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Méliès

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Georges Méliès Georges Méliès

Nato a Parigi, in una famiglia

che fabbrica scarpe,

intraprende una carriera di

illusionista che lo porta a

dirigere il Teatro Robert-

Houdin, in cui si offrono

spettacoli di magia intervallati

talvolta da proiezioni di

lanterna magica.

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Un giocattolo…

Méliès è presente alla prima uscita del Cinématographe, il 28

dicembre 1895, e a fine serata - colpito dalla novità, di cui

intuisce le potenzialità per l’intrattenimento e la realizzazione

di giochi di prestigio - chiede di acquistare un apparecchio. Il

vecchio Antoine Lumière rifiuta, sottolineando che «il cinema

è solo un giocattolo e passerà di moda molto presto».

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Chi fa da sé… Il povero Méliès deve andare a Londra,

da Robert William Paul, per comprarsi

un Animatograph e un po’ di pellicole

della Edison e poi farsi costruire un

proiettore da un ingegnere. Il 4 aprile

1896 il programma del teatro Robert

Houdin presenta, oltre ai numeri di

prestidigitazione, brevi proiezioni di

vedute animate. È l’inizio di una

ricerca, volta a esplorare, durante le

vacanze estive a Le Havre, le

potenzialità del nuovo mezzo.

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Star Film

Fonda una sua casa di produzione, la Star Film, e in ottobre

comincia a girare da sé i propri film, tenendo presenti quelli dei

Lumière ma cercando soprattutto - convinto che i film “realistici”

avrebbero presto annoiato la gente - di elaborare un proprio

stile basato sui trucchi che ben conosce e sul suo gusto per il

grottesco, filmando rappresentazioni di spettacoli con

scenografie, illusioni ottiche, effetti speciali.

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L’Homme orchestre (1900)

Le invenzioni

Méliès, che è già quasi un “regista”, non vuole riprodurre la

realtà, come i Lumière, ma piuttosto “esprimerla”, utilizzando la

propria esperienza di illusionista sul piano tecnico e dei trucchi,

ma anche nella concezione dello spettacolo cinematografico.

Nel 1897 è già consapevole di creare “un genere interamente

distinto dalle riprese ordinarie del cinematografo” che alla

realtà “dal vivo” contrappone l’immaginazione, l’invenzione, la

sparizione, la ricreazione, l’anticipazione.

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I trucchi

La leggenda tramandata dallo stesso Méliès vuole che il primo

“trucco cinematografico” sia nato per caso mentre si girava in

strada, a Place de l’Opera. La macchina da presa s’inceppa

mento il traffico naturalmente prosegue; quando la pellicola

viene proiettata accade che un omnibus si trasforma di colpo

in carro funebre. Inizia così la ricerca di effetti ottici sempre più

complessi che, uniti all’illusionismo e all’abilità meccanica,

permettono a Méliès di concepire film sempre più mirabolanti.

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Trucchi

Nel film Escamotage d’une dame chez Robert-Houdin (1896)

per la prima volta si vede un trucco possibile solo con la

macchina da presa: una donna nascosta sotto un telo viene

fatta sparire interrompendo la ripresa, facendola andar via e

riprendendo a filmare come se non ci fosse stato nessun

intervallo: è il più antico esempio di montaggio cinematografico.

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Tetri di posa

L’anno seguente attrezza nella sua villa a Montreuil un grande

teatro di posa che unisce i pregi dell’illuminazione naturale

dello studio fotografico a quelli del palcoscenico teatrale. Gli

attori (spesso lo stesso Méliès) sono circondati da scenografie

dipinte, secondo la tradizione.

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Tetri di posa

In pochi anni, mentre gli operatori dei Lumière girano il mondo

a caccia di vedute, Méliès appone sul nuovo mezzo un timbro

fantastico, un ibrido tra poesia e trucco scenico, cercando

quelle magie che il teatro non poteva offrire. Dirige, tra il 1896

e il 1914, più di 1500 film (ne sopravvivono circa un terzo, di

durata variabile tra uno e quaranta minuti), con un successo

strepitoso che influenza a fondo gli altri operatori e fornisce un

contributo decisivo per la genesi del linguaggio del cinema.

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Le voyage dans la Lune, 1902 (durata15’)

Vogliamo la luna!

Nel 1902 Méliès entra definitivamente nella storia del cinema

con Le Voyage dans la lune, il primo film a soggetto della

storia e il primo film a essere considerato dall’Unesco, nel

2002, patrimonio dell’umanità.

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La fantasia non basta

L’avventura di Méliès prosegue,

tra grandi successi distribuiti in

tutto il mondo e innumerevoli

tentativi d’imitazione, fino al

1909, quando la sua

produzione subisce un calo a

causa delle maggiori esigenze,

in fatto di narratività e

coerenza, di un pubblico che

inizia a trovare i suoi soggetti

ripetitivi, ingenui, a volte ridicoli.

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Vendita o noleggio?

Inoltre Méliès ha sempre

venduto le copie dei suoi film,

senza percepire i diritti

d’autore per le singole

proiezioni. Mentre le sue

opere precedenti spopolano,

egli è costretto a indebitarsi

per realizzare le successive:

una politica commerciale

approssimativa che nel 1913

lo conduce alla bancarotta.

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Film e fiamme

La Grande Guerra interrompe definitivamente il grande sogno di

Méliès, che torna agli spettacoli di magia, con le repliche dei suoi

film al Robert-Houdin finché anche il teatro viene demolito nel

1920 per aprire il Boulevard Haussmann: ipoteche e debiti fanno

il resto. Trasferitosi in un piccolo appartamento a Montreuil,

Méliès non trova neppure lo spazio per le pellicole realizzate in

quindici anni di lavoro; così le accumula davanti casa e le brucia.

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Gli ultimi anni Riscoperto dai surrealisti, che

organizzano per lui la prima

“retrospettiva cinematografica”

della storia, viene tratto dall’oblio

per ricevere nel 1931 la Legion

d’Onore dalle mani di Louis

Lumière, come “Creatore dello

spettacolo cinematografico”.

L’anno successivo gli viene

assegnata una pensione e si

ritira in una casa di riposo per

artisti, dove muore nel 1938.

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Trucchi cinematografici

Nei suoi film Méliès sperimenta numerosi trucchi tipicamente

cinematografici, che si affiancano a quelli fotografici

(sovrimpressioni che creano visioni di fantasmi) e teatrali

(persone che volano, macchinari scenici):

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Trucchi cinematografici

• Il mascherino-contromascherino (inquadratura divisa in due o

più parti impressionate in momenti diversi);

• Arresto della ripresa (per far apparire e sparire o trasformare

oggetti, personaggi, ecc.);

• Scatto singolo (per muovere oggetti inanimati);

• Spostamento della cinepresa avanti e indietro (per ingrandire

e rimpicciolire un soggetto.

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Mondi virtuali

Méliès fa ampio uso di questi trucchi nelle sue “fantasmagorie”,

in un’apoteosi del “meraviglioso” in cui il montaggio è sinonimo

di metamorfosi. Una parte del successo si deve al realismo

della fotografia in movimento, che conferisce ai trucchi grande

credibilità. Sono film che annullano le leggi della natura in un

mondo fantastico e irreale, di libertà totale e possibilità infinite.

Si può quindi parlare della nascita di uno di quei “mondi virtuali”

in cui tutto è possibile oggi in gran voga.

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Les Cartes vivantes (1904)

Teatralità

I film di Méliès non narrano storie nel senso moderno: la trama è solo come un pretesto per far spettacolo e mostrare giochi di prestigio. Inoltre, allo spettatore non si chiede il coinvolgimento nella storia ma di assistere alla rappresentazione in modo allegro e divertito. Anche se compaiono eventi drammatici, un crimine o una decapitazione, l’atmosfera rimane farsesca e giocosa. Manca insomma l’«illusione della realtà» e il cinema resta concepito come una specie di grande giocattolo.

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A la Conquête du Pôle (1912)

Anarchia

Per Méliès il mondo del cinema è il teatro dell’anarchia, della

sovversione giocosa delle leggi della fisica, della logica e della

quotidianità: i poliziotti possono punire i contraffattori, ma poco

dopo mettersi a fare le stesse infrazioni (Le tripot clandestin,

1905).

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Il derby di Epsom filmato da Birt Acres nel 1895

Anarchia

Per gli inglesi della coeva scuola di Brighton invece, immersi

nella morale vittoriana, il cinema è sostanzialmente votato

all’educazione e al moralismo, una caratteristica che si

trasmetterà al cinema americano classico.

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L’Affaire Dreyfus, 1899

Trame a quadri

Dopo aver acquistato una piena capacità espressiva nell’uso

degli effetti speciali, Méliès inizia a progettare storie composte

da più inquadrature. Esse sono ancora fisse e comprendono

un intero episodio, staccato e autonomo dagli altri. Questo

modo di raccontare è detto racconto a quadri o racconto a

stazioni. Le inquadrature si esauriscono in se stesse e ogni

“quadro animato” viene inanellato con quello successivo; ogni

nuova inquadratura dà quindi inizio a un differente episodio,

con stacchi temporali tra l’uno e l’altro (ellissi).

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Cendrillon (Cenerentola,1899), 5’ 41”, Star Film N. 219-224

Trame a quadri

Gli stacchi non vengono usati per mostrare una scena da varie

angolazioni bensì per creare effetti speciali e, come a teatro, il

punto di vista dello spettatore resta sempre lo stesso. Tra i

racconti a quadri più famosi figurano racconti letterari o storici

(Cendrillon, Jeanne d’Arc, ecc.), temi d’attualità (L’affaire

Dreyfus) o i celebri viaggi, nella Luna o attraverso l’impossibile.

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Illusioni e realtà

La magica avventura di Méliès s’interrompe per vari motivi.

Egli resta un convinto artigiano del cinema che fa tutto da solo

nel momento in cui il cinema già assume forme industriali;

segue una politica commerciale dissennata che lo porta al

disastro economico; infine si chiude nel mondo delle “illusioni”,

rivelando una mentalità da “lanterna magica” che non

comprende veramente le possibilità di un mezzo proiettato

verso un orizzonte produttivo e narrativo tipicamente moderni.

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Lo spettacolo del cinema

La sua lezione tuttavia non è stata vana. Sarà proprio il

cinema dei sogni e delle illusioni (non solo effetti speciali,

fantascienza o avventura, ma anche attori, scenografie e

storie), a vincere sul documentario con quella “spettacolarità”

di cui Méliès è stato il primo grande pioniere.

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Straordinario

Georges Méliès ebbe l’idea che

deviò il corso di quella che sarebbe

divenuta la settima arte,

trasformando uno spettacolo

animato, privo di una precisa identità,

in una forma di rappresentazione

alternativa al teatro. «Quello che

interessava a Méliès era l’ordinario

nello straordinario, a Lumière invece

lo straordinario nell’ordinario».

Jean-Luc Godard, cit. in J. Aumont, L’œil interminable. Cinéma et peinture, 1989, p. 7)