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AMBIENTERRITORIO Anno I / Numero 4 / Dicembre 2012 08 18 24 30 In caso di neve, prevenire è meglio che curare Compostaggio domestico, non solo rifiuti Alla scoperta del tartufo molisano Capracotta, la regina della montagna molisana Periodico di informazione sulle tematiche ambientali

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Page 1: Numero 4

AMBIENTERRITORIO

Anno I / Numero 4 / Dicembre 2012

08

18

24

30

In caso di neve, prevenireè meglio che curare

Compostaggio domestico,non solo rifiuti

Alla scoperta deltartufo molisano

Capracotta, la regina dellamontagna molisana

Periodico di informazione sulle tematiche ambientali

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AMBIENTERRITORIO

PRIMOPIANO

Prevenire è meglio che curare 06In caso di neve. La Protezione Civile è pronta 08Rischio alluvioni 11La città sostenibile di Ecomondo 14Parole chiave: Via e Vas 17

BUONEPRATICHE

Non solo rifiuti 18Compostaggio fai-da-te 19CircOLIamo, la campagna del Coou 20La scialuppa della biodiversità 22

TERRITORIO

Alla scoperta del re nero 24La silenziosa scomparsa delle api 26L’Sos di un apicoltore 27Guardie Ambientali 28

NATURA Capracotta, la regina della montagna molisana 30Il borgo di Civita di Bojano 32

SOM

MA

RIO

Editoriale 05

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Direttore ResponsabileGiovannni Doganieri

Coordinamento ProgettoMarco AmiconeMassimo Aulita

RedazioneFrancesco MarinoAntonella NardellaDaniele NavarraMichele PerrellaLucia PettiMichele Varriano

Grafica e Photo EditingDaniele Navarra

MarketingMichele D’Amico

Segreteria di redazioneLucia Petti

[email protected]

Stampa a cura di T.A. ComunicazioneSprint Italia - Torre Annunziata

Autorizzazione N. 3/2012 del Tribunale di Campobasso

AMBIENTERRITORIO

L’informazione ambientale gioca un ruolo strategico nella metamorfosi dell’economia italiana verso la sostenibilità. Perché senza la consapevo-lezza dell’opinione pubblica circa l’importanza di questo obiettivo, che tie-ne insieme politiche nazionali, scelte locali e stili di vita delle persone, sa-rebbe assai difficile condurre il nostro paese oltre la crisi e collocarlo come merita, alla luce dei suoi talenti e della sua bellezza, nella competizione internazionale. Questo è ancora più vero in una realtà come il Molise, dove le risorse migliori, le reali ricchezze che si conservano in questo piccolo ma straordinario territorio, risultano spesso sconosciute persino ai suoi stessi abitanti. Sta qui la necessità d’ampliare la sfera della comunicazione sulle tematiche ambientali attraverso una rivista come quella che avete fra le mani, animata da un piccolo gruppo di giovani motivati e competenti che hanno scelto il giornalismo per testimoniare il proprio legame con i luoghi in cui vivono. Sta innanzitutto nel cogliere in forma dettagliata, come sol-tanto l’informazione locale può fare, le problematiche difronte alle quali si trovano gli amministratori, in una zona fra le più esposte al rischio sismico e geologico o a fenomeni d’illegalità ambientale che pure qui emergono faticosamente dalle cronache. Ma anche nell’opportunità di descrivere un progetto nuovo per una regione che cerca una via per il futuro e che po-trebbe diventare un modello per il paese sul terreno della green economy. Basti pensare alle opportunità d’innovazione in campo agricolo nel segno della qualità e delle agroenergie, all’ecoturismo che qui potrebbe spazia-re, nel giro di cento chilometri, dalle cime del Matese alle spiagge dell’A-driatico attraversando zone archeologiche e naturali di altissimo pregio, piccoli comuni che raccontano attraverso i sapori e la manualità tradizioni antichissime. O ancora alle fonti rinnovabili che rispettano il paesaggio, ulteriore valore aggiunto in un’area che vanta, a Isernia, una delle prime sperimentazioni di smart grid, la rete intelligente che integra l’elettricità pro-veniente dall’eolico, dal fotovoltaico e dalle altre fonti di nuova generazio-ne. È uno sguardo verso il domani quello che il giornalismo ambientale può gettare, ancorato ai problemi di oggi ma utile a costruire intorno ai processi di modernizzazione un’identità adeguata ai tempi: è il Molise che può gui-dare, quasi fosse una pilotina, il resto del Meridione verso l’economia del nuovo millennio, un’economia centrata sulle comunità locali ma aperta alle relazioni globali a metà strada fra l’Europa e il Mediterraneo.

Marco FratoddiDirettore responsabile de “La Nuova Ecologia“

Docente “Formez PA”

IL MOLISE CHE VERRÀ

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PREVENIRE È MEGLIO CHE CURARELa prevenzione ambientale come strumento fondamentale nella gestione delterritorio. A confermarlo il rapporto del CENSIS sulla situazione sociale del Paese.

di Francesco Marino

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La prevenzione dai disastri ambien-tali è l’unica strada percorribile per evitare in futuro altre calamità e altri lutti. Le ferite che l’Italia si porta die-tro a causa degli errori compiuti in passato pesano come un macigno su chi non ha mai voluto investire in una chiara e precisa politica di tutela del territorio. “Ogniqualvolta si verifica in Italia un evento calami-toso riconducibile, almeno nelle de-terminanti principali, a cause natu-rali, si riscopre la congenita fragilità del territorio nazionale” esordisce il Censis, il Centro Studi Investimenti Sociali, nel suo Rapporto sulla Si-tuazione Sociale del Paese. Eppure che l’Italia sia un Paese dove è alta l’esposizione al rischio di calamità naturali è un dato inconfutabile. “L’ineluttabilità degli eventi è sicura-mente alta per terremoti ed eruzio-ni vulcaniche, rispetto ai quali non esiste alcuna possibilità di interven-to. Diverso è il caso dei fenomeni idrogeologici ed in particolare delle

alluvioni e inondazioni: si tratta in-fatti di eventi che si innescano sulla base di circostanze metereologiche sostanzialmente incontrollabili, ma che trovano nell’inadeguata gestio-ne e nella scarsa manutenzione di alcuni elementi territoriali fattori intervenienti di particolare rilievo” continua il Censis nel suo Rapporto. Va però aggiunto che per quanto concerne la possibilità di stimare la probabilità che gli eventi catastrofici si verifichino in un determinato terri-torio, la ricerca scientifica ha messo a punto alcuni strumenti, basati es-senzialmente sulle serie storiche a disposizione. Si conoscono di fatto le zone a rischio sismico e vulcani-co ed i periodi dell’anno in cui alcuni territori sono esposti a rischi mete-reologici.

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In questo caso, comunque, l’anali-si segue percorsi differenti, infatti, “mentre per quanto concerne terre-moti ed eruzioni la prevenzione è in-dispensabile per limitare i danni, ad esempio costruendo seconde pre-cise normative antisismiche, essa non può nulla contro gli eventi stes-si. Nel caso, invece, di alluvioni si può ritenere a tutti gli effetti che per-corsi di prevenzione adeguati pos-sano limitare o addirittura impedire

lo svilupparsi di fenomenologie idro-geologiche pericolose o devastanti” affermano i tecnici che hanno stilato il rapporto per il Censis. Caso diverso è quello della preven-zione dei danni arrecati. Infatti, dal punto di vista strettamente teorico i danni alle persone possono essere limitati e addirittura evitati nel caso di alluvioni e di eruzioni vulcaniche. Prescindendo da considerazioni in merito alla manutenzione dei suoli o all’opportunità o meno di edificare in aree a rischio vulcanico, occorre

Nella foto,devastazioni procurate in Louisiana dall’Uragano Katrina

tener conto che, in entrambi i casi, esiste una reale possibilità di aller-tare per tempo le popolazioni ed or-ganizzare evacuazioni o sistemi di difesa.Per i terremoti di origine tettonica la situazione è differente: l’evento si manifesta all’improvviso e l’allarme non può arrivare in tempo utile per consentire azioni di difesa.Per quanto concerne le alluvioni, esistono, allo stato attuale, stru-

menti che consentono di evitare che tali fenomeni si trasformino in vere e proprie stragi. “Tali fenomeni sono prevedibili e in buona parte preveni-bili. A maggior ragione devono es-serlo i danni da essi arrecati. Un’al-luvione potrà danneggiare i beni immobili, le colture, le infrastrutture, ma non è pensabile che nel conte-sto socio-economico e territoriale delle regioni italiane assuma i con-notati di vera e propria calamità de-terminando decine di vittime” con-clude il Rapporto del Censis.

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IN CASO DI NEVE. LA PROTEZIONE CIVILE È PRONTALe abbondanti nevicate dello scorso inverno hanno imbiancato tutta la regione, perla gioia dei più piccoli, ma ha creato non pochi disagi al territorio. Antonio Cardillo ci spiega come si lavora in una situazione di emergenza neve.

di Daniele Navarra

L’inverno scorso verrà ricordato come uno dei più freddi degli ultimi anni. In Molise, soprattutto. Copiose nevicate hanno ricoperto la maggior parte della regione, per la felicità dei bambini che hanno visto dalle fine-stre tutto imbiancato. I disagi per la popolazione non sono mancati però. Come sono preparate dunque le istituzioni ad affrontare una stra-ordinaria nevicata come quella dello scorso anno? Lo abbiamo chiesto al Dott. Antonio Cardillo, Responsabi-le dell’Ufficio Centro Funzionale del Molise. «La Protezione Civile non si occupa in prima persona del cosid-detto “piano neve” (che invece vie-ne realizzato insieme all’Anas e le Province per la pulizia delle strade), ma siamo sempre pronti appena parte un’emergenza: si attiva così il

sistema, inteso come unione di più enti, che coordina tutte le attività dalla Sala Operativa Regionale».Come si organizza la Protezione Civile per affrontare l’emergenza neve l’inverno?In pratica la Protezione Civile rea-lizza una “campagna invernale per l’emergenza neve”, con il compi-to principale di valutare la criticità dell’emergenza in caso di precipita-zioni nevose. Infatti, lo scorso feb-braio abbiamo avuto il compito di anticipare di 24 - 48 ore le criticità in arrivo. Innanzitutto, ci basiamo sulle previsioni, e quindi sulle informa-zioni ricevute dal satellite. A Cam-pochiaro, ad esempio, abbiamo il collegamento sul Satellite MODIS che effettua un monitoraggio terra e acqua, che ci permette di calcolare

la quota della coperture nevosa, le temperature e le altre misure. Dopo la previsione, la valutazione viene fatta con l’evento in atto, cioè in base all’effettiva segnalazione del problema o chiamata di intervento da effettuare.Come viene gestita la rete di in-terventi sul territorio molisano?L’anno scorso durante l’eccezionale nevicata, siccome erano molti i co-muni a chiedere soccorso, il siste-ma si è attivato al massimo livello, coinvolgendo tutte le strutture col-legate, a partire dalla SOUP (Sala Operativa Unificata Permanente) della Protezione Civile che coordina tutte le attività di intervento, insieme con il 118, Soccorso Alpino, Cor-po Forestale dello Stato, Vigili del Fuoco, poi gli enti come la Regio-ne, Provincia, Comuni e Prefetture. Una volta attivata la SOUP, si ge-stisce l’emergenza secondo i criteri di urgenza e priorità, rispetztando le necessità primarie e garantendo l’incolumità della pubblica e privata cittadinanza. Prima di tutto la vita delle persone, poi i beni e il patrimo-nio artistico-naturale e infine tutto il resto. Dal punto di vista della neve e della valutazione del rischio valan-ghe, la Regione Molise ha stabilito di affidarsi al Corpo Forestale dello Stato e quindi al Servizio Meteo-mont, che fa la valutazione in fun-zione della frequenza della neve, ad esempio se un pendio è predispo-sto o meno all’innesco di una valan-ga. Il fattore decisivo è trasformare la valutazione fatta con gli effetti al suolo, cioè legati all’ambito pratico, a episodi naturali. Ad esempio se ci troviamo con mezzo metro di neve a Capracotta il disagio sarà pari a zero, visto che quel territorio è abi-tuato a quella condizione, mentre se si verificano dieci centimetri di neve a Termoli si innesca il panico

per la poca praticità, non essendo una zona abituata a queste caratte-ristiche. Per questo motivo si è atti-vata negli anni anche una seconda procedura che si chiama “Rischio neve a bassa quota”, in cui si è rea-lizzata una rete di monitoraggio an-che sulle reti stradali e autostradali, e anche noi della Protezione Civile cerchiamo di tenere conto di questa informazione a livello di bassa quo-ta, perché in fondo qui si creano i problemi maggiori.Qual è il personale coinvolto?Il personale coinvolto è operativo nella sede di Campochiaro, dove viene effettuato sia il monitoraggio del territorio con le previsioni me-teorologiche e sia l’emanazione di tutte le note informative alle ammi-nistrazioni per l’attivazione di tutti i canali di emergenza. Il personale ovviamente è composto da tecnici,

Nella foto sotto,la sala operativa della Protezione Civile

Il dott. Antonio Cardillo, Responsabile dell’Ufficio Centro Funzionale del Molise

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RISCHIO ALLUVIONI. LA PREVENZIONE NON È MAI TROPPAA quasi dieci anni dalla tragica alluvione che colpì il Basso Molise, il rischio èsempre presente. La necessità di prevenire ed anticipare queste calamità diventaimprescindibile. Per il Molise soprattutto.

di Daniele Navarra

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In queste situazioni di emergenza la cosa più importante è quella di rispettare le regole e le direttive che vengono date ai cittadini. Quando c’è un messaggio che avverte la chiusura delle scuole, si presuppo-ne una certa criticità lungo le strade, quindi è inutile mettersi in viaggio senza un valido motivo. È sempre importante rispettare tutte le indica-zioni fornite.

Il pericolo esiste, eccome. Del resto come in gran parte della penisola, anche il territorio molisano presenta le caratteristiche tipiche di un terri-torio a rischio alluvione. Sono pas-sati quasi dieci anni da quei tragici momenti in cui una forte inondazio-ne sommerse quasi interamente la zona di Termoli con il suo nucleo in-dustriale e buona parte del litorale. L’ingrossamento del fiume Biferno, causato in parte anche dall’apertura della diga del Liscione, provocò in-genti danni al territorio, alle aziende e al patrimonio naturale. Ma per for-tuna niente vittime, unica nota po-sitiva. Poteva andare peggio però, ecco perché soprattutto in questi casi bisogna dare importanza alla prevenzione, questione imprescin-dibile da tenere sempre in conside-razione. «La situazione nella quale si trova il territorio regionale è pur-troppo una zona continuamente sottoposta a fenomeni di instabilità e dissesto idrogeologico, e gestire una corretta programmazione di in-terventi deve essere di fondamen-tale importanza, soprattutto in aree

come quella molisana». Spiega così il geologo Vincenzo Cortese, diret-tore tecnico della Geosecure, che qualche anno fa ha condotto proprio uno studio sul rischio esondazioni, monitorando e tenendo sotto stretto controllo il fiume Volturno, nei pressi del Sesto Campano.In cosa consiste precisamente il rischio idraulico?Con questo termine si intende in maniera generale il rischio di inon-dazione di un territorio da parte di corsi d’acqua naturali o artificiali: è quindi una situazione abbastanza pericolosa che può produrre note-

Nella foto sopra,il geologo Vincenzo Cortese.In basso e in alto l’alluvione del Basso Molise nel gennaio 2003

Le abbondanti nevica-te dello scorso inverno hanno imbiancato tutto il paesaggio, creando però disagi alla popolazione

che lavora tutti i giorni dell’anno dal-le 8 alle 20, ma se i livelli di criticità aumentano il lavoro si estende an-che tutta la notte.Ci sono state difficoltà lo scorso inverno?Sì ci sono state alcune difficoltà. È anche normale in una situazione di estrema emergenza, ma le abbia-mo gestite al meglio. Un passag-gio fondamentale da sottolineare è che nell’inconsueta nevicata dello scorso inverno, l’evento è stato cer-tamente eccezionale, ma l’emer-genza vera è stata circoscritta nelle zone con le quote dai 1100/1200 metri di altitudine a scendere, cioè oltre quella quota l’evento non è stato eccezionale, dato che sono territori abituati ogni inverno a ne-vicate di questo genere. La parti-colarità è rappresentata invece dai 20/25 centimetri di neve a Termoli o Venafro, che rappresentano una situazione inconsueta e quindi l’e-mergenza vera e propria.Come si possono comportare i singoli cittadini per contribuire e non ostacolare lo svolgimento delle operazioni?

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voli danni al territorio, oltre che alle persone. Nel contesto pratico, an-che secondo la normativa naziona-le, questo rischio si configura in due principi: la pericolosità, connessa alle caratteristiche fisiche e idrolo-giche dei corsi d’acqua in relazione alle precipitazioni; e il danno atteso, cioè la perdita di vite umane e di beni pubblici e privati.Il Molise è esposto a tali tipologie di rischio?Gran parte del territorio nazionale è interessato da questi eventi, con risultati in termini di vittime e dan-ni, sempre più dannose di anno in anno. Questo fattore dipende, oltre ad un notevole incremento dell’in-tensità degli eventi, soprattutto alle conseguenze di un uso spesso sconsiderato del territorio, incompa-tibile con il carattere fisico dell’am-biente naturale. Il Molise, purtroppo, non è affatto escluso da questa ti-

pologia di rischio ambientale. È op-portuno ricordare l’alluvione che ha inondato la zona di Termoli, la Valle del Biferno e il nucleo industriale quasi dieci anni fa, nel gennaio del 2003, causando notevoli danni. Re-steranno per sempre nella memoria collettiva quelle tristi immagini che mostravano l’inferno di detriti e fan-go, di auto annegate nella melma e di strade e campi coltivati sotto la piena. La prevenzione dunque, so-prattutto in questi territori a rischio esondazioni, diventa qualcosa di imprescindibile e di fondamentale importanza.Quali sono le zone maggiormen-te interessate al rischio?È possibile includere numerose aree della regione nelle zone mag-giormente a rischio. Abbiamo ad esempio una parte del torrente Rio in prossimità dell’immissione del torrente Callora, il primo tratto del fiume Biferno, il settore del Biferno a valle dell’invaso del Liscione, il tratto terminale del fiume Sinarca e del Trigno. Sono alcuni dei punti da tenere sempre sotto controllo.Quali sono state le attività di pre-venzione del rischio da parte del-le istituzioni?Innanzitutto bisogna fare un’attenta osservazione sui cambiamenti all’u-so del suolo avvenute in passato fino ad oggi, sia nell’intero territo-rio nazionale ed ovviamente anche

nella nostra piccola regione. Senza alcun dubbio, lo studio più significa-tivo ed autorevole a livello regionale è quello pubblicato nel 2001 deno-minato “Studio del Rischio Idrogeo-logico nella Regione Molise” in cui è stata fatta prima la ripartizione delle aree a rischio esondazione e poi è stata comparata con la presenza di fattori importanti come agglomerati abitativi, attività produttive e patri-monio ambientale: si è così indivi-duata una carta del rischio a livello regionale, classificata secondo un rischio moderato, medio, elevato e molto elevato.Quanto è importante in Molise la prevenzione, per evitare altri disastri come quelli avvenuti in passato?La prevenzione è un aspetto fon-damentale, è il punto di partenza per affrontare questo genere di ar-gomento: il rischio di esondazioni è strettamente legato alla conforma-zione morfologica del territorio. In passato mi sono occupato di uno studio che ha riguardato un’area in-serita nella valle del Volturno e più precisamente un affluente destro del Volturno, il torrente Rava, che è stato monitorato regolarmente e tenuto sotto controllo. Nella zona venafrana il pericolo delle alluvioni esiste, e purtroppo è strettamente connesso alla presenza del fiume Volturno e dei suoi affluenti, come appunto il Rava. Consideriamo in-nanzitutto che un’esondazione av-viene quando le sponde di un fiume o un torrente non riescono più a contenere il suo corso d’acqua che straripa, riversandosi nei terreni cir-costanti o, peggio ancora, nei centri abitati. Le cause di questo proble-ma sono molteplici, alcune sono naturali e altre determinate dall’in-tervento dell’uomo sul territorio. Di-venta così importante una corretta

manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti: lungo i corsi d’acqua, infatti, bisogna costantemente rea-lizzare la pulizia degli argini e delle sponde, collegata ad una continua bonifica necessaria a rimuovere tut-ti gli ostacoli che intralciano il rego-lare deflusso delle acque. Soltanto così si potrà evitare il ripetersi di disastri ambientali che mettono in serio pericolo interi territori.

L’alluvione provocò ingenti danni a tutta la zona di Termoli e del nucleo industriale.

In basso, le tragiche conseguenze dell’allu-vione in un’azienda

Case sommerse dall’acqua e dal fango. La pulizia degli argini dei fiumi costituisce la prevenzione primaria per evitare disastri del genere

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SPEC

IALE

LA CITTÀ SOSTENIBILE DI ECOMONDOIl nuovo volto dell’economia. Le imprese, l’informazione ela scienza nei quattro giorni di Rimini Fiera.

di Michele D’Amico

Buone pratiche, presentazione del-le novità imprenditoriale, scambi di idee. Oltre 1200 imprese in 16 padiglioni, più di 84.000 visitato-ri. L’atteso Ecomondo 2012 che si è realizzato a RiminiFiera dal 7 al 10 novembre, è stato un successo. Per l’occasione con l’aiuto di 39 as-sociazioni di imprese e con un pro-getto del designer Angelo Grassi è stata realizzata la “Città sostenibile” su un area di 6mila mq con i suoi quartieri: mobilità sostenibile, edili-zia sostenibile, risparmio energeti-co, reti smart (energetiche, di dati, rifiuti). Ecomondo ha fatto vedere il nuovo volto dell’economia che sta diventando sempre di più green, ospitando gli Stati Generali della Green Economy dal 7 all’8 novem-bre, perché impresa ed economia sostenibile vogliono essere il futuro e una risposta per affrontare in Italia

la recessione economica e avviare una nuova fase di sviluppo. Lo ha precisato Janez Potočnik, Commissario Europeo per l’Am-biente, che nel suo messaggio agli Stati Generali ha indicato l’impor-tanza del corretto smaltimento dei rifiuti: «Recenti studi stimano che, per esempio, la piena attuazione

della legislazione dell’Unione eu-ropea sui rifiuti consentirebbe di ri-sparmiare 72 miliardi di euro l’anno e creare oltre 400.000 posti di la-voro entro il 2020. Siamo tutti a co-noscenza della situazione in Italia, quando si parla di rifiuti. Più le pres-sioni spingono in alto i prezzi delle risorse, più i nostri rifiuti diventeran-no preziosi. L’Italia dovrebbe coglie-re semplicemente quest’opportunità e creare le strutture necessarie per pompare materiali pregiati nel ciclo economico, piuttosto che gettarle dentro buche nel terreno». Lo ha confermato anche il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini che nel-la cerimonia iniziale ha dichiarato: «Le imprese che hanno preparato gli Sati Generali sono imprese che fanno, che hanno dei risultati e che dimostrano che la Green Economy

in Italia è la chiave per uscire dal-la crisi. Per questo motivo abbiamo rafforzato le misure di incentivazio-ne per l’efficienza energetica, abbia-mo creato un fondo per l’occupazio-ne giovanile nei settori della green economy e il credito di imposta per

chi investe in ricerca e innovazio-ne in campo ambientale». Insieme agli Stati Generali della Green Eco-nomy, durante le giornate della fiera ecosostenibile si è svolta la 6° edi-zione di Key Energy: la fiera inter-nazionale per l’energia e la mobilità sostenibile e Cooperambiente che da cinque anni valorizza le migliori esperienze nella cooperazione am-bientale. Le quattro giornate hanno

consentito di partecipare a seminari di grande interesse scientifico con oltre 1000 relatori uniti dalla volon-tà di presentare processi e servizi utili ad uscire dall’attuale crisi eco-nomica, invitando i consumatori a cambiare le abitudini di consumo a favore di scelte sostenibili garantite da prodotti green. Il lavoro organiz-zativo promosso da voci autorevoli del campo scientifico ha visto deci-ne di Call of Papers ai quali sono intervenuti più di 100 enti di ricerca universitari, pubblici e privati.Il Prof. Luciano Morselli, coordinato-re scientifico di Ecomondo 2012 ha dichiarato: «Gli oltre 150 convegni hanno seguito lo schema collauda-to, con sezioni tematiche che hanno contribuito all’aggiornamento della ricerca industriale e all’innovazio-ne, grazie alla presentazione di casi studio e di modelli di gestione am-bientale, esaltando la nuova cultura ambientale che si sta affermando. Il rifiuto è ormai considerato una risorsa e s’è affermata una grande capacità di estrarre da essi materia prima. Pensiamo anzitutto nei rifiuti elettronici. Bisogna cercare di molti-plicare i modelli virtuosi, ma è ormai un processo inarrestabile». L’incon-

Nella foto sopra, l’ingresso di Rimini Fiera

Luciano Morselli,Responsabile scientifi-co di Ecomondo 2012

Nell foto accanto, Janez Potočnik, Com-missario Europeo.Nell’altra il Ministro dell’AmbienteCorrado Clini

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V.I.A. è l’acronimo usato per indi-care la valutazione di impatto am-bientale, cioè la procedura ammini-strativa di supporto per le autorità predisposte finalizzato a individua-re, descrivere e valutare gli impatti ambientali prodotti dall’attuazione di un determinato progetto. La V.I.A. nasce alla fine degli anni sessanta del secolo scorso negli Stati Uniti d’America con il nome di environmental impact assessment (E.I.A.) e introduce le prime forme di controllo sulle attività interagenti con l’ambiente, il tutto per evitare, ridurre e mitigare gli impatti.Nel 1985 si allinea la Comunità Europea emanando la Direttiva 337/85/CEE “Concernente la valu-tazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e pri-vati”. Nello specifico la procedura di valutazione sulla compatibilità am-bientale di un determinato progetto è svolta dalla pubblica amministra-zione, che si basa sia sulle informa-zioni fornite dal proponente del pro-getto, sia sulla consulenza data da altre strutture della pubblica ammi-nistrazione, sia sulla partecipazione della gente e dei gruppi sociali. Un obiettivo importante delle procedure

PAROLA CHIAVE di VIA è quello di favorire la parte-cipazione dei gruppi sociali nei pro-cessi decisionali sull’approvazione dei progetti.V.A.S. sta per valutazione ambien-tale strategica e indica un processo finalizzato ad integrare considera-zioni di natura ambientale nei pia-ni e nei programmi, per migliorare la qualità decisionale complessiva. Nel 1981 l’Housing and Urban De-velopment Department degli USA pubblicò il manuale per la valutazio-ne d’impatto di area vasta, che può considerarsi il progenitore della me-todologia di valutazione strategica.La Comunità Europea si allinea con la direttiva 2001/42/CE che ha im-posto a tutti gli stati membri dell’U-nione Europea la ratifica della diret-tiva nelle normative nazionali entro il 21 luglio 2004. L’obiettivo principale della VAS è valutare gli effetti ambientali dei piani o dei programmi, prima della loro approvazione, durante ed al termine del loro periodo di validità. Ciò serve soprattutto a sopperire alle mancanze di altre procedure parziali di valutazione ambientale, introducendo l’esame degli aspetti ambientali già nella fase strategica.Altri obiettivi della V.A.S. riguardano sia il miglioramento dell’informazio-ne della gente sia la promozione della partecipazione pubblica nei processi di pianificazione e pro-grammazione.

information”. È il validatore terzo indipendente che garantisce se la notizia è buona. Si è persa una grande occasione per il giornalismo ambientale quando c’era la pos-sibilità di utilizzare il contributo dei giornalisti ambientali eletti per fare l’Ecoistituto sulla scorta del model-lo tedesco, dove i ricercatori in rete contribuiscono a formare progetti.Vinciamo soltanto se riusciamo a portare avanti il principio enaudiano del conoscere per deliberare. L’ani-male ferito - continua Ganapini - è più pericoloso dell’animale norma-le, e dobbiamo quindi avere una maggiore forza di comunicazione, fortemente motivata con tutte le ci-fre possibili rimanendo credibili per i contenuti».

tro a RiminiFiera ha visto fra i pro-tagonisti gli informatori e gli esperti di comunicazione ambientale. Per la prima volta, infatti, si sono incon-trate le principali testate giornalisti-che ambientali per discutere delle nuove modalità di divulgazione del-le notizie scientifiche in riferimento all’ecosostenibilità.Il presidente di Sisifo, Walter Ga-napini, nella chiusura dell’incontro con i media ambientali ha esposto la sua esperienza: «Dopo tre gior-ni che ero su Facebook, mi accorsi che c’era un elemento provocatorio per il ruolo che svolgevo nella fin-ta emergenza campana dei rifiu-ti. Dobbiamo, con il nuovo media, saper veicolare fra le “best availa-ble information” e le “best needed

Nella foto sopra,Walter Ganapini, Presidente Sisifo

Quest’anno la fiera di Rimini ha visto una grande partecipazione di pubblico

VIA - VASdi Francesco Marino

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NON SOLO RIFIUTIIn natura, i microrganismi presenti nel terreno, decompongono foglie secche, feci, spoglie di animali, ecc e li restituiscono al ciclo naturale. È questo il processo che permette di ottenere concime dagli scarti organici

di Lucia Petti

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I rifiuti sono solo materiali al posto sbagliato. In questa frase è racchiu-sa la filosofia operativa della Worm snc, società italiana operante nel settore della gestione dei rifiuti. Ma quali sono i vantaggi pratici di que-sta intuizione? Se pensiamo alla fra-zione organica, che occupa circa un terzo dei rifiuti solidi, anziché desti-narla allo smaltimento in discarica, attraverso il compostaggio è pos-sibile trasformarla in concime per rendere alla terra ciò che le è stato sottratto. Non si fa altro che imitare, riproducendoli in forma controllata e accelerata, alcuni processi natu-rali del ciclo della vita. «La scelta di spingere sull’utilizzo dell’organico selezionato alla fonte, costituisce un obiettivo strategico nazionale di politica energetica», dichiara Ro-berto Pirani, esperto in gestione e riduzione di materiali post utilizzo.

«Possiamo ottimizzare un percorso che dagli scarti di cibo non produ-ca costi e oneri, ma utili per tutti, favorendo un’agricoltura di qualità: terreni più ricchi, più facilmente la-vorabili, in grado di trattenere mag-giori quantità di acqua-chiarisce Pirani. Un piano innovativo e lungi-mirante non deve dimenticare che solo gestendo al meglio la frazione organica, si raggiunge il quantitati-vo minimo di raccolta differenziata necessaria per legge, e si preven-gono impatti e costi che altrimenti gravano e graveranno sempre più sulla collettività». Ma come inizia-re? Un aiuto arriva, ad esempio, da Fare Verde ONLUS che permette di scaricare gratuitamente, dal proprio blog, un prontuario per il compo-staggio domestico (http://www.fa-reverde.it/blog/wp-content/uploads/compost_prontuario.pdf).

Nella foto, Roberto Pirani, esperto in gestione e riduzione di materiali post utilizzo

AMBIENTERRITORIO

Chi abita in una casa con giardino può già “chiudere il cerchio”, desti-nando gli scarti di cucina, foglie e rami secchi, al compostaggio do-mestico.Innanzitutto bisogna dotarsi di una compostiera, scegliendo fra le se-guenti soluzioni:• di plastica, in commercio esistono moltissimi modelli;• “fatta in casa”: è sufficiente forma-re un cilindro con una rete metallica e rivestirlo internamente con una tela di iuta o di tessuto non tessuto;• cumulo: è la soluzione più sempli-ce ed economica, indicata per chi ha molto spazio e grandi quantità di prodotti da compostare, in modo particolare sfalci d’erba, foglie e ra-maglie;• concimaia: è un’opzione interme-dia tra compostiera e cumulo.Una volta scelto, il dispositivo va collocato su un’area non pavimen-tata e all’ombra di uno o più alberi. Le materie prime per la produzione del terriccio compostato sono: avan-zi di cucina, come residui di pulizia delle verdure, bucce, fondi di the e caffè e scarti del giardino e dell’or-to. A questi si possono aggiungere altri materiali biodegradabili, come carta non patinata, cartone, sega-tura e trucioli provenienti da legno non trattato. Sporadicamente è possibile inserire avanzi di cibo di origine animale, cibi cotti (in piccole quantità per non attrarre insetti ed altri animali indesiderati), foglie di piante resistenti alla degradazione (magnolia, lauroceraso, faggio, ca-stagno, aghi di conifere), in piccole quantità e miscelandole bene con materiali più facilmente degradabili.

Il tutto va mescolato in base al gra-do di umidità dei rifiuti: un rapporto ideale è di 2-3 volumi di materiale umido e 1 di materiale secco. I me-scolamenti vanno eseguiti in inver-no dopo 20-25 giorni dall’inizio del processo e poi dopo 3-5 mesi; in estate dopo 20 giorni dall’inizio del processo e poi dopo 2-4 mesi. La garanzia di una buona trasforma-zione e della mancanza di cattivi odori è data dalla presenza costan-te di ossigeno.In 4-6 mesi, si ottiene un compost semigrezzo, non completamente maturo, che contiene una grande quantità di elementi nutritivi e ap-porta al suolo molti organismi vi-venti. È indicato per concimare tutti gli alberi e gli arbusti da frutto e gli ortaggi con forti esigenze nutritive, come cavoli, pomodori, porri, pata-te, sedano, rabarbaro, mais, cetrioli, zucchini e zucche. Il compost ma-turo (dopo 8-12 mesi) è un terriccio nero, soffice, molto ricco di acidi umici e utile soprattutto per miglio-rare la struttura del terreno. Può es-sere utilizzato anche per la prepara-zione di terricci per le semine e per le piante in vaso, per la concimazio-ne degli ortaggi come piselli, fagioli, carote, cipolle, insalate e infine per i fiori e le piante ornamentali del giar-dino e per il prato. È consigliabile distribuire circa tre palate colme di compost per metro quadrato, non va mai interrato profondamente, ma solo superficialmente.

COMPOSTAGGIO FAI-DA-TE

di Lucia Petti

BUONE PRATICHE

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Nella foto,l’Ingegnere Antonio Mastrostefano

Nella foto a lato,momento ludico ed informativo del Coou con i bambini delle scuole primarie di Campobasso.

Nella foto, la conferenza stampa del Coou a Campo-basso. Da sinistra: il responsabile del progetto CircOLIamo Alberto Hermanin, l’ingegnere Mastro-stefano, l’assessore all’Ambiente delComune di Campo-basso Nicola Cefaratti e l’architetto France-sco Manfredi Selvaggi

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CIRCOLIAMO, LA CAMPAGNA DEL COOUAbbiamo raggiunto un’efficienza del 95%. C’è un 5% che manca e in buona parte può essere dovuto ai privati che spesso adottano il “fai da te”. Ai comuni chiediamo soltanto di rispettare gli obblighi di legge.

di Michele D’Amico

«CircOLIamo è la campagna divul-gativa del consorzio obbligatorio degli oli usati: un consorzio che è nato da circa trent’anni che si occu-pa dello smaltimento tramite riciclo dell’olio lubrificante usato che è un rifiuto pericoloso». L’Ing. Antonio Mastrostefano, Direttore strategie, comunicazione e sistemi esordisce così alle domande che gli abbiamo rivolto circa le attività del Coou.Come avviene la raccolta degli oli usati?Noi raccogliamo l’olio usato presso tutte le aziende, e quindi parliamo di stazioni di servizio, officine, ma an-che industrie a titolo gratuito su tutto il territorio nazionale. E successiva-mente lo indirizziamo all’industria della rigenerazione, questo signifi-ca che da olio lubrificante usato vie-ne fuori dell’olio lubrificante nuovo. Poiché l’olio lubrificante solitamente viene prodotto dal petrolio, il fatto di produrre il lubrificante da un rifiuto ovviamente ci consente di rispar-miare dalle importazioni petrolifere. Anche in onore della sostenibilità,

intesa nel senso più anglosassone del termine, non come tollerabilità dell’ambiente di oggi, ma nel senso di conservare delle risorse oggi per le generazioni future. Questo lavo-ro lo facciamo orami da tanti anni e abbiamo raggiunto un’efficienza del 95%. La percentuale si riferisce a tutto l’olio lubrificato intercettato da noi. C’è un 5% che manca e in buo-na parte può essere dovuto ai priva-ti che spesso adottano il “fai da te”. Noi cerchiamo di raggiungere pro-prio queste persone, spiegando loro che cos’è l’olio lubrificante usato e come andrebbe gestito corretta-mente. Questo si può fare soltanto attraverso campagne di informazio-ne come appunto “CircOLIamo”. Quando è incominciata la campa-gna “CircOLIamo” e quali attività prevede?La campagna “CircOLIamo” è ini-ziata l’anno scorso e si completerà quest’anno. Il Coou va in tutte le pro-vince italiane, e nelle loro maggiori piazze, per incontrare i cittadini. La giornata di “CircOLIamo” è divisa

in due parti: la mattina incontriamo i ragazzi e i bambini, delle scuole medie e delle scuole elementari. Li facciamo giocare, e attraverso il gioco imparano che cos’è innanzi-tutto la raccolta differenziata e che cos’è l’olio lubrificante usato. Suc-cessivamente, abbiamo una confe-renza stampa, dove noi incontriamo le istituzioni, insieme alle associa-zioni di categoria, le associazioni ambientaliste, e la stampa in modo da consentire di mettere in eviden-za eventuali problemi e magari pre-sentare anche delle soluzioni. Quali sono i consigli principali che rivolgete ai cittadini per una corretta raccolta degli oli usati?C’è da dire che la soluzione per il privato esiste già in termini di leg-ge ed è il centro di raccolta o l’isola ecologica comunale. Quì il cittadino oltre ai rifiuti tradizionali può deposi-tare anche l’olio lubrificante usato. Sollecitiamo le amministrazioni lo-cali a creare queste isole ecologi-che, esistono infatti dei decreti che già dal 2008 impongono ai comuni di attrezzare le isole ecologiche an-che per questo tipo di rifiuti. Non tut-te le amministrazioni si sono messe in linea fino ad oggi, e per questo motivo ci auguriamo che la nostra iniziativa faccia un po’ da catalizza-tore.Nel Molise c’è il pericolo della dispersione, perché presenta re-altà molto piccole dislocate in un territorio piuttosto vasto, cosa si può fare per far confluire tut-ti i possibili oli usati in maniera giusta? Per quanto riguarda le aziende per legge devono consegnarci l’olio. Siamo obbligati tramite le aziende di raccolta a farlo a titolo gratuito, e non ci sarebbe pertanto un motivo per impedire tale operazione. Al-cune realtà agricole invece, come

nella zona di Campobasso si po-trebbero trovare in una condizione leggermente sfavorita. Telefonando al numero verde del consorzio, o telefonando al raccoglitore di zona, una soluzione si può trovare. Il cit-tadino deve trovare sul territorio l’isola ecologica o un centro di rac-colta che è l’unica soluzione propo-nibile. Va precisato che l’olio lubri-ficante usato non è un problema di tutte le famiglie, come ad esempio l’olio vegetale, la carta, l’alluminio. Proporre pertanto soluzioni come il “porta a porta” non avrebbe senso e sarebbe molto costoso. Ai comuni è richiesto soltanto di rispettare gli obblighi di legge.

BUONE PRATICHE

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LA SCIALUPPA DELLA BIODIVERSITÀPassione, impegno e uno sguardo al passato. Michele Tanno, presidente dell’Arca Sannita illustra obiettivi e iniziative dell’associazione.

di Lucia Petti

Nella foto sopra, la mostra dell’Arca Sannita a Gildone, in-sieme con l’assessore Fusco Perrella

Michele Tanno, presi-dente dell’associazio-ne Arca Sannita.Per maggiori informa-zioni e contatti visitare il sito http://www.arcasannita.it/

La consapevolezza che il futuro dei propri territori ha bisogno, rinnovan-dosi, di imparare dagli antenati, ha dato vita all’associazione molisana Arca Sannita. L’obiettivo dei soci consiste nel riscoprire e preservare l’antico e variegato patrimonio re-gionale di animali da allevamento e ortofrutticolo. «Innanzitutto facciamo il contrario di quanto si fa normalmente: anzi-ché parlare soltanto, noi operiamo concretamente». Esordisce così il presidente Michele Tanno che, in-sieme a Dionisio Cofelice e Roberto Tullo, lavora con entusiasmo a que-sto progetto.Ma come si passa dalle parole ai fatti?Siamo partiti nel dicembre 2009 ma l’idea era in gestazione da molto tempo. Io, ad esempio ho comincia-to nel 1988 a sollevare il problema dell’erosione genetica dello straor-dinario patrimonio locale di piante,

semi e animali. Ossia nel momento in cui sono rientrato in Molise dopo aver vissuto e lavorato nel settore agricolo, in qualità di agronomo, per circa 20 anni in Emilia Roma-gna. Sono tornato con l’intento di intraprendere questa operazione. All’inizio è stata molto dura ma ho ottenuto, insieme a Pasquale Di Lena e Pierluigi Cocchini, un pri-mo importantissimo risultato: il re-cupero dell’uva tintilia che, nato con un’azione di messa a dimora delle piante, ne ha permesso poi la viticoltura in regione. In seguito a questo successo abbiamo allar-gato la pratica alle piante da frutto antiche. Dopo aver reperito con un lavoro certosino, su tutto il territorio regionale, il materiale genetico, si è proceduto con gli innesti presso l’Azienda Agricola di Rocco Marta a Ferrazzano. Ne abbiamo più volte verificato l’evoluzione fino all’otte-nimento delle gemme per ulteriori

innesti. In quest’azienda è situato il nostro centro operativo: qui si trova-no 250 varietà di piante da frutto di cui, ad esempio, 74 antiche autoc-tone di mele, 94 di pere, più susine, albicocche e ciliegie. In che modo diffondete i vostri ri-sultati? E qual è la reazione degli interlocutori?Oltre alla realizzazione del viva-io, abbiamo organizzato incontri con gli agricoltori, per coinvolgerli attivamente, tanto da ribattezzar-li “agricoltori custodi”. Ne abbiamo individuati due o tre per zona fa-cendoli diventare i nostri divulgatori sul territorio: loro hanno dato vita a piccoli frutteti, giardini, orti, qualcu-no ha impegnato anche mezzo etta-ro di terreno. Grazie al loro lavoro, avviciniamo e interessiamo sempre più gente, fino a creare un circolo virtuoso. Inoltre organizziamo semi-nari e mostre, in concomitanza della raccolta, durante le quali ci rivolgia-mo anche ai ragazzi delle scuole.Come vengono presentati e ser-viti i frutti di tanto lavoro? Prepariamo delle degustazioni par-ticolari, diverse dai soliti assaggi. Per prima cosa spieghiamo la storia del prodotto. Ad esempio, abbia-mo realizzato quella sul granturco Agostinello, un mais locale: è stato

coltivato secondo tradizione in de-terminate zone, macinato a pietra e utilizzato per servire un intero menu, dall’antipasto al dolce. Ogni portata è stata descritta e spiegata dai cuo-chi ai commensali che, a loro volta, sono intervenuti con domande. Allo stesso modo, si è proceduto in oc-casioni analoghe, per le altre pro-duzioni: frutta, ortaggi e carne, su tutte quella del maiale nero antico. I partecipanti a queste manifestazio-ni contribuiscono con una cifra mi-nima, anche perché, non ricevendo sovvenzioni, andiamo avanti con le “nostre tasche”. Qualche anticipazione sui pro-getti futuri?Probabilmente faremo una mostra sulle uve, tutte le uve antiche del Molise. Non intendiamo semplice-mente presentare l’uva da vino ma vogliamo raccontare il frutto in tutte le sue sfaccettature: come veniva consumato e conservato in passa-to, tutti gli usi e i suoi sottoprodotti.

BUONE PRATICHE

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Non tutti sanno che la nostra picco-la regione ha il primato, spesso sco-nosciuto ai non addetti al settore, di essere la regione italiana più ricca di tartufo, ed in particolare se ne riscontra una raccolta abbondante proprio di quello bianco (Tuber ma-gnatum Pico) particolarmente pre-giato e profumato. Gli addetti stima-no che oltre il 40% della produzione di tartufo in Italia provenga dal no-stro piccolo Molise. Risulta questo essere un dato significativo, e sicu-ramente importantissimo per il set-tore gastronomico che nel piccolo tubero potrebbe trovare l’elemento chiave per intraprendere una vera e propria attività di rilancio del settore sull’esempio di altre regioni italiane. L’abbondante presenza del fungo ipogeo (sotterraneo) è sicuramente condizionata dalla qualità dell’habi-

tat naturale ancora in alcune zone incontaminato. San Pietro Avellana, Carovilli, Agnone, Fossalto, Riccia, Frosolone e Sant’Elena Sannita: sono solo alcuni dei comuni in cui si producono le maggiori quantità di tartufo, ma lo si può raccogliere nell’intero territorio molisano.Il processo di nascita del tartufo ha inizio quando l’ifa fungina raggiunge il pelo radicale della pianta ospite: il fungo, infatti, crescendo sottoterra ed essendo privo di clorofilla, ha la necessità di instaurare una simbiosi con altre piante al fine di ricavarne le sostanze necessarie al suo svi-luppo ed alla sua crescita. Al contat-to con le terminazioni radicali, inizia la produzione di particolari sostanze che inducono il fungo e la radice ad instaurare una simbiosi detta “sim-biosi micorrizica” in cui entrambi le parti ricevono beneficio garantendo così lo sviluppo del tartufo stesso.

Lo studio dell’insieme dei processi di nascita di questo “re sotterraneo” ha aperto la strada ad una serie di ricerche volte all’avvio di pratiche di coltivazione che ha portato alla pro-duzione delle piante micorrizzate. In Molise di particolare rilievo risulta essere la produzione di querce tar-tufigene che ha raggiunto nel corso degli anni importanti risultati.Come avviene la produzione di queste querce? Il processo che permette in laboratorio l’incontro tra le spore fungine e la pianta ospite (simbionte) prende il nome di mi-corrizzazione e vuole riprodurre fe-delmente il processo naturale che porta all’instaurarsi in natura degli interscambi tra tartufo e pianta ospi-te. Va precisato che il tartufo non è un parassita per la pianta ospite lo scambio di sostanze tra le due parti è reciproco. Il tartufo, infatti, essendo a diretto contatto con le radici aumenta la superfice radica-le e di conseguenza l’assorbimento di sostanze nutritive del simbionte dal terreno e ricavandone di contro zuccheri e amido provenienti dalla fotosintesi clorofilliana. Nel punto di contatto tra l’ifa fungina e il pelo ra-dicale vengono prodotti una serie di enzimi litici che permettono l’ingres-

so della spora nel pelo radicale, la pianta a questo punto attiva la pro-duzione a cascata di sostanze che inducono il pelo radicale ad arric-ciarsi, il risultato di tutti questi pro-cessi porta ad imprigionare la spora nel pelo radicale e di conseguenza avviare il processo di scambio. Du-rante questa fase di produzione le piccole piante micorrizzate vengo-no poste in terreni sterili al fine di ridurre al minimo i processi di com-petitività tra il fungo impiantato ed i funghi presenti per natura nel terre-no ed allo stesso tempo garantire la crescita delle giovani piantine.

Nella foto sopra,il tartufo nero

Nella foto a lato,piantine di quercia micorrizate

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ALLA SCOPERTA DEL RE NEROViaggio nel sottosuolo alla ricerca del tartufo Molisano, tesoro sotterraneo della nostra terra

di Michele Perrella

TERRITORIO

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LA SILENZIOSA SCOMPARSA DELLE APIAlcuni pesticidi sono da tempo accusati di avere un impatto diretto sull’allarmante morìa delle api. Corsa ai ripari tra proroghe e divieti

di Lucia Petti

AMBIENTERRITORIO

Le api, da sempre indicatori bio-logici della qualità dell’ambiente, sono in pericolo. L’utilizzo di inset-ticidi, nello specifico i neonicotinoi-di, rappresenta una vera e propria minaccia per questi instetti. Siamo di fronte a un’emergenze ecologica che interessa l’agricoltura e l’inte-ro ecosistema mondiale. È ciò che emerge da un’analisi condotta dagli esperti dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) per conto della Commissione Europea. In seguito a tali conclusioni, la Com-missione, il 31 gennaio di quest’an-no, ha proposto agli Stati membri la sospensione del loro uso, per due anni, su colza, mais, girasole e co-tone. L’entrata in vigore del divieto è prevista per il prossimo luglio. «L’I-

talia colga lo spirito dell’iniziativa della Commissione Europea e de-creti il divieto definitivo per l’uso dei neonicotinoidi, invece di continuare con ridicole proroghe» commenta Alessandro Triantafyllidis, presiden-te di AIAB, Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, che chia-risce «Seguendo quanto richiesto dall’Ue, invochiamo la sospensione definitiva di queste sostanze che, ormai in modo evidente, rappresen-tano un rischio per la salute delle

«Ho registrato un aumento della morìa di api e una notevole ridu-zione nella produzione del miele». Esordisce così Vincenzo Pucci, api-coltore molisano di Santa Croce di Magliano. Ha iniziato con quest’at-tività nell’89, a soli 16 anni, grazie a una grande passione e ad alcuni alveari dei nonni. Ma i fattori che mi-nacciano la salute delle sue prezio-se api sono sempre più numerosi e concreti. «L’acaro varroa, parassita delle api, in passato non era presen-te in Italia. Purtroppo, si è poi diffuso ampiamente, ad esempio a causa dell’assenza di controlli alle frontie-re, e più in particolare alla mancan-za di sterilizzazione dei containers utilizzati per il trasporto di bestia-me e merci. Ha fatto calare la pro-duzione del miele di oltre il 70%». Ma le api sono vittime anche dei cambiamenti climatici, in particolare escursioni termiche e caldo tardivo. A tutto ciò si aggiungono i pesticidi neonicotinoidi. «Queste molecole – continua Vincenzo – sono 70-90 volte più efficaci ma 50-60 volte più tossiche. Attaccano direttamente il cervello delle api. E non serve che gli insetti vengano a contatto con le

infiorescenze dei prodotti trattati: se, ad esempio, durante una semina di mais, uno sciame sorvola il campo, la sola polvere che si è alzata causa la morte immediata degli esemplari. Sfortunatamente nessuno ne parla, ma il problema è reale».

L’SOS DI UN APICOLTOREdi Lucia Petti

Alessandro Triantafyl-lidis, presidente di AIAB, Associazione Italiana per l’Agricol-tura Biologica

Vincenzo Pucci, apicoltore molisano di Santa Croce di Magliano, (CB)

Vincenzo durante una presentazione dei suoi prodotti. Per maggiori infor-mazioni,www.mielepucci.com

api. È inutile, pertanto, proseguire nelle proroghe di divieto, occorre invece pronunciarsi una volta per tutte in un divieto definitivo».La graduale scomparsa delle api mette a repentaglio tutte quelle colture la cui produzione dipende, completamente o in parte, dall’im-pollinazione: frutta, verdura e fo-raggiere a seme, fondamentali per i prati destinati a pascolo, compro-mettendo così anche gli allevamenti.

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TERRITORIO

GUARDIE AMBIENTALI, TUTELA DEL TERRITORIOUn lavoro volontario e gratuito, al servizio delle Regioni, delle Province e deiComuni. Per tutelare l’ambiente a 360 gradi

di Michele Varriano

Conservare, valorizzare e tutela-re l’ambiente mediante opere di sensibilizzazione e di vigilanza sul rispetto delle leggi. Le Guardie Am-bientali contribuiscono allo sviluppo e alle attività connesse alla conser-vazione del patrimonio naturale e paesistico, offrendo il loro servizio a titolo gratuito e volontario, operan-do nei settori ittici, venatori e zoofili. Le Guardie Ambientali svolgono la loro attività organizzate in raggrup-pamenti Regionali, Provinciali e Co-munali, dotati di un unico statuto, registrato e approvato dagli organi competenti ed operano nell’ambito di programmi concordati in Con-venzioni con le suddette Ammini-strazioni. Il territorio di competenza è quello dei Comuni delle Province di appartenenza, dove mediante la

costituzione di “sezioni” operano in qualità di Pubblici Ufficiali con fun-zioni di Polizia Amministrativa o di Polizia Giudiziaria, tramite il rilascio di opportuni “Decreti”, in ambito ve-natorio, ittico, ambientale e zoofilo ed hanno il compito di vigilare sul ri-spetto delle leggi e dei regolamenti a tutela dell’ambiente, contribuendo allo sviluppo e alle attività connesse alla conservazione del patrimonio naturale e paesaggistico. L’Asso-ciazione Guardie Ambientali è un ente di Volontariato riconosciuta

come “Associazione di Protezione Ambientali” ai sensi e per gli effet-ti dell’Art.13 della Legge 8 Luglio 1986 n.c. 349, ed opera sul territo-rio Nazionale dal 2004 con ricono-sciuto del Ministero dell’Ambiente con Decreto nr. 075/09, mediante pubblicazione sulla Gazzetta Uffi-ciale della Repubblica Italiana. È iscritta nei Registri della Comunità Europea. I volontari che vogliono entrare a far parte di tale Associa-zione sono formati tramite corsi che vengono programmati a livello Pro-vinciale con una durata di circa 120 ore con un esame finale di idoneità e abilitazione. All’esito della ses-sione didattica le aspiranti Guardie saranno impegnate in un tirocinio da svolgere sul territorio. La finalità del corso è quella di fornire le cono-scenze e le competenze necessarie a formare una figura professionale in grado di diffondere la conoscen-za ed il rispetto dei valori ambien-

tali, collaborare con le istituzioni pubbliche alla tutela del patrimonio ambientale, naturale e culturale, partecipare, prestando la propria opera sotto il coordinamento delle Autorità competenti, ad interventi in caso di emergenze di carattere am-bientale e di Protezione Civile.

Le Guardie Ambien-tali svolgono un ruolo fondamentale per la difesa e la protezione del territorio

Le Guardie prestano il loro servizio libera-mente a titolo gratuito e volontario

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CAPRACOTTA, LA REGINA DELLA MONTAGNA MOLISANAUn paese a misura d’uomo. Non soltanto sci e neve, ma un luogo ricco di storia,tradizioni, paesaggi incantevoli e gastronomia locale. Anna Monaco della Pro Lococi fa scoprire le bellezze di questa perla dell’Alto Molise

di Antonella Nardella

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Nelle foto, lo spettaco-lo che regala lo scena-rio di Capracotta, con una veduta davvero emozionante

Sono molti i turisti che ogni anno raggiungono il paese per sciare e godere di questo straordinario paesaggio

Situata a 1421 metri di quota su un balcone panoramico naturale, Ca-pracotta si trova al centro dell’ampia insellatura tra i Monti Campo e Ca-praro. Qui rivolge lo sguardo verso la Val di Sangro e l’Abruzzo da una parte e la Valle del Trigno e il Mate-se dall’altro.“Il nostro paese è collocato nel cuo-re dell’Appennino centro-meridiona-le, ed è il secondo Comune più alto della catena montuosa. I residenti

sono circa un migliaio. Capracot-ta è una gradevole località estiva e un attrezzato centro per gli sport invernali” spiega così Anna Monaco membro della Pro Loco del paese e appassionata del posto. “Duran-te l’inverno sono numerosi i turisti che raggiungono il nostro paese per sciare. In località Prato Gentile si trovano le strutture per praticare lo sci di fondo, la pista è omologata per gare internazionali e si estende per circa 15 km in uno splendido scenario immerso nel bosco di faggi e abeti. Qui sono presenti tre anel-li di percorrenza: due per la pratica agonistica e uno per quella ama-toriale. In località Monte Capraro sono presenti le strutture per prati-care lo sci alpino. Lo scorso anno, inoltre, è stato inaugurato anche un palaghiaccio”.Durante il periodo invernale il pae-se è interessato da bufere di neve, di notevole intensità che possono

raggiungere anche i due e talvolta i tre metri di altezza; tuttavia Ca-pracotta è in ogni caso facilmente raggiungibile: “Negli ultimi anni, nonostante le abbondanti nevicate ed alcuni disagi inevitabili ad esse correlati, non è mai capitato di re-stare completamente isolati, grazie all’efficiente lavoro degli uomini del-la Provincia e del Comune che, in caso di forti tormente di neve, lavo-rano ininterrottamente per garantire la viabilità sulle nostre strade” chia-risce Monaco.Ma Capracotta non è solo sci e neve: è un luogo dove regnano la tranquillità e la quiete, anche in estate quando è possibile effettuare

passeggiate ed escursioni in un am-biente di grande pregio naturalisti-co, dove l’atmosfera è affascinante e quasi magica.Poco distante dal paese, inoltre, sulla strada per Pescopennataro, troviamo il “Giardino della Flora Appenninica”, orto botanico di alta quota che raccoglie notevoli specie floreali e arboree dell’Italia centro-meridionale.“Tra i paesi dell’Alto Molise - ripren-de la Monaco - Capracotta è sicu-ramente uno di quelli a maggiore vocazione turistica, che vede nume-rose presenze anche da fuori regio-ne sia durante i mesi invernali, sia nel periodo estivo. I motivi vanno ricercati: nei luoghi ricchi di testimo-nianze storiche, nei paesaggi moz-zafiato che solo l’alta montagna è capace di offrire oltre all’aria fresca e rarefatta, nella gastronomia (tipica è la pezzata, carne di agnello cuci-nata con aromi ed erbe secondo le antiche ricette della transumanza), nell’ospitalità dei cittadini. Inoltre sono numerose le manifestazioni culturali organizzate durante l’anno dalla Pro Loco, in collaborazione con il Comune e lo Sci Club. Insom-ma, un paese a misura d’uomo, in grado di soddisfare le esigenze di ognuno”.

AMBIENTERRITORIO

NATURA

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GENIUS LOCIIL BORGO DI CIVITA DI BOJANOLa sua storia si perde in tempi lontani e ancora adesso conserva testimonianze uniche. Il suo belvedere che si affaccia su tutta la pianura ci regala un paesaggio mozzafiato

di Antonella Nardella

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Civita Superiore, la borgata antica di Bojano, è situata su un’ampia ter-razza sulla piana del paese matesi-no a 720 metri di altitudine. Notizie storiche, scavi recenti e passati do-cumentano con assoluta certezza la presenza di insediamenti Sanniti in questa zona. Con l’arrivo dei Sara-ceni ci fu un’occupazione intensifi-cata della montagna di Civita, ed in

questo periodo venne costruita una cinta muraria. Nel IX secolo sorse la contea longobarda, e presumibil-mente in quell’epoca venne costrui-to il castello (che risulta il più antico del Molise) ed il borgo. Lungo la cin-ta muraria, ancora oggi integra sul lato sud e con alcuni resti sul lato nord, si possono osservare i rude-ri di cinque torri. Il castello nacque per esigenze quasi esclusivamen-te militari e aveva lo scopo, come tutte le fortificazioni del periodo, di

difendere il signore e la sua popola-zione. Civita, inoltre, conobbe sicu-ramente gli splendori e le fastosità ai tempi del conte “de Moulins” ma subì gravi danni soprattutto durante il regno di Federico II. Dal 1489 al 1519, periodo in cui Silvio Pandone fu a capo della diocesi di Bojano, il castello fu destinato a sua residen-za estiva, e poco distante da esso si sviluppò un modestissimo centro abitato che è sopravvissuto fino ai giorni nostri. Infatti, grazie ai privati che han-no comprato case abbandonate,

ristrutturandole e grazie anche ai pochi abitanti di questo piccolissimo centro medioevale (circa 40 anime) che hanno saputo mantenere negli anni la destinazione storico-cultu-rale degli edifici, possiamo trova-re pressoché intatta l’atmosfera di tempi oramai passati.Famoso è il “belvedere di Civita”, sulla pianura di Bojano, dal quale si possono ammirare paesaggi bellis-simi compresi in orizzonti molto va-sti, è un luogo salubre dove spesso le persone salgono per godere la pace e la tranquillità, un museo a cielo aperto che ha grandi cose da raccontare.

Nella foto sopra, la veduta del panorama.Sotto, le poche case rimaste conservano ancora un fascino uni-co e l’antico castello di Civita.

Nelle foto a lato il belvedere di Civita che domina la città di Bojano. Quando sotto nella valata c’è la nebbia, dall’alto si può godere di uno spettacolo eccezio-nale sopra il velo di foschia, come fosse un mare bianco. Nelle altre foto sotto la chiesa e la piazzetta di Civita che termina con il belvedere

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