numero 3

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AMBIENTERRITORIO Anno I / Numero 3 / Novembre 2012 06 12 26 32 Trivelle, conflitto nell’Adriatico Ricostruzione antisismica in Molise Pericolo dissesto, i possibili rimedi Canyoning da brivido lungo il torrente Callora Periodico di informazione sulle tematiche ambientali

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AMBIENTERRITORIOAnno I / Numero 3 / Novembre 2012

06

12

26

32

Trivelle, conflittonell’Adriatico

Ricostruzione antisismicain Molise

Pericolo dissesto,i possibili rimedi

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AMBIENTERRITORIO

PRIMOPIANO

Conflitto in mare 06Svolta rinnovabile 08Greggio a rischio 10Sicurezza cercasi 12A scuola in sicurezza 16

BUONEPRATICHE

Coltivare il futuro 18I semi di Modesto 20Biomasse in alternativa 22Stop agli sprechi 24

TERRITORIOPericolo dissesto 26Autostrade del tempo 28Parola chiave: Economia Blu 29

NATURAParadiso di roccia 30Callora da brivido 32Genius Loci 34

SOM

MA

RIO

Editoriale 05

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Direttore ResponsabileGiovannni Doganieri

Coordinamento ProgettoMarco AmiconeMassimo Aulita

RedazioneMery La PostaFrancesco MarinoAntonella NardellaDaniele NavarraValentina NeroneMichele PerrellaLucia PettiMichele Varriano

GraficaSara MarianoDaniele Navarra

MarketingMichele D’Amico

Segreteria di redazioneEvelina Pittarelli

[email protected]

Stampa a cura di T.A. ComunicazioneSprint Italia - Torre Annunziata

Autorizzazione N. 3/2012 del Tribunale di Campobasso

AMBIENTERRITORIO

Economia e ambiente sono legati da un’interconnessione inscindibile. Questo è vero sin da quando l’uomo, attraverso la progressiva acquisi-zione di tecnologie sempre più avanzate, è stato in grado di manipolare la natura. Dal momento in cui l’uomo è entrato nella storia, le attività econo-miche condizionano la natura e, dunque, il fattore principale di conserva-zione dell’equilibrio ambientale va ricercato nei fini e nelle caratteristiche delle attività produttive e nella qualità dello sviluppo economico. È pura illu-sione pensare di porre un limite al degrado ambientale attraverso progetti di risanamento, per quanto vasti, oppure attraverso normative sempre più preclusive, anche se affidate ad istituzioni sopranazionali. I vari accordi e i summit dei grandi della Terra, tanto in materia economica che ambientale, hanno prodotto poco. Anzi, in sede economica, negli ultimi decenni, si è affermata la tendenza a cancellare gli accordi, a sopprimere le regole, al fine di liberalizzare sempre più il mercato. Ma è una semplice astrazione la favola liberista sulla capacità di autoregolamentazione del mercato. Il mutamento di prospettive è avvenuto nel preciso momento in cui scienza e tecnologia sono state utilizzate dall’industria. L’applicazione delle scoper-te scientifiche alla produzione su vasta scala ha creato i presupposti dei grandi turbamenti ambientali. L’effetto moltiplicatore è stato il consumismo di massa, la crescita esponenziale dei bisogni nei paesi occidentali. Però oggi il pericolo più grave per la terra viene dalla globalizzazione, nella sua duplice veste della delocalizzazione industriale e della espansione del con-sumo su mercati nuovi. In questi paesi l’esportazione di modelli di vita, finora riservati alla minoran-za della popolazione mondiale, stanno creando un potente acceleratore nel consumo delle risorse. Il pericolo di un black out ambientale è stata evidenziata, già nel 1972, dal Rapporto Mit I Limiti della Crescita, commis-sionato dal Club di Roma. Il superamento della capacità di carico del pia-neta è stato previsto intorno al 2072, e confermato con Beyond the Limits nel 1992 e Limits to Growth: The 30-Year Update, del 2004.Nonostante le critiche a questi rapporti, un fatto è incontestabile: la Terra non potrà reggere gli attuali ritmi di aumento della popolazione, né un’e-spansione del modello industriale occidentale a tutto il pianeta. Il limite si potrebbe raggiungere ben oltre i prossimi cento anni, ma potrebbe anche essere più ravvicinato. Perciò parlare di ambiente oggi, significa prima di tutto parlare del futuro dell’umanità. In altre parole, quale senso, razionale e morale, ha un progresso fondato sullo sterminio delle risorse e degli habitat naturali, sullo sfregio delle bellezze del mondo? Per questo l’ap-proccio ai problemi ambientali è prima di tutto morale, deve rispondere all’interrogativo sul senso ultimo della vita.

I LIMITI DELLA CRESCITAdi Giovanni Doganieri

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CONFLITTO IN MAREIl governo sostiene i progetti che porterebbero le lobby del petrolio ad estrarregreggio in prossimità delle Tremiti. La mobilitazione continua

di Michele D’Amico

Quasi 5 milioni di tonnellate in meno, circa il 10% del totale. I con-sumi di greggio in Italia, secondo i dati dell’Unione Petrolifera, sono in netta diminuzione. Il calo rispetto al 2011 riguarda sia la benzina (con una flessione di 70mila tonnellate, pari al 19,7%), sia il gasolio (meno 1.903.000 tonnellate, pari al 9.9%). I bisogni scendono ma nel frattem-po aumentano le richieste, le con-cessioni e i permessi per estrarre le risorse ancora disponibili nei fondali marini. Come quelle che interessa-no il basso Adriatico, dove la com-pagnia irlandese Petroceltic ha in programma d’impiantare le proprie trivelle in uno specchio di mare nei pressi delle isole Tremiti. Il motivo? Semplice: le royalties in Italia stan-no intorno al 7% mentre nel resto del mondo si va dal 20% all’80%. E pazienza se le scorte petrolifere a mare classificate come certe equi-

valgono, secondo le stime del Mini-stero dello Sviluppo economico, ad appena 10,3 milioni di tonnellate (il 13,5% di quelle giacenti fra terra e mare in Italia) che basterebbero, ai consumi attuali, per il fabbisogno nazionale di sole 7 settimane. Gli interessi delle lobby dell’oro nero prevalgono evidentemente sui conti e anche sulla salvaguardia dell’am-biente, della salute e dell’econo-mia, basata prevalentemente sul turismo, di quanti vivono nelle zone prospicienti le trivellazioni.Molto dipenderà delle autorizzazio-ni che concederà il ministro dell’Am-biente, Corrado Clini, sulla scor-ta del decreto “Cresci-Italia” che estende a tutta la fascia costiera il limite delle 12 miglia per le nuove richieste di estrazione. Il provvedi-mento, varato dal ministro Passera, prevede infatti che al di sotto di que-sta soglia si possano estrarre idro-

Nelle foto sopra, manifestanti contro le trivellazioni in Adria-tico, e Basso Antonio Di Brino, sindaco del comune di Termoli. Accanto, la piattafor-ma Petrolceltic

AMBIENTERRITORIO

carburi facendo inoltre ripartire tutti i procedimenti bloccati nel giugno 2010 dopo l’incidente della piatta-forma Deepwater Horizon, nel Gol-fo del Messico. Il Tar del Lazio, su ricorso di Wwf, Legambiente Lipu e Fai, e dei Comuni di diversi enti lo-cali, ha azzerato ad ottobre le auto-rizzazioni alle ricerche geosismiche concesse nel 2011 alla Petroceltic ma il ministro Clini, che ad agosto ha espresso parere positivo circa la Valutazione d’impatto ambientale, ha ribadito che il progetto deve an-dare avanti. Eppure le trivellazioni non sono sta-te accolte con soddisfazione dalle Regioni e dalla società civile. Lo ha dimostrato il corteo che ha portato lo scorso 6 ottobre e Manfredonia (Fg) circa cinquemila persone a sfilare dietro uno slogan che con-teneva un messaggio chiaro per i ministri: «Si alle rinnovabili, no al petrolio». Già dall’aprile del 2010 in Italia si sono costituiti i primi movi-menti spontanei della protesta, poi confluiti nella rete “No Triv”. È il caso di Lesina dove le forze istituzionali, politiche, produttive e sociali dalla Puglia intera hanno raccolto l'appel-lo dei comitati locali affinché il polo di attrazione ambientale e turistico della zona non diventasse un di-stretto petrolifero, opponendosi alle decisioni di Stefania Prestigiacomo, allora ministro dell’Ambiente. E poi

Monopoli, sempre nel foggiano, con le proteste contro le trivellazioni del-la Northern Petroleum, l’ultima nel gennaio 2012, le stesse Tremiti che si sono mobilitate a più riprese du-rante gli ultimi anni. Anche la Regione Molise, il 7 mag-gio 2011, è stata protagonista a Termoli di un’importante manifesta-zione. Lo scorso 31 agosto, dopo il parere positivo di Clini alla Valuta-zione d’impatto ambientale, il sin-daco di Termoli, Basso Antonio Di Brino, ha rilanciato: «È a dir poco sconcertante come il governo Mon-ti continui ad imporre di tutto sulla testa degli italiani e delle comunità locali. Negli ultimi due anni abbia-mo lottato con tenacia affinché le perforazioni petrolifere nel mare Adriatico, ad opera della Petrolcel-tic, venissero debellate. Nonostante l’imponente manifestazione del 7 maggio 2011, organizzata in colla-borazione con tutte le regioni, pro-vince, comuni costieri interessati, associazioni e comitati ambientali-sti, cittadini, alla quale prese parte anche l’amico Lucio Dalla, il gover-no continua ad andare avanti senza tener conto della voce di chi il mare Adriatico lo ama davvero e vuole proteggerlo». E tutto fa pensare che la battaglia, a prescindere da chi salirà in primavera a Palazzo Chigi, durerà ancora a lungo.

Nella foto sopra, rap-presentanti del comu-ne di Termoli presenti alla manifestazione contro le trivellazioni in Adriatico a Manfre-donia (Fg) il 6 ottobre 2012. Accanto, la piat-taforma Northern Petroleum

PRIMOPIANO

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SVOLTA RINNOVABILEPassare dalle fonti fossili a quelle non climalteranti. È una transizione possibile? A colloquio con Carlo Manna, responsabile ufficio studi dell’Enea

di Francesco Marino

Si alza il livello dello scontro tra i fautori delle fonti fossili e chi punta invece sulle rinnovabili. Le regioni del medio Adriatico si oppongono alle trivellazioni finalizzate alla ricer-ca petrolifera e chiamano a raccol-ta i cittadini per difendere il proprio litorale. Proviamo a fare chiarezza sull’argomento insieme all’ingegner Carlo Manna, responsabile dell’Uf-ficio Studi dell’Enea,l’Agenzia Na-zionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile. Le regioni adriatiche si mobilita-no contro le trivellazioni e il Mo-lise fa la sua parte muovendosi a difesa del proprio territorio. A suo avviso, vale la pena oggi, de-turpare ambiente e coste per la ricerca petrolifera?Credo che sarebbe molto grave abbassare il livello dei vincoli am-bientali attualmente imposti per le trivellazioni in mare e questo a pre-scindere dagli eventuali benefici in termini di riduzione delle importazio-ni di idrocarburi e quindi di riduzio-ne della “fattura energetica” dovuta alle importazioni. Attualmente le singole richieste di prospezione e di coltivazione sono valutate singolar-mente con le procedure della Valu-tazione di Impatto Ambientale (VIA). Sarebbe senz’altro auspicabile, a valle di quanto previsto nell’ambito della Strategia Energetica Naziona-le, procedere ad una pianificazione del settore da sottoporre ad una Valutazione Ambientale Strategica

(VAS) che consentirebbe di valuta-re le criticità connesse al complesso degli interventi in atto e previsti.Ritiene che l'energia da fonti rin-novabili possa essere solo un piccolo contributo nella quota di energia nazionale oppure si potrebbe arrivare, in un futuro prossimo, alla totalità di energia impiegata proveniente da fonti rinnovabili? Il Consiglio europeo ha adottato l'obiettivo di ridurre entro il 2050 le emissioni di gas a effetto serra di almeno l'80% rispetto ai livelli del 1990 quale contributo a lungo ter-mine dell’UE per scongiurare pe-ricolosi cambiamenti climatici. La “roadmap” contenuta nella Comu-nicazione della Commissione Eu-ropea del marzo 2011, indica come raggiungere tale obiettivo in manie-ra economicamente sostenibile. Si tratta di obiettivi molto impegnativi

Nella foto sopra,Carlo Manna, respon-sabile ufficio studi dell’Enea.Accanto, esempio di energie rinnovabili

AMBIENTERRITORIO

che implicano un sempre maggiore ricorso a tecnologie per la riduzio-ne della domanda di energia (effi-cienza negli usi finali dell’energia e risparmio energetico) e alle fonti rinnovabili. Riguardo alle rinnovabili, che già oggi soddisfano circa un quarto della domanda elettrica nazionale, quindi non può essere considerato un contributo marginale al bilancio energetico nazionale che, anche per effetto di un aumento dell’effi-cienza, è destinato a crescere nei prossimi anni andando a coprire una quota sempre crescente della domanda. Quali sarebbero i costi per la transizione dalle fonti fossili a quelle rinnovabili?Perché ciò avvenga è necessario che si creino le condizioni per un effettivo utilizzo dell’energia prodot-ta investendo in reti di nuova con-cezione, vela a dire le smartgrid, e in sistemi di accumulo. Insomma la transizione verso un sistema a bas-se emissioni è un processo che, pur avviato, necessita di una forte ac-celerazione e quindi di investimenti mirati su diversi orizzonti tempora-li: dal supporto alla diffusione delle tecnologie già presenti sul mercato; all’industrializzazione di componen-ti e sistemi innovativi; al sostegno alla ricerca scientifica e tecnologi-ca. Ma il ruolo delle rinnovabili va inquadrato, più in generale, all’inter-no di un processo di trasformazione del sistema energetico, non solo, quindi, sul fronte della produzione ma innanzitutto su quello degli usi finali dell’energia. Ciò implica ne-cessariamente il dispiegamento di una politica industriale che la guidi e la sostenga e di un avanzamento culturale a livello Paese che faccia crescere l’attenzione all’uso soste-nibile delle risorse.

Perché, ad oggi, non sembra es-serci una netta volontà politica per questa transizione? Il gover-no continua a concedere per-messi per i sondaggi esplorativi nell'Adriatico...Il recente documento relativo alla Strategia Energetica Nazionale, at-tualmente in fase di consultazione pubblica, assume sostanzialmente gli obiettivi comunitari in termini di riduzione delle emissioni, preve-dendo nello specifico anche il su-peramento degli obiettivi al 2020 e dovrà essere integrato per la sua attuazione con precise indicazioni in termini di politiche, misure e stru-menti.Quella che viviamo oggi è una fase di transizione che potrà occu-pare ancora alcune decine di anni; una fase nella quale le fonti fossili, e quindi anche quelle di origine en-dogena, potranno ancora dare un contributo al bilancio energetico che dovrà essere opportunamente valu-tato sia in termini di impatto ambien-tale che di convenienza economica. Comunque il 2020 rappresenta un orizzonte troppo limitato per costru-ire una strategia complessiva che consenta di superare la transizione energetica e di creare, nel contem-po, nuove opportunità per il sistema produttivo nazionale contribuendo alla crescita della sua competitività nel quadro internazionale.

GREGGIO A RISCHIOIl petrolio danneggia l’ambiente e la salute umana anche prima che avvengano incidenti come quello di due anni fa nel Golfo del Messico. Ma un’alternativa c’è

di Lucia Petti

Quanto costa un disastro energeti-co? Quanto vale l’ecosistema che ci circonda? E quanto una vita uma-na? «La maggior parte delle fonti energetiche attualmente utilizzate, soprattutto quelle di natura fossile, implicano danni ambientali, econo-mici e sanitari anche senza che si manifesti, necessariamente, un inci-dente o un disastro» spiega Andrea Boraschi, responsabile della cam-pagna energia e clima di Greenpe-ace Italia. L’estrazione, il trasporto e l'utilizzo dell’energia troppo spesso impattano negativamente sugli es-seri viventi e sull'ambiente. Basti dire che gli incidenti nelle miniere di carbone causano, ogni anno, ol-tre seimila vittime, senza contare i decessi per silicosi, imputabili all'at-tività estrattiva. «Lo scorso anno abbiamo condotto una ricerca sulla produzione di elettricità da carbo-ne - continua Boraschi - dalla quale emerge che in Italia è causa di 570 morti premature l’anno e di danni per circa 2,6 miliardi di euro».

Ricerca ed estrazione di petrolio mediante piattaforme offshore di-sturbano l'ambiente marino circo-stante e danneggiano i fondali e gli organismi presenti. Le navi petrolie-re utilizzate per trasportare greggio o prodotto raffinato, in seguito ad incidenti, hanno rovinato fragili eco-sistemi in tutto il mondo. «Quello che è successo il 15 luglio 2010 nel Golfo del Messico ci dà un’idea dei rischi cui siamo esposti. Da un lato i costi per il danneggiamento della piattaforma, dal valore di 560 milioni di dollari, più i costi per contenere lo sversamento di petrolio nelle ac-que e per effettuare i primi soccorsi e ricerche dei dispersi. Dall’altro, gli effetti sull’economia locale, pen-siamo soltanto alla pesca o al turi-smo». Nonostante queste valuta-zioni, dopo i tagli alle rinnovabili nel Quinto Conto Energia e le misure nel Decreto Sviluppo, i nuovi piani sull'energia del governo puntano su petrolio e gasdotti. «L’attuale politi-ca energetica del governo mira, per

Nella foto sopra,Andrea Boraschi, responsabile della campagna energia e clima di Greenpeace Italia.Nella foto accanto, fumo dal camino della centrale elettrica Marshall Steam Station. Operativa dal 1965, ha immesso in atmosfera 11,5 milioni di tonnellate di anidri-de carbonica nel 2011. Nella pagina a lato Piattaforma Eiriksson nel sito di perfora-zione al largo della Groenlandia. (Foto archivio Greenpeace)

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i prossimi anni, a sfruttare le risor-se petrolifere nazionali. In realtà la quantità di idrocarburi presenti in Italia è estremamente esigua - pro-segue Boraschi - È stato calcolato che basterebbe per coprire poche settimane di fabbisogno nel nostro paese. In una realtà ricca di rinno-vabili, ci ostiniamo a sfruttare i fos-sili». Quindi un’alternativa c’è. Negli ultimi anni in Italia si è assistito ad uno svi-luppo esponenziale del fotovoltaico, dai grandi impianti a quelli piccoli ad uso domestico. «Dobbiamo as-solutamente proseguire su questa

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Accanto una foto scattata il 4 gennaio 2000 sull’isola di Noirmoutier, mostra un uccello coperto di olio a causa del naufragio della petro-liera Erika (MARCEL MOCHET/AFP/Getty -Images)

strada e parallelamente investire sull’eolico. Una delle prospettive più promettenti per la nostra nazione è costituita dagli impianti eolici offsho-re. Questo non vuol dire che Gre-enpeace sia a favore di un eolico selvaggio. Ci sono sempre dei vin-coli da rispettare e occorre valutare molti parametri, quali, ad esempio, l’influsso su fondali e fauna ittica. È il caso del parco eolico previsto nel canale di Sicilia: ci siamo op-posti alla sua realizzazione perché non c’erano le condizioni sufficienti a garantire un impatto contenuto e prossimo allo zero».

SICUREZZA CERCASILo stato della ricostruzione e le tecniche per la riqualificazioneantisismica. A colloquio con Giuseppe Giarrusso, direttore del Servizio Protezione Civile della Regione

di Daniele Navarra e Antonella Nardella

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Era il 31 ottobre 2002, ore 11.33. In una terribile mattina assolata che i molisani non dimenticheranno mai, la terra trema. La scossa è forte, intorno alla magnitudo 6. In un pic-colo paese di appena mille abitanti, San Giuliano di Puglia, il tempo si è fermato, per sempre. Dopo i pri-mi istanti di confusione la situazione appare in tutta la sua tragica chia-rezza: la scossa ha causato il crollo della scuola elementare. Il momen-to è drammatico, resterà impresso nella mente e nella memoria di noi Molisani: quel giorno, infatti, abbia-mo perso qualcosa di noi stessi, per sempre.Quei 27 angeli volati in cielo insie-me con la maestra, che rimangono vittime del crollo, rappresentano an-cora oggi una ferita indelebile per l’intera nazione. Ma a dieci anni da quel tragico evento qual è lo stato

della ricostruzione nella regione? E come si sta affrontando il problema della sicurezza degli edifici scolasti-ci? «Siamo circa a metà del lavoro» spiega l’architetto Giuseppe Giar-russo, Direttore del Servizio Prote-zione civile della Regione Molise. A lui abbiamo chiesto di fare il punto sugli interventi realizzati e su quan-to resta ancora da fare.Architetto Giarrusso, a 10 anni dal sisma che ha colpito il Moli-se a che punto siamo con la ri-costruzione? Quali sono gli inter-venti realizzati sul territorio?Gli interventi sono stati suddivisi in diverse classi, vale a dire la A che comprende tutti gli interventi in edi-fici dove si trova almeno una fami-glia residente, poi la A1 che indivi-dua gli immobili al di fuori del centro abitato. Quindi le B, C, D, E oltre alle opere pubbliche. Stiamo acce-

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Nella foto sopra,l’Architetto Giarrusso, Direttore del Servizio della Protezione Civile della Regione Molise.Nella pagina accanto, le tristi immagini del terremoto di San Giuliano

lerando tutte le procedure di com-pletamento, perché la delibera Cipe che prevede lo stanziamento di 346 milioni di euro impone dei tempi più stretti rispetto a prima. Ad esempio i 346 milioni di euro devono esse-re utilizzati come limite massimo di spesa entro il 2015 e se non li spen-diamo entro questa data perderemo il finanziamento. Per questo abbia-mo dato ai comuni delle scadenze e fissato entro il 31 dicembre 2012 la redazione dei progetti di classe A, entro luglio 2013 la cantierabilità degli stessi progetti. Quindi i Comu-ni ci devono comunicare che entro quella data iniziano i lavori. Siamo comunque a buon punto.Gli edifici pubblici sono stati messi tutti in sicurezza?Credo che siamo molto avanti in Molise. Per quanto riguarda le ope-re pubbliche siamo all’incirca al 50% del totale, vale a dire che su tutte le opere che si potevano finanzia-re la metà è stata ricostruita. Quasi tutte le scuole sono state messe in sicurezza con i fondi del terremoto: infatti lo Stato ha investito ulteriori risorse a questo fine sia per le scuo-le, sia per gli edifici strategici. C’è un piano a livello nazionale che per il Molise vale 70 milioni di euro in set-te anni: la prima annualità l’abbiamo utilizzata, in accordo con il governo, per terminare la messa in sicurezza

delle scuole, anche su Campobas-so, mentre la seconda annualità di quest’anno va agli edifici strategici, cioè a tutti gli edifici che per la loro funzionalità sono ritenuti strategici per la loro funzione pubblica, come quelli regionali, la prefettura, gli uf-fici del comune e in primis la pro-tezione civile. Quest’anno dunque c’è la seconda annualità, che vale circa 7 milioni e mezzo di euro, stia-mo elaborando il necessario piano di spesa.Il Molise è considerata una regio-ne altamente sismica, quali sono le zone territoriali che presenta-no un rischio maggiore?È verso, il rischio sismico in Molise è diffuso. C’è una classificazione del territorio che distingue le zone ad alto, medio e basso rischio. A se-guito del terremoto di San Giuliano c’è stata una nuova riclassificazio-ne perché quelle zone non erano mai state classificate sismiche, dato che la distinzione prima veniva fatta sulla frequenza dei terremoti in una determinata area. Adesso ci sono degli studi più accurati e scientifici, anche grazie alle prove in sito e alla cosiddetta microzonazione sismi-ca. La scuola di San Giuliano, ad esempio, era appoggiata su delle microzone che avevano un com-portamento diverso: se fosse stata fatta la microzonazione sismica, si sarebbe capito quale zona avreb-be avuto un’amplificazione sismica maggiore o minore e si sarebbe po-tuto evitare il danno.Quali sono i principali criteri di costruzione antisimica che ren-dono un edificio sicuro?Innanzitutto bisogna valutare che le ripercussioni del sisma si ripercuo-tano il meno possibile sull’edificio. Poi si deve comprendere bene la differenza del crollo rispetto al dan-no: ogni edificio, anche quelli pro-

Il sistema di Prote-zione Civile della Regione Molise si occupa di coordinare tutte le operazioni di soccorso in situazioni di emergenza

Il terremoto di San Giuliano ha lasciato ancora adesso una ferita indelebile nella memoria dei molisani

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gettati benissimo per resistere a un sisma, devono rompersi e piegarsi. Cioè si rompe il tramezzo e si apre la crepa, ma la struttura non deve crollare: quindi questo è un edificio simicamente sicuro. Per mettere in sicurezza gli immobili si hanno tut-ti gli elementi, dalla normativa alla microzonazione sismica, in questo modo si può anche lavorare sul pa-trimonio storico.Il terremoto che ha colpito in pri-mavera l’Emilia, così come quello di tre anni fa in Abruzzo, ha favo-rito la solidarietà tra le regioni, come accadde in Molise nel 2002. Quali sono gli interventi della Protezione Civile molisana nei confronti di altre regioni e come si coordinano tra di loro?È importante capire prima come funziona la Protezione Civile. Il nostro è un sistema nel quale più organi concorrono a realizzare un obiettivo, vale a dire l’assistenza alla popolazione. Il sistema è com-posto dalla Protezione Civile nazio-nale, regionale e provinciale, poi ci sono i vigili del fuoco, le associazio-ni di volontariato. E come si coor-dina questo sistema? In base alla tipologia di emergenza che si deve affrontare. Ad esempio il Comune, se ha un’emergenza e non riesce

a gestirla autonomamente deve e può chiedere aiuto al livello supe-riore della Regione, così la Regione stessa che non ce la fa da sola si appoggia alle altre limitrofe o allo Stato: è qui che scatta il sistema. Il tutto viene coordinato senza confu-sione, la pianificazione è scientifica, come quando è avvenuta l’emer-genza neve, o il terremoto in Emilia, c’è stata una sinergia tra le forze in campo con tutti, e soprattutto soli-darietà nell’aiuto reciproco.Si parla molto di rispetto per l’am-biente. Gli edifici che rispettano i criteri della bioedilizia garanti-scono una maggiore sicurezza rispetto ad altri?Certo che garantiscono sicurezza. Anzi la devono garantire per forza, secondo la legge. La questione prin-cipale che riguarda l’edilizia pub-blica e privata è proprio quella del rispetto delle norme di costruzione antisismica. Il cittadino deve con-vincersi del fatto che vivere in una casa sicura deve essere una prero-gativa importante, che non solo gli edifici pubblici devono essere sicuri ma prima ancora devono esserlo le proprie abitazioni. Bisogna entrare nell’ottica che avere una casa sicu-ra è qualcosa di imprescindibile. Un arredamento più bello, un mobile

AMBIENTERRITORIO

o un televisore costoso sono sicu-ramente meno utili di un piano per mettere in sicurezza la propria abi-tazione, qualora ce ne fosse ovvia-mente bisogno. Questo è un punto su cui riflettere.Ma come si interviene sugli edifi-ci considerati non antisismici in modo da renderli sicuri?Non c’è una ricetta specifica ma criteri generali e norme del buon costruire che si sono consolidate nel corso degli anni. Ad esempio, a partire dal terremoto del Friuli Vene-zia Giulia si sono adottate diverse tecniche per migliorare la resisten-za sismica come l’utilizzo delle fibre di carbonio per il consolidamento di alcuni tipi di solai e pilastri, l’im-plementazione di reti elettrosaldate, con tiranti sulle murature. In pratica si deve definire la progettazione in base alla tipologia di edificio, così si utilizza più o meno la tecnica più adatta, calibrando il modello della struttura. Il tutto sempre nel rispet-to della normativa vigente. È im-portante sottolineare che ridurre il rischio a zero non possibile, anche se un edificio è totalmente costru-

ito secondo le norme di sicurezza antisismiche, perché c’è sempre un cosiddetto rischio residuo e l’ade-guamento sismico da attuare deve essere sempre correlato al rischio residuo che si vuole ottenere.Quali sono gli investimenti realiz-zati dalla Protezione Civile regio-nale nei confronti del patrimonio artistico-culturale del Molise per proteggerlo e salvaguardarlo?È stato fatto un lavoro importante, ad esempio le chiese credo siano state totalmente messe in sicurez-za. Come Protezione Civile abbia-mo partecipato ad un progetto euro-peo in cui abbiamo messo a punto un manuale per il consolidamento e la messa in sicurezza degli edifici di culto. Siamo stati in una regione della Spagna, dove c’è stato un ter-remoto due anni fa e, in collabora-zione con l’Università di Granada, abbiamo dato una mano per mette-re in sicurezza le chiese. Anche se il nostro patrimonio artistico non è paragonabile all’Umbria o a quello dell’Emilia, mettere in sicurezza gli edifici storici è un aspetto sempre importante.

Nella foto sopra,il Liceo Scientifico “Elvio Romano” a Bojano.In basso l’entrata della scuola dove è affissa la targa in memoria del giovane Elvio

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«A Elvio Romano... perché non ac-cada mai più!». È questa la targa affissa all’ingresso del Liceo scienti-fico di Bojano, la scuola inaugurata nel 2008 e considerata fra le più si-cure d’Italia. Costruita secondo i più recenti criteri antisismici, è stata di recente intitolata ad Elvio, il giovane studente di Bojano che perse tra-gicamente la vita nel terremoto de L’Aquila il 6 aprile 2009. Ma l’obiet-tivo di questa intitolazione va oltre la memoria del giovane bojanese, punta infatti a sottolineare l’impor-tanza della sicurezza nelle scuole e il diritto di studiare in un luogo sicuro. L’Istituto statale di istruzio-ne secondaria superiore di Bojano si suddivide in tre indirizzi di studio diversi, tra cui il “Liceo Scientifico Elvio Romano”. Edificato a partire dal 2006, si estende per circa 2.500 metri quadri su due elevazioni più il piano terra e conta 15 aule e sei laboratori rispettando i più recenti principi di sicurezza sismica. «Alla base della struttura sono collocati

degli innovativi dispositivi, chiamati dissipatori sismici, che consentono di realizzare un metodo all’avan-guardia di costruzione edilizia con-tro i terremoti: l’isolamento sismico dell’intero edificio» spiega il respon-sabile del Servizio Prevenzione e Sicurezza dell’Istituto, dott. Antonio Buttino. È questo un elemento im-portante dal punto di vista edilizio, da tener presente ogni volta che si costruisce una struttura antisismica:

A SCUOLA IN SICUREZZAUn sistema meccanico di ammortizzatori consente al Liceo di Bojano di raggiungere il massimo livello di sicurezza sismica. In memoria di un giovane scomparso durante il terremoto de L’Aquila

di Daniele Navarra

AMBIENTERRITORIO

«Questo metodo - continua Buttino - consiste nell’interporre, tra la base di un edificio e le fondamenta, dei dispositivi in grado di ridurre il mo-vimento sismico: si crea così una separazione tra la parte superiore e le fondamenta, così in caso di terre-moto la struttura scivola lentamente sui dissipatori installati». Dunque è facile intuire che la separazione, pur non essendo totale, diminuisce notevolmente l’effetto del sisma e i relativi danni.Ma entriamo nello specifico. Il si-stema di isolamento è caratterizza-to da due tipologie di dissipatori: i dispositivi LRB (Lead Rubber Bea-rings, costituiti in gomma laminata con nucleo di piombo) e i dispositivi a scorrimento, i cosiddetti Sliding. «Alla base dell’edificio - riprende il responsabile - sono distribuiti 25 dispositivi LRB con diametro di 70 centimetri e 16 con diametro di 600 centimetri, poi otto Sliding con una superficie quadrata di circa un me-tro e altri cinque con diverso carico e rigidezza». È importante capire come sono posizionati al di sotto della struttura e come funzionano praticamente in caso di terremoto: «I dispositivi LRB sono distribuiti lungo il perimetro delle fondamenta e contengono un inserto di piombo posto in un foro al centro dell’isola-tore: la sua funzione è proprio quel-la di disperdere l’energia del terre-moto. Invece i meccanismi Sliding sono situati nella parte centrale e permettono all’edificio, in caso di si-sma, di spostarsi letteralmente fino a circa 30 centimetri al massimo: la scuola si muove letteralmente su se stessa».Siamo insomma di fronte ad una struttura con un grado massimo di antisismicità e per questo viene considerata una scuola sicura: in caso di terremoto di forte intensità

l’edificio trasla e si muove sui dissi-patori, creando danni che si auspica prossimi allo zero. «Il Liceo Scienti-fico di Bojano - conclude il dott. But-tino - è una struttura che può real-mente considerarsi all’avanguardia nel settore dell’edilizia antisismica». Può rappresentare davvero un moti-vo d’orgoglio per il Molise che, dopo dieci anni, non ha ancora dimenti-cato la tragedia di San Giuliano.Entrare ogni mattina a scuola ed avere la tranquillità di studiare in si-curezza d’altronde è un diritto di tutti gli studenti. Sarebbe dovuto essere così anche per Elvio, che da Boja-no era partito per andare a studia-re fuori. Ecco perché quella scuola porterà per sempre il suo nome. Per ricordare ogni mattina ad ogni stu-dente che una cosa del genere non accada mai più.

Nelle foto in alto, le fondamenta della scuola dove sono posi-zionati i dispositivi,e in particolare l’ammortizzatore LRB che ha la funzione di dissipare l’energia del terremoto

COLTIVARE IL FUTUROIl biologico cresce su scala nazionale. Ma nella nostra regione le imprese in grado di competere sul mercato sono ancora poche. L’opinione dell’Aiab

di Francesco Marino

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Nella foto sopra, Paolo Di Luzio presi-dente di Aiab Molise, l’Associazione Italia-na per l’Agricoltura Biologica

In cinque anni le esportazioni agro-alimentari italiane hanno superato quelle di automobili, da sempre il settore predominante dell’export nazionale. È quanto afferma uno studio della Coldiretti presentato a ottobre durante l'inaugurazione del-lo stabilimento Barilla di Rubbiano (Pr), alla quale ha partecipato an-che il premier Mario Monti. Il set-tore agroalimentare, trascinato dal comparto biologico, recita sempre più un ruolo di primaria importanza nell’economia nazionale. Ma il Mo-lise sembra rimanere ai margini di questa importante fetta di mercato. Al momento, stando al rapporto Si-nab, il Sistema d'Informazione Na-zionale sull'Agricoltura Biologica, sono presenti in regione soltanto 236 aziende certificate. Questo dato, inoltre, non ha registrato un particolare incremento negli ultimi

anni. Infatti si è passati dalle 218 aziende certificate nel 2009 alle 236 del 2010 e nessun aumento di que-ste nel periodo 2010 - 2011.«Una considerazione che posso fare in base alla mia esperienza è che in Molise dei 236 operatori cer-tificati una buona percentuale, direi almeno la metà, non commercia-lizzano il loro prodotto nel mercato del biologico o lo fanno solo in parte - spiega Paolo Di Luzio, presiden-te di Aiab Molise, l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica - C’è qualche interessante realtà, ad esempio una decina di azien-de storiche, sia grandi, sia piccole che hanno consolidato una nicchia di mercato e proseguono sulla loro strada. Noi, però, come Aiab Molise, cerchiamo di sostenere ed appog-giare anche le altre realtà, magari condotte da imprenditori giovani,

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che hanno bisogno d’informazioni tecniche o promozione. C’è anche da dire che alcune imprese, pur fa-cendo tecnicamente biologico, non sono interessate alla certificazione, per cui non rientrano nei dati forniti dal Sinab. Di fatto può andare be-nissimo anche così poiché la cer-tificazione è costosa e complicata burocraticamente. Ovvero, se serve ed è utile al mercato va bene, al-trimenti non è obbligatoria, anche se per legge in quel caso non puoi definire l’azienda “biologica”». Di-verso è il caso della zootecnia bio-logica, infatti, stando ai dati riportati dal Sinab, aziende di questo tipo in regione sono pressoché assenti,

pur disponendo il Molise di impor-tanti terreni coperti a pascolo. Ma qual è il motivo per cui i produttori agricoli molisani non colgono le po-tenzialità di questo settore in rapida espansione? Il presidente dell’Aiab individua un importante punto di de-bolezza nel comparto agricolo mo-lisano: «Innanzitutto un elemento di difficoltà per le aziende molisane a competere a livello nazionale e internazionale viene dalla loro di-mensione. Sono poche in Molise le aziende con importanti superfici col-tivate. La maggioranza delle realtà produttive sono imprese di piccole e medie dimensioni che trovano note-voli difficoltà ad accedere a impor-tanti quote di mercato». Ma come ovviare a questo problema struttu-rale dell’agricoltura molisana?«Mi auguro che in futuro le enormi po-tenzialità economiche offerte dal settore spingano i produttori regio-nali a creare enti di intermediazione che fungano da raccordo tra produt-tori agricoli e mercati extraregionali per aumentare la visibilità del pro-dotto biologico molisano, portan-dolo ad alti livelli di competitività» conclude Di Luzio. Un chiaro invito ai giovani imprenditori agricoli della nostra regione a non lasciarsi sfug-gire questa opportunità.

BUONEPRATICHE

Nella foto sopra,Modesto Petacciato, titolare di un’azien-da agricola di San Giuliano di Puglia, ha aderito al progetto Solibam

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I SEMI DI MODESTOIl mescolamento genetico, praticato per secoli dai contadini, è alla base di un progetto per la selezione di semi in Europa e nell’Africa subsahariana. L’esperienza di un agricoltore del Molise

di Lucia Petti

«Nel 2011 ho seminato 170 tipolo-gie di grano, mescolate fra di loro. Durante il raccolto ho individuato e selezionato la varietà che ha dato i migliori risultati». Con queste pa-role, Modesto Petacciato, titolare di un’azienda agricola di San Giuliano di Puglia, comune del basso Molise, illustra la sua esperienza all’interno di SOLIBAM: il programma europeo per il miglioramento genetico (vedi box a lato). «La mia azienda è stata fra le prime sei in Molise a conse-guire la certificazione per la produ-zione biologica.Sono da sempre attento a temati-che quali la sostenibilità e la tutela ambientale. Inoltre, in queste zone, l’uso della chimica è superfluo, so-prattutto se sai gestire le lavorazioni e i tempi d’intervento».

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Seminare diverse varietà di una stessa specie per poi raccogliere e selezionare quella che ha dato i migliori risultati. Questo, in pratica, è lo scopo del progetto europeo di ricerca SOLIBAM (Strategies for Organic and Low-input Integrated Breeding and Management, vale a dire Strategie per l’integrazione di riproduzione e gestione in agri-coltura biologica e a basso input). Finanziato dal settimo Program-ma Quadro, il progetto prevede lo sviluppo di nuovi approcci di per il miglioramento genetico, volto ad aumentare la diversità nei sistemi colturali biologici.Lo studio, condotto su cereali e ortaggi, ha l’obiettivo di scegliere, per ciascuna tipologia di prodotto, i semi che meglio si adattano ad un determinato territorio. Esem-

Spostandoci fra gli ulivi e il pesche-to, Modesto racconta come è entra-to a far parte della sperimentazione. «Sono stato contattato dall’AIAB, l’Associazione Italiana per l’Agri-coltura Biologica, che è partner del progetto e mi ha fatto conoscere gli studi del professore Salvatore Cec-carelli dell’ICARDA». Modesto ha così deciso di partecipare, metten-do a disposizione i suoi terreni e la sua tenacia. Nei prossimi anni si de-dicherà alla coltivazione e alla sele-zione di grano. «Dopo il primo ciclo ho già isolato quello che per me è il miglior prodotto: è un chicco lungo, differente da tutti quelli del mix di partenza. Ovviamente non ne cono-sco il nome, non l’ho ottenuto in la-boratorio. Ma quello che m’interes-sa è poterlo seminare nuovamente per portarne avanti la produzione». Il progetto consiste nel mantenere, negli anni, il campo sperimentale.

Continuando a seminare la miscela, a cui è possibile aggiungere sempre nuove tipologie di semi, si individue-ranno, di volta in volta, i chicchi mi-gliori. «È come avere una banca di semi a disposizione. Questo siste-ma, gli agricoltori, l’hanno sempre portato avanti, partendo dai semi puri. Poi, purtroppo, con l’avvento delle multinazionali sementiere, ab-biamo subito l’imposizione dei loro ibridi e dei relativi trattamenti chimi-ci. È arrivato il momento di invertire la rotta: abbiamo l’obbligo di preser-vare le biodiversità per i nostri figli e le generazioni future».

IL PROGRAMMA SOLIBAMplari di uno stesso seme, gettati in differenti habitat, daranno luo-go a raccolti diversi fra loro: que-sto perché si manifesta una vera e propria selezione naturale. Il prodotto che ne risulta, è più re-siliente nei confronti degli stress e quindi può adattarsi meglio alle condizioni locali e ai cambiamenti climatici.Numerosi sono i partner euro-pei del progetto, che vede anche la partecipazione di istituzioni e organizzazioni africane e inter-nazionali, come ad esempio l’I-CARDA (International Center for Agricultural Research in the Dry Areas, ovvero Centro internazio-nale per la ricerca in agricoltura nelle zone aride). In Italia, hanno aderito diverse regioni, fra le quali il Molise con tre aziende agricole.

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Durante gli ultimi anni l’interesse verso lo sfruttamento energetico delle biomasse è cresciuto consi-derevolmente a livello comunitario e nazionale vista la necessità di trovare delle alternative alle fonti fossili che provocano i cambiamen-ti climatici garantendo, allo stesso tempo, l’approvvigionamento delle fonti primarie. Meritano perciò particolare atten-zione le possibilità nel settore agro-forestale anche al fine di sviluppare nuove opportunità imprenditoriali. Nella Conferenza Stato -Regioni del 31 ottobre 2006 è stata raggiun-ta infatti l’intesa sul Piano Strategi-co Nazionale (PSN) per lo svilup-po rurale (Reg. Ce 1968/05), per

il periodo 2007-2013, che mette a disposizione delle regioni italiane 8,3 miliardi di euro. Le risorse sono gestite dalle Regioni, che elaborano i rispettivi Piani di Sviluppo Rurale (PSR) in coerenza con il Piano na-zionale. Sulla base delle indicazioni della nuova riforma il PSN definisce gli obiettivi generali della nuova Po-litica di Sviluppo Rurale per il pe-riodo 2007-2013, che definisce gli obiettivi:- Migliorare la competitività dell’agri-coltura e della selvicoltura attraver-so il sostegno alla ristrutturazione;- Migliorare l’ambiente e lo spazio naturale attraverso il sostegno alla gestione del territorio;- Migliorare la qualità della vita nelle

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zone rurali e incoraggiare la diversi-ficazione delle attività economiche.Questa nuova politica prevede spe-cifici assi di intervento che ciascun PSR regionale deve realizzare per raggiungere i tre obiettivi generali. Il quadro socioeconomico del Molise definisce l’immagine di una regione con basso livello di competitività ed attrattività territoriale che deve per-tanto compiere ancora significativi sforzi per promuovere uno sviluppo endogeno ed auto sostenuto, per ridurre la propria dipendenza dall’e-sterno ed accrescere la concorren-zialità sui mercati nazionali ed inter-nazionali.La Regione Molise dispone di ener-gia da fonti rinnovabili in quantità non trascurabile, vale a dire sui 475 GWH (Fonte GSE 2008, Sta-tistiche culle fonti rinnovabili in Ita-lia). Il programma FESR 2007-13 per la Regione Molise è destinato a svolgere un ruolo importante per

incentivare la competitività tramite la ricerca e l’innovazione, al fine di ridurre le emissioni di carbonio promuovendo le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, migliorando l’accessibilità tramite la moderniz-zazione dei sistemi di trasporto ed aumentando l’attrattività regiona-le e la prevenzione dei rischi. La possibilità di sfruttare nel modo più efficiente le fonti rinnovabili è con-dizionata dal livello tecnologico del sistema produttivo regionale.Per conseguire una maggiore ef-ficienza energetica e ridurre le emissioni s’intende promuovere e sostenere in Molise lo sfruttamen-to di fonti rinnovabili, la diversifica-zione degli approvvigionamenti, il ricorso agli strumenti per ridurre il bisogno energetico a partire dal po-tenziamento della bioedilizia e delle coibentazioni innovative, in stretta complementarità con i programmi nazionali.

Nella foto accanto, esempio di biomasse legnose

BIOMASSE IN ALTERNATIVAIl Molise guarda sempre di più alle fonti rinnovabili. Anche attraverso lo sfruttamento sostenibile del patrimonio agro-forestale. I vantaggi per l’economia e per l’ambiente

di Michele Varriano

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Fame nel mondo da una parte, spre-co di cibo dall’altra. Sono i fenomeni opposti che contraddistinguono lo scenario mondiale dell’alimentazio-ne. Secondo un’analisi realizzata nel 2011 dalla Fao gli sprechi alimentari nel mondo ammontano a circa 1,3 miliardi di tonnellate l’anno,pari a circa un terzo della produzione to-tale di cibo destinato al consumo umano.Perdite e sprechi genera-no impatti negativi sull’ambiente e l’economia sollevando anche con-traddizioni di carattere sociale. Per stimare l’impatto ambientale di un alimento sprecato occorre conside-rare l’intero “ciclo di vita” (ossia per-correre tutte le fasi della filiera agro-alimentare) calcolando gli indicatori comunemente usati come il Carbon Footprint (CO2 equivalente), l’Eco-logicalFootprint (m2 equivalenti) e il Water Footprint (m3 di acqua virtuale). In Italia i dati evidenziano

come soltanto la frutta e gli ortaggi gettati via nei punti vendita abbiano comportato il consumo di più di 73 miliardi di m3 di acqua in un anno, l’utilizzo di risorse ambientali pari a quasi 400 m2 equivalenti(EcologicalFootprint) e l’emissione in atmo-sfera di oltre 8 milioni di kg di CO2.In altre parole:consumiamo troppa acqua e impoveriamo i suoli agrico-li e per renderli più fertili ricorriamo alla chimica del petrolio. È un siste-ma che necessariamente porta al collasso delle risorse ambientale e

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Nella foto sopra,Andrea Segré, ultimo a destra, Preside della Facoltà di Agraria all’Università di Bo-logna e Presidente di Last Minute Market

siamo già in 7 miliardi sul Pianeta. Nel 2050 saremo in 9 miliardi: solo il risparmio alimentare garantirà cibo per tutti.Ma lo spreco riguarda i pa-esi industrializzati come quelli in via di sviluppo, con una differenza so-stanziale. Nel Sud del mondo il cibo si perde lungo i vari passaggi della filiera dai campi alla tavola, per le tecniche di coltivazione troppo ar-retrate oppure per i problemi nella rete dei trasporti. Nei paesi svilup-pati, invece, lo spreco di cibo è un lusso dei ricchi. Un’abitudine ispira-ta dall’indifferenza e anche dai cat-tivi comportamenti dei consumatori, pronti a cedere alle sirene del mar-keting nella grande distribuzione ed a fare acquisti compulsivi di confe-zioni “tre per due” come se fossimo in tempi di carestia.L’Italia non è uno dei paesi più spre-coni del mondo in materia di cibo, fanno molto peggioper esempioi cittadini anglosassoni. La crisi eco-nomica ha comunque contribuito a ridurre il fenomeno imponendo una maggiore attenzione verso ciò che buttiamo nella spazzatura. Dallo studio emerge infatti che in Italia, le famiglie hanno ridotto gli sprechi ali-mentari del 57% grazie a una spesa più oculata (47% degli intervistati), alla riduzione negli acquisti (31%), all'utilizzo degli avanzi dei pasti

(24%) e ad una maggiore attenzione alle date di scadenza (18%).Eppu-re, anche in tempi di crisi, secondo dati Ue, il 43% del cibo conservato nei nostri cibi viene sprecato. Lo ha sottolineato Andrea Segré, preside della Facoltà di Agraria all’Universi-tà di Bologna e presidente di Last minute Market, un’organizzazione che raccoglie il cibo che la grande distribuzione getta via per i moti-vi più disparati, necessariamente perché guasto o immangiabile, de-stinandolo a chi ne ha bisogno. Si è potuto verificare così che con il cibo sprecato in Italia si potrebbero nutrire ogni anno quasi 44 milioni di persone, praticamente oltre due ter-zi della popolazione. Come si può evitare lo sperpero del cibo? Anche in famiglia è possibile. Innanzitut-to dobbiamo tornare a una spesa più attenta, non frenetica, dosata secondo le reali esigenze di con-sumo di una famiglia. Ma, il gesto più utile ed efficace sta nel regalare gli alimenti in eccedenza ricorrendo a organizzazioni come la Caritas o il Banco Alimentare passando per qualsiasi parrocchiache mette in campo delle reti di solidarietà: quel-lo che noi non consumiamo, può ri-empire la tavola di migliaia di perso-ne che non hanno i mezzi per fare la spesa.

STOP AGLI SPRECHIOgni anno in Italia finisce al macero una quantità di alimenti che potrebbe sfamare due terzi della popolazione. Come invertire la rotta, partendo da casa nostra

di Evelina Pittarelli

AMBIENTERRITORIO

PERICOLO DISSESTOLa nostra regione figura tra quelle a maggior rischio idrogeologico. Le aree più esposte e i rimedi possibili secondo Carmen Maria Rosskopf,professore di geografia e geomorfologia all’Università del Molise

di Valentina Nerone

Il Molise è una delle regioni italiane con alto rischio di dissesto idrogeo-logico. Ma quali sono le cause, quali le aree a maggior rischio e che cosa si sta facendo per la prevenzione? Lo abbiamo chiesto a Carmen Ma-ria Rosskopf, professore associato di Geografia Fisica e Geomorfolo-gia presso l’Università degli Studi del MoliseProfessoressa, che cosa si inten-de con dissesto idrogeologico?Il dissesto idrogeologico può de-finirsi come “qualsiasi disordine o situazione di squilibrio che l’acqua produce nel suolo e sottosuolo”. Per quanto riguarda l’ambiente di ver-sante, esso comprende quei pro-cessi che vanno dalle erosioni più lente alle forme più consistenti della degradazione dei versanti fino alle forme imponenti e gravi delle frane.Dagli ultimi dati il Molise, insie-me ad altre regioni (Campania, Toscana, Piemonte, Calabria, Li-guria, Sicilia) presenta un elevato rischio di dissesto idrogeologi-co. Ciò è dovuto unicamente alla geologia e alla geomorfologia dei

terreni e dei pendii oppure c’è da includere anche l’azione dell’uo-mo?In Molise la suscettibilità del ter-ritorio ai fenomeni franosi è stret-tamente legata alle caratteristiche geologiche, in particolare geotecni-che dei terreni affioranti. Ciò è chia-ramente dimostrato da vari studi, tra cui quello relativo alla realizza-zione dell’Inventario dei Fenomeni Franosi (progetto IFFI, APAT 2007) secondo cui i terreni argillosi (argille e marne di vario colore) e sabbioso-arenaceo-marnosi mostrano una franosità (percentuale di frane cen-site) complessiva del 65% circa. A ciò si aggiunge, specie per terreni dalle modeste a scadenti caratteri-stiche geotecniche, una suscettibi-lità crescente di fronte a condizioni di crescente acclività. Anche eventi meteorici di particolare portata (in termini di intensità e/o durata pro-lungata) giocano un ruolo importan-te nell’innesco dei fenomeni franosi come ha dimostrato ad esempio l’evento alluvionale verificatosi nel medio-basso Molise nel genna-io del 2003. Certamente l’azione dell’uomo ha contributo al dissesto idrogeologico attraverso la realizza-zione di strutture/infrastrutture che gravano negativamente sulle locali condizioni di stabilità dei versanti e, più in generale, attraverso un uso agricolo del suolo non compatibile (in particolare uso per seminativo o per coltivazioni eterogenee, ma an-che l’abbandono di terreni agricoli

Nella foto,un esempio di zone dissestate.Per saperne di piùRosskopf, C.M. e Aucelli P.P.C. (2007), Analisi del dissesto da frana in Molise. In “Rapporto sulle frane in Italia. Il progetto IFFI – Metodologia, risultati e rapporti regionali”. Apat, Rap-porti 78, 493-508.

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stessi) con l’elevata suscettibilità dei terreni a franare.Qual è l’attuale situazione in Mo-lise?La situazione in Molise è essen-zialmente quella che è emersa con la realizzazione dell’Inventario dei Fenomeni Franosi (IFFI) e con la redazione del Piano di Assetto Idro-geologico (PAI). L’area a maggior rischio è il settore centrale del fian-co adriatico del Molise, a morfologia collinare-montano, dove affiorano i terreni più sensibili ai fenomeni franosi. In questo settore l’indice di franosità (rapporto tra area in frana e area totale considerata, ndr) rag-giunge circa il 12,5%.C’è differenza tra alto e basso Molise?Certamente. L’area dell’Alto Molise, caratterizzata da terreni in affiora-mento mediamente più resistenti all’erosione, vale a dire terreni cal-carei e calcareo-marnosi, mostra una minore suscettibilità ai fenome-ni franosi. Fa eccezione il bacino del fiume Vandra, affluente del Vol-turno, il cui settore medio-alto è im-postato su terreni prevalentemente argillosi.Quali sono i comuni maggior-mente esposti?Sono i comuni localizzati nei settori medio-alti dei bacini idrografici dei fiumi Trigno e Biferno, in particolare nella zona compresa tra i fondo val-le dei due fiumi. Ci sono 15 comuni interessati da una elevata densità di frane, con più di 10 frane per km2. Alcuni esempi sono i comuni di Tri-vento, di Fossalto e di Lucito. Esiste una cartografia recente del rischio idrogeologico in Molise?La cartografia più recente è quella relativa al progetto IFFI e quella del PAI (Piano di Assetto Idrogeologi-co, a cura delle Autorità di Bacino competenti in territorio molisano). È

stata inserita nel Webgis della Pro-tezione Civile Regione Molise dove è consultabile insieme ad altre map-pe tematiche. In Molise che cosa si sta facendo e cosa si dovrebbe fare per pre-venire questi fenomeni?È attivo il sistema di allertamento della Regione Molise, gestito dalla Protezione Civile. Prevenire il disse-sto idrogeologico richiede una visio-ne integrale dei fattori che possono concorrere nella attivazione dei fe-nomeni franosi. Gli studi prodotti, in particolare da parte dell’Universi-tà del Molise, della Regione e con essa della Protezione Civile, hanno permesso di costruire un quadro co-noscitivo dei rischi ambientali e d’in-dividuare una serie di fattori critici che devono essere tenuti in debita considerazione anche nella norma-le pianificazione, nella gestione del territorio e nella sua assegnazio-ne a determinati usi da parte della collettività e dei singoli. L’attuale conoscenza circa la distribuzione e diffusione dei fenomeni franosi in rapporto ai parametri territoriali indi-vidua situazioni di pericolosità e di rischio di cui tener conto. Il Webgis della Protezione Civile e Regione Molise fornisce numerosi dati e del-le mappe tematiche che, partendo dallo stato attuale delle conoscen-ze, illustrano le cartografie disponi-bili relativi ai piani di rischio ed i vari aspetti di pericolosità e di rischio rilevanti in ambito molisano. Sareb-be utile provvedere ad un maggiore monitoraggio e controllo puntuale delle attività e degli interventi edili-zi, agricoli o industriali che, poten-zialmente possono compromettere l’equilibrio spesso già precario dei versanti, specie in aree che stori-camente/recentemente sono state interessate da forme di dissesto idrogeologico.

TERRITORIO

AMBIENTERRITORIO

Nella foto sopra,Fausto Ricci, sindaco di Castelpetroso (Is)

AUTOSTRADE DEL TEMPORiqualificare i tratturi e valorizzare il paesaggio. Il progetto del comune di Castelpetroso, impegnato nel recupero di una parte del tracciato fra Pescasseroli e Candela

di Michele Perrella

Rovi, erbacce, sponde erose dal tempo e dalla furia delle acque. Lo scenario che si presenta percorren-do gli antichi tratturi spesso non è dei più entusiasmanti. Rappresenta però un punto di partenza per riqua-lificare e rilanciare queste strade di terra e pietra che per secoli hanno consentito il transito di greggi e per-sone e che oggi tornano all’atten-zione non tanto per il loro significato “bucolico” ma per il grande valore storico, naturale e culturale che contengono. Proprio questa riqualificazione è il frutto di uno splendido progetto portato avanti dall’amministrazione comunale di Castelpetroso (Is) e in particolare da Fausto Ricci, primo cittadino del comune. «Questo pro-getto, la cui fase esecutiva è in fase d’avvio, prevede interventi di ripristi-no e sistemazione delle opere esi-stenti lungo i sentieri che ricalcano per gran parte il tracciato Pescas-seroli Candela - dice il sindaco Ricci - È prevista la ripulitura e la siste-mazione dei tratti tratturali mediante staccionate in legno con lo scopo di delimitare il percorso dalla viabili-tà locale. Inoltre il progetto prevede nei tratti di sentiero maggiormente vicini al fosso “Costa Molino” la re-

alizzazione di viminate spondali al fine di ripristinare il sentiero eroso dal corso d’acqua nonché il ripristi-no di muri in pietra e gabbionate già esistenti. Infine si prevede di ripulire e riqualificare le zone di ristoro in-stallando arredi che possano favo-rire la fruizione da parte dei cittadini come panche tavoli e barbecue». L’intervento di riqualificazione am-bientale, mediante tecniche di in-gegneria naturalistica, del tratturo in località “Coste Mulino” punta a recuperare le tradizioni e i tasselli di storia locale: «Particolarmente inte-ressante - prosegue il primo cittadi-no - è il contesto nel quale si trova il tratturo. Qui il paesaggio è mon-tuoso, costellato da boschi e declivi caratterizzati da un immenso patri-monio floristico che si manifesta in tutta la sua biodiversità attraverso le numerosissime specie arboree ed erbacee presenti. In questa cornice, inoltre, si celano interessanti siti ar-cheologici, artistici e religiosi come il Santuario di Maria Santissima Addolorata di Castelpetroso». Non solo: «La riqualificazione di queste autostrade del tempo potrebbe tra-mutarsi in un vero e proprio volano per il ritorno in auge di un turismo verde incentrato sulla riscoperta di luoghi d’inestimabile valore natura-listico, ambientale e culturale».

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Nelle foto sopra,Gunter Pauli e la copertina del suo libro “Blue economy. 10 anni. 100 innovazioni. 100 milioni di posti di lavoro”, a cura di Gianfranco Bologna, prefazione di Catia Bastioli. Edizioni Ambiente, Milano, 2010, 344 pagine, 25,00 euro

Gunter Pauli, economista , impren-ditore e scrittore belga, è il fondatore della Zero Emission Research and Initiatives(Zeri) e autore del libro Blue Economy. 10 anni, 100 inven-zioni, 100 milioni di posti di lavoro. La natura, afferma Pauli, andrebbe vista come una fonte d’ispirazione. I suoi prodotti andrebbero utilizzati al meglio ma sempre con un occhio di riguardo alle generazioni future e conservando l’eco-sostenibilità.Secondo Pauli, i sistemi idea-ti dall’uomo sono primitivi rispetto a quelli che la natura ha prodotto nel corso del tempo. Pensiamo per esempio alle resine prodotte dai mi-tili utilizzate per sviluppare una colla che la Columbia Forest Products usa per sostituire gli epossidi con-tenenti formaldeide (la colla normal-mente utilizzata nel cartone),oppure alle zebre che riescono a ridurre la temperatura di superfice di circa 9 °C sfruttando le correnti d’aria ge-nerate dall’alternanza delle loro stri-sce bianche e nere.Molti esempi si possono trovare an-che nel mondo delle spugne, che hanno la capacità di creare vere e proprie fibre di vetro in grado di trasmettere la luce in maniera più efficiente rispetto le nostre fibre ot-tiche.Gli ecosistemi, sostiene l’economi-sta, sono anche una fonte d’ispi-

razione per mutare i nostri modelli di consumo e produzione basati sul core business, il guadagno im-mediato, che provoca il prosciuga-mento delle risorse naturali. La blue economy, quella che si ispira ai ci-cli naturali, può risolvere problemi legati sia all’ambiente, sia all'eco-nomia mondiale utilizzando sistemi che consentono di fare business a impatto zero.Alle ricerche di Pauli si ispirano molti ricercatori in tutto il mondo e sulla base delle sue teorie si svi-luppano anche molti posti di lavoro. Un esempio in Italia è a Mazara del Vallo (Tp) dov’è attivo il Distretto produttivo della pesca e il Consor-zio di valorizzazione del pescato (COSVAP) che promuove la refrige-razione passiva e utilizza le nano-tecnologie agli scafi nell’ambito di un progetto più ampio che punta a preservare in tutto il Mediterraneo le risorse ittiche sulla base dell’effetti-va capacità produttiva del mare, a proteggere le specie e a favorire la cooperazione tra i mercati. «Prendendo ispirazione dalla natu-ra e dal funzionamento degli ecosi-stemi - è il pensiero dell’economista - possiamo fondare un nuovo mo-dello economico che superi quello consumistico, basato solo sul core business, il guadagno immediato, e che trascura gli effetti collaterali come l’indebitamento dei consu-matori e il prosciugamento delle ri-sorse naturali, senza preoccuparsi di risarcire i danni. Questa è la red economy che ci ha condotto alla crisi attuale. Ma dobbiamo andare oltre anche la green economy, che con il nobile intento di proteggere l’ambiente richiede maggiori inve-stimenti alle imprese e mette sul mercato prodotti più costosi. Un modello pensato per i ricchi e non per tutti».

PAROLA CHIAVE

ECONOMIA BLUImitare la natura e produrre bu-siness a impatto zero. La visio-ne dell’economista belga Gunter Pauli

di Mery La Posta

PARADISO DI ROCCIAUn’oasi inviolata che ha tanto da rivelare. Alla scoperta della Riserva del torrente Callora, fra le pendici del monte Miletto e le splendide rupi in cui nidificano i rapaci

di Antonella Nardella

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Nelle foto sopra,la riserva naturale del torrente Callora eGiacomo Lombardi, Sindaco di Roccaman-dolfi

Circondata da un paesaggio emo-zionante, regno indiscusso della flora e fauna appenninica, caratte-rizzata da aria purissima e rarefat-ta, la Riserva naturale del torrente Callora è un’oasi dove domina in-contrastata la natura. Lo spettaco-lo che si presenta è paradisiaco ed entusiasmante: una gola con ripide pareti in cui il fiume scorre con salti anche di notevole altezza, le acque si dividono in una miriade di ruscelli fra le pareti rocciose. Tutt’intorno il paesaggio si mostra ancora selvag-gio, racconta una realtà intatta e ancora tutta da scoprire. La riserva naturale è situata ai piedi del monte Miletto, fa parte del comune di Roc-camandolfi, un paesino che conta poco più di mille anime. «Il nostro è uno dei pochi comuni della pro-vincia di Isernia che può vantare un’area protetta denominata “Oasi del Torrente Callora” istituita nel 2003 dal Ministero dell’Ambiente e gestita dall’associazione Italia No-stra - spiega Giacomo Lombardi, sindaco di Roccamandolfi nonché

esperto ed appassionato della riser-va - è situata nei pressi del castello medioevale che contribuisce a dare fascino e interesse storico. L’oasi si estende per circa 50 ettari e si trova a mille metri sul livello del mare». L’oasi si può dividere in diverse aree: la zona della forra del torrente Callora e le gole dei valloni Fosso Fornello e Rio Torrone; la zona su cui sorge il castello; l’area dei pa-scoli e dei prati sulle parti più alte della gola. Infine la zona dei ghia-ioni e delle rupi. La riserva com-prende diversi viottoli fra i quali il sentiero dei pastori poco dopo il castello in direzione di Longano e il sentiero dei Fringuelli costituito da un percorso che si svolge a mezza costa lungo il Callora e il Torrone. Quest’ultimo percorso è agevole e parallelo al torrente, qui si possono ammirare delle vere e proprie ca-scate di acque chiare e cristalline. Bisogna, inoltre, aggiungere che alle spalle del castello medioevale, lungo il sentiero dei fringuelli, ci si imbatte in un “ponte tibetano” unico

AMBIENTERRITORIO

in Molise, sospeso a circa 40 me-tri dal suolo, un capolavoro di alta ingegneria, esempio concreto di va-lorizzazione del paesaggio carsico molisano. «È un’oasi affascinante dal punto di vista naturalistico, può vantare diverse specie di quali-tà ambientali - riprende Lombardi - Sono presenti numerosi alberi di lecci e di carpino nero. È possibile trovare piante di sassifraghe, ace-ri, ornielli. Sul versante al di sotto del castello troviamo anche il sorbo montano dalle rosse bacche inver-nali. Non mancano altre essenze floreali come bucaneve, crochi, gi-glio rosso, campanule scabiose e tante altre. Inoltre nella zona sono presenti anche diverse specie di animali soprattutto per quanto ri-guarda le specificità di uccelli trovia-mo rapaci notturni ma anche diurni come il falco pecchiaiolo, il nibbio bruno e il nibbio reale». Tra le rupi si trovano a proprio agio anche la poiana, il gheppio, il colombaccio, il gufo fringuelli, merli e molti altri uc-celli mentre è caratteristica anche la presenza di mammiferi come la vol-pe, il ghiro la faina e il moscardino. «Ovviamente la riserva naturale è maggiormente frequentata durante il periodo primaverile e autunnale poiché durante l’inverno, viste le

intense nevicate, diventa difficile accedervi». L’oasi si raggiunge in maniera piuttosto semplice, dalla strada all’ingresso ci sono poche decine di metri: «Durante l’anno chiunque può visitarla e se si forma-no gruppi di 15 o 20 persone si può tranquillamente contattare il comu-ne e con l’aiuto della proloco met-tiamo a disposizione una guida che accompagna i visitatori e descrive dettagliatamente le caratteristiche della zona. Grazie ad Italia Nostra, vengono organizzate diverse pas-seggiate l’anno insieme al presi-dente Claudio Di Cerbo che illustra le caratteristiche naturali del percor-so» ha precisato il sindaco. La zona oltre ad essere un luogo di interes-

se naturalistico adatto per lunghe passeggiate attira da diversi anni gli amanti di sport estremi come il tor-rentismo o rafting e gli appassionati di arrampicate. «Anche se è una delle Oasi, a mio avviso, più belle e caratteristiche della nostra regione ancora oggi è poco conosciuta. At-tualmente con Italia Nostra stiamo cercando di predisporre una serie di iniziative pubblicitarie per divul-gare l’esistenza del posto. In realtà, ci sono diverse persone da fuori re-gione che vengono a visitarla: come spesso accade, chi vive più vicino non si rende conto dei gioielli che possiede in casa propria».

Nelle foto a lato,il torrente Callora eil ponte tibetano

NATURA

Nelle foto l’affasci-nante esperienza del torrentismo che lungo la Callora regala forti emozioni

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C’è chi lo chiama canyoning, chi più semplicemente torrentismo. Ma il senso di questa pratica sportiva è lo stesso: scendere lungo i corsi d’ac-qua e i torrenti per immergersi nella natura e godere dello spettacolo di ambienti lontani dai percorsi escur-sionistici più conosciuti. Rispetto a quanto accade praticando altri sport estremi, come il rafting o il kayak, il torrente viene percorso a piedi, sen-za utilizzare la canoa: la discesa se-gue la direzione del corso d’acqua con tuffi, salti e il supporto della cor-da e di altri strumenti di derivazione alpinistica. Da qualche anno, il tratto del torrente Callora che passa al di sopra del Castello fino al ponte San Bernardino, è frequentato da molti gruppi provenienti da diverse zone d’Italia, tutti accomunati dalla pas-sione per questo sport. Il percorso può rappresentare anche un allena-mento per coloro che si avvicinano

CALLORA DA BRIVIDOQuando l’emozione di uno sport avvincente si affianca allo spettacolo del territorio. La discesa lungo il torrente in prossimità di Roccamandolfi diventa un’attrazione sempre più affascinante

di Daniele Navarra

a questa tecnica, vista l’assenza di ostacoli eccessivi e smisurati, an-che se comunque non mancano tratti di una certa difficoltà e spet-tacolarità. Il periodo per svolgere quest’attività è limitato prevalente-mente ai mesi primaverili, quando il regime delle acque è quello ideale: il tratto si percorre infatti all’interno di gole scavate nella roccia, caratte-rizzate in genere da forte pendenza e se c’è troppa acqua la difficoltà

AMBIENTERRITORIO

aumenta. Gli ostacoli sono quindi costituiti da cascate, scivoli e pas-saggi inondati. L’Oasi di Roccaman-dolfi si è attrezzata per realizzare dei corsi di primo e secondo livello ed è quindi regolarmente certificata nei periodi in cui si svolge questa disciplina: in primavera e in autunno giungono gruppi di torrentisti, all’in-circa di dieci persone, proprio per sperimentare l’esperienza della di-scesa. Gli esperti confermano che è uno sport spettacolare, anche se da vivere con prudenza, ma essendo molto suggestivo continua ad attrar-re molti appassionati. La partenza attuale è a Monte Ca-stello, proprio dove il Sentiero dei Pastori incontra il torrente Rio Tor-rone: avviene qui il primo salto nella conca, al di sotto di una serie di sci-voli. Per gli appassionati è un con-tinuo susseguirsi di salti dalle rocce che si affiancano a passaggi sulle conche e momenti in cui lasciarsi

trasportare dall’acqua lungo scivoli di pietre levigate. Da non perdere è il superamento della doppia casca-ta: lo spettacolo si osserva anche dal Castello, dove si possono in-travedere le piccole figure nere dei torrentisti che si gettano nelle verdi acque della conca. Verso la fine del percorso c’è un ultimo salto, di una decina di metri, che si può invece osservare da vicino. Al termine del tragitto, i gruppi sostano nei pressi del ponte San Bernardino. Non mol-to lontano dall’uscita del percorso del torrentismo il Comune di Rocca-mandolfi ha un ostello della gioven-tù, attrezzato proprio per gruppi che vogliono stare per qualche giorno in paese: con qualche decina d’euro è possibile pernottare e vivere il pae-se in maniera tranquilla e pacata. I risvolti sul piano turistico sono così apprezzabili. Questi sono sport pe-culiari e specifici, non attraggono perciò grandi masse di appassio-nati, ma arrivano comunque diversi gruppi di correntisti soprattutto du-rante il fine settimana, anche grazie alla collaborazione con diverse as-sociazioni ambientaliste. Non solo, questi sport di nicchia vanno messi in sinergia e armonia tra di loro: oltre il torrentismo, infatti, nell’Oasi si sta attrezzando anche una parete roc-ciosa, dov’è già possibile fare l’ar-rampicata, in modo da offrire aspetti sempre più coinvolgenti ai turisti.

GENIUS LOCISAN GIULIANO DEL SANNIO. LA VILLA DEI NERATII TORNA ALLA LUCE

di Michele Varriano

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Nella foto sopra,lunga parete est IX 2452.Nelle foto accanto e sotto, panoramica pa-rete est e l’edificio est

A San Giuliano del Sannio (Cb), e più precisamente in Contrada Cro-cella ai confini con il territorio di Sepino, è stata rinvenuta una villa rustica di epoca imperiale. Nello stesso posto è stato ritrovato molto materiale storico insieme ad alcune iscrizioni latine che attestano come la villa appartenesse ai Neratii, una gens del municipium di Saepinum che arrivò ad occupare posizioni di vertice nella cultura, nell’ammini-strazione e nella gestione del pote-re politico dell’Impero, perdurando ininterrottamente dall’età augustea al V d.C., con una vitalità non atte-

Per info. www.comune.sangiuliano-delsannio.cb.it nella sezione origine e storia del Paese. In libreria: San Giuliano del Sannio - La Villa dei Neratii, Palladino Editore.

stata quasi per nessun’altra fami-glia nell’intera romanità. Della villa è oggi possibile sapere le fasi crono-logiche che l’hanno caratterizzata: nata come fattoria sannitica, l’area subirà una prima trasformazione come villa rustica in epoca augu-stea per poi trasformarsi in un’im-ponente villa senatoria alla metà del I sec. d.C.; di essa sono stati por-tati alla luce tratti della costruzione principale realizzata in una raffinata tecnica denominata opus reticula-tum. La sua utilizzazione avrà una fase di minore frequentazione tra II e III sec. d.C.; successivamente i Neratii, alla metà del IV sec. d.C. , la utilizzarono come loro residenza da cui concretizzare rilevanti opera-zioni politiche a favore dell’Impero romano.