomondisti - con il solito
corollario di autocolpevolismo e di masochismo etni-
co (siamo tutti colpevoli se loro stuprano, rubano ecc.
).
E ricordate che mentre i nostalgici gridano "Eja Eja
Alalà" un ragazzo italiano su 5 rischia la sterilità
causa varicocele. Perché ? Semplice: non esiste più la
visita militare che poteva mettere in guardia i giova-
ni italiani.
Ed io vi dico, non curatevi dello shopping, pensate a
cosa sta succedendo a Parigi, a cosa succedeva l'altro
ieri a New Orleans. L'immigrazione la pagheremo
tutti. Nessuna integrazione. Aiuto nei paesi d'origine
ma fermezza e rispetto della legge in Europa, con
flussi regolati dai paesi Est Europei e blocco dell'im-
migrazione dal Terzo Mondo. Questa l'unica via per
sopravvivere. Ma dato che nessun politico adotterà
una politica del genere vi dico, in tutta sincerità …
Andate in palestra. Vi servirà quando dovrete difen-
dere la vostra famiglia dagli assalti dei vandali allo-
geni.
Smettetela di rimpinzarvi di cibo e alcool.
Abituatevi a quando non ci saranno più supermarket.
Imparate a curarvi da soli. Non ci saranno medici-
ne quando il sistema crollerà.
Abituatevi ad uno stile di vita sobrio e spartano.
La durezza dei costumi genera dei guerrieri, gli agi
della vita moderna generano solo borghesi omoses-
suali (ogni riferimento a magnati dell'industria auto-
mobilistica è puramente casuale).
Fate dei figli e allevateli come si conviene a dei
guerrieri indoeuropei. E' questa una delle poche
speranze per il futuro.
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Premessa
L'8 Maggio del '45 si chiudeva, ufficialmente in Europa una stagione che se addensata di lutti, orrende stra-
gi, e drammi di ogni tipo non potrà non essere in futuro ricordata come l'ultimo canto del Cigno della
Germania e del Popolo Tedesco, quando il concetto supremo di volontà si era incarnato nell'Azione per mezzo
del suo Cancelliere Adolf Hitler, autentico catalizzatore dei destini superiori della Nazione Tedesca prima e
Europea successivamente;
Non può quindi non stupire che quello spirito sopravvivesse, ma ancora di meno deve stupire che esso, mano
alla armi trovasse ancora chi lo avrebbe difeso.
L'Armata del Lupo quindi, ovvero la traduzione corretta del ter-
mine Werwolf che , insieme con l'assonanza Werewulf (lupo man-
naro) rappresentarono non solo uno spirito politico incarnato in
chi ne fece parte, ma anche la logica Weltanschauung di chi ne
militò, operando braccato appunto come Lupo, con motivata fero-
cia e deciso a difendere solitariamente o in piccoli branchi il pro-
prio territorio, invaso dagli eserciti alleati
Poco calzante comunque qualunque paragone eventuale con i movimenti cosiddetti partigiani; Infatti se assi-
milabili per un certo verso come tecniche di lotte e combattimento, ricordiamoci che i Lupi operarono senza
alcuna speranza ne possibilità di appoggi esterni (a differenza dei vari movimenti della cosiddetta resistenza
che ricevevano normalmente aiuti paracadutati) e soprattutto senza nessuna possibilità di aiuto o cooperazio-
ne da parte di alcuna forza militare regolare. Quindi una dimostrazione di quello che se alcuni possono con-
siderare insensato fanatismo, noi possiamo invece considerare come precisa e ferrea volontà di testimoniare
fino all'ultimo ciò che è stato ed è il più elevato Idealismo. Tutto ciò perchè se essi obiettivamente senza spe-
ranza, essenzializzavano comunque la decisa volontà di ricordare al mondo che un certo spirito, una certa con-
WERWOLF! GUERRIGLIA IN GERMANIA
di Miles
fig 1 Dente di Lupo - Prapaganda Werwolf
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cezione immateriale ed elevata della vita si è manifestata, e se dopo sessant'anni di oblio storico e soprattut-
to di ulteriore decadenza morale dell'Uomo noi siamo ancora qui a parlarne vuol dire che questo inverno per
quanto rigido e lungo, prima o poi lascerà un posto ad una radiosa primavera.
Nascita, retroterra culturale e politico
Come naturale frutto del Nazionalsocialismo , che considero riduttivo legare solo al NSDAP, in quanto ciò
limiterebbe ogni analisi solo ad una certa contingenza storico-politica, il fenomeno Werwolf ha radici che
affondano nei secoli, non mescolando, ma invece unendo in un filo unico elementi connessi alla storia stessa
della Germania, "barbare" concezioni di antica ritualità Pagana, con una Mistica Medievale che trae radici
pulsanti dal Cristiano Meister Eckhart,e dai Cavalieri della Croce Teutonica, dalla Gross Preussen trionfan-
te a Sedan, alle pulsioni ed alle dinamiche del Socialismo,ovvero un cammino simile, parallelo e però desti-
nato ad incrociarsi con l'Italia e la continuità dell'Impero e della missione di Roma, entrambe non a caso delu-
se e catalizzate dalla Prima Guerra Mondiale.
fig. 2 - Istruzioni di Martin Bormann si funzionari di partito, per la creazione di cellule dicombattimento, in data 10 Marzo 45
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Possiamo perciò considerare oltre ai sovraesposti motivi di fondo, almeno cinque importanti basi ed esempi
per la (ri)nascita e lo sviluppo dell'"Armata del Lupo"
" Il primo, movimento Werwolf, ovvero una forma di milizia contadina, che durante la guerra dei tren-
t'anni, si formò in vari villaggi dellla Germania , ove in un paesaggio lavorato dall'uomo irrompono i demo-
ni della distruzione sotto forma di armate mercenarie straniere. Agguati, e assalti da e nella macchia, sono la
tattica di combattimento di questi militi, non tanto e non solo per salvaguardare uno status quo di vita, ma
soprattutto per difendere e far rivivere mediante il combattimento una mai sopita forma mentis. Non a caso
l'omonimo romanzo di Hermann Löns, vettore di questa specificità guerriera fu uno dei libri più letti , diffu-
si (e la cui lettura era incoraggiata) nel primo dopoguerra. Ernst Jünger rileggendo sul fronte russo Il
Wehrwolf osservava che "malgrado quella maniera xilografica, la descrizione risente dell'antico nomos".
" La prima Tugendbund.che insieme alla Landsturm furono strumenti di catalizzazione la prima e di
organizzazione "paramilitare" la seconda (anche se più corretto dire di esercito di popolo, vista la sua conno-
tazione di leva "quasi" generalizzata) ovvero di forza d'urto, capeggiata dalla nobiltà tedesca (in primis dal
Von Lutzow) in funzione di contrasto alle truppe Napoleoniche , a partire dal 1809;
Curioso da notare che fu il primo esempio di leva generalizzata in Prussia, contribuendo a costituire sia come
base di Tradizione, che come esperienza bellica, la "nuce" di quello che fu uno dei miglio eserciti del mondo.
" I Freikorp post 1918 - ovvero i veterani della Prima Guerra Mondiale che per contestare il Trattato di
Versailles e per sentirsi meno "abbandonati" dallo stato durante la grande crisi economica tedesca conseguen-
te alla fine della Guerra, si riunirono in Corpi Franchi, ovvero Corpi Liberi, comandati dai loro diretti supe-
riori del tempo di guerra e totalmente indipendenti dallo Stato Tedesco prostrato ai Vincitori.
fig. 3 Attentato nell’aprile 1945 fig. 4 Attentato ad una tradotta della 7a armata USA
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Politicamente di estrazione varia erano per la maggior
parte dei NazionalBolscevichi anti Marxisti, formando la
cosidetta Rivoluzione Conservatrice del Socialismo
Prussiano. I Freikorp a livello organizzativo erano delle
formazioni "irregolari" che si muovevano in una situazio-
ne di virtuale anarchia statale, con l'unico obbligo di fedeltà verso il concetto di Onore e Cameratismo e di
obbedienza al loro comandante, spesso un Eroe di Guerra.Utilizzando le stessi armi e il più delle volte gli
stessi fregi dei reggimenti nei quali avevano combattuto, con l'aggiunta di scudetti da braccio riportanti il
nome del Freikorp (che di solito era quello del loro ex Comandante in guerra e attuale Comandante in stra-
da); molto utilizzato sara' il Totenkopf, proprio degli Ussari Neri della Testa di Morto, che verra' poi proprio
per questo usato anche dalle SS.
Su molti elmetti verra' utilizzato anche lo Swastika, simbolo su cui non credo si debba dire ulteriormente ma
che nelle trincee era usato anche come portafortuna esoterico e mistico , I Freikorp combatterono ferocemen-
te in Slesia e in Pomerania contro i Polacchi che volevano annettere Danzica e parte della Prussia Orientale,
cosi come difesero la zona della Ruhr dalla presenza allogena delle truppe Francesi.(oltre che un opera di tota-
le contrasto alle forze Spartachiste nei grandi centri urbani)
" Le formazioni NS clandestine in Austria prima del 1938 , e in Cecoslovacchia che spesso, essendo
fig. 5 Cecchino ucciso dai Britannici, mentre in abiticivili difendeva Lubecca, nel Maggio 45, il cuicorpo fu, lasciato esposto a monito della popolazio-ne.
fig.6 (a destra). Fucilazione del Werwolf RichardJagczyk
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fuorilegge si trovarono, ad agire e proliferare in
maniera occulta, furono un ottimo archivio di tecni-
che non convenzionali.
" Infine la tradizione dei tribunali della Santa
Veheme, fraternità medievale a forti connotati esote-
rici, che amministrava una giustizia, spietata , senza
volto, contro i nemici del popolo, in nome di un con-
cetto di giustizia superiore (di origine Divina) e quin-
di non necessitaria di qualsiasi formalità giuridica,
con agguati nel cuore della notte terminanti con
l'esposizione del cadavere a monito per la popolazio-
ne.
Breve storia del movimento
Alla fine del 1944, in previsione di un generale col-
lasso sui due fronti, nel prospettarsi di una mitologi-
ca apoteosi crepuscolare di sangue germanico, il
Reich tedesco, nelle figure di Himmler, Bormann e
Goebbels, , decisero di organizzare, addestrando
componenti della Hitlerjugend, SS, Luftwaffe e
Volkssturm, gruppi di partigiani Hitleriani che avreb-
bero dovuto rallentare l'avanzata nemica operando
occultamente nelle retrovie , e continuare la lotta
nelle foreste dopo una eventuale caduta del Terzo
Reich.
Vennero qundi organizzati e addestrati parecchi grup-
pi di resistenza, a loro volta ideati e comandati da
numerosi Uomini di Fiducia del Fuhrer (Axmann,
Goering, Kaltenbrunner), e vennero messi tutti sotto
il controllo del Generale delle SS Prutzmann, per un
totale di alcune migliaia di nuove "reclute"
La Germania aveva accumulato durante la guerra una
non comune esperienza di guerriglia e controguerri-
glia, e ne aveva elaborato le principali tecniche, e
appunto per lo studio e l'elaborazione di queste fu
creato un apposito ufficio di studio in ambito SS e
uno similare presso l' OKW
(OberKommandoWehrmacht), gli stessi che nel
Dicembre 44, insieme ad elementi principalmente del
501 SS FalschirmJager e della Divisione
Brandeburgo misero in moto, sotto la guida del
Colonnello delle SS Skorzeny, l'operazione Greif
(Grifone), ovvero la penetrazione di circa duecento
addestratissimi soldati, dietro le linee nemiche nelle
Ardenne, ove, indossando l'uniforme della Polizia
Militare americana, e essendo tutti perfetti padroni
della lingua, contribuirono, con operazioni di sbaglia-
to convogliamento e incolonnamento dei rifornimen-
ti, ad allentare la pressione sul fronte
Oltre che nel castello , di Hülchrath, vicino alla città
renana di Erkelenz, dove affluirono i primi volontari
fu deciso, onde rendere efficace una organizzazione
ramificata a cellule indipendenti di costituire presso
molti centri di addestramento della HitlerJugend (e
della BDM, la componente femminile dell'organizza-
zione), scuole di sabotaggio e di operatori-radio, per
permettere una sia pur latente struttura di coordina-
mento tra i vari Werwolf -Kommando e di poter
instaurare emittenti radio clandestine, per sobillare la
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popolazione e ricordare loro che "qualcosa" viveva
ancora, la più famosa delle quali appunto fu Radio
Werwolf, che trasmetteva proclami e direttive di att-
tacco dal cuore della foresta di Harz. A tutto ciò anda-
va unita la stampa e la diffusione capillare, oltre che
di testi "Ideologici" anche di manuali di tecnica di
guerriglia, di sabotaggio e di "ricette" per fare esplo-
sivi con elementi di facile reperibilità.
Questo processo avvenne parallelamente alla milita-
rizzazione della restante , non mobilitata precedente-
mente, popolazione civile, mediante la formazione
della VolkSturm che anch'essa erede dei movimenti
di milizia armata sopra ricordati, aveva i caratteri (e
in parte lo status legale) di componente regolare delle
forza armate. Anche se spesso vengono descritte
esclusivamente come "arma della disperazione" que-
sto nuovo tipo di pratica furono allo stesso tempo
causa ed effetto di una evoluzione del
NazionalSocialismo, ritornando più vicino che mai
alla sua caratteristica di movimento da e per il
Popolo, inteso come la forza vera della Nazione.
Questo processo che parte dai processi e dalle epura-
zioni, più Ideologiche che fisiche, a seguito del com-
plotto traditore del 20 Luglio 44, riavvicinano il NS,
ulteriormente alle sue radici più profonde e immate-
riali, ma allo stesso tempo, alla sua origine
Movimentista, Ardimentosa, e per certi versi caratte-
rizzata da un "Nichilismo Costruttivo", oltre che ad
una più diretta interazione con le masse in ottica
interclassista, purgandolo dalle scorie borghesi e dai
circoli di pressione affaristici , industriali e militar-
conservatori (ed è da notare come tutto ciò permettè
che nella seconda metà del 1944, la produzione mili-
tare crescesse del 40%). Tutto ciò a similitudine , per
fare un paragone a noi magari più vicino e conosciu-
to con le scelte compiute sempre nel 44 dal PFR, al
congresso di Verona, con una nuova pagina di storia
che è ancora tutta da scrivere, perchè rimasta intonsa.
Queste formazioni di combattimento rientravano nel
più grande piano strategico del cosidetto "ridotto
bavarese" ovvero la concentrazione delle ultime
grandi unità, in questo autentico bastione naturale,
onde poter, insieme alle pari passo sviluppate armi
segrete, poter essere un centro per una ipotetica
riscossa della macchina bellica tedesca, o più verosi-
milmente per il tanto atteso, sperato e logico cambio
di fronte AngloAmericano, in funzione anti-
Sovietica, ritenuto verosimile fino a quasi l'ultimo
mese della Guerra. Solo il repentino crollo del Reich
, a seguito della capitolazione seguita alla Caduta di
Berlino, con l'ordine di Keitel , di fermare qualsiasi
attività militare in corso, evitò l'attivarsi generalizza-
to del meccanismo
Di pari passo all'avanzata del Esercito Russo in
Pomeriania e Slesia e dell' Esercito Yankee sul
Reno,molte di queste unità di combattimento inizia-
rono la loro guerriglia condotta solitamente durante
la notte, quando uscivano dalle loro "Tane di Volpe"
(delle buche piene di armi scavate a fondo nel terre-
no boschivo onde evitare di le emanazione di odori
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percepibili dai cani poliziotto) dedicandosi alla
distruzione dei ponti, dei depositi dell' esercito inva-
sore, alla minaccia dei collaboratori degli alleati/russi
e alla loro stessa liquidazione ; L'episodio piu' singo-
lare fu' l'uccisione, perfetta nella sua esecuzione,del
Burgmeister (borgomastro/sindaco) tedesco instaura-
to dagli alleati ad Aachen, tanto che sia civili che
alleati cominciarono a temere il fenomeno, vista
anche la tendenza degli eserciti occupanti a ricattare
e tiranneggiare la popolazione con tagli alle già mise-
re razioni di cibo, nefasta conseguenza del progetto di
distruzione del popolo tedesco, mediante una calcola-
tissima sottoalimentazione attuata su disposizione
dell'assistente di Roosevelt, Morgenthau.), alla già
citata pratica medievale della Sacra Veheme, ovvero
il Tribunale Popolare che giudicava e colpiva a morte
i traditori (chi alzava bandiera bianca dinnanzi ai can-
noneggiamenti russi, chi tradiva i segreti dei
Wehrwolfen, chi collaborava con il nemico). Le prin-
cipali azioni, oltre alle citate esecuzioni vehmiche
(che furono circa una decina di casi) riguardarano
azioni cruente di sabotaggio con esplosivi, presso
caserme , comandi , e trasporti militari, nodi ferrovia-
ri e ponti, (con svariate decine di nemici uccisi) ma
anche è soprattutto una più minuziosa opera di sabo-
taggio delle comunicazioni mediante centinaia di epi-
sodi di taglio di cavi telefonici e di distruzione di
gruppi elettrogeni e stazioni radio;
A livello pianificativo, da Prutzmann fu ritenuto più
saggio creare un clima di incostante insicurezza pres-
so i comandi alleati, e di confusione nelle organizza-
zione e comunicazione, in modo che col minimo sfor-
zo, fosse possibile ottenere a livello strategico, il
massimo danno, evitando infine il rischio che opera-
zioni di maggior portata ma magari di non totale suc-
cesso, portassero , oltre che alcun risultato alla Lotta,
la possibilità di scoperta dell'intera cellula . Si calco-
lò infatti che nell'ottica strategica dell'azione avreb-
bero causato molti più danni centinaia di piccole
azioni che uno o due "colpi grossi", distogliendo
truppe occupanti nella protezione di una vastissima
rete di obiettivi sensibili.
Unito a ciò, ed all'opera occulta di sabotaggio,
mediante immissione nei serbatoi dei mezzi alleati di
sabbia e detriti, è da rilevare come tali tipo di azioni
richiedessero un basso supporto logistico, ed erano
fattibili anche dagli elementi che sebbene ben moti-
vati, scarseggiassero di addestramento.A scanso di
equivoci di stampo sensazionalistco-complottista, è
da notare come queste strutture, acefale (è perciò
semmai ancor più degne di lode in quanto non pote-
vano contare su alcun appoggio, anche morale, gerar-
chico) non ebbero mai , in fase postarmistiziale, ne un
capo ne un qualsiasi ordinamento anche clandestino.
Altre azioni della Werwolf furono le scritte murali
giganti notturne nelle citta (tipo "Lieber tod als skla-
ven" o "Sieg oder Tod" e "Wir kapitulieren nie!"), la
propanda antialleata clandestina e numerose minacce
vergate sui muri ma il piu' delle volte fisiche a tutti
coloro che, oltre a non supportare la Resistenza
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Werwolf collaboravano anzi con il nemico. Visto che
per il Werwolf la cattura equivaleva alla morte.
Va' detto che singolari azioni come e gigantesche
"incise" su laghi gelati (1946) e altre azioni di sabo-
taggio non si spensero fino al 1957, anche se la mag-
gior parte della prassi di azione continua, terminò nel
1947.
Che risultati ottenne la Werwolf?
Al di là di una mera lista numerica, di numero di
obiettivi raggiunti, è da notare che la Werwolf come
non avrebbe potuto vincere un nemico così preponde-
rante ha comunque conquistato il suo obiettivo, ovve-
ro quello di Testimoniare. A mio modesto parere è da
rivelarsi infondata l'ipotesi di alcuni storici, che riten-
nero non tanto "inutile", ma bensì dannosa la loro
opera, in quanto acuì le coseguenze dell'occupazione
alleata. Basterebbe ricordare loro le centinaia di
migliaia di prigionieri di Guerra Tedeschi, voluta-
mente lasciati morire di fame, onde poter minare ogni
base di rinascita della nazione, o le stesse magre
razioni che venivano destinate alla Popolazione civi-
le (e amministrate con una perversa logica di Do ut
Des in cambio della dignità di un popolo, e dove gli
americani che sempre si son vantati di essere un
popolo di liberatori, amministrarono con la più scien-
tifica prassi di procurata sottoalimentazione) oltre
ovviamente alle deportazioni forzate ad Est, di un
elevatissimo numero di civili (oltre un milione, citan-
do le stime più basse) sancite esse stesse nella
"democratica" conferenza di Yalta; Solo la successiva
(e tra l'altro prevista da Hitler) rottura della "strana
alleanza" convinse che "forse" la Germania qualche
valore nell' ambito geopolitico poteva averlo e quin-
di vi fu un radicale cambiamento "contrordine", sia
ad Est che ad Ovest.
fig. 7 Swastika, Notare la data 1946
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Non so quanti di voi conoscano il gioco della id Software “Return to Castle Wolfenstein” ma per continuare
a leggere e godere delle assurdità che si paleseranno a breve occorre una concisa descrizione del gioco.
Questo sparatutto si svolge nel 1943, durante la seconda guerra mondiale. Voi impersonerete B. J.
Blazkowicz, un sorta di agente segreto degli Stati Uniti, che incaricato dall'UAS (Ufficio Azioni Segrete)
dovrà far luce su strane voci che parlano di attività occulte e ingegneria genetica da parte dei nazisti.
All'inizio dell'avventura, riusciremo facilmente ad evadere dalla nostra cella per poi fuggire dal castello di
Wolfenstein, facendovi largo a colpi di pistola. Usciti dal maniero dovrete intrufolarvi in un paesello pieno
zeppo di nazisti pronti a tutto pur di mandarvi prima del previsto dal buon Dio, per poi entrare nelle viscere
della terra, nelle catacombe. Qua verrete attaccati da cavalieri fiammeggianti e zombie che colpiranno indi-
stintamente voi e le truppe tedesche rimaste dentro, e a poco a poco verrete a conoscenza di nuove armi bio-
logiche sviluppate dalla divisione paranormale delle SS guidate da una certa Von Bulow. Scoprirete che
dietro tutto questo si cela l'enigmatica figura di Heinrich Himmler, braccio destro del Fuhrer, coinvolto nella
ricerca della tomba di un antico sovrano e dei suoi Cavalieri Oscuri, e del quale dovremo svelare l'intero
piano.
IL “RITORNO A CASTEL WOLFENSTEIN” DIVENTA...STORIA!
di Marco Linguardo
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Ed ora tenetevi forte perchè quanto leggerete vale molto di più di mille libri di barzellette di Totti! Veniamo
alla cosidetta "storia" e precisamente ad una parte di un paragrafo tratto dal libro "Attività delle SS-
Ahnenerbe" di Gabriele Zaffiri edito da Nicola Calabria venduto anche nelle Librerie “specializzate”....
“LE SS-AHNENERBE A CACCIA DI PIETRE SPAZIALI
(…)
Un'altra inquietante pietra che fu oggetto di attenti studi da parte dei ricercatori delle SS-Ahnenerbe fu la
"Pietra di Chintamani", un trapezoedro di pietra nera o dì metallo con particolari striature luccicanti. Una
parte sarebbe conservata in un monastero del Tì-bet, un'altra presso il Museo di Storia naturale di New York
e un ulteriore terzo frammento sembrerebbe trovarsi nella mitologica ed esoterica città di Shamballah.
Molti testi esoterici, tra cui gli scritti di Ponape, oltre ai testi già su riferiti, ne menzionano l'esistenza. In
base ad antichi testi, visionati da alcuni ricercatori delle SS-Ahnenerbe, un pezzo della Pietra di Chintamani,
che avrebbe una certa origine celeste, fu mandato dal Tibet al re Salomone in Gerusalemme che la spezzò
ulteriormente ricavandone un anello. Leggenda simile a quella relativa all'anello con il simbolo della svasti-
ca posseduto dal grande condottiero Gengis Khan. Ebbene, sempre secondo le ricerche effettuate da alcuni
studiosi delle SS-Ahnenerbe che riuscirono persino a visionarle, le Pietre di Chintemani avrebbero la facol-
tà di influenzare persino gli eventi mondiali. Infatti risulterebbero costituite da moldavite, uno strano mine-
rale conosciuto per essere una sorta di "accelleratore" spirituale e, secondo alcune leggende, fungerebbero
da faro guida in grado di condurre alla "città degli otto immortali". Secondo quanto raccontato da alcuni
bonzi lamaisti, le Pietre di Chintamani avrebbero una sicura origine celeste, in quanto proveniente da un pia-
neta del sistema solare di Sirio. Sarebbero caricate con lo "Shungs", e quindi sarebbero simili ad un accu-
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mulatore elettrico. Inoltre le Pietre sarebbero capaci di restituire l'energia accumulata al suo interno per far
si di far aumentare la vitalità spirituale di chiunque la tocchi, incrementandone altresì le conoscenze e le
capacità psichiche. Quindi una chiave per accedere al destino di ogni persona. Unendo queste strane ricer-
che esoterico-misteriche con esperimenti occulti e genetici, utilizzando l'ingegneria robotica e biologica
con antichi riti, alcuni studiosi delle SS-Ahnenerbe, inglobati nella SS-Paranormal Abteilung, la cui pro-
tezione era affidata ad un reparto di donne guerriere delle SS sul modello mitologico delle Walchirie -
comandate dall'Oberst (grado corrispondente a colonnello) Helga von Bulow, cercarono di creare un eser-
cito invulnerabile di zombies SS (in merito si veda il capitolo "Operazione guerrieri invincibili" sul libro
"Ahnenerbe - l'Accademia delle scienze delle SS") Gli esperimenti furono effettuati presso il castello di
Wotfenstein, nella zona di Padeborn; e da documenti che circolano tra gli studiosi, fu creato almeno uno staf-
fel (squadra) che doveva portare alla creazione di un "KOMMANDO LEBEND.TODS".
Tali prototipi di zombie-SS furono chiamati in codice "Uber-Soldat" e tutto il loro corpo era pieno di
metallo. Questo perché sì utilizzava tecnologia Tesla in grado di generare sugli "Uber-Sol-dat" potenti campi
elettrici e magnetici, per poterli così teleguidare come vere e proprie creature alla Frankensteìn. Inoltre il
reparto speciale della von Bulow compiva scavi archeologici nei pressi del villaggio, ubicato vicino al castel-
lo.
Si sa che scoprirono molte catacombe e un'antica chiesa; inoltre scoprirono moltissimi manufatti risalenti
all'incirca all'anno 1000 d.c...
In merito alla SS-Paranormal division proponiamo 4 telegrammi, venuti alla ribalta dopo molti anni dalla
fine della guerra. Eccoli:
1 March 14, 1943 7pm
Very upset with how things are progressing. The work is getting sloppy. Everyone in too much of a rush.
Ignoring precautions. Certain corners just cannot be cut. Those olà mystics werefar too cleverfar that. Helga
is thè worst offender of. ali. And she is supposed to be overseeing us! Does she remetnber 1939? Does she
want another disaster like thè Holstein dig? Ithink this piace is affecting her. I know it's affecting and I don 't
just mean thè weather.
2 March 16, 1943 5pm
Total disaster! Just as Ifeared. A premature breech ofthe outer seal. Ali Hell has literally broken base! It 's
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1939 ali aver again, maybe even worse. Three team members missing - including Otto. Idon ì hold out much
hopefar them. Also, Ijust heard two spies were captured. Can thingspossibily gei any worse? Ifeel awful.
3 March 17, 1943 3pm
Unbelievable! Wejust barely contain one disaster and now she speaks ofgoing after thè "Dagger of Warding
".
4T0: SS Oberfuhrer Blavatsky
From: Oberst Von Bulow
Ihave incredible news. Our team hasjust uncovered evidence of an even older burial site within thè church
ruins. I believe this could actually be thè Tomb of Olaric, fabled weaponsmith of Ancient Thule and founder
ofthe Legion ofthe Dark Forge. If this is thè case then contained within may be thè long lost Dagger of
Warding, one ofthe most coveted relics in ali ofThulian lore. What a glorious discovery this would befar ali
ofus.
Regards,
Oberst Helga Von Bulow, SS paranormal Division"
Pensierino della sera: Ricordatevi che Thule Italia non deve estraniarsi da questa epoca di disvalori ma deve
viverla per utilizzarne i mezzi e per smascherarne - a cominciare dalle inezie - le menzogne.
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Quanto accaduto nelle ultime settimane a Parigi e in
altre città francesi si impone alla nostra attenzione in
modo eclatante. Molte sono state le interpretazioni
per spiegare questo conflitto sociale sbocciato
improvvisamente nel cuore della nostra Europa di cui
la Francia, da sempre, rappresenta un baluardo… in
negativo… è doveroso aggiungere.
Molte voci interessate si sono fatte sentire e, come al
solito, accavallandosi e confondendosi non hanno
permesso ad alcuno di comprendere la torbida realtà
che tali fatti chiaramente sottintendono .
Dal punto di vista di Thule dovrebbe essere chiaro
che il volersi schierare, come gioco dualista impone
alle coscienze ottenebrate, da una parte o dall'altra
della barricata è quanto di più ridicolo e assurdo si
possa immaginare. Schierarsi con l'ordine costituito
rappresentato dal governo francese o con i "ribelli"
delle banlieus è comunque schierarsi contro sé stessi
e contro i propri più vitali interessi.
Quella rivolta che si è propagata a macchia d'olio dai
quartieri più fatiscenti della metropoli parigina
potrebbe richiamare alla lontana il fuoco della rivolu-
zione francese che arse in pochi anni tutto ciò che
rappresentava il vecchio e decrepito ordine segnando
l'ascesa definitiva della borghesia. Anche se forse ci
troviamo in presenza di un evento meno radicale
rimane senza ombra di dubbio un' avvisaglia di tempi
molto turbolenti per i popoli europei che, schiacciati
fra immigrazione selvaggia ed un sistema economico
sempre più asfissiante impostato sul dogma consumi-
stico, stanno letteralmente perdendo la loro anima.
Il nocciolo dell'intera questione è la mancata integra-
zione di queste genti di colore all'interno delle nostre
società ma, a differenza di come vorrebbero presen-
tarcela i governanti e i mass media, tutti impegnati in
contorsionismi mentali per spiegare il risultato ovvio
di una forzatura che vìola tutte le leggi della Natura,
l'integrazione non è fallita a causa di errori secondari
ma proprio perché sotto qualsiasi condizione essa è
semplicemente impossibile, almeno fintantoché esi-
steranno differenti razze.
Il punto cruciale in ordine a questi problemi secondo
la nostra visione del mondo non è mai stato come
livellare tutta la popolazione di un paese affinché non
IN MERITO AGLI ACCADIMENTI FRANCESI E...OLTRE
di Alchemica
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sorgessero ingiustizie ma invece quello di come sud-
dividere gerarchicamente le funzioni e i ruoli all'in-
terno della stessa per creare quell'armonia che è spec-
chio fedele dell'Ordine Celeste.
Le democrazie moderne peccano (ma dire "peccare"
è un eufemismo perché anzi le democrazie assolvono
proprio il compito assegnato loro laddove generano il
caos crescente che è sotto gli occhi di tutti) di questa
risibile convinzione: che sia possibile un domani in
qualche modo integrare tutti sullo stesso piano.
Fermo restando quanto appena detto sarebbe altresì
errato voler operare un riduzionismo che indichi nel
solo fattore razziale (nella sua stretta accezione biolo-
gica) l'origine di quanto sta avvenendo in Francia e,
secondo quanto riportano le notizie più recenti anche
in altri paesi d'Europa. Bisogna infatti anche tener
conto della degenerazione in senso materialista di
quelli che difficilmente potremmo trovar il coraggio
di definire fratelli di stirpe.
Una vasta congerie di individui atomizzati e massifi-
cati che gli echi perniciosi del mai cancellato pensie-
ro giudaico-marxista continua ad aizzare e sollevare
in funzione destabilizzante contro la coesione sociale
del nostro popolo.
La questione è dunque composita e non presenta faci-
li vie d'uscita. Se da una parte tali sommovimenti
all'interno del tessuto della nostra società segnano
l'aggravarsi della crisi di questa nostra epoca con
tutte le conseguenze negative che questo comporta
d'altra parte è proprio grazie a tali circostanze che ci
si può aspettare che sorga una reazione, una presa di
coscienza, un movimento nuovo e rinnovatore che
sappia, per dirla con Evola, tramutare il veleno in far-
maco.
Di certo non sarà con l'aiuto di maghrebini e disere-
dati che la gioventù d'Europa potrà costruire il suo
futuro ma è proprio tramite la polarizzazione della
crisi fra organismi di governo e le masse urbane che
potrà stagliarsi gradualmente una nuova figura di
combattente e patriota. Superiore ad un tempo agli
uni e alle altre. Thule si incastra esattamente in quel
centro lasciato vuoto dagli stolti e dai dormienti.
Mentre i nostri nemici lavorano a scavarsi la fossa da
soli Noi siamo impegnati a costruire una realtà diffe-
rente, una realtà che ci parli di un ritorno progressivo
alla Terra e ai suoi benefici frutti e, nello stesso
tempo, un ritorno al senso di stirpe secondo le leggi
inviolabili del Sangue. Pur accettando la sfida di
sopravvivere in un contesto urbanizzato e moderno
già possiamo tracciare delle linee ideali che indichi-
no ciò che di questo mondo attuale Noi categorica-
mente rifiutiamo e non sentiamo appartenerci. Linee
ideali che indichino quali sono gli orizzonti per una
possibile rinascita e di cui l'Associazione Thule Italia
si sta facendo portatrice e realizzatrice.
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In un contesto civile in cui sempre più persone si
abbandonano al flusso dissolvente dell'entropia, in
cui una sparuta minoranza si interroga angosciata e
sopraffatta da innumerevoli dubbi e lacerazioni psi-
chiche gli unici che avranno la speranza di sopravvi-
vere e andare Oltre il limite di quest'era saranno colo-
ro che avranno stabilito tra loro ed in loro la vera
Giustizia. Non quella di cui parla in televisione il tre-
molante Chirac ma quella che nasce dal profondo di
sé e si ottiene mediante trasmutazione divina.
Questa notte possono bruciare nei grigi e malandati
sobborghi di tutte le grandi città, accese dalla furia
incontrollata di uomini-bestie, pure altre centinaia di
automobili.
Nel nostro domani non vi saranno gli uni, non vi
saranno gli altri.
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In principio avrei voluto scrivere un articolo incentra-
to sulle proteste in Val Susa, contro le perforazioni
prospettive che, in teoria, dovrebbero valutare cosa
nasconde di pericoloso il cuore del massiccio alpino
designato dal percorso della linea ferroviaria "TAV-
TAC", e che però sarà sicuramente traforato per il
passaggio della Torino/Lione di là dai risultati che
esse daranno. Da quasi un mese poi tali proteste
hanno preso un tono acceso, ed hanno posto la Val
Susa nell'occhio di un ciclone politico e mediatico
senza precedenti.
La voglia di esprimere la mia protesta e la solidarie-
tà, a chi si dovrà sorbire lo stravolgimento del proprio
territorio in nome di un indistinto ed onnipotente
"progresso", ha poi ricevuto impulso da un bel presi-
dio anti-TAV, cui ho partecipato Sabato cinque
Ottobre, organizzato dai militanti di "Progetto
Torino" (www.progettotorino.org), gruppo che sta
tentando di sensibilizzare, in modo non conforme
rispetto ai canoni dell'ambientalismo comunistoide,
quante più persone possibili su tale questione, e che
vede, per la prima volta forse, degli attivisti della
destra radicale impegnati in un terreno abbastanza
inesplorato per la così detta "Area".
Ad un certo punto delle ricerche di documenti però
mi accorsi che il tema "TAV" non può essere circo-
scritto entro le sole dinamiche della Val Susa e che il
problema in se è notevolmente più vasto e comples-
so.
Premetto innanzi tutto una cosa; io non sono mai
stato un fervido militante ambientalista. Non perché
non sia sensibile alla cura del territorio naturale in cui
viviamo, cui sempre sono andati il mio rispetto e,
come indoeuropeo, la percezione della sua divina
essenza perfetta; bensì perché ho sempre diffidato di
quegli atteggiamenti, un po' da eterni adolescenti
"fricchettoni", riscontrabili nel fattore umano che
popola l'ambientalismo occidentale.
Il mio interessamento alla tematica riguardante la
tratta ferroviaria ad alta velocità, particolarmente tesa
in Val di Susa ma egualmente problematica in ogni
località interessata dal suddetto progetto, abbraccia
tutto un discorso più ampio, che ha la sua essenza
nella moderna sperequazione delle risorse naturali e
dalla progressiva devastazione del nostro ambiente,
di cui dovremmo esser simbionti accorti e non san-
guisughe avide.
Dunque veniamo ai fatti in questione, in modo da
poter così comprendere qual è l'oggetto del contende-
re, prima di azzardare ipotesi o giudizi.
GRANDI OPERE. RAGIONEVOLI DUBBI
di Gabriele Gruppo
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La tratta TAV-TAC (Alta Velocità-Alta Capacità)
Lione-Torino, che coinvolgerebbe la Val Susa, fa
parte del "corridoio multimodale n. 5" che, a realizza-
zione integralmente compiuta (tra diversi decenni!),
dovrà collegare Lisbona e Kiev attraverso il Nord
Italia, quale punto di transito centrale (vedi
carina)seguendo una direttrice mediterranea parallela
a quella più nordica Rotterdam-Kiev. Il progetto
europeo, riguardante la riorganizzazione dei trasporti
rotaia/gomma/mare è suddiviso in dieci "corridoi" di
lunghezza continentale, atti a far coprire grandi
distanze a persone e merci in breve tempo, nella spe-
ranza così di poter smaltire con efficacia il previsto
gran flusso d'interessi economici e strategici tra l'U.E.
ed i futuri Stai membri del settore balcanico ed ex
sovietico.
A conti fatti anche "solo" la presa in esame del "cor-
ridoio multimodale n.5" terminato equivarrebbe a
veder realizzati migliaia di chilometri d'infrastrutture
ferroviarie ed autostradali, centinaia di realizzazioni
attigue e di poli logistici, con un teorico conseguente
beneficio per l'intero continente; e a detta di chi
sostiene queste strategie a "corridoi" questa risulta
un'occasione imperdibile, cui nessuno può opporre
rifiuti o dubbi di nessun tipo.
Un atteggiamento abbastanza manicheo verso questo
panorama di roseo sviluppo economico del nostro
continente, se non fosse che esistono diversi risvolti
della medaglia, che gettano qualche considerevole
dubbio sulle ricadute pratiche di queste gigantesche
opere che, è ben ricordarlo, a tutt'oggi restano per lo
più abbozzate sulla carta, a causa di una contingenza
economica non altrettanto rosea come i sogni di chi
sta nei palazzoni U.E. e dei loro padrini benemeriti.
I fautori entusiasti di tali progetti tuttavia non si
danno per vinti, scomodano i romani e la loro rete di
strade consolari a paragone, e l'ineluttabilità della
globalizzazione per giustificare i criteri a "manica
larga" con cui saranno reperite le risorse economiche
di realizzazione delle strutture.
Ed è stato proprio l'aspetto connesso al reperimento
delle risorse finanziarie quello che ha dato vita ai
principali problemi, fin dal concepimento della stra-
tegia a "corridoi", e per la cui risoluzione si è cercato
di creare una sinergia "pubblico/privato" per il soste-
gno finanziario. Sia quindi utilizzando direttamente
le risorse dell'Unione, sempre più motivo di scontro
tra i membri più influenti, Inghilterra e Francia in pri-
mis, sia facendo leva sui crediti occidentali bilaterali
e multilaterali (Banca Mondiale e istituti finanziari
privati nazionali ed internazionali), non che tramite
diversi sistemi di drenaggio di fondi addizionali
(tasse e pedaggi). Il reperimento di capitali "privati"
è risultato però decisamente ostico anche a causa di
brutte esperienze quali il fallimento della S.p.A. che
gestiva il tunnel Calais-Dover; il tanto strombazzato
"Tunnel Sotto la Manica", che avrebbe dovuto rende-
re più "europea" l'Inghilterra, e che invece a tutt'oggi
sale solo agli onori delle cronache per il flusso d'allo-
geni asiatici che intendono arrivare a Londra in modo
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poco ortodosso.
Dunque il panorama reale vede sul terreno europeo,
interessato al nostro "corridoio 5", una parziale inau-
gurazione di cantieri nell'U.E., tra cui quello in Val
Susa e nella tratta Torino-Milano, ed una desolante
arretratezza d'iniziative tra i neo Stati est europei, a
causa di risorse troppo modeste a petto di questi pro-
getti continentali d'estrema complessità.
L'Italia si è però distinta per creatività, inventandosi
il curioso imprenditore denominato anglofilicamente
"general contractor".
Ma chi è questo bel personaggio?
Presto detto; è in pratica un appaltatore generale del-
l'opera di natura privata.
Uno che quindi si prende la responsabilità di proget-
tare, di realizzare l'opera, di sub-appaltare ciò che
occorre. Ma non di gestirla per rifarsi delle spese. E'
un caso unico in Europa? Forse no, ed intendo inda-
gare nel prossimo futuro, anche se nel nostro sistema
le "stranezze" sono più evidenti a quanto pare; infatti
si ha un appaltatore con i poteri del concessionario,
ma senza i rischi di chi gestisce l'opera a fine lavori.
Praticamente lui costruisce, incassa e se anticipa soldi
li ottiene dalle banche con la garanzia dello Stato. Ma
c'è un problema, osservato ad esempio da Ivan
Cicconi, direttore dell'Istituto emiliano di servizi alle
imprese Quasco: "Il general contractor, in queste con-
dizioni, tenderà a far durare i lavori più a lungo pos-
sibile e a farli costare di più. Perché questo è il suo
interesse d'impresa, e senza il rischio di gestione a
fine lavori viene meno la volontà di ridurre tempi e
costi". Capito che "grande" figura imprenditoriale?
Inoltre il general contractor, una volta scelto attraver-
so una gara, non è obbligato a tenere, a sua volta, altre
per i sub appalti. Il che potrebbe essere accettabile in
un sistema prussiano, quale noi auspicheremmo per il
futuro d'Europa, ma non sempre si adatta bene alla
situazione italiana avvezza ai capricci di padrini,
"pezzi da novanta" e picciotti d'ogni risma. Dove ci
sono pochissime grandi imprese, tutte collegate tra
loro, e una miriade di medie e piccole che, con que-
sto sistema, rischiano di essere prese per il collo da
chi ottiene i lavori; e come da tradizione a far la parte
del leone sono stati i "soliti noti" della nostra italiet-
ta, tra cui in prima fila l'eterna famigliola Agnelli con
tutto il codazzo di rampolli, banche e società di
comodo al seguito, che di questa torta, da svariati
milioni d'Euro, ne aveva decisamente bisogno per
proseguire nei suoi vizzietti, tanto stravaganti quanto
costosi e nella sua affannata corsa ad accumulare ric-
chezze grazie alle speculazioni a più livelli, in cui
sono diventati dei veri maestri d'arte .
Ovviamente il sistema politico tace, firma cambiali in
bianco per i general contractor, e tenta di dilazionare
i pagamenti con formule tra le più svariate. Vi ricor-
date quando L'On. Giulio Tremonti, Ministro
dell'Economia, propose di vendere le spiagge del
demanio pubblico? Temo non fosse un colpo di sole
estivo o un aperitivo troppo alcolico mal digerito a
farlo parlare…
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Più che delle risposte in senso stretto, in questa mia ricerca sui progetti infrastrutturali pan-europei, ho dato
corpo a molti dubbi, che ritengo quanto meno ragionevoli.
Perché l'Unione si impegna corpo, anima e quattrini (virtuali e non) in progetti multimodali, quando in ogni
Stato europeo, anche in quello più evoluto, urge la rimodernizzazione d'utili strutture già esistenti?
Come si può pensare che gli Stati dell'Europa dell'Est possano integrarsi con il resto dell'Unione, quando si
stanno trascinando nel baratro dell'indebitamento estero pur di far realizzare loro i diversi corridoi?
Come si può esser certi che tra vent'anni queste strutture possano servire, se l'economia del nostro continen-
te, secondo stime attendibili, sarà stritolata da India e Cina in meno di un decennio?
Cercherò di trovare qualche risposta convincente entro breve.
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