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Università Telematica Pegaso Il tramonto del mondo non europeo
e l’egemonia britannica
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 CHE COS’È L’IMPERIALISMO? ----------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 IL SISTEMA INTERNAZIONALE DOPO IL 1815 -------------------------------------------------------------------- 4
3 L’EGEMONIA DELLA GRAN BRETAGNA E L’ETÀ VITTORIANA ------------------------------------------- 5
4 L’UNIFICAZIONE DELLA GERMANIA -------------------------------------------------------------------------------- 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12
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1 Che cos’è l’imperialismo?
Per “imperialismo” si intende storicamente la tendenza degli Stati ad estendere l’ambito
territoriale o della loro influenza o del loro potere diretto, attraverso la guerra, dando luogo alla
formazione di imperi. E’ un fenomeno di espansione che in quanto tale si è verificato, anche se con
modalità diverse, in ogni epoca storica.
Gli storici, però, definiscono “età dell’imperialismo” il periodo compreso tra il 1870 e il 1914.
L’espressione si è affermata in epoca vittoriana per indicare la politica del governo di B. Disraeli
(1804-1881) mirante a rafforzare l’impero britannico e che culminò proprio con l’incoronazione
della regina Vittoria a imperatrice delle Indie, nel 1876.
L’uso di indicare quindi il periodo che parte dall’ultimo ventennio del XIX secolo fino alla Prima
guerra mondiale come “età dell’imperialismo” è invalso perché si è rivelato più adatto a dare unità
storiografica a quella che è una fase storica piena di contraddizioni: si è nel pieno della seconda
rivoluzione industriale ma anche della grande depressione economica (dal 1873 al 1896); è il
momento dell’apogeo del liberalismo ma contemporaneamente anche la sua crisi.
Prima di studiare l’età dell’imperialismo propriamente detta, però, vedremo quali siano i suoi
presupposti, per comprendere meglio quello che è stato definito “il tramonto del mondo non
europeo”, le ragioni dello sviluppo dell’egemonia britannica e lo spostamento degli equilibri
europei verso la Germania.
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2 Il sistema internazionale dopo il 1815
Il sistema internazionale dopo la caduta di Napoleone aveva caratteristiche che divennero
elementi stabili nell’epoca successiva al Congresso di Vienna.1
La prima caratteristica fu la costante e poi spettacolare crescita di una economia integrata mondiale.
Sono i decenni della prima rivoluzione industriale che coincidono con quelli dell’egemonia
economica britannica, caratterizzati da progressi di vasta portata in trasporti, comunicazioni,
tecnologia industriale, abbattimento di tariffe doganali. Tutto ciò e il progressivo abbattimento delle
tariffe doganali, fecero pensare all’avvento di un nuovo ordine internazionale di pace e sviluppo
basato sull’armonia dei popoli, in contrasto con le distruzioni e le guerre del settecento e soprattutto
quelle del 1793-1815. La seconda, fu la mancanza di grandi conflitti bellici dopo il Congresso di
Vienna. Ciò non significa che non ci fossero più guerre, ma che i conflitti che si verificarono furono
conflitti regionali tra le potenze europee, riguardo questioni di confini e soprattutto sul problema
delle nazionalità: nel 1859 vi fu la guerra franco-austriaca (II guerra d’indipendenza italiana), la
guerra austro-prussiana nel 1866 (III guerra d’indipendenza italiana), la guerra franco-tedesca nel
1870. Neppure la guerra di Crimea esce da questo quadro di guerre “limitate” nella durata e nello
spazio, e non può essere definita importante. L’unica vera eccezione del periodo fu la guerra civile
americana, che però in Europa non fu ritenuta significativa e non fu percepita in tutta la sua
importanza di guerra “totale”, a causa di alcune sue caratteristiche (lo scenario selvaggio, il fatto
che fosse una guerra civile, la distanza dall’Europa). La terza caratteristica del periodo è che la
tecnologia prodotta dalla rivoluzione industriale iniziò a influire sulla strategia militare e navale,
anche se ciò si verificò soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento. Ne risultò che
i cambiamenti nell’equilibrio tra le potenze dovuti ai diversi livelli di sviluppo
industriale e tecnologico influirono probabilmente più della finanza e del credito
sull’esito delle guerre a metà del diciannovesimo secolo.2
Tutte queste condizioni, sin qui elencate, favorirono in modo particolare tra le potenze europee la
Gran Bretagna, proprio per il suo essere la culla della nascita e dello sviluppo della rivoluzione
industriale.
1 Per l’impianto di questo paragrafo, e di parte dei seguenti, si è tenuta presente l’impostazione di P.
KENNEDY in Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, Milano 1994, pagg. 215-235 e 249-259.
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3 L’egemonia della Gran Bretagna e l’età vittoriana
Fino a principi dell’Ottocento la produzione agricola era alla base tanto delle società europee
quanto di quelle non-europee e la differenza di reddito pro-capite non era enorme tra le une e le
altre. Il tessitore indiano guadagnava solo la metà di quello europeo prima dell’industrializzazione.
Per contro l’Asia, per l’alto numero della sua popolazione, deteneva il primato della produzione
manifatturiera mondiale. Anche i panni di cotone indiano venivano esportati in Gran Bretagna
prima della rivoluzione industriale. Le cose cambiarono con l’industrializzazione inglese, che fece
aumentare vertiginosamente i livelli di produttività europei tra il 1750 e il 1830. Successivamente
alla Gran Bretagna, poi, anche gli altri paesi europei si industrializzano, in varie ondate, e con essi
gli Stati Uniti d’America. Invece la Cina e l’India videro diminuire il livello delle proprie
produzioni, proprio in proporzione all’aumento europeo. In effetti, anche in termini assoluti
subirono un declino tale da deindustrializzarsi completamente.
L’aumento dell’influenza dell’uomo occidentale fu un aspetto fondamentale della dinamica del
potere mondiale nel XIX secolo. Né esso si manifestò solo nelle attività economiche, ma anche
nella penetrazione di missionari, esploratori, avventurieri. Si calcola che nell’anno 1800 gli europei
controllavano il 35 per cento della superficie terrestre, e nel 1878 ben il 67 per cento, per arrivare,
alla vigilia della prima guerra mondiale, all’84 per cento. Il divario nelle armi da fuoco, così come
quello creato dalla produzione industriale in generale, diede all’Europa risorse di cinquanta o cento
volte quelle dei paesi extraeuropei.
Il dominio mondiale dell’Occidente, scontato fin dai tempi di de Gama, conosceva ora
ben pochi limiti.3
Del resto, già prima del 1815 avevano raggiunto una posizione di dominio mondiale grazie alla
combinazione di predominio navale, credito finanziario, alleanze diplomatiche, abilità commerciali.
La rivoluzione industriale rafforzò la posizione di un paese che era già uscito vincitore dalle lotte
pre-industriali del Settecento e lo trasformò in un paese diverso. Intorno al 1860 ci fu il picco
produttivo dell’Inghilterra, che difatti produceva il 53 per cento del ferro mondiale e il 50 per cento
2 P. KENNEDY , Ascesa e declino delle grandi potenze, cit., pag. 216.
3 Ivi, pag. 224.
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del carbone. Da solo era responsabile di un quinto del commercio mondiale e di due quinti dei
prodotti industriali. Inoltre il suo consumo di energia ricavata da carbone e petrolio era cinque volte
quello degli Stati Uniti e della Prussia e ben 155 volte quello della Russia. A ragione chi viveva
nell’età vittoriana si gloriava dell’unicità del proprio Stato, divenuto il centro di scambio
dell’universo:
Le pianure del Nordamerica e della Russia sono i nostri campi di granoturco; Chicago e
Odessa i nostri granai; il Canada e il Baltico sono le nostre foreste per il legname;
l’Australasia comprende i nostri allevamenti di pecore, mentre le nostre mandrie di
bovini si trovano in Argentina e nelle pianure dell’ovest americano; Londra riceve
argento dal Perù e oro dal Sudafrica e dall’Australia; gli indù e i cinesi coltivano il tè
per noi, e in tutte le Indie si trovano le nostre piantagioni di caffè, zucchero e spezie; La
Spagna e la Francia sono i nostri vigneti e il Mediterraneo il nostro frutteto; e i nostri
campi di cotone, che per lungo tempo hanno occupato il sud degli Stati Uniti, si
estendono ora in tutte le regioni calde del mondo.4
Politicamente, inoltre, il ventennio 1848-1866 fu caratterizzato dalla quasi ininterrotta presenza dei
liberali al governo, il che portò ad un definitivo consolidamento del sistema parlamentare. Si era
però sempre all’interno di un sistema censitario, in cui in base alla legge elettorale del 1832, poteva
votare solo il 15 per cento degli uomini adulti. Paradossalmente, furono i conservatori, sotto la
guida del loro leader Benjamin Disraeli che cercava così di allargare la base di consenso al suo
partito, ad attuare una riforma elettorale, nel 1867, che aumentava quasi di un milione gli aventi
diritto al voto, perché ammetteva chiunque nelle città avesse un domicilio proprio e pagasse le tasse.
Grazie a ciò gli elettori passarono da 1.364.000 a 2.148.000.
Ma alle elezioni del 1868 vinsero i liberali e tornò al governo William Gladstone, che sarebbe
rimasto in carica fino al 1874. Si aprì una stagione di riforme che andarono dalla istruzione alla
amministrazione pubblica. Fu abolito anche il “voto palese”, potente strumento di condizionamento,
e stabilito il principio della segretezza del voto (Ballot Act, 1872).
Ritornato al governo Disraeli, diede un forte impulso alla politica coloniale inglese, che culminò
con la incoronazione della regina Vittoria a imperatrice dell’India.
4 Ivi, pag. 226.
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Prendeva, così più definitivamente corpo un vero e proprio «mito» della stessa regina.
Vittoria si trovava allora a impersonare con forte segno carismatico il nesso tra tutte le
molteplici componenti di una grande e complessa realtà come quella britannica del
tempo: dalla tradizione istituzionale alla potenza europea e mondiale, dalla prassi e
dall’idea imperiale al consenso sociale, dalle dimensioni morali e culturali allo spirito
del British way of life…5
Sotto il governo Disraeli si ebbero anche alcune importanti riforme sociali a riguardo degli operai,
la salute pubblica e il diritto di sciopero. Sconfitto alle elezioni nel 1880, Disraeli sarebbe poi morto
l’anno successivo, lasciando campo libero al suo rivale Gladstone, per opera del quale una nuova
legge elettorale nel 1884 allargò ancora di più il corpo elettorale, perché le stesse disposizioni del
1867 venivano estese alla campagna, giungendo quindi ad un suffragio maschile quasi universale.
Ma più che in politica interna, i punti su cui liberali di Gladstone e conservatori di Disraeli si erano
divisi maggiormente furono la politica estera e il problema dell’Irlanda. Inoltre, la crescente potenza
industriale non era indirizzata a tradursi automaticamente in potenza militare di uomini e mezzi. Lo
stesso liberismo, su cui era fondato il sistema economico inglese, predicava la pace eterna, basse
spese militari, libertà per l’individuo e l’economia. La modernizzazione dell’industria e delle
comunicazioni in Gran Bretagna, perciò, non fu accompagnata da un automatico miglioramento
dell’esercito, che anzi venne tenuto al minimo, tanto che l’età vittoriana fu la meno militarizzata
nella storia d’Inghilterra. La conseguenza fu che la potenza bellica inglese non rifletteva le
dimensioni dell’economia britannica nel mondo. Anche una guerra limitata come quella di Crimea
mise duramente alla prova il sistema. Inoltre, i vittoriani avevano sempre meno entusiasmo per gli
interventi in Europa, limitati a interventi navali e rivolti sempre alla periferia (come in Portogallo, o
in Spagna, o ai Dardanelli). Anche nelle vicende dell’unificazione italiana l’Inghilterra fu semplice
spettatrice, e lo stesso accadde quando la Prussia sconfisse prima l’Austria nel 1866, e poi la
Francia 4 anni dopo.
Questo perché, fino alla metà dell’Ottocento, la Gran Bretagna fu una potenza di tipo diverso, che
non si poteva giudicare secondo i canoni tradizionali dell’egemonia militare. Essa era
effettivamente superiore nei suoi punti di forza: nel campo navale; nel campo finanziario; e aveva
5 G. GALASSO, Storia d’Europa. Età contemporanea, vol.3, pag. 51.
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un impero coloniale in costante espansione. Ma allo stesso tempo aveva anche dei punti di criticità
molto forte: per esempio, la Gran Bretagna inevitabilmente contribuì allo sviluppo di altre nazioni,
favorendone la industrializzazione, cosa che alla lunga avrebbe dato a tutti i paesi eguali vantaggi e
possibilità; anche la crescente dipendenza della economia britannica dagli scambi e dalla finanza
internazionali diventava un punto debole in caso di conflitto, quando i mercati si sarebbero chiusi.
Come tutte le civiltà all’apice della fortuna, gli inglesi erano portatati a credere che la loro
condizione fosse naturale ed eterna. Cosa che non fu.
La guerra di Crimea (1854-56), in questo senso, rivelò la particolarità dell’impero britannico, la cui
forza economica non si rifletteva in quella militare. Lo zar Nicola I aveva, infatti, occupato i
territori della Moldavia e Valacchia facenti parte dell’Impero ottomano ma abitati da cristiani
ortodossi. E Napoleone III, aspirando ad allargare l’influenza francese nel Medio Oriente, dichiarò
guerra alla Russia insieme all’Inghilterra nel 1854.
Ma la Crimea segnò un duro colpo per gli inglesi in favore della Francia che si spostava sempre più
al centro della scena europea mentre la Gran Bretagna se ne allontanava, non solo perché la sua
opinione pubblica era sempre più restia a farsi coinvolgere nelle questioni europee, ma anche
perché si scoprì con un potenziale militare troppo limitato. Infatti, l’esercito inglese era piccolo e
creato per scopi essenzialmente difensivi, senza nemmeno la possibilità di reclutare riserve che non
fossero volontari stranieri, reclutati con imbarazzo tramite i giornali. La marina invece, nettamente
la maggiore del mondo, non potette essere usata in battaglia perché quella russa si era ritirata in
porti fortificati. Certo la guerra di Crimea fu soprattutto per la Russia, che la perse, una sconfitta
umiliante da cui derivò la consapevolezza di dovere fare delle riforme: per prima cosa l’abolizione
della servitù della gleba (1861), e in secondo luogo l’incoraggiamento della produzione industriale
colle imprese pubbliche su larga scala, dal 1860 in poi. Ma anche per la Gran Bretagna segnò una
svolta, perché furono decisi ingenti stanziamenti per ampliare l’esercito e renderlo più adeguato.
A ben ragione, comunque,
l’«età vittoriana» sarebbe apparsa […] come la replica, su un piano ancora più alto e più ampio e di
maggiore consistenza, dell’altra grande epoca della storia nazionale rappresentata dall’«età
elisabettiana». La regina [Vittoria] avrebbe, anzi, fornito all’Europa contemporanea uno dei modelli
più prestigiosi di regalità e avrebbe efficacemente rilanciato, col proprio, il prestigio dell’istituto
monarchico dentro e fuori del suo paese. efficacemente rilanciato, col proprio, il prestigio
dell’istituto monarchico dentro e fuori del suo paese.6
6 Ibidem.
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4 L’unificazione della Germania
La guerra di Crimea aveva compromesso la vecchia diplomazia basata sul concerto europeo,
perché le maggiori potenze non solo si erano divise, ma avevano combattuto fra loro. Aveva inoltre
avuto come effetto che Gran Bretagna e Russia, per motivi molto diversi, rinunciassero a intervenire
direttamente in Europa. Rimaneva però campo libero all’egemonia francese. In pieno sviluppo
finanziario, industriale e coloniale, appariva la forza decisiva per la soluzione delle questioni
tedesche e italiane. Ma le mancanze militari francesi furono notevoli già nella guerra franco-
austriaca del 1859.
Intanto, quando Guglielmo I succedette a Federico Guglielmo IV, suo fratello, nel 1861, iniziò
un’opera di potenziamento dell’esercito. Dal rifiuto del parlamento ne nacque un conflitto che in
Prussia si risolvette decisamente a vantaggio della corona, a differenza di altri paesi, come l’Italia: il
cancelliere perciò era responsabile solo davanti al re e doveva avere solo la sua fiducia e non quella
del parlamento. Divenuto cancelliere Otto von Bismark nel 1862, convinto che il problema
dell’unità si sarebbe risolto solo «col ferro e col sangue», proseguì nell’opera di rafforzamento
dell’esercito, scavalcando il parlamento. Bismark sfruttò la massima influenza della rivoluzione
industriale sull’esercito e i metodi di combattimento, e la Prussia dal 1860 fece una vera e propria
“rivoluzione militare”, che fu alla base della unificazione germanica e della politica europea della
fine del secolo. Basti pensare che l’esercito prussiano passò da quaranta mila unità a
quattrocentomila. Gli altri caratteri della rivoluzione militare prussiana furono:
1. Non venivano permesse sostituzioni e tutti i cittadini erano soggetti alla leva obbligatoria. Si ebbe
così un esercito di prima linea molto numeroso rispetto alla popolazione, soprattutto in confronto
con le altre potenze.
2. L’esercito non era solo numericamente numeroso, ma alche qualitativamente rilevante,
considerato che il livello di istruzione elementare nel paese era molto alto.
3. Lo Stato maggiore era un organo permanente, ed era inteso come una sorta di “cervello”
dell’esercito, che doveva coordinare e pianificare gli scenari di guerra.
Da tutto ciò, insieme all’abile diplomazia di Bismark che aveva fatto in modo che nessuna altra
potenza intervenisse nella guerra, si comprende meglio la fulminante vittoria a sorpresa sull’Austria
nel 1866, e la battaglia di Sadowa, a 15 km da Vienna.
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Una volta sconfitta l’Austria, per raggiungere l’unità bisognava eliminare la Francia, che però
sembrava molto più forte. Aveva, infatti, il miglior fucile del mondo, lo chassepot, oltre ad una
nuova arma segreta, la mitragliatrice che sparava 150 colpi al minuto. Inoltre, la sua Marina era
superiore a quella prussiana. Prendendo a pretesto la questione della successione spagnola,
Napoleone III, il 19 luglio 1870, dichiarò guerra alla Prussia. La guerra, come quella con l’Austria,
fu velocissima e sorprendente: lo stesso Napoleone III fu fatto prigioniero, e il II impero (1852-
1870) venne rovesciato a Parigi il 4 settembre 1870. La superiorità della flotta francese fu del tutto
inutile. Il 18 gennaio 1871, nel salone degli specchi della reggia di Versailles nacque solennemente
la Germania unita di cui Guglielmo I venne proclamato imperatore.
Alla traumatica conclusione del conflitto per la Francia, fece seguito la nascita della Terza
Repubblica e della guerra civile. Parigi infatti insorse contro la Repubblica moderata dando vita al
più radicale esperimento di democrazia diretta mai sperimentato in Europa, quello della Comune, la
quale abolì la distinzione fra poteri esecutivo e legislativo, sostituì l’esercito con milizie popolari
armate, e prese diversi provvedimenti a carattere sociale. Ma isolata dal resto del paese, le cui
province e realtà rurali avevano convinzioni moderate ed erano dalla parte della Repubblica, la
Comune non poteva avere lunga vita. Infatti, nel maggio 1871 Parigi fu occupata dalle truppe
regolari repubblicane, che posero fine al movimento rivoluzionario parigino.
Il trionfo della Prussia, comunque, fu innanzitutto il trionfo della sua organizzazione, della sua
economia e del suo sistema militare. La Germania nel suo complesso aveva una popolazione già più
numerosa della Francia, ferrovie più sviluppate e costruite appositamente per scopi militari. Dopo il
1870 per merito di Bismark l’Europa fu dominata dalla Germania per i 20 anni che seguirono: tutte
le strade diplomatiche portavano ora a Berlino. Il panorama del 1815 era cambiato del tutto: La
Prussia-Germania di Bismark diveniva il più potente Stato europeo mentre nel 1815 era stato il più
debole. Vi era anche un’altra potenza nuova, l’Italia, che però a causa della sua arretratezza
economica faticava ad affermarsi come tale. Sia l’Italia che l’Austria-Ungheria gravitavano sempre
più intorno a Berlino. Già all’epoca e ancora oggi, il 1870 fu considerato uno spartiacque storico.
Va osservato, inoltre, come né gli Stati Uniti né il Giappone facessero ancora parte del sistema,
ancora tutto eurocentrico.
Gli unici rivali che restavano, perciò, per la Germania erano a quel punto solo Gran Bretagna e
Russia. Con la Russia e l’Austria, Bismark stipulò il cosiddetto “patto dei tre imperatori”, in
funzione antifrancese. Punto fisso della diplomazia di Bismark infatti, fu sempre quello di tenere la
Francia isolata diplomaticamente. Nel 1882 tra Germania, Austria e Italia si costituì la Triplice
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Alleanza, un accordo difensivo sempre in funzione antifrancese, La Russia, intanto, si era scontrata
con l’Austria per i Balcani, ma Bismark, per tenerla agganciata alla Germania, stipulava con essa un
trattato di “controassicurazione”. Ma oramai la Russia era sulla via del riavvicinamento con la
Francia che sfociò, poi, nell’alleanza del 1891. Con la morte di Guglielmo I nel 1888 iniziò il
declino di Bismark, che fu costretto alle dimissioni nel 1890 da Guglielmo II e alla politica di
equilibrio del cancelliere si sarebbe sostituita la politica di potenza del nuovo imperatore.
Concludendo, fu chiaro che le potenze sconfitte in questo periodo furono quelle che avevano
mancato di fare una propria rivoluzione militare nella metà del secolo: cioè adozione di nuove armi,
mobilitazione e equipaggiamento, eserciti enormi, ferrovie e mezzi di comunicazione predisposti
appositamente per fini bellici, ed una base industriale capace di mantenere le forze armate nella
durata del conflitto.
Fino al 1860, beneficiaria del clima di pace, di progresso tecnico e stabilità del sistema delle
potenze, creato nel 1815, era stata la Gran Bretagna, che raggiunse l’apice alla fine degli anni ’60
come potenza produttiva e influenza mondiale. Le potenze meno industrializzate (come Austria e
Russia) perdettero sempre più terreno e posizioni. Fu, anzitutto, lo sviluppo industriale a
comportare la disgregazione della pentarchia di Vienna fra Francia, Russia, Austria, Prussia e Gran
Bretagna, poiché alcuni di essi erano diventatati due o tre volte più forti degli altri. Del resto, la
mancanza di guerre nel periodo dell’egemonia bismarkiana dopo il 1870 poteva fare pensare
all’avvento di un nuovo equilibrio altrettanto duraturo dopo Vienna, invece si sarebbero verificati
altri sviluppi industriali e tecnologici capaci di cambiare ulteriormente gli equilibri economici e
politici del mondo, in modo ancora più rapido di quanto fosse mai successo fino ad allora.
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Bibliografia
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1989
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M. STÜRMER, L’Impero inquieto. La Germania dal 1866 al 1918, Bologna 1986
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