pietre erranti · delle colline tra moeraki e palmerston portano i nomi ... pesci, vermi marini,...

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66 Scienza e Conoscenza - n. 37, luglio/agosto/settembre 2011 Sabrina Mugnos Pietre Erranti Le sfere di Moeraki

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66 Scienza e Conoscenza - n. 37, luglio/agosto/settembre 2011

Sabrina Mugnos

Pietre ErrantiLe sfere di Moeraki

www.scienzaeconoscenza.it - Scienza e Conoscenza 67

Siamo in Nuova Zelanda, una fetta dell’Oceania, quell’elusivo continente così remoto ed esotico da essere quasi inquietante, in quanto inimmaginabile, già ai tempi dei primi anni scolastici.

Eh già, perché il mappamondo deve torcersi per una buona spanna per mostrarci la sua collocazione, sparpagliata nell’immensità dell’oceano Pacifico. Ma la sua effettiva distanza la si coglie solo coprendo-la: dall’Italia gli aerei da prendere – che si danno il cambio a mo’ di staffetta alla velocità di circa 900 chilometri orari – devono volare oltre 25 ore per coprire i quasi 20.000 chilometri che occorrono per raggiungerla. Considerate che la circonferenza terre-stre è solo il doppio. Per noi europei è senza dubbio una meta all’altro capo del mondo. Eppure, una volta arrivati, ci si sente a proprio agio. Gli abitanti sono ospitali, cordiali e sereni; le città sono accoglienti, pulite e dotate di ogni comfort tecnologico. Per l’ali-mentazione c’è solo l’imbarazzo della scelta tra menù di terra e di mare, passando per una serie infinita di modalità etniche per cucinare il cibo, sempre ottimo e abbondante. L’unico, piccolo, disagio, almeno per noi mediterranei, può essere il clima. L’anno scorso in

piena estate (ovvero in gennaio-febbraio, in quanto ci troviamo nell’emisfero Sud) la temperatura è sempre stata sotto i 18 gradi, resa ancora più rigida dal vento freddo e costante tipico delle terre insulari. E anche l’acqua del mare è alquanto fresca. Infine, lo stesso territorio è famigliare. Una rigogliosa vegetazione ricopre quasi totalmente la superficie, e ci sono pascoli ovunque, piacevolmente interrotti dalla coltivazione della vigna, nella zona a Nord dell’isola Sud, che alimenta una rinomata tradizione vinicola.Ci si ricorda di essere nell’immensità dell’oceano quando lo si ammira da spiagge lunghe decine di chilometri, sferzate da un vento impetuoso, ricche di piante, conchiglie e animali esotici, come foche, elefanti di mare, pinguini e albatros. Ma il paesaggio neozelandese sa offrire anche inaspet-tate sorprese che lo consacrano a tempio della natura impetuosa, come maestosi vulcani, taluni ancora ipe-rattivi e ricchi di una rigogliosa attività idrotermale, imponenti fiordi e ghiacciai. In questo bizzarro panorama non poteva mancare una stravaganza geologica come i massi di Moeraki (o Moreaki Boulders, nella dizione originale).

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68 Scienza e Conoscenza - n. 37, luglio/agosto/settembre 2011

Come biglie sul bagnasciugaSi tratta di un gruppo di sfere rocciose perfettamente tonde che punteggiano la battigia della spiaggia di Koekohe, vicino al piccolo insediamento di Moreaki, sulla costa di Otago, nell’isola sud.Sparpagliate come biglie sul bagnasciuga, se ne conta-no oltre una cinquantina – tra integre e frantumate. Alcune superano i due metri di diametro e pesano oltre sette tonnellate, mentre altre arrivano a qualche decina di centimetri di dimensioni; ma in media il loro diametro si aggira intorno al metro.La leggenda Maori ha una propria spiegazione relativa alla loro origine. Il gruppo Ngai Tahu, che viveva nell’area limitrofa, associa i massi al naufragio della grande canoa Arai Te Uru, a seguito di una tempesta, mentre navigava verso Sud. Le sfere sarebbero la trasfi-gurazione di parte del suo carico, ovvero cesti tondi di cibo e zucche. Ma altri elementi dell’evento sono stati cristallizzati nel paesaggio: lo scafo sarebbe diventato la scogliera che si estende in mare fino a Shag Point, e la grande roccia, Hipo, il navigatore. E ancora molte delle colline tra Moeraki e Palmerston portano i nomi dei membri dell’equipaggio, e una quello dell’onda che sommerse l’imbarcazione.

Incubate dal mare, partorite dalla terraLa scienza, ovviamente, propone un’altra spiegazione, non meno romantica.

A prima vista i massi sembrerebbero essere stati cesel-lati e poi depositati dal mare, ma in realtà la loro provenienza va cercata nella direzione esattamente opposta, ovvero presso i rilievi che si innalzano a ridosso della spiaggia.Per milioni di anni, infatti, queste scogliere le hanno custodite dopo averle forgiate nel loro grembo. Poi gli agenti atmosferici hanno dilavato via la roccia più soffice, liberandole, e permettendo loro di rotolare sulla battigia. Si è trattato, insomma, di una sorta di parto.Però la loro prima incubatrice è stata proprio il mare. Il processo cominciò circa 60 milioni di anni fa (nel periodo del Paleocene), quando gran parte del Nord dell’Otago era ricoperto dall’oceano.La loro formazione iniziò quando piccole quantità di materiale cementizio (quale carbonato di calcio, bios-

sido di silicio, solfuro di ferro o ossido di ferro) dissol-te nell’acqua (che rimane intrappolata tra le particelle sedimentarie durante la deposizione dei sedimenti sul fondo oceanico) andarono ad aggregarsi intorno al materiale organico presente dentro il sedimento mari-no fangoso deposto sul fondo.In pratica oggetti come conchiglie, ossa e frammenti di piante, agiscono come nuclei di condensazione intorno ai quali i minerali disciolti nell’acqua comin-ciano gradualmente a cristallizzare. Dopo migliaia e milioni di anni si sono così formate tali gigantesche sfere che i geologi chiamano concrezioni. Infine, circa 15 milioni di anni fa, durante il Miocene, il fondo marino si sollevò fin sopra il livello del mare, dove le forze erosive cominciarono il loro lento lavorio: la matrice rocciosa, ovvero l’ex fondale marino fango-so, venne divorata lentamente e i massi videro la luce.

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{ La leggenda Maori ha una propria spiegazione relativa alla loro origine: associa i massi al naufragio della grande canoa Arai Te Uru, a seguito di una tempesta, mentre navigava verso Sud

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1) Circa 60 milioni di anni fa il sedimento fangoso ricco di frammenti di conchiglie, ossa, piante e detrito vario comincio a depositarsi lentamente sul fondo marino.

2) Nel corso della sua deposizione, il sedimento fu costantemente rimescolato dall’attività di pesci, vermi marini, molluschi, ricci, ecc.. che alteravano la giacitura originale degli strati.

3) All’interno del sedimento impregnato d’acqua, a sua volta ricca dei minerali cementizi, questi ultimi cominciarono a cristallizzare intorno ai nuclei organici deposti, formando noduli sferici. Si pensa che ciò accadde circa 120.000 anni fa per le piccole concrezioni (minori di mezzo metro di diametro), e circa 4 milioni di anni per quelle superiori ai due metri di diametro.

4) La superficie esterna delle concrezioni in via di formazione divenne rigida e, quindi, fragile, ed il materiale interno cominciò a disidratarsi, contraendosi, e provocando fratture dirette dal nucleo verso l’esterno della concrezione.

5) Successivamente le fratture cominciarono a riempirsi di cristalli di calcite che crebbero in due stadi: prima si formarono piccoli cristalli di calcite marrone, poi seguiti da più grandi di calcite gialla che si depositarono quando la regione si era già sollevata.

6) Nel tempo il fondo marino si sollevò por-tando gli strati rocciosi allo scoperto. Questo periodo, conosciuto come Kaikoura Orogeny, cominciò nel periodo noto come Miocene (circa 15 milioni di anni fa) e continua ancora oggi.

70 Scienza e Conoscenza - n. 37, luglio/agosto/settembre 2011

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70 Scienza e Conoscenza - n. 37, luglio/agosto/luglio 2011

Nell’immagine di sinistra vediamo due sfere alla base delle pareti, già liberate dagli agenti atmosferici della matrice rocciosa originaria.

Nelle immagini in basso una sfera è stata colta

avviluppata quasi totalmente nella sua nicchia originaria

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I massi di Moeraki mostrano venature ben sviluppate che si irradiano dal centro verso l’esterno, che si sono formate in seguito al riempimento di calcite delle frat-ture generatesi nelle fasi embrionali. Le venature sono tipiche della struttura interna delle concrezioni, e sono conosciute come septa (ovvero di-visioni), da cui il nome di Concrezioni Septarie. Il fenomeno alla base della formazione di queste stra-bilianti rocce, appare alquanto semplice e ordinario,

sebbene affascinante. Eppure non ci sono altri luoghi in cui è avvenuto in tali proporzioni.

Questo però non deve sorprendere; se è vero, infatti, che la natura si muove secondo leggi per certi versi standard, è anche vero le condizioni alle quali soggiac-ciono possono essere, talvolta, eccezionali. Ed eccezionale è proprio ciò che è accaduto negli abissi di Moeraki per milioni di anni.

Per milioni di anni, infatti, queste scogliere le hanno custodite dopo averle forgiate nel loro grembo{

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Geologa, ha studiato e visitato decine di vulcani in giro per il mondo attraverso esplorazioni avventurose e talvolta estreme. Si occupa da tanti anni anche di astrobiologia e di archeoastronomia. Il suo libro, I maya e il 2012. Indagine scientifica (Macro Edizioni), sta riscuotendo un grande suc-cesso in Italia e in diversi paesi stranieri. Impegnata in corsi, seminari e convegni a respiro internazionale, è spesso ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche.Per maggiori informazioni: www.sabrinamugnos.com.

Scritto da Sabrina Mugnos

Libri e DVD di Sabrina MugnosVulcaniQuali Rischi?Macro Edizioni, Febbraio 2011

2012 Mito, Scienza o Finzione? Cofanetto 2 DVDDai Maya alle catastrofi naturali, un’indagine scientifica sulla fine del mondoMacrovideo, Dicembre 2010

I Maya e il 2012È possibile prevedere la fine del mondo? Un’indagine scientificaNuova Edizione AggiornataMacro Edizioni, Marzo 2009

{ Il fenomeno alla base della formazione di queste strabilianti rocce, appare alquanto semplice e ordinario, sebbene affascinante

Se potessimo asportare il primo strato liscio della superficie delle sfere (come è accaduto in modo naturale nel masso raffigurato in alto), vedremmo il reticolato di vene calcaree intercalato alle aree più scure che generano la tipica tessitura chiamata a tartaruga

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