n.5 - 2012 esperienze

4
Lisa Bartoli A nni e anni di attesa per poi rischiare di vedersi cancellare tutto. È noto a tutti che la giustizia risente molto delle decisioni del legislatore, ma quando diventa strumento contro i diritti previdenziali e assicurativi di tanti lavoratori esposti per oltre dieci anni alle fibre di amianto (indicati da leggi nazionali) c’è qualcosa che non va. Il signor x il 20 dicembre 1995 fa regolare richiesta all’Inail per ottenere il riconoscimento dell’esposizione alla sostanza nociva e i benefici contributivi previsti dalla legge, dopo aver passato decenni a inalare fibre di amianto nello stabilimento presso cui lavorava. Passano sei anni senza che di quella domanda sappia alcunché, per cui decide, insieme al suo avvocato, di adire le vie legali avviando, il 29 gennaio 2001, una causa con due domande: una all’Inail, per chiedere l’accertamento all’esposizione all’amianto, e una all’Inps perché, una volta accertata l’esposizione, gli fosse accredita la contribuzione conseguente. Il signor x non ha un nome perché rappresenta il prototipo di migliaia di ricorsi, per i quali l’esito, finora quasi sempre favorevole (nel merito) al riconoscimento del diritto, è diventato fortemente aleatorio a seguito di un nuovo orientamento giurisprudenziale, che per certi versi solleva molti dubbi e molte sorprese. Cosa sta succedendo nella giustizia? Da qualche mese in molte cause pendenti presso vari tribunali l’Inps, richiamando alcune sentenze della Corte di Cassazione, fa valere la decadenza triennale (articolo 47, dpr 639/1970), per usufruire dei benefici contributivi previsti per gli esposti all’amianto, anche nelle controversie aventi per oggetto l’accertamento dell’esposizione al pericoloso minerale, sostenendo la decadenza del diritto all’accreditamento della maggiore contribuzione previdenziale prevista dall’articolo 13 della legge del 1992 (n. 257). La prima sentenza della Corte di Cassazione che ha affrontato questo argomento risale al 2008, quando ha preso in esame il caso di un lavoratore in pensione che aveva chiesto la rivalutazione della pensione dopo aver ottenuto tardivamente il riconoscimento dell’esposizione all’amianto da parte dell’Inail. Il rifiuto della Suprema Corte ha aperto la strada ad altre tre sentenze analoghe. In tutti questi casi la Cassazione ha affermato il termine perentorio di tre anni, senza specificare però i casi in cui la decadenza decorrerebbe, il periodo di decorrenza e da quando questo termine dovrebbe essere calcolato. Peraltro, sino a pochi mesi fa, anche dopo il 2008, l’Inps non aveva mai sollevato l’eccezione di decadenza e le sentenze passate in giudicato a favore del riconoscimento dei benefici previdenziali erano date per acquisite. A fronte delle migliaia di lavoratori ai quali sono stati riconosciuti i benefici, altri, in analoghe situazioni, oggi rischiano di non ottenere nulla. “Un modo un po’ sbrigativo per risolvere un contenzioso complesso e ancora consistente”, spiega Ettore Sbarra, consulente legale dell’Inca. Qualche migliaio sono le cause in corso in diversi tribunali. Fanno notare gli avvocati consulenti dell’Inca che spesso le risposte di Inps e Inail non arrivano mai prima di sei o addirittura sette anni. “Già solo questo fatto – chiarisce Sbarra – farebbe cadere nel nulla qualsiasi possibilità di avere giustizia a una legittima richiesta”. Gli ultimi pronunciamenti della Cassazione mal si conciliano con una sentenza della Corte Costituzionale (n. 376 del 2008) e con altre precedenti della stessa Cassazione che, invece, sottolineavano come non fosse necessaria alcuna domanda amministrativa per far accertare il diritto alla rivalutazione dei contributi previdenziali per effetto dell’esposizione all’amianto. E questo perché è indiscutibile che di fronte a un grave rischio per la propria salute, subìto e non voluto (causato dall’esposizione ultradecennale all’amianto) per essere stati costretti a lavorare in condizioni pericolose, non sono giustificati termini perentori, prescrizioni o decadenze. Il nuovo orientamento della Corte di Cassazione è ancor più anacronistico se raffrontato a quanto aveva affermato la stessa Suprema Corte, in un’altra sentenza del 2001 (n. 4913) quando, richiamando il dibattito parlamentare che aveva preceduto l’approvazione istitutiva dei benefici previdenziali (legge n. 257/92), precisava che il legislatore aveva indicato una soluzione “compensativa” dei danni subiti nel tempo a causa dell’esposizione alla fibra killer, consentendo sia una maggiorazione dell’anzianità contributiva per tutti i dipendenti che fossero stati esposti all’amianto per più di dieci anni, sia un pensionamento anticipato, in relazione alle conseguenti minori aspettative di vita; in “attuazione dei princìpi di solidarietà espressi dall’articolo 38 della Costituzione”. Affinché fosse ancor più chiaro il concetto, il legislatore è intervenuto successivamente con una legge specifica che fissava una speciale decadenza per l’accesso ai benefici previdenziali per risolvere in questo modo anche il contenzioso che si sarebbe inevitabilmente accumulato. Infatti, la legge 326/03 ha stabilito come termine ultimo per la presentazione delle domande all’Inail il 15 giugno 2005, ben tredici anni dopo l’approvazione della legge istitutiva dei benefici previdenziali (1992). “Questa scelta – spiega Rassegna Sindacale Pensioni: il governo non sia sordo I l governo Monti non può considerare chiuso il capitolo “pensioni”. Lo r badisce con insistenza la Cgil, la cui coerenza ha prodotto la rinnovata capacità di iniziativa con Cisl e Uil su questi temi. Lo ripete con convinzione l’Inca, impegnata a costruire un fronte unitario dei patronati sindacali e delle Acli, che ogni giorno deve assolvere l’ingrato ruolo di informare lavoratrici e lavoratori che non sono più vicini alla pensione; che l’età pensionabile per la vecchiaia è aumentata; che la pensione con i quaranta anni di contributi non esiste più. Ma cosa fare quando il lavoro non c’è più? E come rassicurare il lavoratore in mobilità, che pensava di essere traghettato fino al pensionamento, che non è più così? Cosa dire agli “esodati”, con accordi sottoscritti al ministero del Lavoro o a chi scopre all’improvviso che per mettere insieme, nell’Inps, i contr buti versati nelle diverse casse pensionistiche, con decine di anni di lavoro, deve pagare somme enormi? La stampa e la televisione stanno facendo bene il loro mestiere raccontando storie di vita e di lavoro e mettendo in luce le ingiustizie e le richieste di Cgil, Cisl e Uil. I partiti che sostengono il governo dicono di voler modificare le norme ma dopo mesi di iniziative, di lotte, di lettere confederali al ministro del Lavoro siamo allo stesso punto. Il grande Inps, che ha assorbito le funzioni degli altri enti previdenziali, non ha autonomia; deve obbedire al ministero del Lavoro, che impone le sue interpretazioni restrittive della legge 214/2011; senza considerare gli effetti disastrosi dal punto di vista sociale che produrrà, ad esempio, la cancellazione delle deroghe stabilite nel 1992 dal dlgs 503, per salvaguardare chi aveva già raggiunto 15 anni di contributi a quella data o chi, pur lavorando per oltre 25 anni, non aveva la copertura contributiva piena a causa della precarietà del suo lavoro. No, il capitolo “pensioni” non è chiuso. Il governo non può restare sordo alla domanda di equità che portiamo avanti, non può spingere verso il lavoro nero il precario, togliendogli ogni speranza di pensione. Non lo consentiremo. Luigina De Santis della presidenza Inca SEGUE A PAGINA 19 I. R. al numero 9/2012 di Rassegna Sindacale La riforma delle pensioni e la nuova tassa sulla casa, cosiddetta Imu, rappresentano le principali novità introdotte dal governo Monti, in materia di welfare e fisco, che hanno già inciso profondamente, ma lo faranno ancora di più in futuro, sulle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone residenti in Italia. Per rendere visibili le iniquità di queste due misure l’Inca nazionale e il consorzio dei Caaf della Cgil hanno realizzato una guida per dare un contributo a una corretta informazione alle tante persone che, in questo momento, si rivolgono al Patronato e ai Centri di assistenza fiscale del sindacato, per essere aiutate verso la scelta più giusta. È possibile acquistare una copia della guida inviando la richiesta a Rassegna Sindacale. AMIANTO: BENEFICI PREVIDENZIALI PER I LAVORATORI I tre anni che fanno la differenza Un nuovo orientamento giurisprudenziale della Cassazione mette a rischio i diritti di molti lavoratori esposti da oltre dieci anni all’amianto.In molte cause pendenti presso vari tribunali l’Inps solleva l’eccezione della decadenza triennale INCAesperienze-05 ok 21/05/12 10.37 Pagina 16

Upload: inca-nazionale

Post on 28-Mar-2016

213 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

La riforma delle pensioni e la nuova tassa sulla casa rappresentano le principali novità introdotte dal governo Monti che hanno già inciso profondamente, ma lo faranno ancora di più in futuro, sulle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone residenti in Italia.

TRANSCRIPT

Lisa Bartoli

Anni e anni di attesa per poirischiare di vedersicancellare tutto. È noto a

tutti che la giustizia risente moltodelle decisioni del legislatore, maquando diventa strumento controi diritti previdenziali e assicuratividi tanti lavoratori esposti per oltredieci anni alle fibre di amianto(indicati da leggi nazionali) c’èqualcosa che non va. Il signor x il20 dicembre 1995 fa regolarerichiesta all’Inail per ottenere ilriconoscimento dell’esposizionealla sostanza nociva e i beneficicontributivi previsti dalla legge,dopo aver passato decenni ainalare fibre di amianto nellostabilimento presso cui lavorava.Passano sei anni senza che diquella domanda sappia alcunché,per cui decide, insieme al suoavvocato, di adire le vie legaliavviando, il 29 gennaio 2001, unacausa con due domande: unaall’Inail, per chiederel’accertamento all’esposizioneall’amianto, e una all’Inps perché,una volta accertata l’esposizione,gli fosse accredita lacontribuzione conseguente. Ilsignor x non ha un nome perchérappresenta il prototipo dimigliaia di ricorsi, per i qualil’esito, finora quasi semprefavorevole (nel merito) alriconoscimento del diritto, èdiventato fortemente aleatorio aseguito di un nuovo orientamentogiurisprudenziale, che per certiversi solleva molti dubbi e moltesorprese. Cosa sta succedendo

nella giustizia? Da qualche mese in molte causependenti presso vari tribunalil’Inps, richiamando alcunesentenze della Corte diCassazione, fa valere la decadenzatriennale (articolo 47, dpr639/1970), per usufruire deibenefici contributivi previsti pergli esposti all’amianto, anche nellecontroversie aventi per oggettol’accertamento dell’esposizione alpericoloso minerale, sostenendola decadenza del dirittoall’accreditamento della maggiorecontribuzione previdenzialeprevista dall’articolo 13 dellalegge del 1992 (n. 257). La prima sentenza della Corte diCassazione che ha affrontatoquesto argomento risale al 2008,quando ha preso in esame il casodi un lavoratore in pensione cheaveva chiesto la rivalutazionedella pensione dopo averottenuto tardivamente ilriconoscimento dell’esposizioneall’amianto da parte dell’Inail. Ilrifiuto della Suprema Corte haaperto la strada ad altre tresentenze analoghe. In tutti questicasi la Cassazione ha affermato iltermine perentorio di tre anni,senza specificare però i casi in cuila decadenza decorrerebbe, ilperiodo di decorrenza e daquando questo termine dovrebbeessere calcolato. Peraltro, sino apochi mesi fa, anche dopo il 2008,l’Inps non aveva mai sollevatol’eccezione di decadenza e lesentenze passate in giudicato afavore del riconoscimento deibenefici previdenziali erano date

per acquisite. A fronte dellemigliaia di lavoratori ai quali sonostati riconosciuti i benefici, altri, inanaloghe situazioni, oggirischiano di non ottenere nulla.“Un modo un po’ sbrigativo perrisolvere un contenziosocomplesso e ancora consistente”,spiega Ettore Sbarra, consulentelegale dell’Inca. Qualche migliaiosono le cause in corso in diversitribunali. Fanno notare gli avvocaticonsulenti dell’Inca che spesso lerisposte di Inps e Inail nonarrivano mai prima di sei oaddirittura sette anni. “Già soloquesto fatto – chiarisce Sbarra –farebbe cadere nel nulla qualsiasipossibilità di avere giustizia a unalegittima richiesta”. Gli ultimipronunciamenti della Cassazionemal si conciliano con unasentenza della CorteCostituzionale (n. 376 del 2008) econ altre precedenti della stessaCassazione che, invece,sottolineavano come non fossenecessaria alcuna domandaamministrativa per far accertare ildiritto alla rivalutazione deicontributi previdenziali pereffetto dell’esposizioneall’amianto. E questo perché èindiscutibile che di fronte a ungrave rischio per la propriasalute, subìto e non voluto(causato dall’esposizioneultradecennale all’amianto) peressere stati costretti a lavorare incondizioni pericolose, non sonogiustificati termini perentori,prescrizioni o decadenze. Il nuovo orientamento della Corte

di Cassazione è ancor piùanacronistico se raffrontato aquanto aveva affermato la stessaSuprema Corte, in un’altrasentenza del 2001 (n. 4913)quando, richiamando il dibattitoparlamentare che avevapreceduto l’approvazioneistitutiva dei beneficiprevidenziali (legge n. 257/92),precisava che il legislatore avevaindicato una soluzione“compensativa” dei danni subitinel tempo a causadell’esposizione alla fibra killer,consentendo sia unamaggiorazione dell’anzianitàcontributiva per tutti i dipendentiche fossero stati espostiall’amianto per più di dieci anni,sia un pensionamento anticipato,in relazione alle conseguentiminori aspettative di vita; in“attuazione dei princìpi disolidarietà espressi dall’articolo38 della Costituzione”.Affinché fosse ancor più chiaro ilconcetto, il legislatore èintervenuto successivamente conuna legge specifica che fissavauna speciale decadenza perl’accesso ai benefici previdenzialiper risolvere in questo modoanche il contenzioso che sisarebbe inevitabilmenteaccumulato. Infatti, la legge326/03 ha stabilito come termineultimo per la presentazione delledomande all’Inail il 15 giugno2005, ben tredici anni dopol’approvazione della leggeistitutiva dei beneficiprevidenziali (1992). “Questascelta – spiega

Rassegna Sindacale

Pensioni: il governo non sia sordo

I l governo Monti non può considerarechiuso il capitolo “pensioni”. Lo

r badisce con insistenza la Cgil, la cuicoerenza ha prodotto la rinnovatacapacità di iniziativa con Cisl e Uil suquesti temi. Lo ripete con convinzionel’Inca, impegnata a costruire un fronteunitario dei patronati sindacali e delle Acli,che ogni giorno deve assolvere l’ingratoruolo di informare lavoratrici e lavoratoriche non sono più vicini alla pensione; chel’età pensionabile per la vecchiaia èaumentata; che la pensione con iquaranta anni di contributi non esiste più.Ma cosa fare quando il lavoro non c’è più?E come rassicurare il lavoratore inmobilità, che pensava di esseretraghettato fino al pensionamento, chenon è più così? Cosa dire agli “esodati”,con accordi sottoscritti al ministero delLavoro o a chi scopre all’improvviso cheper mettere insieme, nell’Inps, i contr butiversati nelle diverse casse pensionistiche,con decine di anni di lavoro, deve pagaresomme enormi? La stampa e latelevisione stanno facendo bene il loromestiere raccontando storie di vita e dilavoro e mettendo in luce le ingiustizie e lerichieste di Cgil, Cisl e Uil. I partiti chesostengono il governo dicono di volermodificare le norme ma dopo mesi diiniziative, di lotte, di lettere confederali alministro del Lavoro siamo allo stessopunto. Il grande Inps, che ha assorbito lefunzioni degli altri enti previdenziali, nonha autonomia; deve obbedire al ministerodel Lavoro, che impone le sueinterpretazioni restrittive della legge214/2011; senza considerare gli effettidisastrosi dal punto di vista sociale cheprodurrà, ad esempio, la cancellazionedelle deroghe stabilite nel 1992 dal dlgs503, per salvaguardare chi aveva giàraggiunto 15 anni di contributi a quelladata o chi, pur lavorando per oltre 25 anni,non aveva la copertura contributiva pienaa causa della precarietà del suo lavoro.No, il capitolo “pensioni” non è chiuso. Ilgoverno non può restare sordo alladomanda di equità che portiamo avanti,non può spingere verso il lavoro nero ilprecario, togliendogli ogni speranza dipensione. Non lo consentiremo.

Luigina De Santisdella presidenza Inca • SEGUE A PAGINA 19I. R

. al n

umer

o 9/

2012

di R

asse

gna

Sind

acal

e

La riforma delle pensioni e lanuova tassa sulla casa,cosiddettaImu, rappresentano le principali novitàintrodotte dal governo Monti, in materiadi welfare e fisco, che hanno già incisoprofondamente, ma lo faranno ancoradi più in futuro, sulle condizioni di vita edi lavoro di milioni di persone residentiin Italia. Per rendere visibili le iniquità diqueste due misure l’Inca nazionale e ilconsorzio dei Caaf della Cgil hannorealizzato una guida per dare uncontributo a una corretta informazionealle tante persone che, in questomomento, si rivolgono al Patronato e aiCentri di assistenza fiscale delsindacato, per essere aiutate verso lascelta più giusta. È possibile acquistareuna copia della guida inviando larichiesta a Rassegna Sindacale.

AMIANTO: BENEFICI PREVIDENZIALI PER I LAVORATORI

I tre anni che fanno la differenza

Un nuovo orientamento giurisprudenziale della Cassazione mette a rischio i diritti di molti lavoratori esposti da oltre dieci anni all’amianto. In molte cause pendentipresso vari tribunali l’Inps solleva l’eccezione della decadenza triennale

INCAesperienze-05 ok 21/05/12 10.37 Pagina 16

Caterina Di Francescoarea previdenza Inca nazionale

M olti lavoratori che avevanocessato di lavorare e diversare la contribuzionevolontaria perché convinti

che bastassero quindici anni di anzianitàcontributiva, nonché le lavoratricistagionali, le agricole e le precarie,rischiano di regalare i versamentiall’Inps senza avere in cambio alcunapensione, alimentando le cosiddette“posizioni silenti”. L’Inps, infatti, nel fornire istruzioni sullalegge n. 214/2011, con circolare n. 35del 14 marzo scorso, ha precisato chedal 2012 il diritto alla pensione divecchiaia si consegue esclusivamentecon venti anni di contributi. E la regolavale per tutti, senza distinzione alcuna.Secondo i ministeri del Lavoro edell’Economia (nota n. 2680 del 22-02-2012), infatti, “non può essere ancoraassicurata la possibilità di accedere allapensione di vecchiaia con quindici annidi contribuzione ai soggetti in favore deiquali, ai sensi dell’articolo 2, comma 3,del dlgs 503/1992, opera ancora laderoga all’innalzamento a venti anni(disposto dai commi 1 e 2 del predettoarticolo) del requisito contributivo. Inmerito occorre infatti osservare che unalettura sistematica del combinatodisposto di cui ai commi 6 e 7 del dl201/2011 porta a riteneredefinitivamente superato il regime dellederoghe ai requisiti minimi di accessoalla pensione di vecchiaia”.Ciò significa che il requisito contributivodi quindici anni, previsto dal decretolegislativo n. 503/1992, non siapplicherà più ai lavoratori che avevanogià raggiunto quindici anni dicontribuzione al 31-12-1992; aidipendenti “discontinui” con almenoventicinque anni di assicurazione eoccupati per almeno dieci, anche nonconsecutivi, per periodi inferiori acinquantadue settimane nell’anno solare;a coloro che sono stati autorizzati allaprosecuzione volontaria prima del 31-12-1992 (non rientranti tra i derogatidalla legge n. 214/2011).Questa restrizione colpisce in modoparticolare le lavoratrici e i lavoratoriche hanno cessato di lavorare, lestagionali, le agricole e le precarie e cheora, improvvisamente, dovrannoraggiungere i venti anni. Molte sarannoimpossibilitate a incrementare la propria

posizione assicurativa. Si pensi, adesempio, a una lavoratrice convinta dipoter andare in pensione di vecchiaiacon quindici anni di contributi e cheaveva deciso di non lavorare più, o auna lavoratrice “discontinua” che già congrande difficoltà riesce a maturarequindici anni di contribuzione,figuriamoci i venti! La maggior parte diqueste posizioni diventeranno “silenti”,vale a dire che non produrranno loronessun beneficio.

Si troveranno nella stessa situazioneanche coloro che sono stati autorizzati allaprosecuzione volontaria dei contributiprima del 31-12-1992 che nonrientreranno tra i beneficiari della derogaprevista dalla legge n. 214/2011. La leggeMonti ha previsto, infatti, la conservazionedei precedenti requisiti per l’accesso allapensione a determinate categorie dilavoratori (in mobilità, in assegnostraordinario, esodati ecc.), compresi gliautorizzati alla prosecuzione volontaria

dei contributi prima del 4 dicembre 2011.Tale salvaguardia, tuttavia, è subordinatalla disponibilità di risorse finanziarie: è

prevista l’emanazione di un decretonterministeriale entro il 30 giugno 2012he stabilirà i criteri e il numero deiavoratori in base alle risorse fissate.Successivamente l’Inps effettuerà ilmonitoraggio delle domande dipensionamento di coloro che intendonovvalersi della deroga e fornirà l’elenco

dei nominativi dei beneficiari. Per lacarsità delle risorse è evidente cheantissimi/e lavoratori e lavoratrici nonientreranno nella deroga. Pertanto laituazione è veramente drammatica e glinteressati vivono nella totale incertezza,nell’attesa del decreto e dell’elenco deinominativi.Tra l’altro ci sono tantissime lavoratricihe hanno cessato da tempo l’attivitàavorativa, autorizzate alla prosecuzioneolontaria prima del 31-12-1992, che

hanno smesso di versare alaggiungimento dei quindici anni diontributi: si pensi, ad esempio, a unaavoratrice con dodici anni di lavorodipendente che ha già versato tre anni diontribuzione volontaria. Anche queste, se

non rientreranno nella deroga,difficilmente potranno “pagare” altriinque anni di contributi: le loro posizionissicurative diventeranno tutte “silenti”nche se nel passato hanno fatto enormiacrifici economici nella certezza di

ottenere, al compimento dell’età, lapensione di vecchiaia.Per l’Inca si tratta di una interpretazionebagliata, poiché le deroghe perontribuzione devono continuare a valerenche dopo il 2011, come quelle dell’età.nfatti la precedente minore età anagrafica

prevista per l’accesso alla pensione diecchiaia dal decreto legislativo n.

503/1992 e il regime delle decorrenzefinestre) continuano ad applicarsi ai

dipendenti privati non vedenti o invalidin misura non inferiore all’80 per cento.L’incremento del requisito contributivosta già determinando situazionidrammatiche che apriranno la strada a unnotevole contenzioso legale, poiché vienepregiudicato un diritto già sorto, in forzadel quale si è ritenuto di lavorare meno, odi smettere di lavorare, o di non versarepiù la contribuzione volontaria, nelconvincimento di essere in possesso invia definitiva del requisito per il dirittoalla pensione, violando anche ilprincipio di affidabilità.

18

© D

. FRA

CCHI

A/BU

ENAV

ISTA

Il caso

La Signora Danila, nata nel 1947, al compimento dei ses-sant’anni di età (nel 2007), presenta domanda di pensio-ne di vecchiaiache l’Inps respinge, poiché dal 1963 al 31-03-1993 risultavano so-lo quattordici anni e sei mesi di contribuzione complessiva derivante da lavoro dipendentee autonomo. Con il requisito di quindici anni al 31-12-1992 poteva andare in pensione. Per-ciò la signora chiede l’accredito di cinque mesi di maternità fuori dal rapporto di lavoro e ri-scatta tre mesi di astensione facoltativa versando un onere di circa 1.050 euro. Nel 2008 ri-presenta quindi la domanda di pensione. Ma anche questa volta l’Inps la respinge, precisan-do che, a seguito della cancellazione di alcuni periodi, la sua posizione assicurativa era sta-ta rettificata e, nonostante l’inserimento dei periodi di maternità, risultavano ora complessi-vamente solo dodici anni e cinque mesi di contributi. L’interessata, a seguito del primo prov-vedimento dell’Inps risultato poi sbagliato, ha pagato già un onere e vuole comunque otte-nere la pensione. La signora, però, ha venticinque anni di assicurazione: risulta occupata al-le dipendenze per almeno dieci anni, ma con periodi inferiori a cinquantadue settimane nel-l’anno solare. In questi casi bastavano quindici anni di contribuzione per ottenere la pensio-ne di vecchiaia nel fondo pensioni lavoratori dipendenti. Decide, quindi, di presentare la do-manda di ricongiunzione dei periodi da lavoro autonomo trasferendoli nel fondo pensioni la-voratori dipendenti e di versare la contribuzione volontaria per due anni e sette mesi, in mo-do da perfezionare quindici anni di contributi.Nel frattempo è entrata in vigore la legge n. 214/2011 e il ministero del Lavoro ha dispostoche dal 2012 la pensione di vecchiaia si consegue esclusivamente con venti anni di contri-buzione.Attualmente la situazione che si prospetta per l’interessata è la seguente: • se rientrerà tra i derogati dalla legge n. 214/2011 (essendo stata autorizzata alla prose-

cuzione volontaria nel 2001, prima del 4-12-2011), potrà, al raggiungimento dei quindicianni di contributi, avere la pensione di vecchiaia con la previgente normativa;

• se non rientrerà tra i derogati, non potrà percepire la pensione poiché non possiede ventianni di contribuzione.

La signora sta attualmente versando l’onere per la ricongiunzione e la contribuzione volon-taria nella totale incertezza della maturazione del diritto a pensione. È evidente che la situazione è di totale incertezza e, se la signora, ultrasessantacinquenne,non rientrerà tra i derogati, non potrà “pagare” altri cinque anni di contributi volontari permaturare i venti ora richiesti. La sua posizione diventerà “silente”, anche se la signora ha giàversato, con enormi sacrifici, tre oneri diversi (riscatto astensione facoltativa per maternitàfuori dal rapporto di lavoro, ricongiunzione e contribuzione volontaria) nella convinzione diottenere la pensione. In sostanza, l’Inps incamerando le somme versate, senza liquidare nes-suna pensione, avrà un vantaggio economico, violando anche il principio del “legittimo affi-damento” subìto dalla signora Danila.

C. D. F.

Dal 2012, oltre al compimento della nuova etàanagraficabruscamenteinnalzata, per il diritto alla pensione di vecchiaia bisogneràavere venti anni di contribuzione. La norma vale ancheper coloro che,derogati dal dlgs n. 503/92,potevano andarein pensione con quindici anni di contributi.

PENSIONI DIVECCHIAIA

Se venti annivi sembranpochi

INCAesperienze-05 ok 21/05/12 10.37 Pagina 18

19

Cristian Pernicianoarea previdenza Inca

L’innalzamento dei requisiti perpoter accedere alla pensioneprevisto dalla legge 214/2011 è

stato assai brusco, decisamente più bruscorispetto alle precedenti leggi che, fin dal1992, hanno inasprito i parametri necessarial pensionamento. Assai esemplificativo è ilcaso delle donne nate nel 1952 che, anorma del testo inizialmente presentato dalgoverno, avrebbero dovuto attendereaddirittura sette anni in più rispetto alladecorrenza per la pensione preventivabilesecondo la vecchia normativa. Lo stessolegislatore si è accorto che taleinnalzamento delle età e dei contributiminimi era eccessivo, e infatti ha previstodegli elementi che, nelle intenzioni,dovrebbero temperarne gli effetti nefastiper le categorie più penalizzate. Tra questeritenute meritevoli di una “mano morbida”,oltre a coloro che avrebbero maturato irequisiti nel 2012, il governo ha individuatoquei lavoratori che, a vario titolo, hannocessato di lavorare in tempi relativamenterecenti. Tra questi si annoverano ilavoratori autorizzati ai versamentivolontari, quanti, a volte per scelta, spessoperché licenziati o a causa della chiusuradell’azienda erano coinvolti in proceduredi mobilità, o mobilità lunga, o assegnostraordinario o i pubblici dipendenticollocati in esonero al momentodell’emanazione del decreto. Quasi nulla,invece, è stato previsto per i cosiddetti“esodati”, coloro i quali avevano cessato ilrapporto di lavoro più o meno di comuneaccordo con l’azienda e che, credibilmente,avevano calcolato, nella valutazionerelativa alla cessazione dal rapporto dilavoro, vera e propria “scelta di vita”, spessodolorosa, la possibilità di andare inpensione secondo la normativa previgente.La mancanza di gradualità nel passaggioalla nuova normativa ha inoltre aggravatosituazioni individuali già problematiche.

La deroga per i lavoratori autorizzati ai versamenti volontari o in mobilità e similiLe modalità di attuazione di questa tutela siinseriscono nel solco di una tradizione chegià negli scorsi anni, a seguito di riformeprevidenziali, ha procurato non pochipatemi ai lavoratori potenzialmentedestinatari delle deroghe all’innalzamentodei requisiti. Si prevede, infatti, che non siasufficiente essere in una determinatacondizione per poter continuare adaccedere alla pensione secondo i vecchirequisiti, ma che, oltre a tale condizionesoggettiva, il lavoratore sia “tra i primi”nella graduatoria che l’Inps stilerà e chesarà vincolata alle risorse stanziate. Èprobabile che la posizione del lavoratoreinserito verrà calcolata incrociando la datadi ingresso in mobilità con quella dimaturazione dei requisiti per andare inpensione. Del resto se osserviamo la recente storiadelle graduatorie dei “fortunati” che sonostati derogati dai precedenti innalzamentidei requisiti, notiamo che alla negativasituazione di essere coinvolti in una sortadi lotteria per accedere a un diritto che eraassai vicino, si è aggiunto nel recentepassato il malcostume dell’Inps che arriva acomunicare l’ingresso o meno nella plateadei derogati solo pochissimi mesi prima(uno o due) della teorica decorrenza dellapensione, lasciando il lavoratore in sospesoper molto tempo e nell’angoscia di chi nonsa quale sarà il suo destino in un ambitocosì delicato e importante come l’accessoal pensionamento.Tra l’altro, nella platea dei possibiliderogati, oltre ai “mobilitati” sono inseriti, anorma dell’articolo 24, comma 14, anche ilavoratori e le lavoratrici autorizzati aiversamenti volontari entro il 4 dicembre

2011 e quanti siano in congedostraordinario (secondo la legge n. 104/92)per assistere figli disabili.

I lavoratori esodatiLa partita in merito ai cosiddetti esodati,quelli che hanno cessato di lavorare senzaavere accesso agli ammortizzatori sociali,spesso a seguito di accordi finalizzati allariduzione di personale, è, se possibile,ancora più complicata, in quanto nelleultime settimane è emerso che il governo,quando ha definito la manovra n. 214/11con cui modificava, ritoccandoli versol’alto, i requisiti di accesso alla pensionenon aveva assolutamente preso inconsiderazione questa categoria di exlavoratori, escludendoli già dalla normaoriginaria. Anche sul loro numero non c’è chiarezza,visto che il governo ha sostenuto chefossero attorno a 65.000, mentre invecedai dati dei sindacati pare che il numerodegli esodati in attesa di pensione siaassai superiore (si è parlato di circa350.000 unità), specie se si prendono inconsiderazione i lavoratori che hannodato le dimissioni – in attesa dellapensione – nelle piccole aziende aseguito di accordi privati e che non sonopassati per il vaglio delle organizzazionisindacali.Assolutamente inadeguato è inoltre statoil modo in cui il governo ha affrontato laquestione: si è passati, infatti, dal

“Daremo loro un’indennità”, con cui laministra Fornero ha risposto a chi lesottoponeva il problema, alle avventateinterpretazioni giuridiche delsottosegretario Polillo, quando a La7 hasostenuto che gli accordi con cui ilavoratori si erano licenziati potevanonon essere più validi a seguito del cambiodi normativa previdenziale, salvo poidover smentire quanto detto in diretta tv,con una “capriola” di berlusconianamemoria.E del resto sembra che tra le soluzioni cheil governo sta ipotizzando, poiché non haintenzione di variare il piano di risparmiprevisto nella legge 214/11, ci sia anche lapossibilità di permettere il rientro deilavoratori esodati nelle aziende diprovenienza (con un incentivo? Una moralsuasion? Ancora non è dato sapere).Ad oggi tuttavia ancora non è statodefinito in che modo sarà affrontato ilproblema.Unico provvedimento, finora, è statal’inclusione nella platea dei derogati diquanti abbiano lasciato il lavoro entro il31 dicembre 2011 e che, secondo i vecchirequisiti, possano accedere alpensionamento (finestra compresa) entroi ventiquattro mesi successivi. Taleinclusione, oltre a tutelare solo una partedella platea degli esodati, è stata fatta arisorse invariate, per cui per ognilavoratore incluso in questa nuovacategoria, esonerato dai nuovi requisiti,

ce ne sarà un altro che ne verrà escluso.L’innalzamento dei requisiti di età e dicontribuzione del resto è stato tale che perquesti lavoratori non sarà possibileraggiungere il diritto a pensione in tempiragionevoli, nemmeno utilizzando lostrumento dei versamenti volontari. Perfare un esempio, i lavoratori esodati, cuimancava solo il requisito anagrafico peraccedere alla pensione di anzianità,saranno obbligati ad attendere fino a seianni più di quanto fosse in preventivoprima di poter accedere alla pensione. Senon ci saranno provvedimenti ad hoc, senon si troverà modo di aumentare ilnumero di derogati all’innalzamento deirequisiti, i lavoratori esodati esclusi dalladeroga saranno la personificazione dellavoratore senza ammortizzatori sociali,troppo giovane per andare in pensione,troppo vecchio per trovare un nuovolavoro, visto che l’età media di questilavoratori, normalmente vicini al requisitoanagrafico prescritto dalla previgentenormativa previdenziale, è alta. A questosi aggiunga il fatto che anche quando unlavoratore esodato trovasse una nuovaoccupazione, molto difficilmente questasarà di livello paragonabile a quello diprovenienza; avendo una retribuzionepensionabile inferiore negli ultimi anni dicarriera, tale lavoratore potrebbe subire,oltre al ritardo nell’accesso alla pensione,anche una notevole diminuzione del suoimporto.

Mentre si attende che il governo chiarisca chi sono gli esclusi dalle nuove norme pensionistiche,continuano a emergere situazioni di particolaredrammaticità tra coloro che hanno cessato di lavorare.

Sbarra – è scaturita dalla necessitàdi garantire certezza al contenzioso,

in modo che la gran parte degli aventi dirittone potesse usufruire. Un meccanismo attentoprima di tutto alla particolare situazione deilavoratori interessati, che però ora sivorrebbe sbrigativamente sovvertire”.A questa restrittiva interpretazione del dirittosi aggiunge un paradosso: in nessuna diqueste cause l’Inps ha mai istruito o fattoistruire la domanda amministrativa; né l’Inail,attraverso la Contarp (la Consulenza tecnicadi accertamento del rischio professionaledell’Inail) ha mai portato a termine il suolavoro di controllo e verifica, perciò non c’èmai stato rifiuto né tanto menol’accoglimento di qualsiasi domanda.Stante la condizione di tanti lavoratori, questonuovo orientamento si tradurrebbe in unavera e propria smentita della volontàlegislativa con la quale si voleva compensare,con benefici previdenziali, la perdita dellasalute e la riduzione dell’aspettativa di vita,causati dal lavoro. “Tutto questo vienerovesciato senza una ragione plausibile”,denuncia il legale dell’Inca. Coloro che hanno presentato un ricorsogiudiziario contro l’Inps e l’Inail perottenere, attraverso la giustizia, quello chenon sono riusciti ad avere per viaamministrativa e hanno atteso più di tre anniuna risposta, rischiano semplicemente diessere depennati, sia che si tratti di lavoratoriancora in attività, sia che si tratti dipensionati. Tutto ciò con buona pace deldiritto alla salute e all’integrità psicofisica,per il quale sono state scritte le leggi sullasicurezza nei luoghi di lavoro. Se questo cambiamento di clima dovesseimporsi in tutti i tribunali dove giacciono lecause, assisteremmo a un dualismo del dirittoingiustificato, tra chi ha potuto accedere aibenefici di legge, prima della nuovainterpretazione sulla decadenza triennaledella Cassazione, e chi invece, anche solo peril prolungarsi dell’iter giudiziario, nerimarrebbe invischiato, restando escluso.Due fattispecie che si troverebbero susponde opposte, pur avendo subìto gli stessipericoli (e spesso danni) alla salute.

Due storie a confrontoMimmo Fabiano lavora presso l’aziendametalmeccanica “Oerlikon GrazianoTrasmissioni” di Bari, specializzata nellacostruzione di assali per autobus, mezzipesanti, camion, ingranaggi persincronizzatori e frizioni per macchine. Natanel 1982 con il nome di Ototrasm, da unacostola della vecchia Isotta Fraschini, facevaparte delle aziende a partecipazione stataledel gruppo Efim. Erano gli anni in cuinell’azienda si costruivano i vecchi sistemifrenanti: i ferodi, composti di sostanzenocive come l’amianto. E di amianto eranopure i guanti e i grembiuli degli operai che vilavoravano, perché servivano a evitare idanni da calore e gli incendi. Dieci annidopo la legge 257/92 ne bandisce l’uso e,riconoscendo la cancerogenesi dellasostanza, stabilisce benefici previdenziali aquanti ne fossero stati a contatto. L’aziendaviene bonificata dall’amianto e cambiano iprocessi produttivi. Alla fine degli anninovanta i sindacati avviano le prime causeper tutti gli operai esposti. Si comincia daipiù anziani, quelli che erano stati trasferitidalla ex Isotta Fraschini, perché vicini allapensione. Sono circa venti e per tutti costorol’Inail, e conseguentemente l’Inps, accolgonole richieste. Riescono ad andare in pensioneanticipata circa sei anni fa. Si procede,dunque, con il secondo gruppo di ricorsi pergli altri operai, che nel frattempo si sonoavvicinati all’età di pensionamento. Ma perloro, che sono stati a contatto con l’amianto,nello stesso modo, negli anni precedenti lalegge 257, i ricorsi non procedono in modospedito. Solo sei anni fa l’Inail manda duetecnici della consulenza per l’accertamentodel rischio professionale che giungono allaconclusione di non rilevare quantità diamianto nello stabilimento sufficienti agiustificare la loro richiesta. Perciò l’istitutoassicuratore rigetta la domanda di accesso aibenefici previdenziali della 257. Sono ottantain tutto; per quaranta di loro comincia ilcalvario della mobilità, a cui l’azienda ricorreper crisi. Gli altri restano appesi allasperanza che l’eccezione di decadenzasollevata impropriamente dall’Inps non

cancelli definitivamente l’accesso ai benefici.Stessa sorte è toccata a Nicola Di Mauro,cinquantaquattro anni, da trentatrédipendente dello stabilimento MagnetiMarelli di Modugno, in provincia di Bari. Segli avessero riconosciuto l’accreditocontributivo previdenziale di sei anni perl’esposizione all’amianto, sarebbe potutoandare in pensione a gennaio di quest’anno.La sua situazione è in sospeso per viadell’eccezione dell’Inps che sta paralizzandole decisioni del tribunale e, qualora dovesseavere esito negativo, a Nicola non resta altroche lavorare per raggiungere la soglia diquarantadue anni di anzianità contributiva,imposta dalla nuova legge di riforma dellepensioni, la Monti-Fornero. Anche in questocaso l’Inail, al quale Nicola ha rivolto neiprimi anni 2000 due domande per ottenere ibenefici previdenziali per gli esposti,soltanto sei mesi fa ha rigettato per laseconda volta la sua richiesta, nonostantenell’azienda la presenza di questa fibracancerogena sia tutt’altro che assente. Unesito di segno opposto rispetto a quello deisuoi compagni di lavoro più fortunati che,invece, sono potuti andare in pensioneanticipata, prima che sopraggiungesse lanovità della decadenza dei termini triennali.Nella Magneti Marelli, che produceingranaggi frenanti, la bonifica non hatoccato le strutture perimetrali dellostabilimento, fatte di amianto, tettoiecomprese. “Per limitare i danni ogni quattroo cinque anni – racconta Nicola – l’aziendaprovvede a effettuare un trattamentospecifico su di esse per impedire che sidisperdano nell’aria le polveri del micidialeminerale”. E che l’azienda non sia al riparoda certi rischi professionali a raccontarlo è ilfiglio di un ex dipendente, deceduto nel2001 per mesotelioma pleurico. LucianoD’Agostino è stato assunto nel 1996, mentreil padre era gravemente malato. Haquarant’anni e ne ha già trascorsi undicinegli impianti di cromatura galvanica, dovesi lavora a contatto con acido solforico puro.“Nonostante siano passati tanti anni –afferma – le cose non sono cambiate e nonpenso che qui avremo una vita lunga”.

Lisa BartoliDALLA PRIMA I tre anni che fanno la differenza

PENSIONI 2/ ESODATI, LAVORATORI AUTORIZZATI AI VERSAMENTI VOLONTARI O IN MOBILITÀ

Tra color che sono sospesi

INCAesperienze-05 ok 21/05/12 10.37 Pagina 19

20

A cura di Lisa Bartoli (coordinamento),Sonia Cappelli

Rassegna SindacaleSettimanale della Cgil

Direttore responsabile Paolo Serventi LonghiA cura di Patrizia Ferrante

Grafica e impaginazioneMassimiliano Acerra, Ilaria Longo

EditoreEdit. Coop. società cooperativa di giornalisti,Via dei Frentani 4/a, 00185 - RomaIscritta al reg. naz. Stampa al n. 4556 del 24/2/94

Proprietà della testataEdiesse Srl

Ufficio abbonamenti06/44888201 fax 06/44888222e-mail: [email protected]

Ufficio vendite06/44888230 fax 06/44888222e-mail: [email protected]

StampaPuntoweb Srl, Via Variante di Cancelliera, 00040 - Ariccia, RomaChiuso in tipografia lunedì 21 maggio ore 13

Barbara Rupoliarea previdenza Inca

C om’è noto laricongiunzione offre lapossibilità a tutti ilavoratori pubblici,

privati, dipendenti e autonomi diunificare la contribuzione versatapresso le diverse formeprevidenziali in un unico fondocon l’intento di ottenere una solapensione.Il quadro normativo esistente inmateria di ricongiunzione e ditrasferimento dei periodiassicurativi maturati nelle diversegestioni pensionistiche è statoradicalmente alteratodall’introduzione dell’articolo 12della legge 122/2010.Tale legge, entrata in vigore il 31-07-2010, ha introdotto l’onerositànelle operazioni, in precedenzagratuite, di ricongiunzione versol’Inps (articolo 1, legge 29/79)della contribuzione versata in altregestioni (quali ex Inpdap, ex Ipost,fondi speciali elettrici, telefoniciecc.) e ha, al contempo, abrogatotutte le norme, tra cui la legge 322del 1958, concernenti iltrasferimento gratuito deicontributi per coloro che cessanol’attività lavorativa, senza però avermaturato il diritto a pensione nelfondo di iscrizione.Restano esclusi dall’abrogazionesolamente i lavoratori iscritti allaCassa Stato (Ctps) che hannocessato senza diritto a pensioneentro la data del 30-07-2010 (inquanto per loro la costituzionedella posizione assicurativaavveniva d’ufficio) e per le altrecategorie di lavoratori pubblici,anch’essi cessati dal serviziosenza diritto a pensione, solo sehanno presentato la domandaentro tale data.L’effetto di tale modifica haprovocato una devastazione deidiritti di molti lavoratori che hannosvolto la loro attività lavorativa inaziende private e/o pubblichediverse, o che, pur lavorando per lastessa azienda, hanno subìto ilcambiamento del rapportoassicurativo e dell’enteprevidenziale di riferimento; sipensi, ad esempio, ai dipendentidelle società collegate a PosteItaliane dapprima iscritti all’Inps esuccessivamente ad ex Ipost, o agliinsegnanti, che hanno lavoratopresso scuole private e poi pressoistituti pubblici. Oggi questi lavoratori per accederealla pensione, per la quale hannosempre versato regolarmente lacontribuzione dovuta, devonopagare ulteriori oneri, in molti casielevatissimi, fino a centinaia dimigliaia di euro, senza nessunaclausola di salvaguardia, neancheper coloro che già avevanointrapreso scelte per il propriopensionamento.Prima di tale norma, invece, questilavoratori potevano scegliere tra laricongiunzione onerosa, perottenere un trattamento dipensione più favorevole poichéliquidato nel fondo esclusivo osostitutivo, oppure il trasferimento

gratuito verso l’Inps; in questo casoil trattamento pensionisticorisultava in linea di massima diimporto inferiore. In sostanza, l’onerosità dellaricongiunzione dei contributidall’Inps verso un fondo cheerogava una pensione migliore eragiustificata dal vantaggioeconomico, mentre era gratuita dalfondo verso l’Inps, perché noncomportava, in generale,trattamenti più favorevoli. Con l’abrogazione della legge n.322 del 1958 è stata cancellata unanorma che garantiva una tutela dinatura costituzionale in quantoassicurava, ad esempio, allavoratore pubblico che cessava ilrapporto di lavoro senza maturarecontestualmente il diritto apensione, la confluenza di tutta lacontribuzione nell’assicurazionegenerale obbligatoria (Inps)dandogli la possibilità di utilizzaretale contribuzione perperfezionare il requisitocontributivo previsto per accederealla pensione con le regole previsteper i lavoratori dipendenti privati.Per queste ragioni la legge n. 322del 1958 rivestiva una funzionestrutturale ed essenziale nelsistema previdenziale, in quantodiretta a garantire l’obiettivo volutodalla norma costituzionale, e cioè ilperfezionamento del diritto apensione, a prescindere dallagestione obbligatoria da lavorodipendente, alla quale risultavanoversati i contributi per lo specificorapporto di lavoro.A nostro avviso non può esserecompromesso in nessun modo ildiritto soggettivo del lavoratore, acausa della sua posizioneprevidenziale frammentata in piùgestioni previdenziali, mettendo arischio non solo l’importo dellapensione, ma anche la possibilitàstessa di andarci.L’impossibilità sopravvenuta ditrasferire gratuitamente lacontribuzione maturata nel fondoesclusivo o sostitutivo verso l’Inpsin molti casi ha reso impossibilel’utilizzo di quella contribuzione,incrementando il numero delleposizioni silenti, quelle cioèinutilizzabili.Particolarmente grave ediscriminatorio, in questo nuovoquadro normativo, è il caso di undipendente pubblico, con meno diquindici anni di servizio, che siammala e viene giudicato inidoneoa proficuo lavoro: costui non hadiritto a percepire nessun assegnopensionistico, mentre ildipendente privato può percepirel’assegno di invalidità con cinqueanni di contribuzione (di cui trenegli ultimi cinque). La legge 122/2010, infatti,impedisce a questo lavoratore ditrasferire i suoi contributi all’Inpsper accedere alle prestazioni diinvalidità Inps (l’assegno diinvalidità o pensione di inabilità)come avveniva in passato,cancellando ogni forma di tutela erendendo inutilizzabili i contributiversati in Inpdap.Gli effetti drammatici prodotti datale provvedimento normativo

sono stati denunciati dall’Inca edalla Cgil durante la conferenzastampa del 21 febbraio, nel corsodella quale sono state presentatedieci storie di lavoratori coinvoltisia sul piano economico che suquello familiare negli effettidistorsivi della legge. Tale norma,contrariamente all’obiettivodichiarato di voler rispondere acriteri di equità tra le categorie eridurre la frammentazione e ilparticolarismo delle tuteleofferte, ha creato disparità ditrattamento tra i lavoratori e lelavoratrici e penalizzato propriocoloro che hanno avuto unamaggiore flessibilità rispetto allediverse occasioni lavorative, inmolti casi senza aver potutooperare nessuna scelta.È emblematico il caso della signorache ha insegnato presso lo stessoistituto scolastico per oltretrentasette anni fino al 31 agosto2010. Dal 1° settembre 2001l’istituto scolastico da privatodiventa “parificato” e ciòdetermina, a decorrere dalla stessadata, il passaggio dell’obbligoassicurativo per tutti i dipendentidall’Inps all’Inpdap.Successivamente, l’insegnanteviene collocata a riposo perraggiunti limiti di età, a decorreredal 1° settembre 2010. Nei primigiorni di agosto presenta all’Inps ladomanda di pensione con l’intentodi chiedere il trasferimento pressol’Inps dei nove anni dicontribuzione Inpdap ai sensi dellalegge 322/58, come negli anniprecedenti avevano fatto gli altridipendenti dell’istituto scolasticoche erano andati in pensione.La signora, che non era aconoscenza dell’abrogazione dellalegge n. 322/58, operata tre giorniprima dalla legge 122/2010, nonsolo si è vista precludere talepossibilità, ma ha dovutoconstatare che, secondo lanormativa vigente, la liquidazionedella pensione, avvenuta con lasola contribuzione Inps, le

impedisce di attivare sia ladomanda di ricongiunzione siaquella di pensione intotalizzazione.Ad oggi, quindi, la signora nonpuò valorizzare ai fini pensionisticinove anni di contribuzione versataall’Inpdap, in quanto presso ifondi esclusivi non esiste lapossibilità di ottenere la pensionesupplementare, come avviene inInps.Pur avendo lavorato senzasoluzione di continuità presso lostesso istituto, la lavoratrice si èritrovata con spezzoni contributiviin due diverse gestionipensionistiche. Anche in questocaso, come negli altri denunciati, sela signora avesse presentato ladomanda di ricongiunzione deicontributi prima delpensionamento, l’onere calcolatoin base alle modifiche legislativeintrodotte non sarebbe statogiustificato poiché il trasferimentodi contribuzione non avrebbecomportato un beneficiosull’importo di pensione.Secondo l’Inca il meccanismoattualmente adottato perdeterminare quanto costaricongiungere i contributi non ègiustificato quando c’ètrasferimento di contribuzionederivante esclusivamente dalavoro dipendente el’accreditamento in diversegestioni, in quanto non c’èdifferenza né di rendimentopensionistico (nel sistemaretributivo è pari al 2 per centoper ogni anno, mentre nelsistema di calcolo contributivo ilmontante è formato dal 33 percento dell’imponibile), né dialiquota contributivaeffettivamente corrisposta.Per sanare gli squilibri che si sonogenerati nell’ordinamentoprevidenziale dall’introduzione ditale norma, i cui effetti non sonostati debitamente valutati, comericonosciuto anche dal precedentegoverno, riteniamo vada

reintrodotta una norma checonsenta ai lavoratori dipendenticon posizioni assicurative in diversienti, soprattutto nelle gestionialternative (fondi esclusivi esostitutivi), la ricongiunzionegratuita dei contributi presso l’Inpsquando si cessi il lavoro senza avermaturato il diritto a pensione.Inoltre potrebbe essere estesa, inalternativa, ai lavoratori dipendentiprivati e pubblici la possibilità dicumulare gratuitamente lacontribuzione maturata nei diversifondi con la garanzia di un calcoloretributivo-misto in pro quota, nelrispetto dei periodi effettivi in cui siè svolta la prestazione lavorativa,modificando la normativa sulcalcolo delle pensioni in regime ditotalizzazione. Occorre inoltre che si estendaanche nei fondi alternativi(sostitutivi ed esclusivi) lapossibilità di richiedere alcompimento dell’età pensionabilela pensione supplementare perconsentire il pieno utilizzo di tuttala contribuzione versata.L’Inca ha denunciato da subito leiniquità prodotte dall’articolo 12della legge n. 122/2010 e le pesantie drammatiche conseguenze chetale norma avrebbe prodotto nellavita di molti lavoratori e lavoratriciledendone il diritto a pensione.Riteniamo quindi che si debbanoapportare i giusti correttivi alledisposizioni in vigore affinchévenga assicurata ad ogni lavoratorela possibilità di utilizzare tutta lacontribuzione versata senza chequesto si trasformi in un privilegioper chi può “comprarsi” il dirittoripagando la contribuzione.

Il trasferimento oneroso della contribuzione, maturata in più casse verso l’Inps, farà aumentareil numero delle posizioni silenti. Per l’Inca si tratta di una norma ingiusta che va cancellata.

PENSIONI/3. LE RICONGIUNZIONI SECONDO LA LEGGE N. 122/2011

Non più un diritto, ma un privilegio da pagare

© F.

CIM

AGLI

A/AG

.SIN

TESI

INCAesperienze-05_ok 21/05/12 10.37 Pagina 20