per gli innocenti che soffrono una sentenza ingiusta...una sentenza ingiusta «io vorrei pregare...

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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 80 (48.404) Città del Vaticano mercoledì 8 aprile 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +"!"!&!z!{! la buona notizia Il Vangelo della Domenica di Pasqua Vedere oltre l’oscura notte che viviamo in questo tempo Nella messa a Santa Marta il P0ntefice chiede di perseverare nel servizio alla Chiesa nonostante le cadute Per gli innocenti che soffrono una sentenza ingiusta «Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per l’accanimento». Con queste parole Papa Francesco ha ini- ziato, martedì mattina, 7 aprile, la celebrazione della messa nella cap- pella di Casa Santa Marta. «In questi giorni di Quaresima abbiamo visto la persecuzione che ha subito Gesù e come i dottori del- la Legge si sono accaniti contro di lui: è stato giudicato sotto accani- mento, con accanimento, essendo in- nocente» ha detto, a braccio, il Pon- tefice sempre all’inizio della celebra- zione, trasmessa in diretta streaming. «Nessuno di noi è caduto nel mondo per casualità, per caso» ha aggiunto il vescovo di Roma nell’omelia. «Ognuno — ha ricordato — ha un destino, ha un destino libe- ro, il destino dell’elezione di Dio». Dunque, ha insistito Francesco, «io nasco con il destino di essere figlio di Dio, di essere servo di Dio, con il compito di servire, di costruire, di edificare. E questo, dal seno mater- no». Infatti, ha spiegato, «servire è darsi, darsi agli altri; servire è non pretendere per ognuno di noi qual- che beneficio che non sia il servire». Ma quando qualcuno «si allonta- na da questa vocazione di servire — ha messo in guardia il Papa — si al- lontana dall’amore di Dio ed edifica la sua vita su altri amori, tante volte idolatrici». In realtà, ha proseguito, «ci sono, nella vita, cadute». Però «quello che importa — ha chiarito — è l’atteggiamento davanti al Dio che mi ha eletto, che mi ha unto come servo». Dev’essere «l’atteggiamento di un peccatore che è capace di chie- dere perdono». Invece, ha fatto pre- sente, «quando il servo non è capace di capire che è caduto, quando la passione lo prende in tal modo che lo porta all’idolatria, apre il cuore a satana». In conclusione il Papa ha invitato a guardare dentro se stessi: «La no- stra vocazione è per servire, non per approfittare del nostro posto nella Chiesa. Servire. Sempre in servizio». Per questo, ha insistito, «chiediamo la grazia di perseverare nel servizio: a volte con scivolate, cadute, ma» con «la grazia almeno di piangere come ha pianto Pietro». PAGINA 12 I testi della Via Crucis del Venerdì santo presieduta dal Papa Contemplare il Calvario da dietro le sbarre Ci sarà «la voce rauca della gente che abita il mondo delle carceri» ad «accompagnare Cristo sulla Via della Croce» e a scandire i passi del Papa durante la tradizionale ce- lebrazione della sera del Venerdì santo. Che poi tanto “tradizionale” non sarà, perché invece di svolgersi come di consueto nel suggestivo scenario del Colosseo, a causa delle misure restrittive imposte dalla pandemia di covid-19, avrà come cornice una piazza San Pietro an- cora una volta deserta. E in quest’anno così drammatico Francesco ha voluto affidare le me- ditazioni a una “parrocchia” spe- ciale: la comunità della casa circon- dariale “Due Palazzi” di Padova. Coordinate dal cappellano don Marco Pozza e dalla giornalista Ta- tiana Mario, quattordici persone hanno deciso di raccontare la loro storia, meditando sulla Passione di Gesù e rendendola attuale nelle lo- ro esistenze. Ecco allora prendere forma nella preghiera le vicende di cinque de- tenuti, di un famigliare di vittima di omicidio, della figlia di un erga- stolano, di un’educatrice del carce- re, di un magistrato di sorveglian- za, della madre di un recluso, di una catechista, di un frate volonta- rio, di un agente di polizia peni- tenziaria e di un sacerdote accusato e poi assolto. Perché — spiegano — «contemplare il Calvario da dietro le sbarre è credere che un’intera vi- ta si possa giocare in pochi istanti, com’è accaduto al buon ladrone». PAGINA 6-7 Intervista alla teologa musulmana Shahrzad Houshmand Le religioni siano testimoni della fratellanza universale In Iran i contagi da covid-19 conti- nuano a salire di ora in ora. Ma il governo ha comunque deciso la ria- pertura, a partire da sabato 11 apri- le, delle attività a basso rischio in tutto il Paese, eccetto per la capitale Teheran. La situazione è drammati- ca come in tante parti del mondo ma in questo contesto l’embargo e le sanzioni non fanno che gravare sull’emergenza sanitaria, spiega Shahrzad Houshmand Zadeh in una intervista a Vaticannews.va. La teologa musulmana rilancia il mes- saggio dell’ayatollah Alireza Arafi, rettore dell’Università di Qom, che in una lettera indirizzata al Papa propone, a nome di un’ampia co- munità accademica sciita, «una co- munità delle religioni rivelate al ser- vizio dell’umanità» per fare fronte comune contro la pandemia. CECILIA SEPPIA A PAGINA 11 Appello del dicastero per i laici Vi c i n i agli anziani «Non lasciamo soli gli anziani, perché nella solitudine il corona- virus uccide di più». È l’appello lanciato dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita in un messag- gio — diffuso martedì 7 aprile — dedicato agli anziani di tutto il mondo che stanno pagando il prezzo più alto della pandemia da covid-19. Un invito a «fare di più» per garantire loro adeguato sostegno materiale e spirituale. PAGINA 11 Al centro della discussione le falle nei sistemi sanitari Coronavirus, l’Onu cerca una strategia comune NEW YORK, 7. L’Onu si prepara a prendere le misure dell’emergenza coronavirus che finora ha fatto circa 75000 vittime nel mondo. Il Consi- glio di sicurezza si riunirà giovedì per discutere della situazione globa- le. Si tratta del primo incontro fina- lizzato a valutare come la pandemia possa minare la sicurezza internazio- nale. Lo ha annunciato ieri il segre- tario generale dell’Onu António Gu- terres, che giovedì aggiornerà i 15 membri del Consiglio di sicurezza. A chiedere la riunione sono stati ot- to Paesi membri, tra cui la Germa- nia. Perplessità, invece, dalla Cina. Al centro della discussione ci sarà molto probabilmente l’analisi delle falle nei sistemi sanitari che hanno permesso l’espandersi della pande- mia e la possibilità di una strategia comune per affrontare le conseguen- ze economiche e sociali. Intanto, in Italia, uno degli epi- centri della pandemia, è emergenza per il numero di medici che sono morti a causa del virus finora: sono in tutto 94. Nelle ultime ore altri cinque professionisti sono infatti morti. Anche gli infermieri pagano un alto tributo in termini di vite perse, 26 dall’inizio dell’epidemia. «Le vicende drammatiche di questi giorni hanno mostrato di quanta ge- nerosità, professionalità, dedizione sono capaci gli operatori sanitari. Il nostro pensiero grato e riconoscente va alle infermiere e agli infermieri in prima linea, e con loro a tutti i me- dici degli ospedali e dei servizi terri- toriali, agli assistenti, ai ricercatori, a quanti operano nei servizi ausiliari» ha detto oggi il presidente della Re- pubblica italiana, Sergio Mattarella. L’ultimo bilancio parla di 93.187 ma- lati di coronavirus in Italia. Le vitti- me sono 16.523. Il cardinale Pell p ro s c i o l t o dalle accuse di abusi La Santa Sede «ha sempre ripo- sto fiducia nell’autorità giudizia- ria australiana» e oggi «accoglie con favore la sentenza unanime pronunciata dall’Alta corte nei confronti del cardinale George Pell, che lo proscioglie dalle accu- se di abuso su minori, revocando- ne la condanna». Lo ha reso noto martedì 7 aprile un comunicato della Sala stampa, che ricorda co- me il porporato, «nel rimettersi al giudizio della magistratura», ab- bia «sempre ribadito la propria innocenza, attendendo che la ve- rità fosse accertata». Nell’occasio- ne, conclude il comunicato, «la Santa Sede riafferma il proprio impegno a prevenire e perseguire ogni abuso nei confronti dei mi- nori». I sette giudici che hanno pro- sciolto il cardinale George Pell hanno dunque ribaltato la senten- za della corte d’Appello — emessa nell’agosto dell’anno scorso che, condannandolo a 6 anni di reclusione per abuso su minori, confermava la decisione assunta dal tribunale di Melbourne nel dicembre 2018. Già prefetto della Segreteria per l’Economia e in precedenza arcivescovo di Sydney e prima ancora di Melbourne, il cardinale settantottenne è ora li- bero: in mattinata ha lasciato il A colloquio con Franco Ferrarotti Quel terrore salutare che costruisce futuro SILVIA GUIDI A PAGINA 5 Cronache dal nichilismo - VI Lo shock di fronte al mistero COSTANTINO ESPOSITO A PAGINA 5 Tempore Famis Covid-19: Dov’è Dio? FERNAND O FILONI A PAGINA 11 Intervista al vescovo Vergez Alzaga Pasqua inedita in Vaticano NICOLA GORI A PAGINA 12 ALLINTERNO Il ruolo del Giappone in Africa GIULIO ALBANESE A PAGINA 3 CONTINUA A PAGINA 3 di FRANCESCO COSENTINO D ue preziose indicazioni sono poste all’inizio e alla fine del Vangelo di Pasqua. Da una parte, Maria di Mag- dala si reca al sepolcro “quando era ancora buio”; dall’altra il discepolo amato “vide e credette”. Il racconto di ciò che successe in quel primo giorno della settimana, il rove- sciamento definitivo della storia, l’evento che ha cambiato per sempre il destino della no- stra vita, è delimitato da questi due incisi. Nel cuore di Maria di Magdala, come spesso nel nostro, è ancora buio. La notte che è scesa sulla terra in quel drammatico vener- dì del Calvario, incombe senza neanche fare più rumore; si è trasformata in rassegnazio- ne, nella convinzione che non cambierà mai nulla, in un disfattismo che prosciuga le sor- genti della speranza e impedisce di guardare oltre. Con la notte nel cuore, Maria sta an- dando a imbalsamare Gesù: a piangere il morto, a visitare il luogo della morte, a un- gere la morte. Così è per noi: spesso è anco- ra buio, seppelliamo la speranza nella rasse- gnazione, spegniamo l’entusiasmo nella la- mentela e, alla fine, carezziamo e coccoliamo la morte, imbalsamando noi stessi e perfino Gesù in una fede stanca. Non riusciamo a vedere oltre. Quel giorno, però, Dio ha forzato l’auro- ra. Ha risuscitato Suo Figlio per rovesciare il potere della notte e proclamare in modo de- finitivo che nessuna morte può sequestrarci per sempre. Gesù è venuto per strapparci definitivamente dalla morte e, così, ha scava- to dentro la nostra vita il pozzo segreto della speranza: c’è una vita nuova che scorre an- che dentro le notti che viviamo, c’è una vita eterna che inizia dentro ogni morte, c’è una promessa di Dio su di noi: siamo risorti con Cristo e vivremo con Lui per sempre. Così, Maria trova il sepolcro vuoto, ma non ha ancora occhi per vedere oltre e pensa che abbiano portato via il Signore. C’è però un’altra versione della storia: il Signore è ri- sorto e ha vinto la morte. La notizia è negli occhi del discepolo amato, che vide e credette. Egli, cioè, non si ferma a vedere il vuoto del sepolcro e l’odore della morte, ma vede oltre. Con gli occhi della fede, il suo sguardo si spinge al di là dell’apparenza e intercetta il mistero della vita che ha attraversato anche la morte più nera. Questa è la Pasqua: è Cristo che passa “quando ancora è buio” per farci vedere e credere la potenza della vita. A noi la scelta: rimanere ancora nel buio, restare a ungere e accarezzare la morte, trascinare la vita con rassegnazione e stanchezza, rintanarci nel se- polcro delle nostre paure e del nostro egoi- smo; oppure credere nel Cristo Risorto e la- sciare che ci apra gli occhi, per diventare ca- paci di vedere oltre. Oltre le speranze perdu- te, oltre le occasioni mancate, oltre gli ab- bracci non dati, oltre la stanchezza della speranza. Oltre l’oscura notte che viviamo in questo tempo. Buona Pasqua di risurrezione, fratello e sorella che soffri. La pietra del sepolcro è stata rotolata anche per te!

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Page 1: Per gli innocenti che soffrono una sentenza ingiusta...una sentenza ingiusta «Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per l’accanimento»

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 80 (48.404) Città del Vaticano mercoledì 8 aprile 2020

.

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3J1*QS

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not

izia Il Vangelo della Domenica di Pasqua

Vedere oltre l’oscura notte che viviamo in questo tempo

Nella messa a Santa Marta il P0ntefice chiede di perseverare nel servizio alla Chiesa nonostante le cadute

Per gli innocenti che soffronouna sentenza ingiusta

«Io vorrei pregare oggi per tutte lepersone che soffrono una sentenzaingiusta per l’accanimento». Conqueste parole Papa Francesco ha ini-ziato, martedì mattina, 7 aprile, lacelebrazione della messa nella cap-pella di Casa Santa Marta.

«In questi giorni di Quaresimaabbiamo visto la persecuzione cheha subito Gesù e come i dottori del-

la Legge si sono accaniti contro dilui: è stato giudicato sotto accani-mento, con accanimento, essendo in-nocente» ha detto, a braccio, il Pon-tefice sempre all’inizio della celebra-zione, trasmessa in diretta streaming.

«Nessuno di noi è caduto nelmondo per casualità, per caso» haaggiunto il vescovo di Romanell’omelia. «Ognuno — ha ricordato

— ha un destino, ha un destino libe-ro, il destino dell’elezione di Dio».Dunque, ha insistito Francesco, «ionasco con il destino di essere figliodi Dio, di essere servo di Dio, con ilcompito di servire, di costruire, diedificare. E questo, dal seno mater-no». Infatti, ha spiegato, «servire èdarsi, darsi agli altri; servire è nonpretendere per ognuno di noi qual-che beneficio che non sia il servire».

Ma quando qualcuno «si allonta-na da questa vocazione di servire —ha messo in guardia il Papa — si al-lontana dall’amore di Dio ed edificala sua vita su altri amori, tante volteidolatrici». In realtà, ha proseguito,«ci sono, nella vita, cadute». Però«quello che importa — ha chiarito —è l’atteggiamento davanti al Dio chemi ha eletto, che mi ha unto comeservo». Dev’essere «l’atteggiamentodi un peccatore che è capace di chie-dere perdono». Invece, ha fatto pre-sente, «quando il servo non è capacedi capire che è caduto, quando lapassione lo prende in tal modo chelo porta all’idolatria, apre il cuore asatana».

In conclusione il Papa ha invitatoa guardare dentro se stessi: «La no-stra vocazione è per servire, non perapprofittare del nostro posto nellaChiesa. Servire. Sempre in servizio».

Per questo, ha insistito, «chiediamola grazia di perseverare nel servizio:a volte con scivolate, cadute, ma»con «la grazia almeno di piangerecome ha pianto Pietro».

PAGINA 12

I testi della Via Crucis del Venerdì santo presieduta dal Papa

Contemplare il Calvarioda dietro le sbarre

Ci sarà «la voce rauca della genteche abita il mondo delle carceri»ad «accompagnare Cristo sulla Viadella Croce» e a scandire i passidel Papa durante la tradizionale ce-lebrazione della sera del Venerdìsanto. Che poi tanto “tradizionale”non sarà, perché invece di svolgersicome di consueto nel suggestivoscenario del Colosseo, a causa dellemisure restrittive imposte dallapandemia di covid-19, avrà comecornice una piazza San Pietro an-cora una volta deserta.

E in quest’anno così drammaticoFrancesco ha voluto affidare le me-ditazioni a una “parro cchia” sp e-ciale: la comunità della casa circon-dariale “Due Palazzi” di Padova.Coordinate dal cappellano donMarco Pozza e dalla giornalista Ta-tiana Mario, quattordici personehanno deciso di raccontare la lorostoria, meditando sulla Passione diGesù e rendendola attuale nelle lo-ro esistenze.

Ecco allora prendere forma nellapreghiera le vicende di cinque de-tenuti, di un famigliare di vittima

di omicidio, della figlia di un erga-stolano, di un’educatrice del carce-re, di un magistrato di sorveglian-za, della madre di un recluso, diuna catechista, di un frate volonta-rio, di un agente di polizia peni-tenziaria e di un sacerdote accusatoe poi assolto. Perché — spiegano —«contemplare il Calvario da dietrole sbarre è credere che un’intera vi-ta si possa giocare in pochi istanti,com’è accaduto al buon ladrone».

PAGINA 6-7

Intervista alla teologa musulmana Shahrzad Houshmand

Le religioni siano testimonidella fratellanza universale

In Iran i contagi da covid-19 conti-nuano a salire di ora in ora. Ma ilgoverno ha comunque deciso la ria-pertura, a partire da sabato 11 apri-le, delle attività a basso rischio intutto il Paese, eccetto per la capitaleTeheran. La situazione è drammati-ca come in tante parti del mondoma in questo contesto l’embargo ele sanzioni non fanno che gravaresull’emergenza sanitaria, spiegaShahrzad Houshmand Zadeh in

una intervista a Vaticannews.va. Lateologa musulmana rilancia il mes-saggio dell’ayatollah Alireza Arafi,rettore dell’Università di Qom, chein una lettera indirizzata al Papapropone, a nome di un’ampia co-munità accademica sciita, «una co-munità delle religioni rivelate al ser-vizio dell’umanità» per fare frontecomune contro la pandemia.

CECILIA SEPPIA A PA G I N A 11

Appello del dicastero per i laici

Vi c i n iagli anziani

«Non lasciamo soli gli anziani,perché nella solitudine il corona-virus uccide di più». È l’app ellolanciato dal Dicastero per i laici,la famiglia e la vita in un messag-gio — diffuso martedì 7 aprile —dedicato agli anziani di tutto ilmondo che stanno pagando ilprezzo più alto della pandemiada covid-19. Un invito a «fare dipiù» per garantire loro adeguatosostegno materiale e spirituale.

PAGINA 11

Al centro della discussione le falle nei sistemi sanitari

Coronavirus, l’Onu cerca una strategia comuneNEW YORK, 7. L’Onu si prepara aprendere le misure dell’e m e rg e n z acoronavirus che finora ha fatto circa75000 vittime nel mondo. Il Consi-glio di sicurezza si riunirà giovedìper discutere della situazione globa-le. Si tratta del primo incontro fina-lizzato a valutare come la pandemiapossa minare la sicurezza internazio-nale. Lo ha annunciato ieri il segre-tario generale dell’Onu António Gu-

terres, che giovedì aggiornerà i 15membri del Consiglio di sicurezza.A chiedere la riunione sono stati ot-to Paesi membri, tra cui la Germa-nia. Perplessità, invece, dalla Cina.

Al centro della discussione ci saràmolto probabilmente l’analisi dellefalle nei sistemi sanitari che hannopermesso l’espandersi della pande-mia e la possibilità di una strategia

comune per affrontare le conseguen-ze economiche e sociali.

Intanto, in Italia, uno degli epi-centri della pandemia, è emergenzaper il numero di medici che sonomorti a causa del virus finora: sonoin tutto 94. Nelle ultime ore altricinque professionisti sono infattimorti. Anche gli infermieri paganoun alto tributo in termini di viteperse, 26 dall’inizio dell’epidemia.«Le vicende drammatiche di questigiorni hanno mostrato di quanta ge-nerosità, professionalità, dedizionesono capaci gli operatori sanitari. Ilnostro pensiero grato e riconoscenteva alle infermiere e agli infermieri inprima linea, e con loro a tutti i me-dici degli ospedali e dei servizi terri-toriali, agli assistenti, ai ricercatori, aquanti operano nei servizi ausiliari»ha detto oggi il presidente della Re-pubblica italiana, Sergio Mattarella.L’ultimo bilancio parla di 93.187 ma-lati di coronavirus in Italia. Le vitti-me sono 16.523.

Il cardinale Pellp ro s c i o l t o

dalle accusedi abusi

La Santa Sede «ha sempre ripo-sto fiducia nell’autorità giudizia-ria australiana» e oggi «accogliecon favore la sentenza unanimepronunciata dall’Alta corte neiconfronti del cardinale GeorgePell, che lo proscioglie dalle accu-se di abuso su minori, revocando-ne la condanna». Lo ha reso notomartedì 7 aprile un comunicatodella Sala stampa, che ricorda co-me il porporato, «nel rimettersi algiudizio della magistratura», ab-bia «sempre ribadito la propriainnocenza, attendendo che la ve-rità fosse accertata». Nell’o ccasio-ne, conclude il comunicato, «laSanta Sede riafferma il proprioimpegno a prevenire e perseguireogni abuso nei confronti dei mi-nori».

I sette giudici che hanno pro-sciolto il cardinale George Pellhanno dunque ribaltato la senten-za della corte d’Appello — emessanell’agosto dell’anno scorso —che, condannandolo a 6 anni direclusione per abuso su minori,confermava la decisione assuntadal tribunale di Melbourne neldicembre 2018. Già prefetto dellaSegreteria per l’Economia e inprecedenza arcivescovo di Sydneye prima ancora di Melbourne, ilcardinale settantottenne è ora li-bero: in mattinata ha lasciato il

A colloquio con Franco Ferrarotti

Quel terrore salutareche costruisce futuro

SI LV I A GUIDI A PA G I N A 5

Cronache dal nichilismo - VI

Lo shockdi fronte al mistero

CO S TA N T I N O ESPOSITO A PA G I N A 5

Tempore Famis

Covid-19: Dov’è Dio?FERNAND O FILONI A PA G I N A 11

Intervista al vescovo Vergez Alzaga

Pasqua ineditain Vaticano

NICOLA GORI A PA G I N A 12

ALL’INTERNO

Il ruolo del Giapponein Africa

GIULIO ALBANESE A PA G I N A 3CO N T I N UA A PA G I N A 3

di FRANCESCO COSENTINO

Due preziose indicazioni sono posteall’inizio e alla fine del Vangelo diPasqua. Da una parte, Maria di Mag-

dala si reca al sepolcro “quando era ancorabuio”; dall’altra il discepolo amato “vide ec re d e t t e ”. Il racconto di ciò che successe inquel primo giorno della settimana, il rove-sciamento definitivo della storia, l’evento cheha cambiato per sempre il destino della no-stra vita, è delimitato da questi due incisi.

Nel cuore di Maria di Magdala, comespesso nel nostro, è ancora buio. La notte cheè scesa sulla terra in quel drammatico vener-dì del Calvario, incombe senza neanche farepiù rumore; si è trasformata in rassegnazio-ne, nella convinzione che non cambierà mainulla, in un disfattismo che prosciuga le sor-genti della speranza e impedisce di guardareoltre. Con la notte nel cuore, Maria sta an-dando a imbalsamare Gesù: a piangere ilmorto, a visitare il luogo della morte, a un-

gere la morte. Così è per noi: spesso è anco-ra buio, seppelliamo la speranza nella rasse-gnazione, spegniamo l’entusiasmo nella la-mentela e, alla fine, carezziamo e coccoliamola morte, imbalsamando noi stessi e perfinoGesù in una fede stanca. Non riusciamo avedere oltre.

Quel giorno, però, Dio ha forzato l’a u ro -ra. Ha risuscitato Suo Figlio per rovesciare ilpotere della notte e proclamare in modo de-finitivo che nessuna morte può sequestrarciper sempre. Gesù è venuto per strapparcidefinitivamente dalla morte e, così, ha scava-to dentro la nostra vita il pozzo segreto dellasperanza: c’è una vita nuova che scorre an-che dentro le notti che viviamo, c’è una vitaeterna che inizia dentro ogni morte, c’è unapromessa di Dio su di noi: siamo risorti conCristo e vivremo con Lui per sempre.

Così, Maria trova il sepolcro vuoto, manon ha ancora occhi per vedere oltre e pensache abbiano portato via il Signore. C’è peròun’altra versione della storia: il Signore è ri-sorto e ha vinto la morte. La notizia è negli

occhi del discepolo amato, che vide e credette.Egli, cioè, non si ferma a vedere il vuoto delsepolcro e l’odore della morte, ma vede oltre.Con gli occhi della fede, il suo sguardo sispinge al di là dell’apparenza e intercetta ilmistero della vita che ha attraversato anchela morte più nera.

Questa è la Pasqua: è Cristo che passa“quando ancora è buio” per farci vedere ecredere la potenza della vita. A noi la scelta:rimanere ancora nel buio, restare a ungere eaccarezzare la morte, trascinare la vita conrassegnazione e stanchezza, rintanarci nel se-polcro delle nostre paure e del nostro egoi-smo; oppure credere nel Cristo Risorto e la-sciare che ci apra gli occhi, per diventare ca-paci di vedere oltre. Oltre le speranze perdu-te, oltre le occasioni mancate, oltre gli ab-bracci non dati, oltre la stanchezza dellasperanza. Oltre l’oscura notte che viviamo inquesto tempo.

Buona Pasqua di risurrezione, fratello esorella che soffri. La pietra del sepolcro èstata rotolata anche per te!

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 mercoledì 8 aprile 2020

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New York potrebbe fare ricorso a fosse comuni realizzate in alcuni parchi pubblici

Superati i diecimila decessinegli Stati Uniti

La testimonianza di padre Daniele Moschetti

Situazione criticaa Castel Volturno

WASHINGTON, 7. Gli Stati Uniti so-no entrati ieri nella settimana piùdura e disastrosa da quando affron-tano l’emergenza della pandemia dacoronavirus. E proprio ieri, stando aquanto riportato dalla Johns Hop-kins University di Baltimore, negliUsa è stato oltrepassato il tetto deidiecimila decessi legati al covid-19,con il nuovo record giornaliero di1150 morti. E il numero complessivodei contagi ha superato quota360.000. Delle 10.783 vittime, quasila metà sono state registrate nellostato di New York, per l’esattezza4758.

Per far fronte all’emergenza dellesepolture legata al forte incrementodelle vittime a causa del coronavirus,New York potrebbe fare ricorso afosse comuni realizzate in alcuniparchi pubblici. La misura potrebbescattare se gli obitori cittadini nonfossero più in grado di accogliere ca-daveri.

Nella situazione attuale sembre-rebbe emergere scarsa sintonia di ve-dute tra il presidente statunitenseDonald Trump e il team di espertidella task force per fronteggiarel’emergenza sanitaria, in primis conil virologo Anthony Fauci e conl’immunologa Deborah Birx, i duemassimi esperti in America nel cam-po delle malattie infettive. L’ultimoscontro si è avuto sul ricorso ai far-maci antimalaria, clorochina e idro-clorochina, per curare il covid-19, so-stenuto dal presidente Trump, nono-stante non ci siano prove scientifichesull’efficacia e vi siano al tempo stes-so possibili pericolosi effetti collate-rali. Su questo fronte il presidenteieri si è scagliato contro la decisionedell’India sull’idrossiclorochina, an-nunciando che potrebbero esserci ri-percussioni. L’India ha infatti vieta-to le esportazioni del farmaco neigiorni scorsi e Trump ha avuto unaconversazione telefonica con il pri-mo ministro indiano Narendra Modisu questo tema nella giornata di do-menica.

Il presidente ha annunciato anchedi aver raggiunto un accordo con3M che consentirà agli Stati Uniti diricevere milioni di maschere chirur-giche nei prossimi mesi per preveni-

re la diffusione del coronavirus.«Oggi posso annunciare che abbia-mo stretto un accordo molto ami-chevole con 3M per consegnare 55,5milioni di maschere aggiuntive di al-ta qualità ogni mese», ha dichiaratol’inquilino della Casa Bianca duran-te la conferenza stampa quotidianadell’unità di crisi anticoronavirus. Intotale «riceveremo quindi 166,5 mi-lioni di maschere nei prossimi mesiper il nostro personale sanitario, cheè in prima linea», ha detto il presi-dente che la scorsa settimana avevaaddirittura invocato il Defense Pro-duction Act. Si tratta di una leggerisalente alla guerra di Corea che gliconsentirebbe, per la sicurezza delpaese, di riorientare la produzione dialcune industrie. La società america-na nei giorni scorsi aveva difeso lasua politica di esportazione, avver-tendo delle «conseguenze umanitariesignificative della sospensione di for-niture di mascherine agli operatorisanitari in Canada e in America La-tina». L’accordo annunciato ieri«consentirà a 3M di continuare a in-viare maschere prodotte negli StatiUniti in Canada e in America Lati-na, dove 3M è il principale fornito-re», ha scritto la società in una nota.

Trump ha infine nuovamente ri-volto auguri di «pronta guarigione»al premier britannico Boris Johnsonda ieri in terapia intensiva.Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (Epa)

di MARINA PICCONE

Ci sono posti in cui l’emer-genza sanitaria e sociale diquesti tempi è ancora più

emergenza. È il caso di Castel Vol-turno, un paese del casertano di 25mila abitanti regolarmente registra-ti e circa 19 mila immigrati, deiquali solo 4 mila regolari. Si stimaun rapporto di uno a uno fra lapopolazione autoctona e la popola-zione straniera, ivi presente da20/30 anni. Nella terra dei fuochi,di cui Castel Volturno è parte,l’abusivismo selvaggio ha provoca-to un grave degrado sociale e am-bientale. Ci sono discariche abusi-ve a cielo aperto e molte delle caseabbandonate dai proprietari cado-no a pezzi e vengono occupateabusivamente o affittate in neroagli immigrati. Il disagio economi-co e il senso dell’abbandono acco-muna tutti.

Il lavoro agricolo è svolto quasiesclusivamente dagli africani, l’et-nia più numerosa, mentre gli india-ni si occupano delle stalle e dellefattorie per la produzione di moz-zarelle di bufala. Ora non lavorapiù nessuno. «Qui c’è la fame ve-ra», dice padre Daniele Moschetti,missionario comboniano in missio-ne a Castel Volturno dopo quasiventi anni di Africa e uno negliStati Uniti d’America, dove hasvolto un ministero di Giustizia,Pace e Riconciliazione pressol’Onu, un lavoro di a d v o c a c y, cioèdi pressione politica, verso i grandidella terra. «Gli immigrati nonpossono più uscire dalle loro caseper racimolare quello che occorreper sfamarsi. In più le abitazionisono fatiscenti, in molte non c’ènemmeno l’acqua ed è impossibilerispettare le norme igieniche». Peraffrontare l’emergenza, il comuneha istituito un comitato organizza-tivo, di cui fanno parte anche iComboniani, le parrocchie, la Cari-tas, Emergency, il centro sociale diCaserta e altre associazioni. Diver-se realtà politiche, religiose e socia-li animate dallo stesso obiettivo,garantire la sopravvivenza e la di-gnità delle persone più fragili.

Ma il bisogno è enorme. È facilevedere gente in giro in cerca di ci-bo o di qualche soldo. «Stare chiu-si in casa per gli africani è difficile,non appartiene alla loro cultura»,afferma padre Moschetti, la cui co-munità, dedicata a santa Bakhita, èimpegnata nella tutela e promozio-ne dei diritti degli immigrati enell’accoglienza di persone in diffi-coltà. «Inoltre, gli stranieri nonsanno cosa stia realmente succe-dendo perché molti non hanno latelevisione e non sono informatisull’emergenza sanitaria. E c’è datener conto del fatto che non tutticonoscono l’italiano».

In strada ci sono anche i senzadimora. E le prostitute che vagano.Il punto di riferimento sono iComboniani e il Centro Fernandes,della diocesi di Capua, che, ognigiorno, offre pasti caldi a una tren-tina di persone e ospitalità a 15stranieri. Tutti gli altri servizi, daldoposcuola agli ambulatori, dallaconsulenza legale all’avviamento al

lavoro, dai corsi di lingua italiana aquelli sportivi e ricreativi sono so-sp esi.

Per controllare gli spostamenti èintervenuto persino l’esercito. Daun paio di settimane una trentinadi soldati, insieme a polizia e cara-binieri, controllano la cittadina chesi sviluppa per 27 chilometri sullavia Domiziana, la strada costruitadai romani per il divertimento del-la nobiltà. Perché Castel Volturnoun tempo era bellissima. Nella zo-na più interna, piena di ville roma-ne, si trova un grande anfiteatro se-condo solo al Colosseo, e fino at re n t ’anni fa era qui che la borghe-sia campana e romana trascorrevala villeggiatura.

Adesso, gli hotel a 4 stelle siusano per incontri “clandestini” alcosto di 20 euro e il luogo è zonafranca per camorra e mafia nigeria-na, che si sono spartite territorio eaffari. La prima si occupa di sver-samenti tossici, pizzo, investimentiillegali, mercato degli affitti e sfrut-tamento sul lavoro; la seconda, didroga e prostituzione. Ora anche lacriminalità organizzata si trova indifficoltà, non avendo più manod’opera. Ma non c’è da rallegrarsi.

«Quella che stiamo vivendo èuna situazione esplosiva perché lamafia, storicamente, fa leva sulladisperazione della gente per pro-sperare. L’abbiamo visto giorni fa aPalermo, con l’assalto a un super-mercato dietro cui c’era chiaramen-te lo zampino della malavita. Perquesto agire unitariamente è fonda-mentale, qualsiasi sia l’appartenen-za sociale, politica, di categoria odi gruppo. Come dice papa Fran-cesco, siamo tutti sulla stessa barca.Tutti chiamati a remare insieme».Così, il neocostituito Comitato Ca-stel Volturno Solidale, che racchiu-de varie realtà, collabora con glioperatori comunali distribuendopacchi viveri e facendo opera disensibilizzazione e informazionecasa per casa. Si sta cercando dicoinvolgere anche i proprietari del-le abitazioni in locazione per con-vincerli a congelare gli affitti e perscongiurare il taglio di acqua edelettricità.

Al call center istituzionale, chericeve 3/400 telefonate al giorno, cisono anche volontari e mediatoriculturali che rispondono in linguafrancese e inglese. Il diffondersi delvirus è lo spettro comune. Finoraci sono stati sette contagiati e unmorto ma si prevede una fase acutaintorno alla metà di aprile. Con unconseguente aumento delle personein difficoltà.

«Il governo ha stabilito un Fon-do alimentare che prevede anchel’erogazione di buoni spesa ma ri-guarda solo i residenti. Qui 15 mi-la persone sono irregolari. Dobbia-mo provvedere con altre risorse»,dice padre Moschetti. Non si puòabbassare la guardia. Ognuno èchiamato a fare la sua parte. «Miauguro che il sistema di collabora-zione che stiamo sperimentandoora continui anche nel futuro. Sa-rebbe una bella cosa. Guarderem-mo insieme a una nuova CastelVo l t u r n o » .

Brasile: senzaisolamento si rischia

un genocidiotra i poveri

BRASÍLIA, 7. Di fronte alla minacciadella pandemia «la scienza ci racco-manda l’isolamento. Se l’epidemia sidiffonde tra le comunità povere convelocità estrema, sarà un genocidio».Sono le parole di Roberto Barroso,magistrato del Supremo TribunaleFederale (Stf) del Brasile. È necessa-rio agire con «razionalità» ha ribadi-to il giudice dell’Alta corte. Barrosoaveva vietato la diffusione di unacampagna contro l’isolamento socia-le, con lo slogan “Il Brasile non sipuò fermare”, lanciata dal governodi Jair Bolsonaro. Intanto, il gover-natore dello Stato di San Paolo,João Doria, ha annunciato che lemisure di restrizione, che scadevanooggi, sono state estese fino al 22aprile. Il numero di casi nel Paese èsalito a 12.056, con 553 vittime.

In Uruguay una nave da crocieraaustraliana, la “Greg Mortimer”, conoltre 200 persone a bordo è ferma allargo di Montevideo con circa 60persone colpite da coronavirus, men-tre altre sei, in condizioni più gravi,sono state trasferite a terra. Nel con-testo dell’emergenza sanitaria edeconomica, la Colombia — che regi-stra 1485 casi — ha ricevuto dallaBanca Mondiale 250 milioni di dol-lari di un prestito contingente per lapolitica di sviluppo. Nell’Isola diPasqua gli abitanti protestano inveceper la decisione del governo del Ciledi revocare la quarantena in vigoredal 19 marzo, accusando l’esecutivodi non aver informato le autorità lo-cali in merito alle nuove misure.

Vertice dell’Eurogruppo mentre l’Italia garantisce liquidità per 400 miliardi

Boris Johnson in terapia intensiva

Per la prima volta nessun morto in Cinadallo scoppio della pandemia

LONDRA, 7. Il primo ministro bri-tannico, Boris Johnson, è da ieri se-ra in terapia intensiva per l’aggra-varsi delle sue condizioni dopo es-sere stato colpito dal coronavirus.

«Ha ricevuto un po’ di sostegnoattraverso l’ossigeno ed è tenutosotto stretto controllo, ma non è unventilatore» quello a cui è collega-to, ha detto il cabinet minister, Mi-chael Gove, alla Radio Lbc, assicu-rando che se le condizioni di John-son dovessero cambiare il governofarà una dichiarazione ufficiale.

La supplenza a Downing Street èstata nel frattempo affidata al mini-stro degli Esteri, Dominic Raab,che già oggi presiederà la riunionedel Cobra, il comitato britannicoper le situazioni di emergenza.

Sempre oggi, in videoconferenza,è in programma il vertice dell’E u ro -gruppo sulle misure per fronteggia-re la crisi economica e sostenere ipaesi più colpiti dal covid-19; a se-guire la riunione dell’Ecofin.

Sugli eurobond, invece, è statoraggiunto un accordo tra Italia eFrancia, in contrasto con la Germa-nia. Roma e Parigi sono infatti di-sposte a far saltare il tavolo se ipaesi fautori del Mes (il Meccani-smo europeo di stabilità) non acco-glieranno le richieste di quelli deglieurobond. Anche la Francia vuoleche una forma di debito comunesia da subito inserita nella rispostaeuropea alla crisi. E non rimandataa un secondo momento. Ma il can-celliere tedesco, Angela Merkel, tie-

ne il punto: il Mes è lo strumentoda usare.

Intanto, in Italia il governo havarato un nuovo decreto che preve-de liquidità immediata per 400 mi-liardi di euro alle imprese, 200 peril mercato interno, altri 200 per po-

tenziare il mercato dell’exp ort.Queste misure, ha detto il presiden-te del Consiglio Giuseppe Conteassicurano che «quando tutto saràfinito ci sarà una nuova primavera eche presto raccoglieremo i frutti diquesti sacrifici».

PE C H I N O, 7. La Cina non ha regi-strato ieri, per la prima voltadall’insorgere della pandemia, alcuncaso di decesso. Sono solo 32 i casiconfermati di covid-19, tutti impor-tati, e 30 quelli asintomatici. Èquanto emerge dall’ultimo bilancioreso noto oggi dalla Commissionesanitaria nazionale cinese. In tuttoil Paese dall’inizio dell’e m e rg e n z asanitaria si contano 81.740 casi,mentre quelli importati dall’e s t e rosalgono a 983. Le vittime totali so-no 3331. Sempre ieri, le autorità sa-nitarie hanno riferito che il numero

totale di pazienti guariti è salito a7 7. 1 6 7.

E proprio nel giorno in cui per laprima volta non si è registrata alcu-na vittima, a Wuhan — la città dacui è partita la pandemia il 19 gen-naio scorso — si torna gradualmentealla normalità ancor prima del pre-visto. Dopo oltre due mesi e mezzodi lockdown sono state revocate leultime restrizioni.

La Corea del Sud — dove le infe-zioni complessive sono 10.331 e idecessi 192 — ha segnalato ieri 47nuovi casi, confermando così lo

stesso numero di domenica. Ora sitemono i focolai in chiese e ospeda-li, nonché i contagi di ritorno.

In Pakistan invece la polizia haarrestato decine di medici e perso-nale paramedico del Balochistan,nel sud-ovest del Paese, durante leproteste contro le carenze di dispo-sitivi di protezione individuale, tracui le mascherine. La manifestazio-ne, iniziata a Quetta, è stata orga-nizzata dalla Young Doctors Asso-ciation (Yda), dopo che almeno 13medici hanno contratto il coronavi-ru s .

Il ministro degli Esteri britannico, Dominic Raab (Afp)

Page 3: Per gli innocenti che soffrono una sentenza ingiusta...una sentenza ingiusta «Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per l’accanimento»

L’OSSERVATORE ROMANOmercoledì 8 aprile 2020 pagina 3

Il ruolo del Giappone in Africa

Una partnership capace di andare oltreil tradizionale aiuto economico

Oltre ottocentomila persone costrette alla fuga

Grave insicurezzain Burkina Faso

L’interesse dei paesi asiaticinei confronti dell’Africa èsempre più crescente. In

particolare, oltre alla Cina e all’In-dia, è significativo l’impegno giap-ponese. In effetti, prim’ancora che siaffermassero le competizioni deter-minate dalla globalizzazione deimercati, il Giappone si qualificò, findalla prima ora, come donor di tuttorispetto all’interno del DevelopmentAssistance Committee (Dac), un forum

alla Banca Mondiale (Bm) e allaCommissione dell’Unione Africana(Ua).

Il premier nipponico Shinzō Ab e,durante la sessione di apertura dellaConferenza, ha ricordato che dal2016 al 2019 gli investimenti privatigiapponesi in Africa hanno raggiun-to i 20 miliardi di dollari, mentre 10miliardi sono stati finanziati diretta-mente dal governo di Tokyo. È statocosì conseguito l’obiettivo complessi-vo dei 30 miliardi per le infrastruttu-re promessi nel corso della Ticad VIsvoltasi a Nairobi, in Kenya nel2016.

E la volontà del governo giappo-nese, nei prossimi tre anni, è di pro-seguire questo partenariato conl’Africa, attraverso nuovi investimen-ti del settore privato pari a 20 mi-liardi di dollari. Secondo i dati for-niti dal ministero degli esteri giap-ponese, il ruolo svolto dalla Ticad inquesti anni è stato di tutto rispettonel continente africano.

Ad esempio, tra il 2008 e il 2013,il paese asiatico ha realizzato 1321scuole, ristrutturato e riqualificato4778 strutture sanitarie e mediche eha garantito l’accesso all’acqua pota-bile a quasi 11 milioni di persone.Sta di fatto che proprio dal 2016, ilpremier nipponico Abe, intervenen-do alla Ticad VI di Nairobi, ha fattointendere che il suo paese da quelmomento in poi sarebbe dovuto di-ventare più un «partner» che un«donor» per i paesi del continenteafricano.

E così è stato a riprova che l’ada-gio di clintoniana memoria, «trade,not aid» (“commercio non aiuti”), èormai parte integrante delle lineeguida della politica internazionale diTokyo in Africa; una partnershipdunque capace di andare oltre il tra-dizionale aiuto economico, e in gra-do di includere i progetti infrastrut-turali, unitamente alla crescita dellerisorse umane.

Il dato interessante, comunque, èche nel bel mezzo della crisi, a livel-lo planetario, del cosiddetto multila-teralismo, Tokyo, proprio attraversola formula del Ticad, insiste nell’af-fermare questo orientamento coin-volgendo le grandi istituzioni inter-nazionali come l’Onu e la Bm, maanche un organismo panafricano ditutto rispetto qual è appunto la Ua.Un partenariato, dunque, a trecento-sessanta gradi, in antitesi al bipolari-smo molto caro ad altre diplomazielegate a logiche politiche bipolari.

L’opzione, all’insegna del multila-teralismo di matrice nipponica, trovala sua sintesi nel lancio dell’iniziati-va Free&Open Indo-Pacific (Foip), initaliano Strategia indo-pacifica libera eaperta, che, non a caso, ha ricevutoproprio nella Ticad di Yokohama del2019 grande risonanza. Già nel 2013,all’inizio del suo secondo mandatocome premier, Abe propose questainiziativa, alla prova dei fatti compe-titiva rispetto alla Belt and Road Ini-

tiative, meglio nota come «Via dellaSeta», fortemente voluta dal presi-dente cinese Xi Jinping per unirePechino agli stati eurasiatici e alcontinente africano.

L’offerta nipponica, attraverso laformula Foip, intende sviluppare, as-sieme ad altri partner internazionali,una vasta rete infrastrutturale capacedi incentivare gli scambi commercia-li. Il principale obiettivo del Foip èquello di promuovere quella che vie-ne definita una sorta di «connettivi-tà commerciale» tra Asia, Oceania,Medio Oriente e Africa.

Ed è proprio il continente africa-no, nelle intenzioni di Tokyo, unodei beneficiari di questo indirizzoche risponde fondamentalmente atre esigenze strategiche del Sol Le-vante. Anzitutto salvaguardare lerotte marittime, poiché il 90 per cen-to del commercio giapponese avvie-ne lungo gli oceani. In questo sensogiocano un ruolo cruciale i portiafricani. Non a caso due compagniegiapponesi, Penta-Ocean Construc-tion Co. Ltd e Toa Corporation, sisono aggiudicate una serie di con-tratti per lo sviluppo del porto diNacala, in Mozambico. Lo stesso èavvenuto per la Toyo ConstructionCo. impegnata nella riqualificazionedel porto di Mombasa, in Kenya,considerato di importanza capitalepoiché hub connesso all’Inter-Afri-can Highway 8, l’autostrada che ungiorno collegherà Lagos, in Nigeria,alla città keniana.

Vi è poi un’altra esigenza da partedel Giappone, quella di sopperire al-la mancanza di materie prime, fontienergetiche in primis (soprattuttodopo l’incidente nucleare della cen-trale di Fukushima). L’Africa daquesto punto di vista, è una minieraa cielo aperto e lo sanno bene inparticolare i cinesi che già da anniportano avanti molteplici attivitàestrattive in diverse parti del conti-nente africano. Vi è poi un altroaspetto che interessa non poco alGiappone: quello demografico.Mentre l’Africa cresce in terminiesponenziali, il trend giapponese èdi segno negativo: la popolazionenipponica sta diminuendo di 400mila persone l’anno e quasi il 30 percento dei giapponesi ha un’età supe-riore ai 65 anni ed entro il 2040 lapercentuale dei giapponesi conun’età pari ai 65 anni potrebbe rag-giungere il 40 per cento del totale.

L’invecchiamento della societàgiapponese ha prodotto carenze diforza lavoro in innumerevoli settoriindustriali con l’esigenza di incre-mentare il numero dei lavoratoristranieri, attraverso un opportunoquadro normativo. Ecco che alloral’Africa potrebbe, secondo alcunianalisti, rivelarsi per il Giappone co-me una realtà strategica dove investi-re capitali per l’industrializzazionedel continente, attingendo alla co-piosa forza lavoro disseminata unp o’ ovunque.

Come molti ricorderanno, a caval-lo tra gli anni 1960 e 1990,nell’Estremo Oriente vi fu il boomdelle Tigri asiatiche (Corea del Sud,Singapore, Taiwan e Hong Kong)che, al traino del Giappone, rag-giunsero alti livelli di sviluppoattraverso percorsi di industrializza-zione, cambiamento strutturale e cre-scita comunemente considerati disuccesso.

Sarà lo stesso con l’Africa? Nessu-no dispone di una sfera di cristalloper leggere il futuro ma è evidenteche molto dipenderà dall’assunzionedi responsabilità reciproca delle clas-

si dirigenti. Sono infatti evidenti ilimiti dell’economia liberista in ter-mini di generazione di equità e be-n e s s e re .

La percezione di una insostenibili-tà ambientale, sociale ed economicaè evidente oggi anche in Africa. Sirende pertanto necessario un cam-biamento orientato a un’economiapiù etica e civile che ponga la perso-na umana al centro, e di cui le im-prese e la politica devono farsi cari-co per il perseguimento del bene co-mune, come peraltro auspicato daPapa Francesco nel suo illuminatomagistero sociale.

OUAGAD OUGOU, 7. L’Unhcr, l’Agen-zia delle Nazioni Unite per i rifu-giati, ha espresso apprensione per lacrescente insicurezza in Burkina Fa-so, che, ogni giorno, costringe mi-gliaia di persone alla fuga.

Per effetto delle violenze scoppia-te in tutta la regione africana delSahel, a partire da gennaio del2019, il Burkina Faso ha registratola fuga di oltre 838.000 persone,una cifra che, giorno dopo giorno,non fa che aumentare.

E la diffusione del covid-19 ha in-trodotto un nuovo fattore di insicu-rezza nella già instabile situazione.

Inoltre, gli attacchi dei militantihanno colpito circa 25.000 rifugiatimaliani, che vivevano presso campiin aree remote a ridosso del confinetra Burkina Faso e Mali. La mag-gior parte di questi ha preso la de-cisione di fare ritorno a casa, nono-stante le condizioni di insicurezzavigenti anche in quelle aree, rite-nendo che tale scelta rappresenti ilminore tra i due mali.

In seguito ad attacchi e ultima-tum imposti da parte di gruppi ar-mati, che hanno costretto i rifugiatia fuggire per mettersi in salvo, ilcampo profughi di Goudoubo, chedi recente era arrivato ad accogliereoltre 9000 persone, di fatto ora ri-sulta essere svuotato.

In seguito alla chiusura dellescuole, dell’ambulatorio e del postodi guardia del campo, circa la metàdegli ospiti, direttasi verso le regio-ni di Gao, Mopti e Timbuctu inMali, ha riferito come insicurezza eaggressioni armate siano state le ra-gioni che li hanno costretti a fuggi-re, senza avere altra opzione se nonquella di fare ritorno.

La restante metà si è trasferita inaltre località all’interno del BurkinaFaso. Circa 2500 rifugiati hannoraggiunto i numerosi sfollati burki-nabé presenti nella città di Dori, incui la popolazione vive in condizio-ni disperate e necessita con urgenzadi alloggi, acqua e servizi sanitari.Attacchi sferrati nell’area circostanteil campo hanno costretto alla fugaanche una parte di abitanti del vil-laggio di Goudoubo.

La situazione di insicurezza haora travolto tutte le 13 regioni delBurkina Faso. Nei giorni scorsi, inuna serie di attacchi almeno 32 per-sone sono state uccise. Dallo scorsonovembre, le ripetute violenze han-no costretto l’Unhcr a ricollocare ilproprio personale fuori dal campoprofughi di Mentao, vicino a Djibo.Da allora, l’accesso a oltre 6000 ri-fugiati è potuto avvenire solo spora-dicamente e le loro condizioni di vi-

ta sono andate peggiorando. Moltirifugiati, inoltre, hanno riferito l’in-tenzione di fare ritorno in Mali unavolta allentate le restrizioni dovutealla diffusione del covid-19.

Tuttavia, l’instabilità della situa-zione in Mali non permette a moltidi fare ritorno alle proprie terre diorigine. Le condizioni di insicurez-za permangono e, nell’ambito dellarisposta al virus, le autorità hannoimposto il coprifuoco, misura cheha alimentato le preoccupazioni inrelazione alla sicurezza e alla salutetra le categorie vulnerabili.L’Unhcr, in collaborazione con leautorità maliane, ha effettuato la re-gistrazione di quasi 3000 rifugiatinelle regioni di Gao, Mopti e Tim-buctu. Persone di ritorno in predaal panico, molti testimoni di storieterrificanti, hanno viaggiato su ca-mion noleggiati o sul dorso di cam-melli con le proprie famiglie.L’Unhcr lavora sul campo con leautorità e con i partner, assicurandoche i rifugiati di ritorno ricevano al-loggio, beni di prima necessità e as-sistenza in denaro per soddisfare leesigenze iniziali. L’Unhcr sta anchefornendo i dispositivi sanitari e igie-nici necessari nell’ambito della ri-sposta alla pandemia da covid-19.

di GIULIO ALBANESE

di alto livello per discutere le que-stioni relative agli aiuti, allo svilup-po e alla riduzione della povertà neipaesi in via di sviluppo. Fu però altermine della guerra fredda che ilGiappone diede grande impulso allacooperazione con l’Africa, quando,nel 1993, si svolse la prima edizionedel Tokyo International Conference onAfrican Development (Ticad).

L’obiettivo era quello di rafforzareil processo di sviluppo del continen-te africano su più livelli: infrastruttu-re, sicurezza, tecnologia, agricoltura,educazione, commercio. Allora peròil paese del Sol Levante imperniòmolti dei suoi sforzi sulla fornituradi aiuti economici ai diversi paesiafricani. Con il tempo la Ticad, chesi riunisce dal 2013 ogni tre anni, hacomunque subito una graduale evo-luzione facendosi sempre più inter-prete, come vedremo più avanti, diuna politica di partenariato e dun-que iscrivendo le forme di aiuto inuna più ampia cornice, in cui il so-stegno allo sviluppo dei paesi bene-ficiari va di pari passo con il perse-guimento di un mutuo interesse.

L’approccio nipponico, incentratosulla forte operatività e competitivitàdelle imprese, consente agli investi-tori del Sol Levante un cospicuo ac-cesso al credito rispetto alle omolo-ghe europee, nonché incentivi stataliriguardanti investimenti ed esporta-zioni; un indirizzo che ripaga in ter-mini di internazionalizzazione, svi-luppo degli investimenti e crescitadegli scambi commerciali, dichiarata-mente win-win, essendo esplicita lavolontà di considerare i paesi benefi-ciari africani come attori alla pari.

Dal 28 al 30 agosto scorso, si èsvolta a Yokohama la settima edizio-ne della Ticad sul tema «Avanzarelo sviluppo dell’Africa attraverso lepersone, la tecnologia e l’innovazio-ne» e vi hanno preso parte le dele-gazioni di 42 paesi africani, il nume-ro più alto da quando si svolge que-sto importante appuntamento presie-duto dal Giappone ma organizzatocongiuntamente alle Nazioni Unite,al Programma di Sviluppo (Undp),

Condannatol’assassino

del giornalistaKuciak

BR AT I S L AVA , 7. L’ex soldato Mi-roslav Marcek, accusato di avereseguito l’omicidio del giornali-sta Jan Kuciak e della sua fidan-zata Martina Kusnirova, è statocondannato ieri a 23 anni di re-clusione. Lo ha deciso la cortepenale speciale di Pezinok (sud-ovest della Slovacchia). Lo scor-so gennaio Marcek aveva confes-sato di aver sparato ai due giova-ni, uccisi nel febbraio del 2018.Marcek ha confessato all’iniziodel processo di avere ucciso Ku-ciak e la fidanzata nel febbraiodel 2018 con colpi di arma dafuoco. Il presunto mandantedell’omicidio sarebbe l’i m p re n d i -tore Marian Kocner, sulle cui at-tività Kuciak aveva svolto alcuneindagini giornalistiche.

Il cardinale Pellprosciolto dalle accuse di abusi

carcere di Barwon per recarsi in unistituto religioso nei pressi di Mel-bourne. Il verdetto della supremaistanza giudiziaria australiana è statoemesso all’unanimità in base al fattoche c’è un ragionevole dubbio che ilreato non sia avvenuto e, quindi, esi-ste una significativa possibilità cheuna persona innocente possa esserecondannata.

Il cardinale, da parte sua, ha dettoche la grave ingiustizia ricevuta èstata ora sanata, spiegando di nonnutrire alcun risentimento verso lapersona che lo ha accusato e che ne-gli anni Novanta del secolo scorso —epoca a cui risalgono i fatti imputatial porporato — era chierichetto dellacattedrale di Melbourne. Il processo,ha aggiunto, non è stato un referen-dum sulla Chiesa cattolica né su co-me le autorità ecclesiastiche in Au-stralia hanno affrontato il crimine dipedofilia: «Il punto era se avevocommesso o no questi terribili crimi-ni e io non li ho commessi» ha af-fermato, auspicando che l’assoluzio-ne non aggiunga altro dolore.«L’unica base della guarigione alungo termine — ha chiarito — è laverità e l’unica base della giustizia èla verità, perché giustizia significa

verità per tutti». Infine ha ringrazia-to quanti hanno pregato per lui, aiu-tandolo e confortandolo in questotempo difficile, e i legali che con fer-ma determinazione hanno lavoratoper far prevalere la giustizia e far lu-ce su un’oscurità prefabbricata, di-mostrando la verità.

A nome della Conferenza episco-pale australiana, l’arcivescovo presi-dente Mark Coleridge ha commenta-to la decisione dell’Alta corte, riaf-fermando l’impegno incrollabile del-la Chiesa per la sicurezza dei minorie per una risposta efficace ai soprav-vissuti e alle vittime di abusi.

In tutta la vicenda, la Santa Sedeha sempre preso atto delle decisionidei giudici australiani, ribadendo ilmassimo rispetto per le autorità giu-diziarie nei suoi vari gradi, ma re-stando in attesa di conoscere di vol-ta in volta gli sviluppi del procedi-mento. E ricordando in varie dichia-razioni che il cardinale ha sempresostenuto la propria innocenza e ildiritto a difendersi fino all’ultimogrado della giustizia, ha costante-mente confermato vicinanza alle vit-time di abusi sessuali e l’imp egno,attraverso le competenti autorità ec-clesiastiche, a perseguire i membridel clero che ne siano responsabili.

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

Mali, forze separatiste prontea collaborare con il governo

BA M A KO, 7. Nonostante la crescen-te insicurezza in Mali, confermatadall’ultimo attacco armato di so-spetta matrice jihadista di ieri, incui hanno perso la vita più di ven-ti soldati, tuttavia alcune forze se-paratiste tuareg si sono dettepronte a collaborare con il gover-no centrale di Bamako, per fron-teggiare il diffondersi dell’epide-mia da covid-19.

In particolare il segretario ge-nerale del Movimento nazionaledi liberazione dell’Azawad(Mnla), Bilal ag Acherif, ha an-nunciato che verranno istituiti al-cuni centri per la quarantena nel-la città di Kidal, capoluogo

dell’omonima regione nel nord-estdel Paese.

L’attentato di ieri, non ancorarivendicato, è avvenuto presso lalocalità di Bamba nella regione diGao, dove gli assalitori hanno pre-so di mira una base militare, di-struggendone l’arsenale. La situa-zione è stata poi ripristinata grazieall’intervento delle forze di sicu-rezza. Lo riferiscono fonti militaricitate dalla stampa locale. Alcunezone nel nord del Mali sfuggonoancora al controllo delle forze go-vernative e internazionali presentinel paese, malgrado l’accordo dipace tra governo centrale e indi-pendentisti tuareg siglato nel 2015.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 mercoledì 8 aprile 2020

Intervista alla poetessa Paola Lucarini

Il valoredell’essere senza niente

Che cosastiamo facendo?

Serve un’alleanza educativa per salvare la casa comune

Si nasce umanie si deve continuare a esserloIn mezzo all’isolamento attualenel quale patiamola mancanza di affetti e incontrisentiamo ancor più il bisognodi un’ampia alleanza educativaper formare persone mature

L’abbazia di San Miniato al Monte

Papa Francesco in piazza San Pietro il 27 marzo 2020

Cronache della vita «alla finestra» nei testi di Niccolò Fabi - II

Io sono l’a l t ro

di PIERLUIGI MA L AVA S I *

L’Organizzazione mondiale dellasanità stima che circa 7 milionidi persone muoiano ogni annoa causa dell’esposizione a parti-celle fini in aria inquinata che

penetrano in profondità nei polmoni e nel si-stema cardiovascolare. L’inquinamento atmo-sferico non conosce confini ed esistono moltiesempi di politiche di successo, orientate a ri-durlo in ambito industriale ed energetico, neitrasporti e nella pianificazione urbana, nellefiliere agroalimentari, nel consumo individua-le e nella gestione dei rifiuti. L’inquinamentodell’aria che tutti gli abitanti del pianeta re-

sul sagrato della basilica di San Pietro loscorso 27 marzo, osservava: «In questo nostromondo, che Tu o Signore ami più di noi, sia-mo andati avanti a tutta velocità, sentendociforti e capaci di tutto. Avidi di guadagno, cisiamo lasciati assorbire dalle cose e frastorna-re dalla fretta. Non ci siamo ridestati di frontea guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamoascoltato il grido dei più poveri e del nostropianeta gravemente malato. Abbiamo prose-guito imperterriti, pensando di rimanere sem-pre sani in un mondo malato».

Il grande problema che dobbiamo risolvereè la sostenibilità del modello dominante disviluppo economico-finanziario e il suo im-patto sul pianeta ovvero sulla vita delle perso-ne. È in atto la progressiva distruzione dellanostra casa comune. Che cosa stiamo facen-do?

Ogni crisi diventa occasione di discerni-mento e nuova progettualità. Ci obbliga acambiare, ci obbliga a darci nuove regole e atrovare nuove forme di impegno. Possiamoimparare molto, dal punto vista dei nostricomportamenti collettivi, dall’attuale emer-genza. Ne esce rafforzata l’esigenza della rela-zione educativa: imparare a essere responsabi-li verso gli altri e verso di sé attraversa i sape-ri e gli stili di vita. Occorre imparare. A misu-rarci con l’idea di una formazione politica co-me servizio. Si deve riscoprire quanto sia cru-ciale una buona sanità per tutti e valorizzarele persone che lavorano a rischio della propriavita, come gli infermieri e i medici. Siamochiamati a considerare l’importanza delledonne e degli uomini che garantiscono la si-curezza e l’accesso ai servizi essenziali, dei vo-lontari, dei genitori e dei nonni, di coloro chesi occupano dell’istruzione, di chi coordina eprogetta servizi per le persone più fragili. C’èda approfondire e praticare una cultura dellaformazione al rischio e alla sua gestione, dellacomunicazione della sostenibilità.

In questa Quaresima risuona un appellourgente: “convertitevi”, è il tempo di scegliereche cosa conta e che cosa passa, di distingue-re ciò che è necessario da ciò che non lo è.L’ambiente in cui viviamo, il concetto di spa-zio vissuto si trasforma in modo radicale neigiorni che attraversiamo. Possiamo ricostruireil tessuto di relazioni, in presenza e a distan-za, per costruire un’umanità più fraterna. Ter-mini come punizione e panico, sentimenti co-me avidità e indifferenza accentuano fram-mentazioni e contrapposizioni.

In mezzo all’isolamento nel quale stiamopatendo la mancanza degli affetti e degli in-contri, sentiamo ancor più il bisogno diun’ampia alleanza educativa per formare per-sone mature. È quel che ci ricorda Papa Fran-cesco nel Messaggio per il lancio del Pattoeducativo globale. L’Università cattolica, in-sieme a diversi altri atenei italiani e stranieri,proponendo in modo convinto ed efficace at-tività di formazione a distanza, testimonia chel’elaborazione culturale può farsi servizio, le-game di solidarietà e incontro per lasciarsi in-terpellare riguardo a finalità e metodi dell’at-tività formativa, di ricerca e terza missione.

Non siamo soli in balia della tempesta co-vid-19, dobbiamo fare tesoro dei legami di be-ne che stiamo costruendo. Si nasce umani e sideve continuare ad esserlo. Sempre e soprat-tutto in periodi di crisi, imprevedibili e viru-lenti. Per abbracciare la paura del tempo pre-sente e trovare il coraggio di aprire nuovi spa-zi di fraternità. Per aiutare a custodirci e a cu-stodire la nostra casa comune. Abbracciandoil Signore della Vita.

*Direttore dell’Alta Scuola per l’ambiente,Università cattolica del Sacro Cuore, campus diB re s c i a

di ELENA BUIA RUTT

La poesia di Paola Lucarininarra il viaggio dell’anima at-traverso il mistero della vita:un viaggio in cui la contem-plazione del divino attraversa

quei luoghi terreni dove sgorga l’acquaviva, capace di rivelare il senso dell’esse-re e dell’agire. Per visione d’anima (Giu-liano Ladolfi, 2013) e San Miniato alMo n t e (Firenze, Passigli, 2019, pagine110, euro 15), sono dei volumi editi, fa-centi parte di una trilogia che si conclu-derà con Passione di verità di imminentepubblicazione, in cui i luoghi del sacro,(rispettivamente Medjugorje, la basilicafiorentina di San Miniato a Monte e ilSacro Eremo di Monte Senario), abitatida pellegrini e monaci oranti, predispon-gono il poeta all’ascolto della trascen-denza. Presidente dell’Associazione cul-turale Sguardo e Sogno e dell’Unionecattolica artisti italiani, Paola Lucarini èpoetessa, critico letterario, operatrice cul-turale: fiorentina d’adozione, in questaintervista riflette sull’inestricabile rappor-to che la sua poesia intesse con il sacro.

I versi della raccolta «San Miniato alMonte» celebrano i benedettini come «custo-di di perenni equilibri»: da quali equilibri èattratto il poeta e quali equilibri la nostrasocietà sta (rovinosamente) dimenticando?

I benedettini, come altri Ordini mona-stici, osservano la regola celeste e terre-stre del fare anima in ogni istante del lo-ro laborioso intenso giorno. Vivono dicontemplazione e azione, saggia atavicasapienza. Hanno fatto la scelta giusta deiGiusti. Da tale mirabile equilibrio ancheil poeta si sente attratto, ma egli devecombattere coraggiosamente le distrazio-ni mondane che lo chiamano a interessifuorvianti. Per questo una vena di in-quietudine, tormento, nostalgia di altravita lo segna indelebilmente. Stesso di-scorso vale in generale per l’uomo con-temporaneo che corre verso l’auto distru-zione se non salva la fiamma della pro-pria umanità, la quale va protetta anchea costo di lotte indicibili fra bene e male.Davvero non si rispettano più i principiche hanno retto nella storia dei secoli la

società civile, occorre ricercare con co-stanza il misterioso senso racchiuso inogni attimo dell’esistenza, esso rappre-senta una tessera necessaria nella compo-sizione di un puzzle luminoso, ogni mo-mento è l’occasione che ci viene offertaper realizzare il disegno del nostro edell’altrui bene, non è mai troppo tardiper cominciare a riflettere seriamente.Ricordiamo che una sola vittoria finalesconfigge tutte le precedenti sconfitte:dunque ogni speranza è fondata.

Da cosa nasce l’attrazione del poeta per lavita monastica?

La figura del poeta e la figura del mo-naco hanno innumerevoli punti di con-tatto nei cieli della visione di anima.Ogni autentico poeta ricerca il dialogocon la realtà umana a specchio dell’infi-nito. Entrambi rivolgono profonda atten-zione al passaggio di Dio nella loro esi-stenza, affinando sempre più le radicivocazionali di una particolare sensibilitàintrospettiva. Occorre impegnarsi lungogli avvenimenti di tutta una vita per spe-rimentare l’ebbrezza nel leggere e ricono-scere il significato di ciò che andiamo vi-vendo alla luce di due storie parallele,ma interagenti: la storia personale e lastoria divina, riflesse fra loro. La vitamonastica non è una fuga dal mondoma, al contrario, un viaggio nel cuoredel mondo, realtà e trascendenza si pro-lungano da qui all’aldilà, ecco splendoree miracolo dell’autentica vita, ispirataall’attrazione del reciproco amore fra Dioe uomo.

In che modo la poesia può declinare quellache i versi definiscono come «l’eloquenza si-lenziosa di Dio»?

Infinite (quanti sono gli uomini) lestrade che ci possono condurre, dentro efuori di noi, all’esperienza del vivere conil Signore. L’ascolto interiore della Paro-la rivela il messaggio da trasmettere aglialtri, attraverso una consapevolezza viva,pulsante, quando il soffio dello Spirito cinutre. Ognuno di noi è un progetto diDio in divenire. E anche se talvolta sof-friamo il suo apparente silenzio e la suaapparente assenza, tuttavia non dobbia-mo mai dubitare di Lui: Lui ci attende e

noi attendiamo Lui. Noi poeti ascoltia-mo l’Invisibile eloquente e rallegriamociquando ci affida la diffusione dei mes-saggi che rivolge a ogni uomo, ma chenon da tutti vengono accettati e compre-si. La Parola trasmessa in poesia può for-se avvicinarci più facilmente sotto umanaspoglia a coloro che non sono abituatialla preghiera e hanno quindi bisogno diun tramite umano per accoglierla.

Quale aspirazione rappresenta per il poetala chiesa di San Miniato con i suoi monacio ra n t i ?

San Miniato al Monte con i suoi mo-naci oranti è luogo sacro dove si respiraessenza di vita. La preghiera di un cuoreche conosce il vero amore è poesia, lapoesia è preghiera. Nello Spirito chedetta riconosciamo Lui in noi e tutti in-sieme, sia pure animati da carismi diver-si, apriamo un dialogo di speranza. Esi-ste un progetto di felicità avvolto in unmanto pesante di sofferenza senza ilquale non saremmo degni di tanta gioiafutura che già intravediamo. Rimaniamofiduciosi, la nostra forza sta nella profon-da inconoscibile giustezza di ciò che ac-cade. Sofferenza e pianto detergono, il-limpidiscono lo sguardo. Sarà impegnati-vo e faticoso, al contempo luminoso, peril poeta, salire — fra luci e ombre del vis-suto — il Sacro Monte, con l’aiuto dellaGrazia arriveremo sulla vetta da cui sicontempla l’infinito orizzonte dell’eterni-tà, mentre ci viene incontro la visione diColui che ama amare.

In questo momento di crisi ambientale èpossibile recuperare un’armonia con la natu-ra ?

Non solo è possibile recuperare un’ar-monia con la natura, ma addirittura sitratta di una questione di vita o morte.La natura è figlia di Dio come noi, eDio è se stesso in tutti. Il sacro dovrebberegnare dovunque, ma la maggioranzadegli uomini vive la cecità di errori scel-lerati, per questo il male abita il mondo.Solo la consapevolezza delle colpe e ilconseguente rimorso chiedono il perdo-no per le azioni dissennate che abbiamocommesso. Non è un caso, mi pare, chela tragedia mondiale della pandemia delcoronavirus sia accaduta proprio adesso,durante i giorni precedenti la santa Pa-squa, quale monito per l’uomo di oggi estimolo a vivere aperti a inedite riflessio-ni, in dialogo con Cristo. La natura èstata offesa e ferita a morte dall’uomo,come lei ora anche lui perisce: una simi-litudine che ci fa pensare e pentire. Il Si-gnore abbia pietà di noi, indicando lanuova e giusta via da seguire.

«Abbiamo donato tutti i doni / ora final-mente siamo / i senza niente»: sono versimolto suggestivi. Qual è il valore dell’e s s e re«senza niente»?

Il nostro niente rappresenta il massi-mo dei valori, la spoliazione assoluta ri-conosce la scelta del niente come benesupremo, tesoro inestimabile di chi, do-nandosi tutto, offre nelle mani vuote ilsuo cuore versato fino all’ultima goccia,sangue e anima, nell’estasi del ricongiun-gimento e della gioia. Solo le mani aper-te a coppa sono degne di accogliere Lui:vero unico Dono.

spirano è un killer invisibile; desta un assaiminore allarme nell’opinione pubblica rispettoalla drammatica emergenza planetaria per ilcovid-19, ma che ucciderà nel 2020 forse diecivolte di più.

L’emergenza che stiamo vivendo smascherala vulnerabilità umana e mette allo scopertofalse e superflue sicurezze con cui abbiamocostruito le nostre agende, i nostri progetti, lenostre abitudini e priorità. Papa Francesco,

Le parole e le note dell’ultimo album di Nic-colò Fabi, «Tradizione e Tradimento», purconcepite in un altro tempo, si rivelano oggiincredibilmente attuali. Dopo aver apertocon «I giorni dello smarrimento» e «Primadella Tempesta», proseguiamo con l’ascoltodi «A prescindere da me» e «Io sono l’al-t ro » .

di SERGIO VENTURA

Passano i giorni, alcuni lenti, altriveloci: «un anno come un giorno».Paese dopo paese, la via del

lockdown «è più stretta ad ogni giro dilancette», ma ogni governo ha dovuto ri-conoscere che «alla fine non c’è scelta».Perché la morte è riemersa nella sua in-vincibilità dai nascondigli in cui l’aveva-mo confinata, per ricordarci che «l’itine-rario umano / non prevede alcun ritorno/ ma un’andata / (…) perché è estuario enon un delta». Siamo dunque alla fine?No, «può sembrare ma la vita non è fini-ta / (...) nonostante tutto il male non èfinita» — e quel che resta è comunquedella «sabbia colorata».

Decisivo sarà avere una «memoria» de-gli errori commessi — sin dalla spagnoladel 1918 — e una «prospettiva» strategicaper seguire chi ha battuto sentieri non in-terrotti. Eppure serpeggia tra i potentiuna — eccessiva? — fretta nel riaprire e ri-partire, ma «il tempo non si sfida», per-ché «si muore nel rigore, (...) nel pensie-ro senza amore / e io è di questo che hopaura». Oggi è infatti necessario un pen-siero sia complesso, per sciogliere le rigi-dità ideologiche sulla colpa del debito,sia semplice, per seguire linee-guida chenon sacrifichino i più deboli: «Coman-danti, fateci il piacere / se prendete deci-sioni decisive sulle nostre vite / fatelosoltanto nel momento successivo ad un(...) attimo di pace». Solo così, forse,«avremo un mondo senza rabbia» — sen-za anime in frantumi — e il «mondo sen-za guerra» auspicato sia dall’Onu chedalla Santa Sede.

Sanità, scuola, ambiente, lavoro, eco-nomia, consumi: nulla tornerà come pri-ma, in attesa di un vaccino, e forse nean-che dopo, se riusciremo a non tornare aquel prima fatto di tagli e precarietà, in-

quinamento e scarti, evasione e nero, manel deserto quasi monastico di questa“prigionia” sapremo reimparare con pa-zienza «a prescindere dal tempo / a pre-scindere da tutto / a prescindere da me».Dalle mie abitudini, in termini di igiene,distanza sociale e strumenti protettivi;dalle mie libertà, purtroppo, se e quandosaranno avviati tracciamenti e test siste-matici. E se qualcuno domanderà «cosac’entrerò mai io con tutto questo?», ri-sponderemo che possiamo essere conta-giosi anche se non lo sappiamo, per cuisaremo la nostra e altrui salus se con re-sponsabilità personale faremo nostro ilmantra che ripete «io sono l’a l t ro » .

L’altro: «quello che spaventa», ma cheritrovi «nello specchio / la tua immagineriflessa / il contrario di te stesso». Il co-vid-19: «l’ombra del tuo corpo / (...)l’ombra del tuo mondo», l’ennesimo ne-mico invisibile contro cui andare “inguerra”, dimenticando che a sconfiggerlosarà un vaccino, ossia un atto di acco-glienza controllato. Un familiare in qua-rantena che «ti dorme / nella stanza ac-canto». Il «padre del bambino handicap-

pato» che ha chiesto la deroga allockdown per passeggiare con il figlio.Chi invidiamo perché «sembra più sere-no / perché è nato fortunato o solo per-ché ha vent’anni in meno». «Quello cheurla come un pazzo» quando ha saputodi essere positivo. Chi assume una «scel-ta o posizione / che non si comprende»,fosse anche il «presidente del consiglio».

L’altro, d’altra parte, è anche «quelloche fa il lavoro sporco / al tuo posto»:medici e infermieri che per vocazionestanno offrendo ogni giorno il loro corpoin sacrificio per noi, accompagnandospesso i morenti nell’ultimo respiro. «Ildonatore che aspettavi», essendo ormaiterminati i respiratori. Il suicida che ieri«hanno licenziato», il senzatetto «chedorme sui cartoni alla stazione», «il nerosul barcone» che ora serve perché è tem-po di raccolta, quel milione di badanti ecolf a oggi prive di tutela. Tutte vittimesilenziose e solitarie, tutte alterità che in-terpellano in profondità il nostro senso diinterdipendenza e cooperazione dicendo-ci: «Quelli che vedi sono solo i miei ve-stiti / adesso facci un giro e poi mi dici».

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L’OSSERVATORE ROMANOmercoledì 8 aprile 2020 pagina 5

A colloquio con Franco Ferrarotti, decano dei sociologi italiani

Quel terrore salutareche costruisce futuro

Alberto Burri«Sacco»(1953, particolare)

Sul significato della parola “re a l t à ”

Lo shockdi fronte al mistero

Il razionalismo modernoaveva cercato di neutralizzareciò che non rientra nelle conoscenze a prioridella nostra ragionefino alla pretesa del Positivismo di dichiarareil mistero nient’altro che una superstizione

Franco Ferrarotti nella copertina del libro intervista di Carmelina Sicari (Gangemi Editore, 2015)

Deve essere recuperato il senso del limitedei nostri progenitori greci e latini«Ne quid nimis», “nulla in eccesso”dicevano gli antichi romaniCi sono colonne d’Ercole inviolabiliche devono porre un argineal delirio di onnipotenza dei governanti

forzato isolamento, in tanti avranno la possibilitàdi viaggiare da fermi, alla scoperta della loro vo-cazione profonda».

La propria stanza può diventare un laborato-rio di futuro, un osservatorio privilegiato percercare di intuire i lineamenti di quello che ciaspetta quando tutto sarà finito. Proprio la paro-la “f u t u ro ” sarebbe dovuto essere il tema di unafesta di compleanno sui generis, la tappa romanadi «Parole in Viaggio», una serie di incontri or-ganizzata da Marietti 1820 per celebrare i due-cento anni della casa editrice. Incontro fissatoper il 7 aprile, giorno in cui Ferrarotti festeggiale sue 94 primavere, rimandato a data da desti-narsi. Ma il regalo di compleanno c’è già, sono isei volumi delle sue opere, pubblicati da Mariet-ti, in cui sono raccolte le sue ricerche sul camposulle periferie, le mafie e il terrorismo e gli scrittiautobiografici, dal racconto dei viaggi in Amaz-zonia al ricordo di amici e maestri come FeliceBalbo e Nicola Abbagnano. «Il futuro ha uncuore antico. Questo è vero soprattutto oggi,

nello scoprire che vi è una logica del mistero, senzala quale la nostra stessa comprensione razionale delmondo funzionerebbe molto di meno. Non è forseun’esperienza che tutti facciamo, almeno qualchevolta, quando nell’affrontare le cose riconosciamoche la realtà ha un senso infinitamente più grandedelle nostre misurazioni? E non è vero che quandoquesto accade si conosce di più, più profondamentema anche più estesamente il mondo?

Ma la questione non sarà mai pacificata o risoltauna volta per tutte. Quando la ragione arriva a rico-noscere il mistero si produce sempre una lotta dram-matica tra le nostre pur giuste pretese di avere in ma-no la soluzione della vita e l’ostinata provocazionedella realtà. E quindi ci sarà sempre qualcuno — nonsolo fuori, ma dentro di noi — che continuerà a ri-durre il mistero a un «dolce sogno» (per usarel’espressione del filosofo della mente Daniel C. Den-nett, uno dei campioni del riduzionismo), frutto del-le nostre emozioni e di aspettative illusorie, a cuinon corrisponde nessuna realtà.

Ma resta un punto irrisolto che ci inquieta: ed è lanostra stessa coscienza. È il nostro “io” il mistero piùinevitabile per noi stessi. E difatti oggi la contesa si èspostata dalla metafisica alle scienze cognitive. Permolti la mente è un mistero perché ancora non sap-piamo come i nostri atti di coscienza, razionali e li-beri, siano causati dai processi bio-chimici del nostrocervello. Perché in fondo, come ha scritto John R.Searle, «la coscienza fa parte della nostra natura bio-logica, tanto quanto la digestione, la secrezione dibile, la mitosi o la meiosi» (da Il mistero della realtà,Milano, Raffaello Cortina Editore, 2019, pagine 324,euro 26).

Anche in questo caso, però, non riusciamo a ridur-re il problema alle nostre misurazioni: dobbiamo im-plicare ragionevolmente il mistero per comprenderein che modo la natura biologica diventi coscienza elibertà. E soprattutto perché lo diventi. Insomma, ilmistero permane anche in tutte le nostre spiegazioniriguardo al “come” funziona la realtà. Anzi, propriocapendo il come delle cose, ci assale uno stupore peril fatto che esse ci siano. Come ha scritto LudwigWittgenstein alla fine del suo Tractatus logico-philoso-phicus (1921): «Non come il mondo è, è il mistico[cioè il mistero], ma che esso è» (6.44).

CRONACHE DAL NICHILISMO - VI

di CO S TA N T I N O ESPOSITO

A che cosa pensiamo veramente quandoparliamo di “re a l t à ”? Non mi riferisco inprima battuta alle teorie che stanno die-tro o che influenzano — consap evolmenteo inconsapevolmente — i nostri discorsi

quotidiani. Vorrei partire invece proprio da questi di-scorsi e da una constatazione tanto evidente quantospiazzante: il fatto che un virus invisibile e incontrol-labile abbia fatto irruzione silenziosamente ma im-placabilmente nelle nostre vite, scardinando da cimaa fondo l’ordine su cui bene o male si reggeva la no-stra società, spalancando davanti ai nostri occhi unavoragine minacciosa, come se all’improvviso si apris-se ai nostri piedi un burrone di cui non vediamo ilfondo. E noi stiamo sul ciglio, perplessi e impauriti,cercando di prendere tutte le misure per non cadervidentro, ma anche incerti su come poterlo superare eprocedere nella nostra vita “normale”. Il caos sembraessersi impadronito del mondo consueto facendo sal-tare abitudini, relazioni, progetti e strategie, e ci co-stringe a chiederci se quello che finora abbiamo vis-suto — e come lo abbiamo vissuto — fosse vero, fossereale, o fosse solo una convenzione instabile, o peg-gio ancora una fragile illusione.

Al fondo di ogni rassicurazione che ci affrettiamoa darci vicendevolmente, nella chiacchiera invadentedi questi giorni, resta come una sensazione di impo-tenza di fronte all’imponderabile. Perché è vero che,prima o poi, ne verremo a capo; ma qualcosa di si-mile potrebbe ritornare ancora, ogni momento,quando meno ce l’aspettiamo, come una minacciapermanente all’orizzonte. Il fatto è che non si trattasolo di una reazione ansiosa o di un’insicurezza psi-cologica, ma di un vero e proprio shock di fronte alm i s t e ro .

Per capire il significato della parola “re a l t à ” siamocostretti oggi a riconoscere che la realtà implica persua natura il “m i s t e ro ”. E quest’ultima parola, dopotanto tempo, torna a risuonare nella nostra percezio-ne del mondo e dice che il reale è altro da noi, piùgrande di noi, imprevedibile rispetto al nostro con-trollo. Oggi sembra un’evidenza incontestabile per-ché questa alterità ci tocca all’improvviso, e dura-mente, senza che ne fossimo preparati. Ma per tantotempo — il tempo del nichilismo, appunto — m i s t e roè stata una parola marginale e sempre più margina-lizzata nel vocabolario delle società avanzate.

Certo ciascuno di noi, sin dal primo emergere del-la coscienza, ha portato e continua a portare dentrodi sé una qualche percezione del mistero, di frontealle esperienze fondamentali della vita: la dolce sor-presa di un innamoramento, la gioia immeritata dellanascita di un figlio, il dramma amaro della morte diuna persona cara. Momenti misteriosi che apronodelle crepe profonde sulla superficie apparentementecompatta della vita, facendo percepire d’un tratto lasua insondabile profondità. Suscitando stupore, maanche sgomento; meraviglia e insieme paura. Ce loricordano le immagini indimenticabili di alcuni gran-di pittori contemporanei, come i “tagli” sulla telarossa di Lucio Fontana o i sacchi bruciati e i “c re t t i ”di Alberto Burri. Fenditure, screpolature, varchi, feri-te che mostrano la dimensione misteriosa della realtàe insieme la natura reale del mistero. Lì dove il visi-bile rimanda all’invisibile e l’invisibile ci fa scopriretutta la portata del visibile.

Per molto tempo il mistero è stato confinato nellacasella dell’irrazionale, o di ciò che semplicementenon riusciamo a spiegarci. Un territorio oscuro edenigmatico in cui le nostre deduzioni mentali nonriescono a penetrare. Il razionalismo moderno avevacercato in vari modi di neutralizzare ciò che eccedela nostra capacità di misurare il mondo, ossia ciò chenon rientra nelle conoscenze a priori della nostra ra-gione, fino alla grande pretesa del Positivismo di di-chiarare il mistero nient’altro che una superstizione

che la scienza, progredendo, avrebbe inevitabilmentep olverizzato.

La reazione a questa pretesa illusoria ha portatopoi, in alcuni momenti del pensiero novecentesco, ariabilitare il mistero come puro caos, come l’ingover-nabile irrazionale, come il nulla che è sempre prontoa divorarci o anche solo come il sigillo della nostraincapacità esistenziale. Così il mistero o viene estro-messo dalla potenza della ragione che misura tutto,o viene confinato come segno dell’impotenza dellanostra ragione.

Ma la crisi dei nostri giorni — che è anche crisi delnichilismo — ci sfida a mettere a fuoco questa pre-senza del mistero nella nostra vita e per la nostra co-noscenza. Solo che il mistero è scabroso, non è affat-to edificante o sentimentale: esso ci mette alle strettenel capire la consistenza del mondo e di noi stessi e

di SI LV I A GUIDI

Parlare di sociologia poetica, potrebbesuonare inopportuno; sembra un ab-binamento strampalato, pensato soloper attirare l’attenzione, avvicinandomondi che non sembrano avere niente

a che spartire l’uno con l’altro, come versi e sta-tistiche, studi sul reddito medio pro capite e fra-si che hanno solo la musicalità interna alle paro-le come legge. Sembrerebbe una forzatura, senon fosse che un sociologo poeta esiste davvero.Anzi, è il decano dei sociologi italiani, che haavuto come padre spirituale Cesare Pavese, comecompagno di avventura (nel lavoro e nella politi-ca) Adriano Olivetti, come “sparring partner” dipolemiche combattute in punta di fioretto Pier-paolo Pasolini (memorabile l’i n c o n t ro - s c o n t rodel giugno 1974, a Roma sul tema della civiltàcontadina. Ma di questo parleremo più avanti).

Franco Ferrarotti è (anche) un poeta; profes-sore emerito alla Sapienza di Roma, ha tenutolezioni alla New York University, alla Sorbona diParigi, in America latina. Dal 1958 al 1963 è statodeputato nel Parlamento italiano, per il movi-mento Comunità del leggendario imprenditoredi Ivrea. Si è sempre occupato dei problemi dellavoro, della società industriale e postindustriale,della riflessione sul potere e sulla sua gestione,di marginalità umana e urbana, degli ecosistemialternativi degli slums in tutto il mondo, dallebaracche nella zona dell’Acquedotto Felice a Ro-ma alle barriadas del Venezuela, con un’attenzio-ne alle parole, alla tessitura sonora delle frasipronunciate — in svariate lingue diverse — da-vanti a studenti e amici che tradisce la sua voca-zione collaterale di tessitore di versi. Troppopiatta e povera gli era sembrata la prosa per rac-contare il suo primo viaggio in America, nel 1951(che suscitò la preoccupazione del padre, di soli-de radici contadine: «Perché Franco scappa inAmerica, ha ammazzato qualcuno?»). In versi hafissato sulla carta un mese importante della suavita, il dicembre 1947, e il poemetto Regina delsilenzio dato alle stampe non molti anni fa.

Con un maestro come Pavese è difficile noncedere al fascino della poesia e delle grandi do-mande della filosofia, una passione che lasciatraccia anche nei lunghi, vivaci titoli che il socio-logo errante (in senso positivo, nel senso di“viaggiante”) sceglie sempre per i suoi libri: ac-canto all’alato Dalla società irretita al nuovo uma-nesimo (Armando editore, 2019) c’è un più ener-gico Un popolo di frenetici informatissimi idioti(Edizioni Solfanelli, 2016) che mette in guardia

traverso empatia e partecipazione, attraverso sto-rie di vita raccolte sul campo. Certo, è più diffi-cile che elaborare dati statistici, ma è l’unicastrada da percorrere. Ha la funzione di aprircigli occhi sulla realtà effettiva, non su quella im-maginata. Ci sono ingiustizie che gridano ven-detta contro la boria e la sbornia antropocentricatecnofila».

L’indifferenza morale genera mostri, continuail sociologo, citando uno dei suoi poeti preferiti:«“Io è un altro”, diceva Rimbaud, l’identità o èdialogica o non è, se io offendo l’altro in realtàsto facendo del male a me stesso. Ancora ci por-tiamo dietro uno degli errori gravi del Sessantot-to, l’aver confuso lo spontaneismo con la creati-vità. È una prerogativa dell’umano che non siconquista gratis, occorre capire e conoscere sestessi e gli altri in profondità. In questi giorni di

dal rischio della demenza digitale. Leggere larealtà esplorando la profondità delle parole è unmetodo fecondo se ogni intuizione viene passataal vaglio dell’osservazione del reale. In fondo leemergenze, chiosa Ferrarotti, fanno emergere lastruttura profonda di una società, hanno un va-lore epifanico. «L’epidemia ha fatto emergere fe-rite profonde, disuguaglianze sociali enormi neigrandi Paesi che si ritengono ricchi. Ed è un du-ro colpo al delirio di onnipotenza tecnica chestava guadagnando il pianeta, con un gruppo didirigenti e “influenzanti” che si chiudono nel lo-ro presunto benessere, privilegiando valori pura-mente strumentali».

Non serve neanche fare domande sul temadella fraternità, parola per mesi al centro dellariflessione de «L’Osservatore Romano». Ferra-rotti su questo è un fiume in piena: «Nessungiornale al mondo, come voi, ha dedicato tantospazio agli esclusi, agli invisibili. E non soloadesso, anche prima che il virus mostrasse laprofonda unità, l’interdipendenza di tutti gli es-seri umani che passano da questo pianeta. Dav-vero nessuno si salva da solo. E il senso dellaparola comunità deve poggiare su una fonda-mentale uguaglianza che oggi è venuta meno.Nel caso della ricerca sociologica l’oggetto non èun oggetto, è una persona, occorre conoscere at-

quando l’innovazione tecnica è universalmentesalutata e adottata come principio-guida dellosviluppo delle società umane. Sorge il dubbio sesi tratti di sviluppo ragionato, o quanto menoragionevole, o se invece ci si arrenda, inesorabil-mente, al fare per fare che approda inevitabil-mente al caos. Nessun dubbio che la tecnica ab-bia avuto e ancora abbia effetti positivi. Lo svi-luppo è necessario, in questo dissento da Pasoli-ni, nei suoi scritti polemici talvolta dimostravaun aristocratico disprezzo per i problemi reali,quotidiani della gente. Sì allo sviluppo, no aduna espansione predatoria priva di senso. Nes-sun tipo di neo-luddismo è oggi ammissibile, maricordiamoci che la tecnica è una perfezione pri-va di scopo. È in grado di accertare e controllarela correttezza funzionale delle proprie operazioniinterne, ma non può dirci né dove siamo, né do-ve andiamo. La dialettica servo-padrone di He-gel insegna, nel rapporto tra noi e le macchine:quando al servo si delega tutto, il padrone restacompletamente svuotato. Il senso del limite deinostri progenitori, greci e latini, deve essere re-cuperato: ne quid nimis, “nulla in eccesso”. Lecolonne di Ercole inviolabili e il salutare terroredell’àperion, dell’“illimitato”, sono ancora oggipiù che mai attuali».

Page 6: Per gli innocenti che soffrono una sentenza ingiusta...una sentenza ingiusta «Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per l’accanimento»

pagina 6 mercoledì 8 aprile 2020 L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 8 aprile 2020 pagina 7

Le meditazioni per la Via Crucis presieduta dal Papa la sera del Venerdì santo scritte dalla comunità del carcere Due Palazzi di Padova

Contemplare il Calvario da dietro le sbarreDare una visione d’insieme della “ra g n a t e l a ” direlazioni della quale è composto un carcere: èquesto l’intento delle meditazioni scritte dallacomunità della casa circondariale “Due Palaz-zi” di Padova per la Via Crucis che il Papaavrebbe dovuto presiedere al Colosseo. La pan-demia da covid-19 ha invece imposto lo sposta-mento del tradizionale rito del venerdì santo inpiazza San Pietro. E così, mentre il vescovo diRoma ripercorrerà da solo le quattordici stazio-ni, nell’abbraccio del colonnato berninianoecheggeranno le storie di vita che gli autorihanno messo nero su bianco rispondendo all’i n-vito rivolto dal Pontefice alla “p a r ro c c h i a ” delpenitenziario. Cristiani, atei e musulmani insie-me, coordinati dal cappellano don Marco Pozzae dalla giornalista Tatiana Mario, hanno me-ditato sulla Passione di Cristo rendendola at-tuale nelle loro esistenze. I testi — che riportia-mo integralmente di seguito — sono pubblicatiin formato digitale e scaricabili gratuitamentesulla pagina internet della Libreria EditriceVaticana (www.vaticannews.va/it/lev.html),sulla quale continua a essere aggiornato, allaluce dei nuovi interventi del Papa nel contestodella grave situazione in cui tanti Paesi delmondo sono precipitati a causa del coronavirus,il volume digitale Forti nella tribolazione, cu-rato dal Dicastero per la comunicazione, che ègià disponibile anche nella lingua spagnola epresto lo sarà in quelle inglese e francese.

Intro duzione

Le meditazioni della Via Crucisquest’anno sono proposte dallacappellania della Casa di Reclu-sione “Due Palazzi” di Padova.Raccogliendo l’invito di Papa

Francesco, quattordici persone hanno medi-tato sulla Passione di Nostro Signore GesùCristo rendendola attuale nelle loro esistenze.Tra loro figurano cinque persone detenute,una famiglia vittima per un reato di omici-dio, la figlia di un uomo condannato alla pe-na dell’ergastolo, un’educatrice del carcere,un magistrato di sorveglianza, la madre diuna persona detenuta, una catechista, un fra-te volontario, un agente di Polizia Peniten-ziaria e un sacerdote accusato e poi assoltodefinitivamente dalla giustizia dopo otto an-ni di processo ordinario.

Accompagnare Cristo sulla Via della Cro-ce, con la voce rauca della gente che abita ilmondo delle carceri, è l’occasione per assiste-re al prodigioso duello tra la Vita e la Morte,scoprendo come i fili del bene si intreccinoinevitabilmente con i fili del male. Contem-plare il Calvario da dietro le sbarre è credereche un’intera vita si possa giocare in pochiistanti, com’è accaduto al buon ladrone. Ba-sterà riempire quegli attimi di verità: il penti-mento per la colpa commessa, la convinzioneche la morte non è per sempre, la certezzache Cristo è l’innocente ingiustamente deri-so. Tutto è possibile a chi crede, perché an-che nel buio delle carceri risuona l’annunciopieno di speranza: «Nulla è impossibile aDio» (Lc 1, 37). Se qualcuno gli stringerà lamano, l’uomo che è stato capace del criminepiù orrendo potrà essere il protagonista dellarisurrezione più inattesa. Certi che anchequando il male e la sofferenza vengono nar-rati si può lasciare spazio alla redenzione, ri-conoscendo in mezzo al male il dinamismodel bene e dargli spazio (cfr. Messaggio delSanto Padre per la Giornata mondiale delleComunicazioni Sociali 2020).

È così che la Via Crucis diventa una ViaLucis.

I testi, raccolti dal cappellano don MarcoPozza e dalla volontaria Tatiana Mario, sonostati scritti in prima persona, ma si è sceltodi non mettere il nome: chi ha partecipato aquesta meditazione ha voluto prestare la suavoce a tutti coloro che, nel mondo, condivi-dono la stessa condizione. Stasera, nel silen-zio delle prigioni, la voce di uno desidera di-ventare la voce di tutti.

P re g h i a m oO Dio, Padre onnipotente, che in Gesù Cristotuo Figliohai assunto le piaghe e i patimenti dell’umanità,oggi ho il coraggio di supplicarti, come il ladronepentito: “Ricordati di me!”Sto qui, solo davanti a Te, nel buio di questocarcere, povero, nudo, affamato e disprezzato,e ti chiedo di versare sulle mie ferite l’olio delperdono e della consolazionee il vino d’una fraternità che rinsalda il cuore.Curami con la tua grazia e insegnami a sperarenella disperazione.Mio Signore e mio Dio, io credo, aiutami nellamia incredulità.Continua, Padre misericordioso, a confidare inme, a darmi una sempre nuova opportunità,ad abbracciarmi nel tuo infinito amore.Con il tuo aiuto e il dono dello Spirito Santo,anch’io sarò capace di riconoscertie di servirti nei miei fratelli. Amen.

I stazioneGESÙ È C O N D A N N AT O A MORTE

(Meditazione di una persona detenutacondannata all’e rg a s t o l o )

Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimet-tere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Croci-

figgilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza vol-ta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui?Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte.Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà».Essi però insistevano a gran voce, chiedendo chevenisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pi-lato allora decise che la loro richiesta venisseeseguita. Rimise in libertà colui che era statomesso in prigione per rivolta e omicidio, e cheessi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere(Lc 23, 20-25).

Tante volte, nei tribunali e nei giornali,rimbomba quel grido: «Crocifiggilo, crocifiggi-lo!». È un grido che ho sentito anche su dime: sono stato condannato, assieme a miopadre, alla pena dell’ergastolo. La mia croci-fissione è iniziata quando ero bambino: se cipenso mi rivedo rannicchiato sul pulminoche mi portava a scuola, emarginato per lamia balbuzie, senza nessuna relazione. Hoiniziato a lavorare quando ero piccolo, senzapoter studiare: l’ignoranza ha avuto la me-glio sulla mia ingenuità. Il bullismo, poi, harubato sprazzi d’infanzia a quel bambino na-to nella Calabria degli anni Settanta. Somi-glio più a Barabba che a Cristo, eppure lacondanna più feroce rimane quella della miacoscienza: di notte apro gli occhi e cerco di-speratamente una luce che illumini la miastoria.

Quando, rinchiuso in cella, rileggo le pagi-ne della Passione di Cristo, scoppio nel pian-to: dopo ventinove anni di galera non ho an-cora perduto la capacità di piangere, di ver-gognarmi della mia storia passata, del malecompiuto. Mi sento Barabba, Pietro e Giudain un’unica persona. Il passato è qualcosa dicui provo ribrezzo, pur sapendo che è la miastoria. Ho vissuto anni sottoposto al regimerestrittivo del 41-bis e mio padre è morto ri-stretto nella stessa condizione. Tante volte, dinotte, l’ho sentito piangere in cella. Lo face-va di nascosto ma io me ne accorgevo. Era-vamo entrambi nel buio profondo. In quellanon-vita, però, ho sempre cercato un qualco-sa che fosse vita: è strano a dirsi, ma il carce-re è stato la mia salvezza. Se per qualcunosono ancora Barabba, non mi arrabbio: av-verto, nel cuore, che quell’Uomo innocente,condannato come me, è venuto a cercarmi incarcere per educarmi alla vita.

Signore Gesù, nonostante le forti grida che cidistolgono, ti scorgiamo tra la folla di quantiurlano che devi essere crocifisso; e forse tra loroci siamo anche noi, inconsapevoli del male di cuipossiamo essere capaci. Dalle nostre celle voglia-mo pregare il Padre tuo per coloro che come Tesono condannati a morte e per quanti ancoravogliono sostituirsi al tuo supremo giudizio.

P re g h i a m oO Dio, amante della vita, che nella riconci-

liazione ci doni sempre una nuova opportunitàper gustare la tua infinita misericordia, ti sup-plichiamo di infondere in noi il dono della sa-pienza per considerare ogni uomo e ogni donnacome tempio del tuo Spirito e rispettarli nella lo-ro inviolabile dignità. Per Cristo nostro Signore.Am e n .

II stazioneGESÙ È C A R I C AT O DELLA CRO CE

(Meditazione di due genitori ai qualihanno ammazzato una figlia)

I soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nelpretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vesti-rono di porpora, intrecciarono una corona di spi-ne e gliela misero attorno al capo. Poi presero asalutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuo-tevano il capo con una canna, gli sputavanoaddosso e, piegando le ginocchia, si prostravanodavanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lospogliarono della porpora e gli fecero indossare lesue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo(Mc 15, 16-20).

In quell’estate orribile, la nostra vita di ge-nitori è morta assieme a quella delle nostredue figlie. Una è stata ammazzata con l’ami-ca del cuore dalla violenza cieca di un uomosenza pietà; l’altra, sopravvissuta per miraco-lo, è stata privata per sempre del suo sorriso.La nostra è stata una vita di sacrifici, fondatasul lavoro e sulla famiglia. Abbiamo insegna-to ai nostri figli il rispetto per l’altro e il va-lore del servizio verso chi è più povero. Spes-so ci chiediamo: “Perché proprio a noi que-sto male che ci ha travolto?”. Non troviamopace. Neppure la giustizia, in cui abbiamosempre creduto, è stata in grado di lenire leferite più profonde: la nostra condanna allasofferenza resterà fino alla fine.

Il tempo non ha alleviato il peso della cro-ce che ci hanno messo sulle spalle: non riu-sciamo a dimenticare chi oggi non c’è più.Siamo anziani, sempre più indifesi, e siamovittime del peggiore dolore che esista: so-pravvivere alla morte di una figlia.

È difficile da dirsi, ma nel momento in cuila disperazione sembra prendere il soprav-vento, il Signore, in modi diversi, ci viene in-contro, donandoci la grazia di amarci comesposi, sorreggendoci l’uno all’altro pur confatica. Lui ci invita a tenere aperta la portadella nostra casa al più debole, al disperato,accogliendo chi bussa anche solo per unpiatto di minestra. Avere fatto della carità ilnostro comandamento è per noi una formadi salvezza: non ci vogliamo arrendere al ma-le. L’amore di Dio, infatti, è capace di rige-

nerare la vita perché, prima di noi, il suo Fi-glio Gesù ha sperimentato il dolore umanoper poterne sentire la giusta compassione.

Signore Gesù, ci fa tanto male vederti percos-so, deriso e spogliato, vittima innocente di unacrudeltà disumana. In questa notte di dolore, cirivolgiamo supplichevoli al Padre tuo per affi-dargli tutti coloro che hanno subito violenze einiquità.

P re g h i a m oO Dio, nostra giustizia e redenzione, che ci

hai donato il tuo unico Figlio glorificandolo sultrono della Croce, infondi nei nostri cuori la tuasperanza per riconoscerti presente nei momentibui della nostra vita. Consolaci in ogni afflizionee sostienici nelle prove, in attesa del tuo Regno.Per Cristo nostro Signore. Amen.

III stazioneGESÙ CADE PER LA PRIMA V O LTA

(Meditazione di una persona detenuta)

Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudica-vamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egliè stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato perle nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza siè abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi sia-mo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti co-me un gregge, ognuno di noi seguiva la suastrada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniqui-tà di noi tutti (Is 53, 4-6).

È stata la prima volta che sono caduto, maquella caduta è stata per me la morte: ho tol-to la vita ad una persona. È bastato un gior-no per passare da una vita irreprensibile acompiere un gesto nel quale è racchiusa laviolazione di tutti i comandamenti. Mi sentola versione moderna del ladrone che a Cristoimplora: «Ricordati di me!». Più che pentito,lo immagino come uno che è consapevole diessere sulla strada errata. Della mia infanziaricordo l’ambiente freddo e ostile nel qualesono cresciuto: bastava scovare una fragilitànell’altro per tradurla in una forma di diver-timento. Cercavo amici sinceri, volevo essereaccettato per com’ero, senza riuscirci. Soffri-vo per la felicità degli altri, sentivo i bastonitra le ruote, mi chiedevano solo sacrifici e re-gole da rispettare: mi sono sentito un estra-neo per tutti e ho cercato, ad ogni costo, unamia rivalsa.

Non mi ero accorto che il male, lentamen-te, cresceva dentro me. Finché, una sera, èscoccata la mia ora delle tenebre: in un atti-mo, come una valanga, mi si sono scatenatecontro le memorie di tutte le ingiustizie subi-te in vita. La rabbia ha assassinato la genti-lezza, ho commesso un male immensamentepiù grande di tutti quelli che avevo ricevuto.In carcere, poi, l’ingiuria degli altri è diven-tata disprezzo verso me stesso: bastava pocoper farla finita, ero al limite. Avevo condottoanche la mia famiglia nel burrone: per causamia, hanno perso il loro cognome, l’onorabi-lità, sono divenuti soltanto la famigliadell’assassino. Non cerco scusanti né sconti,espierò la mia pena fino all’ultimo giornoperché in carcere ho trovato gente che mi haridato la fiducia perduta.

Non pensare che al mondo esistesse labontà è stata la mia prima caduta. La secon-da, l’omicidio, è stata quasi una conseguen-za: ero già morto dentro.

Signore Gesù, anche tu sei finito in terra. Laprima volta è forse la più dura perché tutto ènuovo: il colpo è forte e lo smarrimento prevale.Affidiamo al Padre tuo coloro che si chiudononelle proprie ragioni e non riescono a riconoscerele colpe commesse.

P re g h i a m oO Dio, che hai sollevato l’uomo dalla sua ca-

duta, ti supplichiamo: vieni in aiuto alla nostradebolezza e donaci occhi per contemplare i segnidel tuo amore disseminati nel nostro quotidiano.Per Cristo nostro Signore. Amen.

IV stazioneGESÙ INCONTRA LA MADRE

(Meditazione della mammadi una persona detenuta)

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, lasorella di sua madre, Maria madre di Clèopa eMaria di Màgdala. Gesù allora, vedendo lamadre e accanto a lei il discepolo che egli ama-va, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!».Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». Eda quell’ora il discepolo l’accolse con sé (Gv 19,25-27).

Nemmeno per un istante ho provato latentazione di abbandonare mio figlio di fron-te alla sua condanna. Il giorno dell’a r re s t otutta la nostra vita è cambiata: l’intera fami-glia è entrata in prigione con lui. Ancora og-gi il giudizio della gente non si placa, è unalama affilata: le dita puntate contro tutti noiappesantiscono la sofferenza che già portia-mo nel cuore.

Le ferite crescono con il passare dei giorni,togliendoci persino il respiro.

Avverto la vicinanza della Madonna: miaiuta a non farmi schiacciare dalla dispera-zione, a sopportare le cattiverie. Ho affidatoa lei mio figlio: solamente a Maria posso

confidare le mie paure, visto che lei stessa leha provate mentre saliva il Calvario. In cuorsuo sapeva che il Figlio non avrebbe avutoscampo al male dell’uomo, ma non l’ha ab-bandonato. Stava lì, a condividerne il dolore,facendogli compagnia con la sua presenza.Immagino che Gesù, sollevando lo sguardo,incrociasse i suoi occhi pieni d’amore e nonsi sentisse mai solo.

Così voglio fare anch’io.Mi sono addossata le colpe di mio figlio,

ho chiesto perdono anche per le mie respon-sabilità. Imploro su di me la misericordia chesolo una madre riesce a provare, perché miofiglio possa tornare a vivere dopo aver espia-to la sua pena. Prego di continuo per luiperché, giorno dopo giorno, possa diventareun uomo diverso, capace di amare nuova-mente se stesso e gli altri.

Signore Gesù, l’incontro con tua Madre, lungoil cammino della croce, è forse il più commoventee doloroso. Tra il suo sguardo e il tuo poniamoquello di tutti i familiari e gli amici che si sen-tono straziati e impotenti per le sorti dei propricari.

P re g h i a m oO Maria, madre di Dio e della Chiesa, fedele

discepola del Figlio tuo, ci rivolgiamo a te, peraffidare al tuo sguardo premuroso e alla custo-dia del tuo cuore materno, il grido dell’umanitàche geme e soffre nell’attesa del giorno in cui sa-rà asciugata ogni lacrima dai nostri volti. PerCristo nostro Signore. Amen.

V stazioneGESÙ VIENE A I U TAT O DAL CIRENEO

(Meditazione di una persona detenuta)

Mentre lo conducevano via, fermarono un certoSimone di Cirene, che tornava dai campi, e glimisero addosso la croce, da portare dietro a Ge-sù (Lc 23, 26).

Con il mio mestiere ho aiutato generazionidi bambini a camminare diritti con la schie-na. Un giorno, poi, mi sono trovato a terra.È stato come se mi avessero rotto la schiena:il mio lavoro è diventato l’appiglio per unacondanna infamante. Sono entrato in carcere:il carcere è entrato a casa mia. Da allora so-no diventato un randagio per la città: hoperso il mio nome, mi chiamano con quellodel reato di cui la giustizia mi accusa, nonsono più io il padrone della mia vita. Quan-do ci penso, mi ritorna alla mente quel bam-bino con le scarpe rotte, i piedi bagnati, i ve-stiti usati: ero io, un tempo, quel bambino.Poi, un giorno, l’arresto: tre uomini in divisa,un rigido protocollo, il carcere che mi in-ghiotte vivo nel suo cemento.

La croce che mi hanno caricato sulle spalleè pesante. Con il passare del tempo ho impa-rato a conviverci, a guardarla in faccia, achiamarla per nome: passiamo notti intere afarci compagnia a vicenda. Dentro le carceriSimone di Cirene lo conoscono tutti: è il se-condo nome dei volontari, di chi sale questocalvario per aiutare a portare una croce; ègente che rifiuta la legge del branco metten-dosi in ascolto della coscienza. Simone di Ci-rene, poi, è il mio compagno di cella: l’hoconosciuto nella prima notte trascorsa in car-cere. Era un uomo che aveva vissuto per annisu una panchina, senza affetti né redditi. Lasua unica ricchezza era una confezione dibrioches. Lui, goloso di dolci, ha insistitoperché la portassi a mia moglie la prima vol-ta che è venuta a trovarmi: lei è scoppiata apiangere per quel gesto tanto inaspettatoquanto premuroso.

Sto invecchiando in carcere: sogno di tor-nare un giorno a fidarmi dell’uomo.

Di diventare un cireneo della gioia perqualcuno.

Signore Gesù, dal momento della tua nascitafino all’incontro con uno sconosciuto che ti haportato la croce, hai voluto aver bisogno del no-stro aiuto. Anche noi, come il Cireneo, vogliamofarci prossimi dei nostri fratelli e delle nostre so-relle e collaborare con la misericordia del Padread alleviare il giogo del male che li opprime.

P re g h i a m oO Dio, difensore dei poveri e conforto degli

afflitti, ristoraci con la tua presenza e aiutaci aportare ogni giorno il dolce giogo del tuo coman-damento d’amore. Per Cristo nostro Signore.Am e n .

VI stazioneVERONICA ASCIUGAIL V O LT O DI GESÙ

(Meditazione di una catechista della parrocchia)

Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il miovolto!».Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermiil tuo volto,non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mioaiuto, non lasciarmi,non abbandonarmi, Dio della mia salvezza (Sal27, 8-9).

Come catechista asciugo tante lacrime, la-sciandole scorrere: non si possono arginare lepiene di cuori straziati. Tante volte incontrouomini disperati che, nel buio della prigione,cercano un perché al male che sembra loro

infinito. Queste lacrime hanno il sapore dellasconfitta e della solitudine, del rimorso e del-la mancata comprensione. Spesso immaginoGesù in carcere al posto mio: come asciughe-rebbe quelle lacrime? Come placherebbel’angoscia di questi uomini che non trovanouna via d’uscita a ciò che sono diventati ce-dendo al male?

Trovare una risposta è un esercizio arduo,spesso incomprensibile per le nostre piccole elimitate logiche umane. La strada suggerita-mi da Cristo è contemplare quei volti sfigu-rati dalla sofferenza, senza provarne paura.Mi è chiesto di restare lì, accanto, rispettan-do i loro silenzi, ascoltando il dolore, cercan-do di guardare oltre il pregiudizio. Esatta-mente come Cristo guarda con occhi pienid’amore le nostre fragilità e i nostri limiti.Ad ognuno, anche alle persone recluse, vieneofferta ogni giorno la possibilità di diventarepersone nuove grazie a quello sguardo chenon giudica, ma infonde vita e speranza.

E in tal modo le lacrime cadute possonodiventare il germoglio di una bellezza cheera difficile anche solo immaginare.

Signore Gesù, la Veronica ha avuto compas-sione di Te: ha incontrato un uomo sofferente eha scoperto il volto di Dio. Nella preghiera affi-diamo al Padre tuo gli uomini e le donne deinostri tempi che continuano ad asciugare le la-crime di tanti nostri fratelli.

P re g h i a m oO Dio, vera luce e sorgente della luce, che

nella debolezza riveli l’onnipotenza e l’e s t re m i s m odell’amore, imprimi nei nostri cuori il tuo volto,affinché sappiamo riconoscerti nei patimentidell’umanità. Per Cristo nostro Signore. Amen.

VII stazioneGESÙ CADE PER LA SECONDA V O LTA

(Meditazione di una persona detenuta)

Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché nonsanno quello che fanno». Poi dividendo le suevesti, le tirarono a sorte (Lc 23, 34).

Quando passavo davanti a un carcere, mivoltavo dall’altra parte: “Tanto io non finiròmai là dentro”, dicevo tra me. Le volte che loguardavo, respiravo malinconia e buio: misembrava di passare accanto a un cimitero dimorti viventi. Un giorno, poi, sono finito iodietro le sbarre, assieme a mio fratello. Comese non bastasse, ho condotto lì dentro anchemio padre e mia madre. Da paese stranieroqual era, il carcere è diventato la nostra casa:

in una cella stavamo noi uomini, in un’altranostra madre. Li guardavo, provavo vergognadi me: non me la sento più di chiamarmi uo-mo. Stanno invecchiando in prigione per col-pa mia.

Sono caduto a terra due volte. La primaquando il male mi ha affascinato e io ho ce-duto: spacciare droga, ai miei occhi, valevapiù del lavoro di mio padre che si spaccavala schiena dieci ore al giorno. La seconda èstata quando, dopo aver rovinato la famiglia,ho cominciato a chiedermi: “Chi sono io per-ché Cristo muoia per me?”. Il grido di Gesù— «Padre, perdona loro perché non sanno quelloche fanno» — lo leggo negli occhi di mia ma-dre: si è accollata la vergogna di tutti gli uo-mini di casa per salvare la famiglia. E ha ilvolto di mio padre che, di nascosto, si dispe-rava in cella. Solo oggi riesco ad ammetterlo:in quegli anni non sapevo quello che facevo.Adesso che lo so, con l’aiuto di Dio, sto cer-cando di ricostruire la mia vita. Lo devo aimiei genitori: anni fa hanno messo all’asta lenostre cose più care perché non volevano chefacessi vita di strada. Lo devo soprattutto ame: l’idea che il male continui a comandarela mia vita è insopportabile. È diventata que-sta la mia via crucis.

Signore Gesù, sei a terra un’altra volta: ap-pesantito dal mio attaccamento al male, dallamia paura di non riuscire a essere una personamigliore. Con fede ci rivolgiamo al Padre tuo elo preghiamo per tutti coloro che non hanno an-cora saputo sfuggire al potere di Satana, a tuttoil fascino delle sue opere e alle sue mille forme diseduzione.

P re g h i a m oO Dio, che non ci lasci nelle tenebre e

nell’ombra della morte, sostieni la nostra debo-lezza, liberaci dalle catene del male e proteggicicon lo scudo della tua potenza, perché possiamocantare in eterno la tua misericordia. Per Cristonostro Signore. Amen.

VIII stazioneGESÙ INCONTRA

LE D ONNE DI GERUSALEMME

(Meditazione della figlia di un uomocondannato alla pena dell’e rg a s t o l o )

Lo seguiva una grande moltitudine di popolo edi donne, che si battevano il petto e facevano la-menti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso diloro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piange-te su di me, ma piangete su voi stesse e sui vo-stri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà:

“Beate le sterili, i grembi che non hanno genera-to e i seni che non hanno allattato”. Allora co-minceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”,e alle colline: “Copriteci!”» (Lc 23, 27-30).

Quante volte, come figlia di una personadetenuta, mi sono sentita rivolgere una do-manda: “Lei è affezionata al papà: pensa maial dolore che suo padre ha causato alle vitti-me?”. In tutti questi anni non mi sono maisottratta alla risposta: “Certo, mi è impossibi-le non pensarci”, dico. Poi faccio anch’io lo-ro una domanda: “Avete mai pensato che ditutte le vittime delle azioni di mio padre iosono stata la prima? Da ventotto anni stoscontando la pena di crescere senza padre”.Per tutti questi anni ho vissuto di rabbia, in-quietudine, malinconia: la sua mancanza èsempre più pesante da sopportare. Ho attra-versato l’Italia da Sud a Nord per stargli ac-canto: conosco le città non per i loro monu-menti ma per le carceri che ho visitato. Misembra di essere come Telemaco quando vaalla ricerca di suo padre Ulisse: il mio è unGiro d’Italia di carceri e di affetti. Anni faho perduto l’amore perché sono la figlia diun uomo detenuto, mia madre è caduta vitti-ma della depressione, la famiglia è crollata.Sono rimasta io, con il mio piccolo stipen-dio, a reggere il peso di questa storia a bran-delli. La vita mi ha costretto a diventare don-na senza lasciarmi il tempo d’essere bambina.A casa nostra è tutta una via crucis: papà èuno di quelli condannati all’ergastolo. Ilgiorno che mi sono sposata, sognavo di aver-lo accanto a me: anche allora mi ha pensatada centinaia di chilometri di distanza. “È lavita!”, mi ripeto per farmi coraggio.

È vero: ci sono genitori che, per amore,imparano ad aspettare che i figli maturino. Ame, per amore, capita di aspettare il ritornodi papà.

Per quelli come noi la speranza è unobbligo.

Signore Gesù, il rimprovero alle donne di Ge-rusalemme lo sentiamo come un monito per cia-scuno di noi. Ci invita alla conversione, passan-do da una religione sentimentalista a una federadicata nella tua Parola. Preghiamo per quantisono costretti a sopportare il peso della vergogna,la sofferenza dell’abbandono, il vuoto di unapresenza. E per ciascuno di noi, affinché non sipermetta che le colpe dei padri ricadano sui fi-gli.

P re g h i a m oO Dio, Padre di ogni bontà, che non abban-

doni i tuoi figli nelle prove della vita, donaci lagrazia di poter riposare nel tuo amore e di gode-re sempre della consolazione della tua presenza.Per Cristo nostro Signore. Amen.

IX stazioneGESÙ CADE PER LA TERZA V O LTA

(Meditazione di una persona detenuta)

È bene per l’uomo portare un giogo nella suagiovinezza. Sieda costui solitario e resti in silen-zio, poiché egli glielo impone. Ponga nella polve-re la bocca, forse c’è ancora speranza. Porga achi lo percuote la sua guancia, si sazi di umilia-zioni. Poiché il Signore non respinge per sempre.Ma, se affligge, avrà anche pietà secondo il suogrande amore (Lam 3, 27-32).

Cadere a terra non è mai piacevole: caderepiù e più volte, poi, oltre che non essere bel-lo diventa anche una sorta di condanna, qua-si che non si sia più capaci di restare in pie-di. Come uomo sono caduto troppe volte: al-trettante volte mi sono rialzato. In carcere ri-penso spesso a quante volte un bambino ca-de a terra prima di imparare a camminare:mi sto convincendo che quelle siano le provegenerali per quando si cadrà una volta diven-tati grandi. Da piccolo ho vissuto il carceredentro casa: vivevo nell’angoscia della puni-zione, alternavo la tristezza degli adulti allaspensieratezza dei bambini. Di quegli anniricordo suor Gabriella, l’unica immagine difesta: fu l’unica ad intravedere il meglio den-tro il mio peggio. Come Pietro ho cercato etrovato mille scuse ai miei errori: il fatto stra-no è che un frammento di bene è sempre ri-masto acceso dentro me.

In carcere sono diventato nonno: mi sonoperso la gravidanza di mia figlia. Un giorno,alla mia nipotina, non racconterò il male cheho commesso ma solamente il bene che hotrovato. Le parlerò di chi, quando ero a terra,mi ha portato la misericordia di Dio. In car-cere la vera disperazione è sentire che nulladella tua vita ha più un senso: è l’apice dellasofferenza, ti senti il più solo di tutti i solitarial mondo. È vero che sono andato in millepezzi, ma la cosa bella è che quei pezzi sipossono ancora tutti ricomporre. Non è faci-le: è l’unica cosa, però, che qui dentro abbiaancora un significato.

Signore Gesù, per la terza volta cadi a terrae, quando tutti pensano che è la fine, ancorauna volta ti rialzi. Con fiducia ci rimettiamonelle mani del Padre tuo e gli affidiamo quantisi sentono imprigionati negli abissi dei propri er-rori, perché abbiano la forza di rialzarsi e il co-raggio di lasciarsi aiutare.

P re g h i a m oO Dio, fortezza di chi spera in Te, che concedi

a chi segue i tuoi insegnamenti di vivere nellapace, sostieni i nostri passi timorosi, rialzaci dal-le cadute delle nostre infedeltà, versa sulle nostre

ferite l’olio della consolazione e il vino della spe-ranza. Per Cristo nostro Signore. Amen.

X stazioneGESÙ È SPO GLIATO

DELLE SUE VESTI

(Meditazione di un’educatrice del carcere)

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, pre-sero le sue vesti, ne fecero quattro parti — unaper ciascun soldato — e la tunica. Ma quellatunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pez-zo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro:«Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chitocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: Sisono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tuni-ca hanno gettato la sorte (Gv 19, 23-24).

Come educatrice penitenziaria vedo entra-re in carcere l’uomo privato di tutto: vienespogliato di ogni dignità a causa delle colpecommesse, di ogni rispetto nei confronti disé e degli altri. Ogni giorno mi accorgo chela sua autonomia viene meno dietro le sbarre:ha bisogno di me anche per scrivere una let-tera. Sono queste le creature sospese che mivengono affidate: degli uomini inermi, esa-sperati nella loro fragilità, spesso privi delnecessario per comprendere il male commes-so. A tratti, però, assomigliano a dei bambiniappena partoriti che possono ancora essereplasmati. Percepisco che la loro vita può ri-cominciare in un’altra direzione, voltando de-finitivamente le spalle al male.

Le mie forze, però, si affievoliscono giornodopo giorno. Essere un imbuto di rabbia, didolore e di cattiverie covate finisce con il lo-gorare anche l’uomo e la donna più prepara-ti. Ho scelto questo lavoro dopo che mia ma-dre è stata ammazzata in un incidente fronta-le da un ragazzo in preda agli stupefacenti: aquel male ho deciso di rispondere da subitocon il bene. Ma pur amando questo lavoro,talora fatico a trovare la forza per portarloavanti.

In questo servizio così delicato, abbiamobisogno di non sentirci abbandonati, per po-ter sostenere le tante esistenze che ci sono af-fidate e che rischiano ogni giorno di naufra-g a re .

Signore Gesù, nel contemplarti spogliato delletue vesti proviamo imbarazzo e vergogna. A par-tire dal primo uomo, infatti, di fronte alla veritànuda abbiamo iniziato a scappare. Ci nascon-diamo dietro maschere di perbenismo e tessiamoabiti di menzogna, spesso, con i logori brandellidei poveri, usati dalla nostra avida sete di de-naro e di potere. Che il Padre tuo abbia pietà dinoi e con pazienza ci aiuti ad essere più sempli-ci, più trasparenti, più veri: capaci di abbando-nare definitivamente le armi dell’ipocrisia.

P re g h i a m oO Dio, che ci rendi liberi con la tua verità,

spogliaci dell’uomo vecchio che fa resistenza innoi e rivestici della tua luce per essere nel mon-do il riflesso della tua gloria. Per Cristo nostroSignore. Amen.

XI stazioneGESÙ È I N C H I O D AT O ALLA CRO CE

(Meditazione di un sacerdote accusatoe poi assolto)

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vicrocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’al-tro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona lo-ro perché non sanno quello che fanno». Poi divi-dendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolostava a vedere; i capi invece lo deridevano di-cendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se èlui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati loderidevano, gli si accostavano per porgerglidell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei,salva te stesso». Sopra di lui c’era anche unascritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno deimalfattori appesi alla croce lo insultava: «Nonsei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’a l t roinvece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcuntimore di Dio, tu che sei condannato alla stessapena? Noi, giustamente, perché riceviamo quelloche abbiamo meritato per le nostre azioni; egliinvece non ha fatto nulla di male». E disse:«Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuoregno». Gli rispose:

«In verità io ti dico: oggi con me sarai nelp a ra d i s o »

(Lc 23, 33-43).

Cristo inchiodato alla croce. Quante volte,da prete, ho meditato su questa pagina diVangelo. Quando poi, un giorno, mi hannomesso in croce, ho sentito tutto il peso diquel legno: l’accusa era fatta di parole durecome chiodi, la salita si è fatta ripida, il pati-mento si è inciso nella pelle. Il momento piùbuio è stato vedere il mio nome appeso fuoridall’aula del tribunale: in quell’attimo ho ca-pito di essere un uomo costretto a dimostrarela sua innocenza, senza essere un colpevole.Sono rimasto appeso in croce per dieci anni:è stata la mia via crucis popolata di faldoni,sospetti, accuse, ingiurie. Ogni volta, nei tri-bunali, cercavo il Crocifisso appeso: lo fissa-vo mentre la legge investigava sulla mia sto-ria.

La vergogna, per un istante, mi ha condot-to al pensiero che sarebbe stato meglio farlafinita. Poi, però, ho deciso di rimanere il pre-

te che sono sempre stato. Non ho mai pensa-to di accorciare la croce, nemmeno quando lalegge me lo concedeva. Ho scelto di sotto-pormi al giudizio ordinario: lo dovevo a me,ai ragazzi che ho educato negli anni del Se-minario, alle loro famiglie. Mentre salivo ilmio calvario, li ho trovati tutti lungo la stra-da: sono diventati i miei cirenei, hanno sop-portato con me il peso della croce, mi hannoasciugato tante lacrime. Assieme a me tantidi loro hanno pregato per il ragazzo che miha accusato: non smetteremo mai di farlo. Ilgiorno in cui sono stato assolto con formulapiena, ho scoperto di essere più felice di die-ci anni fa: ho toccato con mano l’azione diDio nella mia vita. Appeso in croce, il miosacerdozio si è illuminato.

Signore Gesù, il tuo amarci fino alla fine tiha portato sulla Croce. Stai morendo, ma non tistanchi di perdonarci e di darci vita. Affidiamoal Padre tuo gli innocenti della storia che hannosofferto un’ingiusta condanna. Risuoni nei lorocuori l’eco della tua parola:

«Oggi sarai con me in Paradiso».

P re g h i a m oO Dio, fonte di misericordia e di perdono, che

ti riveli nelle sofferenze dell’umanità, illuminacicon la grazia che sgorga dalle piaghe del Croci-fisso e donaci di perseverare nella fede durantela notte oscura della prova. Per Cristo nostroSignore. Amen.

XII stazioneGESÙ MUORE IN CRO CE

(Meditazione di un magistrato di sorveglianza)

Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tuttala terra fino alle tre del pomeriggio, perché il so-le si era eclissato. Il velo del tempio si squarciòa metà. Gesù, gridando a gran voce, disse:«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».Detto questo, spirò (Lc 23, 44-46).

Come magistrato di sorveglianza, non pos-so inchiodare un uomo, qualsiasi uomo, allasua condanna: vorrebbe dire condannarlouna seconda volta. È necessario che l’uomoespii il male che ha commesso: non farlo si-gnificherebbe banalizzare i suoi reati, giustifi-care le azioni intollerabili da lui compiuteche hanno arrecato ad altri sofferenza fisica emorale.

Una vera giustizia, però, è possibile soloattraverso la misericordia che non inchiodaper sempre l’uomo in croce: si offre comeguida nell’aiutarlo a rialzarsi, insegnandogli acogliere quel bene che, nonostante il malecompiuto, non si spegne mai completamentenel suo cuore. Solo ritrovando la sua umani-tà, la persona condannata potrà riconoscerlanell’altro, nella vittima a cui ha provocatodolore. Per quanto il suo percorso di rinasci-ta possa essere tortuoso e il rischio di ricade-re nel male resti sempre in agguato, non esi-stono altre strade per cercare di ricostruireuna storia personale e collettiva.

La rigidità del giudizio mette a dura provala speranza nell’uomo: aiutarlo a riflettere e achiedersi le motivazioni delle sue azioni po-trebbe diventare l’occasione per guardarsi daun’altra prospettiva. Per fare questo, però, ènecessario imparare a riconoscere la personanascosta dietro la colpa commessa. Così fa-cendo, a volte si riesce ad intravedere unorizzonte che può infondere speranza allepersone condannate e, una volta espiata lapena, riconsegnarle alla società, invitando gliuomini a riaccoglierli dopo averli un tempo,magari, respinti.

Perché tutti, anche da condannati, siamofigli della stessa umanità.

Signore Gesù, muori per una sentenza corrot-ta, pronunciata da giudici iniqui e terrorizzatidalla prorompente forza della Verità. Affidiamoal Padre tuo i magistrati, i giudici e gli avvoca-ti, perché si mantengano retti nell’esercizio del lo-ro servizio a favore dello Stato e dei suoi cittadi-ni, soprattutto di quelli che soffrono per una si-tuazione di povertà.

P re g h i a m oO Dio, re di giustizia e di pace, che hai ac-

colto nel grido del Figlio tuo quello dell’i n t e raumanità, insegnaci a non identificare la personacon il male commesso e aiutaci a scorgere in cia-scuno la fiamma viva del tuo Spirito. Per Cri-sto nostro Signore. Amen.

XIII stazioneGESÙ È DEPOSTO DALLA CRO CE

(Meditazione di un frate volontario)

Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe,membro del sinedrio, buono e giusto. Egli nonaveva aderito alla decisione e all’operato deglialtri. Era di Arimatea, una città della Giudea,e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò aPilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dallacroce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in unsepolcro scavato nella roccia, nel quale nessunoera stato ancora sepolto (Lc 23, 50-53).

Le persone detenute sono, da sempre, imiei maestri. Da sessant’anni entro nelle car-ceri come frate volontario e ho sempre bene-detto il giorno in cui, per la prima volta, hoincontrato questo mondo nascosto. In queglisguardi ho compreso con chiarezza che avreipotuto esserci io al posto loro, qualora la mia

vita avesse preso una direzione diversa. Noicristiani cadiamo spesso nella lusinga di sen-tirci migliori degli altri, come se essere nellacondizione di poterci occupare dei poveri cipermettesse una superiorità tale da ergerci agiudici degli altri, condannandoli tutte levolte che vogliamo, senza nessun appello.

Cristo, nella sua vita, ha scelto e volutostare con gli ultimi: ha percorso le periferiedimenticate del mondo in mezzo a ladri, leb-brosi, prostitute, imbroglioni. Ha voluto con-dividere miseria, solitudine, turbamento. Hosempre pensato fosse questo il vero senso diquelle sue parole: «Ero in carcere e siete venutia trovarmi» (Mt 25, 36).

Passando da una cella all’altra vedo lamorte che vi abita dentro. Il carcere continuaa seppellire uomini vivi: sono storie che nonvuole più nessuno. A me Cristo ogni volta ri-pete: “Continua, non fermarti. Prendili inbraccio ancora”. Non posso non ascoltarlo:anche dentro al peggiore degli uomini c’èsempre Lui, per quanto infangato sia il suoricordo. Devo solo porre un argine alla miafrenesia, fermarmi in silenzio davanti a queivolti devastati dal male e ascoltarli con mise-ricordia. È l’unica maniera che conosco peraccogliere l’uomo, spostando dal mio sguar-do l’errore che ha commesso. Solamente cosìpotrà fidarsi e ritrovare la forza di arrendersial Bene, immaginandosi diverso da come orasi vede.

Signore Gesù, il tuo corpo deformato da tantomale, adesso, è avvolto in un lenzuolo e conse-gnato alla nuda terra: ecco la nuova creazione.Affidiamo al Padre tuo la Chiesa, che nasce daltuo fianco squarciato, perché non si arrenda maidavanti all’insuccesso e all’apparenza, ma conti-nui a uscire per portare a tutti il lieto annunciodella salvezza.

P re g h i a m oO Dio, principio e fine di tutte le cose, che

nella Pasqua di Cristo hai redento l’umanitàintera, donaci la sapienza della Croce per poterciabbandonare alla tua volontà, accettandola conanimo lieto e riconoscente. Per Cristo nostro Si-gnore. Amen.

XIV stazioneGESÙ È S E P O LT O

(Meditazione di un agentedi Polizia Penitenziaria)

Era il giorno della Parasceve e già splendevanole luci del sabato. Le donne che erano venute conGesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse os-servarono il sepolcro e come era stato posto ilcorpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepara-rono aromi e oli profumati. Il giorno di sabatoosservarono il riposo come era prescritto (Lc 23,54-56).

Nella mia missione di agente di Polizia Pe-nitenziaria, ogni giorno tocco con mano lasofferenza di chi vive recluso. Non è facileconfrontarsi con chi è stato vinto dal male eha inferto ferite enormi ad altri uomini, com-plicando le loro esistenze. Eppure, in carcere,l’indifferenza crea ulteriori danni nella storiadi chi ha fallito e sta pagando il proprio con-to alla giustizia. Un collega, che mi è statomaestro, ripeteva spesso: “Il carcere ti tra-sforma: un uomo buono può diventare unuomo sadico. Un malvagio potrebbe diventa-re migliore”. Il risultato dipende anche dame e stringere i denti è essenziale per rag-giungere l’obiettivo del nostro lavoro: dareun’altra possibilità a chi ha favorito il male.Per tentare questo, non posso limitarmi adaprire e chiudere una cella, senza farlo conun pizzico di umanità.

Rispettando i tempi di ciascuno, le relazio-ni umane possono rifiorire piano piano an-che dentro questo mondo pesante. Si tradu-cono in gesti, attenzioni e parole capaci difare la differenza, anche se pronunciate abassa voce. Non mi vergogno di esercitare ildiaconato permanente vestendo la divisa del-la quale vado orgoglioso. Conosco la soffe-renza e la disperazione: le ho provate dabambino su di me. Il mio piccolo desidero èessere un punto di riferimento per chi incon-tro tra le sbarre. Ce la metto tutta per difen-dere la speranza di gente rassegnata a se stes-sa, spaventata al pensiero di quando un gior-no uscirà e rischierà di essere rifiutata ancorauna volta dalla società.

In carcere ricordo loro che, con Dio, nes-sun peccato avrà mai l’ultima parola.

Signore Gesù, ancora una volta sei consegnatoalle mani dell’uomo, questa volta però, ad acco-glierti sono le mani amorevoli di Giusepped’Arimatea e di alcune pie donne venute dallaGalilea, che sanno che il tuo corpo è prezioso.Queste mani rappresentano le mani di tutti colo-ro che non si stancano mai di servirti e che ren-dono visibile quell’amore di cui l’uomo è capace.è proprio questo amore che ci fa sperare nellapossibilità di un mondo migliore: basta soltantoche l’uomo sia disposto a lasciarsi raggiungeredalla grazia che viene da Te. Nella preghiera,affidiamo al Padre tuo, in modo particolare,tutti gli agenti della Polizia Penitenziaria equanti collaborano a diverso titolo nelle carceri.

P re g h i a m oO Dio, eterna luce e giorno senza tramonto,

ricolma dei tuoi beni coloro che si dedicano allatua lode e al servizio di chi soffre, negli innume-revoli luoghi di dolore dell’umanità. Per Cristonostro Signore. Amen.

Gentile da Fabriano, «Crocifissione» (1410)

Page 7: Per gli innocenti che soffrono una sentenza ingiusta...una sentenza ingiusta «Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per l’accanimento»

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 mercoledì 8 aprile 2020

A costo di bruciarsile dita

Il 9 aprile 1945 l’uccisione di Dietrich Bonhoeffer nel lager di Flossenbürg

Il 13 aprile di vent’anni fa moriva Giorgio Bassani

Al di làdi quel muro

Nel destino della famiglia ebreadei Finzi-Continisi specchia la tragica fine di un’epocaDalla bellezza di un giardinoall’orrore dei forni crematori

Nell’ora della tempesta

On-line gratuitamente su Vaticannews.va l’archivio di audiolibri di Radio vaticana

Per tenersi in movimento (almeno col cervello)

di DIETRICH BONHOEFFER

Comprendete l’ora della tempesta e delnaufragio, è l’ora della inaudita prossimità diDio, non della sua lontananza. Là dove tuttele altre sicurezze si infrangono e crollano etutti i puntelli che reggevano la nostraesistenza sono rovinati uno dopo altro, làdove abbiamo dovuto imparare a rinunciare,proprio là si realizza questa prossimità diDio, perché Dio sta per intervenire, vuolessere per noi sostegno e certezza. Eglidistrugge, lascia che abbia luogo ilnaufragio, nel destino e nella colpa; ma inogni naufragio ci ributta su di Lui. Questo civuole mostrare: quando tu lasci andare tutto,quando perdi e abbandoni ogni tuasicurezza, ecco, allora sei libero per Dio etotalmente sicuro in Lui. Che solo ci sia datodi comprendere con retto discernimento letempeste della tribolazione e dellatentazione, le tempeste d'alto mare dellanostra vita! In esse Dio è vicino, nonlontano, il nostro Dio è in croce. La croce èil segno in cui la falsa sicurezza vienesottoposta a giudizio e viene ristabilita lafede in Dio.

Storico del cristianesimo

Addio a Jacques Le Brun

Lo storico francese Jacques Le Brun, specialista instoria del cristianesimo e letteratura religiosadell’età moderna, è morto il 6 aprile a Parigi percomplicazioni dovute all’infezione da coronavirus.L’annuncio della scomparsa è stato dato dal suoeditore Le Seuil. Nato a Parigi il 18 maggio 1931 elaureato alla Sorbona, Le Brun esordì comegiovane studioso dedicando le sue primepubblicazioni all’analisi della figura e del pensierodel predicatore Jacques Bénigne Bossuet. Curatorescientifico delle opere e della corrispondenza diFrançois de Salignac de La Mothe-Fénelon perl’editore parigino Gallimard, Le Brun ha insegnatostoria del cattolicesimo moderno presso la ÉcolePratique des Hautes Etudes di Parigi, di cui è statodirettore della sezione di Scienze religiose. Autoredi numerose monografie, libri e articoli dedicatialla mistica (e in particolare alla spiritualiàfemminile del XVII secolo) ha collaborato a diversecollectanea anche in italiano, tra cui la Nuova storiadella Chiesa pubblicata da Marietti nel 1970, eEsperienza religiosa e scritture femminili tra Medioevoed età moderna (Bonanno editore, 1992). «Unpensatore generoso e originale — ha scritto di luisu Twitter lo storico Jean-Pascal Gay, esprimendotutta la sua ammirazione e gratitudine — una diquelle persone che non smettono mai di farvipensare “altrimenti”, di aprire spazi, come queimistici di cui era il nostro più grande specialista».Anche Sean James Rose, parlando dei suoi libri,descrive un’opera «appassionante, in un’epoca chesi picca di essere razionale in cui parole come Dioanima e grazia sono percepite come metafore».

di ERALD O AF F I N AT I

Il 9 aprile 1945 Dietrich Bonhoeffer venneimpiccato nel lager di Flossenbürg. Avevatrentanove anni. Insieme a lui c’eranol’ammiraglio Canaris, il generale Oster, ilgiudice Sack e il capitano Gehre. Da

quando la Gestapo aveva scoperto negli archivi diZossen alcuni documenti che dimostravano il lorocoinvolgimento nel fallito attentato contro Hitlerdel 20 luglio 1944, queste persone non ebberoscampo. Se le avevano lasciate ancora vive, era so-lo perché i nazisti speravano di poter ricavare del-le informazioni da qualcuno di quei detenuti ec-cellenti. In particolare l’ordine di uccidere Bo-nhoeffer partì dal Führer in persona, rinchiuso nelbunker di Berlino.

Stiamo parlando di un pastore luterano, unodei più grandi teologi del Novecento: definizionecorretta, benché insufficiente. Molti anni fa, altermine di un viaggio, consapevolmente spericola-to, sulle sue tracce, mi chiesi cosa avessi imparatoda lui. «Spendersi, contar niente, sporcarsi le ma-ni, lasciarsi trafiggere dal punto di vista altrui, es-sere pronto a perdere tutto e ricominciare da ca-po»: ecco le prime risposte che mi vennero inmente. Ognuna di esse ha continuato ad aprire,dentro di me, proficue risonanze: ma sempre piùmi accorgo che queste parole vanno riconquistateogni giorno, quasi fossero cime impervie. Non sipossono dare per acquisite.

Nella primavera del 1924 Dietrich, con il fratel-lo Klaus, compì un viaggio in Italia, fermandosiin particolare nella capitale. Nel diario non mancòdi annotare due visite alla basilica di Santa MariaMaggiore: «Ho visto con piacere così tanti voltiseri, per i quali non vale tutto ciò che si dice con-tro il cattolicesimo. È molto toccante vedere cheanche i bambini si confessano con autentico fervo-re » .

Sin da ragazzo sentì l’inadeguatezza di qualsiasiformula precostituita. Voleva toccare con mano lecose, a costo di bruciarsi le dita: superò quindi lapura dimensione verbale per affrontare la realtà.

Tutta la sua esistenza si configura comeun’espansione d’energia che lo spinse ad abban-donare, alla maniera di un rottame sul bagnasciu-ga, la semplice cura di sé: dalle lezioni accademi-che di Adolf von Harnack alla scoperta del DonChisciotte, dalle aule universitarie ai casali di Fin-kenwalde, dalle corride di Barcellona alle chiesenere di Harlem, dalla vanità personale alla pienaconsapevolezza del destino comune. Bonhoeffer,come avrebbe fatto un uomo in corsa che perdesangue, restò nel fuoco dialettico della terribilecontroversia storica in cui si trovò a vivere, senzacredere di poter conservare una coscienza imma-colata: la mise anzi costantemente a rischio nellerelazioni personali, a costo di alienarsi le simpatiedi chi gli stava accanto, ad esempio Karl Barth, ilsuo primo mentore.

Ciò avvenne nelle scelte supreme (il ritorno da-gli Stati Uniti nel 1939, l’estrema accettazione tra-gica di Schőnberg, in Baviera, quando gli sca-gnozzi di Hitler lo prelevarono per l’ultima voltaper destinarlo al patibolo); ma soprattutto nellaquotidianità, pubblica (i congressi ecumenici deglianni Trenta, la cattedra e il pulpito) e privata (ilculto dell’amicizia, la passione familiare, il fidan-zamento con Maria von Wedemeyer).

La prospettiva che si fa largo in lui a partire daicapitoli raccolti nell’Etica, specie quello centraledal titolo La struttura della vita responsabile, ciconsegna l’immagine dell’uomo completo, integra-ta, negli anni del carcere, anche dalla letturadel Witiko, celebre romanzo di Adalbert Stifter:uno dei lasciti più appassionanti della straordina-ria testimonianza bonhoefferiana. Come dobbia-mo intendere tale indicazione? Non l’individuodelle possibilità, bensì quello dei limiti. E dellatragica consapevolezza del male, nel segno dellastatua del Laocoonte, ammirata sin da ragazzo aiMusei vaticani e subito collegata a Isaia, “uomodei dolori”. Basta entrare in quest’ottica per usciredalla vulgata vitalistica novecentesca del viaggiosenza ritorno, del deragliamento dei sensi, dell’ar-bitrio analogico.

La persona a cui pensa Dietrich Bonhoeffernon esegue un programma teorico stabilito in an-ticipo a tavolino, neppure si limita a svilupparearmonicamente le sue attitudini, fossero anchespeciali e rare. Accetta se stesso dentro la sequeladi Cristo, rigettando il criterio del successo (intesocome riuscita) quale misura e giustificazione deipropri gesti. Aderisce al mondo delle cosenell’esercizio di una responsabilità attiva dallaquale sarebbe vano pretendere una salvaguardiaindividuale.

La fede non è una polizza d’assicurazione. LaChiesa non è una farmacia. Dio non è un tutore.E neppure un tappabuchi. Dobbiamo crescere, di-ventare autonomi, maggiorenni, uscire con risolu-tezza dall’eterna indecisione, dagli ossimori cheparalizzano, dai discorsi retorici, mettendoci allespalle tutti gli alibi interiori. Un uomo così risultavulnerabile perché disposto, nell’imitazione evan-gelica, a prendere su di sé la colpa; dire la veritànon significa semplicemente dirla: bisogna tenerpresente le conseguenze che si producono. Chi vi-ve sbaglia.

L’azione veramente significativa non scaturiscedalla virtù privata, paga di se stessa, ma cerca adogni costo lo sguardo dal basso: quello degliesclusi, dei maltrattati, degli impotenti, degli op-pressi e dei derisi, in una parola, dei sofferenti.Sono questi i grandi temi presenti nelle sue operefondamentali: Vita comune, Sequela, Etica e so-

prattutto Resistenza e resa, un libro che può dav-vero cambiare la vita di chi lo legge, composto nelcarcere berlinese di Tegel, sotto i bombardamentidell’aviazione alleata. Le azioni senza verifica so-no destinate a fallire, ma anche le parole prive diriscontri si trasformeranno presto in piante a cuimanca l’acqua. Spugne secche. Sterili vaticinii. Fi-no alla dichiarazione più bella: «Per chi è respon-sabile la domanda ultima non è: come me la cavoeroicamente in quest’affare, ma: quale potrà esserela vita della generazione che viene».

di MARCELLO FILOTEI

In questi giorni di clausuraforzata si ha l’impressione diavere il tempo di fare tutto

quello che abbiamo rimandato inpassato. Pensiamo a volte di esseredei grandi lettori che semplicementenon hanno modo di coltivare questapassione. Non sempre è così,almeno non per tutti. A volte c’èbisogno di una voce che ciaccompagni, che rompa il silenzio eci racconti una storia. Anche aquesto possono servire gli audiolibrimessi a disposizione daVaticannews.va. Si tratta di una verae propria biblioteca sonora trattadagli archivi della Radio Vaticana.Romanzi, diari spirituali, fiabe,grandi classici della letteraturaitaliana e internazionale classica emoderna, restituiscono una galleriadi personaggi, di storie, diambientazioni e di riflessioni chepossono essere di grande stimolo inmomenti come questi, quando ilpensiero ha il tempo di dispiegarsi ecerca continuamente appigli perstabilire relazioni tra le cose.Consultabile secondo vari criteri discelta, l’archivio spazia da I cavalieridella tavola rotonda di Chrétien deTroyes ad Anna Karenina di Lev

Tolstoj, da Cronaca familiare diVasco Pratolini a C u o re di EdmondoDe Amicis, fino alle fiabe di OscarWilde Di principi e usignoli, e aEugenio Onegin di AleksandrPushkin passando per Gita al farodi Virginia Woolf. L’elenco sarebbetroppo lungo da riportare, maognuno ci potrà trovare qualcosa diadatto al proprio modo di essere, auno stato d’animo, a un’esigenzaimprovvisa. Si fa però assolutodivieto di utilizzarli per favorire ilsonno, a meno che la pratica nonfosse già invalsa con il cartaceo. Inrealtà secondo gli ultimi studi i librida ascoltare fanno parte di unanuova tendenza culturale, erappresentano anche un mercatodestinato a cambiare le abitudini difruizione avvicinando un pubblicodiverso. Si tratta di un segmento difruizione situato in una terra dimezzo tra chi subisceirrimediabilmente il fascino dellepagine da sfogliare e chi nonrinuncia alla comodità dei contenution demand sullo smartphone, travideo e piattaforme musicali.Complici e incentivi per aziende eascoltatori sono senza dubbio idispositivi tecnologici adisposizione, i formati e i supporti

digitali, che tengono vivaun’industria che esiste da 30 anni,ma che a subìto un’accelerazionesolo di recente. A lungo c’è statadiffidenza verso questa nuova formadi divulgazione della letteratura, eanche per questo alcuni scienziatihanno tentato di verificare serealmente l’apprendimento fossediverso tra la lettura e l’ascolto.Pare di no. Secondo uno studiocondotto dall’Università dellaCalifornia e pubblicato sul «Journalof Neuroscience», a livello praticonon cambierebbe quasi nulla. Leinformazioni semantiche vengonoelaborate in modo simile. Quandoleggiamo o ascoltiamo una parolaalcune regioni del nostro cervello siattivano in modo analogo e le duemodalità stimolano le stesse areeemozionali e cognitive. L’a u d i o l i b rodiventa quindi a pieno titolo unostrumento di conoscenza, una voceche ci segue in macchina, quandopotremo guidarla di nuovo, mentrefacciamo jogging, ma non subito, odurante i pomeriggi casalinghi.Anche per questo l’iniziativa diVaticannews.va può aiutare autilizzare questo tempoapparentemente fermo per metterciin movimento. Almeno il cervello.

Dietrich Bonhoeffer in un disegno pubblicato su Anglicanforum

di GABRIELE NICOLÒ

«E così io rinunciaia Micol». Il cul-mine dello strug-gimento per unamore, già nutrito

da bambino, mai veramente corrispo-sto si specchia in questa frase cheapre uno dei capitoli più coinvolgentie amari de Il giardino dei Finzi Contini(1962) il capolavoro di Giorgio Bassa-ni, vincitore del premio Viareggio. Èlui l’io narrante di un’opera (s’inseri-sce nella trilogia de Il romanzo di Fer-ra ra ) che racconta la parabola di unaricca famiglia ebrea dell’alta borghesiai cui componenti saranno deportati —in seguito all’approvazione delle leggirazziali — prima a Fossoli e poi inGermania, nei campi di concentra-mento nazisti, dove troveranno lamorte.

Era un promettente pianista loscrittore bolognese, di cui il 13 aprilericorrono i vent’anni della morte, maquell’armonia, severa e dolce al con-tempo, di cui dava prova mentre lesue dita scorrevano sui tasti del piano-forte, si trasfuse ben pesto nella pagi-na: le sue dita allora cominciarono amuoversi leggiadre sui testi della mac-china per scrivere. Anche l’io narranteè ebreo (lui però appartiene alla me-dia borghesia) come lo era Bassani:alcuni suoi parenti furono deportatinel campo di concentramento di Bu-chenwald. La travagliata storia diamore per Micol — che della dinastiadei Finzi-Contini costituirebbel’espressione più luminosa e più can-dida — intende simboleggiare il tra-monto di un’epoca, dapprima spensie-rata e poi travolta dalla furia nazista.

Un’epoca che trova una singolareespressione in quel muro che l’io nar-rante, all’inizio dell’opera, quandotutto andava bene, non aveva avuto ilcoraggio di scavalcare. Quel muroproteggeva il giardino dei Finzi-Con-tini e su quel muro stava a cavalcionila giovane Micol, che lo invitava a sa-lire, a mettersi accanto a lei per poi ri-discenderlo dall’altra parte.

Ma lui, assai timido, troppo timido,non aveva mai avuto il coraggio diabbandonarsi all’esortazione di Micol,quella ragazza tanto colta che amavala letteratura, in particolare EmilyDickinson (sulla quale avrebbe poi in-centrato la sua tesi di laurea). Verso laconclusione del romanzo, quando siritroverà a passare davanti a quel mu-ro, deciderà di scavalcarlo. Sembraquasi un paradosso. L’iniziativa laprende quando non c’è più l’amataMicol che lo invita a salire. Ma la suanon è un’impresa vana. Scavalcatoquel muro, infatti scoprirà, o pensa diaver scoperto (non ne avrà mai la cer-tezza) che Micol — una scala sospettastarebbe lì a confermarlo — si vedevadi nascosto con un amico di famiglia,Malnate, per fuggevoli e furtivi incon-tri di amore. Forse allora la ragazzanon rappresentava proprio l’e s p re s s i o -

tini, delle risate e anche delle benevo-le canzonature scambiatesi l’un l’a l t rosi spegneva lungo la scia di una de-portazione che muoveva da un fanta-stico giardino per finire nelle foschetenebre di un forno crematorio.

Nel recensire l’opera «The NewYork Times Review of Books» sottoli-neava che il giardino di quella fami-glia di ebrei era come «un paradisoperduto», con tutte i suoi incanti e lesue ambiguità, un luogo in cui echeg-giava il verbo miltoniano.

Quell’armonia severa che caratteriz-za quest’opera pervade anche gli altridue libri che formano la trilogia de Ilromanzo di Ferrara, ovvero Gli occhialid’o ro e Cinque storie ferraresi. Dentro lem u ra . Il primo racconta la storia diAthos Fadigati, un medico trasferitosida Venezia a Ferrara, stimato per lesue capacità e per la sua cultura, maemarginato per la sua latente omoses-sualità. Un’emarginazione che si acui-rà quando avrà una relazione con ilbellimbusto, scapestrato ed egoistaEraldo Deliliers. Questi fuggirà con isuoi beni, dopo averlo raggirato, eFadigati, trovatosi sempre più solo inuna Ferrara che non ne vuole sapereniente di lui, arriverà al suicidio.

Altrettanto plumbea è l’atmosferache avvolge le cinque storie ferraresied evocata con una prosa raffinata edelegante. Ferrara assurge a simbolodell’Italia intera. In questa città diprovincia, infatti, solo in superficiecalma e ordinata, ribolle una doppiarealtà, riscontrabile in altri nevralgicicontesti della Penisola. A tale riguar-do il «New York Times», nel necrolo-gio di Bassani, evidenziava che il rap-porto fra lo scrittore e Ferrara richia-mava quello che lega William Faul-kner e Tennessee Williams con il DeepSouth degli Stati Uniti. Vale a dire unrapporto di grande amore, nutrito alcontempo della consapevolezza che sitratta di un «amore malato», perchécostantemente insidiato e minato da-gli influssi malefici e nocivi della sto-ria.

Le cinque storie ferraresi denuncianodunque due scenari complementari.Da un lato vi sono gli strascichi diuna dittatura fascista in dissoluzione,che scatena per frustrazione — deri-

ne luminosa e candida della rispettatafamiglia dei Finzi-Contini.

Quel muro serve quindi a segnareun decisivo momento di consapevo-lezza nella mente dell’io narrante.L’averlo scavalcato, da solo e senzaun valido motivo apparente, rappre-sentava come un segno del destino,che lo portava a comprendere senzainfingimenti, con una crudezza indif-ferente a ogni pietà, che non solo erafinito un amore, ma, appunto,un’epoca. Non più partite a tennis se-guite da squisiti cocktail, ma l’amaraepifania che svelava una realtà terribi-le. L’eco dei discorsi fatti con i com-ponenti della famiglia dei Finzi-Con-

vante dalla consapevoledell’imminente sua disgre-gazione — una violenza tan-to tragica quanto inutile.D all’altro, la reazione soloformale e non sostanziale, aquesta violenza. Sul finiredella seconda guerra mon-diale saranno intentati pro-cessi contro i gerarchi fasci-sti ma, lamenta Bassani, sa-ranno processi farsa, chenon cambieranno certo ilcorso della storia e, soprat-

tutto, non faranno — come si sarebbe-ro auspicato — vera giustizia. L’a u t o relancia quindi un appello agli italiani,perché quello che è successo a Ferraraè accaduto anche in altri parti delPaese. Il richiamo è a non essere «di-stratti» e a conservare, nel segno diun fondamentale principio morale edetico, la memoria dei pochissimi attidi coraggio che si sono stagliati inuno scenario al contrario caratterizza-to da opportunismi, scelte vili e grigieipocrisie. Atti di coraggio compiuti dacoloro che avevano cercato di ribellar-si e di sottrarsi a un giogo impostoper soffocare ogni forma di libertà ereprimere ogni anelito di pace.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 9 mercoledì 8 aprile 2020

di CHARLES DE PECHPEYROU

«A riège bien-aimée: unalettura di Querida Ama-zonia»: questo è il titolo

di un articolo scritto da monsignorJean-Marc Eychenne, vescovo di Pa-miers, Couserans et Mirepoix, unadiocesi “di periferia”, situata nellaregione Occitania, alle pendici deiPirenei, a ottocento chilometri daParigi. Sempre meno abitanti e sa-cerdoti, forte povertà, disoccupazio-ne crescente, insomma — ne è con-vinto il suo pastore — una nuovaterra di missione. «Leggendo l’ulti-ma esortazione apostolica post-sino-dale di Papa Francesco sull’Amazzo-nia — racconta il presule in un testopubblicato sul sito Internet della suadiocesi — e osservando che moltipunti sollevati potevano applicarsi,quasi alla lettera, alla situazione del-la nostra diocesi, mi è venuto inmente di provare a immaginare disostituire la parola Amazzonia conla parola Ariège, con un risultatosorprendente: le parole del SantoPadre sembrano indirizzate proprioa noi!».

Sia ben chiaro, prosegue monsi-gnor Eychenne, l’Ariège — cioè il di-partimento che comprende il territo-rio della diocesi, «non è l’Amazzo-nia e pensarlo, oltre che ad essereinsulso, non sarebbe rispettoso né

per la popolazione amazzonica néper quella della nostra diocesi».«Tuttavia, noi riteniamo che se ilPapa ha scelto di indirizzare questalettera non solo agli abitanti di que-sta regione del mondo, ma all’insie-me del popolo di Dio e a tutte lepersone di buona volontà, è pro-prio perché siamo tutti coinvolti.Non c’è dubbio che le grandi intui-zioni antropologiche, teologiche epastorali che il Santo Padre haespresso fin dall’inizio del suo pon-tificato sono qui “incarnate” in unaterra specifica. Però si possono ap-plicare, mutatis mutandis, anche allanostra realtà».

A «L’Osservatore Romano», ilvescovo di Pamiers, Couserans etMirepoix spiega il motivo della suainiziativa: «L’idea di scrivere questoeditoriale mi è venuta leggendo ipassaggi dell’esortazione sulle sfideecclesiastiche, anche se i passaggiconsacrati alle sfide culturali sonoparticolarmente interessanti per ilnostro territorio, che ha una grandediversità culturale, ricca di personein ricerca di spiritualità e che non siritrovano nelle Chiese cattoliche,protestanti o ortodosse. In partico-lare siamo estremamente sensibiliall’invito di Papa Francesco a pro-muovere una Chiesa che si appog-gia sul battesimo, quindi sui laici,come d’altronde lo abbiamo espres-so in un piccolo documento a usodiocesano diffuso per suscitare unp o’ dovunque nel dipartimento le“fraternità cristiane”. Quando ilPontefice chiede alla Chiesa inAmazzonia di riconoscere la neces-sità di rafforzare e ampliare gli spa-zi di partecipazione del laicato,possiamo considerare che questoappello viene anche rivolto alla no-stra diocesi di Pamiers». «L’Ariègesi aspetta dalla Chiesa uno sforzoparticolare di presenza capillare sulterritorio, che è realizzabile soltantoattribuendo ai laici un ruolo impor-tante, una presenza in ogni villag-gio», sottolinea il presule francese,che non manca di ricordare a ognibattezzato «che non abbiamo pretia sufficienza e che spetta perciò aifedeli il compito di far riflettere ilvolto di Cristo sul territorio». Inol-tre, spiega il vescovo, «questo lavo-ro di “trasp osizione” del messaggiocontenuto nell’esortazione mira asuscitare l’attenzione dei fedeli dellenostre terre di antica tradizione cri-stiana e incoraggiare le persone che

si interrogano su come annunciare ilVangelo. Spontaneamente, a primavista, l’esortazione, per fortuna ac-cessibile a tutti grazie alla rete, nonlascia pensare che si possano seguirequi da noi le piste suggerite da PapaFrancesco (anche se la Guyana fran-cese fa parte del territorio amazzoni-co), eppure è così».

Ma quali sono concretamente ipunti comuni tra il piccolo diparti-mento dell’Ariège e l’immensitàdella foresta amazzonica? Vi si pos-sono realizzare i quattro sogni — so-ciale, culturale, ecologico ed eccle-siale — che l’Amazzonia ispira alSanto Padre? «Sogno un’Amazzo-nia che lotti per i diritti dei più po-

L’esortazione «Querida Amazonia» vale anche per le diocesi del vecchio continente

Tutti nella stessa barcaveri, dei popoli originari, degli ulti-mi, dove la loro voce sia ascoltata ela loro dignità sia promossa», dice ilPapa. «Con oltre il venti per centodella popolazione che vive sotto lasoglia della povertà, anche gli abi-tanti della nostra regione sono colpi-ti da questo fenomeno, spesso ac-compagnato da problemi di salute olegati alla vecchiaia, alla solitudine,all'immigrazione», risponde il presu-le francese. «Sogno un’Amazzoniache difenda la ricchezza culturaleche la distingue, dove risplende informe tanto varie la bellezza uma-na», prosegue il Santo Padre nellasua esortazione apostolica. Bastatrascorrere qualche settimananell’Ariège per scoprire che vi è unagrande avversione alla mondializza-zione, fattore di livellamento cultu-rale, gli fa eco monsignor Eychenne.All’Amazzonia che custodisce «gelo-samente l’irresistibile bellezza natu-rale che l’adorna, la vita traboccanteche riempie i suoi fiumi e le sue fo-reste», poi, il vescovo paragona ilsuo territorio che «ha cercato di re-sistere all’industrializzazione del-l’agricoltura, e che da qualche annoaccoglie nuove persone in cerca diun ambiente più naturale, una vitapiù genuina». Ecco perché — nota —una delle sfide per la Chiesa inAriège consiste nel continuare a es-sere vicina alla popolazione localetradizionale, che spesso pratica unareligiosità popolare, e anche ai “neocontadini”, in cerca di spiritualità,generalmente più attratti dalle spiri-tualità asiatiche o orientali e chenon si ritrovano nella grandi istitu-zioni cattoliche o protestanti. Quan-do, infine, il Papa sogna «comunitàcristiane capaci di impegnarsi e diincarnarsi in Amazzonia, fino al

punto di donare alla Chiesa nuovivolti con tratti amazzonici», il pre-sule francese invita anche lui i fedelidella sua diocesi, «un tempo con-traddistinta da una forte presenza dipreti e comunità religiose, che dava-no una forte visibilità alla Chiesa, acercare altri modi di diffondere ilvolto del Cristo». Riguardo a que-st’ultimo capitolo dell’esortazione,dedicato al “sogno ecclesiale”, unpassaggio in particolare ha richiama-to l’attenzione del presule francese,quando il Papa auspica un maggiorsviluppo «di un necessario processodi inculturazione». «Come l’Amaz-zonia, anche l’Ariège — prosegue nelparallelo monsignor Eychenne — habisogno di inculturazione: abbiamouna cultura locale molto particolare,legata alla nostra storia, alla distan-za geografica e politica dalla capita-le, al nostro territorio di montagnache ha forgiato la nostra tempra. Danoi si parla ancora l’occitano, ci so-no vari dialetti, e ci vuol tempo perscoprire le usanze e il modo di vive-re locali, dunque è necessario un ve-ro lavoro di inculturazione per far sìche il Vangelo sia spogliato dai suoiapparati culturali per essere trasmes-so nella sua essenza».

«Anche se si deve tener conto diculture lontane l’una dall’altra, diterritori con caratteristiche così di-verse — conclude monsignorEychenne — appare molto evidenteche il mondo è un villaggio e cheper la nostra Chiesa le difficoltà daaffrontare sono dovunque le stesse.Di fronte alle sfide del mondo con-temporaneo siamo tutti nella stessabarca, dobbiamo adattarci alle nuo-ve esigenze, pur restando fedeliall’essenziale della tradizione».

Le Chiese in Europa sui programmi di formazione

Strategiadell’inclusione

BRUXELLES, 7. Un appello ai deci-sori politici affinché prendano mi-sure per una maggiore integrazionedei programmi europei per i giova-ni e per l’educazione nei giorniscorsi è stato lanciato — attraversoun documento congiunto dal titolo«Inclusive youth and educationprogrammes» — da numerose istitu-zioni cristiane, tra le quali la Come-ce, la Don Bosco Youth-Net, la reteeuropea delle organizzazioni giova-nili salesiane, la Chiesa evangelicatedesca, la Federazione dei giovaniprotestanti in Germania, l’Ufficioeuropeo per l’educazione dei giova-ni e degli adulti, e Eurodiaconia,una rete europea di Chiese e ongcristiane che offrono servizi socialie sanitari. Un appello che alla lucedella pandemia e in vista del suosuperamento, assume un’imp ortan-za ancora maggiore. Nel testo sonopresentate nove raccomandazioni esuggerimenti concreti per consegui-re in particolare un’effettiva inclusi-vità di due pro-grammi promossidall’Unione europeaper la gioventù el’educazione: Era-smus+, che ponel’accento sull’i s t ru -zione, la formazionee lo sport, e il Cor-po europeo di soli-darietà, iniziativache offre ai giovaniopportunità di lavo-ro o di volontariato,nel proprio paese oall’estero, nell’ambi-to di progetti desti-nati ad aiutare co-munità o popolazio-ni in Europa.

Nel periodo 2014-2020, ricordano ifirmatari della di-chiarazione, l’Unio-ne europea ha giàintrodotto numerosemisure «per renderei suoi programmiper la gioventù el’istruzione più in-clusivi e per inte-grare le persone conminori opportunità o disabilità nel-le attività del programma». LaCommissione europea ha già inclu-so, ad esempio, priorità orizzontaliper l’inclusione nelle guide dei pro-grammi, inserito disposizioni checonsentivano il rimborso di costiaggiuntivi per la partecipazione e leesigenze aggiuntive delle personecon minori opportunità e introdot-

to corsi di formazione speciali peragenzie nazionali e valutatori delleapplicazioni. Nell’area del program-ma «Gioventù in azione» di Era-smus+, in particolare, esiste ancheuna strategia di inclusione e diversi-tà, che può essere utilizzata comemodello per strategie di inclusioneper tutti i programmi riguardanti gioventù e istruzione.

Nel 2017, ricorda poi il documen-to, i capi di Stato e di governo eu-ropei «hanno ripetutamente messoin risalto l’importanza dell’i s t ru z i o -ne e della cultura “come chiave percostruire società inclusive e coese”»e nel 2017 hanno invitato ad «incre-mentare la mobilità e gli scambi,anche grazie a un notevole rafforza-mento del programma Erasmus+,più inclusivo e esteso».

«Nonostante tutti questi sforzi —notano però le associazioni e orga-nizzazioni cristiane — i progetti chemirano a coinvolgere tutte le perso-ne devono ancora affrontare gravi

difficoltà». «Come misure praticheper migliorare l’inclusione nei pro-grammi dell’Ue per l’istruzione e lagioventù nella nuova generazionedi programmi dal 2021», gli autoridel documento raccomandano per-tanto in primo luogo di «coinvolge-re persone con minori opportunitàe bisogni speciali come espertiall’interno delle organizzazioni estrutture della società civile». I fir-matari chiedono poi che i responsa-bili si rivolgano «direttamente aigruppi che si trovano in condizionidi svantaggio e discriminazione efornire informazioni strutturate».Terzo, è incoraggiato l’uso di «do-cumenti e moduli realmente accessi-bili a tutti». Bisogna inoltre «appli-care regole flessibili a sostegno del-le spese aggiuntive per i partecipan-ti con minori opportunità e i pro-fessionisti qualificati».

Nel documento si chiede ancheai decisori pubblici e a quanti sonochiamati a valutare i programmi diessere «consapevoli delle particolariesigenze dei gruppi svantaggiati», edi «sostenere strutture di supportoper chi è interessato al volontariatoed evitare ulteriori oneri nei proces-si di candidatura». Compito loro èanche di «assicurare la pari applica-zione delle regole in tutti i Paesidel programma e in tutte le agenzienazionali» e di «accompagnaremaggiormente i partecipanti conminori opportunità durante il lorosoggiorno all’estero». Infine, le as-sociazioni e Chiese cristiane firma-tarie del documento auspicano lagaranzia di «un sostegno mirato especifico per i gruppi svantaggiatiin materia di apprendimento dellelingue».

«L’inclusione è una parte essen-ziale del nostro lavoro quotidiano,sia come organizzazioni di gioven-tù, servizi sociali, assistenza socialeo in quanto Chiese», ribadiscono leistituzioni che hanno sottoscritto ildocumento di sintesi, le cui racco-mandazioni sono quindi basate«sull’esperienza acquisita grazieall’attuazione di programmi nel set-tore del lavoro giovanile, istruzionedegli adulti, formazione professio-nale così come nell’istruzione scola-stica e nei servizi di volontariato».«Pur ponendo gli utilizzatori alcentro della nostra riflessione —concludono — desideriamo anchedare un contributo effettivo al di-battito».

Gesti di speranzaIniziative ecumeniche verso la Pasqua

di RICCARD O BURIGANA

Scoprire la gioia della preghie-ra condivisa in un tempo diincertezza e di sofferenza da

vivere nella luce di Cristo che cam-bia il modo: questo è lo spirito conil quale tanti cristiani hanno volutoriaffermare l’importanza di pregareinsieme, nel rispetto delle diversetradizioni, per chiedere un aiuto alSignore. La celebrazione della Do-menica delle Palme, secondo il ca-lendario quaresimale condiviso dacattolici ed evangelici, è diventatacosì un tempo privilegiato per testi-moniare la forza della misericordiadi Dio di fronte alla pandemia chesta seminando dolore e solitudinenel mondo. Si sono così moltiplica-te le iniziative ecumeniche che inqueste ultime settimane, in tantiluoghi, dal Brasile agli Stati Uniti,dalla Francia all’India, fino all’Au-stralia, hanno visto i cristiani in pri-ma fila per sostenere bisogni mate-riali e spirituali di uomini e donne,travolti dalla pandemia di covid-19;iniziative spesso accompagnate dadichiarazioni di organismi ecumeni-ci, con l’invito a compiere gesticoncreti di comunione, con unaparticolare attenzione nei confrontidi coloro che sono più esposti alcoronavirus, come i migranti.

In Scozia tredici esponenti cri-stiani — dall’arcivescovo di SaintAndrews and Edinburgh, Leo Wil-liam Cushley, al reverendo ColinSinclair, moderatore dell’Assembleagenerale della Church of Scotland,dal reverendo John Fulton, modera-tore della Libera Chiesa unita diScozia, al colonnello Carol Bailey,

segretario dell’Esercito della salvez-za della Scozia – hanno rivolto unappello alle loro comunità per pre-gare insieme, nella Domenica dellePalme, alla stessa ora (le 7 della se-ra), secondo un modello che ha tro-vato forza dopo l’iniziativa di PapaFrancesco di pregare tutti insieme ilPadre Nostro il 25 marzo. L’eventoscozzese si colloca nel solco delcammino ecumenico che, in tanteoccasioni, ha manifestato nel paesela volontà di testimoniare i valoricristiani, costituendo un momentoparticolarmente rilevante dell’imp e-gno a rendere sempre più efficacela missione della Chiesa per coltiva-

re la speranza di superare questotempo di sofferenza. Nel testo dellapreghiera ecumenica, oltre a espri-mere un grazie per tutti coloro chea vario livello assistono i malati e siadoperano per il rispetto delle nor-me introdotte dalle istituzioni, i lea-der cristiani scozzesi hanno volutocondividere la gioia dell’ingresso diGesù a Gerusalemme come segnodi una speranza che, attraverso lapassione del Signore, si concludecon la vittoria della vita sulla mor-te. In ciò si è voluto anche acco-gliere le richieste di tanti che inquesti giorni, di fronte al diffonder-si della pandemia, «hanno osserva-

to quanto sia utile avere dei mo-menti di preghiera in cui i cristianipossono sentirsi uniti», come ha ri-cordato il reverendo anglicano Sin-clair, sottolineando la dimensioneglobale della pandemia che aiuta ariflettere su come i cristiani debba-no vivere nel mondo e per il mon-do, evitando così di pensare solo al-la propria comunità.

Altrove, come in Brasile, per ini-ziativa del Conselho Nacional deIgrejas Cristãs (che comprende an-che la Chiesa cattolica), si è rivoltoun pressante invito a tutti i cristiania prendersi cura degli ultimi, dellaloro salute fisica e spirituale, rilan-ciando così i principi espressi daldocumento sottoscritto nei giorniscorsi dal Consiglio ecumenico del-le Chiese e da diversi organismicontinentali e nazionali sul valoredella vita in tempo di pandemia.Nella Domenica delle Palme le nu-merose iniziative ecumeniche hannoassunto, talvolta, una dimensioneinterreligiosa, come è accaduto inCanada, dove cristiani, musulmani,ebrei, quaccheri, accanto ad associa-zioni impegnate da anni nel dialo-go tra le fedi, hanno invitato a ri-flettere e a fare qualcosa insieme inmodo da venire incontro «ai biso-gni dei senzatetto, dei carcerati, de-gli anziani e di tutti coloro che sof-frono l’isolamento sociale».

In cammino verso la Pasqua, conqueste iniziative ecumeniche si èvoluto riaffermare l’importanza del-la condivisione dei valori cristianinella preghiera e nella testimonian-za per affrontare le sofferenze delpresente, con la speranza di costrui-re un domani di gioia.

Monsignor Jean-Marc Eychenne

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 10 mercoledì 8 aprile 2020

L’incontro con Cristo in tempo di isolamento

Per risorgereinsieme a Lui

di GI O VA N N I MAZZILLO

Muovo da alcuni versi chemi hanno conquistato:«Vedere il mondo in un

granello di sabbia / E un paradisoin un fiore selvaggio, / Tenere nelpalmo della mano l’infinito / El’eternità in un’ora» (William Bla-ke, 1757-1827). La poesia spesso rie-sce a raggiungere l’invisibile e l’infi-nito, andando direttamente «al cuo-re delle cose» (Parmenide). Prose-gue oltre i «sentieri interrotti»(Heidegger), inerpicandosi laddovela ragione, per quanto si sforzi, nonriesce ad arrampicarsi. Precede talo-ra e accompagna la religione, alme-no per quel che fa la differenza traquesta e la fede. Ti mette, sebbeneper piccoli lassi di tempo, di fronteal Mistero e a ciò che improvvisa-mente si disvela come la parte piùprofonda di te stesso. È capace difarti intravedere il mondo in ungranello di sabbia, come scrivevaWilliam Blake, che di certo avevasentito parlare di quella peste bub-bonica che non imperversò solo inItalia, ma anche nella sua Inghilter-ra, nel 1665-1666, e, mutandosi indiverse forme morbose, anche pol-monari, era arrivata fino al 1750. Sitrattava di quella che è rimasta notacome la “grande peste”, che in 18mesi aveva ucciso circa centomilapersone, quasi un quarto della po-polazione di Londra.

Blake non avrà avuto esperienzadiretta di una pandemia, né di cosasignifichi non poter toccare nessu-no, e che costringe alla clausura ealla distanza sociale milioni di esse-ri umani. E tuttavia aiuta anchenoi, ai quali non è proprio facilissi-mo scorgere «un paradiso in un fio-re selvaggio», come prosegue ilpoeta. A noi è stato, invece, finoraconcesso di «Tenere nel palmo dellamano l’infinito / e l’eternità in unora». Sì, il tempo della durata me-dia di una nostra celebrazione euca-ristica, ogni volta che noi presbiterie dispensatori della Grazia e voilaici ci sentivamo tutti salvati, gua-riti, riconciliati, insomma sul sentie-ro dell’eternità. Tenevamo sul pal-mo della mano e ce ne nutrivamo,non un “Infinito” qualsiasi, appenaafferrabile nello stordimento estati-co della poesia, giusto il tempo dicapire che esso resta sempre inaffer-rabile, ma Colui che da quell’Infini-to proveniva e all’Infinito ci spalan-cava, perché ne è il Signore e nepossiede la chiave. La chiave delleporte della morte e della vita, per-ché è entrato nell’antro oscuro dellamorte e ne è uscito splendente divita e di gloria. Una vita conquista-ta attraverso l’atrocità del legno untempo “maledetto” della croce, pertrasformarlo in uno strumento divita. Ebbene, proprio questa vitto-ria sulla morte e questo “farmaco” e“anticipo di immortalità” noi tene-vamo finora sul palmo di una manoe questo ci bastava ad affrontarequotidianità ed eventi particolari, laroutine abituale dello scorrere deigiorni e gli avvenimenti straordina-ri, perché lo Straordinario era lì, locontemplavamo per un attimo,commossi, e ce ne nutrivamo.

Ma ora? E quest’anno? Durantequesta settimana santa? Ci manche-rà tanto nella Pasqua, evento cosìcentrale della nostra fede, che persi-no un precetto della Chiesa, con to-no alquanto rassegnato, recita:«Confessarsi almeno una voltaall’anno e comunicarsi almeno a Pa-squa». Cosa dire ora, non tanto ame, a presbiteri, vescovi e a qualchefamiliare che partecipa alle nostrecelebrazioni sotto clausura, ma avoi fedeli, a voi chiamati christifide-les? Dove cercare, dove trovare ilCorpo di Cristo? Come arrivare a

toccarlo, per unirvi ancora più for-temente a Lui, per ritrovare l’im-mortalità che sempre ci affascina eche ogni volta sembra che ci sfug-ga? La risposta sembra venire dallostesso Gesù, per assicurarci che an-che se non lo possiamo toccare, eglinon ci ha affatto abbandonati. Alcontrario, in questa Pasqua dice anoi, come a Maria Maddalena:«Non mi toccare, perché non sonoancora salito al Padre; ma va’ daimiei fratelli e di’ loro: “Salgo al Pa-dre mio e Padre vostro, Dio mio eDio vostro”» (Giovanni, 20, 17).«Non mi toccare», secondo laversione più verosimile, noli me tan-g e re . Gesù dice «non mi toccare»nello stesso momento in cui svela lacosa più grande di questa Pasqua: ilfatto che attraverso la sua vittoriasulla morte, il Padre suo è diventa-to anche Padre nostro, il suo Dio, ilDio nostro. Occorre non perderetempo, bisogna portare presto l’an-nuncio, ed effettivamente è quelloche fa la donna che aveva vistospirare Gesù e ora piange di nuovodi gioia: «andò ad annunciare aidiscepoli: “Ho visto il Signore!” eciò che le aveva detto» (Giovanni,20, 18).

Ci è dato quest’anno di rifare piùda vicino l’esperienza della Madda-lena. Guardare il Cristo da vicino,sentirlo parlare, abbracciarlo solocon lo sguardo e correre ad annun-ciare che egli è vivo, che ha vinto lamorte e che ha vinto anche il coro-navirus. Gusteremo il potenziale in-finito di questo messaggio, aderen-do a Gesù in quella che è chiamatala comunione spirituale. Lo deside-reremo ardentemente. Mai comeadesso, vogliamo che egli ci rag-giunga e ci sia vicino, tanto vicinoda venire nel nostro cuore, nei no-stri pensieri, nei nostri sentimenti,in ciò che chiamiamo anima. Edegli ci sarà, si farà sfiorare e ci man-derà ad annunciare che è risorto.Buona settimana Santa! Buona Pa-squa!

Il vescovo di Nuoro racconta l’esperienza di una casa di riposo colpita dal covid-19

Una gara di solidarietàdi GIORDANO CONTU

Case di riposo e ospedali rap-presentano la parte più fragi-le dell’emergenza da corona-

virus in Italia. Un caso esemplare èquello della residenza per anzianiNostra Signora del Miracolo a Bitti,collocata a fianco dell’omonimo san-tuario nella diocesi sarda di Nuoro eattiva dai primi anni ‘90. Qui, unadonna di 84 anni è decedutaall’ospedale San Francesco di Nuoroe il contagio si è esteso a 18 dei 21ospiti. Tre di loro sono stati trasferitiin un albergo del paese. Tra i dipen-denti e gli operatori sanitari 5 su 14sono risultati positivi al tampone esono in quarantena, mentre alcunisono stati sostituiti. La situazionedella struttura, gestita dalla parroc-chia, è coordinata da un’unità di cri-si composta anche dal sindaco e daassociazioni civili. Tutta la comunitàsarda si è stretta intorno alla casa diriposo e ne è nata una gara di soli-darietà inaugurata da una donazionedi diecimila euro da parte del vesco-vo di Nuoro, Antonello Mura, chein questa intervista ha parlato anchedel lutto che ha vissuto la diocesi, lapiù colpita in Sardegna con due sa-cerdoti deceduti: don Pietro Mug-gianu e don Giovanni Melis.

Monsignor Mura, quali sono le condi-zioni attuali all’interno della casa diriposo di Bitti?

La situazione ha comportato scel-te abbastanza drastiche. Gli ospitipositivi al coronavirus rimangononella struttura in quarantena conl’ausilio del personale che è stato ri-cambiato in parte e che rimarrà nel-la struttura per un mese. Gli opera-tori sanitari contagiati stanno inquarantena e sono stati allontanati,così come chi lavorava prima e sisentiva sotto pressione. I tre anzianinon positivi sono stati trasferiti inun albergo del paese. Questo è statopossibile anche grazie all’azione delcomune, alla collaborazione instau-rata con l’unità di crisi, alla disponi-bilità degli operatori che hanno ri-sposto alla chiamata, al parroco, allaparrocchia e alla comunità che èmolto sensibile a questa strutturache fa parte della storia del paese eche la gente sente come propria.

Che atmosfera si respira?

C’è stato un momento moltodrammatico perché chiaramente lapaura è entrata dalla porta principa-le insieme al virus. Soprattutto glioperatori sono stati messi in crisiperché hanno affrontato in brevissi-mo tempo un’emergenza. Adesso,c’è un buon clima, anche grazie alricambio del personale e alla dota-zione di protezioni che consentonoa chi è positivo di affrontare la qua-rantena nella propria camera. Il tut-to gestito nelle condizioni migliori.

La comunità si è stretta per affrontareunita la crisi: quanto è importante?

È molto importante. Nonostantela drammaticità del momento, la co-munità civile e cristiana si è mante-nuta abbastanza equilibrata nella ge-stione di questa fase che potevacomportare un tipo di approccio ir-razionale. Invece, grazie al sindaco eal parroco, ha prevalso l’attenzione,l’equilibrio e la compartecipazione.

Parliamo di solidarietà economica: laChiesa si conferma in prima linea.

È nata una sottoscrizione che havisto insieme comune e parrocchia.La diocesi è intervenuta subito of-frendo diecimila euro dal Fondo ca-rità proveniente dall’8xmille perché,mi sembra giusto evidenziarlo, difronte a una situazione emergenzialea livello locale la diocesi non rimanea guardare, ma sente questa struttu-ra e questo servizio come propri.

Case di cura e ospedali sono l’anellodebole dell’emergenza sanitaria.

Il vivere insieme, stando a contat-to, chiaramente mette operatori eospiti nella condizione di essere con-tagiati. Ciò ha creato situazioni mol-to problematiche in varie strutturedella Sardegna. Ospedali e case diriposo sono luoghi che meritanogrande attenzione da parte delle isti-tuzioni. Stiamo cercando di monito-rare anche altre realtà nell’isola, inmodo da dare tutte le indicazioni al-la Protezione civile necessarie perun intervento: si tratta soprattutto dioffrire i dispositivi di protezione

personale, che si fa fatica a trovare ea distribuire, che consentano agliospiti e agli operatori di affrontare ilvirus e non essere vinti. Occorre es-sere all’altezza delle necessità chequesto contagio richiede.

mo pregando perché il Signore cidia la grazia necessaria per affronta-re questo momento così negativo.

Lei ha definito la spiritualità in tempodi Quaresima come una lotta. Questo

Senza Gesù non possiamo fare nienteMessaggio dell’arcivescovo di Milano per una Pasqua di speranza

Raccolta di fondi delle Chiese protestanti in Europa a favore dei profughi

Testimonianza e servizioVIENNA, 7. «Non possiamo celebra-re la Pasqua senza pensare anche airifugiati. A causa della minaccia delcoronavirus è urgente alleviare im-mediatamente la già precaria situa-zione dell’assistenza sanitaria agliimmigrati e alle persone in fugadalla guerra e dai conflitti armati».Con queste parole il presidente del-la Comunione di Chiese protestantiin Europa (Cpce), Gottfried Lo-cher, ha presentato una campagnadi raccolta fondi dedicata all’assi-stenza medica delle migliaia di rifu-giati bloccati a Lesbo e ad Aleppo.A esse sono stati dedicati due spe-cifici progetti dall’organismo ecu-menico che, dal 2003, raggruppa106 Chiese luterane, metodiste, ri-formate e unite appartenenti a oltretrenta paesi europei, in rappresen-tanza di circa cinquanta milioni dicristiani protestanti.

Sull’isola di Lesbo, che accoglie dal2015 profughi soprattutto siriani, lasituazione è progressivamente peg-giorata con il passare dei giorni: inmigliaia si trovano rinchiusi instrutture assolutamente insufficientiad accoglierli tutti con il rischio diessere contagiati dalla pandemia dicovid-19 come hanno sottolineato imedici locali che hanno richiestocon urgenza dispositivi di prote-zione.

Nel campo profughi di Moria,circa ventimila persone, tra cuimolte donne e bambini, vivono incondizioni deprecabili, con enormidifficoltà incontrate dalle organiz-zazioni sanitarie dell’isola già al li-mite delle loro capacità. Grazie alsostegno della Chiesa evangelica ri-formata svizzera, la Fondazioneumanitaria Guido Fluri ha avviatoun piano di intervento che prevedela fornitura di attrezzature medi-

che, come ad esempio un box disterilizzazione, all’ospedale di Vo-stanio a Mitilene, l’unico presentenell’isola, e altri macchinari tra cuidefribillatori e apparecchi respirato-ri. «In questo periodo drammatico,l’iniziativa svizzera rappresenta ungrande esempio di solidarietà e diumanità. Gli aiuti sanitari serviran-no a salvare molte vite», ha dichia-rato Efi Latsoudi, coordinatricedella locale ong Pro Asyl/RefugeeSupport Aegean (Rsa). I fondi rac-colti verranno trasferiti direttamen-te alle aziende fornitrici dei mate-riali, previa consultazione conl’ospedale e con il via libera delcoordinatore locale, in modo dagarantire la loro consegna in tempirapidi.

Sulla stessa linea d’intervento èstato elaborato il progetto relativoad Aleppo dopo l’appello del poli-clinico Bethel, gestito dall’Unionedelle Chiese evangeliche armene inSiria, rilanciato dall’o rg a n i z z a z i o n eGustav-Adolf-Werk che fa partedella Chiesa evangelica in Germa-nia. Anche questa struttura ospeda-liera è alle prese con carenza di ma-scherine e strumenti di disinfezio-ne, fondamentali per evitare il peg-gioramento di una situazione giàcritica per gli effetti della guerra.«La base della nostra comunità diChiese — ha spiegato Locher — è lalettura e l’interpretazione comunedel vangelo. La comunità non sirealizza solo attraverso l’i n c o n t ropersonale, ma anche attraverso lacondivisione e la solidarietà, tradot-ti nella Concordia di Leuenberg(accordo teologico ecumenico del1973 tra le principali Chiese euro-pee) con i termini di testimonianzae servizio. Quest’anno — ha ag-giunto — non possiamo incontrarcinel modo tradizionale per i cultipasquali, il che è doloroso per tuttinoi. Invitiamo proprio in base aquesta comune esperienza a essereancora più aperti e partecipi delmessaggio liberatorio della Pasqua:Cristo è risorto!».

L’impegno delle Chiese prote-stanti in Europa per contrastare ildiffondersi della pandemia tra lepopolazioni più vulnerabili è testi-moniato anche dalla Federazioneluterana mondiale (Flm) che, attra-verso il suo braccio umanitarioWorld Service, ha programmatopiani d’azione che si sono innestatisu progetti preesistenti, avvalendosidella collaborazione di altri organi-smi tra cui Caritas internationalis,Chiesa evangelica luterana in Ame-rica e l’agenzia luterana canadeseWorld Relief.

MI L A N O, 7. «Non pensavamo che la morte fossecosì vicina», che «fosse così difficile riconoscerela presenza del Signore risorto»; «non pensava-mo che fosse così necessario celebrare insieme isanti misteri», che «fosse così necessaria la resur-rezione per la nostra speranza». Sono le quattroconsiderazioni che suddividono il «Messaggio disperanza per questa Pasqua 2020» inviatodall’arcivescovo di Milano, Mario Enrico Delpi-ni, alla sua diocesi. Il testo, intitolato La potenzadella sua resurrezione, accompagna la comunica-zione del vicario generale, monsignor FrancoMaria Giuseppe Agnesi, a riguardo delle cele-brazioni della “Settimana autentica” (come negliantichi documenti della liturgia ambrosiana èchiamata la Settimana santa). «Avevamo imma-ginato un’altra Pasqua», esordisce Delpini.Quella che stiamo vivendo è segnata «dal dram-matico impatto dell’epidemia», da angoscia,paura, smarrimento, ma anche «da tante formedi testimonianza di fede, di speranza, di genero-sità».

La prima riflessione è sulla morte: «Diventatavicina, interessa le persone che mi sono care, iconfratelli, le presenze quotidiane negli ambientidel lavoro, del riposo»; i numeri impressionano,«anche perché tra quei numeri c’è sempre qual-cuno che conosco». La morte vicina «suscita do-mande che sono più ferite che questioni da di-scutere». Conti aperti, lavori incompiuti, affettisospesi: «Non basta avere un compito da svolge-re per convincere la morte a passare oltre il nu-mero civico di casa mia. La morte è così vicina enon ci pensavamo», osserva l’arcivescovo di Mi-lano, invitando a rivolgere più spesso «lo sguar-do al crocifisso appeso in sala e con più intenso

pensiero». Rinasce spontanea l’antica domandache mette alla prova il Signore: «È in mezzo anoi sì o no?» (Esodo, 17, 7). Ciò che per i devotiera ovvio è diventato problematico, spiega il pre-sule, per il quale «c’è un bisogno di segni che lodimostrino, un’invocazione di esposizioni, pro-cessioni, consacrazioni: dicono un desiderio sin-cero di essere confermati nella fede da un’evi-denza, da un intervento incontrovertibile». I se-gni della presenza del Risorto, cioè le ferite subi-te per la sua fedeltà nell’amore, «risultano inade-guati all’attesa di una benedizione, di una prote-zione che dovrebbe mettere al sicuro i suoi fede-li». Il risultato è che stonano le certezze dellacittà secolare che «si costruiva orgogliosa e vin-cente a prescindere da Dio», e risultano più fra-gili le certezze dei devoti che devono constatareche «vi è una sorte unica per tutti: per il giustoe per il malvagio» (Qoèlet, 9, 2). Insomma:«Non pensavamo che fosse così difficile ricono-scere la presenza del Risorto», afferma monsi-gnor Delpini, «la sua potenza che salva per vieche le aspettative umane non possono prescrive-re, lasciarsi avvolgere dalla sua gloria, così diver-sa da come la immaginano gli umani».

L’esortazione è a entrare «con fede più sem-plice e più sapiente» nella promessa di Gesù:«In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vi-ta eterna» (Giovanni, 6, 47).

Anche l’andare a messa, in questi giorni dram-matici, non appare più solo una “buona abitudi-ne”: «Quando le celebrazioni sono state impedi-te, quando sono state sostituite da trasmissionitelevisive, quando ogni prete ha dovuto inventar-si un qualche modo virtuale per entrare nelle ca-se, per far sentire un segno di prossimità e di

premura pastorale, quando catechisti e catechi-ste, educatori e ministri straordinari hanno rag-giunto i “loro ragazzi”, i “loro malati” tramite ilcellulare, i credenti hanno percepito che manca-va la cosa più importante». L’arcivescovo non hadubbi: «Trovarsi per la celebrazione della messa,cantare, pregare, stringere le mani amiche nel se-gno della pace, ricevere la comunione, è tutt’al-tro. Di questo sentiamo la mancanza». Poter an-dare a messa «sarebbe il segno che è tornata lanormalità non solo nella libertà di movimento,ma nella convinzione che non si tratta di buoneabitudini, ma di una questione di vita e di mor-te. Il pane della vita non è infatti una bella fra-se, ma la rivelazione che senza Gesù non possia-mo fare niente». Abbiamo bisogno, sintetizza, di«diventare un solo corpo e un solo spirito spez-zando l’unico pane».

Sono giorni in cui le certezze vacillano: «Lapercezione del pericolo estremo costringe a unavisione diversa delle cose e a una verifica piùdrammatica di quello che possiamo sperare».Quando l’esistenza non è più rassicurata dallabuona salute, da un certo benessere, dalle solitecose, «quando si intuisce che qualcuno in casadeve affrontare il pericolo estremo, allora l’unicaroccia alla quale appoggiarsi può essere solo chiha vinto la morte». È allora che comprendiamoquanto Cristo risorto sia così necessario alla no-stra speranza, conclude Delpini. Concetto, quel-lo della speranza, su cui il presule è tornato an-che nell’omelia per la Domenica delle palme edella passione del Signore: «Siamo alleati inquesto momento di emergenza, in questo deside-rio di speranza. Siamo insieme nell’offrire formedi solidarietà alla popolazione».

Non dimentichiamo l’alto prezzo pagatoda due sacerdoti deceduti nella diocesidi Nuoro.

Stiamo soffrendo molto per que-sto. Nel giro di pochi giorni due sa-cerdoti, dopo essere stati trovati po-sitivi al virus e avere passato parec-chi giorni in terapia intensiva, cihanno lasciato. Tra l’altro sono gliunici preti sardi deceduti e proveni-vano entrambi dalla stessa diocesi diNuoro e questo ha gettato nellosconforto tante persone, compresipresbiteri, diaconi e il vescovo. Stia-

può davvero insegnarci ad affrontare almeglio l’e m e rg e n z a .

Paragonavo il tempo quaresimalea una gara per cui ognuno deve pre-pararsi ad affrontarla al meglio conle proprie forze, per uscirne vincito-re. Come un atleta occorre essere al-lenati, in questo caso di fronte almale. Sì, è proprio una lotta, unalotta spirituale. Anche perché la spi-ritualità offre delle risorse che nonsono facili da trovare se uno non haanche una robustezza da credente.

Page 10: Per gli innocenti che soffrono una sentenza ingiusta...una sentenza ingiusta «Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per l’accanimento»

L’OSSERVATORE ROMANOmercoledì 8 aprile 2020 pagina 11

Messaggio del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita

Vicini agli anzianiPerché nella solitudine il coronavirus uccide di più

Pubblichiamo il testo del messaggio —resto noto il 7 aprile — che il Dicasteroper i laici, la famiglia e la vita ha de-dicato agli anziani di tutto il mondoche stanno pagando il prezzo più altodella pandemia da covid-19.

Care sorelle e cari fratelli,nel cuore di questa «tempesta ina-

spettata e furiosa ci siamo resi conto— come ci ha ricordato Papa France-sco — di trovarci sulla stessa barca».Al suo interno ci sono anche gli an-ziani. Come tutti, sono fragili e diso-

rientati. A loro va oggi il nostropensiero preoccupato e grato, per re-stituire almeno un po’ di quella te-nerezza con la quale ciascuno di noiè stato accompagnato nella vita eperché giunga a ciascuno di essi lacarezza materna della Chiesa.

La loro generazione, in questigiorni — difficili per tutti — sta pa-gando il prezzo più alto alla pande-mia di covid-19. Le statistiche ci di-cono che in Italia più dell’80 percento delle persone che hanno persola vita aveva più di 70 anni.

Poche settimane fa, Papa France-sco ha affermato che «la solitudinepuò essere una malattia, ma con lacarità, la vicinanza e il conforto spi-rituale possiamo guarirla». Questeparole aiutano a comprendere che,se è vero che il coronavirus è più le-tale quando incontra un corpo debi-litato, in molti casi la patologia pre-gressa è la solitudine. Non è un casoche stiamo assistendo alla morte, inproporzioni e modalità terribili, ditante persone che vivono lontane dalproprio nucleo familiare, in condi-zioni di solitudine davvero debilitan-ti e sconfortanti.

Per questo è importante che fac-ciamo tutto quanto è possibile perrimediare a questa condizione di ab-bandono. Ciò, nelle circostanze at-tuali, potrebbe significare salvaredelle vite umane.

In questi giorni sono tante le ini-ziative in tal senso che la Chiesa stamettendo in campo a favore deglianziani. L’impossibilità di continua-re a compiere visite domiciliari haspinto a trovare forme nuove e crea-tive di presenza. Chiamate, messaggivideo o vocali o, più tradizionalmen-te, lettere indirizzate a chi è solo.Spesso le parrocchie sono impegnatenella consegna di cibo e medicinali achi è costretto a non uscire di casa.Quasi ovunque, i sacerdoti continua-no a visitare le case per dispensare isacramenti. Molti volontari, soprat-tutto giovani, si stanno impegnandocon generosità per non interrompere— o per iniziare a tessere — fonda-mentali reti di solidarietà.

Ma la gravità del momento chia-ma tutti noi a fare di più. Come sin-goli e come Chiese locali, possiamofare molto per gli anziani: pregareper loro, curare la malattia della soli-tudine, attivare reti di solidarietà emolto altro. Di fronte allo scenariodi una generazione colpita in manie-ra così pesante, abbiamo una re-sponsabilità comune, che nasce dallaconsapevolezza del valore inestima-bile di ogni vita umana e dalla grati-tudine verso i nostri padri e i nostrinonni. Dobbiamo dedicare nuoveenergie per difenderli da questa tem-pesta, così come ognuno di noi èstato protetto e accudito nelle picco-le e grandi tormente della propriavita. Non lasciamo soli gli anziani,perché nella solitudine il coronavirusuccide di più.

Una particolare attenzione merita-no coloro che vivono all’interno del-le strutture residenziali: ascoltiamoogni giorno notizie terribili sulle lo-ro condizioni e sono già migliaia lepersone che vi hanno perso la vita.La concentrazione nello stesso luogodi così tante persone fragili e la dif-ficoltà di reperire i dispositivi diprotezione hanno creato situazionidifficilissime da gestire nonostantel’abnegazione e, in alcuni casi, il sa-crificio del personale dedito all’assi-stenza. In altre circostanze, tuttavia,la crisi attuale è figlia di un abban-dono assistenziale e terapeutico cheviene da lontano. Pur nella comples-sità della situazione che viviamo, ènecessario chiarire che salvare la vitadelle persone anziane che vivonoall’interno di strutture residenziali oche sono sole o malate, è una priori-tà tanto quanto salvare qualunquealtra persona. Nei Paesi nei quali lapandemia ha ancora dimensioni li-mitate è ancora possibile prenderedelle misure preventive per proteg-gerli, in quelli dove la situazione èpiù drammatica è necessario attivarsiper trovare soluzioni emergenziali.Ne va del futuro delle nostre comu-nità ecclesiali e delle nostre societàpoiché, come ha detto di recente Pa-pa Francesco, «gli anziani sono ilpresente e il domani della Chiesa».

Nella sofferenza di questi giorni,siamo chiamati a scorgere il futuro.Nell’amore di tanti figli e nipoti enella premura degli assistenti e deivolontari rivive la compassione delledonne che si recano al sepolcro perprendersi cura del corpo di Gesù.Come loro, siamo spaventati e, comeloro, sappiamo che non possiamo fa-re a meno di vivere — pur mantenen-do le distanze — la compassione cheLui ci ha insegnato. Come loro, pre-sto comprenderemo che sarà statonecessario rimanere accanto, anchequando sembrava pericoloso o inuti-le, certi delle parole dell’angelo, checi invita a non avere paura.

Uniamoci dunque in preghieraper i nonni e gli anziani di tutto ilmondo. Stringiamoci intorno a loro,con il pensiero e con il cuore e, lad-dove possibile, agiamo, perché nonsiano soli.

Per la teologa musulmana Shahrzad Houshmand serve un’alleanza comune contro la pandemia

Le religioni siano testimonidella fratellanza universale

Aspettando la Pasqua

Covid-19:D ov’è Dio?

Dal sito internet dell’Ordine equestredel Santo Sepolcro di Gerusalemme(www.oessh.va) riprendiamo questameditazione del cardinale Gran Mae-s t ro .

di FERNAND O FILONI

In questa pandemia (Covid-19),che ha mutato i nostri piani divita, ha scosso le nostre certez-

ze costruite sistematicamente escientificamente, che scuote il mon-do con le sue scene drammatichedi morti, di contagiati, di isolamen-to forzato, di relazioni interrotte, dilavoro in crisi e ha fatto vedere i li-miti dei nostri quasi infallibili algo-ritmi, ci domandiamo: come è statopossibile che sia sfuggita di mano?Cosa non ha funzionato? Cosa fareo non fare? Quanto durerà? Quan-ti moriranno?

Si esprime paura, rancore, dolo-re, speranza; compiamo riti, gestidi generosità; esprimiamo bisogni,curiamo, seppelliamo, cremiamo;ma in tutto questo, Dio dov’è?

Sembra che anche la preghieranon abbia risposta. Dio ascolta? Eperché accade tutto questo? È perqualche nostra deficienza che nonriusciamo a trovare una risposta?

Ci manca la “chiave di volta”che chiude l’artefatto, il cielodell’edificio, l’arco di un ponte conil rischio che tutto crolli, che tuttosia stato inutile. Dio dov’è? Ritor-na continuamente lo stesso intimoe profondo interrogativo.

Il mea culpa è un rito, un attoindotto da circostanze incontrolla-bili? È frutto o conseguenza di unnostro errato operare? La doman-da, “Dio dov’è?”: è superflua oinutile? E Dio c’entra o non c’entrain tutto questo?

Ha dunque senso il chiederci:Dio dov’è? Quali risposte abbia-mo? Ne esistono? Gli algoritmi?Anch’essi rimandano ancora ad al-tri algoritmi.

La finitudine ci porta a non ave-re una risposta, che, di per sé, èesistenziale. Come per il biblicoGiobbe. Le risposte sono per que-siti concreti. Se così fosse, non ciresta che il vuoto senza risposta.

A meno di non alzare lo sguar-do, non per avere una rispostinasul caso da soluzionare, ma per co-noscere: se Dio non c’è o non haun posto in questa crisi, tutto èchiuso nella finitudine del fluire?Se Dio c’è, riconosco non il biso-gno di una risposta, bensì di un“r i m e t t e re ”.

Il «Tutto è compiuto!» di Cristosulla croce è una “re m i s s i o n e ” («Echinato il capo rimise lo spirito»[Gv 19, 30]) al Padre, al quale eglidefinitivamente si appella per quelmysterium vitae che lo aveva portatosulla terra come parte vivente diessa.

La paternità (di Dio) non esclu-de i limiti che Dio stesso si era im-posto nella sua “paternità”.

Allora la questione torna a noi.Non per interrogarci e cercare an-cora il senso di una risposta inat-tendibile, bensì per avere il sensodi un comportamento, contro ogniulteriore tentazione: o vivere comese Dio non esistesse, o scaricaresulla punizione divina il tutto co-me parte penitenziale; in alternati-va, non resta che “r i m e t t e re ” anco-ra tutto a Dio, accettando che inquesto «tempo dell’uomo», l’oggi,non si escluda l’atto di remissionefiduciosa: «Nelle tue mani, Padre,rimetto il mio spirito»; dove tuttosi conclude: «Detto questo spirò»(Lc 23, 46).

La pacificazione dell’animo è nelritornare alla pace iniziale da cuitutto è partito: il “nulla” o “D io”.Se dal nulla viene il nulla, non re-sta che Dio. C’è un posto per Dio,ma esso è racchiuso nel mysteriumvitae.

Il bene fatto, però, resta. Il suocredito rimane inestinguibile. Il be-ne ci appartiene e questo ha unsenso; ma il credito, che è di ordi-ne morale e spirituale, passa nellemani di Dio. Il bene non siestingue.

Nel sepolcro vuoto di Cristo, c’èil vuoto delle nostre aspettative,non il vuoto di Dio. Nel silenzio,c’è il silenzio della risposta attesa,non il silenzio di Dio.

Aspettando la Pasqua!

TEMPORE FAMIS

di CECILIA SEPPIA

In Iran i contagi da covid-19continuano a salire di ora inora. Poco fa secondo i dati di-

ramati dal ministero della Sanità siè superata la quota dei 60 mila casicon quasi 3800 morti ma il governoha comunque deciso la riapertura, apartire da sabato 11 aprile, delle at-tività a basso rischio in tutto il Pae-se, eccetto per la capitale Teheran.La situazione è drammatica comein tante parti del mondo ma inquesto contesto l’embargo e le san-zioni non fanno che gravaresull’emergenza sanitaria, conferma aVatican News la teologa musulma-na Shahrzad Houshmand Zadeh.Docente alla Sapienza di Roma, èanche nel comitato di redazione delmensile dell’Osservatore Romano«Donne Chiesa Mondo». Dalla suaanalisi, oltre al terreno, emerge peròl’importante ruolo che le organizza-zioni religiose stanno avendo nellagestione della crisi e il forte spiritodi solidarietà che anima il popoloiraniano. Shahrzad Houshmand ri-lancia il messaggio dell’ayatollahAlireza Arafi, rettore dell’Universitàdi Qom, che in una lettera indiriz-zata a Papa Francesco, a nome diun’ampia comunità accademica scii-ta, propone «una comunità delle re-ligioni rivelate al servizio dell’uma-nità» per fare fronte comune controla pandemia. Un’alleanza tra le reli-gioni celesti continua a essere la so-luzione più auspicabile, ribadisce lateologa, convinta che le religioni sisiano rivelate proprio per portareun bene più grande all’intera fami-glia umana. È urgente — afferma —ritrovare quei valori che si traduco-no nella solidarietà e nel servizio dicui il Pontefice è strenuo portatore.«L’Iran — prosegue — è un vastoterritorio, cinque volte l’Italia, con86 milioni di persone. Anche perquesto i dati che oggi abbiamo adisposizione circa l’emergenza e ladiffusione del contagio di coronavi-rus potrebbero essere molto supe-riori. In ogni caso si tratta di unpopolo che sta combattendo, conun nemico comune che è comuneall’intera comunità umana, ma ciòche aggrava la situazione in Iran èquesta chiusura, è l’embargo unita-mente alle sanzioni e l’imp ossibilitàdi comprare medicinali e attrezzatu-re mediche e chi paga è sempre ilp op olo».

Che ruolo stanno avendo le comunitàe le organizzazioni religiose in questaemergenza sanitaria?

Nella lettura epica, morale delpopolo iraniano è molto presente ilservizio al prossimo, anche nellaletteratura e nella poesia. Propriostamattina leggevo di Naser-e kho-srow, un grande poeta persiano, vis-suto circa mille anni fa, che per cin-que volte ha descritto il suo viaggioa La Mecca ma l’ultima volta hadeciso di non tornarci più perchélungo il cammino ha incontrato unpovero, gli ha dato da mangiare, dabere, lo ha accudito e durante unsogno ha capito che quell’atto eramolto più gradito al Signore di tut-ti i suoi pellegrinaggi. Questo spiri-to di servizio è davvero molto pre-sente in tutti gli iraniani, certo oggiin primissima linea ci sono i medicie gli infermieri che stanno pagandol’emergenza al prezzo della vita.Sono morti in questo periodo moltiinfermieri giovani in Iran, ma ègrande anche il servizio delle comu-nità religiose che si adoperano ad

andare verso la gente, si prendonocura dei bisognosi, portano cibo esono anche disposte lì dove serve apagare o comprare beni di primanecessità.

Si parla di questa solidarietà operosaanche nella lettera dell’ayatollah ira-niano Alireza Arafi che scrive al Papaa nome di un’ampia comunità accade-mica sciita proponendo un’alleanza trale religioni o meglio «una comunitàdelle religioni rivelate al serviziodell’umanità» contro la pandemia maanche per affrontare insieme, cristiani,musulmani, ebrei, altre emergenze con-temporanee. Come leggere questo ap-pello?

L’ayatollah Alireza Arafi dirige ilcentro più importante dell’Accade-mia religiosa tradizionale di Qomche accoglie più di 50 mila studentie altri sparsi in tantissime nazionidel mondo. In questa lettera lui haripreso il Corano per chiedere alPapa la creazione di un’alleanza direligioni. Cita il quarto capitolo delCorano, versetto 114 dove si legge:«non c’è niente di buono nellamaggior parte dei dialoghi trannequando si ordina a una carità o aun bene conveniente o a una conci-liazione tra le genti e per chiunquelo fa, arriverà il compiacimento diDio». Ecco questo modo di leggerela religiosità che dovrebbe esseretradotto al servizio, al portare pacee carità, è il centro della richiestadell’ayatollah, ma lui non è statol’unico a rivolgersi al Papa in questitermini. Prima di lui infatti un altrogrande ayatollah, Mohaghegh Da-mad, ha chiesto l’aiuto del Pontefi-ce per creare una comunità delle re-ligioni in questo momento storicocosì difficile, in cui tutta la famigliaumana si deve radunare attorno aun bene comune che è la reciproci-tà, è la solidarietà globale e a mag-gior ragione — come si legge inquesta lettera — le religioni rivelatedevono testimoniare questa solida-rietà e questa fratellanza universale.Devono farlo attraverso i leader re-ligiosi anche con delle creazioni as-sociative a servizio dell’unica uma-nità, amata dall’unico e vero Dio. IlCorano, è bene ricordarlo, cita Ma-ria e cita la morte di Gesù. Nellostesso capitolo, ma al versetto 158che parla della morte di Cristo edel suo innalzamento al Cielo peresempio: questi passi sono passi incui sia Arafi che Mohaghegh, maanche il grande imam di Al-Azhar,Ahmad Al-Tayyeb (che ha firmatocon il Papa la Dichiarazione di AbuDhabi sulla Fratellanza umana perla pace mondiale e la convivenzacomune), ci spingono a ritrovarcinella fratellanza. Ma dobbiamo ri-trovarla anche nelle figure così cen-trali come Gesù Cristo. Interessantenotare che Gesù viene chiamato dalCorano come “Messia”, ed è Diostesso che chiama il bambino anco-ra non nato in questo modo quan-do dice: «Io ti darò Maria un bam-bino il cui nome sarà Messia». Esempre nel versetto 158 parlandodella morte di Gesù si legge: «infondo non lo possono uccidere maè stato Dio a farlo innalzare pressodi sé». Sono versetti che vanno ri-letti per ritrovarci nei valori comu-ni, anche nelle figure comuni cheabbiamo, per tradurre la nostra reli-giosità come servizio all’umanità.Quello che Gesù Cristo ha fattonella teologia cristiana, col Misteropasquale, col Mistero eucaristico el’Incarnazione in un altro modo idue Ayatollah lo rileggono attraver-

so questi versetti coranici traducen-do la religiosità come servizioall’unica famiglia umana.

ll ruolo dei capi religiosi e teologi insimili circostanze — dice l’ayatollahArafi nella lettera a Francesco — èquello di «rafforzare le fondamentadella propria fede, proteggere la socie-tà, promuovere la preghiera e le sup-pliche alla presenza di Dio»... Ma c’èanche un monito ai governanti perchéconsentano questo abbraccio unitariolasciando da parte tutto ciò che dividein vista del bene comune.

Assolutamente sì. Anche il segre-tario generale dell’Onu, AntónioGuterres ha chiesto di fermare leguerre. Se lo fanno i leader politicidevono farlo anche i leader religio-si. Anche le sanzioni altro non sonoche una forma di guerra che inquesto momento triste in cui af-frontiamo un nemico comune, pesa-no di più. È il momento della pro-va per l’umanità, dice Arafi nellasua lettera, ma anche aggiungereidella prova delle religioni. Oggi seSan Pietro è chiusa, anche La Mec-ca e La Kaaba sono chiuse e alloratutto questo va vissuto come un ri-chiamo ad andare alla profonditàdel messaggio religioso che non èaltro che servizio. Il cristianesimolo dimostra in modo sublime conl’Incarnazione, ma anche l’islam.Dobbiamo tutti ricordarci che le re-ligioni arrivano e si rivelano perportare un bene alla società umana.La richiesta di Arafi ha come obiet-tivo finale quello di radunarci intor-no ai valori comuni, valori rivelati,valori umani e spirituali.

Dall’ayatollah Arafi arriva anche alPapa un ringraziamento per l’atten-zione ai poveri e ai bisognosi: un altropunto che unisce dunque le due reli-gioni e che forse nell’Islam è meno co-nosciuto?

È proprio così. Noi tutti abbiamovisto il 27 marzo quella preghierapotente che è stata fatta da PapaFrancesco sul sagrato di San Pietroe che ha avuto la capacità di radu-nare e far pregare anche le comuni-tà musulmane intorno a lui, in Ita-lia e nel mondo. Questi sono mes-saggi veramente “celesti” p erchéuniscono la famiglia umana, i po-poli e le religioni, come l’attenzioneagli ultimi. Quale messaggio piùforte dell’unità, della coesione, del-la collaborazione e della preghierainsieme, silenziosa o fatta di parole,per pregare per il bene dell’a l t ro ?Questa è davvero la forza del mes-saggio del Papa che raduna tutti eche suscita questa gratitudine versodi lui dei leader musulmani sciiti osunniti del mondo.

L’Iran come tanti Paesi del mondo, inquesto momento di crisi, ha messo inpausa i dissidi interni e quelli regio-nali, oppure tutto questo continua eaggrava l’e m e rg e n z a ?

Durante questi giorni in veritàsono stati liberati più di 50 milacarcerati, segnali di distensione cisono. Sicuramente questo nemicocomune a tutti i popoli abbassa itoni, perché nel momento del dolo-re le mani si innalzano verso il Si-gnore affinché porti guarigione ebenedizione a una popolazionestremata prima dalle guerre, comequella contro l’Iraq, e poi dalle san-zioni Usa e dalle difficoltà esterne einterne. Sicuramente in questo mo-mento l’epidemia è una priorità etutto il resto è in pausa.

Il Papa con il Grande imam di Al-Azhar ad Abu Dhabi, dove hanno firmato lo storico«Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune»

Page 11: Per gli innocenti che soffrono una sentenza ingiusta...una sentenza ingiusta «Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per l’accanimento»

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 12 mercoledì 8 aprile 2020

Nella messa a Santa Marta il Papa chiede di perseverare nel servizio alla Chiesa nonostante le cadute

Per gli innocenti che soffronouna sentenza ingiusta

«Io vorrei pregare oggi per tutte lepersone che soffrono una sentenzaingiusta per l’accanimento». Conqueste parole Papa Francesco ha ini-ziato, martedì mattina, 7 aprile, lacelebrazione della messa — trasmessain diretta streaming — nella cappelladi Casa Santa Marta.

«In questi giorni di Quaresimaabbiamo visto la persecuzione cheha subito Gesù e come i dottori del-la Legge si sono accaniti contro dilui: è stato giudicato sotto accani-mento, con accanimento, essendo in-nocente» ha detto, a braccio, il Pon-tefice. Rafforzando subito la suapreghiera con il versetto 12 del sal-mo 27 — «Non consegnarmi in pote-re dei miei nemici; contro di me so-no insorti falsi testimoni, gente chespira violenza» — letto come antifo-na d’i n g re s s o .

Per la meditazione nell’omelia, ilPapa ha preso spunto dalle lettureproposte dalla liturgia del giorno,tratte dal libro del profeta Isaia (49,1-6) e dal Vangelo di Giovanni (13,21-33. 36-38), chiedendo la grazia diperseverare nel servizio, nonostantele cadute.

«La profezia di Isaia che abbiamoascoltato — ha spiegato — è una pro-fezia sul Messia, sul Redentore, maanche una profezia sul popolo diIsraele, sul popolo di Dio: possiamodire che può essere una profezia suognuno di noi». Perché, «in sostan-za, la profezia sottolinea che il Si-gnore ha eletto il suo servo dal senomaterno: per due volte lo dice.D all’inizio il suo servo è stato eletto,dalla nascita o prima della nascita»(cfr. Isaia 49, 1).

E se, ha detto il Papa, «il popolodi Dio è stato eletto prima della na-scita», lo stesso vale anche per«ognuno di noi. Nessuno di noi è

caduto nel mondo per casualità, percaso. Ognuno ha un destino, ha undestino libero, il destino dell’elezio-ne di Dio». Dunque, ha insistitoFrancesco, «io nasco con il destinodi essere figlio di Dio, di essere ser-vo di Dio, con il compito di servire,di costruire, di edificare. E questo,dal seno materno».

«Il Servo di Yahvé, Gesù, servì fi-no alla morte: sembrava una sconfit-ta, ma era il modo di servire» ha af-fermato il Pontefice. Proprio «que-sto sottolinea il modo di servire chenoi dobbiamo prendere nella nostravita: servire è darsi, darsi agli altri;servire è non pretendere per ognunodi noi qualche beneficio che non siail servire».

«È la gloria, servire» ha rilanciatoil Papa. E «la gloria di Cristo è ser-vire fino ad annientare sé stesso, finoalla morte, morte di Croce» (cfr.Lettera a Filemone 2, 8). Gesù «è il

servo di Israele. Il popolo di Dio èservo, e quando il popolo di Dio siallontana da questo atteggiamentodi servire, è un popolo apostata: siallontana dalla vocazione che Diogli ha dato». Così, allo stesso modo,«quando ognuno di noi si allontanada questa vocazione di servire, si al-lontana dall’amore di Dio ed edificala sua vita su altri amori, tante volteidolatrici».

«Il Signore ci ha eletti dal senomaterno» ha proseguito Francesco,spiegando: «Ci sono, nella vita, ca-dute: ognuno di noi è peccatore epuò cadere ed è caduto». In realtà«soltanto la Madonna e Gesù» nonsono caduti, ma «tutti gli altri siamocaduti, siamo peccatori».

«Ma quello che importa — haspiegato il Pontefice facendo riferi-mento al brano del Vangelo di Gio-vanni — è l’atteggiamento davanti alDio che mi ha eletto, che mi ha un-

to come servo». Deve essere sempre«l’atteggiamento di un peccatore cheè capace di chiedere perdono, comePietro, che giura che “no, io mai tirinnegherò, Signore, mai, mai,mai!”: poi, quando canta il gallo,piange. Si pente» (cfr. Matteo 26,75). E «questa è la strada del servo:quando scivola, quando cade, chie-dere perdono».

«Invece — ha messo in guardia ilPapa — quando il servo non è capa-ce di capire che è caduto, quando lapassione lo prende in tal modo chelo porta all’idolatria, apre il cuore asatana, entra nella notte: è quelloche è accaduto a Giuda» (cfr. Ma t t e o27, 3-10).

Concludendo la meditazione,Francesco ha invitato a pensare«oggi a Gesù, il servo, fedele nelservizio. La sua vocazione è servire,fino alla morte e morte di Croce»(cfr. Lettera a Filemone 2, 5-11). E,ha esortato, «pensiamo a ognuno dinoi, parte del popolo di Dio: siamoservi, la nostra vocazione è per ser-vire, non per approfittare del nostroposto nella Chiesa. Servire. Semprein servizio». Per questo, ha insisti-to, «chiediamo la grazia di perseve-rare nel servizio: a volte con scivo-late, cadute, ma» con «la grazia al-meno di piangere come ha piantoP i e t ro » .

Successivamente, con la preghieradel cardinale Merry del Val, PapaFrancesco ha invitato «le personeche non si comunicano» a fare la co-munione spirituale. E ha concluso lacelebrazione con l’adorazione e labenedizione eucaristica. Per poi affi-dare alla Madre di Dio — accompa-gnato dal canto dell’antifona Av eRegina Caelorum — la sua preghiera,sostando davanti all’immagine ma-riana della cappella di Santa Marta.

L’invito dell’elemosiniere ai componenti della Cappella pontificia

Un gesto di carità concreta

Un invito alla solidarietà è stato rivolto dal cardinale elemosiniereKonrad Krajewski ai cardinali, agli arcivescovi, ai vescovi e ai prelatiche compongono la Cappella pontificia. In una lettera il porporato ri-corda che, a causa della pandemia da covid-19, le celebrazioni liturgi-che presiedute da Francesco nella Settimana santa si terranno senza lapresenza di quanti, in conformità al motu proprio Pontificalis Domus,costituiscono appunto la Cappella pontificia. Per partecipare alle soffe-renze di quanti sono nella prova, l’elemosiniere chiede perciò di essereuniti intimamente e in modo speciale al vescovo di Roma che «presie-de alla comunione universale della carità» (concilio ecumenico Vatica-no II, costituzione Lumen gentium, 13), attraverso un’offerta. Il Papa de-ciderà poi la destinazione dell’elemosina raccolta per l’emergenza sani-taria.

Il vescovo Vergez Alzaga spiega come la comunità dello Stato si prepara a celebrare le prossime festività

Pasqua ineditain Vaticano

OnlineUN SITO ALLA SETTIMANA

a cura di FABIO BO L Z E T TA

Chiesa di L’Aquila

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di NICOLA GORI

È una Pasqua assolutamente«inedita» quella che sta percelebrarsi in Vaticano. Perso-

nale ridotto, turnazioni, precauzionisanitarie: anche all’interno delle Mu-ra Leonine la vita è cambiata conl’emergenza causata dalla pandemia.Tuttavia, non si è abbassata comple-tamente la serranda. I servizi essen-ziali sono assicurati. E, anzi, alcunidipendenti lavorano anche di piùper rispondere alle nuove esigenzelegate soprattutto al ricorso al lavoroda casa. Questa Pasqua, perciò, saràall’insegna dell’essenziale, della soli-darietà, della riscoperta del fratello,perché nessuno venga lasciato soloma sia sostenuto e accompagnato inquesto momento difficile, sia dalpunto di vista sanitario ed economi-co, sia a livello pastorale e spirituale.Lo assicura in questa intervista a«L’Osservatore Romano», il vescovoFernando Vérgez Alzaga, segretariogenerale del Governatorato delloStato della Città del Vaticano.

Come si prepara la comunità del Vati-cano a celebrare la prossima Pasqua?

È una Pasqua inedita quella che ilVaticano si appresta a vivere. Lemesse vengono celebrate senza fedelie anche quella tradizionale del pre-cetto pasquale per i dipendenti èstata annullata. Ciò non significa,tuttavia, che la partecipazione allaSettimana santa sia in misura mino-re. La Pasqua, infatti, non è una fe-sta come le altre. È il cuore del cri-stianesimo e non può essere riman-data. Naturalmente, i sacerdoti chelavorano in Vaticano celebrano lamessa senza fedeli, ma si uniscono aPapa Francesco che ha chiesto dipregare per la fine della pandemiada covid-19. È stato memorabile ilmomento di preghiera, venerdì sera,27 marzo, sul sagrato della basilicadi San Pietro con la piazza vuota,seguito dai fedeli di tutto il mondoattraverso i mezzi di comunicazionesociale. In quell’occasione, primadell’adorazione del Santissimo Sa-cramento e della benedizione Urbi etOrbi, il Pontefice ha elevato una ac-corata preghiera: «Signore, benediciil mondo, dona salute ai corpi econforto ai cuori»: sappiamo «cheTu hai cura di noi». Sono convintoche anche in questo tempo di prova,

il Signore saprà trarre un gran benee ci offrirà un’opportunità di rivede-re la nostra vita alla luce del Vange-lo. Come ha detto il Papa in quellaserata storica in piazza San Pietro:«È il tempo di reimpostare la rottadella vita verso di Te, Signore, e ver-so gli altri. E possiamo guardare atanti compagni di viaggio esemplari,che, nella paura, hanno reagito do-nando la propria vita».

Sono cambiate anche le modalità di la-v o ro ?

Certamente, la pandemia ha cam-biato il nostro modo di vivere e dilavorare. In accordo con le direttivedella Segreteria di Stato, sono stateincentivate le modalità di lavoro dacasa, dove possibile, e si è provvedu-to a istituire turnazioni per evitare dimoltiplicare le possibilità di diffusio-ne del covid-19. Vorrei però sottoli-neare un fattore fondamentale: nes-suno è lasciato solo o indietro. Anessun lavoratore e dipendente vati-cano mancherà la solidarietà e il so-

stegno economico secondo le moda-lità indicate dalla Segreteria di Sta-to.

Anche al Governatorato si lavora inmisura ridotta?

Dopo la chiusura dei Musei vati-cani, anche le altre istituzioni chefanno capo al Governatorato hannoridotto o sospeso gli orari di apertu-ra. Tuttavia, i servizi essenziali delloStato rimangono operativi. Non vi èchiusura totale. L’Annona è rimastaaperta per dare la possibilità di po-ter acquistare i beni di prima neces-sità. Naturalmente, adottando un si-stema di contingentamento dellepresenze all’interno del negozio e diprecauzione con dispositivi di prote-zione sanitaria. La Gendarmeria e iVigili del fuoco sono operativi con iloro uomini e mezzi per esercitare illoro ruolo all’interno dello Stato. Lamensa aziendale si è adeguata al-l’emergenza e ha adottato un servi-zio di prenotazione dei pasti chevengono consegnati a domicilio. La

Farmacia vaticana è rimasta aperta,con un’ora di chiusura per sanificarel’ambiente. Anche il Servizio sanità eigiene assicura l’assistenza ambulato-riale. Gli operai della Direzione del-le infrastrutture e servizi sono pre-senti anche se, in alcuni settori, a

personale ridotto per garantire le at-tività quotidiane. Ad altri dipenden-ti, come quelli della Floreria e delServizio giardini e ambiente, il lavo-ro, durante la Settimana santa, nonmanca. C’è poi in questo periodo unsettore la cui operatività invece che

ridursi è aumentata notevolmente.Mi riferisco alla Direzione di cui so-no a capo, cioè quella delle Teleco-municazioni e dei sistemi informati-ci. I nostri dipendenti sono chiamatia un surplus di lavoro per installarevirtual private network (vpn), prestareassistenza da remoto e far fronteall’aumento di richieste via internet.Senza dimenticare il supporto perl’allestimento dei dispositivi per levideoconferenze. Anche le Poste,pur se a personale ridotto, funziona-no regolarmente.

Si tratta di un nuovo modo di organiz-zare la vita al tempo dell’emergenza sa-nitaria?

Certamente, siamo chiamati a im-postare anche il nostro lavoro in ma-niera diversa e, dove è possibile, ausare i nuovi strumenti che la tecno-logia mette a disposizione per poterlavorare a distanza. Vorrei sottoli-neare una cosa importante: sebbenele precauzioni sanitarie imponganola distanza, ciò non impedisce di as-sicurare la nostra vicinanza e la pre-ghiera a quanti sono affetti dal co-vid-19, ai loro parenti, alle vittime ea quanti piangono per la perdita deiloro cari. Vorrei esprimere la solida-rietà anche a quanti sono in difficol-tà economica e non riescono ad an-dare avanti. È il momento di risco-prire la carità e la fraternità che cispingono a prenderci cura dei piùbisognosi. Caritas Christi urget nos!Non possiamo fare finta di niente edimenticarci di quanti soffrono ac-canto a noi.

309 rintocchi di campana, uno per ogni vita inghiottita dal terremoto.L’Aquila ha ricordato l’undicesimo anniversario del sisma. Erano le 3.32del 6 aprile 2009. Il sito internet dell’arcidiocesi metropolitana, che dedi-ca una sezione anche al tema della ricostruzione, ha condiviso l’iniziativadi commemorazione «Accendi la tua luce». Finestre e balconi illuminatiper non spegnere la memoria e tenere alta la vicinanza verso chi oggi haperso la vita a causa del coronavirus. «Le 309 stelle che rievochiamo ri-marranno sempre accese nel cielo spirituale e civile della Città, così comebrilleranno perennemente nell’anima dei loro cari» ha scritto in un mes-saggio, pubblicato sul portale, il cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivesco-vo di L’Aquila. «Ancora una volta siamo tenuti a vincere la sfida controun destino avverso» ha sottolineato richiamando la comunità a rispostecoraggiose, di cittadinanza etica e di tenace fiducia. «Come credenti ab-biamo la certezza che ogni sofferenza, abitata dalla Pasqua di Gesù, vieneriscattata e resa fonte di salvezza. Per questo il “t e r re n o ” umano dove èstato sparso un grande dolore, se vivificato con l’acqua del Vangelo, frut-tifica in sovrabbondante risurrezione». (www.chiesadilaquila.it)