move in sicily - 05/2015

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NASCITA DI UNA CHITARRA LO SCHERMIDORE GAROZZO DA ACIREALE A KAZAN E OLTRE ANASTASIO FASANARO il magazine N. 05 | 15 NELLE TERRE DEL MITO C’È DELLA LISCÌA IN SICILIA CATANIA E PALERMO MAI COSÌ VICINE X X

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Il quinto numero del magazine del portale Move in Sicily si presenta con la sua storia di copertina dedicata al percorso compiuto da due camminatori nelle terre del mito della parte orientale dell'Isola. Non manca lo spazio dedicato all'artigianato siculo col fantastico laboratorio di Anastasio Fasanaro e delle sue chitarre, mentre lo speciale "Liscìa" è dedicato a due pagine social che stanno facendo impazzire il web. Non manca, come al solito, il nostro spazio dedicato allo sport con l'approfondimento dedicato ai campioni siciliani della scherma. Per tutto il resto non vi resta che sfogliare la pubblicazione.

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NASCITADI UNA CHITARRA

LO SCHERMIDOREGAROZZODA ACIREALE A KAZANE OLTRE

ANASTASIOFASANARO

il magazineN. 05 | 15

NELLE TERRE DEL MITO

C’è DELLA LISCìAIN SICILIACATANIA E PALERMOMAI COSì VICINE

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N. 5 | ANNO I | OTTOBRE 2015Move in Sicily/moveinsicily.com Reg. Trib. di Catania n. 6 del 10/04/2015

Direttore ResponsabileRosario Battiato

[email protected]

Art DirectorUrsula Cefalù

[email protected]

RedazioneDaniela Basile, Martina Distefano, Daniela Fleres,

Viviana Raciti, Emanuele Veneziaviale Bummacaro, 21/A, Librino, Catania

[email protected]

Segreteria di [email protected]

CopertinaFoto di Michele Mondello: colata lavica

che nel 1669 devastò Nicolosi e altri centri abitati

Hanno collaborato a questo numero: Giorgia Butera, Giuseppe Caruso, Diana Dolisi,

Danila Giaquinta, Maldido Gringo, Emanuele Grosso, Antonio Leo, Alex Munzone, Giuseppe Paternò Di Raddusa,

Gaetano Schinocca, Marco Tomaselli, Milena Viani

Ringraziamenti: Albane Cogne Banou, Filly De Luca, Francesco Di Mauro

(Ciclope Film), Enrico Garozzo, Cecilia Grasso, La liscìa catanese, Michele Mondello (La via del Mito),

Nicola Palmeri, Siculopedia, Giovanni Virgilio

Ufficio StampaSuttasupra

[email protected]

Editore Soluzione Immediata srl via Teatro Greco n. 76, Catania

SEGUICI SU: Move in Sicilywww.moveinsicily.com

Con gli occhi ancora impasticciati per il brusco risve-glio post-estate, senza aver mai veramente smaltito quella maledetta vodka unita all’acqua tonica, è già l’ora di ripartire. E siccome non tutti sono Michael Douglas-Gordon Gekko in Wall Street, e Cuba ha perso il suo fascino da quando è pace fatta con l’A-merica, dunque la malura fa il siciliano imprigiona-to, costretto “sua fortuna” a riscoprire i tesori dell’I-sola. Così decidiamo di fare una gita dentro porta, con destinazione principale il Farm cultural park. Perché tutti ne parlano, compreso Move che nel primo numero ne ha scritto. E se lo consiglia Saro Battiato, che il vezzo della fantascienza ha abitua-to a scenari mirabolanti, almeno una possibilità alla trasferta agrigentina bisogna concederla. A Favara, la città che ospita la Farm, ci fermiamo in un caffè della centralissima piazza Cavour, tappa necessaria per smaltire i chilometri macinati. “La Farm? Ah sì, quei ‘curtigghia strani’”. In due parole, il giovanotto che prende le nostre ordinazioni sintetizza la perce-zione di parte dei favaresi per il centro culturale. Ma per noi, attempati wannabe di città che vediamo la realtà con i filtri di Instagram, la stranezza è goduria e status a un tempo. La Farm ti dà l’impressione di essere in un luogo senza tempo, dove l’arte e la crea-tività inghiottono buona parte del degrado. Tra i sette cortili sono innumerevoli i guizzi, le provocazioni, le idee in circolo. Putin è sempre là e osserva gli astanti con sguardo languido, sperando che scelgano la luce giusta per condividere il suo faccione. Da vedere è la Galleria, la sola zona a pagamento. Ma per 4 euro a cranio si può fruire delle opere di artisti contempora-nei e contribuire al sogno di Andrea Bartoli e di sua moglie: costruire un museo dedicato all’educazione dei bambini. Alla sera, attrazione dentro l’attrazione è Ginger, street food restaurant che unisce i sapori siciliani a quelli dell’Africa (ma anche cooperativa che punta all’integrazione dei migranti). Si può scegliere tra diversi panini, cocktail analcolici e in genere an-che il cous-cous (purtroppo però la chef Mareme Cis-se era impegnata a San Vito Lo Capo per il Couscous World Championship). La qualità/prezzo è incredi-bile: con circa 5 euro si può gustare un concentrato prelibatissimo di sapori. Altro che cucina “di strada”.

Stampa: Italgrafica, via Nocilia 157, Aci S. Antonio (CT)Copyright ©2015. Tutti i diritti riservati. La riproduzione anche parziale di testi, foto e illustrazioni è vietata

in tutti i Paesi del mondo senza previa autorizzazione dell’editore

Agrigento e dintorni, senza pretesedi Antonio Leo

Move in Weekend

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Comma SiciliaC’è un Comma 22 che si aggira per l’Iso-la. Il celebre paradosso introdotto da Jo-seph Heller nel romanzo Catch 22 – “chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo” – sembra riprodursi in una versione nostrana che da troppo tempo ci sentiamo ripetere: la Sicilia è una ter-ra di grandi opportunità, in Sicilia non ci sono opportunità. Una tensione, ap-punto, paradossale, che si agita tra po-tenzialità decantate e dati drammatici. Eppure c’è anche dell’altro, perché da queste parti tutto diventa altro. Le strozzature del sistema, le inefficienze e le difficoltà quotidiane passano dalla liscìa che da Catania a Palermo – a pro-posito, non perdetevi in questo numero le interviste ai fondatori di Siculopedia e della Liscìa catanese – cambia nome, eppure rigurgita comunque ogni cosa e la restituisce linda e passabile. E poi se non ci sono strade proseguiamo pure a piedi, così come ci ricordano i due cam-minatori della nostra storia di copertina alla ricerca dei miti siciliani tra i sentieri che collegano i due poli estremi a nord e sud della Sicilia orientale. C’è chi vuole portare il cinema in Sicilia, senza la soli-ta storia di mafia, come Giovanni Virgi-lio che a ottobre vedrà in sala La bugia bianca, e poi le vicende di artisti e arti-giani che sono rimasti senza per questo rinunciare a fama e gloria. Per questo non possiamo avere un com-ma 22, ma un comma Sicilia. Un tra-nello da scoprire e risolvere, più che un paradosso, perché da queste parti di immobile c’è soltanto il pensiero di chi crede che il progresso sia unidirezionale e senza scosse. Non si devono ignorare le gravi difficoltà che viviamo, sarebbe come vivere in una bolla, ma nemme-no quel sotteso senso di rinascita che avvertiamo. Noi continuiamo a scoprire tutto questo, e lo condividiamo con voi, grazie alla nostra minuscola pattuglia di esplorazione. In questo mese superiamo il traguardo della quinta uscita mensi-le e sbarchiamo sul web con la versio-ne online del magazine (moveinsicily.com/magazine) che vi invitiamo a visi-tare perché ospita tutti i nostri contenu-ti video, fotografici e alcuni articoli che non troverete sulla versione cartacea. C’è una Sicilia migliore. (rb)

l’editorialel’indice

010 ViScOnTi ci PReSe PeR MAnO Le soreLLe Giammona e La terra trema

008 nOn è MAi TROPPO cORTO Un festivaL sotterraneo aLLa ricerca di taLenti

c’è dellA liScìA in SiciliAdue PAgine SOciAl dAl cAzzeggiO SiculO

009lA BugiA BiAncAun FilM cHe PORTA lA BOSniA in SiciliA

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011 RigeneRA, il FeSTiVAl cHe Si RinnOVA neL seGno deLL’ecoLoGia

012 cOSì nASce unA cHiTARRA L’antica arte deLLa LiUteria catanese

014 cARlO e FABiO ingRASSiAfenomeno d’acceLerazione e aUtosUfficienza deL seGno

015 l’ORTO BòTAnicO AllA TeRRA di Bò tUtto in onore deL verde

021 enRicO gAROzzO, ScHeRMidORe da acireaLe a kazan e oLtre

il SenSO del ViAggiO è cAMMinARedA cAPO PelORO A cAPO PASSeRO PeR RiScOPRiRe l’iSOlA

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Cosi (mai) vistiCosi (mai) vistiLa rubrica più invidiata del nostro giornale torna dopo un mese di pausa e si presenta in veste battagliera. In questo mese, e nel prossimo, si discuterà del grande dilemma che affligge buona parte dei nostri conoscenti. Meglio andare al cinema o restare sbracati sul divano inebetiti dal binge-watching di quindici puntate di fila di una serie tv? Le opinioni sono dispa-rate e confuse, noi cominciamo a ospitare le prime due, e vi invitiamo a partecipare scrivendo alla redazione ([email protected]). Le migliori invettive saranno pubblicate sul nostro magazine online (moveinsicily.com/magazine), qual-cuna potrebbe persino finire sul cartaceo. A voi la tastiera.

Siete proprio sicuri che sia quello che volete? Le serie tv passano facilmente dal riempitivo di una serata annoiata a un buco nero dal quale vorreste uscire a velocità warp ma non potete nonostante siano le tre e mezzo del mattino perché la puntata appena vista ha lasciato penzolare parecchi hooks ai quali sono rimasti appesi altrettanto vo-stri dubbi: cosa ne sarà di Tara? Sarà la volta buona per McNulty di beccare Stringer Bell con le mani nel sacco? Jesse did WHAT? L’ine-vitabile conclusione di questo dialogo interiore sarà “this is bullshit” un attimo prima di alzarvi dal divano o poltrona e andare a selezio-nare l’episodio successivo, nonostante fuori l’aurora abbia iniziato a mandare le ambasce di una nuova giornata, che inizierà a breve a prendere il posto di una lunga nottata di binge-watching.Il mio personale paradosso è che quando iniziai con le serie, la tv mi aveva stancato già da un pezzo, e mai avrei pensato di rimanere ‘addiccato’ (che significa la stessa cosa sia in inglese che in siciliano) come una matura signora rimaneva appiccicata alle vicende senti-mentali delle agghiaccianti telenovelas degli anni ‘80 come una mo-sca alla marmellata: ebbene a un certo punto come Geff Goldblum la stessa metamorfosi è toccata a me. Le serie tv sono la narrativa pulp dei nostri giorni, con la differenza che le edicole delle stazioni ferro-viarie hanno lasciato il posto ai motori di ricerca e oscuri (e spesso oscurati) nuovi canali di distribuzione. Probabilmente anche questo elemento di ricerca sotterranea aggiunge fascino all’intera esperien-za: se l’idea dei creatori di questa narrativa è quella di tenere aggan-ciati i consumatori finali di settimana in settimana, i più smaliziati preferiranno attendere che la serie sia finita per visionarla tutta in una volta, possibilmente sigillando porte e finestre come in una apo-calisse zombie per evitare che il minimo spiraglio lasci passare per sbaglio uno spoiler anche piccino. In inglese si chiama binge-watching, ed è lo stadio finale di questa addiction. Scrittori e produttori piuttosto che combattere questa ten-denza, nel corso degli anni si sono adeguati in un percorso che arriva fino a Netflix. Questa modalità, d’altra parte, costringe gli sceneggia-tori a stringere i bulloni della trama evitando i famigerati e temibili plot holes, ovvero le incongruenze nella trama, poiché vedendo una puntata dopo l’altra senza la canonica settimana di ‘decantazione’ se da una parte rovina il pathos dell’attesa dall’altra impone che il flus-so narrativo rimanga consistente dall’inizio alla fine, e anche questo porta agli improvvisi cambi di prospettiva (twist) che in genere deter-minano le sorti di una serie nel gradimento di un pubblico sempre più avido e difficile da soddisfare.

Attenti, si è mossa una frasca! Oddio, s’è mossa una frasca, chissà quali terribili pe-ricoli. Dài, non fateci morire di curiosità,

diteci cosa si cela dietro il movimento della frasca assassina. Finisce la puntata. Ma mica ce lo siamo scordato, è rimasta in sospeso la questione della frasca... E vabbè, si sono dimenticati di darci una spiegazione. Magari nella seconda puntata. Niente, neppure lì. Al decimo episodio di Lost nessuno ci ha ancora detto perché gli alberi si agitavano 9 ore prima. In compenso qualcuno ha sentenziato che il livello di complessità del telefilm di J. J. Abrams è paragonabile alla Divina Commedia. Gente in ap-nea, Abrams è megl’e Pelé, la rivoluzione della tv. È cominciato da lì il sorpasso della televisione nei confronti del cinema. Non ha più senso spendere soldi nelle sale se ci sono Mad men, Breaking bad, Il trono di spade, Gomorra, House of cards che ti entrano in casa. Roba di una qualità stratosferi-ca, che il cinema ormai se la sogna. Dunque sarà solo un caso, ma un caso di una sfortuna cosmica, se tutte le volte che uno prova a guardare una se-rie, giusto in quella puntata non succede assolu-tamente niente. “Ma tu l’hai visto True detective? Un capolavoro”. Ognuno ovviamente te ne nomina una, perché magari le altre sono buone, ma quel-la-proprio-quella è la prova vivente che la tv è di un altro pianeta. E se non sei preparato non solo non puoi contestare, ma ti fanno pure venire la voglia di controllare se è vero. D’altra parte su centomila tentativi prima o poi uscirà la serie davvero memo-rabile. Così ci caschi come un pollo: ti piazzi davan-ti alla tv e scopri delle storie immobili, congelate, paralizzate tipo i cattivi colpiti dalla pistola di Star Trek. Assalite da una malattia micidiale: la lungag-gine. E perciò diluite nella più snervante inerzia da chi deve coprire 150 puntate. Noooo, controbattono indignati i seriali, tu non hai visto Top of the lake. E invece sì: e non succede un tubo. Esattamente come negli altri telefilm. Certo, lo sceneggiatore di House of cards ci ha perso tempo, non si può nega-re; ma a parte la puerile e ridicola perfidia di tutti i personaggi, la scena che ti fa innamorare e che ti incastra per tutte le altre 46 ore non la becchi mai. E la cosa più incredibile è che queste perle della televisione sono venerate quasi esclusivamente da giovani, ovvero gente che si scoccia ad aspettare 10 secondi per far caricare un video sul proprio te-lefonino. Andate a vedere la sequenza dei sacrifici umani in Apocalypto, o l’inseguimento dei Baseball Furies ne I guerrieri della notte, o il primo dialogo tra Jude Law e Julia Roberts in Closer. Per il sor-passo ci risentiamo fra una trentina d’anni.

di Emanuele Grosso

So you want to know about tv series, hm?

di Maldido Gringo

SIATE SERI CON LE SERIE Per il sorpasso

della televisione sul cinema ripassare

fra trent’anni

LA GRANDE DISFIDA

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La liscìa è online

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ndrea Carollo è un giovane catanese laureando in Economia Aziendale. Da un paio di anni gestisce una pagina fan che ormai è diventata il punto di riferimento social della liscìa catane-

se (facebook.com/lisciacatanese).

In circa due anni la tua pagina ha ottenuto più di 45mila fan, ha un marchio registrato ed è effettiva-mente diventata, come scrivi in pagina, “il portale del catanese liscio”. Ci puoi raccontare la tua storia e come è nata l’idea di una pagina sulla liscìa catanese?Sono stato sempre abituato a “intrattenere” gli amici e pa-renti con storie che magari avevo vissuto all’interno di un

negozio o sentito per strada così per puro caso. Ho pensa-to: “perché non allargare la cerchia di ascoltatori e far sì che queste poche storie possano essere lette da più perso-ne?”. Fu così che il 2 Novembre 2013 creai questa pagina, in un sabato pomeriggio normalissimo. Nel giro di quattro ore ricordo che raccolsi circa 600 likes.

Il nostro magazine sta raccogliendo testimonianze dei protagonisti del mondo dello spettacolo e della cultura siciliani, inaugurando le interviste con una domanda di rito: cosa è per te la liscìa?Per me la liscìa è l’oro dei catanesi. La liscìa catanese è magica, è il modo più efficace per sdrammatizzare, per far ridere, per dire la propria in tono ironico. La liscìa

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E c’è un portale che la racconta

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adi Rosario Battiato

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catanese nasce spontanea, senza che ce se ne possa accorgere. Nasce davanti un articolo di giornale, al bar davanti un caffè, durante una visi-ta in ospedale. È nelle situazioni più rocambolesche e tristi in cui la liscìa trova spazio e nasce, poiché non è né cattiva, né volgare, la liscìa è sublime sottile e generosa.

Nella tua pagina citi spesso storie vere, o presunte tali, inviate dagli utenti. Quanta gente ti scrive in posta privata per partecipare alla pagina?Da due mesi a questa parte ho attivato anche un servizio whatsapp per facili-tare gli utenti della pagina ad inviar-mi quante più testimonianze possibili. Stando ai dati facebook, ricevo circa 400 messaggi al giorno e la cosa più spettacolare è che non tutti i messaggi si riferiscono a storie vere o presunte tali. Ricevo saluti, complimenti da chi vive fuori, consigli e soprattutto do-mande sull’etimologia di alcune parole.

Tradizionalmente la liscìa nasce e vive per strada, nelle conversazioni quotidiane. Quando hai deciso di portarla anche sul web, hai pensa-to che si potesse snaturare oppure che non funzionasse abbastanza?La liscìa come ho detto poc’anzi non nasce solo in strada, essa è insita nel catanese. La mia è stata una scommessa davvero ingenua poiché non avrei mai creduto un successo del genere. Non so se stancherà, ma posso dire che ad oggi la copertura dei miei post è di circa 1 milione di persone (Insights Facebook aggior-nati al 21.09.2015)

Il tuo portale è dedicato alla liscìa catanese. Ci sono altre forme di liscìa oppure questa è una pre-rogativa che appartiene soltanto all’etneo?No. Secondo me la liscìa è solo ca-tanese e io ho fatto diventare questo un marchio registrato per far sì che restasse qui. Puoi creare la liscìa ma non quella catanese. La liscìa cata-nese è una realtà, e come ho detto prima è made in Catania. Il catane-se non è solito offendersi, risponde a tono a qualsiasi tipo di battuta seppur pesante. Mi sono reso con-to che puoi discutere con qualsiasi tipo di persona utilizzando la liscìa. È un importantissimo strumento di comunicazione.

Cosa vorrà fare da grande la tua pagina?La mia pagina diventerà qualcosa di grande, spero infatti che gli uten-ti restino sempre lì ad osservare gli sviluppi perché sto preparando qualcosa di veramente straordina-rio. Mi serve del tempo perché sono da solo a gestire il tutto, ho 25 anni e lavoro 8 ore al giorno oltre che es-sere laureando in Economia Azien-dale. Stupirò quel milione di perso-ne che crede in me e magari perché no riuscire a dare una mano a Cata-nia tutta, nel suo sviluppo culturale e nella sua crescita. C

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dall’altra partedell’Isola

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identikit di Siculopedia è di quelli importanti: oltre 110mila fan, tre gestori bravissimi in nome del cazzeggio, un libro che fa il verso be-

nissimo a Woody Allen (compratelo, ne vale la pena) e chi più ne ha più ne met-ta. Abbiamo discusso con i tre fonda-tori come se fossero una sola persona, questo è quello che ne è venuto fuori. Poi gli abbiamo chiesto di presentarsi. Uno per uno. Subito tre proiettili facili. Come, quando e perché nasce Siculopedia?Nasce nel 2011 come pagina di Face-book, gestita inizialmente da Rossana Baldanza e Salvatore Grassadonia, rag-giungendo in pochi mesi i 30.000 fol-lowers. In seguito è nato il sito web cre-ato dallo stesso Salvatore. Alla squadra, successivamente, si è aggiunta anche Cettina Baldanza che gestisce il blog. In pratica si occupa dei “fatticeddi” altrui, cioè della gente che incontra per strada, sull’autobus, alla posta, raccontandoli in maniera esilarante. Dopo il sito, sono nate le app per IOS e Android (scarica-bili gratuitamente). La prima program-mata da Salvatore Lopez e la seconda sempre da quel geniaccio di Salvatore. Infine, il fiore all’occhiello del progetto, il libro edito da Dario Flaccovio Editore Siculopedia: tutto quello che avreste vo-luto sapere sul siculo ma non avete mai osato chiedere altrimenti avreste scip-pato lignate. Il nostro scopo era quello di promuovere e valorizzare la cultura siciliana, e soprattutto il “siculo idio-ma”, proponendo una traduzione aulica e ironica di alcuni termini di uso comu-ne e facendo contemporaneamente il verso a Wikipedia. Il risultato è quello di divertirci e far divertire, in pratica “bab-biare”, parlando il siculo, la nostra lin-gua che non dobbiamo mai abbandona-re e dimenticare. Il progetto Siculopedia è impregnato di “maluchiffari”.

Qualche giorno fa la vostra pagina fan ha raggiunto i 110mila fan, i vo-stri post superano spesso il mezzo migliaio di like e potete contare su centinaia di condivisioni per un pro-getto che continua a dare numeri in crescita. Come avete costruito que-sto successo made in Sicily?La Sicilia ormai è diventata un trend sia

per i siciliani (e non) che per residenti (e non) e noi premiamo sui tasti giusti parlando degli usi, costumi e malco-stumi, vizi e virtù in cui ci imbattiamo ogni giorno, suscitando un sentimen-to di immedesimazione per chi ci vive, evocando invece nostalgia per chi non ci vive più. Inoltre la nostra ironia non è mai volgare, è piena di citazioni trat-te da libri, film, fumetti, e utilizziamo nuovi e vecchi media modernizzando il modo di presentare la nostra lingua che, invece, ha tradizioni molto antiche. Inoltre contiamo anche di collaborazio-ni prestigiose come con Mago Miriddu e i Miriddu Boys che hanno realizzato a titolo gratuito i reading delle defini-zioni contenute nelle app, con Roberto Pizzo, attore facente parte del gruppo “Cristiano Pasca e i ricoverati”, che si è prodigato in reading dal vivo delle defi-nizioni contenute nel libro Siculopedia. Lo scorso settembre l’intero gruppo dei “Ricoverati” ha realizzato presso il Nau-toscopio a Palermo un vero e proprio show con protagonista Totuccio e le de-finizioni di Siculopedia in occasione an-che della presentazione del booktrailer. Con l’attore Marco Manera e la speaker radiofonica Sofia Muscato che ci han-no accompagnato alla presentazione a Favara presso il meraviglioso palazzo Cafisi, e infine Alvise Salerno, anche lui speaker radiofonico, che ha fatto da moderatore alla presentazione di Sicu-lopedia presso la bellissima Focacceria di San Francesco. Quest’ultima ci ha anche coinvolto per la festa dei suoi 180 anni.

Qual è la miscela di studio e crea-tività che mettete nella costruzione dei vostri post? Si parte dai termini che ci vengono in mente o ci suggeriscono parenti, ami-

ci e followers. Cerchiamo la definizione letterale nei vari dizionari quando ab-biamo qualche dubbio, e poi cerchiamo di dare una definizione come se fossi-mo la Treccani, dando anche delle in-terpretazioni surreali. Per esempio, lo “scucivolo” diventa un alieno extratri-nacriota mentre la “lagnusia” è un pa-rassita che funziona come l’invasione degli ultracorpi. In Sicilia orientale, soprattutto nel-la zona etnea, esiste la cosiddetta liscìa che è una formula per raccon-tare quanto poco si prendano sul serio i catanesi nel loro quotidiano e in generale quanto poco serio sia il loro approccio nei confronti della vita. Esiste un termine equivalente nel palermitano?Credo che il corrispettivo di “liscìa” sia “sivo” o “scimunito ‘nta panza”, quello status psicofisico che colpisce il siculo improvvisamente e senza motivo e che lo trasforma in “Jena Ridens”.

Ci parlate di Totuccio e del suo viag-gio “semiologico ed etologico” nell’I-sola che avviene nel vostro libro “Si-culopedia”?Totuccio è il siculo medio, sposato con Rosalia. È rappresentato come un palo di fico d’india dotato di occhiali e cop-pola. È un “omo di panza” nel senso che gli piace mangiare, è un “omo lagnu-so” perché gli piace dormire. Nel libro lo osserviamo nei vari ambiti sociali e familiari: nella famigghia, tra gli amici, durante il tempo libero (“maluchiffari” e “fissiamento”), mentre è in “ammore”. Descriviamo il suo processo comunica-tivo soprattutto con l’icona della comu-nicabilità rappresentata dalla “strac-chiola” che fa “curtigghiu”.

Tra le definizioni più lette nel vostro sito ci sono “gli innumerevoli utiliz-zi del termine minchia” e gli “stadi della relazione amorosa sicula”. Ma quali sono le definizioni preferite dai creatori di Siculopedia?“Lagnusia”, prima di tutto (ed è anche tra le prime definizioni create e pubbli-cate), e per un tocco intellettuale, “le cinque categorie sciasciane secondo Si-culopedia”.

Che rapporti avete con gli utenti del-la pagina?

Benvenuti a SiculopediaTutto quello che avreste voluto sapere sul siculo

di Rosario Battiato

l’

dall’altra parte

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Un viaggio tutto di cinema specia-le, “sotterraneo”, bello. “Piccole storie” che mettono in scena la

commedia della vita, raccontano questi e altri tempi, e strappano sorrisi, tur-bano e disturbano, piegano alla rifles-sione, emozionano, trascinano corpo e mente. L’autunno è la sua stagione, fatta di chiaroscuri e ombre a tratti so-leggiate, ed è con un giorno di proiezio-ni in più che giunge alla sesta edizio-ne. Si presenta così Non è mai troppo corto, Festival dei corti underground, organizzato dall’associazione culturale CineToutCourt in collaborazione con Cinestudio di Catania. «Il nostro festival prende forma da un sogno – spiega il

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Con gli utenti abbiamo un rapporto di complicità ed empatia. Spesso ci suggeriscono termini o ci racconta-no situazioni divertenti. Sulla stessa definizione ci danno le varie interpre-tazioni a seconda della zona di origi-ne. Lo scorso dicembre abbiamo lan-

ciato una sorta di contest per Santa Lucia: abbiamo chiesto di mandarci foto delle arancine (per noi si decli-nano al femminile, non ce ne vogliate) preparate, cucinate e mangiate dagli utenti. Ci sono arrivate foto da tutta Italia e anche dall’estero, di siculi che,

nonostante la distanza, hanno voluto ricreare una tradizione tipicamente trinacriota. È stato bellissimo rice-vere foto dai vari angoli del mondo e condividere questa festa tutti insieme. Le barriere si sono infrante e ci siamo sentiti tutti più vicini.

di Diana Dolisi

Rox, scRive la maggioR paRte delle definizioni e ha disegnato le illu-stRazioni del sitoRossana Baldanza, classe 75, nata a Palermo e con profonde radici mado-nite. La voglia di narrare tramite pa-role e immagini hanno sempre accom-pagnato la mia infanzia e i miei studi. Così, mi sono laureata in Scienze Poli-tiche indirizzo sociologico ma con una tesi sul fumetto, sociologia e comuni-cazione. Invece di fare un bel master post laurea in Economia e Finanza, ho frequentato un corso regionale di “arti sequenziali” organizzato dalla Grafi-mated Cartoon, ora Scuola del fumet-to di Palermo. Invece di fare concorsi pubblici, mi sono letteralmente getta-ta nel mondo del fumetto e delle fiere pubblicando per “Cronaca di Topoli-nia” due serie di fumetti: “Avatar” (mia anche l’idea e il soggetto) e “Sol Mir-ror”. Non contenta, ho seguito anche

un breve stage formativo sulla sce-neggiatura con Carlos Trillo (sceneg-giatore argentino creatore di Cybersix e Loco Chavez). Mi mancava solo di conquistare il mondo di internet, e grazie a Siculopedia, sono intanto riu-scita a conquistarne un gradino.sal, bRaccio infoRmatico, web-masteR del sito e animatoRe della paginaSalvatore Grassadonia, l’unico “ma-sculo” del Siculopedia Team. Alla te-nera età di 6 anni riuscì a far funzio-nare quell’aggeggio infernale che mio padre aveva appena acquistato (una stampante ad aghi) e fu chiaro cosa sarei “dovuto” diventare. Dopo anni di esperienza come tecnico in un nego-zio di computer (finalmente) mi laureo in Ingegneria Informatica nel 2009, abbandono l’assistenza tecnica per la programmazione e la creazione di siti web. I tempi dell’università sono

stati caratterizzati dal mio impegno nella gestione dell’Auletta Studenti di Ingegneria e della sua community vir-tuale, lì mi sono fatto le ossa. Oggi mi diverte condividere le definizioni di Si-culopedia sui social network introdot-ti dai miei stati d’animo del momento. cet, bloggeR, scRive piccole av-ventuRe tipicamente sicule che le accadono nel quotidianoCettina Baldanza, mi occupo princi-palmente di descrivere nel blog e sulla pagina ciò che vedo e sento intorno a me, praticamente è un modo diploma-tico di dire che mi faccio i “fatticeddi di l’avutri”… Ho fatto il liceo classico e mi sono laureata in Scienze Politi-che a indirizzo internazionale, posso quindi dire di avere una cultura ad ampio spettro che mi permette di fare le parole crociate più difficili e di es-sere un genio a ruzzle. Sin da piccola i miei genitori mi hanno incoraggiata a leggere fumetti, libri gialli e di fan-tascienza. Ciò ha scatenato la mia già fervida immaginazione. Con la surèla Rossana siamo molto legate. Il nostro simile background culturale ci tiene in sintonia e ci aiuta a scegliere le cose da pubblicare che ci fanno più ridere. Lo spirito del cazzeggio alber-ga in me nonostante la mia (???) età. Spero per la mia sanità mentale, poi-ché faccio tutt’altro lavoro (sono im-piegata in una società finanziaria), non mi abbandoni mai.

NON è MAI TROPPO CORTOUN FESTIVALSOTTERRANEOaLLA RICERCADI TALENTI

I tre della Siculopediada sx a dx: Cettina Baldanza, Roberto Pizzo (reader), Salvatore Grassadonia, Rossana Baldanza

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LA BUGIA BIANCA: un film che porta la bosnia in sicilia

iovanni Virgilio è un gio-vane regista che si è già cimentato con i corti Damiano – al di là delle nuvole iniziano i sogni

e My name is Sid. Il 22 ottobre sarà nelle sale il suo

primo lungometraggio, La bugia bianca. Il tuo film si sviluppa lungo due di-rettrici. C’è la grande storia (la guer-ra che ha dilaniato la Bosnia Erzego-vina tra il 1992 e il 1995) e la storia personale di Veronika.Io parto sempre dalla vita per fare i miei film. Chi non può asserire che la vita di ognuno di noi non cammina su va-rie direttrici? Chi non può asserire che dobbiamo mettere i piedi su due binari per andare avanti nel nostro cammino? Anche Veronika cammina con un pie-de sul binario sinistro e uno sul bina-rio destro, segue una direttrice di vita normale e l’altra che che fa i conti con il passato, con una guerra che ha segna-to una generazione e ha lasciato segni enormi, solchi, piaghe. Lo stupro, la vio-lenza, sono già dei crimini, ma se dallo stupro nasce un figlio il crimine diventa mostruoso, soprattutto se devi crescere senza sapere mai la verità.

In fin dei conti, cos’è la bugia bianca? La bugia bianca è un film molto neore-alista (anche se tocca temi del passato) è il mostro che si cela dentro le nostre famiglie, la facciata di una vita diversa da quella che diamo a vedere. La sto-ria ci insegna che dietro la famiglia del mulino bianco si celano mostri a sette teste o verità che devono stare nascoste. In questo caso la bugia “bianca” è una bugia detta a fin di bene, ma capirete meglio andando al cinema.Ci racconti quanto può essere diffici-le ottenere i finanziamenti adatti per realizzare un film e farselo distribuire in Italia?Io sono la persona meno indicata per parlare di finanziamenti all’industria ci-nematografica, pur avendo partecipato a bandi e a festival importanti come la 68^ Mostra internazionale del cinema di Venezia. Confido nel futuro per averli.Il tuo lavoro è ambientato in Bosnia, ma dove è girato?Vi stupirà, ma noi non siamo mai andati in Bosnia. Con l’aiuto dell’Accademia di Belle Arti di Catania e la supervisione di Paky Meduri (che ha abbracciato un progetto povero) abbiamo ricostruito la Bosnia in Sicilia.

Quanto può essere utile creare una filiera per le attività cinematografi-che nell’Isola?Le filiere sono la linfa vitale dell’indu-stria cinematografica, specialmente l’in-dustria siciliana che è zeppa di finan-ziamenti e di imprenditori siciliani che sostengono il cinema, solo che il malco-stume rende queste filiere soltanto dei depositi di giovani che non vengono pa-gati. Penso che si possa fare una o due volte un film senza soldi, senza budget, ma non deve diventare una regola. Perché girare un film in Sicilia?Abbiamo voluto realizzare un film di qualità girato in Sicilia ma che non par-lasse di mafia. E questo forse è uno dei pochi casi in cui questa terra diventa soltanto il meraviglioso set naturale che tutti conoscono, dove si possono co-struire scenari differenti. Inoltre abbia-mo voluto dimostrare che ci sono mae-stranze professionali preparate, che non hanno niente da invidiare ai colleghi del nord. I nostri giovani hanno ricostruito oltre 1200mq di scenografie tra interni e esterni. Certo alcune figure mancano, ma siamo a un buon punto. Fermarsi sarebbe inopportuno e significherebbe sprecare ciò che di buono è stato fatto.

di Filippo Grasso

MovExtra

Per l’intervista videoal regista

moveinsicily.com/magazine

Move in Sicily

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l’edizione 2015 - 7,8,14 e 15 ottobRe al cinema King di catania

La giuria dell’edizione di quest’anno, presieduta da Alberto Surrentino, esercente e responsabile della pro-grammazione del cinema King, Arena Argentina e del Cinestudio di Cata-nia, è composta anche dal giornalista Emanuele Grosso, dal regista Carlo Lo Giudice e dall’attrice Lucia Portale.

direttore artistico Alessio Armiento –: mettere su un “contro-circuito” per autori, produttori e distributori indipendenti che sperimentano e per tutti quegli spettatori che hanno vo-glia di vedere cose nuove sul grande schermo. L’underground non defi-nisce tanto un genere ma esprime la voglia di dare spazio a opere diverse, “fuori orario”, che tentano l’impossibile, siano esse commedie, documentari, fiction, animazione. Il cortometraggio poi si rivela il “forma-to” più adatto alla ricerca estetica e narrativa, che rischia e vive il cinema come un laboratorio. I festival, ormai innumerevoli sia a livello nazionale

che internazionale, hanno il merito di dare luce ad opere che difficilmen-te arriverebbero nelle sale. Sono tan-ti i corti che partecipano ogni anno al bando e tanti di qualità al punto di mettere qualche volta in difficoltà lo staff di selezione e le giurie. Ope-re italiane come pure provenienti da altri Paesi, molte già selezionate da prestigiosi “concorrenti”, da Venezia a Cannes. Film in cui gli spettatori scoprono spesso grandi attori come Valerio Mastandrea, Gianni Cavina, Ivan Franek, Ninni Bruschetta, Ales-sandro Haber, Erika Blanc, Roberto Citran. E anche quest’anno ne sco-veranno qualcuno».

Giovanni Virgilio

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Per la scheda critica del film curata da Sebastiano Gesù e le immagini delle location

de La terra trema visita il nostro sito moveinsicily.com/magazine

oppure scarica l’app di MovieInSicily

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Visconti ci prese per mano

irca due anni fa, l’associa-zione cultu-rale La Rete degli Spetta-tori ha inse-rito La terra

trema di Luchino Visconti tra i cento film italiani “da salvare”, soprattutto da proporre nelle scuole accanto allo studio del-la letteratura tradizionale. Un alloro ulteriore, utile a rispol-verare il riconoscimento vene-ziano del 1948, quando l’arche-tipo della fortunata stagione neorealista italiana fu premia-to per il carattere innovativo del suo stile. A ricordare quei momenti irripetibili, Agnese e Nelluccia Giammona o, se preferite, Mara e Lucia Vala-stro: «Non è facile esprimere a parole la soddisfazione di aver partecipato al Festival del Ci-nema di Venezia, un qualcosa di enorme, lo abbiamo capito subito. Ricevere i complimen-ti di Anna Magnani, le sue do-mande, ci sembrava di essere dentro a un altro film». In Italia sono state tra le prime attrici non professioniste ed è forte la curiosità di conoscere la loro storia, di limitarsi all’a-scolto: «Nel dopoguerra, come puoi immaginare, Acitrezza era una terra poverissima, dove l’unico pensiero era portare a casa la giornata e riuscire a sfamare la propria famiglia. Non c’erano altri obbiettivi. Noi avevamo la fortuna di avere una piccola osteria familiare, dove preparavamo quel che si poteva, una cucina molto mo-desta, oggi si direbbe caserec-cia. Un giorno Luchino Viscon-ti è venuto a mangiare qui da noi insieme alla sua troupe, tra i quali figuravano due gio-vanissimi Franco Zeffirelli e Francesco Rosi. In verità, non sapevamo chi fossero, ma si capiva dal vestiario e dai modi raffinati la loro eccezionalità,

soprattutto in Visconti».Ragionando con i parametri at-tuali, si pensa subito ad una caccia disperata alla parte, alla comparsata, alle file chilome-triche fuori dal set: «La nostra osteria era diventata subito un punto d’appoggio quotidiano per la troupe, quindi per il re-gista fu naturale chiedere in-formazioni su noi due: i nostri volti e il nostro modo di fare, ci disse successivamente, erano perfetti per interpretare le due sorelle di ‘Ntoni e per più di un mese corteggiò i nostri genitori, che si convinsero, nonostante le forti perplessità, perché era veramente difficile negarsi a Visconti. Il nostro primo giorno di lavoro è rimasto indimenti-cabile, ma non nel senso che puoi immaginare: eravamo os-servate e chiacchierate da tutto il paese, e non volevamo uscire di casa. Ci ha convinto Viscon-ti, prendendoci per mano». Non ci sono tentennamenti nell’indicare il tratto più evi-dente della personalità del re-gista: «La sua esigenza. Gli bastava davvero poco per pre-parare una scena, ricordiamo ancora i momenti in cui stava seduto in osteria tenendo gli occhi chiusi per organizza-re mentalmente le riprese. Se qualcosa andava storto, era-no sempre Zeffirelli e Rosi a pagare per primi». Il film si re-alizzò tra alterne vicende e nel campo cinematografico rappre-senta un autentico compro-messo storico con una copro-duzione catto-comunista, che da sola non basta a spiegare la portata rivoluzionaria del film: «Ha mostrato con sincerità lo sfruttamento dei più poveri. Se questo significa essere comuni-sti, lo siamo anche noi. Rimane il periodo più felice della nostra vita e ricevere ancora attestati di interesse e curiosità ci rende orgogliose di quel che abbiamo vissuto».

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di Marco Tomaselli

Le SoreLLe Giammona e La terra trema

Foto di Rosario Lupo

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Visconti ci prese per mano

di Marco Tomaselli

era la voglia di fare un festival che ci raccontasse,

che si facesse portavoce di un messaggio “rigeneran-te” per noi, per il contesto in cui viviamo». A rivelare

l’esigenza da cui nasce Ri-genera, un appuntamento che

proprio alla fine di settembre è giunto alla sua sesta edizione, è stato il suo ideatore e direttore artistico Salvo Dub. “Rigenera – leggiamo nella presentazione – si preoccupa dell’elaborazione di un programma d’azione legato alla sensibilizzazione della collettività verso l’ecologia, verso uno stile di vita con-sapevole in rapporto al rispetto ambienta-le”. Si cominciò proprio sei anni fa quando «il primo leit motiv è stato quello del “vuoto a perdere” – ricorda Salvo –, della necessità di rigenerarlo, appunto: ridare vita, senso e identità quasi come dare una speranza, una soluzione. E, se lo si fa da un palco davanti a un microfono quando migliaia di persone ti ascoltano, è il massimo». Un progetto in continua e costante espan-sione perché «ogni edizione – ci racconta – ti accorgi che manca qualcosa e ci lavori già per l’anno dopo: è stato così quando mi sono reso conto che servivano più contenitori per la raccolta differenziata, quando abbiamo distribuito decine e decine di posacenere, quando era arrivato il momento di puntare sulla comunicazione, per arrivare alla con-divisione del progetto». Azioni concrete supportate da un proces-so di sensibilizzazione: «ogni anno un pas-so in avanti, un messaggio da divulgare, un pubblico sempre più consapevole ed esigen-te, che – per fare un esempio – dà per scon-tato che al Rigenera si faccia la differenziata e che sa che per le cicche di sigaretta ci sono i posacenere, e li cerca piuttosto che gettarle per terra. Questa è un’azione rigenerante».L’ultima edizione, che ha visto l’apertu-ra del festival con Mamiwata Soru, una performance di Tamburi Baga del corso di arte africana di Carlo Condarelli (Iper-cussonici) a La Terra di Bò, ha avuto in programma, tra le altre cose, le esibizioni di Swingrowers, Bundamove, Baciamo-lemani, Liberadante, Babil On Suite, Nigga Radio. Il festival, che si è sviluppa-to in lungo e in largo tra riuso, fotografia, letture e solidarietà, ha vissuto quest’ultima edizione nel segno del tema portante Ecolo-gia della parola per combattere l’inquina-mento mediatico e stimolare la pulizia del pensiero. Anche in questo campo Rigenera ha voluto dare l’esempio, presentando il se-condo numero di Rigenera Press «pensato come giornale di denuncia, ma con la voglia di trovare sempre una soluzione, oggi riu-nisce menti e “penne” desiderose di contri-buire all’approfondimento dei temi sull’am-biente, ognuno dando la chiave di accesso al proprio mondo: che sia arte, musica, cine-ma, libri, cucina, sport».

c’

rigeneraIL FESTIVAL CHE SI RINNOVANEL SEGNODELL’ECOLOGIA

di Edoardo Amore

Salvo Dub

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nastasio Fasanaro ha cominciato a costrui-re chitarre elettriche quando aveva quindi-ci anni. Una carriera lunga vent’anni e de-

stinata a durare ancora per molto. Oggi è uno dei più importanti arti-giani del settore e proprio a lui ci siamo rivolti per cogliere i segreti di questa arte antica.

Chi era Anastasio Fasanaro?Da sempre sono stato un grande ap-passionato di musica, soprattutto della chitarra, anche se ho suonato pure il pianoforte. Intorno ai quindici anni mi sono appassionato alla chitarra elet-trica che poi è diventata la mia prima attività. Questa passione è stata la spinta per cominciare a costruire il mio primo strumento. All’inizio è stato sol-tanto per piacere e per necessità, per-ché volevo una delle chitarre a punta che si utilizzavano in quei tempi, e non potendomela permettere, perché costa-vano molto e ne arrivano poche, me la costruì semplicemente con delle tavole e dei legni di risulta di un muratore, un coltellino, un seghetto alternativo.

Come suonava?Male, era orrenda. La prima volta, non

sapendo come verniciarla, ho avuto la felice idea di utilizzare una bombolet-ta classica.

Da quegli anni la situazione è de-cisamente cambiata. Oggi cosa fai?Sono un artigiano che da vent’anni si occupa di chitarre e di liuteria stretta-mente connessa agli strumenti a piz-zico, anche se ho fatto qualcosa sui contrabbassi, qualche riparazione. La chitarra resta il centro del mio lavoro così come il basso elettrico che ne è una derivazione moderna. La costruzione elettrica è stata la mia prima occupa-zione fino a qualche anno fa, da cinque anni a questa parte mi sto occupando anche di chitarre classiche. Una scom-messa affascinante, una ricerca diffici-le, interessante. Sono contento e sod-disfatto del lavoro svolto finora, però devo ancora continuare a studiare, ad approfondire e sperimentare molto.

In questo tuo lungo percorso di mi-glioramento e sperimentazione hai affrontato anche l’impatto con il web. Cosa è cambiato?Con internet è molto più semplice, siamo agevolati. Però non è tutto così lineare, perché il web alimenta confu-sione, non c’è una stretta conoscenza da parte degli addetti ai lavori. Alcu-

ni appassionati sono competenti, ma nella media c’è molta confusione, mol-ti siti e blog dove non sempre si scri-ve in maniera oggettiva. Un ambiente decisamente diverso rispetto a quello che produceva le riviste di settore che leggevo io vent’anni fa.

Se parliamo di liuteria catanese dob-biamo citare il maestro Scandurra.Rappresenta la storia della liuteria ca-tanese. Sono un allievo orgogliosissi-mo del maestro Scandurra che mi ha cresciuto, mi ha dato la possibilità di conoscere i più grandi liutai del mon-do e alcuni dei più importanti chitarri-sti classici. È stato lui a convincermi a iniziare a costruire chitarre classiche. Grazie ai suoi insegnamenti i risulta-ti sono stati positivi, ma rimare il mio amore per le chitarre elettriche e per il basso elettrico.

Cosa rappresenta nella storia della liuteria?Il maestro Scandurra è considerato uno dei più grandi al mondo, une ve-rità attestata anche da importanti ri-viste di settore, sia nazionali che euro-pee. La liuteria catanese era figlia della grande quantità, mentre il maestro ha fatto una scelta diversa, rivoluzionan-do alcune tecniche costruttive e fa-

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Così nasce una chitarra

L’ANTICA ARTE DELLA lIUTERIA CATANESE

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cendo uno strumento modernissimo e tecnicamente complesso. Le prime no-zioni le ebbe da Olivieri, un altro gran-de della liuteria catanese, poi cambiò completamente strada.

Qual è la tua scelta costruttiva e cosa dà il marchio a un tuo strumento?A me non piace il concetto di creati-vità senza avere delle basi, ma d’altro canto voglio che i miei strumenti ab-biano una certa personalità. Cerco di trovare questo equilibrio e non di non inventare e basta. Uno strumento non deve essere un’opera d’arte, sebbene lo possa diventare quando assieme al musicista si crea quell’alchimia. Lo strumento deve avere delle idee costruttive che servono al musicista per esprimersi nella migliore manie-ra possibile. Io non voglio fare uno strumento moderno e fine a se stesso, ma voglio poterne migliorare le carat-teristiche con i materiali. Ad esempio per la verniciatura utilizzo una tecni-ca mista che mi permette di lavorare sui legni per renderli il più possibile leggeri, senza lasciarli intrisi di verni-ce. Adesso studio le vernici ad acqua, meno inquinanti e meno tossiche. Ri-spetto chiaramente chi utilizza le tec-niche antiche anche per dare senso a una ricerca storica, ma credo che la

chitarra debba essere contestualiz-zata perché costruiamo nella nostra contemporaneità e per chi vuole co-struire uno strumento ha senso dare l’impronta del proprio tempo.

Ci racconti come nasce una chitarra? È tecnicamente più semplice costrui-re una chitarra elettrica, ma se le cose le devi fare bene è comunque un’ope-razione altamente complessa. Il body è un pezzo di legno intero, massiccio. Si parte da un corpo solido, si taglia e si iniziano a fare gli scassi e le fre-sature per l’alloggio del manico e dei pick-up. Poi si posiziona il ponte e si ricava l’alloggio per l’elettronica, dove vanno i potenziometri e il resto. Quin-di si passa alla rifinitura generale e si comincia a mettere in verniciatura. L’ordine non è esattamente questo, ma è soltanto per semplificare.

E il manico?Resta la parte più complessa. Intanto si taglia il pezzo dal quale di decide di ricavarlo e da lì si taglia il profilo e poi si fanno la fresature per alloggiare la truss rod, la barra di acciaio che serve a contrastare la tensione delle corde. Questa è una fase molto delicata, per-ché tutto deve essere ben calibrato. Successivamente si applica la tastiera

e poi si compie la rifinitura di questi accoppiamenti, quindi si mettono i ta-sti e si fa prima la curvatura. Anche l’inserimento dei tasti è un passaggio da attuare con particolare cura, per-ché bisogna rispettare alcune quote e non bisogna mai forzare. Anche da questo si definisce la qualità futura della tastiera. Dopo la definizione la-terale dei tasti si passa alla vernicia-tura. C’è una mano a tampone e poi delle mani e spruzzo.

Per chiudere ti chiediamo un nome. Il musicista che ti ha dato più sod-disfazioni?Tra i miei clienti, che poi spesso di-ventano amici, ci sono tanti profes-sionisti di altissimo livello. Cito con piacere Massimo Moriconi, il bassista che lavora con Mina, e che vanta un curriculum veramente straordinario.

L’ANTICA ARTE DELLA lIUTERIA CATANESE di Filippo Grasso

MovExtra

Per l’intervista videoad Anastasio Fasanaro

moveinsicily.com/magazine

Move in Sicily

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Carlo e Fabio Ingrassia

assenza, la delineazio-ne del tratto e la nega-zione della continuità del segno si tramuta-no per i gemelli Car-

lo e Fabio Ingrassia in constatazioni, tragitti

espressivi preordinanti dove inserire il senso del loro lavoro complessivo. La coppia tramuta la volumetria della scultura e del tratto in profonde dis-solvenze, dove le velature e la gram-matura dei grigi, che si traducono in colori, creano un linguaggio finalizza-to alla sottrazione. I lavori procedo-no a quattro mani; grazie infatti alla loro predisposizione naturale ad es-sere l’uno mancino e l’altro destrorso traducono, in un percorso segmen-tato ma complessivamente plastico,

un’andatura formale che si sviluppa sullo stesso supporto e che produce un gesto finalizzato, creato su misura. Il risultato conseguito ricalca un’in-cessante ricerca di immagini mentali che si sintetizzano in un’unità di uno o più colori, tramutandosi in sorta di membrana pittorica diafana. I due artisti seguitano a tradurre l’atto ge-neratore in frammenti bidimensionali consecutivi, così come si traslerebbe-ro nello spazio reale. Loro stessi defi-niscono tale processo programmatico come un “fenomeno d’accelerazione”, dove la collisione del vicino e del lon-tano risulta essere annichilimento delle dimensioni e dei numeri. La sin-tesi tradotta nell’enucleazione dei loro progetti potrebbe accostarsi al con-cetto spazio-temporale; prendendo la

simmetria di più pianeti, essi seguo-no un moto ripetuto, distanti l’uno dall’altro sembrano non appartenersi, non corrispondersi, ma rispetto al tes-suto, alla membrana spazio-tempo-rale, ogni movimento dell’uno, corri-sponde al senso dinamico dell’altro in quanto disposti sulla stessa superficie fisica, qualsiasi variazione anche la più impercettibile di uno dei pianeti, influenza il moto, la calibratura, l’e-quilibrio anche interno degli altri. Un effetto domino che esclude il concetto di distanza, e nega allo stesso tempo il fatto che l’avvicinamento sia fonda-mentalmente indotto, confermando quindi la possibilità che il segno sia non circostanziato e generato, ma che riveli una propria autonomia, che ri-sulti essere del tutto autosufficiente.

di Alex Munzone

l’

Carlo e Fabio ingrassia Catania, Italia, 1985. Vivono e lavorano a Catania, Italia Mostre personali / Solo Shows: Sezioni e Polvere di Carlo e Fabio Ingrassia, 2013, Ritmo Independent Cultural Space, Catania. Mostre collettive / Group Shows: Spaces, Contexts, Habitats, 2015, Palazzo Biscari, Catania.Pianeta X, 2015, RISO – Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, Palermo. PRE-VISIONI, 2009, Fondazione Puglisi Cosentino, Catania.

Bibliografia: F. Lucifora, Pianeta X. Workshop e scansione di un panorama, in “Arte e critica”, n°80/81, inverno 2014 -primavera 2015, pp. 120-121; P. Buttafuoco, Segni gemelli, in “Arte – mensile di Arte, Cultura, Informazione”, n° 497, gennaio 2015, pp. 118-122; F. Molè, I Gemelli di Catania che dipingono insieme sullo stesso quadro, La Repubblica TV, 18 Marzo 2014. Il loro lavori sono inclusi nella collezione della Fondazione Puglisi Cosentino di Catania e nell’Esposizione Permanente del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Roma.

Fenomeno d’aCCelerazione e autosuFFiCienzadel segno

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Speciale Orto Bòtanico

l’orto bòtanicoalla terra di bò

di Milena Viani

tutto in onore del verde

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alle piante mediterranee a quelle tipiche siciliane, dalle piante fitotera-piche alle aromatiche, per finire tutte nel gran-de giardino delle piante

astrali, quelle che con le loro caratteristiche ci raccontano l’in-flusso potente degli astri sulle forme ed essenze del nostro pianeta.

Il progetto dell’Orto Bòtanico è nato nel fermento delle tante proposte e idee della Terra di Bò, con la voglia di lasciare un dono della terra alla stessa terra, lasciare memoria degli artisti, at-tori, letterati, musicisti che in qualche modo hanno avuto a che fare con questa Sicilia, terra che muta attraverso le sue stagioni. Quale modo migliore per fare questo, se non piantare.Le menti si sono intrecciate e da un sug-gerimento ne sono nati mille altri tutto a rappresentare perfettamente la rete che collega ogni cosa. Proprio dall’idea di “connessione” e di “rete” abbiamo scelto di dare all’orto Bòtanico la forma di un neurone con i suoi mille collegamenti o di una ragnatela con i suoi punti nodo o di una spirale/chiocciola perché ci pia-ce andare lentamente. Dall’idea dell’Orto alla realizzazione dell’Orto il passo è stato breve, e una squadra intera a lavoro a di-segnare sentieri, progettare archi, scava-re fossi, interrare piante, collocare istal-lazioni. Ogni pianta ha il suo posto, è dedicata a qualcuno, ha le sue carat-teristiche e le sue proprietà e insieme a tutte le altre ricorda una delle caratteri-stiche principali della natura: la biodiver-sità, di cui è ricco il nostro pianeta.I lavori all’Orto Bòtanico sono in con-tinua evoluzione, come la stessa Terra di Bò: tutto in natura cresce, si evolve, si trasforma. Tutto è in continuo muta-mento. “Terra” come humus, “Bò” come il guizzo d’inconsapevolezza che accompa-gna il nostro esistere, spesso incoscienti del naturale mutamento. Come i semi che mutano in altro perché hanno già scritta la direzione del loro mutare, eppure inte-ragiscono con l’ambiente che può modifi-care il loro stesso cambiamento.L’orto Bòtanico nasce dentro la natura e i suoi ritmi, vuole essere giardino d’incon-tri, stanza dei pensieri lievi, parco per i giochi naturali, palcoscenico di piacevoli eventi, sentiero per un viaggio nelle arti, aula didattica all’aperto dove Natura e Cultura s’incontrano. La sua struttura neuronale ci ha permes-so di creare delle sezioni al suo interno dedicate ai vari ambiti delle arti: lette-ratura, filosofia, teatro, cinema, musica, danza, pittura-scultura. Ogni sezione ac-coglie e accoglierà le piante dedicate ai praticanti di quella specifica arte e che in

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Per le altre puntate sulla presentazione dell’Orto Bòtanico

moveinsicily.com/magazine

Move in Sicily

Illustrazioni: © Milena VianiPhoto credit: © Martina Distefano

qualche modo hanno avuto una genesi o un approdo in Sicilia.Una visita all’Orto Bòtanico può avere diversi approcci: è un modo per entrare pienamente dentro la natura, dove le sta-gioni c’insegnano che tutto cambia, passa, eppure tutto ritor-na, un modo per conoscere la sua “naturale diversità” e capa-cità d’interazione. È un modo per entrare “dentro” la rete della vita dove tutto è interconnesso e anche il più piccolo essere è un pezzo ben incastrato di questo perfetto ingranaggio che è la natura. Può essere un viaggio alla scoperta della pianta e della sua immagine cosmica, della sua capacità di dialogare con i pianeti, delle sue proprietà e funzioni.L’Orto Bòtanico vuole essere anche un campo-laboratorio dove incontrare la sensibilità e l’intelligenza del “pianeta verde”, perché molti studi sono stati fatti dal punto di vista botanico sul mondo vegetale, ma troppo pochi sulle sue capa-cità sensibili e intellettive, eppure esistono centinaia e migliaia di prove a dimostrare l’intelligenza e l’intenzionalità del mondo vegetale. Pare addirittura che il verde possieda un’intelligenza di sciame che procura alle piante comportamenti simili a quelli di uno sciame di api o un banco di pesci o uno stormo di uccelli.Non c’è tanto la voglia di dimostrare qualcosa, quanto quella di sperimentare con le mani nella terra. In fondo le piante potreb-bero benissimo vivere senza di noi, noi invece senza di loro ci estingueremmo in breve tempo. Nell’impermanenza c’è scritto il nostro progetto. Terra di Bò è un progetto di Natura Sicula. Più che mai, la natura sicu-la ha la caratteristica dell’impermanenza. Il vulcano ci ricorda che tutto ribolle, che tutto può essere distrutto e rinascere, tutto può essere trasformato dal fuoco. Le dominazioni ci ri-cordano che tutto muta eppure tutto sembra uguale per secoli.

milena vianipedagogista di terra e Referente del progetto terra di bò.

per info: [email protected]

chi è

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C’è un viaggio che si compie a ritroso, senza preoc-cuparsi dei tempi di scoperta. La Via del Mito, il cam-mino che collega Capo Peloro e Capo Passero, le due punte nord e sud della Sicilia orientale divise da 224 chilometri, è un’esplorazione nel passato per ri-portare alla luce splendori e storie del territorio. A compiere questo percorso, rigorosamente a piedi, sono Michele Mondello e Angelo Robino, che conquisteranno i luoghi del mito riscoprendo «antiche vie di comunicazione e percorrendo strade sterrate – si legge nel testo di presentazione dell’iniziativa –, sentieri veri e propri, fino a qualche decennio fa anco-ra quotidianamente frequentati e usati dai viaggiatori di tutte le nazioni, dai contadini, e dai pastori per la transumanza delle greggi». In un ideale intreccio tra passato e nuove tecno-logie, i due esploratori degli antichi percorsi condi-videranno online le informazioni raccolte: appunti di viaggio, luoghi di interesse storico, artistico e arche-ologico e posti migliori dove mangiare e pernottare in un buon rapporto qualità-prezzo. In questo modo si creerà quello che definiscono un “bene culturale col-lettivo” promuovendo anche in Sicilia nuove modalità di godere del turismo lento e responsabile. «Il termine camminare – racconta Michele a Move – ha molteplici significati intrinseci, non solo metaforici. Vuol dire andare lentamente ma anche, e soprattutto, con consapevolezza; consapevolezza dei propri pas-si e della direzione nella quale si sta procedendo, con la costante opportunità di perdersi per ritrovare la giusta via, ma anche consapevolezza dei luoghi che si attraversano». Non si tratta soltanto di cogliere i dettagli che altrimenti sfuggirebbero, ma c’è anche la necessità più banale eppure tanto concreta di cono-scere il luogo in cui si vive. E nei luoghi ci sono le persone. «Chi ti saluta da lontano con un cenno della mano, chi con espressione incredula ti guarda

in silenzio osservandoti fino a quando non scompari all’orizzonte, e chi con tutta franchezza ti dice: “Ma cu ta fa fari?”. La maggior parte delle persone però ti vuole dare un aiuto. Ringrazio di cuore tutti quelli che mi hanno aperto le porte di casa, accogliendomi e offrendomi un riparo per la notte e un pasto caldo, senza volere nulla in cambio». E proprio nelle inter-sezioni tra i luoghi e le persone che poi si accen-dono le storie e leggende popolari che tanto ognuno «racconta a modo suo, arricchendole con la propria fantasia di episodi epici e straordinari».Per il viaggiatore è, così la definisce Angelo, una cura da cavallo contro lo stress. «Qui non si tratta di una passeggiatina ai giardinetti per digerire il pranzo lu-culliano della domenica, qui devi camminare per 15-20 km al giorno tutti i giorni, per una settimana, 15 giorni o un mese, fino a quando non ti sarà passato lo stress». Durante il racconto del viaggio, scaturisce quasi naturalmente un consiglio per i nostri let-tori che vorranno cimentarsi nel percorso che sarà documentato su ammappaitalia.it. «Finora il pae-saggio che più mi è rimasto nel cuore e nella mente è quello delle aspre e quasi selvagge creste dei Pelo-ritani, abbracciate dalle verdi vallate che accolgono nel loro fertile grembo i piccoli borghi. Ma direi che tutto l’itinerario è uno spettacolo di natura e cultura. Dalla maestosità e potenza dell’Etna, alla fecondità accogliente degli ambienti fluviali. Tra questi la Valle dell’Anapo è davvero incantevole». Il cammino continua. Michele e Angelo, che abbiamo intervistato alla fine di settembre, si preparano alle prossime tappe che da Noto portano a Capo Passero, attraversando l’oasi di Vendicari. Ma i due non si fer-meranno certamente qui. «In futuro – ci spiega – mi dedicherò ad “ammappare” un’altra zona della Sicilia. Per ora invito tutti a mettersi in cammino sulla Via del Mito».

di Filippo Grasso

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IL sENsODEL vIaggIO

è caMMINaREDa Capo Peloro a Capo Passero per riscoprire l’Isola

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Cos’è la Via del Mito«La Sicilia intera è caratterizzata da leggende legate ai luoghi o a perso-naggi illustri, ma è soprattutto nel tratto di costa compreso tra Capo Peloro e Capo Passero che il Mito di-viene elemento fondante dell’identità locale». Lo scrivono Michele e Angelo nella loro dettagliata presentazione del progetto che riporta le 53 tappe previste, distribuite tra l’inizio di set-tembre e la fine di ottobre. Non poteva esserci nome migliore, quello del mito, per identificare un cammino isolano che ha un corpo intessuto dai vari Scilla e Cariddi, Colapesce, Ulisse e Polifemo, Aci e Galatea, Arethusa e Alfeo, il dio Efe-sto con la sua schiera di ciclopi for-giatori. «La storia di un popolo che si identifica con il proprio territorio – si legge nel documento dei due cam-minatori –, ma anche con il proprio mare, fondendosi in esso». La Via del Mito vuole essere il racconto itine-rante di questa storia come una sorta di “viaggio nel tempo e nella memoria del popolo siciliano”. E per ogni luo-go c’è un mito che ispessisce il va-lore del viaggio: «da Scilla e Cariddi, metafora delle derive, degli approdi, dei vortici che ora mandano a fondo il viaggiatore, ora lo riportano a gal-la, avvinghiandolo sempre nelle spire dell’incertezza, all’Isola delle Correnti di Capo Passero, luogo leggendario dell’approdo del valoroso eroe troia-no Enea; dagli amori sofferti e rubati di Arethusa e Alfeo, di Aci e Galatea,

Cos’è Ammappa l’ItaliaAmmappa l’Italia è un blog collettivo, il che significa che ognuno di noi può, iscriven-dosi, partecipare alla sua len-ta costruzione. L’argomento che tratta è la percorribilità a piedi del territorio italiano. In che modo lo fa? Semplicemen-te mettendo a disposizione di tutti la descrizione dei percor-si che ognuno di noi conosce. Così come Wikipedia è un’en-ciclopedia del sapere costrui-ta da utenti di ogni parte del

mondo, così Ammappa l’Italia è un’enciclopedia, libera e gra-tuita, dei sentieri, delle strade bianche, delle mulattiere, che solo le persone del luogo co-noscono e che, condivisi, per-mettono di organizzare anche trekking di più giorni per le campagne italiane e di passa-re da un paese all’altro senza necessariamente comprare li-bri di sentieristica (spesso dif-ficilmente acquistabili se non in loco).

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Photo credit: © Angelo Robino e Michele Mondello

michele mondelloResponsabile del progetto “la via del mito”, Michele Mondello è laureato in Promozione e Valo-rizzazione dei Beni Ambientali e Culturali, con una tesi sulla filo-sofia del viaggio, e specializzato in Management Turistico-Cul-turale all’Università degli Stu-di di Messina. Appassionato di antichi cammini e agricoltura naturale ha seguito il Cammi-no di Santiago (percorrendo il cammino che va da Barcelona a Santiago de Compostela) e viaggiato in vari paesi dell’Eu-ropa come socio e volontario dell’Organizzazione WWOOF Italia. La World-Wide Oppor-tunities on Organic Farms è un’organizzazione che mette in contatto le fattorie biologiche con chi voglia, viaggiando, of-frire il proprio aiuto in cambio di vitto e alloggio. Attualmente collabora con Ammappalitalia e il WWOOF alla realizzazione del progetto “VieWWOOF”.

chi è

Contatti

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/ammappalitalia

www.ammappaitalia.it

al mistero delle Truvature nelle centinaia di grotte pre-senti tra i Colli Peloritani e l’Etna, la Via del Mito è un viaggio nella poesia di questi luoghi».E il tempo resta un concetto chiave di questo percor-so, e non soltanto quello storico. «Camminare per tanti giorni – ci spiega Michele – inoltre cambia radicalmen-te il nostro rapporto con il tempo. Il tempo si dilata, quasi fino all’infinito, e contemporaneamente si com-prime, compattandosi in quell’unico passo che è tutto il cammino, in quell’istante che non riusciamo più a cogliere e che invece vale una vita». E in queste parole si racchiude il segreto di un viaggio diverso. «Camminare lentamente – spiegano a Move –, interagire e relazionarsi con le comunità che li vivono, godere dei colori, dei suoni, degli odori e delle sensa-zioni che i luoghi ci trasmettono. Ascoltare cosa ci rac-contano. È questo il segreto per sfuggire alla sperso-nalizzazione dei viaggi globalizzati, e per ritrovare quel desiderio di riscoperta dello sconosciuto, del diverso, che fin dall’antichità ha spinto l’uomo a mettersi in viaggio».

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nrico Garozzo, classe ‘89, è uno schermi-dore nato e cresciu-to in Sicilia, prima di spiccare il volo verso importanti e ambìti scenari internaziona-

li. Ai mondiali di Kazan del 2014 ha ottenuto il bronzo nella spada indi-viduale. Con lui abbiamo ripercorso carriera e passioni.

Come ti sei avvicinato a questo sport?Ho iniziato a fare scherma grazie a Sebastiano Manzoni. Suo figlio Gio-vanni è uno dei miei migliori ami-ci, ed essendo compagni di scuola mi ha coinvolto nella riapertura del Club Scherma Acireale con il mae-stro Raffaele Manzoni.

Anche tuo fratello Daniele ha ini-ziato a fare scherma con te. Poi avete preso strade diverse, ma all’inizio eravate entrambi fioret-tisti. C’era competizione? Non c’era allora e non ce n’è nem-meno adesso. A dire il vero quando mio fratello ha iniziato a fare gare io ero già passato a fare spada, quindi

non c’è mai stata una competizione diretta tra noi. Ma lui è il mio primo tifoso e io sono il suo.

Per entrambi forse il primo gran-de risultato è arrivato ad Acireale 2008. Cosa significa vincere a casa?Io avevo già assaporato una medaglia mondiale in una categoria giovani-le. Avevo preso l’argento al mondiale cadetti di Tabaek City nel 2006, ma non è paragonabile ad Acireale 2008. Quello è stato un giorno indimenti-cabile. Non dimenticherò mai l’im-magine di tutti i miei amici e dei miei compagni di scuola, e soprattutto del-la mia professoressa di Storia e Filo-sofia, Carola Colonna, che cantavano l’inno sotto al podio insieme a me.

Ci racconti cosa significa essere bam-bini e iniziare questo sport in Sicilia? Siamo svantaggiati perché geografi-camente siamo abbastanza lontani da tutto. Sicuramente un bambino dell’Italia centro-settentrionale ha più facilità di spostamento. Ma tutto ciò viene sopperito dal nostro modo di affrontare le cose. E per nostro intendo di noi siciliani. Non ci fer-

miamo davanti a niente. Spesso per merito dei genitori, i miei sono sta-ti esemplari e non smetterò mai di ringraziarli, che sono pronti a fare grandi sacrifici economici e sobbar-carsi ore di viaggio.

Cosa ricordi di quel periodo?L’aver avuto tanto tempo a disposizio-ne, a causa dei lunghi viaggi, da passa-re con i miei genitori. Quindi alla fine non tutti i mali vengono per nuocere.

Adesso vivi a Milano, molti di voi fanno questa scelta. Sei più vicino ad altri atleti di alto livello ed è più facile spostarsi per le gare, ma cosa ci manca per tenervi tutti qui?Mi sono spostato a Milano per lavo-rare con un maestro con cui ho de-ciso di iniziare un progetto. Qui c’è una specie di “centro federale” crea-tosi autonomamente. Ci sono molti atleti top con cui allenarsi quotidia-namente e la posizione geografica che facilita gli spostamenti fa il re-sto.Una nota dolente per la Sicilia sono le strutture. Una eccezione è certamente il Club Scherma Acireale e lo dico con grande orgoglio.

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Enrico Garozzo, schermidore

da acireale a kazan e oltre

di Martina Distefano

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La scheda

Torniamo al passato. Quali sono state le figure di riferimento per la tua formazione? Io sono stato molto fortunato per aver avuto tante persone di quali-tà. Non voglio fare torti a nessuno ma mi piacerebbe ricordare il Mae-stro Raffaele Manzoni, Mimmo Patti, Salvo Tomarchio, Sergio Spinoccia, Alessandro Di Bella, Angelo Mazzoni e Andrea Candiani. Ognuno di loro mi ha lasciato tantissimo e se sono arrivato a questo punto è sicura-mente merito loro.

Sappiamo che hai iniziato al Club

Scherma Acireale, un club con un nome già prestigioso grazie alla presenza di Raffaele Manzoni. Una volta mi capitò di andarlo a trovare a casa sua e mi ha raccon-tato cosa significava essere mae-stro di scherma ai suoi tempi, mi parlò di duelli al primo sangue, di nobili e di offese gravissime. Hai qualche aneddoto da raccontarci su questa epoca della scherma in Sicilia?Ricordo che un giorno mi raccontò di come preparava la gente ai duelli, proprio quelli che vediamo nei film, con il lancio del guanto e la sfida al

“primo sangue”. Anche a me è ser-vito per rendermi conto che, sicura-mente in Sicilia, questo passato non è così lontano e mi ha aiutato a ca-pire meglio le radici del mio sport.

Quali sono i tuoi prossimi appun-tamenti?L’obbiettivo della stagione, pare scontato dirlo, è l’Olimpiade di Rio. Sono quasi sei anni che ci stiamo lavorando. Cercherò di raggiungerlo con l’unico metodo che conosco: il lavoro. Affronterò tutto questo come solo un siciliano doc, quale mi sento anche se emigrato, sa fare.

Photo credit: © Augusto Bizzi

catania• Club Scherma Acireale • A.S. Methodos• A.s.d. Mare Azzurro Acireale • CUS Catania Sezione Scherma• Catania Scherma • Acc. A. Greco Caltagirone A.S.D.messina• Associazione Messina Scherma• Club Scherma MessinaRagusa• A.S.D. Conad Scherma Modica• A.S.D. Accademia Scherma Ragusacaltanissetta • A.S.D.Gruppo Schermistico Nisseno

siRacusa• Club Scherma Siracusa A.S.D • Club Scherma AugustatRapani• Circ. Schermistico Mazarese • Mazara Scherma A.S.D. • A.S.D. Campobello Scherma • A.S.D. Trapani Scherma • Club Scherma MarsalaagRigento• Discobolo SciaccapaleRmo• Accademia Scherma Palermo A.S.D • Club Scherma Palermo• Sala d'Armi Trinacria Palermo• Club Scherma Santa Flavia

scheRma in sicilia

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ph valentina Giuffrida e alfredo magnanti

i Vicerè di roberto faenzaItalia 2007, 120’

Trama: È la storia dell’ antica famiglia degli Uzeda, di origine spagnola, impiantata a Catania. Un affresco ventennale che va dal 1853 al 1872 della nobiltà siciliana nel difficile passaggio dal regime borbonico alla nuova realtà sociopolitica dell’Italia unita, in cui spiccano il Principe Giacomo del monocorde Lando Buzzanca, il figlio dispotico Consalvo del maturo Alessando Prezioni, e l’arcigna e incisiva Donna Fernada di Lucia Bosé.Location: catania (piazza duomo, villa cerami, via crociferi, monastero dei benedettini), AcitrezzaCast: guido caprino, lando Buzzanca, Alessandro Preziosi, cristiana capotondi, lucia Bosè

Tutte le location del film si trovano sull’app di MovieinSicily scaricabile gratuitamente da tutti gli store e/o sul sito movieinsicily.org

A cura di giorgia Butera e daniela Fleres