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Prefazione alla prima edizione
L’ANACI romana, è lieta ed orgogliosa di poter presentare una guida per i corsi rivolti
agli aspiranti amministratori di condominio, aggiornata alla legge 220/2012, meglio conosciuta come la legge sulla “Riforma del condominio”.
La “Scuola di Roma” con lo sforzo e la dedizione di tutto il corpo docente ha potuto realizzare questa prima guida che attraversa tutte le tematiche del mondo condominiale: quelle giuridiche, quelle tecniche, quelle contabili e quelle amministrative.
L’amministratore di condominio, infatti, è diventato un autentico professionista, dovendosi occupare di una molteplicità di questioni per soddisfare le esigenze e le necessità della proprietà.
Il Centro Studi romano ha cercato di analizzare questa evoluzione dell’istituto condominiale, con l’obiettivo di fornire nozioni certe agli allievi dei corsi.
Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato, sacrificando il loro tempo all’attività professionale per realizzare questa raccolta dei moduli delle lezioni.
Il poco tempo disponibile ci farà perdonare per eventuali refusi, che un lettore attento potrebbe rilevare, ma con la promessa che la seconda edizione - ne sono sicuro - sarà perfetta ed armonica con lo spirito e la professionalità raggiunta da tutti i docenti, che con così tanta passione si alternano alla “cattedra” di Via Salandra.
Un sentito grazie a tutti e buon lavoro a tutti i nostri allievi.
Roma, Marzo 2013
Il Direttore del Centro Studi ANACI Roma
Dott. Fabio Gerosa
INDICE MODULO N. 1- Il condominio in generale . . . . . . pag. 5
(Carlo Patti) MODULO N. 2- L’amministratore . . . . . . . pag. 26
(Simone Zanchetta) MODULO N. 2bis- Il passaggio di consegne . . . . . . pag. 31
(Fabio Gerosa)
MODULO N. 3- L’assemblea di condominio . . . . . . pag. 40 (Ferdinando della Corte)
MODULO N. 4- Il regolamento e le tabelle millesimali . . . . pag. 50
(Marco Saraz) MODULO N. 5- Le controversie . . . . . . . pag. 69
(Paola Carloni)
MODULO N. 5bis- A.D.R. (Alternative Dispute resolution): La conciliazione . . . . . . . pag. 79 (Rosssana De Angelis)
MODULO N. 6- Le innovazioni . . . . . . . pag. 87 (Valerio Troiani e Laura Villirilli)
MODULO N. 7- I contratti (appalto e assicurazione) . . . . pag. 95 (Benedetta Coricelli e Alfonso Del Sorbo
MODULO N. 8- La privacy . . . . . . . . pag. 106 (Sarah Pacetti)
MODULO N. 9- Gli impianti condominiali . . . . . . pag. 119
(Piero Barchi)
MODULO N. 10- Contabilità e rendiconto condominiali . . . . pag. 143 (Carlo Parodi)
MODULO N. 11- La gestione dei dipendenti . . . . . . pag. 158 (Antonio Pazonzi)
MODULO N. 12- Le piscine . . . . . . . . pag. 175 (Laura Gonnellini)
MODULO N. 13- Il perimento dell’edificio . . . . . . pag. 179 (Laura Gonnellini)
MODULO N. 14- Cenni di diritto penale e processuale . . . . pag. 182 (Floria Carucci)
ALLEGATO 1- La retribuzione dell’Amministratore . . . . pag. 190
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MODULO N. 1
Il condominio in generale (Carlo Patti)
1.1 - Comunione e condominio: Collocazione sistematica. Il condominio negli edifici è un istituto relativamente moderno, disciplinato dalla
legge solo a seguito del fenomeno di progressiva aggregazione delle persone in edifici di certe dimensioni, di regola nei centri urbani. L’istituto della comunione o comproprietà fra più soggetti è invece conosciuto fin
dai tempi antichi; era conosciuto il fenomeno della comunione che si verifica quando due o più soggetti sono contemporaneamente proprietari del medesimo bene. Nel nostro Codice Civile, risalente al 1942, la parte relativa alla disciplina del diritto
di proprietà contiene norme che regolano per la gran parte la proprietà individuale. Un gruppo di norme, contenute negli articoli da 1100 a 1116 c.c., disciplina quella
particolare forma di proprietà che è la comunione. Un altro gruppo di norme, contenute nei successivi articoli da 1117 a 1139, e
oggetto di riforma nell'anno 2012, regola invece quella particolare forma di comunione, che è il condominio. Il concetto di comunione è molto vicino al fenomeno del condominio dal quale,
però, si discosta per alcune importanti differenze che è opportuno evidenziare. La comunione si ha quando due o più soggetti sono proprietari del medesimo bene,
inteso nella sua interezza, ciascuno per una quota ideale del tutto; il condominio, invece, prevede in aggiunta la contemporanea esistenza di beni di proprietà esclusiva (piena ed assoluta) con beni o parti comuni dell’edificio, rispetto ai quali ogni singolo condomino è comproprietario di una quota ideale. La coesistenza di questi due insiemi è inscindibile per quanto appresso si dirà sul vincolo che li lega. Il condominio negli edifici può definirsi nel codice civile come una particolare e
speciale forma di comunione. E’ importante evidenziare che nell’ultimo articolo di quelli applicabili al condominio
(1139) è previsto che “per quanto non è espressamente previsto da questo capo si osservano le norme sulla comunione in generale.“ Tale norma, oltre a rendere applicabili al condominio alcune delle regole previste
per la comunione, dimostra lo stretto collegamento che esiste tra le due fattispecie, grazie al quale si ritiene che il condominio costituisca una ipotesi particolare di comunione. Per completare il quadro normativo applicabile al condominio occorre ricordare le
norme previste negli articoli dal 61 al 72 delle “disposizioni per l’attuazione del codice civile”. Si tratta di regole specifiche aventi lo stesso valore di quelle contenute nel codice civile, le quali, peraltro, si occupano di regolare importanti aspetti della gestione dell’immobile. Nel tradizionale concetto di condominio si verifica una divisione della proprietà per
“piani orizzontali” l’uno all’altro sovrapposti: nell’edificio, infatti, le porzioni di piano in proprietà esclusiva sono sovrapposte sui diversi piani ed insistono sul medesimo suolo. Altra differenza tra la comunione ed il condominio è che in quest’ultimo le quote di
comproprietà sull’insieme dei beni comuni devono rispecchiare determinati criteri
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proporzionali legati alle possibilità di godimento delle parti comuni a vantaggio delle unità immobiliari di proprietà esclusiva. Appare opportuno evidenziare che il condominio è caratterizzato da un elemento
oggettivo, o materiale, ed un elemento soggettivo, o personale. Il primo elemento riguarda la consistenza fisica del condominio, mentre il secondo si riferisce alle persone titolari dei diritti sulle parti comuni dell’edificio. Le norme di legge sul condominio riguardano di volta in volta questi due aspetti. Va aggiunto che, a completamento della disciplina posta dalla legge, il condominio
trova un’altra fonte di norme nel Regolamento, che costituisce la sua legge “interna” e che verrà trattato in apposito capitolo di queste dispense. 1.2- L’elemento oggettivo - Beni e impianti comuni e le proprietà esclusive: l’art. 1117 c.c. Nel condominio, come detto, coesistono due insiemi distinti di beni: da una parte
quelli comuni, e, dall’altra parte, quelli in proprietà esclusiva (appartamenti, negozi, locali, posti auto, ecc.). Proprio il primo insieme di beni costituisce l’oggetto del condominio ed è composto
dai beni indicati dall’art. 1117 c.c. che modificato nel 2012 testualmente, recita1: “Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei piani o porzioni di piani di
un edificio, se il contrario non risulta dal titolo: 1. Il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, i lastrici
solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune; 2. I locali per la portineria e per l’alloggio del portiere, per la lavanderia,
per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune; 3. Le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono
all’uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, e, inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”. “Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari
dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo: 1. le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge
l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate; 2. le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la
portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti
1 La vecchia formulazione dell'art.1117 cod.civ. 1942 era:“Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo: 1. Il suolo su cui sorge lʼedificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dellʼedificio necessarie allʼuso comune; 2. I locali per la portineria e per lʼalloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune; 3.Le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono allʼuso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, e, inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per lʼacqua, per il gas, per lʼenergia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”.
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destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune; 3. le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso
comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso di qualunque altro genere di flusso informativo, anche via satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condòmini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.”
Va precisato che l'espressione iniziale “anche se aventi diritto a godimento periodico” si riferisce all'ipotesi minore della c.d. Multiproprietà. Nell'accezione tradizionale essa può sinteticamente definirsi una proprietà di parti private e comuni, soggetta ad una forma regolamentata di godimento turnario-‐periodico in favore dei singoli comproprietari. La previsione della multiproprietà nel codice civile costituisce un aspetto completamente nuovo portato dalla riforma del 2012. La giurisprudenza ha chiarito che l’elencazione dei beni comuni fatta dalla legge
non è tassativa ma “meramente esemplificativa”, con la conseguenza che può ben esistere un bene e/o un impianto che, pur non indicato in tale elenco, sia da considerarsi comune (vale a dire, condominiale). È da ritenersi che tale principio, espresso per la vecchia disciplina, sia applicabile
anche alla nuova formulazione dell'art.1117 cod.civ. come sopra riportata. Per di più, nello stesso art.1117 si prevede che un “titolo contrario” possa disporre
in maniera diversa: possa, cioè qualificare come esclusivo un bene che, altrimenti, dovrebbe essere considerato appartenente a tutti i condomini. La giurisprudenza ha ampiamente affrontato le problematiche derivanti dalla
lettura dell’art. 1117 c.c. al fine di individuarne l’esatto significato e funzionamento, giungendo a fissare i seguenti principi:
a) presunzione di comunione: un bene che risulta compreso nell’elenco dell’art. 1117 c.c. si “presume” comune. Come detto la presunzione di comunione può estendersi anche ad altri beni non espressamente indicati nell'art.1117 c.c., ma destinati in modo oggettivo a servizio strumentale e funzionale del condominio o di una parte di esso. b) condominio parziale il bene, pur essendo compreso in tale elenco, può
non essere condominiale se la sua “destinazione strutturale e oggettiva” (cioè, l’utilità fornita indipendentemente dal comportamento dei condomini) è a favore solo di una parte del fabbricato. In tale ultima ipotesi, i proprietari della parte del fabbricato sono i soli
proprietari del bene la cui utilità è a loro destinata. Per fare un esempio, la scala compresa in una delle due ali del fabbricato
appartiene soltanto ai proprietari delle porzioni di piano che utilizzano la scala come accesso. c) verifica della destinazione funzionale se un bene non è compreso
nell’elenco dell’art. 1117 c.c., la sua proprietà va individuata attraverso la “destinazione strutturale e oggettiva”, con la conseguenza che il bene sarà condominiale se fornisce utilità a tutto il fabbricato (e viceversa). d) “titolo contrario” un titolo contrario (cioè un contratto stipulato con
l’accordo unanime di tutti i partecipanti al condominio) può disporre diversamente rispetto all’art. 1117 c.c. stabilendo, per esempio, che un bene a destinazione condominiale appartenga solo ad alcuni condomini (come nel caso del lastrico
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solare esclusivo). Il suddetto titolo contrario può essere individuato nel “primo atto di
trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico proprietario a un altro soggetto” (Cass. 30 agosto 2004, n. 17397), oppure negli “atti di acquisto dei singoli appartamenti o delle altre unità immobiliari” ed anche nel “regolamento di condominio accettato dai singoli condomini.” (Cass. 16 febbraio 2005, n. 3102). In ogni caso, il titolo contrario deve essere approvato da tutti i condomini.
1.2.1 - I singoli beni ed impianti condominiali Riguardo all’elenco di beni e di impianti contenuto nel nuovo art. 1117 c.c. è
necessario svolgere qualche ulteriore precisazione. Infatti, sulle tipologie indicate nella norma originaria del 1942 la giurisprudenza ha
svolto un ampio lavoro di approfondimento, conseguendo importanti risultati di chiarezza dei quali è necessario dar conto in quanto è solo con riferimento ai beni ed agli impianti comuni che l’assemblea o l’amministratore possono decidere o compiere i necessari atti di gestione. Tali importanti approfondimenti sono stati poi recepiti dalla nuova disciplina. Premettendo che, in tale materia, stante la notevole eterogeneità dei casi, non è mai
possibile esaurire tutte le possibili fattispecie, qui di seguito saranno illustrate alcune delle ipotesi più importanti. 1.2.2 - Beni necessari all’uso comune (art. 1117 n.1 c.c.) Il suolo - Indicato nell’art. 1117 c.c. come bene comune, non è il semplice “livello di
campagna” bensì, più esattamente, il piano dove poggiano le fondamenta dell’edificio posto, il più delle volte, al di sotto della superficie visibile del terreno. Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che “suolo su cui sorge l’edificio” deve intendersi la porzione di terreno su cui viene ad insistere l’intero fabbricato e, immediatamente, la parte inferiore di esso, conseguendone che i condomini sono comproprietari non della superficie al livello di campagna, che, a causa dello sbancamento e della costruzione del fabbricato, più non esiste, ma della superficie del terreno sulla quale posano le fondamenta” (Cass. 24 agosto 1998, n. 8346). Il sottosuolo -‐ Elemento assai importante in quanto nello stesso vengono spesso
installati numerosi impianti (condominiali e/o privati) è individuato in base all’art. 840 c.c. In applicazione di tale norma “lo spazio sottostante al suolo su cui sorge un edificio in
condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destinazione” (Cass. 19 marzo 1996, n. 2295). Le fondazioni - Con tale termine ci si riferisce alla parte della struttura dell’immobile
che ha il compito di sorreggere l’edificio. Si tratta, solitamente, di pilastri o plinti di cemento armato posti nel terreno i quali,
peraltro, sono da considerarsi condominiali a prescindere dalla loro posizione (potrebbero, infatti, trovarsi anche all’interno di locali esclusivi, evidentemente sotterranei, non perdendo, per tale circostanza, la natura condominiale). Per la loro esatta individuazione in loco è spesso necessario l’intervento di un
tecnico che sappia individuare esattamente lo specifico manufatto.
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I muri maestri, i pilastri e le travi portanti, le facciate - In tal caso, l’art. 1117 c.c. intende riferirsi esattamente ai “muri portanti”, cioè alle pareti che, allo stesso modo delle fondazioni, svolgono il compito di sorreggere lo stabile. Anche in questo caso è ininfluente la posizione del bene che rimane condominiale anche se posto all’interno di proprietà privata. Negli edifici moderni (realizzati con struttura in cemento armato) non vi sono muri
portanti e la loro funzione è svolta dai c.d. “ritti e architravi”, i quali, di conseguenza, sono da considerarsi comuni. In quest’ultimo caso, i muri perimetrali dell’edificio (c.d. facciate o pannelli esterni)
sono equiparati ai muri portanti (e, quindi, qualificati come condominiali) in quanto forniscono un’utilità a tutto il fabbricato. In questi termini si sono già in passato pronunciati i Giudici, precisando che “nella
nozione di muri maestri di cui all’art. 1117 c.c. rientrano i pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali, ancorché la funzione portante sia assolta principalmente da pilastri ed architravi, sono anch’essi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte della struttura e della linea architettonica dell’edificio” (Cass. 9 febbraio 1982, n. 776) Oggi il nuovo art.1117 contempla espressamente al n.1) tutte queste parti comuni
recependo le pronunce dei giudici in considerazione delle tecniche costruttive acquisite in epoche successive al 1942.
La struttura di copertura del fabbricato - La struttura posta alla sommità
dell’edificio ed avente la funzione di copertura è condominiale, sia essa composta da un tetto (composto da elementi inclinati o arcuati) sia da un lastrico (piano orizzontale, accessibile o meno). E’ importante precisare che la copertura appartiene a tutti i condomini a
prescindere dalla posizione delle proprietà esclusive. E’ comune, quindi, anche ai proprietari delle porzioni di piano non ad esso sottostanti. La questione riveste importanza quando si tratta di eseguire il restauro di una sola
falda del tetto che copre solo una parte delle unità immobiliari sottostanti. Le scale - Sono comuni in quanto permettono l’accesso ai locali comuni ed alle
porzioni di piano in proprietà esclusiva. Sono condominiali anche tutti gli elementi che le compongono (gradini, ringhiere, parapetti, struttura portante, piani di collegamento, pianerottoli) nonché qualsiasi accessorio sia posto a loro servizio o abbellimento. Non è corretto suddividere la proprietà delle scale per piani, ma esse sono in
comproprietà tra tutti i condomini per tutta la loro estensione. I portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici - Sia il portone, sia gli ambienti che
servono da accesso al fabbricato e da collegamento con le scale sono considerati comuni. Le caratteristiche costruttive di tali opere sono, ancora una volta, irrilevanti: ciò che conta ai fini della loro condominialità è sempre e solo la funzione svolta a favore di tutto il fabbricato. I cortili - Non sono costituiti solo dall’area scoperta posta all’interno del fabbricato,
ma anche dalla colonna d’aria ad essa sovrastante e suscettibile di utilizzazione separata. In considerazione di ciò, la funzione del cortile è duplice e consiste, da una parte, nell’utilizzo della superficie, e, d’altra parte, nel fornire aria e luce ai vani che su di esso si affacciano.
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Il Supremo Collegio, infatti, ha affermato che “nell’individuazione delle cose comuni contemplate dall’art. 1117 c.c., per cortile deve intendersi lo spazio scoperto, e quindi la superficie calpestabile, con la sovrastante colonna d’aria, la cui primaria funzione è quella di assicurare aria e luce alle unità immobiliari che su di essa si affacciano” (Cass. 26 gennaio 1998, n. 714). 1.2.3– I parcheggi e i locali destinati ai servizi comuni del condominio
(art.1117 n.2 c.c.) I locali per i servizi - Sono ricompresi nell’insieme dei beni comuni i locali destinati
ai servizi comuni dei quali viene riportata un’elencazione avente, anche in questo caso, carattere esemplificativo (1); “i locali per la portineria e l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune”.
“le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune; La norma opera una distinzione tra la proprietà dei locali e quella degli impianti in
essi contenuti. Può, quindi, accadere che il locale e l’impianto appartengano a soggetti diversi, come si verifica, per esempio, quando, nel concreto, un impianto condominiale è situato in un locale di proprietà esclusiva. Le aree destinate a parcheggio e i sottotetti. Tra le novità della riforma vanno
annoverate le aree comuni destinate a parcheggio, con precisazione forse non necessaria ma certamente opportuna. I sottotetti hanno spesso costituito motivo di controversia circa la loro proprietà, talvolta ritenuta esclusiva a favore dei proprietari dell'ultimo piano, altre volte ritenuta comune, specialmente ove fossero considerati locali tecnici e dunque destinati all'uso collettivo. Le oscillazioni della giurisprudenza vengono oggi sintetizzate nella attribuzione dei sottotetti fra le parti comuni, solo in considerazione delle caratteristiche funzionali e strutturali per l'utilizzo comune. 1.2.4 - Beni e impianti che servono all’uso comune (art.1117 n.3 c.c.) I servizi comuni – La elencazione originaria, risalente al 1942, è stata arricchita di
nuove previsioni in linea con le moderne acquisizioni tecnologiche quali gli impianti per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso di qualunque altro genere di flusso informativo, anche via satellite o via cavo (1). Viene indicata una presunzione di comproprietà per “le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature, e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”. le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune,
come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso di qualunque altro genere di flusso informativo, anche via satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condòmini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.”
E’ importante sottolineare come l’impianto è comune a prescindere dalla sua posizione all’interno del fabbricato e che è da considerarsi tale fino al punto in cui si dirama verso la proprietà esclusiva.
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Tale particolare regola si giustifica con il fatto che, dopo la diramazione, l’impianto fornisce utilità solo ad una parte dell’edificio, ed in particolare ai locali di proprietà esclusiva del singolo condòmino. Il concetto è ribadito dalla Cassazione, secondo la quale “devono ritenersi condominiali anche gli impianti allocati in spazi di proprietà individuale, purché destinati al servizio dell’intero edificio” (Cass. 23 giugno 1960, n. 913). I principi su esposti valgono per qualsiasi tipo di impianto, compreso quello idrico,
quello fognario, l’impianto per il riscaldamento e di ascensore e per i nuovi tipi di impianto previsti nella nuova formulazione. 1.2.5- Il rapporto tra proprietà comuni e proprietà esclusive. La destinazione
funzionale e strumentale. L’indivisibilità Come visto, nel condominio coesistono due insiemi di beni: comune ed esclusivo. Tali insiemi, tuttavia, non sono indipendenti tra loro ma sono legati da un vincolo
specifico che determina ben precise conseguenze giuridiche e, quindi, anche l’applicazione di regole particolari. Si afferma, infatti, che l’insieme delle cose ed impianti comuni compresi nell’edificio
è strumentale al godimento delle proprietà esclusive, con destinazione stabile e necessaria dei primi al servizio delle seconde. In altri termini, i beni comuni hanno una stabile “destinazione funzionale” a favore
dei beni esclusivi, la quale, peraltro, è riconosciuta dalla legge negli articoli 1118 e 1119 c.c. nei quali viene stabilita l’impossibilità di sottrarsi al pagamento delle spese per la conservazione e anche la indivisibilità dei beni comuni. Ad esempio, le scale, come l’ascensore, servono al godimento e alla fruizione degli
appartamenti posti ai piani superiori, il cortile è destinato a dare aria e luce a tutti gli appartamenti, l’impianto centralizzato di riscaldamento serve a rendere gradevole la permanenza in casa nei mesi freddi, e via dicendo. Sotto una prospettiva diversa, si può affermare, perciò, che la quota di
comproprietà spettante a ciascun condomino sulle parti comuni costituisce un accessorio inseparabile della proprietà esclusiva sulla porzione di piano, al cui valore millesimale è commisurata. Per la medesima ragione le parti comuni, essendo legate da un nesso di necessaria
strumentalità al godimento delle parti di proprietà esclusiva, non sono divisibili, fatte salve le eccezioni previste dalla legge. Con la divisione delle parti comuni, si andrebbe infatti a vanificare l’essenza stessa del condominio che è proprio basato sulla relazione di accessorietà fra parti comuni ed esclusive. È per tale ragione che si ritiene comunemente che la vendita dell’unità immobiliare
non possa essere separata dalla contemporanea cessione dei diritti sulle parti comuni. Naturalmente questa necessaria e stabile coesistenza tra proprietà esclusive (in
proprietà individuale) e parti comuni (comproprietà) non impedisce ai condomini di godere e di disporre delle rispettive proprietà in modo pieno ed esclusivo. Nel far ciò, i partecipanti al condominio incontrano essenzialmente due limiti che sono rappresentati rispettivamente dall’obbligo di non invadere le sfere private degli altri partecipanti, e dal divieto di eseguire nel piano o porzione di piano di proprietà esclusiva opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio (artt. 1122 e 1122-‐bis c.c.). Il condominio, così come delineato dalla legge, è formato dunque da una struttura
complessa nella quale coesistono beni soggetti ad un regime giuridico differenziato (cioè, a regole parzialmente diverse) e in cui l’interesse collettivo tende a prevalere sugli interessi individuali dei singoli. Le regole tipiche della proprietà individuale
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(insistente sulle porzioni di piano di cui i singoli sono titolari) convivono, infatti, con quelle proprie della comunione (che ha ad oggetto i beni e gli impianti di cui l’intera collettività condominiale usufruisce), dando vita a reciproche interferenze. 1.2.6 - Costituzione e scioglimento del condominio Il condominio si costituisce (cioè, viene ad esistenza per la legge) in molteplici modi. Il caso più ricorrente è quello in cui l’originario ed unico proprietario (solitamente,
il costruttore) trasferisce la proprietà delle singole unità immobiliari (porzioni di piano) che compongono l’immobile a soggetti terzi che, in tal modo, divengono condomini a tutti gli effetti di legge. La nascita del condominio è un effetto automatico di legge e non è necessario che
venga “certificata” da uno specifico atto (nè privato, nè pubblico/amministrativo). E’ importante sottolineare che, verificatasi automaticamente la costituzione del
condominio, si applicano (allo stesso modo, automaticamente) tutte le regole previste dagli artt. 1117/1139 c.c. Nella pratica, i modi più frequenti sono tre:
1. un singolo soggetto, unico proprietario dell’edificio composto da più unità immobiliari, vende la prima porzione di piano; 2. più soggetti acquistano un terreno, vi edificano un immobile e
assegnano a ciascuno, in proprietà esclusiva, una porzione di piano; 3. più soggetti ereditano pro indiviso un edificio composto da più unità
immobiliari e, successivamente, procedono ad una divisione (per atto notarile) attribuendo le singole unità immobiliari a ciascuno degli eredi.
Così come nasce, il condominio può sciogliersi. L’ipotesi è prevista dall’art. 61 delle disposizioni di attuazione del codice civile
secondo cui “qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato”. Lo scioglimento, dunque, potrà essere realizzato solo se l’edificio o il gruppo di
edifici possano dividersi in parti aventi caratteristiche di edifici autonomi. Si tratta, quindi, di una caratteristica strutturale ed architettonica dell’edificio indipendente dalla volontà dei condomini. Per far ciò occorre una decisione dell’assemblea condominiale da adottarsi con la
maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentanti almeno 500 millesimi. Lo scioglimento del condominio può anche essere chiesto al Giudice, a patto,
tuttavia, che i condomini richiedenti costituiscano almeno un terzo dei comproprietari della parte dell’edificio della quale si chiede la separazione. 1.2.7 - Il condominio parziale, il condominio minimo ed il supercondominio A corollario di quanto sopra, va precisato che nel condominio, è possibile che alcuni
beni e/o impianti comuni appartengano in comproprietà solo ad alcuni dei condomini. Ciò può avvenire in due distinte ipotesi: a) il bene o l’impianto è destinato (oggettivamente e strutturalmente) a
servizio ed utilità di una parte dell’edificio; b) un titolo contrario attribuisce la proprietà di un bene o di un impianto
ad un gruppo dei condomini. Tale eventualità è ormai riconosciuta pacificamente dalla giurisprudenza secondo la
quale “deve ritenersi legittimamente configurabile la fattispecie del condominio parziale
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ex lege tutte le volte in cui un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto dell’edificio in condominio, parte oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene” (Cass. 25 settembre 2006, n. 20873). Nel caso di bene in condominio parziale, le decisioni sulla gestione e sulla
conservazione spettano solo ai condòmini che partecipano alla comunione parziale e non agli altri. Il “condominio minimo”, invece, si verifica quando la collettività condominiale è
composta da due soli partecipanti. Su tale particolare figura, vi è stata a lungo incertezza se applicare le norme sulla
comunione ordinaria (artt. 1110/1116 c.c.) o la disciplina sul condominio (artt. 1117/1139 c.c.), le quali ultime comportano rilevanti conseguenze specialmente in ordine alle maggioranze minime per le deliberazioni dell’assemblea. Il dilemma è stato di recente risolto dalla Suprema Corte la quale ha precisato che
“la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti... con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all’unanimità” (Cass., sezioni unite, 31 gennaio 2006, n. 2046). Ulteriore ipotesi è quella del c.d. condominio complesso o supercondominio, (vd.più
avanti) che si verifica quando un insieme di edifici, di solito costituiti in condomini autonomi, hanno in comune beni, servizi, locali o spazi aperti, tutti funzionali all’utilizzazione e al godimento, da parte dei singoli partecipanti, delle parti di loro esclusiva proprietà. Il supercondominio consente la razionalizzazione dell’uso e della gestione collettiva
degli spazi e dei servizi destinati a soddisfare esigenze comuni di coloro che abitano in edifici distinti. Il fenomeno è in forte espansione, specialmente nell’odierna realtà edilizia, che vede
spesso nascere, nelle zone di espansione urbana alle periferie delle grandi città, complessi residenziali in cui trovano posto, oltre alle usuali strutture abitative, anche giardini, parchi giochi, piscine, impianti ed attrezzature sportive. Dal punto di vista del diritto, la fattispecie è stata riconosciuta dalla giurisprudenza
che ne ha stabilito i connotati e le regole di gestione, affermando che “la nozione di condominio in senso proprio è configurabile non solo nell’ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale ma anche nel caso di costruzioni adiacenti orizzontalmente (come in particolare le cosiddette case a schiera); per i complessi immobiliari, che comprendono più edifici, seppure autonomi, è rimessa all’autonomia privata la scelta se dare luogo alla formazione di un unico condominio, oppure di distinti condomini per ogni fabbricato, cui si affianca in tal caso la figura di elaborazione giurisprudenziale del supercondominio, al quale sono applicabili le norme relative al condominio in relazione alle parti comuni, di cui all’art. 1117 c.c., come ad. es. le portinerie, le reti viarie interne, gli impianti dei servizi idraulici o energetici dei complessi residenziali, mentre restano soggette alla disciplina della comunione ordinaria le altre eventuali strutture, che sono invece dotate di una propria autonomia, come per es. le attrezzature sportive, gli spazi d’intrattenimento, i locali di centri commerciali inclusi nel comprensorio comune” (Cass. 18 aprile 2005, n. 8066).
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1.3 - L’elemento “soggettivo” Accanto alla parte materiale ed oggettiva della realtà condominiale si colloca un
altro aspetto di non minore importanza, che è quello soggettivo, ossia quello relativo al condòmino, titolare di diritti esclusivi o comuni, e di molteplici obblighi. 1.3.1- Diritti e doveri dei condomini ed utilizzazione delle parti e servizi
comuni L’art. 1102 c.c. che, come visto, sebbene dettato in materia di comunione trova
applicazione anche in ambito condominiale (art. 1139 c.c.), dispone che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Il singolo condomino, quindi, ha diritto di utilizzare qualsiasi bene o impianto
comune ma, nel far ciò, è tenuto a rispettare i limiti previsti dalla suddetta norma. Infatti, da una parte non può usare il bene per fini diversi da quelli corrispondenti
alla sua natura ed alla sua qualità (per esempio, non è consentito il parcheggio sulle zone verdi), e, dall’altra parte, deve consentire un uso quanto meno paritario agli altri compartecipanti (per esempio, costituisce un abuso illegittimo occupare gli spazi destinati a parcheggio in maniera prevaricante, impedendone l’utilizzo agli altri condomini). L’art.1102 c.c., secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale, consente
al condòmino di usare la cosa comune in modo da ritrarne ogni possibile e lecita utilità, ed anche un’utilità peculiare o più intensa rispetto a quella della generalità dei condòmini. Ciò deve pur sempre avvenire nel rispetto del triplice limite posto dalla legge: il
divieto di alterare il decoro estetico dell’edificio, il divieto di pregiudicare la statica e la sicurezza dell’edificio e il divieto di impedire agli altri condòmini di usare la cosa comune secondo il proprio diritto, nonché il divieto di alterare la destinazione della cosa comune. Laddove il condòmino travalichi questi limiti imposti dalla legge, la modifica deve
ritenersi illegittima se non autorizzata dall’assemblea. La riforma del 2012 ha specificato i limiti di utilizzo della cosa comune da parte del
condòmino. Infatti, mentre la disposizione di cui sopra riguarda l’utilizzo delle cose comuni, il
nuovo art.1122 c.c., impedisce poi al singolo condòmino di eseguire nella propria unità immobiliare esclusiva ovvero in parti comuni di uso esclusivo opere che possano recare danno alle parti comuni e pregiudicare la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico dell'edificio. L'art.1122-‐bis cod.civ. a sua volta disciplina l'installazione di impianti non
centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili da parte del singolo sotto il controllo dell'assemblea. In caso poi che il condòmino esegua attività che “incidono negativamente e in modo
sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni”, l'art.1117-‐quater prevede un meccanismo progressivo per far cessare la violazione, a partire da una diffida da parte dell'amministratore ovvero anche da un singolo condòmino, e fino all'esperimento di una tutela giudiziaria. 1.3.2 - Il condomino apparente e l'identificazione del proprietario effettivo La c.d. teoria del “condomino apparente” afferisce alla problematica della
individuazione dei soggetti legittimati alla partecipazione delle riunioni condominiali
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e, di conseguenza, obbligati alla corresponsione degli oneri necessari per la gestione del condominio. Essa presuppone che taluno si comporti, in maniera costante ed inequivoca, quale condomino, così da indurre gli organi condominiali a ritenere in buona fede che tale condotta sia conforme alla situazione di diritto. Si può, sinteticamente, affermare, che ad una giurisprudenza favorevole all’apparenza se ne è sostituita una, più recente, di segno nettamente opposto. Riguardo alle spese è stato però puntualizzato (Cass. n. 6187/94) che è
passivamente legittimato, rispetto all’azione giudiziale per il recupero della quota di competenza, il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche chi possa apparire tale (come uno dei coniugi che curi personalmente ed attivamente la gestione della proprietà dell’altro coniuge) difettando, nei rapporti fra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dei terzi in buona fede. Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza dell’8 aprile
2002, n. 5035, hanno sostanzialmente sgombrato il campo dalle polemiche negando ogni valore alla teoria dell’apparenza e sancendo la prevalenza dei princìpi di pubblicità ed effettività. La conseguenza, nient’affatto trascurabile, di un simile orientamento è che l’amministratore del condominio dovrebbe effettuare costantemente ricerche presso gli organi preposti al fine di garantire l’aggiornamento dell’anagrafe condominiale. L’amministratore deve dunque farsi carico dell’attività necessaria per accertare la
titolarità del diritto di proprietà del cespite o degli altri diritti presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari a nulla rilevando la mala fede del soggetto che si comporta da condomino ma che disconosce tale qualità solo nel momento in cui viene chiamato al pagamento degli oneri condominiali. In forza del nuovo art.1130 n.6 cod.civ. l'amministratore è espressamente obbligato
a curare e ad aggiornare il registro “di anagrafe condominiale” contenente tutti i dati dei condòmini proprietari e dei titolari di diritti reali (ad es. usufruttuari) e di diritti personali di godimento (ad es. conduttori). Questi dati devono essere forniti dai condòmini, ma in caso di loro inerzia o di carenza dei dati necessari forniti l'amministratore può anche ricavarli dai pubblici registri, addebitando al singolo condòmino 1.3.3 - Il supercondominio Il “supercondominio” è un tipo particolare di comproprietà e si verifica allorquando
esista una pluralità di edifici-‐condomìni i quali, facendo parte di complessi residenziali aggregati di più o meno vaste dimensioni, hanno anche spazi e servizi comuni come viali di accesso e di transito, impianti di illuminazione, di scarico fognario, piscine o servizi sportivi, spazi verdi attrezzati, portierato e vigilanza e, in generale quant’altro sia destinato come accessorio al funzionamento del gruppo di edifici. La comunione dei beni in supercondominio si realizza invece fra tutti coloro che,
essendo proprietari di una unità immobiliare all’interno degli edifici facenti parte del complesso, hanno anche la compartecipazione all’utilizzo e al godimento dei beni e dei servizi comuni al complesso di edifici. Deve inoltre essere ben distinta la comproprietà delle parti comuni del condominio
quale singolo edificio da quella delle parti del supercondominio. E’ ben possibile che si realizzi una fattispecie di supercondominio anche quando
due autonomi edifici in condominio, abbiano in comune un solo bene, come il viale di accesso o la centrale termica.
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Norme applicabili – In passato la giurisprudenza si è posta il problema di quale fosse la normativa applicabile al supercondominio rimanendo sostanzialmente concorde nel ritenere che al supercondominio dovessero applicarsi le norme sul condominio e non quelle sulla comunione in generale. Si è ritenuto infatti che al supercondominio possano essere estese tali norme trattandosi di una fattispecie analoga a quella del condominio. Oggi però la legge stabilisce espressamente che le norme sul condominio si
applichino anche al supercondominio. L'art.1117-‐bis stabilisce infatti che le disposizioni sul condominio si applicano, in quanto compatibili, “in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117”. Regolamento - E’ possibile inoltre che il supercondominio abbia un regolamento
delle parti comuni supercondominiali. Tale regolamento può essere fornito all’origine dal costruttore del complesso a coloro che acquistano un’unità immobiliare in uno dei condomìni che ne fanno parte (regolamento contrattuale) ovvero può essere deliberato dai partecipanti alla comunione in un momento successivo. Nel regolamento del supercondominio potranno essere contenute tutte le norme
per il funzionamento di questa comunione, dall’assemblea dei partecipanti all’amministrazione, dalla ripartizione delle spese all’amministrazione e via dicendo. Ove il Regolamento della comunione supercondominiale non esista ovvero, pur
esistendo, non detti certe norme per il suo funzionamento, si applicano, come stabilito, le norme sul condominio (artt.1117-‐1139 c.c.). L’assemblea - Non si deve incorrere nell’equivoco di considerare che il
supercondominio è una comunione “fra edifici” o “fra condomìni” e che l’assemblea sia formata dagli amministratori dei condomìni che fanno parte del supercondominio. La Corte di Cassazione ha più volte stabilito che è radicalmente nulla la clausola di regolamento del supercondominio che stabilisce che l’assemblea sia formata dagli amministratori delle singole palazzine: ciò perché le norme che riguardano la composizione ed il funzionamento dell’assemblea non sono derogabili (Cass.6-‐12-‐2001 n.15476). Se l’assemblea è formata da tutti i partecipanti alla comunione supercondominiale è
necessario pertanto che tutti ricevano una regolare convocazione contenente l’elencazione delle materie da discutere. Tuttavia la riforma della disciplina del condomino, come visto, contempla oggi
espressamente anche il supercondominio. In considerazione di ciò il nuovo art.67 delle disposizioni di attuazione del codice civile stabilisce ai commi 3, 4 e 5 che, nel caso di supercondominio formato da più di sessanta partecipanti, ciascun condominio debba nominare, con delibera a maggioranza qualificata, un proprio rappresentante all'assemblea del supercondominio per la gestione ordinaria delle parti supercondominiali e per la nomina dell'amministratore: in quella sede il rappresentante, che a tutti gli effetti è un mandatario, dichiara la volontà del condominio che lo ha delegato ed esprime il voto per i propri rappresentati, con l'obbligo di riferire tempestivamente l'esito della delibera all'amministratore del proprio condominio. Da notare che l'amministratore in nessun caso può essere delegato a partecipare all'assemblea. Riparto delle spese - La comproprietà dei beni comuni comporta che le spese di
manutenzione ordinaria e straordinaria, deliberate ed approvate dall’assemblea,
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debbano essere ripartite in qualche modo tra tutti i comproprietari. Se esiste un Regolamento contrattuale del supercondominio è probabile che in esso venga indicato un criterio di ripartizione delle spese. Talvolta i Regolamenti supercondominiali indicano una ripartizione di spese per
gruppi di condòmini: viene attribuita ad esempio una percentuale ai residenti della Palazzina A, un’altra ai residenti della palazzina B e via dicendo. La ripartizione interna della spesa attribuita a ciascun gruppo può essere poi commisurata ai millesimi di appartenenza all’edificio (Tab.A), oppure distinta in parti uguali fra i partecipanti del gruppo. Altre volte il Regolamento stabilisce che le spese del supercondominio si
ripartiscono in parti uguali fra tutti i partecipanti. Se il Regolamento non esiste, ovvero non disciplina la ripartizione delle spese, si
devono applicare, come visto, le norme sul condominio. La conseguenza è che le spese, in mancanza di un diverso criterio, si ripartiscono in parti uguali, come dettato dall’art.1101 comma 1 c.c. L’amministrazione del supercondominio - Da quanto detto fin qui appare chiaro che
il supercondominio comporta obblighi e oneri di gestione non indifferenti e tanto maggiori quanto più è esteso e complesso il supercondominio. Sarà allora opportuno provvedere alla nomina di un amministratore che andrà scelto dall’assemblea dei partecipanti al supercondominio con i criteri dettati dal Regolamento supercondominiale, oppure, in mancanza, dalle norme in materia di condominio, come innovate dalla riforma. L’amministratore del supercondominio curerà la gestione delle parti supercondominiali e, in generale avrà poteri ed obblighi conformati su quelli dell’amministratore di condominio, fatta sempre salva ogni diversa previsione del Regolamento supercondominiale. 1.4 - Posti auto e parcheggi Consideriamo l’argomento dei parcheggi e dei posti auto da un punto di vista
strettamente condominiale, trattando alcuni casi che si verificano nella pratica e che sono stati considerati dalla giurisprudenza. 1.4.1 - Parcheggio abusivo della vettura nel cortile condominiale E’ un’ipotesi tutt’altro che rara quella del condòmino che parcheggia la propria
vettura nel cortile condominiale (non adibito a parcheggio) per lunghi periodi. La Corte di Cassazione, con sentenza 24-‐2-‐2004 n.3640 ha affermato che tale condotta costituisce un abuso poiché manifesta l’intenzione del condòmino di occupare in modo stabile una parte dello spazio comune in via esclusiva. Tale condotta è contraria all’art.1120 c.c. che vieta al condòmino di alterare la destinazione d’uso del bene e di impedirne l’uso agli altri condòmini. Nel caso in esame la sosta continua in uno spazio limitato è stata ritenuta illegittima in quanto abusiva. 1.4.2 - Chiusura del posto auto in box Ci si è chiesti se sia possibile, per il condòmino titolare esclusivo di un posto auto
nell’area condominiale riservata a parcheggio, recintare lo spazio ovvero trasformarlo in box. La Corte di Cassazione (Sent.5933/91) ammette tale recinzione, ove ciò non sia vietato dal Regolamento condominiale e sempre che tale modifica non entri in conflitto con i limiti posti dall’art.1102 cod.civ. Quando però tale modifica comprometta o alteri le facoltà di utilizzazione da parte
degli altri e in particolare violi la percorrenza, l’aerazione, l’illuminazione, la facilità di
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manovra, essa non è consentita. 1.4.3 - Delimitazione del posto auto nel cortile comune La destinazione di una parte del cortile comune a posti auto (delimitati a mezzo di
strisce bianche) e l’assegnazione in uso esclusivo a ciascun condòmino di un posto auto significa solo consentire un uso più intenso, specifico ed esclusivo della cosa e non comporta invece assegnazione in proprietà della porzione di spazio comune, neanche se essa viene delimitata da strisce di confine (Cass.22-‐11-‐2000 n.15108). 1.4.4 - Regolamentazione turnaria e delibere in merito L’uso promiscuo del bene comune consiste nella possibilità di utilizzo anche
contemporaneo del bene da parte di tutti i condòmini secondo la loro quota di godimento. Laddove per le oggettive dimensioni del bene ciò non sia possibile, occorre stabilire un uso turnario del bene mediante l’elaborazione di un regolamento interno da predisporsi ad hoc, che stabilisca in modo chiaro le modalità di utilizzazione del bene in capo a ciascuno. Il problema che in merito all’uso turnario è stato dibattuto in giurisprudenza è che
esso possa ledere il diritto che i condòmini hanno al pari uso del bene comune: ”Il pari uso della cosa comune non postula necessariamente il contemporaneo uso da parte di tutti i partecipanti alla comunione che resta affidata alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza. La nozione di pari uso del bene comune, pertanto, non è da intendersi nel senso di uso necessariamente identico o contemporaneo, fruito cioè da tutti i condomini nell’unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la conseguenza dell’impossibilità per ogni condòmino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tale fine. La disciplina turnaria dei posti auto, quindi, lungi dal comportare l’esclusione di un condòmino dall’uso del bene comune, è adottata per disciplinare l’uso di tale bene in modo da assicurarne ai condòmini il massimo godimento possibile nell’uniformità di trattamento e secondo le circostanze […]” (Cass. 16-‐6-‐2005 n.12873). In sostanza il godimento turnario, lungi dall’essere lesivo del diritto dei condòmini
al pari uso del bene, regola invece l’utilizzo dello stesso in modo da trarne ordinatamente il massimo utile possibile nei casi in cui l’utilizzo contemporaneo è oggettivamente irrealizzabile. 1.4.5 - Utilizzo dei posti auto in funzione dei millesimi di proprietà Il caso è tutt’altro che raro. I condomini ritengono di avere maggiore diritto
all’utilizzo dei posti auto condominiali in funzione della maggiore quota millesimale. Vale a dire che chi ha più millesimi ha diritto di avere il posto più grande o quello più comodo per parcheggiare. La giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere il diritto di utilizzo dei posti auto
in comunione pro indiviso in senso paritario anziché in senso millesimale. Si segnala a tal proposito che la Corte di Cassazione con sentenza 7-‐12-‐2006 n. 26226 ha statuito: “La quota di proprietà, quale misura del diritto di ogni condòmino, rileva relativamente ai pesi e ai vantaggi della comunione ma non in ordine al godimento che si presume uguale per tutti, come ribadisce l’articolo 1102 cod.civ. con il porre il limite del pari uso per cui nel caso di garage in comunione pro indiviso, non potendosi considerare equivalenti i posti macchina sotto il profilo della comodità di uso, il criterio di utilizzazione va stabilito, salvo accordo fra i condòmini, nel rispetto dell’articolo 1102 citato, il quale impedisce che alcuni condòmini facciano un uso, sotto il profilo qualitativo, diverso rispetto agli altri: da qui l’illegittimità della delibera condominiale
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impugnata, nel fissare a tempo indeterminato la situazione di vantaggio degli uni e di svantaggio degli altri”. 1.4.6 - Posto auto per disabile Il problema è quello della tracciabilità di uno spazio riservato ai disabili nel tratto di
terreno comune antistante il condominio. La materia è regolata dall’art.24 L.5-‐2-‐92 n.104 e dall’art.8.2.3 del D.M. Lavori
Pubblici del 14-‐6-‐1989 n.236 che sanciscono il diritto del portatore di handicap alla fruizione di parcheggio riservato posizionato nell’immediata adiacenza dell’ingresso all’edificio. Tali disposizioni, poiché dirette alla salvaguardia di esigenze fondamentali della
persona affetta da disabilità poiché attuano il principio di solidarietà sociale di cui all’art.2 della Costituzione, devono ritenersi prevalenti sulla disciplina privatistica in tema di utilizzo degli spazi comuni condominiali di cui agli artt.1102 e 1120 c.c. 1.5 - Usucapione Definizione - L’usucapione è un modo di acquisto del diritto di proprietà o di altro
diritto reale limitato sulla cosa. Essa si compie con il decorso di un periodo di tempo durante il quale il soggetto esercita indisturbato il “possesso” sulla cosa. Il possesso è il potere di fatto sulla cosa, corrispondente nel suo contenuto al diritto
di proprietà, o di altro diritto reale limitato come la servitù, ecc. Mentre il possesso è una situazione di fatto, la proprietà è una situazione di diritto. Spesso infatti il titolo giuridico è dissociato dal fatto del possesso. L’usucapione è un mezzo con il quale l’ordinamento giuridico, trascorso un certo
numero di anni, attribuisce al possessore il diritto corrispondente alla signoria esercitata sulla cosa. Il diritto che per tanto tempo non è stato fatto valere nei confronti del possessore
viene cancellato o subisce una compressione. Il decorso del tempo infatti acquista un peso tale da prevalere sulle ragioni del
proprietario rimasto inerte. 1.5.1 - Requisiti per l’usucapione Per l’usucapione occorrono alcuni requisiti, quali: 1) Il possesso, come l’abbiamo sopra definito. 2) Il decorso del tempo, stabilito dalla legge: normalmente il periodo è di
venti anni, ma in alcuni casi particolari il periodo è più breve. 3) L’assenza di interruzioni nel possesso: affinché si compia l’usucapione
è fondamentale che il possesso si svolga per il tempo previsto in modo assolutamente pacifico e senza interruzioni, che possono derivare sostanzialmente da atti di esercizio del diritto da parte del titolare (ad esempio la domanda giudiziale di restituzione), o il riconoscimento del diritto fatto dallo stesso possessore, o la privazione del possesso per oltre un anno (per fatto naturale o per fatto altrui). 1.5.2 - L’usucapione nel condominio Normalmente i beni comuni sono fruiti dai condomini secondo l’ormai noto
rapporto di “peculiare utilità strumentale” delle parti comuni in favore delle unità immobiliari esclusive. Il godimento delle parti comuni in capo a ciascun condòmino deve svolgersi
secondo la propria quota di comproprietà.
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Tale godimento comprende anche le ipotesi in cui il godimento del bene sia particolare o più intenso rispetto a quello degli altri condòmini La Suprema Corte ha precisato che l’utilizzazione da parte del condomino,
rispettando i limiti visti, può avere luogo anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri compartecipanti e in ogni caso l’uso più intenso o diverso da parte di uno dei partecipanti alla comunione rispetto agli altri non vale di per sé a mutare il titolo del possesso e quindi ad attrarre la cosa comune o parte di essa nella disponibilità del singolo comunista. Comunque l’uso della cosa comune da parte del singolo condomino non può
estendersi all’occupazione permanente e non autorizzata di una parte del bene comune, che potrebbe determinare l’usucapione della parte occupata. Tuttavia non sono rari i casi in cui un condòmino arriva ad utilizzare il bene comune in modo talmente esclusivo da privare completamente gli altri condòmini del godimento secondo la loro quota. Non è sufficiente che gli altri comproprietari si siano limitati ad astenersi dall’uso
della cosa (cosiddetta tolleranza), e non è sufficiente che gli atti di gestione compiuti dal condomino siano quelli normalmente consentiti al comproprietario ovvero quelli che consistano in modificazioni per ottenere il miglior godimento del bene. Per potersi parlare di usucapione in tali casi occorre infatti che il condòmino abbia
compiuto atti di gestione incompatibili con la possibilità di godimento altrui, in modo tale da evidenziare, al di fuori di ogni possibile altrui tolleranza, una inequivoca volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri ogni atto di godimento o di gestione. Ad esempio: il condòmino si appropria di un locale comune apponendovi un lucchetto di cui detiene solo lui la chiave. 1.6 - Consorzi residenziali Definizione - In materia condominiale la figura del Consorzio è un tipo minore che si
riferisce a quei casi in cui un gruppo di proprietari di unità immobiliari in un complesso edilizio, sceglie di gestire una serie di servizi collettivi nella forma consortile anziché in quella condominiale disciplinata dalle norme del codice civile. Si tratta di una realtà ancora nuova, non molto trattata dalla giurisprudenza se non per pochi punti salienti. Il consorzio è previsto dal codice civile nella parte che disciplina le società
(artt.2602 e ss. c.c.) ed è una forma di organizzazione temporanea fra imprese per la disciplina o lo svolgimento di determinate fasi dell’attività di impresa. Tale figura è stata poi trasfusa e presa in prestito nella realtà condominiale con
riferimento a quelle ipotesi sopra dette di proprietà di servizi collettivi fra i partecipanti a complessi edilizi di grandi dimensioni. In sostanza la gestione di servizi e beni collettivi in comune viene disciplinata nella
forma del consorzio privilegiando un elemento “associativo di gestione” fra proprietari, piuttosto che l’elemento della “comunione di godimento”. Va però sottolineato che mentre nel consorzio vero e proprio è importante l’attività
di impresa finalizzata al profitto economico, il consorzio è finalizzato unicamente al godimento di beni in comune. Struttura del consorzio - I consorziati sono vincolati da un Regolamento (c.d.
regolamento consortile o statuto consortile) che viene richiamato nei singoli atti di acquisto delle rispettive unità immobiliari e che ciascun consorziato si impegna a rispettare. L’assemblea è anche in tale caso l’organo sovrano che adotta le decisioni
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nell’interesse generale ed elegge l’organo di amministrazione, che nel Consorzio assume il nome di Consiglio di amministrazione. Il Consiglio di amministrazione è formato da più consiglieri (è un organo collegiale) ed è presieduto da un Presidente che normalmente ha poteri di direzione e di rappresentanza del Consorzio anche in giudizio. Disciplina applicabile - Da quanto precede potrebbe sembrare che il consorzio sia
una complicazione nella portata giuridica del godimento di beni o servizi in comune in un complesso residenziale. Dobbiamo però pensare, che l’autonomia negoziale dei comproprietari sia libera di
decidere il godimento di un bene nella forma ritenuta più consona. Tanto più che il consorzio di tipo residenziale è ancora una figura del tutto nuova e in fase di formazione sulla base delle esigenze di gestione che si manifestano nel momento attuale. Così posta la questione, la normativa applicabile al consorzio di tipo residenziale
non potrà certamente essere quella societaria dei consorzi di imprese (finalizzata come detto all’attività di impresa ed al profitto economico che ne deriva), ma dovrà necessariamente essere quella dettata in materia di godimento comune di un bene, come appunto disposta dalle norme in tema di condominio. In un primo momento la giurisprudenza (Cass. 18-‐7-‐84 n.4199) aveva ritenuto che
il consorzio fosse una forma mista tra un elemento associativo ed un elemento di godimento di beni comuni. In un secondo momento la Corte di Cassazione si è orientata verso una più marcata
applicazione delle norme sulla comunione. Ad oggi la giurisprudenza ha corretto il proprio indirizzo ed è nettamente orientata
nel ritenere che alla fattispecie del consorzio residenziale, fermo restando che si tratta di una figura del tutto atipica e non appartenente alle forme societarie dell’attività di impresa, si applicano le norme dettate in tema di condominio e non quelle sulla comunione. In seguito alla recente riforma del condominio, in forza del nuovo art.1117-‐bis
cod.civ. in vigore dal giugno 2013 la nuova disciplina deve ritenersi applicabile anche ai consorzi, in quanto compatibile. 1.7 Cooperative edilizie Definizione - Le società cooperative sono un particolare tipo di società
caratterizzate dal cosiddetto “scopo mutualistico”, ossia si propongono la finalità particolare di svolgere la loro attività non per il lucro e il profitto in sé (come invece avviene per le società commerciali), ma per soddisfare essenzialmente i bisogni dei soci mediante la collaborazione fra i soci stessi per il raggiungimento dello scopo sociale. Le cooperative edilizie sono un tipo particolare di cooperative, regolate da norme
speciali, che hanno lo scopo precipuo di provvedere alle esigenze abitative dei soci mediante la realizzazione di beni immobili ed edifici costituiti da unità immobiliari che, in un momento successivo alla loro realizzazione vengono assegnati ai soci in proprietà. I partecipanti alla cooperativa edilizia si riuniscono in tale forma essenzialmente
perché interessati all’acquisto di una casa. Vicende ulteriori e passaggio alla forma condominiale - Successivamente alla
realizzazione dell’immobile la cooperativa stessa procede all’assegnazione individuale
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degli alloggi prenotati dai soci ed al frazionamento del mutuo indiviso eventualmente stipulato per le realizzazione dell’immobile. Una volta completati tali adempimenti la cooperativa ha esaurito il proprio oggetto
sociale ed è costituito il condominio vero e proprio, formato dai cessionari degli alloggi e della quota parte di beni ed aree comuni. Le obbligazioni già gravanti sulla cooperativa si trasferiscono sui soci-‐condòmini. Da notare che per la costituzione del condominio derivante da cooperativa non
occorrono particolari formalità: il condominio esiste per il solo fatto della assegnazione delle unità immobiliari e non necessita di atti formali. Tuttavia occorre fare attenzione alla presenza di un Regolamento condominiale e che esso sia stato debitamente trascritto presso i registri immobiliari. Talvolta i condomìni di alloggi edificati in cooperativa continuano ad utilizzare il Regolamento fornito dalla cooperativa stessa e le tabelle di ripartizione delle spese ad esso allegate. E’ assai importante verificare quindi che il Regolamento del condominio abbia i
caratteri “contrattuali” ossia che esso sia approvato da tutti i condomini in assemblea totalitaria oppure sia stato richiamato e approvato nei singoli atti di acquisto. Occorre inoltre verificare che esistano le necessarie tabelle millesimali, e che le
stesse siano tuttora rispondenti alle esigenze dei condòmini in relazione alla vita della nuova collettività condominiale. 1.8 - Le distanze nel condominio Definizione - Il concetto di distanze legali nel codice civile è legato alla regolazione
dei rapporti fra proprietà vicine o contigue allo scopo di garantire la pacifica convivenza ed il rispetto di esigenze di igiene e salubrità oggi comunemente sentite. Se la proprietà privata è il “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed
esclusivo” esso deve però esercitarsi “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. A questo importantissimo concetto enunciato dal Codice del 1942 si è poi aggiunto il dettato della Costituzione repubblicana che, sancisce la “funzione sociale” della proprietà. Ecco allora che l’esercizio delle facoltà proprietarie viene a subire delle limitazioni
necessarie e funzionali al raggiungimento di tale obiettivo. Così vengono poste dal codice civile, tra le altre, norme sulle distanze minime da
osservare fra le costruzioni (art.873 c.c.), sulle distanze minime da rispettare per gli alberi, i canali e i fossi, i pozzi, le cisterne, le fosse e i tubi, per le fabbriche e i depositi nocivi e pericolosi (artt.873-‐899 c.c.). Altro gruppo di norme relative alle distanze legali è formato dagli artt.900-‐907 che
regolano il diritto del proprietario di godere di aria e luce, nel rispetto dell’esigenza di discrezione nei confronti del vicino. Questi limiti legali, in tema di distanze minime, possono essere derogati o modificati
solo su accordo tra vicini ovvero per usucapione o per destinazione del padre di famiglia. Utilizzo delle parti comuni e distanze legali - L’art.1102 c.c. consente al condòmino di
usare la cosa comune in modo da ritrarne un’utilità anche peculiare o più intensa rispetto a quella della generalità dei condòmini, ma ciò pur sempre nel rispetto dei limiti posti dal rispetto del decoro, della statica, e del pari diritto degli altri di usare la cosa comune nei limiti della propria quota, nonché dal divieto di alterare la destinazione della cosa comune. A questa norma si aggiungono anche le limitazioni derivanti dai nuovi art.1122 e
1122-‐bis cod.civ.: il primo vieta al condòmino di eseguire, nelle parti esclusive o in
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quelle comuni di utilizzo esclusivo, di eseguire opere dannose per l'edificio. Il secondo regola l'installazione di impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili, imponendo il minor pregiudizio alle parti comuni e attribuendo all'assemblea poteri di controllo e direzione sulle attività del singolo per l'esecuzione di tali installazioni. A prescindere da questi limiti, il Regolamento condominiale, in deroga a tali
disposizioni, può anche vietare di modificare la cosa comune da parte del singolo condòmino, ovvero stabilire ulteriori e più specifici limiti. Le eventuali limitazioni poste dal Regolamento all’uso dell’unità immobiliare
esclusiva possono anch’esse riflettersi sulle facoltà connesse all’uso delle cose comuni: si pensi ad esempio al locale adibito a ristorante con conseguente installazione di impianti di ventilazione e di canne fumarie. Il divieto regolamentare di fare un certo uso dei locali commerciali si riflette anche sul diritto di utilizzare le cose comuni. Il condòmino può apportare a proprie spese alla cosa comune le modificazioni
necessarie al miglior godimento della stessa, ma tali modificazioni sono soggette ai limiti di cui sopra. A tutela delle parti comuni in caso di violazioni degli artt.1102, 1122 e 1122-‐bis c.c.
è possibile esperire la tutela prevista dall'art.1117-‐quater del codice civile, ovvero, gradatamente, una diffida, una delibera assembleare e, ove occorra, una tutela giudiziaria in via petitoria (cioè di restituzione del bene allo stato preesistente) e possessoria (di tutela del possesso in capo agli altri condòmini). In ogni caso è fatto salvo il risarcimento del danno eventualmente derivante da un indebito uso della cosa comune. Contrasto fra le norme sull’utilizzo della parti comuni e quelle in tema di distanze -
Talvolta le norme sulle distanze e quelle sull’utilizzo dei beni condominiali confliggono. Il condòmino può, ad esempio, utilizzare legittimamente il muro comune per
apporvi dei tubi nel rispetto dell’art.1102 c.c., ma può trovarsi a ledere il diritto del vicino al rispetto delle distanze minime; nella fattispecie quelle imposte dall’art.889 c.c.: il tubo in questione quindi potrà legittimamente essere installato sul muro comune, nel rispetto della distanza minima di un metro (art.889 comma 2 cod.civ.), ma se lo spazio disponibile non è sufficiente si porrà il problema se sia consentito o meno collocare il tubo: l’art.1102 c.c. lo consentirebbe, l’art.889 c.c. no. Il problema da risolvere è quale delle norme deve prevalere: in sostanza, vince chi
vuole utilizzare il bene comune (nel rispetto dei limiti consentiti), oppure chi vuole imporre il rispetto delle distanze minime di legge? Soluzione del contrasto - Per risolvere il contrasto occorre fare riferimento alle
pronunce della giurisprudenza che in sostanza, e salvo quanto appresso si dirà per le finestre (o vedute) è allineata sul concetto seguente. Ove, in materia condominiale, non sia possibile conciliare l’applicazione delle
norme in materia di utilizzo consentito del bene comune con il rispetto delle distanze legali minime, prevale l’applicazione delle norme dettate per il condominio. Queste norme sono infatti disciplina speciale che, in caso di contrasto, prevalgono nell’applicazione rispetto a quelle generali dettate dal codice civile in tema di distanze (Cass.II 9-11-2001 n.13852). In altri termini per poter stabilire se entrambi i gruppi di norme siano applicabili,
ovvero se le norme in materia di condominio prevalgano su quelle in tema di distanze occorre avere riguardo alla situazione concreta, ed in particolare alla concreta struttura dell’edificio, per verificare se essa consenta una applicazione armonica di
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entrambi i gruppi di norme ovvero se imponga la preferenza della disciplina condominiale per incompatibilità con quella dettata in tema di distanze legali. 1.9 - Le servitù La servitù consiste in un peso imposto ad un fondo (ossia un bene immobile) per
l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Tralasciando le molteplici distinzioni normalmente trattate in dottrina, vanno
evidenziati alcuni elementi fondamentali: a) Appartenenza dei fondi a proprietari diversi. Se due fondi
appartengono al medesimo proprietario non può esistere la servitù. b) Realità e predialità delle servitù. Esse devono avere ad oggetto un peso
imposto su un fondo per l’utilità di un altro fondo, indipendentemente da chi siano di volta in volta i proprietari dei due fondi. Se il peso viene imposto alla persona del proprietario non saremo di fronte ad una servitù, bensì ad un’obbligazione. c) Contiguità dei fondi servente e dominante. I due fondi devono essere
contigui, ma non necessariamente confinanti, al fine dell’esistenza della servitù.
1.9.1 - Art.1102 c.c. e servitù nel condominio Con riferimento alla realtà condominiale, per inquadrare la materia delle servitù
bisogna partire in primo luogo dal concetto che nel condominio i beni immobili di proprietà esclusiva costituiscono beni giuridicamente distinti da quelli di proprietà comune. In sostanza il condominio è una particolare forma di comunione dove in capo ai
partecipanti si assommano la proprietà dell’unità immobiliare individuale e quella pro quota delle parti comuni destinate ad uso servizio e godimento delle prime. In secondo luogo occorre tenere ben presente che, se i beni comuni possono essere
utilizzati dal singolo condòmino in modo da ritrarne le utilità anche peculiari o più intense che siano consentite nel rispetto però dei limiti imposti dall’art.1102 c.c. e dai nuovi artt.1122 e 1122-‐bis cod.civ., è anche vero che, laddove alla proprietà comune venga imposto un peso che va al di là delle utilità consentite dal Codice Civile in favore dell’unità immobiliare esclusiva, sussiste la creazione di una servitù. In sostanza, per potersi configurare in ambito condominiale una servitù sui beni
comuni in favore di un bene esclusivo appartenente ad un singolo condòmino, è necessario che l’utilità ricavata dal bene comune sia diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione del fondo comune e fruita da tutti i comproprietari ex art.1102 c.c. Occorre allora tenere ben presente questo principio generale, come punto di
confine del diritto del condòmino: se egli utilizza il bene comune entro i limiti dell’art.1102 e degli artt. 1122 e 1122-‐bis c.c. non crea un rapporto di servitù. Se invece impone sulla cosa comune un peso particolare a vantaggio della cosa
propria che gli consenta di godere del bene comune in modo difforme dalla sua destinazione modificandone la destinazione, ovvero impedendo agli altri condòmini di farne parimenti uso secondo la loro quota ovvero ancora attraendo la cosa comune nella propria sfera di disponibilità esclusiva, allora dà origine ad una servitù. 1.9.2 - Costituzione delle servitù I modi di costituzione delle servitù, ossia i modi in cui può nascere una servitù, sono
quelli contemplati dalla disciplina ordinaria del codice civile. Il contratto - E’questo il caso della servitù costituita in un momento successivo alla
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nascita di un condominio. La costituzione di una servitù per contratto richiede il consenso unanime di tutti i condòmini (1000 mm) riuniti in assemblea, con atto da compiersi nelle forme richieste dalla legge. Un caso particolare – Il nuovo art.1120 cod.civ. prevede al comma 2 n.2) la
possibilità di creare in favore di terzi un diritto reale (sostanzialmente, una servitù) “per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili”. La deliberazione dell'assemblea, adottata con la maggioranza dell'art.1136 secondo comma (maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore millesimale dell'edificio), avrebbe dunque ad oggetto l'autorizzazione a realizzare le opere e gli interventi necessari che costituiscono innovazioni. Costituzione per regolamento condominiale - E’ possibile che le servitù vengano
imposte già in forma originaria dal Regolamento condominiale contrattuale. Il regolamento condominiale può infatti contenere disposizioni che limitano l’uso delle unità immobiliari con l’imposizione di pesi a carico di alcune unità a favore di altre. In tali casi si hanno appunto delle servitù. Destinazione del padre di famiglia (artt.1061-1062 c.c.). Si ha questa ipotesi nel caso
di un fondo, originariamente appartenente ad un unico proprietario e successivamente suddiviso fra proprietari diversi. Le opere visibili e permanenti che esistono rispettivamente a favore e a carico dei fondi separati costituiscono la servitù. Tale servitù, non esistente prima della divisione dei due condomìni, si dice appunto
costituita per destinazione del padre di famiglia. Usucapione. È un modo di acquisto delle sole servitù “apparenti”, ossia quelle
servitù che presentano opere visibili e permanenti per il loro esercizio. Rimandandosi alla trattazione specifica dell’usucapione nel condominio, possiamo
qui dire che l’usucapione del diritto di servitù si compie con il decorso del termine ventennale nel quale si sia esercitata la situazione di fatto corrispondente al diritto di servitù in modo pacifico e ininterrotto.
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MODULO N. 2
L’amministratore (Simone Zanchetta)
Con l’introduzione del nuovo testo di riforma, il cui ingresso è previsto per giugno
2013, non poteva certo mancare l’implementazione delle funzioni dell’amministratore del condomino che, insieme all’assemblea, è la figura cardine interno al quale ruota il condominio. Da una prima lettura del nuovo testo di riforma gli art. 1129 e 1130 sono stati
notevolmente modificati, tanto che non parlerei di modifica ma di stesura ex novo. Addirittura, come per molti articoli, anche per l’art. 1130 il testo di riforma ha previsto un Bis, dove all’amministratore sono imposti criteri ben precisi per la stesura del rendiconto condominiale e la definitiva introduzione della figura dei Consiglieri. 2.1- Art. 1129: NOMINA, REVOCA ED OBBLIGHI DELL’AMMINISTRATORE L’art. 1129 è sicuramente tra gli articoli della nuova disciplina del condominio il più
grande in termine di dimensione, probabilmente perché il Legislatore ha voluto soffermarsi sulla figura cuore del Condominio. Nel primo comma è stato chiaramente specificato quando un condominio necessiti
di un amministratore ed esattamente: “quando i condomini sono più di otto”, con la precisazione che, qualora l’assemblea non vi provveda, il condominio o più condomini hanno il diritto/potere di richiedere tale nomina all’autorità giudiziaria. Stessa iniziativa è concessa anche all’amministratore dimissionario che non voglia essere riconfermato. Il legislatore, una volta identificata la casistica in cui sia necessario
l’amministratore, ha regolamentato quali debbano essere le informazione che devono essere fornite al condominio una volta che si accetti la propria nomina, così come quando ci sarà un suo futuro rinnovo. In particolare deve comunicare i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale o nel caso si tratti di società anche la sede legale e la denominazione, il locale ove di trovano i registri: dell’anagrafe condominiale; dei verbali delle assemblee, di nomina o revoca; di contabilità. La comunicazione poi del compenso deve essere specificata analiticamente tanto all’atto della nomina, quanto al momento del futuro rinnovo a pena della nullità della nomina stessa. Con la nuova normativa, oltre ad essere finalmente riconosciuta ex lege, la
possibilità che ci sia un amministratore sotto forma di società, sono stati anche ampliati notevolmente i registri che obbligatoriamente debbono essere tenuti e compilati e trasmessi al collega in caso di subentro del nuovo amministratore. Tali registri devono essere messi a disposizione di ogni condominio che ne faccia richiesta nei giorni e nelle ore che preventivamente siano stati comunicati dall’amministratore all’atto della nomina o della sua riconferma. All’atto della nomina è stato poi introdotto (3° e 4° comma) l’aspetto assicurativo
che impone all’amministratore di garantire la copertura, sia per la normale gestione, che per la gestione dei lavori straordinari. Nel 3° comma viene inoltre anche sancita la possibilità che l’assemblea subordini la
nomina dell’amministratore alla presentazione ai condomini di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del
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mandato. A mio parere però se da una sommaria lettura del terzo comma sembrerebbe che ci
sia una sorta di facoltà di richiedere la sopradetta polizza, l’obbligatorietà viene imposta nel 4° comma dove si parla di dovere per l’amministratore, in caso di lavori straordinari, di adeguamento dei massimali della polizza se nel periodo del suo incarico l’assemblea deliberi lavori straordinari. Tale obbligatorietà viene ancora più enfatizzata nella seconda parte del 4° comma
dove viene specificato che, nel caso in cui l’amministratore sia coperto da una polizza di assicurazione per la responsabilità professionale generale, tornando a parlare di ipotesi, tale polizza debba essere integrata da dichiarazione dell’impresa di assicurazione che garantisca le condizioni di copertura per tutta la durata dei lavori e per l’intero importo. Ai fini dell’informazione all’esterno del condominio, il Legislatore impone nel 5°
comma l’obbligo di affissione nel luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune con specifica accessibilità ai terzi, dell’indicazione delle generalità, del domicilio e dei recapiti, non solo telefonici, dell’amministratore. Qualora però ci sia una mancanza, non ben definita se temporanea e definitiva dal legislatore dell’amministratore, tutte le generalità sopradette dovranno essere della persona, non è specificato debba essere un condomino, che svolge funzioni analoghe all’amministratore. Continuando con la lettura dell’art. 1129, una volta finita la parte informativa
sull’amministratore, il Legislatore ha proseguito con la definizione specifica dell’attività della gestione economica del condominio e nel 7° comma ha finalmente risolto il buco normativo che per anni ha avvolto il condomino. Nasce definitivamente l’obbligo di un conto corrente condominiale sul quale l’amministratore deve far transitare tanto le somme che riceve a qualunque titolo dai condomini o terzi (rate condominiali, fitti, rendite, risarcimenti assicurativi etc), quanto quelle erogate per conto del condominio (spese che deve sostenere per la vita condominiale). Chiaramente sempre nello spirito di ampia chiarezza ed informazione che contraddistingue la riforma ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica. Il Legislatore, sempre al fine di sanare i difetti normativi precedenti, ha sancito
definitivamente nell’8° comma “l’obbligatorietà di consegnare tutta la documentazione afferente il condominio ed i singoli condomini in suo possesso”ed inoltre di eseguire, dopo la sua revoca o nomina di altro, solo le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza aver diritto ad ulteriori compensi. Pertanto tutto ciò che farà, lo dovrà fare sull’onda della somma urgenza e senza aver nulla a pretendere dai condomini. I condomini sono gravati dall’obbligo di pagare le rate di condominio, così come
disposto nel 10° comma dell’art. 1129, nel quale, a meno che l’assemblea non dispensi l’amministratore espressamente, viene sancito l’obbligo di agire per la riscossione forzosa delle somme dovute entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale credito esigibile è compreso. L’aspetto delle morosità sembra aver colpito molto il legislatore, in quanto nelle
disposizioni di attuazione, e più precisamente nell’art. 63, è stato previsto che per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, possa ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, non stante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini
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morosi. I creditori inoltre non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i
pagamenti, se non dopo l’esclusione degli altri condomini. Cosi facendo il legislatore ha voluto una volta per tutte sancire il principio della parziarietà dei debiti nel condominio. Tornando all’art. 1129 finalmente, anche se in modo un po’ confusionario, il
Legislatore ha rivisto anche la durata del mandato dell’amministratore sancendo che l’incarico ha durata di un anno e si intende rinnovato per ugual durata. Con maggior chiarezza ha però disposto anche le possibilità di revoca, ampliando di molto le infrazioni che la possono causare. Addirittura in molti casi la violazione di alcuni comportamenti può dar diritto anche ad un solo condomino di chiedere una assemblea per la revoca. Entrando nello specifico tra le gravi irregolarità per cui l’amministratore possa
incorrere alla revoca troviamo: 1) l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto
condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore.
2) La mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari ed amministrativi, nonché di deliberazioni dell’assemblea.
3) La mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente bancario del condominio.
4) La gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri o condominii.
5) L’aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio.
6) Qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l’aver omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva.
7) L’inosservanza degli obblighi di cui all’art. 1130 numeri 6); 7); 8); (tenuta dei registri).
8) L’omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma dell’art. 1129.
Al fine di concludere l’analisi di quanto previsto nell’art. 1129 in merito alla nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore è bene dire che il Legislatore ha preso molto sul serio il caso di revoca, tanto da limitare addirittura il potere assembleare ed escludendo la possibilità per un amministratore revocato giudizialmente di essere rinominato. Attribuzioni dell’amministratore: Il Legislatore al fine di meglio definire le attribuzioni, oltre quanto previsto nel
precedente articolo, ha anche specificamente previsto nell’art. 1130 che debba: 1) eseguire le deliberazioni dell’assemblea e convocarla annualmente per
l’approvazione del rendiconto condominiale che, come specificato nel 10° comma del presente articolo, deve essere indetta entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio.
2) Disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini.
3) Riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione
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ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni. Aggiungerei chiaramente visto quanto detto in precedenza utilizzando il conto corrente del condominio.
4) Compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio. 5) Curare come già visto i vari registri. In particolare è specificato che l’anagrafe
condominiale deve contenere le generalità dei singoli proprietari e dei diritti reali e diritti personali di godimento, comprensivi del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza. La comunicazione di tali dati deve avvenire da parte del condomino entro 60 giorni da ogni variazione e per iscritto. Qualora le informazioni siano incomplete od omesse, l’amministratore deve richiederle con raccomandata e trascorsi 30 giorni senza una risposta o con una risposta parziale può acquisire le informazioni addebitando i costi ai responsabili.
Nel registro dei verbali delle assemblee devono essere annotate le eventuali mancate costituzioni delle assemblee, le deliberazioni, nonché le brevi annotazione che i condomini richiedono siano inserite e deve esserci allegato il regolamento del condominio. Nel registro di nomina e revoca dell’amministratore devono essere annotate in
ordine cronologico le date di nomina e revoca e gli eventuali estremi del decreto in caso di provvedimento giudiziale. Nel registro della contabilità sono annotati in ordine cronologico, entro 30 giorni da
quello dell’effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita. Tale registro può tenersi anche con modalità computerizzate.
6) Tra compiti dell’amministratore il legislatore ha poi previsto: la conservazione di tutta la documentazione inerente la propria gestione riferibile sia al rapporto con i condomini, sia allo stato tecnico – amministrativo dell’edificio e al condominio.
7) Inoltre l’amministratore deve fornire al condomino che ne faccia richiesta, attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso.
Un aspetto non specificatamente inserito nell’art. 1130 tra le attribuzioni dell’amministratore, ma che non può non essere non menzionato, è il compito dell’amministratore di far rispettare il regolamento di condominio. Tale funzione ha però avuto una maggior forza coercitiva da parte del Legislatore che nell’art. 70 delle disposizioni di attuazione ha previsto che per le infrazioni al regolamento di condominio possa essere stabilito a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800 e che tale pagamento debba essere devoluto al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie. 2.2- ARTICOLO 1131 Nel nuovo testo di riforma poco e nulla è cambiato in materia di rappresentanza
rispetto alla precedente normativa. È infatti previsto che nei limiti di quanto visto nell’art. 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti al condominio e può agire in giudizio sia contro i condomini, sia contro i terzi. L’amministratore può quindi essere chiamato in giudizio per qualunque azione
concernente le parti comuni dell’edificio e sempre a lui debbono essere notificati i
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provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria che si riferiscono allo stesso oggetto. Nell’ipotesi in cui però la citazione o il provvedimento abbia contenuto che esorbita
dalle sue attribuzioni, l’amministratore senza indugio deve darne notizia all’assemblea dei condomini e qualora non lo faccia può come visto essere revocato e tenuto al risarcimento del danno. 2.3- CARATTERISTICHE E COMPETENZA PER LA NOMINA DI
AMMINISTRATORE. Il Legislatore sempre, al fine di limitare i buchi della precedente normativa ed al
fine di riconoscere un minimo di professionalità che deve avere chi esercita questa professione, ha introdotto l’art. 71 bis delle disposizione di attuazione del Codice civile, nel quale ha precisato che possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio coloro:
1) Che hanno il godimento dei diritti civili; 2) Che non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione,
l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minino, a due anni e, nel massimo, a cinque anni;
3) Che non sono stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione;
4) Che non siano interdetti o inabilitati; 5) Il cui nome non risulta annotato nell’elenco dei protesti cambiari; 6) Che hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado; 7) Che hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di
formazione periodica in materia di amministrazione condominiale.
Relativamente ai punti 6 e 7 c’è una deroga per coloro che fanno gli amministratori nei propri condomini, i cosiddetti amministratori interni. Come già visto in precedenza, la nuova normativa introduce ufficialmente la
possibilità che l’amministratore di condominio possa essere svolto anche in forma societaria. In tal caso i requisiti sopradetti però devono averli i soci illimitatamente responsabili, nonché gli amministratori ed i dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi. Chiaramente nel momento in cui un amministratore cessa di avere i requisiti sopra
descritti cessa dal proprio incarico. L’unica eccezione che sembra ammessa è quanto disposto nei commi 6 e 7 per
coloro che abbiano esercitato la funzione di amministratore da almeno un anno, negli ultimi tre, rispetto all’anno dell’entrata in vigore della nuova normativa.
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MODULO N. 2BIS
IL PASSAGGIO DELLE CONSEGNE L’assunzione dei pieni poteri
dell’amministratore di condominio (Fabio Gerosa)
Introdurre una Lezione sul tema del passaggio delle consegne in un consesso di
aspiranti amministratori non è cosa semplice. L’amministratore è un profondo individualista, difficilmente punta il naso verso il giardino del vicino, e raramente realizza una cooperazione per approfittare delle bontà appese all’orto del professionista confinante. Inoltre nessuna norma del codice civile in materia condominiale fornisce
indicazione sui metodi di amministrazione, né individua quali documenti curare, richiamando per tale profilo il regolamento del condominio, previsto all’art. 1138 c.c.. Nel silenzio legislativo riteniamo legittimo il Regolamento di Condominio che descrive quali caratteristiche o requisiti debba avere l’amministratore pro tempore. Dubbi suscita invece la previsione che limiti la scelta tra i partecipanti al condominio, pensando che potrebbe verificarsi il caso che nessuno voglia farsi carico delle responsabilità annesse all’incarico, idem nel caso della rotazione del mandato. Eccezione riguarda la retribuzione dell’amministratore giudiziario, per la quale debbono farsi carico tutti i partecipanti del condominio (Cass. n. 1513 del 12/2/88). Sempre nel regolamento condominiale potrebbero rinvenirsi norme sul passaggio
delle consegne e la tempistica necessaria al trasferimento della documentazione. Una volta nominato, dall’assemblea o dal Tribunale, l’amministratore si trova legato
al Condominio da un rapporto di mandato, e la legge si limita a descrivere le attribuzioni minime del gestore, che l’assemblea, peraltro, ha piena facoltà di modificare e ampliare. Il mandatario, infatti, nella pratica organizza la propria attività nella maniera che reputa più funzionale al compito che deve svolgere, ordinando libri e scritture secondo criteri del tutto soggettivi. Inoltre, qualunque sia la causa che determina il termine dell’incarico,
l’amministratore condominiale deve al più presto riconsegnare tutte le “carte”, delle quali ha la detenzione “precaria”, ai suoi mandanti. La giurisprudenza ci sottolinea, infatti, che l’amministratore del condominio configura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato, sicchè, a norma dell’art. 1713 c.c., alla scadenza del mandato egli è tenuto a restituire tutto ciò che ha ricevuto nell’esercizio del mandato medesimo, e soddisfare, con la consegna del riepilogo aggiornato delle spese e degli incassi, la richiesta del conto della gestione. L’amministratore infatti, secondo la Suprema Corte di Cassazione, 29 novembre 2001, n. 15159, è un mero custode della documentazione relativa alla gestione condominiale. Destinatario della consegna è il condominio, normalmente rappresentato dal nuovo
amministratore subentrante, con un “passaggio” che si concretizza in un fondamentale snodo, che cristallizza l’assunzione della gestione condominiale e le relative incombenze e responsabilità.
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Solamente con la sottoscrizione del verbale di consegne il vecchio amministratore è libero dalle incombenze, che fino a quel momento è tenuto a svolgere, ed il momento del passaggio delle consegne riveste particolare rilievo per la complessità delle variegate questioni da affrontare. Attraverso un riepilogo degli incassi e delle spese inerenti il condominio, con un c.d.
"libro cassa" analitico, su cui vengono annotate in ordine cronologico tutte le scritture contabili, si “rende il conto” della gestione al nuovo amministratore, con i relativi giustificativi intervenuti sino al momento conclusivo del mandato. La base di partenza sarà il saldo, positivo o negativo, dell’ultimo rendiconto
approvato dal consesso. Ed aggiungendo le successive operazioni algebriche, quindi, e tralasciando crediti e debiti ininfluenti sul risultato finale di cassa -‐ a parte gli eventuali accantonamenti -‐ si potrà rispondere compiutamente all’obiettivo di un regolare passaggio delle consegne. Personalmente riteniamo pienamente corretta questa costruzione contabile, purché
le informazioni siano date con chiarezza dall’amministratore uscente, ed in un contesto di rendicontazione che, al di là della tecnica utilizzata nella sua stesura, evidenzi la gestione del numerario ed illustri il sistema adottato nella resa del conto. La giurisprudenza -‐ del resto -‐ consente a ciascun amministratore di utilizzare il criterio che preferisce, e non può che prendersi atto di questa prassi molto diffusa. Nella Sentenza della Suprema Corte, n.8877, del 28 aprile 2005, ad esempio, si
ribadiscono alcuni princìpi secondo i quali “l’amministratore di condominio, nella tenuta della contabilità e nella redazione del bilancio, non è obbligato al rispetto rigoroso delle regole formali vigenti per le imprese, essendo sufficiente che egli si attenga a principi di ordine e correttezza e che, nel redigere il bilancio, appronti un documento chiaro ed intelligibile, con corretta appostazione delle voci dell’attivo e del passivo, che siano corrispondenti e congrue rispetto alla documentazione relativa alle entrate ed alle uscite”. Indicazioni che calzano perfettamente anche in un contesto di trasferimento
contabile da un amministratore all’altro. Anche se non va trascurata la circostanza che l’unica Sentenza della Cassazione
(Sez. II^, 16/8/2000, n.10815) che ha statuito e previsto l’adozione del criterio di competenza per la tenuta della contabilità condominiale, si è pronunciata sulla base di una CTU che, proprio in un passaggio delle consegne, determinava valori differenti di saldo contabile, adottando il criterio di cassa o il criterio di competenza (418.000 lire contro 2.700.000). Rammentando sempre che l’amministratore uscente, il quale reclami nei confronti
del condominio un credito da anticipazioni, deve dimostrare che il rendiconto sia stato approvato dall’assemblea, come vedremo meglio nel seguito dell’esposizione. La sottoscrizione da parte del nuovo amministratore di riconoscimento delle anticipazioni in calce al verbale di passaggio delle consegne ha valore come mera ricevuta della documentazione e non certo come riconoscimento di debito in base all’art.1988 c.c. (Tribunale di Roma, 13 Giugno 2005, n. 13413). La giurisprudenza risulta peraltro chiara sul punto, e ci insegna che: “Il nuovo amministratore di un condominio, se non autorizzato dai partecipanti alla
comunione, non ha il potere di approvare incassi e spese condominiali risultanti da prospetti sintetici consegnatigli dal precedente amministratore e pertanto l'accettazione di tali documenti non costituisce prova idonea del debito nei confronti di quest'ultimo da
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parte dei condomini per l'importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili, spettando invece all'assemblea dei condomini approvare il conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l'opportunità delle spese affrontate d'iniziativa dell'amministratore” (Cass., 4 Giugno 1999, n. 5449). In una situazione normale, quindi, i due amministratori sottoscriveranno un verbale
del passaggio di consegne, nel quale illustreranno quanto viene trasferito dal primo al successivo, senza l’utilizzo di formule che possano impegnare il condominio, in particolare per il saldo contabile ed i rapporti di dare/avere tra amministratore cessato e proprietà. Una delle fasi più delicate nella vita condominiale si presenta allorchè un
amministratore cessa dal suo incarico e non è ancora subentrato il nuovo; in tale periodo l’amministratore uscente continua ad agire in virtù della prorogatio imperii, in quanto l’incarico dell’amministratore cessato è prorogato al fine di scongiurare una paralisi nella gestione condominiale. Se siamo tutti d’accordo che l’amministratore nominato dall’assemblea è subito
legittimato ad agire per la restituzione dei documenti, e senza essere per ciò autorizzato dall’assemblea (vd. Cass. 1/10/2008 n. 24391), troviamo la strada per rispondere correttamente a differenti quesiti, secondo un’esigenza, ripetiamo, basata sul presupposto di assicurare al condominio la continuità della gestione, in virtù dell’evidente ed innegabile esistenza del buon diritto del Condominio a riottenere la documentazione condominiale dall’amministratore al termine del suo incarico. Come noto, la via più praticata allo scopo di ottenere la pronta riconsegna della
documentazione condominiale dall’amministratore uscente riottoso, è il ricorso alla procedura d’urgenza prevista dall’art. 700 c.p.c. ; ed avverso l’amministratore che trattiene la documentazione, adducendo di trovarsi in una posizione di credito verso il condominio, va risposto che va escluso in modo categorico il diritto di ritenzione (cfr. Cass. 3 Dicembre 1999, n. 13504), sia perché le obbligazioni si basano su differenti titoli, sia perché la documentazione che viene trattenuta non ha un valore commerciale, quindi è inutile per soddisfare il dedotto credito. Il cessato amministratore deve quindi sempre restituire ogni cosa pertinente al condominio (vd. Cass. 28 Ottobre 1999, n. 11472). Pertanto per quel che concerne le carte indispensabili a consentire la gestione
condominiale, in caso di rifiuto da parte dell’ex-‐amministratore di procedere alla loro restituzione, il condominio ben può fare valere il suo diritto di proprietà e l’amministratore far ricorso, come si è visto, al procedimento d’urgenza. A titolo esemplificativo l’incompleta documentazione contabile dell’esercizio precedente, approvata dall’assemblea, non è di per sé sufficiente nel giustificare l’emanazione di un provvedimento d’urgenza, atteso che il periculum in mora, si sostanzia ed evidenza quando non siano stati consegnati documenti realmente indispensabili per la gestione, la cui omissione impedisce concretamente l’amministrazione del condominio. Qualora al contrario accada che vi siano difficoltà nelle consegne, ed il decaduto
amministratore si voglia legittimamente spogliare delle responsabilità, ed evitare di vedersi costretto a dover trattenere la documentazione in forza della prorogatio, può formulare un’offerta reale, ovvero offrire al nuovo amministratore del condominio, od ad uno o più proprietari (cfr. Cass. 11 Giugno 1968, n. 1853), la consegna effettiva di
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quanto dovuto attraverso l’ufficiale giudiziario, e se necessario disporre del deposito, tenendo conto che le spese sono a carico del creditore, ovvero del condominio, ex art. 1215 c.c.. Da quanto abbiamo visto, pertanto, di qualsiasi documento si tratti, la riconsegna
deve essere sempre effettuata. Ed inoltre, in ossequio alla normativa sulla privacy il decaduto amministratore è tenuto a cancellare dal proprio software il condominio ceduto, poiché l’amministratore mandatario non più in carica va paragonato a qualsiasi altro terzo che detiene dati “altrui”. Ai fini pratici consigliamo di indicare detta cancellazione sul verbale di passaggio delle consegne, eventualmente “salvando” tutti i dati fino alla data delle consegne e consegnare il relativo pen drive al nuovo amministratore per ogni evenienza o verifica congiunta. Questione di ben altra portata riguarda invece il caso dell’amministratore decaduto
che ritenga non valida la delibera di nomina del suo successore, ritenendo di essere in prorogatio, pertanto in obbligo di continuare nella gestione condominiale. La Cassazione ha affrontato il problema, stabilendo che in tema condominiale,
l’istituto della prorogatio imperii trova asilo nella presunzione di conformità alla volontà della proprietà ed all’ interesse alla continuità dell’amministrazione (sul punto Cass. n. 1405 del 23/1/07), e nel caso di illegittimità della delibera di nomina, pertanto, l’amministratore può , anzi deve, continuare nella gestione ordinaria sino alla nomina del nuovo amministratore. Al contrario, la prorogatio non opera quando risulti, attraverso una delibera assembleare, la volontà contraria dei condomini, alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell'amministratore cessato dall’incarico (vd. Cass. 5/2/1993 n, 1445). Del resto, per dipanare eventuali incertezze che dovessero emergere, sottolineiamo
che l’eventuale delibera assembleare che venisse impugnata a seguito ed in conseguenza della nomina di un nuovo amministratore, può essere sospesa qualora ricorra un pregiudizio irreparabile ed imminente (cfr. Tribunale di Modena, 10/2/2009), e che se emergesse un pregiudizio di natura patrimoniale, quest’ultimo si potrebbe sempre reintegrare. Ne consegue che l’amministratore, aldilà delle rare ipotesi emerse, è obbligato a dar seguito al passaggio delle consegne, se non interviene l’Autorità giudiziaria a sospendere la nomina del nuovo gestore condominiale. Singolare poi il caso di un amministratore che, benché decaduto dall’incarico,
continuò ad amministrare per ben sette anni un condominio a Catania, dando la precedenza ad altre spese condominiali, ritardando sistematicamente i versamenti dei contributi previdenziali della portiera, e dovette rispondere delle multe (Cass., sez. II, 25 Marzo 1993, n.3588). La sentenza su citata ci ricorda che l’amministratore ha il dovere di fornire le prove,
attraverso gli opportuni documenti giustificativi, di tutti gli elementi che consentano di
individuare ed eventualmente vagliare la modalità di esecuzione dell’incarico, al fine di poter stabilire se il suo operato si sia adeguato, o meno, a criteri di buona amministrazione (cfr. Cass. 23 aprile 1998, n. 4203). Cosa succede, poi, nel periodo intercorrente tra la nomina del nuovo
amministratore e l’effettiva partenza della nuova gestione? Con la nomina assembleare, l’amministratore assume le sue funzioni, o le assume al termine del trasferimento della documentazione? Accade molto spesso, infatti, che tra data della nomina in assemblea ed effettivo
passaggio delle consegne l’inizio dell’effettiva gestione non sia immediato, in particolar modo nei grandi condomini. Emerge allora il problema di stabilire chi, a tutti gli effetti,
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sia il responsabile del Condominio nei confronti dei condomini e nei confronti dei terzi. Premesso che la responsabilità dell’amministratore è senza alcun dubbio
riconducibile all’ambito del mandato, egli è chiamato ad operare con la diligenza del buon padre di famiglia, ossia con diligenza ed accortezza come si richiede ad un professionista, con il preminente obiettivo di tutelare gli interessi del complesso condominiale. Pertanto nella circostanza che il nuovo amministratore, non sia in pratica ancora in grado di poter iniziare la gestione del condominio, di nessuna responsabilità contrattuale può rispondere, se non quella di agire velocemente nei confronti del precedente amministratore al fine di ottenere la riconsegna della documentazione, come abbiamo visto sopra, e nel frattempo sarà responsabile per la gestione il precedente amministratore, sino al subentro (vd. Cass. n. 5608 del 9/6/94; Cass. 27/3/2003 n. 4531; Cass. n. 5083 del 25/5/94; Cass. n. 3296 del 10/4/96). E nel caso, che si presenta di frequente, di contemporanea e parallela permanenza
del nuovo amministratore che ha ricevuto parzialmente la documentazione, e del precedente amministratore, in caso di manifestazione di un qualsiasi danno per la proprietà, bisognerà verificare in concreto chi dei due amministratori aveva la possibilità di mettere in opera strumenti atti a prevenire il danno, ossia chi aveva fisicamente la disponibilità della provvista; naturalmente nei confronti dei terzi risponderà l’amministratore in carica da verbale di assemblea, si pensi ad esempio, ai rapporti con la banca o con la posta. L’esigenza di dare continuità alla gestione, attraverso l’amministratore, vede un
parallelo, sempre a salvaguardia dello scorrere della gestione condominiale, con il superamento del datato orientamento della Curia (cfr. Sentenza del 7 Ottobre 1964, n. 2527), ove il recupero coattivo in base al preventivo era possibile fino ad esercizio concluso, al contrario del più recente indirizzo (vd. Cass. , sez. II, 29 Settembre 2008, n. 24299) che consente all’amministratore di chiedere il decreto ingiuntivo anche sulla base di un bilancio preventivo, sino a quando questo non sia sostituito dal consuntivo regolarmente approvato, sempre sul presupposto evidente di fluidificare la gestione. Altra tematica interessante concerne il periodo di conservazione della
documentazione. Bisogna conservare i documenti secondo i termini di prescrizione, ma tener conto, poiché il condominio è sostituto d’imposta, anche delle regole fiscali. Infatti l’art. 21 della L. 449/97, definisce il condominio quale soggetto sostituto d’imposta, e l’amministrazione finanziaria può sottoporre ad accertamento il condominio, con la verifica della documentazione in possesso dell’amministratore in carica al momento dell’accertamento che dovrà pertanto essere in grado di esibire e rispondere su quanto gli può essere richiesto. Anche in guisa di ciò, in maniera prudente consigliamo di conservare tutti i
documenti per almeno dieci anni. Stesso termine per far valere le eventuali anticipazioni di cassa (vd. Cass. del 4/10/2005, n. 19348). Si vedano in proposito gli articoli 1129 e 1130 c.c.,novellati con la L.220/2012. Inoltre, per particolare documentazione, ad esempio il pagamento dei contributi del
portiere va ricordato che «entro dieci anni dal diritto alla pensione, il dipendente può ottenere, nel caso in cui i contributi non siano stati pagati, la costituzione della rendita vitalizia». Oltre a documenti che non hanno “scadenza”, si pensi ad esempio al registro dei verbali di assemblea, ad esempio.
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Sorge pedissequamente la questione, sollevata anche in altri convegni organizzati dall’ANACI, che l’amministratore operi oltre che come mandatario, anche come depositario. Riteniamo che vada escluso un compenso specifico per tale incarico (cfr. Cass.,
3/12/2008 n. 28734), il quale compenso extra va sempre approvato dall’assemblea condominiale, anche se l’amministratore ha l’esigenza di organizzare un apposito locale. L’art .1129 c.c., esclude peraltro ogni qualsivoglia compenso, per l’attività di passaggio delle consegne. Il compenso dell’amministratore, infatti, deve intendersi sempre omnicomprensivo
(cfr. Cass. 24/3/2009 n. 7057), se non pattuito diversamente con l’assemblea. Altra questione interessante si pone allorchè il nuovo amministratore sia nominato
dall’assemblea e non sia presente fisicamente al momento della delibera del consesso condominiale. Facendo riferimento alle norme sul mandato (artt. 1710ss. c.c.) l’accettazione pare
necessaria, trovandosi di fronte ad un atto recettizio, ossia un atto la cui efficacia è condizionata alla conoscenza della nomina da parte del destinatario. In proposito è utile leggere l’art. 1724 del cod. civ. sulla revoca tacita “La nomina di un nuovo mandatario per lo stesso affare o il compimento di questo da parte del mandante importano la revoca del mandato, e producono effetto dal giorno in cui sono stati comunicati al mandatario”, pertanto con la nomina di un nuovo amministratore si produce la revoca automatica del precedente (cfr. Cass. 9/6/1994 n. 5608). Nondimeno l’accettazione può anche essere tacita e per facta concludentia; il nuovo
amministratore, infatti, può esprimere la volontà di accettare l’incarico anche semplicemente iniziando l’amministrazione condominiale, o con la semplice richiesta di effettuare le consegne al vecchio amministratore. Nel caso in cui la delibera di nomina ponga un termine per l’accettazione, trascorso infruttuosamente il termine, la proposta di incarico va intesa come non accettata. L’art. 1129 c.c., se ne occupa al comma secondo, prevedendo espressamente “l’accettazione della nomina”. Infine, la nomina può anche discendere dal comportamento dei condomini, i quali
abbiano inteso un amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi a lui in maniera abituale e senza contestarne i poteri di gestione e la rappresentanza (vd. Cass. n.3296 del 10 Aprile 1996). Ulteriore problema che si pone è quello delle anticipazioni di cassa da parte del
precedente amministratore, ed in questo caso il momento del passaggio delle consegne è particolarmente delicato per la complessità delle questioni da gestire. Sul punto si è recentemente interessata la Corte di Cassazione con la Sentenza n.
10153, depositata il 18 Maggio 2011. L’analisi della Sentenza risulta di estremo interesse per la categoria degli
amministratori. In primo grado si parte con un Decreto Ingiuntivo pari ad Euro 117.560,20, opposto
dal condominio con Domanda Riconvenzionale di Euro 30.987,41, con la condanna dell’ex-‐amministratore a riconsegnare l’anticipo ricevuto, pari alla somma richiesta nella Domanda Riconvenzionale. La Corte d’Appello di Roma, condannava invece il condominio a versare all’ex-‐
amministratore la somma di Euro 85.970,60 considerando che il CTU del primo grado
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non aveva considerato il riconoscimento da parte di un “comitato” dei condòmini che all’unanimità, dopo aver verificato tutti i giustificativi di spesa degli anni 1989, 1990 e 1991, ammetteva il credito dell’ex-‐amministratore, anche con l’avallo di un consulente. Ma con il terzo grado di giudizio si ribalta di nuovo la posizione di credito/debito
tra ex-‐amministratore e condominio. Osserva la Curia che, nonostante il condominio abbia approvato il disavanzo del
triennio 1989-‐1992, l’amministratore non ha mai prodotto nessun riscontro contabile che evidenzi un passaggio di denaro dal suo patrimonio a quello dei creditori del condominio. E nei motivi della decisione si legge: “l’approvazione del rendiconto recante un
disavanzo tra le somme spese e quelle incamerate dal condominio per effetto dei versamenti eseguiti dai condomini o per altra causa, non implica che, per via deduttiva, possa ritenersi riconosciuto il fatto che la differenza sia stata versata dall’amministratore utilizzando denaro proprio, ovvero che questi sia comunque creditore del condominio per l’importo corrispondente. E ciò per ragioni di carattere sia logico, ove si consideri che l’amministratore ben può aver utilizzato provviste aliene di cui aveva soltanto la disponibilità (ad esempio, fondi derivanti da altra gestione)”. Rispettando la Suprema Corte di Cassazione, viene però da chiedersi: dove traggono
origine le “somme aliene”? Meglio quindi mai anticipare e cercare un buon accordo transattivo, ricordando che
l’eventuale anticipazione dell’amministratore non si prescrive in cinque anni ma in dieci (cfr. Cass. Sez. II, 4 ottobre 2005, n. 19348). Lo stesso principio si ritrova nella disciplina delle società (cfr. Cass. , sez. I, 20
Ottobre 2007, n. 21130) ove, attraverso “l’approvazione del bilancio l’assemblea si limita ad esprimere il proprio parere sulla corretta rappresentazione delle operazioni di gestione, come stabilito dall’art. 2243 c.c. e segg., sì che è arbitrario dedurne la volontà di riconoscere un debito”. Sul punto relativo a questa novella posizione della Curia, ove a fronte di un
“disavanzo” non discende necessariamente un’anticipazione dell’amministratore, non ci sentiamo di aderire. Al contrario concordiamo con altre posizioni della Cassazione, laddove il credito va provato dall’amministratore (Cass. 9/6/2010 n. 13878), o che l’assemblea possa valutare l’opportunità delle spese sostenute dall’amministratore (Cass. 4/6/1999 n. 5449). In concreto, se si esamina una ricostruzione contabile ricavata da una CTU, come ad
esempio quella appresso riportata, non si può -‐ secondo noi -‐ assolutamente non ricavare un disavanzo, e pertanto un credito dell’amministratore verso il condominio a seguito di passaggio delle consegne:
Descrizione Importo Note Saldo di cassa iniziale + 1.597,96 Approvato
dall’assemblea Rapporto dare/avere di tutte le
gestioni + 544,62 Differenza entrate/uscite
Parcelle amministratore -‐ 1.119,19 Debiti vs. amministratore Saldo c/c postale -‐ 3.505,63 Giacenza alle consegne Anticipo trattenuto + 2.003,53 Somma di acconto saldo
Saldo finale - 478,71
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Ma ancora più di recente, la Cassazione è ritornata sul punto del credito dell’amministratore con la Sentenza depositata il 27 Giugno 2011 n. 14197, ove si deduce che tutte le spese devono passare attraverso il vaglio assembleare, per quel che concerne la loro previsione (Bilancio preventivo) o ratifica (Bilancio Consuntivo e crediti dell’amministratore). In pratica si imbriglia l’art. 1720 c.c. “Il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte, e deve pagargli il compenso che gli spetta. Il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subìti a causa dell’incarico” . L’unica via d’uscita è che l’amministratore convochi un’assemblea e la proprietà
approvi pure il passaggio delle consegne!
VADEMECUM PER IL PASSAGGIO DELLE CONSEGNE a. CARTE SEMPRE A DISPOSIZIONE I condomini hanno diritto di prendere visione della documentazione condominiale
anche durante la gestione, non può rifiutarsi, l’amministratore; ma il legittimo diritto non deve trasformarsi in inutile abuso solo per dare fastidio a quest’ultimo, che potrebbe richiedere un rimborso per l’attività svolta a favore del singolo condomino; b. CRITERIO DI COMPETENZA NEL BILANCIO Trasparenza e correttezza nella lista delle spese ma anche sulle somme in stand-by,
quelle che debbono ancora essere corrisposte ai fornitori ma di competenza dell’esercizio annuo di gestione, in particolare per la gestione del riscaldamento; c. RIMBORSO SOLAMENTE CON IL Sì DELL’ASSEMBLEA Il nuovo amministratore non è legittimato a riconoscere le anticipazioni da parte
del precedente gestore del condominio, compito specifico dell’assemblea; d. OGNUNO RISPONDE DEL SUO Come si acquisisce un nuovo condominio, si consiglia di scindere la propria gestione
da quella dell’amministratore precedente, predisponendo un’assemblea con la discussione del consuntivo di gestione infra-‐annuale del passato amministratore; e. SI DA’ TUTTO MA SI TIENE COPIA Terminato il mandato, deve essere consegnata tutta la documentazione
condominiale ma va – per prudenza – tenuta copia fotostatica almeno dei documenti contabili, dei verbali di assemblea e della documentazione piu’ importante; f. COMPENSO OMNIA O DELIBERA La richiesta di un compenso aggiuntivo per l’attività di passaggio delle consegne
non è giustificabile se non è stato stabilito in sede di nomina con i condòmini in assemblea e specificato sul verbale del consesso; g. FINE MANDATO E NON DATA DELLE CONSEGNE La gestione e le responsabilità terminano con la fine del mandato e la contestuale
nomina di un nuovo amministratore, da quel momento l’amministratore subentrante è l’unico teoricamente legittimato a ricevere gli incassi ed impiegare la provvista per far fronte ai pagamenti;
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h. CHIAREZZA PER IL VERBALE DI NOMINA DEL NUOVO AMMINISTRATORE Per evitare possibili contese, specificare sul verbale di nomina sia il termine per
completare le consegne che la data di inizio del nuovo mandato (argomentazione illustrata nella relazione dell’incontro ANACI “Procedure a confronto”, Civitavecchia, 11.12.2004); i. PRIVACY Consigliamo di inserire in calce al verbale di consegne questo inciso:
"L’amministratore uscente dimissionario, ai fini della privacy e del relativo trattamento dei dati, non manterrà i dati informatici riguardanti il condominio”; l. SOLLECITO PER OTTENERE LE CONSEGNE Se ci sono problemi ad effettuare le consegne. “ Oggetto: richiesta documentazione condominio … Nella mia qualità di amministratore subentrante del condominio di ….formulo la
presente richiesta in forza di delibera assembleare in data….. per richiederLe nuovamente tutta la documentazione inerente il condominio di … La mancata consegna della predetta documentazione mi impedisce lo svolgimento di
qualsiasi attività ed è fonte di grave pregiudizio per il condominio medesimo. In assenza di pronto riscontro e, comunque, decorsi 10 giorni dal ricevimento della presente, darò incarico al mio legale di fiducia di procedere coattivamente nei suoi confronti. Con ogni più ampia riserva di risarcimento di tutti i danni subiti dal condominio da me amministrato a causa del suo ingiustificato e reiterato inadempimento. Distinti saluti ”.
Fabio Gerosa.
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MODULO N.3
L’assemblea di condominio (Ferdinando Della Corte) 3.1 - Le attribuzioni Alla naturale domanda “che cos’è” l’assemblea di condominio, possiamo innanzi
tutto rispondere che è l’organo decisionale, primario ed essenziale, del condominio. E’ il fulcro intorno al quale ruota l’intera vita nella comproprietà. I condòmini riuniti, vedremo poi con quali modalità, discutono e decidono sul da
farsi in relazione ai beni comuni dell’ente di gestione: questa è l’assemblea. Tutte le decisioni vengono prese e debbono essere prese in assemblea. Nella vita condominiale le deliberazioni prese al di fuori dell’assemblea dei
condomini sono giuridicamente inesistenti, prive di qualsiasi efficacia sia nei confronti dei condòmini che dei terzi estranei al condominio. La classica raccolta di firme di qualche volenteroso (a volte troppo) condomino può
valere tutt’al più come istanza da portare in discussione in assemblea, giammai come autonoma deliberazione vincolante per il condominio. Le principali attribuzioni dell’assemblea dei condòmini sono stabilite dall’art. 1135
del Codice Civile, che prevede i quattro punti seguenti : a) “conferma dell’amministratore ed eventuale sua retribuzione ” In realtà, oltre alla “conferma”, l’assemblea provvede alla nomina e alla revoca
dell’amministratore, come disciplinato dall’art. 1129 “quando i condomini sono più di quattro, l’assemblea nomina un amministratore“ e dal comma 4 dell’art. 1136 c.c.“ le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell’amministratore …” L’inciso “eventuale sua retribuzione” pone in rilievo come l’attività
dell’amministratore -‐ che si presume onerosa -‐ potrebbe essere gratuita e che l’entità del compenso deve essere determinato dai condomini. La determinazione del compenso non è una misura stabilita da leggi, albi o associazioni di categoria, è invece frutto della libera contrattazione delle parti. In pratica, allorché l’assemblea dei condomini nomina Tizio quale amministratore,
automaticamente ed implicitamente accetta anche la richiesta del compenso formulata dal candidato amministratore al momento della sua proposta. b) “approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e relativa
ripartizione fra i condomini ” Decidere se e quali spese il condominio dovrà sostenere è compito della riunione
assembleare. L’amministratore presenterà ai condòmini riuniti in assemblea il preventivo delle spese che presumibilmente dovranno essere sostenute nel corso dell’anno, ma i condòmini non sono in alcun modo vincolati ad approvare in tutto o in parte il preventivo di spese predisposto dall’amministratore. L’assemblea è sovrana nel decidere. I condòmini sono tenuti sia al pagamento pro quota, delle spese già sostenute, sia,
ovviamente sempre pro quota, in forza dell’art. 1719 c.c. (titolato: mezzi necessari per l’esecuzione del mandato ” …. a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni che a tal fine ha
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contratto in proprio nome”. Quindi la legge prevede espressamente l’obbligo del condominio (mandante) di
fornire all’amministratore (mandatario) i mezzi (il denaro) necessari per l’espletamento del suo incarico professionale e tale obbligo è confermato e collegato all’altra specifica disposizione posta al punto 3) dell’art.1130 c.c. che impone all’amministratore di “riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni ”. Ne consegue che, con l’approvazione del preventivo, i condomini debbono anche
deliberare la ripartizione tra loro delle spese previste, con l’avvertenza però che i condomini non possono con deliberazione presa a maggioranza mutare i criteri di ripartizione stabiliti dalle norme, bensì è possibile soltanto controllare che nel piano di riparto predisposto dall’amministratore siano applicate le regole vigenti. c) “approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore ed impiego del residuo
attivo della gestione”. Per l’approvazione del resoconto finale e l’utilizzo dell’eventuale residuo attivo vale
quanto scritto al punto precedente relativo all’approvazione del preventivo e della ripartizione delle spese. Nel caso, invero raro, che all’esito della gestione vi sia un residuo attivo, sarà l’assemblea a decidere come disporne. d)”opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo
obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori “. Quindi all’amministratore è negato esplicitamente il potere di ordinare opere di
manutenzione straordinaria non urgenti, perché ogni decisione in materia spetta all’assemblea. Se le opere sono di notevole entità, occorrerà decidere peraltro con la maggioranza speciale di cui al comma 2 dell’art. 1136 c.c. La novità rilevante è l’obbligatorietà della costituzione preventiva del fondo. Senza avere raccolto in via preventiva i fondi non si può dare avvio alle opere di manutenzione straordinaria. 3.2 - La convocazione Chi convoca L’assemblea è convocata dall’amministratore in carica. Soltanto in tre casi abbiamo
una convocazione non effettuata dall’amministratore: 1) da ciascun condomino, quando manca l’amministratore (la prima volta oppure
è deceduto o è impossibilitato); 2) da almeno due condomini le cui proprietà rappresentino almeno un sesto del
valore millesimale dell’edificio, in caso d’inerzia accertata (art. 66 disp. att. c.c.) dell’amministratore in carica ;
3) dal curatore speciale, come stabilito dall’art. 65 disp. att. c.c. Perché l’assemblea possa validamente deliberare debbono essere convocati tutti i
condomini. Come si convoca Nessuna norma impone obbligatoriamente una forma (ad esempio la convocazione
scritta) per convocare validamente un’assemblea di condominio. Tuttavia, poiché la convocazione deve avere necessariamente certi requisiti che
vedremo qui di seguito, e poiché, in caso di contestazioni future, dovrà essere fornita la prova della sussistenza dei requisiti in questione, è oltremodo opportuno e
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consigliabile che le convocazioni avvengano sempre per iscritto. Una convocazione orale, seppure teoricamente legittima, è quindi da evitare in ogni
caso. Il sistema largamente più diffuso è la convocazione attraverso la consegna di un
foglio scritto (letto avviso o biglietto di convocazione) che deve necessariamente contenere i seguenti elementi essenziali, senza i quali la convocazione è inutile e giuridicamente invalida : 1) la data ( giorno, mese e anno ) e l’orario ; 2) la indicazione prima e/o seconda convocazione; 3) il luogo ; 4) l’ordine del giorno. Inoltre, seppure non sottolineato dalla giurisprudenza, è sempre opportuno che
l’avviso rechi l’indicazione di chi abbia convocato l’assemblea, quasi sempre l’amministratore, così da porre i condomini in condizione di avere piena conoscenza della regolarità della convocazione. Per ovvie ragioni di praticità ed economia, nello stesso avviso vanno indicati il
luogo, la data e l’ora dell’assemblea di prima e di seconda convocazione, rammentando che l’art. 1136 c.c. impone che l’assemblea di seconda convocazione non può essere tenuta nello stesso giorno della prima, né oltre dieci giorni dalla prima. Secondo quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 66 delle disposizioni per
l’attuazione del codice civile, l’avviso di convocazione “deve essere comunicato ai condomini almeno 5 giorni prima della data fissata dell’adunanza”. In altre parole l’assemblea deve essere convocata lasciando almeno 5 giorni tra il
momento del ricevimento della comunicazione e quello della data di prima convocazione dell’assemblea stessa. I giorni iniziano a decorrere da quello seguente il ricevimento dell’avviso da parte del condomino. Perché l’assemblea sia valida, quindi, l’avviso di convocazione deve essere ricevuto
dal condomino con il rispetto dei tempi sopra indicati. E’ legittimo qualsiasi sistema per la consegna dell’avviso di convocazione. Se il regolamento di condominio prevede come obbligatorio un determinato
sistema di convocazione (ad esempio spedizione con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, oppure convocazione con avviso da consegnare 15 giorni prima della data fissata dell’assemblea) l’amministratore è tenuto ad eseguire la convocazione dell’assemblea nel rispetto della norma del regolamento. Viceversa, nel silenzio del regolamento, l’amministratore potrà eseguire la
convocazione dei condòmini con le modalità da lui ritenute opportune, sempre nel rispetto dei termini e dei requisiti già indicati, ma tenendo inoltre ben presente che costituisce onere dell’amministratore provare di avere convocato i condòmini regolarmente. La prova che il condòmino assente sia stato convocato con corretta tempestività è sempre dell’amministratore. Chi viene convocato Come già evidenziato, perché l’assemblea possa validamente deliberare debbono
essere convocati tutti i condomini. L’art. 1136 c.c., comma 6, prevede espressamente che l’assemblea non possa
deliberare se non risulta che sia stata convocata la globalità dei condomini. Anche il condomino che ha promosso una causa contro il condominio deve essere
convocato all’assemblea nella quale si discuterà se e come difendersi dalla sua azione. Sono condomini i proprietari, non i conduttori (detti anche inquilini). Nel caso di comproprietari, debbono essere convocati singolarmente tutti i
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comproprietari, tuttavia se i comproprietari sono marito e moglie o fratelli conviventi, la convocazione consegnata ad uno si presume conosciuta anche dall’altro. Deve essere peraltro sottolineato che a fronte del diritto alla partecipazione (da
intendersi = presenza) di tutti i comproprietari, il voto è e rimane uno solo, per cui il diritto di parlare e soprattutto di votare spetta ad uno solo dei comproprietari, che designeranno tra di loro il rappresentante ovvero, in caso di disaccordo tra loro, sarà designato dal presidente dell’assemblea mediante sorteggio (art. 67 comma 2 disp. att. c.c.). L’usufruttuario ( l’usufrutto è il diritto di godere della cosa altrui senza esserne il
proprietario, con l’obbligo di rispettare la destinazione economica del bene ), in forza del disposto dell’art. 67 comma 3 disp. att. c.c., ha diritto di partecipazione e di voto “negli affari che attengono all’ordinaria amministrazione”. Il conduttore non deve essere convocato dall’amministratore. E, nel caso in cui il conduttore abbia il diritto di partecipare e votare, in forza
dell’art. 10 della legge 27 luglio 1978 n. 392, cosiddetta legge “equo canone” il conduttore può avere diritto di voto nelle deliberazioni relative alle spese e alle modalità di gestione del servizio di riscaldamento, ma la sua convocazione è onere del proprietario dell’appartamento e non dell’amministratore. 3.3 – La costituzione Le assemblee di condominio si distinguono in due tipi: assemblea di prima e
di seconda convocazione. La differenza, peraltro ben rilevante sul piano pratico, consiste unicamente nella
diversità delle maggioranze necessarie per calcolare la validità della costituzione e delle delibere; mentre tra prima e seconda convocazione non vi è alcuna differenza per quello che concerne il contenuto delle delibere, perché non vi è alcun argomento che non possa essere trattato indifferentemente in ciascuna delle due assemblee. Il codice non menziona un’assemblea in terza convocazione, per cui, se anche la
seconda va deserta, è necessario riconvocarla. Spesso le assemblee vengono anche definite “ordinarie” e “straordinarie”. In realtà è una differenza nominale più dannosa che utile, perché spesso è fonte di
confusione tra i condomini, i quali sono portati a credere, erroneamente, che spese o manutenzioni straordinarie possano essere discusse e votate soltanto in apposite assemblee straordinarie. Ma ciò non è assolutamente vero. Qualsiasi argomento può essere validamente discusso sia in sede di assemblea ordinaria, che in sede di assemblea straordinaria. Pertanto, facendo nostro il suggerimento dei padri latini che sconsigliavano di moltiplicare inutilmente le categorie e le classificazioni, siamo dell’avviso che eliminare la dicitura “ordinaria“ e “straordinaria“ non soltanto non arrechi alcun danno, ma anzi semplifichi i rapporti. Assemblea in prima convocazione L’art. 1136 c.c. comma 1 prescrive testualmente : “l’assemblea è regolarmente
costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell’intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio”. Una regola chiara, che indica con esattezza il quorum (numero) dei condomini che
debbono essere presenti al momento dell’apertura della riunione, affinché l’assemblea stessa sia valida. L’art. 1136 fa parte del novero delle norme dichiarate inderogabili dal legislatore
(ultimo comma dell’art. 1138 c.c.), quindi neppure un regolamento avente norme di carattere contrattuale o l’accordo pattizio dei condomini potrebbe validamente
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modificare il quorum fissato dalla legge. Con l’occasione si evidenzia che per “presenti” si intende sia chi interviene di
persona sia chi partecipa per delega. Il delegante è presente a tutti gli effetti di legge attraverso il suo delegato. Se Tizio, condomino, è portatore di quattro deleghe, saranno conteggiati cinque condomini presenti. Se i condomini sono più di venti il delegato non può rappresentare più di u quinto dei condomini e del valore proporzionale. Dal 18 giugno 2013, data di entrata in vigore della legge n.220/12, la delega deve
essere rilasciata in forma scritta. L’amministratore può validamente essere delegato da uno o più condomini, salvo
l’eventuale divieto posto da un regolamento avente norme di carattere contrattuale, evidenziando però che la giurisprudenza prevalente ritiene non legittima la delega a favore dell’amministratore di condominio per argomenti per i quali potrebbe esserci un conflitto di interessi, quali la nomina del medesimo amministratore o l’approvazione di bilanci, consuntivi o preventivi, redatti dallo stesso. Il primo comma dell’art. 1136 c.c. evidenzia subito il principio essenziale che
informa ogni passo della vita condominiale: il principio della doppia maggioranza. E’ il criterio cardine posto dal legislatore alla base del funzionamento
dell’assemblea condominiale: il calcolo delle maggioranze risulta sempre (le eccezioni sono rarissime e appunto sono eccezioni dalla combinazione di due elementi, che debbono sussistere congiuntamente, ovvero l’elemento personale (vale a dire i soggetti) e l’elemento del valore (quote di partecipazione al godimento dei beni e delle cose comuni espresse in millesimi). L’esigenza che il legislatore ha inteso salvaguardare è quella di non dare eccessiva
prevalenza né al fattore economico, si pensi al caso di un unico soggetto proprietario di numerosi appartamenti e quindi portatore di molti millesimi, né all’elemento personale, si pensi al caso di proprietari soltanto di boxes o cantine che se numerosi potrebbero imporre la loro volontà all’interno dell’assemblea. L’assemblea è costituita validamente se il numero legale sussiste al momento della
costituzione (apertura) dell’assemblea, essendo irrilevanti, ai fini della costituzione stessa, successive defezioni nel corso dello svolgimento. Assemblea in seconda convocazione Il codice civile all’art. 1136, 3° comma, stabilisce, modificando la legislazione
precedente, un quorum minimo per la validità della costituzione dell’assemblea anche in seconda convocazione. Il quorum costitutivo è formato da un terzo del valore dell’edificio e da un terzo dei
partecipanti al condominio. In seconda convocazione è valida la delibera assunta con il voto favorevole della
maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio. 3.4 - Lo svolgimento e le deliberazioni La nomina del presidente e del segretario. La presenza dell’amministratore Uno dei primi compiti dell’assemblea è provvedere alla nomina del presidente e del
segretario. Nessuna norma del codice impone in modo esplicito tale nomina, ma è una prassi consolidata e utile, la cui validità si può desumere indirettamente dall’art. 67 disp. att. c.c. Il presidente è validamente eletto dalla maggioranza semplice dei presenti in
assemblea, limitando il computo al dato numerico delle persone senza conteggio dei millesimi (cfr. Alberto Celeste, L’assemblea, 2003, Giuffrè Editore, pag. 200.
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I compiti del presidente sono quelli di dirigere l’assemblea, controllando innanzi tutto la regolarità della convocazione e quindi della costituzione. E’ altresì compito del presidente accertare che i presenti siano legittimati a
presenziare in assemblea, disciplinare gli interventi ed eventualmente limitarne i tempi al fine di un più ordinato svolgimento. Il segretario viene scelto dal presidente o eletto dai condomini, e ha il compito di
redigere il verbale sotto la direzione del presidente. Il suo è un incarico meramente esecutivo. La presenza dell’amministratore in assemblea non è obbligatoria, nessuna norma lo
impone. E’ quasi sempre utile e opportuna. Lo svolgimento e le modalità di votazione Lo scopo dell’assemblea è quello di consentire ai condòmini di esaminare e di
decidere in modo collegiale in ordine agli affari del condominio. Anche per questo aspetto della vita condominiale il legislatore non ha ritenuto
opportuno disciplinare in modo minuzioso le modalità di svolgimento delle assemblee di condominio, ma nel corso degli anni la giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato un insieme di regole che hanno colmato alcune delle lacune normative e soprattutto hanno dato (o, per meglio dire, hanno cercato di dare) coerenza al sistema. Gli argomenti di discussione assembleare vanno esaminati seguendo l’elencazione
prevista dall’ordine del giorno, ma nulla vieta che in assemblea i condomini decidano per motivi di opportunità di discutere prima un punto e poi un altro, modificando così la scaletta dell’ordine del giorno; è sicuramente illegittima la deliberazione su di un argomento che non sia all’ordine del giorno. Sulla base di quanto sopra precisato sarebbe consigliabile non inserire nell’ordine
del giorno la rituale voce finale “varie ed eventuali”: infatti, poiché è invalida qualsiasi deliberazione presa su un argomento non esplicitamente all’ordine del giorno, i condomini non possono assumere alcuna decisione valida sotto la voce “varie ed eventuali”. Se invece tale punto viene inserito all’ordine del giorno al solo fine di consentire
eventuali comunicazioni tra i condomini, ovvero tra i condomini e l’amministrazione, tali comunicazioni possono essere validamente rese anche senza la presenza della voce “ varie ed eventuali ”. Il presidente, che ricordiamo dirige l’assemblea, pone all’esame dei condomini i vari
punti, uno per volta, seguendo come detto l’ordine del giorno. Esaminato e discusso ciascun punto, dato atto con la trascrizione nel verbale di
assemblea del resoconto dei vari interventi e delle posizioni espresse dai condomini, la discussione si chiude con la votazione. La votazione deve (dovrebbe) essere di approvazione o di rigetto della proposta. O
sì o no. I voti sono sempre positivi o negativi. L’astenuto è comunque da considerare come
voto negativo, perché non è di approvazione della delibera. La trascrizione nel verbale di assemblea dell’esito della votazione deve essere fatta
con molta accuratezza, essendo le errate trascrizioni uno dei motivi più frequenti di successive cause di impugnazione delle delibere. Anche se può apparire banale o superfluo, deve essere sottolineato che nel verbale
di assemblea deve essere scritto esplicitamente se la proposta viene approvata o respinta. Chiunque legga il verbale, anche anni dopo, anche se un estraneo, deve essere messo in condizioni di capire senza incertezze ed equivoci. Nel caso in cui la proposta venga approvata, deve essere esplicitamente indicato nel
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verbale se sia stata approvata a maggioranza o all’unanimità. Nell’ipotesi di approvazione a maggioranza debbono essere specificamente indicati
il numero di voti a favore e quelli contrari. Poiché la giurisprudenza è costante e pacifica nel ribadire ad ogni occasione che deve sempre essere possibile controllare a posteriori l’esattezza dell’esito della votazione, allorché una deliberazione sia stata assunta a maggioranza, se inizialmente sono stati riportati nel verbale i nominativi di tutti gli intervenuti, è sufficiente indicare i nominativi almeno di coloro che hanno votato negativo, così da consentire la verifica dei conteggi della votazione. L’intero sistema è costruito in modo tale da precludere il voto segreto; basti
considerare che il principio della doppia maggioranza rende necessario sempre il conteggio dei millesimi. Di conseguenza il voto deve essere : a) palese ; b) per appello nominale ; c) espresso soltanto da chi è presente (di persona o per delega), non valgono quindi
voti telefonici o per corrispondenza ; d) distinto per ciascun argomento all’ordine del giorno. Non è valido un voto
generico per tutti i punti all’ordine del giorno. Il conteggio dei voti Primo punto basilare. Una proposta viene approvata quando riceve i voti favorevoli
della maggioranza, vale a dire quando i voti favorevoli sono più numerosi dei voti contrari. E precisamente una proposta viene approvata (deliberazione) quando risulta avere
votato a favore la maggioranza dei soggetti (l’elemento personale), la quale maggioranza rappresenti anche la maggioranza dei millesimi (l’elemento del valore). Ciascuna deliberazione cioè deve soddisfare il principio della doppia maggioranza. Una proposta di delibera che raccolga la maggioranza di soltanto uno dei due
elementi non è approvata. Ma avere raggiunto la doppia maggioranza (maggioranza dei voti favorevoli che
rappresenti anche la maggioranza dei millesimi) è necessario, ma non sufficiente. La delibera è approvata validamente quando la doppia maggioranza favorevole
raggiunga il quorum minimo stabilito dalla legge per quel tipo di delibera. Riassuntivamente, possiamo dire che una delibera è approvata validamente quando
concorrono tre condizioni, che debbono essere tutte e tre presenti : a) abbia votato a favore la maggioranza dei condomini presenti, di persona o per
delega ; b) la maggioranza dei condomini presenti che ha votato a favore sia portatore anche
della maggioranza dei millesimi; c) la maggioranza dei presenti e la maggioranza dei millesimi raggiungano il
quorum minimo previsto dalla legge. Sul punto sono utili due precisazioni. Maggioranza vuol dire semplicemente “essere
di più”, non vuol dire, come invece molti dicono, la metà più uno, che può apparire una semplice imprecisione, ma può creare (come in effetti in alcuni casi è avvenuto) contrasti in sede di deliberazione. Il sistema di calcolare la metà più uno infatti funziona per i numeri pari : ad esempio su otto condomini la maggioranza è di cinque (la metà, quattro, più uno). Ma non funziona con i numeri dispari. La maggioranza su cinque condomini è di tre, non di tre virgola cinque; su undici condomini è di sei condomini, non di sei virgola cinque. Seconda avvertenza, il fatto che a volte i voti favorevoli raggiungano il quorum
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minimo previsto dalla legge (ad esempio, nel caso in cui in seconda convocazione votino a favore dell’approvazione del rendiconto la maggioranza dei partecipanti, il cui valore millesimale è pari ad un terzo del valore dell’edificio, così soddisfacendo il requisito del quorum chiesto dall’art. 1136 c.c.) non implica che la delibera sia approvata se i millesimi portati dai contrari siano maggiori. Occorre sempre rammentare che, affinché una delibera sia approvata, il primo e
fondamentale requisito, tanto banale e scontato da non essere giustamente menzionato dalla legge, è che i voti favorevoli siano di più di quelli contrari. Le maggioranze semplici e quelle qualificate o speciali L’art. 1136 c.c., probabilmente una delle norme più rilevanti in materia
condominiale, stabilisce, a seconda delle materie in discussione in assemblea, le varie maggioranze necessarie per la validità delle relative deliberazioni. Ovviamente la norma in esame è ben lungi dall’esaurire tutte le fattispecie che la
vita reale ci propone quotidianamente, pertanto spesso l’amministratore dovrà fare riferimento a prassi consolidate o agli indirizzi dettati dalla giurisprudenza. Laddove il codice non specifica alcunché, significa che non sono previste
maggioranze particolari, sicché sono necessarie e sufficienti le maggioranze semplici, intese come corrispondenti alla maggioranza minima prevista dalla legge, vale a dire : a) in prima convocazione “sono valide le deliberazioni approvate con un numero di
voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio”. b) in seconda convocazione “la deliberazione è valida se approvata dalla
maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio”. L’art. 1136 c.c. comma 4 individua un gruppo di materie per le quali le deliberazioni
in seconda convocazione debbono essere assunte con un quorum minimo più alto di quello semplice ed esattamente è richiesta quella stessa maggioranza che in prima convocazione deve sempre sussistere: la maggioranza degli intervenuti pari ad almeno la metà del valore dell’edificio. In altre parole, quel quorum minimo che in prima convocazione costituisce la
maggioranza necessaria per tutte le delibere semplici, diviene il quorum speciale in seconda convocazione. Gli argomenti per i quali è prevista la predetta maggioranza qualificata in seconda
convocazione sono : a) la nomina e la revoca dell’amministratore , b) le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni
dell’amministratore medesimo ; c) la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità d) l’approvazione del regolamento condominiale; L’art. 1136 c.c. comma 5 individua un altro gruppo di argomenti per il quale è
necessaria una maggioranza qualificata, ed esattamente le deliberazioni che hanno per oggetto le “ innovazioni ” disciplinate dall’art. 1120 c.c. comma 1. In questo caso il codice chiede che le deliberazioni siano “sempre approvate con un
numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio”. Efficacia delle deliberazioni Le deliberazioni, anche quelle assunte a maggioranza, vincolano tutti i condomini,
assenti, contrari e astenuti compresi. Vige il principio che le decisioni assunte dalla
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maggioranza sono vincolanti anche per la minoranza dissenziente. Le deliberazioni sono immediatamente esecutive. L’impugnazione dinanzi al Tribunale di una delibera non ne sospende l’efficacia e
l’esecutività. Anche le deliberazioni in astratto invalide sono valide ed efficaci fino a quando, all’esito di un giudizio di impugnazione, il Tribunale non le abbia cancellate. Invalidità delle deliberazioni L’art. 1137 c.c. prevede che ciascun condomino dissenziente, assente e astenuto
possa impugnare le deliberazioni che ritiene siano state assunte “contrarie alla legge o al regolamento di condominio”. Impugnazione vuol dire ricorso all’autorità giudiziaria, cioè proporre una causa contro il condominio. Qualsiasi attività diversa dal ricorso all’autorità giudiziaria non costituisce
impugnazione di delibera, quindi, al fine dell’impugnativa, sono del tutto irrilevanti lettere raccomandate, fax, telegrammi, posta elettronica, telefonate, o qualsiasi altra forma di comunicazione. In buona sostanza l’impugnazione è la presentazione da parte di un condomino
(tramite la rappresentanza di un avvocato) della delibera ritenuta viziata all’esame del magistrato, il quale dovrà accertare la sussistenza o meno del vizio lamentato e provvedere di conseguenza. L’art. 1137 c.c. nella sua scarna linearità si è completamente disinteressato della
qualificazione dell’invalidità della delibera da impugnarsi, cioè non si è minimamente curato della distinzione che dottrina e giurisprudenza da sempre hanno operato nel diritto privato tra “vizi di nullità ” e “vizi di annullabilità”, o più semplicemente tra “nullità” e “annullabilità” dell’atto viziato. Dalla semplice lettura dell’art. 1137 c.c. risulterebbe chiaro che il legislatore abbia
inteso stabilire un unico regime, tanto semplificato fino ad essere draconiano e rigoroso, per porre riparo ad una delibera illegittima: il condomino dissenziente, l’astenuto e l’assente hanno trenta giorni di tempo per porre al vaglio del tribunale la delibera che presume viziata. Al trascorrere dei trenta giorni -‐ termine veramente troppo esiguo -‐ senza che nessun condomino abbia agito in sede giudiziaria, i giochi sono fatti. La delibera diviene valida ed efficace per inerzia degli interessati, vale a dire dei condomini che erano contrari alla delibera illegittima. Ma il sistema di impugnazione previsto dall’art. 1137 c.c. è parso da subito
effettivamente troppo scarno e semplice a tutti o quasi gli operatori del diritto, siano essi studiosi o magistrati, i quali hanno correttamente evidenziato che escludere sempre la distinzione tra “nullità” e “annullabilità” della delibera, oltre ad essere in contrasto stridente con l’intero sistema del diritto civile, possa portare nella pratica quotidiana a risultati di grave ingiustizia. Di conseguenza la distinzione tra vizi “di nullità” e vizi “di annullabilità” è tornata
prepotentemente (tramite le sentenze e gli studi più autorevoli) nel diritto condominiale e con tale distinzione dobbiamo fare i conti, che non sono né semplici né soprattutto definitivi. Come è facile intuire, la “nullità” è un difetto più grave, più radicale. L’
“annullabilità” indica un vizio meno rilevante. Ciò che è estremamente interessante sono le differenze tra i due tipi di vizi, sia nelle
conseguenze di carattere sostanziale che processuale. Infatti giurisprudenza e dottrina sono concordi nel sostenere che il regime
dell’impugnazione previsto dall’art. 1137 c.c. sia applicabile solo per le delibere “annullabili”. Soltanto queste ultime quindi sono impugnabili unicamente dai condomini
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dissenzienti o assenti nel breve termine di trenta giorni, decorrente per il dissenziente dal giorno dell’assemblea e per l’assente dal giorno in cui ne ha avuto piena conoscenza. Viceversa le delibere “nulle” (il che vuol dire che non sono mai sorte) possono
essere impugnate senza limiti di tempo, sono quindi imprescrittibili, da chiunque vi abbia interesse. Tale diritto spetta a ciascun condomino, anche a coloro che hanno votato a favore, anche al presidente che l’ha dichiarata valida. Il problema fondamentale è che non esiste un elenco certo che individui quali siano
i vizi di nullità e quelli di annullabilità. E’ il magistrato incaricato di esaminare il caso concreto a decidere se il difetto della
delibera impugnata consista in motivo di nullità o di annullabilità e ogni singolo magistrato ha la piena e legittima libertà di decidere in base al proprio convincimento, senza essere obbligatoriamente vincolato da precedenti in materia. Con funzione meramente indicativa, e nella consapevolezza che chiarisce molto
meno di quanto prometta, possiamo riportare la distinzione tra nullità e annullabilità delle delibere, tratta dalla nota sentenza della Suprema, la quale ribadisce quanto già detto in numerose altre occasioni : “sono assolutamente nulle le deliberazioni dell’assemblea prive dei requisiti essenziali o affette da vizi relativi alla regolarità della costituzione dell’assemblea o della formazione della volontà della prescritta maggioranza, ovvero prese con riguardo ad oggetto impossibile o illecito o esorbitante dai limiti dell’attribuzione dell’assemblea, o concernenti innovazioni lesive dei diritti di ciascun condomino sulle cose comuni o su quelle di proprietà esclusiva di ognuno di essi, mentre sono invece semplicemente annullabili le deliberazioni affette da vizi formali, e cioè prese in violazione di prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, nonché quelle affette da eccesso di potere e quelle viziate da incompetenza, che eccedono cioè il campo riservato all’amministratore” (Cass. 21 febbraio 1995, n. 1890).
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MODULO N. 4
Il Regolamento di condominio (Marco Saraz)
4.1- Caratteri Generali In base all’art. 1138, comma 1, del codice civile quando in un edificio il numero dei
condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento le cui norme debbono disporre circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, nonché disciplinare i profili della tutela del decoro architettonico dell’edificio e dell’amministrazione. Tali previsioni di contenuto del regolamento possono essere interpretate come
“contenuto minimo”, e non quindi da escludere anche l’emanazione di ulteriori regole intestine conformemente alle peculiari esigenze dei partecipanti. Và preliminarmente precisato che il Codice Civile disciplinando la materia del
Regolamento condominiale si riferisce esclusivamente a quello avente origine assembleare approvato con le maggioranze previste dall’art. 1136, II co. c.c. (sia in prima che in seconda convocazione), ed allegato nel registro dei verbali delle assemblee tenuto dall’amministratore (il registro di cui al n.7 dell’art. 1130 c.c.). Accanto a questo (definito anche “ad origine interna”) la giurisprudenza ha
riconosciuto piena efficacia giuridica a quello “ad origine esterna”, cioè predisposto dall’originario unico proprietario, che si caratterizza come un vero e proprio contratto. Il Regolamento condominiale (di qualunque origine esso sia), può essere definito
“la legge interna che organizza ed articola la vita” di tutti i diversi soggetti giuridici che anche a diverso titolo (proprietari, affittuari, amministratore) operano nell’ambito dell’edificio condominiale. Tenuto a mente che, come di seguito si approfondirà, le norme inserite nel
regolamento non hanno la completa facoltà di autodeterminazione (avendo il legislatore espressamente previsto, nello stesso art. 1138 c.c., che alcune norme debbano essere ritenute imperativamente inderogabili), si suole definire il regolamento condominiale come “una fonte regolatrice di natura secondaria”. In altre parole, il regolamento è per il condominio quello che lo statuto è per una
società; non quindi la inutile ripetizione delle norme già previste dal legislatore, bensì l personalizzazione di queste (per quanto sia possibile derogarle) adattandole alle effettive esigenze di regolamentazione che la comunità condominiale riterrà opportune. 4.2- Riferimenti normativi Prima di analizzare i vari aspetti del regolamento è opportuno richiamare le norme
di legge applicabili alla fattispecie, le quali sono fondamentali per la comprensione di ogni suo aspetto; tali norme sono: Art. 1138 -‐ Regolamento di condominio Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato
un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.
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Ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente. Il regolamento deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal
secondo comma dell’art. 1136 ed allegato al registro indicato dal n.7) dell’art. 1130. Esso può essere impugnato a norma dell’art. 1107. Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun
condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli artt. 1118 secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137. Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali
domestici. Art. 68 disp. att. c.c. Ove non precisato dal titolo ai sensi dell’articolo 1118, per gli effetti indicati dagli
articoli 1123, 1124, 1126 e1136 del codice, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio. Nell'accertamento dei valori di cui al primo comma non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare. Art. 69 disp. att. c.c. I valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale
di cui all'articolo 68 possono essere rettificati o modificati all'unanimità. Tali valori possono essere rettificati o modificati anche nell'interesse di un solo
condomino, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, del codice, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di
sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione. Ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale
allegata al regolamento di condominio ai sensi dell'articolo 68, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell'amministratore. Questi è tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini. L'amministratore che non adempie a quest'obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento degli eventuali danni Le norme di cui al presente articolo si applicano per la rettifica o la revisione delle
tabelle per la ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali Art. 70 disp. att. c.c. Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di
sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie. Art. 72 disp. att. c.c. I regolamenti di condominio non possono derogare alle disposizioni dei precedenti
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artt. 63, 66, 67 e 69. 4.3- Il regolamento di condominio obbligatorio e quello facoltativo Come visto, l’art. 1138 c.c. prevede che, quando il numero di condomini presenti in
un edificio sia superiore a dieci (cioè, da undici in poi), divenga obbligatoria la redazione del regolamento, da approvarsi a cura dell’assemblea con la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136 comma 2 c.c. Per calcolare correttamente il numero dei condomini occorre precisare che detto
numero và calcolato facendo valere per uno i comproprietari dello stesso “piano o porzione di piano”; di conseguenza se, per esempio, un appartamento appartiene a più persone, tale complesso di comproprietari vale come un solo condomino. Analogamente, se una stessa persona è titolare di due o più proprietà distinte ed
esclusive, questa andrà considerata come unica ai fini del calcolo in indagine. Nel caso in cui, l’edificio sia costituito da meno di undici condomini, l’adozione del
regolamento è facoltativa. Tale regolamento facoltativo, tuttavia, una volta approvato dall’assemblea
condominiale ha il medesimo valore, e vincolatività, del regolamento obbligatorio. Un’ulteriore precisazione è necessaria in riferimento al significato dei termini
“obbligatorio” o “facoltativo”. Se teniamo presente che quando si parla di condominio ci si riferisce sempre ad una
situazione di “proprietà privata” (seppur con più d’un titolare), ben comprendiamo come l’obbligatorietà e la facoltatività del regolamento assumono un aspetto del tutto particolare. Una volta ritenuto che, a ben vedere, il legislatore non ha previsto alcuna sanzione
nell’ipotesi in cui un condominio che si trovasse nella condizione di dover obbligatoriamente adottare un regolamento ne fosse privo, l’aspetto assume rilevanza allorquando “anche un solo condomino” pretendesse l’adozione del regolamento e l’assemblea condominiale -‐o perché in prevalenza contraria ovvero in quanto impossibilitata dal mancato raggiungimento del necessario quorum deliberativo-‐ negasse tale richiesta. In tale ipotesi, allorchè il condominio si trovasse in regime di “obbligatorietà della
formazione del regolamento” avrà tutti i diritti di rivolgere domanda avanti l’Autorità Giudiziaria (Tribunale Civile) affinchè il Giudice imponga la sua formazione . Nell’ipotesi diversa (condominio formato da meno di undici condomini e quindi in
regime facoltativo di formazione del regolamento), il medesimo condomino si vedrebbe respinta la richiesta giudiziale una volta ritenuta la mancanza di obbligo in capo ai condomini della sua adozione . 4.4- Norme contrattuali e regolamentatrici. Sia la Dottrina che la Giurisprudenza erano solite distinguere e definire i
regolamenti condominiali in due diverse figure giuridiche: contrattuale ed assembleare. Laddove per contrattuale si doveva intendere il regolamento condominiale
predisposto dall’originario costruttore e venditore (unico proprietario) dell’immobile preliminarmente o coevamente allegato ai singoli atti di acquisto, od in essi espressamente richiamato, le cui norme ben potevano determinare il sorgere o di oneri reali qualora impongano obblighi ai condomini in relazione alle cose comuni ovvero di diritti reciproci di servitù allorquando limitino le reciproche facoltà di godimento.
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Diversamente, per assembleare andava inteso il regolamento proposto ed approvato dai condomini con la maggioranza prevista dall'art. 1136, II co, c.c., ed avente l'esclusiva potestà di regolamentare la vita condominiale, ma difettando della possibilità di poter porre limiti di diritti reali, propri unicamente, come detto, di quello contrattuale. Da tale distinzione ne discendeva che in sede assembleare i condomini avevano
l'unica facoltà di approvare norme regolamentatrici residuando ad esclusiva facoltà del regolamento esterno la possibilità di inserire norme contrattuali., nonché ulteriormente una serie di conseguenti applicazioni (revoca o modifica delle norme). Rivisitata la materia, la S.C. di Cassazione e la dottrina più attuale hanno dettato
principi diversi dei quali si trarrà qui di seguito spunto. Precisato innanzitutto che debbono intendersi disposizioni di natura
“Regolamentare” tutte quelle clausole del Regolamento che riguardino l’uso delle cose comuni e, in generale, l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi comuni, magari limitandone l’utilizzazione per i singoli (tutti) nell’interesse collettivo come ad esempio fissandone una turnazione. Diversamente debbono qualificarsi norme di natura “Contrattuale” tutte quelle
clausole del Regolamento che limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive, o comuni e quelle che attribuiscano ad alcuni di loro maggiori diritti rispetto ad altri, e precisamente quelle relative alla ripartizione delle spese condominiali, quelle limitative dei diritti di proprietà esclusiva e quelle limitative dei diritti di proprietà comune; Ciò premesso, come già innanzi accennato, il regolamento condominiale può avere
origine interna (approvazione assembleare) od esterna (predisposto dall'originario costruttore-‐venditore). Sia nell'ambito del regolamento esterno che di quello interno potranno coesistere
sia norme regolamentatrici che norme contrattuali. Tale principio, se nulla modifica nell'ambito del regolamento esterno, diversamente
si pone riguardo quello ad origine interna. Difatti l'attenzione andrà posta non più genericamente riguardo l'origine del
regolamento, bensì circa le singole e specifiche norme ivi contenute. Pertanto allorchè venga posto in approvazione assembleare un regolamento al cui
interno coesistano sia norme regolamentatrici che contrattuali, ai fini della loro valida approvazione queste andranno distinte: per le prime sarà sufficiente il quorum assembleare previsto dall'art. 1136 II co. c.c., mentre per le norme c.d. contrattuali sarà necessaria esclusivamente l'unanimità dei partecipanti al condominio (pena la mancata approvazione). Da ciò ne consegue che andranno poste al vaglio assembleare, una per una, le
singole norme contenute nel regolamento, e quindi valutato caso per caso il quorum specificatamente raggiunto per poterne dichiarare la loro regolare approvazione o meno. E non quindi il regolamento genericamente, che, in tal caso, non potrebbe fornire
tale indicazione necessaria e non darebbe la facoltà ai partecipanti di poter eventualmente diversificare la loro effettiva volontà circa ognuna delle norme. 4.5- Modificabilità delle norme del regolamento Da quanto innanzi detto, sarà agile giungere a ben comprendere l'iter con il quale
sarà possibile modificare le norme del Regolamento, sia esso di origine interna che esterna. Mentre le clausole contrattuali potranno essere modificate solo con il consenso
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scritto di tutti i partecipanti al condominio (unanimità), quelle regolamentari potranno essere variate dall'assemblea con la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c. 2° comma (500 mil.) , anche se formalmente inserite in un regolamento ad origine esterna o contrattuale, in quanto la natura di una norma, ribadiamo, dipende esclusivamente dal suo contenuto piuttosto che dalla sua collocazione. Altrettanto, và chiarito che anche allorchè norme regolamentatrici siano state, in
origine, approvate con l'unanimità dei partecipanti al condominio, queste saranno sempre modificabili a maggioranza non acquistando per l'assenso di tutti carattere contrattuale. Quanto al "consenso scritto" necessario per le clausole contrattuali (sia in sede di
approvazione che di revoca o modifica) questo potrà essere ottenuto anche al di fuori del consesso assembleare, nell'ipotesi uno o più condomini non fossero effettivamente presenti all'adunanza . Una volta considerata la necessità della forma scritta quanto alle clausole
contrattuali del regolamento, queste poi non potranno mai essere modificate per “fatti concludenti (c.d.“facta concludentia”) (Cass. Sezioni Unite n. 943 del 30.12.1999). In ultimo va aggiunto che le norme del regolamento potranno altresì essere
revocate o modificate allorquando, queste fossero divenute illegittime per mutamento delle disposizioni di legge, ovvero se trattasi di regolamenti anteriori al 28.10.1941 (l’art. 155 dd.aa. c.c) nel momento in cui vi fossero clausole incompatibili con l’attuale codice civile. In tali casi non occorre alcuna particolare maggioranza per l’abrogazione delle
norme contrarie alla legge, mentre per la sostituzione di esse con nuove norme conformi alla legge occorrerà sempre la maggioranza di cui all’art. 1136 2° co c.c., trattandosi in sostanza di approvare, in tutto o in parte, un nuovo regolamento. 4.6- I limiti della potestà regolamentare L'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. stabilisce un triplice ordine di limite al potere
dispositivo delle norme del regolamento di condominio. Il primo,"generico", che tali norme non possono "in alcun modo" menomare i diritti
di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni (se non con l'unanimità dei consensi). Il secondo, specifico, relativamente alle disposizioni in ordine:
- ai diritti dei partecipanti sulle cose comuni (1118 2°co c.c.), il condomino non può, rinunziare al suo diritto sulle parti comuni;
- all’indivisibilità delle parti comuni (1119 c.c.), a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti partecipanti;
- alle innovazione (1120 c.c.), riguarda l’inderogabilità delle maggioranze necessarie per la loro approvazione, le prescritte agevolazioni di quorum assembleari riguardo particolari opere innovative, il divieto di eseguire le stesse in determinate ipotesi, nonché l’obbligo di peculiari indicazioni cui l’amministratore è tenuto in sede di convocazione in tali ipotesi;
- alla nomina ed alla revoca dell’amministratore (1129 c.c.); nessun regolamento può modificare quanto disposto dalla Legge in ordine alla nomina ed alla revoca dell’amministratore;
- alla rappresentanza nelle liti (1131 c.c.); non possono essere derogati o sottratti i poteri di rappresentanza sostanziale e processuale dell’Amm.re. Di contro è lecita la clausola che attribuisca al medesimo maggiori poteri.
- al dissenso dei condomini rispetto alle liti (1132 c.c.)
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- alla costituzione dell’assemblea e la validità delle delibere (1136 c.c.); - all’impugnazione delle delibere (1137 c.c.) si riferisce alla
obbligatorietà delle delibere assembleari nei confronti di tutti i condomini ed alle modalità d’impugnazione, in senso assoluto ed anche estesa agli artt. 63, 66, 67, e 69 dd. aa. C.c. quali: la possibilità di richiedere decreto ingiuntivo per riscuotere i contributi, alla solidarietà del condomino subentrante nel pagamento degli oneri relativi all’anno in corso e a quello precedente, all’eventuale sospensione dei servizi per morosità (63), alla convocazione delle assemblee straordinarie (66) all’intervento in assemblea mediante deleghe (67), ai casi tassativi di revisione dei valori delle tabelle millesimali (69).
In tali ipotesi normative, non è ammessa "in nessun caso" alcuna deroga trattandosi di materie che eccedono la mera gestione condominiale. Nell'ipotesi un regolamento condominiale, sia esso di origine esterna che
assembleare, contenesse al suo interno norme disciplinanti in forma diversa i contenuti dei suddetti articoli assolutamente inderogabili, tali norme sarebbero nulle ed impugnabili avanti il Tribunale senza limite di tempo. Frequente esempio di violazione di tale inderogabilità assoluta era riscontrabile nei
regolamenti predisposti dall'originario costruttore-‐venditore, al cui interno erano spesso inserite clausole a mezzo delle quali veniva riservata la nomina dell'amministratore esclusivamente al medesimo per un certo arco di tempo. Il terzo limite, previsto al 5° comma dell'art. 1138 c.c., esclude categoricamente che
il regolamento (assembleare o contrattuale che sia) possa vietare "di possedere o detenere animali domestici"; neppure con il consenso unanime dei partecipanti. Allorchè regolamenti, approvati anteriormente all'entrata in vigore di tale norma
(18.6.2013) prevedessero tale divieto la categorica previsione di cui al 5° comma dell'art. 1138 c.c. comporterà la sopravvenuta automatica inefficacia di tale norma di divieto. E ciò quantunque, in tal senso, non sia stata prevista una norma analoga all'art. 155,
comma 2, delle disp. transitorie cod. civ. . 4.7- L’opponibilità del Regolamento E’ evidente che gli obblighi contrattuali scaturenti dal regolamento assolvono le
loro funzioni unicamente se vincolano non soltanto i soggetti stipulanti, ma pure tutti i loro aventi causa, successivi titolari di diritti sugli immobili gravati da tali obblighi. Poiché l’art. 1372 c.c. prevede che gli atti negoziali di regola “producono effetti
soltanto fra le parti”, si pone il problema dell’opponibilità di tali vincoli nei confronti dei successivi “aventi causa”. Se nessun dubbio sorge riguardo gli eredi dell’originario condomino, che in quanto
tali subentrano automaticamente nella sua stessa posizione giuridica, ovvero nei confronti del conduttore anch’esso tenuto al rispetto delle norme, notevoli difficoltà potrebbero emergere circa i successivi acquirenti dell’unità immobiliare gravata da un regolamento contenente obblighi e limitazioni di natura contrattuale. In tale ipotesi, il regolamento sarà opponibile ai terzi acquirenti purchè il
regolamento sia stato trascritto nei pubblici registri immobiliari della conservatoria, o comunque espressamente accettato da chi subentra nella proprietà dell’immobile. Quindi a seguito della trascrizione del regolamento di condominio contenente
norme contrattuali (inserito o allegato nel contratto di compravendita) si attua la funzione di rendere conoscibile ai terzi acquirenti e di renderlo opponibile. Contrariamente, l’omessa trascrizione determina l’inopponibilità ai successivi
acquirenti delle clausole limitative dei diritti esclusivi di proprietà., i quali, per l’effetto,
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in tal caso non sono tenuti al rispetto di dette eventuali norme, differentemente dagli altri condomini. 4.8- Sanzioni Il codice (art. 70 disp. Att.) prevede la possibilità di irrogare sanzioni nei confronti
dei condomini irrispettosi delle disposizioni regolamentari. È prevista la comminazione di una “multa” per le infrazioni al regolamento
consistente nel “pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800” da devolversi al fondo per le spese ordinarie. Tale sanzione, correlata esclusivamente ad un’infrazione al regolamento di
condominio, viene applicata dall’amministratore e non necessita di alcuna autorizzazione (preventiva o successiva) dell’assemblea. A sua volta il condomino sanzionato in sua difesa avrà la facoltà di ricorrere
all’assemblea mediante il reclamo previsto dall’art. 1133 c.c. Sebbene l’art. 70 dd.aa. c.c. non sia prevista come norma inderogabile, la
Giurisprudenza ha più volte dichiarato illegittimo aumentare la misura di tale sanzione, pertanto l’importo previsto all’art.70 disp att. andrà inteso come limite invalicabile, e sarà nulla una eventuale previsione regolamentare che dovesse stabilire una misura maggiore. Altrettanto andrà tenuto a mente che la suddetta sanzione potrà essere comminata
solo ed esclusivamente riguardo alle infrazioni di espresse disposizioni regolamentari, e non quindi in inottemperanza a previsioni contenute in mere deliberazioni assembleari. Sempre la Suprema Corte di Cassazione ha, più volte ribadito che le sanzioni non
possono essere comminate nei confronti del conduttore. 4.9- Aspetti pratici Una volta chiariti e tenuti a mente gli aspetti normativi del regolamento
condominiale, sarà utile sottolineare alcune regole-‐guida che l’amministratore dovrà, nella pratica, seguire.
1. L’Amministratore che assume l’amministrazione di un condominio, dovrà immediatamente informarsi se vi è un Regolamento, e nell’ipotesi positiva leggerlo attentamente e rispettarlo (si pensi ad eventuali disposizioni circa le convocazioni assembleari o le ripartizioni delle spese).
2. Se il condominio sia del tutto sprovvisto di regolamento ed il numero dei condomini è superiore a dieci, gli spetterà il compito di proporre all’assemblea –per l’approvazione-‐ un regolamento, avendo cura (se esistono patti relativi al condominio nei rispettivi atti di acquisto) di non predisporre norme contrarie a quei patti, che potranno essere derogati solo all’unanimità .
3. Il procedimento di adozione è quello di una normale deliberazione dell’assemblea condominiale .
Sull’inserimento dell’argomento nell’ordine del giorno contenuto nell’avviso di convocazione, vale la pena di precisare che, al fine di una più completa informazione dei condomini, è opportuno che il testo del regolamento possa essere preliminarmente consultato senza limitazioni da questi ultimi. Ciò può avvenire o mediante la sua allegazione all’avviso di convocazione, oppure
attraverso l’indicazione, contenuta nel testo dell’avviso stesso, della disponibilità del documento presso lo studio dell’amministratore.
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Tale precauzione si rende necessaria in quanto il testo del regolamento, per la sua complessità ed ampiezza, non consente una piena analisi nella sola sede della riunione dell’assemblea condominiale.
4. Le norme contrattuali (approvate all’unanimità) prevalgono sulle norme del codice civile e delle disposizioni di attuazioni, ma non prevalgono sulle norme espressamente dichiarate inderogabili dagli art. 1138 c.c. e 72 disp.att..
5. Le norme regolamentatrici, se approvate a maggioranza dall’assemblea, invece, devono essere sempre conforme a tutte le norme di legge.
Per chi ne volesse sapere di più…
Il Codice stabilendo che il R. è obbligatorio allorché i partecipanti al cond. sono superiori a 10, non esclude la facoltà di poter approvare o accettare un R. anche se i condomini siano di numero inferiore ad 11.
Il R. invece non può essere formato qualora i condomini siano
solo due, mancando la possibilità di una maggioranza qualificata (in tal caso per la regolamentazione dei rapporti si applicano le disposizioni relative alla comunione artt. da 1100 a 1116 c.c. .
Ai divieti di utilizzo delle proprietà esclusive non si applicano
criteri di analogia, pertanto è lecito destinare a ristorante un locale insito in un cond. il cui R. vieta “attività recanti disturbo o pregiudizio”.
E’ legittima la clausola (contrattuale) che escludesse uno o più
condomini da un certo tipo di spesa, ovvero le attribuisse ad un solo condomino;
E’ illegittima la clausola che impone e limita la vendita della
singola proprietà esclusivamente agli altri condomini
E’ legittima la clausola del Regolamento che stabilisca che le funzioni di amministratore siano esercitate fra un professionista scelto in una determinata categoria specializzata.
E’ legittima la clausola del Regolamento che stabilisca di
sottrarre alcuni determinati poteri riservandoli all’assemblea, in considerazione della derogabilità dell’Art. 1130 c.c.
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario (ed
unico) proprietario dell'edificio è vincolante per gli acquirenti delle singole unità immobiliari (purché richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto) nella sola ipotesi che il relativo acquisto si collochi in epoca successiva alla predisposizione del regolamento stesso, e non nel periodo antecedente tale predisposizione, ancorché nell'atto di acquisto sia previsto l'obbligo di rispettare il regolamento “da redigersi in futuro”, mancando, in tal caso, uno schema negoziale definitivo, suscettibile di essere compreso per comune volontà delle parti nell'oggetto del contratto.
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LE TABELLE MILLESIMALI
4.10- Nozioni Generali Nel condominio coesistono due ben distinti insiemi di beni: da una parte le porzioni
di piano appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini, e dall’altra, l’insieme dei beni e degli impianti comuni dei quali tali condomini sono comproprietari secondo una quota indivisa. Al fine di coadiuvare la gestione del fabbricato, il legislatore ha previsto "apposita
tabella" millesimale che ha la funzione essenziale di "rappresentare il rapporto di valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare" consistente nella quantificazione della relazione che intercorre tra ciascuna singola proprietà e la somma di tutte le ulteriori unità immobiliari sia esclusive che condominiali. In particolare l’art. 68 delle disp. att. c.c. dispone quanto segue: “Ove non precisato dal titolo ai sensi dell’articolo 1118, per gli effetti indicati dagli
artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio. Nell’accertamento dei valori di cui al primo comma non si tiene conto del canone
locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare. Che, sostanzialmente, afferma il principio che nel condominio, è necessario che in
una tabella (allegata al regolamento) sia precisato il valore in millesimi di ciascuna unità immobiliare, ragguagliato a quello dell'intero edificio, e che dette tabelle sono finalizzate a coadiuvare la gestione del fabbricato sia al fine della ripartizione delle spese, sia affinchè il procedimento assembleare possa più agevolmente svolgersi. Tale disposizione si collega con il disposto dell’art. 1118 co. 1 c.c. secondo il quale “il
diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene”. A tal proposito, però, sarà utile precisare che tale principio non concede, al
condomino titolare di più millesimi il diritto di utilizzare più intensamente il bene comune a scapito di coloro che ne hanno meno; difatti la facoltà di esercizio, contrariamente, rimarrà (salvo regolamento) identico fra tutti partecipanti. In buona sostanza, tale principio non dà diritto a chi possiede un maggior numero
di millesimi di poter parcheggiare nel garage comune un “suv”, ed a chi ne possiede meno una piccola utilitaria, ma esclusivamente di essere titolare di maggiore capacità decisionale in sede assembleare e, lato dolente, il dovere di partecipare in misura maggiore alle spese conseguenti. Nella suddetta norma, sono altresì previsti alcuni criteri di redazione delle tabelle
millesimali, e precisamente: – i valori devono essere espressi in millesimi; – nell’accertamento di tali valori non si deve tener conto del canone locatizio, dei
miglioramenti e dello stato di manutenzione delle unità immobiliari. Ulteriori regole (in particolare per la revisione delle tabelle) sono poi previste:
dall'art. 69 disp. att. c.c.: “I valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella
millesimale di cui all'articolo 68 possono essere rettificati o modificati all'unanimità. Tali valori possono essere rettificati o modificati, anche nell'interesse di un solo
condomino, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, del codice, nei seguenti casi:
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1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in
conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unita' immobiliari, e' alterato per piu' di un quinto il valore proporzionale dell'unita' immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo e' sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.
Ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio ai sensi dell'articolo 68, puo' essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell'amministratore. Questi e' tenuto a darne senza indugio notizia all'assemblea dei condomini. L'amministratore che non adempie a quest'obbligo puo' essere revocato ed e' tenuto al risarcimento degli eventuali danni. Le norme di cui al presente articolo si applicano per la rettifica o la revisione delle
tabelle per la ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali». 4.11- Mancanza delle tabelle millesimali Se, come di seguito si approfondirà, l'adozione delle tabelle millesimali da parte del
condominio potrà validamente avvenire o in quanto allegate al regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario, ovvero una volta validamente approvate in sede assembleare, tuttavia le tabelle millesimali, pur ponendosi come "centro" della vita del condominio, costituendone uno strumento irrinunciabile per una corretta gestione, non sono formalmente indispensabili né per l’esistenza del condominio, né per il funzionamento dell’assemblea. In altre parole, le tabelle "agevolano ma non condizionano la gestione del
condominio" (A. Celeste e Cass. 23.6.1998), che è ugualmente possibile e valida anche in loro assenza come affermato dallo stesso Dr. Triola che lapidariamente precisa “la preesistenza delle tabelle millesimali non è necessaria per la gestione del condominio”. Tale principio è presente costantemente anche nella giurisprudenza del Supremo
Collegio, per il quale: “In tema di condominio negli edifici, le tabelle millesimali possono esistere (o non
esistere), non potendosi escludere che i condomini, in mancanza di un regolamento con annesse tabelle, possano, ai fini della ripartizione delle spese (di tutte o alcune di esse), accordarsi liberamente tra loro stabilendone i criteri, purché sia rispettata la quota di spesa posta a carico di ciascun condomino e la quota di proprietà esclusiva di questi, essendo il criterio di ripartizione previsto dalla legge (art. 1123)preesistente ed indipendente dalla formazione delle tabelle. Del resto, la (pre)esistenza di tabelle millesimali non è necessaria per il funzionamento e la gestione del condominio, non solo ai fini della ripartizione delle spese ma neppure per la costituzione delle assemblee e la validita' delle deliberazioni, tanto piu' se si considera che la necessita' del regolamento di condominio e delle annesse tabelle millesimali e' obbligatoria per i condomini con piu' di dieci partecipanti (fra le ultime Cass. Sez. II, 10/02/2009 n 3245) Pertanto, nel caso che il condominio non si sia dotato di tabelle, sarà necessario
individuare ed applicare un criterio (preferibilmente provvisorio e salvo conguaglio successivo all’adozione delle tabelle) delle quote di valore con le quali procedere sia alle deliberazioni sia alle ripartizioni delle spese. 4.12- La redazione delle tabelle Se consideriamo che le tabelle millesimali sono la rappresentazione aritmetica di
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un rapporto di valore, ben comprendiamo come la loro redazione, pur non incidendo su detto valore, consista, in realtà, nell’individuazione di tale valore. Dal punto di vista pratico, il valore di un immobile viene individuato per mezzo di
una vera e propria perizia, affidata ad un tecnico specializzato (perito estimatore). La perizia, sia pur in assenza di un dato normativo vincolante in ordine al criterio
da adottare, dovrà essere effettuata tenendo conto non solo della misura della superficie o del volume delle porzioni di piano, ma anche della destinazione degli ambienti, dell'orientamento e della luminosità. Contrariamente, come espressamente previsto dall'art. 68 2° comma disp. att. c.c.,
non si dovrà tener conto né del canone locatizio, né dei miglioramenti o dello stato di manutenzione. In ogni caso, il risultato delle operazioni dovrà consistere in un importo di
valutazione che sia corrispondente al valore dell’immobile. Nella prassi si è soliti utilizzare le istruzioni previste nelle circolari del Ministero dei
Lavori Pubblici n. 12480 del 1966 e n. 2945 del 1993 recanti “Norme per i collaudi dei fabbricati costruiti da cooperative edilizie fruenti di contributo statale per la ripartizione delle spese fra i singoli soci”, nelle quali sono riportate una serie di criteri di valutazione che prevedono l’applicazione di un coefficiente (di apprezzamento o di deprezzamento) relativamente ai seguenti aspetti dell’immobile: – destinazione: si applica a ciascun vano della porzione tenendo in
considerazione le dimensioni planimetriche degli ambienti al fine di valutare la valorizzazione, o meno, dell’utilizzabilità della superficie in base alla relativa ubicazione; – altezza del piano: valuta l’altezza rispetto all’esterno del fabbricato; – orientamento: si utilizza con riferimento ai punti cardinali calcolati per
quadranti; – prospetto: riguarda la veduta verso l’esterno, differenziando le unità che si
affacciano su giardini, su strade, su piazze, su vie di grande traffico e molto rumorose, su strade strette e calcolando anche la distanza dalla facciata dello stabile prospiciente; – luminosità: si calcola secondo i valori interni, considerando il rapporto tra la
superficie illuminante (finestre, finestrini, luci, balconi) e la superficie illuminata (i vani); – funzionalità globale: tiene presente la distribuzione della superficie utile. Il perito, inoltre, oltre a redigere le tabelle vere e proprie, stilerà una relazione
illustrativa, nella quale, oltre a riportare una descrizione sommaria dell’immobile (consistenza e ubicazione), dovrà esporre i criteri adottati nelle operazioni estimative, i coefficienti fissati per le differenti caratteristiche, nonché il procedimento adottato per la compilazione; 4.13- Le diverse tipologie Le tabelle millesimali possono essere suddivise in due categorie:
• principali: pressoché indispensabili ad ogni condominio a prescindere dalla sua composizione;
• secondarie: che, solitamente, si rendono necessarie nei complessi immobiliari più articolati, e dotati di impianti particolari.
Fra le prime possono essere annoverate: • tabella “A”, detta anche “di proprietà”: è relativa al valore condominiale
delle diverse unità immobiliari costituenti il condominio e riporta la quota di comproprietà sui beni e impianti comuni. Essa è necessaria sia per il funzionamento dell’assemblea (valutazione dei quorum per la costituzione e
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per la deliberazione -‐ cfr. art. 1136 c.c.), sia per procedere alla ripartizione delle spese (necessarie per il godimento delle parti comuni, per la prestazione dei servizi e per l’effettuazione delle innovazioni). E’ importante sottolineare come la tabella “A” abbia incidenza, diretta o indiretta, anche su tutte le altre tabelle;
• tabella “B”: è relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale, da redigersi secondo i parametri previsti dall’art. 1124 c.c.;
• tabella “C”: riguardante la ripartizione delle spese di esercizio e di manutenzione dell’impianto di ascensore ed anch’essa commisurata al disposto dell’art. 1124 c.c.;
• tabella “D”: relativa alla ripartizione delle spese di esercizio e manutenzione dell’impianto di riscaldamento centrale.
Fra le secondarie sono ricomprese:
• tabella “E”: relativa alla ripartizione delle spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle colonne verticali di scarico acque chiare e acque scure;
• tabella “F”: per la ripartizione delle spese dell’eventuale portierato; • tabella “G”: riguardante la ripartizione delle spese di manutenzione ed
illuminazione di eventuali aree scoperte (giardini, cortili, ecc.); • tabella “H”: relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione di
impianti di sollevamento acque. In ogni caso è sempre possibile che vengano redatte altre e diverse tabelle al fine di
regolare casi particolari, come quelle previste nell'ipotesi di "condominio parziale" riguardo la ripartizione delle spese necessarie a bene comune riguardo il quale soli alcuni condomini ne traggano utilità ai sensi dell'art. 1123 c.c. E’ logico considerazione che maggiormente il condominio abbia previsto in apposite
tabelle le possibili eventualità, e minori saranno le difficoltà di interpretazione al fine di giungere ad individuare “chi ed in che misura” debba partecipare alle deliberazioni ed alla conseguenti spese nelle rispettive questioni poste al vaglio assembleare; debellando così, o almeno riducendo drasticamente, difficoltà all’amministratore e conseguenti dispute giudiziarie fra i condomini. 4.14- L’approvazione e la rettifica o modifica dei valori millesimali Qualora l’originario unico proprietario dell’edificio non abbia provveduto a
predisporre ed allegare al regolamento le tabelle millesimali, spetterà all’assemblea dei condomini approvarle; nell’ipotesi di perdurante inerzia assembleare, ogni condomino potrebbe rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per la loro formazione. Sul primo aspetto, vi è stato nel corso degli anni notevole dubbio se l’assemblea
fosse competente ad approvare le tabelle millesimali con votazione maggioritaria o diversamente avesse necessariamente bisogno dell’unanimità dei presenti in assemblea, ovvero, ancor di più, solamente con l’unanimità di tutti i partecipanti al condominio. I dubbi in tal senso sorgono a causa del silenzio del legislatore del 1942 e
perdurano anche alla luce della avvenuta riforma in materia del 2012 che in tal senso non ha provveduto, perlomeno espressamente, a colmarne la lacuna. Infatti, nel mentre a mezzo l’art. 69 dd.aa. ha preso in esame e precisato i quorum
deliberativi necessari per “rettificare o modificare” i valori delle tabelle millesimali, ha
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omesso di prevedere espressamente se l’originaria approvazione di questi debba avvenire con l’unanimità dei consensi di tutti partecipanti, ovvero sia sufficiente una deliberazione assembleare di approvazione che riscuota il quorum positivo previsto dal 2° comma dell’art. 1136 c.c. (500 millesimi). Secondo la meno recente, ma all'epoca prevalente, interpretazione della Suprema
Corte, le tabelle millesimali dovevano essere approvate con l'unanimità dei partecipanti al condominio, solendo affermare, infatti che le tabelle millesimali avendo "natura contrattuale e negoziale" e quindi "suscettibili di incidere sui diritti dei singoli condomini” erano bisognose del consenso di tutti i soggetti interessati (unanimità dei partecipanti al condominio), peraltro in forma scritta. Via via, la stessa Suprema Corte ha posto in discussione il valore negoziale delle
tabelle millesimali, riconoscendogli esclusivamente un mero “strumento di gestione della vita condominiale”, e pertanto validamente approvabili con la maggioranza dei presenti in assemblea prevista dall’art. 1136, 2° co. c.c. . In altre parole, veniva specificato, che i condomini con l’approvazione delle tabelle
millesimali non pongono una fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, già previsto ed insito nella legge, ma solamente il mero parametro di quantificazione di tale obbligo. Tale conflitto interpretativo si concluse e trovò risposta e soluzione grazie
all’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione che con la sentenza n. 18477 del 9.8.2010 provvide a dettare definitiva chiarezza alla disciplina giuridica applicabile in materia di approvazione delle tabelle millesimali. Tale importantissima pronuncia, dopo aver effettuato e posto al vaglio l'evoluzione
interpretativa che negli anni la stessa Corte aveva sentenziato circa la natura giuridica delle tabelle millesimali, è giunta a conclusioni chiare e nette, tali da dipanare per il futuro ogni dubbio. Le Sezioni unite, con la richiamata recente sentenza, hanno integralmente accolto e
riconfermato le più attuali pronunce che individuavano nelle tabelle millesimali meri “termini aritmetici di un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini”, con ciò destituendole di alcuna possibilità di incidere sulla consistenza dei diritti reali di ciascun condomino. Sulla scorta di tale principio, agilmente le S.U. giunsero a consacrare il principio che
per l'originaria approvazione, le tabelle millesimali non fossero bisognose dell'unanimità dei consensi dei partecipanti al condominio, bensì sufficientemente approvabili con quelle maggioranze previste dall'Art. 1136 2° comma c.c. Chiarito ciò, l’indagine interpretativa rende però necessario verificare se tali
imperative conclusioni cui giunsero le Sezioni Unite nel 2010, possano essere messe in discussione e rettificate, alla luce dell’intervento di riforma legislativa del 2012 in siffatta materia. Orbene, l’attuale testo dell’articolo 69 dd.aa., come già precisato, non prevede alcun
riferimento al quorum necessario per procedere all’iniziale approvazione assembleare delle tabelle millesimali, occupandosi esclusivamente della “rettifica o della modifica”. Né, diversamente dall’autorevolissimo parere di alcuni Autori, appare ragionevole
ritenere che per analogia dalle disposizioni previste in tema di rettifica o modifica, si possa giungere ad affermare che la originaria adozione assembleare delle tabelle millesimali di cui all’art. 68 dd.aa. necessiti dell’unanimità dei consensi. Ciò in quanto dall’approfondito esame del testo vigente dell’art. 69 dd.aa. si mostra
comprendere che il legislatore abbia voluto distinguere due ben diverse tipologie di fattispecie riguardo le quali intervenga la necessità o la volontà assembleare di
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rettificare i valori millesimali: 1. Allorchè questi rispettino esattamente i criteri posti a sostegno
dell’accertamento dei valori millesimali delle rispettive unità immobiliari (art.69 dd.aa. 1° comma), e pertanto in ossequio dei criteri di cui agli artt. 1118 e 1123 c.c.. 2. Allorchè, diversamente, i valori millesimali siano conseguenza di
errore, ovvero successivamente al loro accertamento siano intervenuti mutamenti (anche di una sola unità immobiliare) superiori ad 1/5 al precedente valore assegnato (art.69 dd.aa. 2° comma).
Ebbene nel primo caso -‐al pari dell’ipotesi di quelle norme regolamentari di natura contrattuale a mezzo delle quali si intenda derogare dai generali principi normativi-‐ allorchè si intenda modificare la preesistente tabella dei valori millesimali redatta sulla scorta dalle effettive risultanze degli accertamenti di cui all’art. 68 dd.aa., e quindi per l’effetto configurandosi, la nuova, quale effettivo “criterio convenzionale”, per la sua positiva approvazione necessiterà esclusivamente del consenso unanime dei partecipanti. Nel secondo caso -‐al pari dell’ipotesi di quelle norme regolamentari di natura
regolamentatrice a mezzo delle quali non si contravvenga ai generali principi normativi, ma li rispetti-‐, diversamente, ravvedendosi l’ipotesi in cui il consesso assembleare sia chiamato a rettificare una preesistente tabella dei valori millesimali, riguardo la quale a causa di errore originario ovvero in quanto successivamente alla sua adozione i relativi valori si siano modificati per effetto di opere che ne comportino alterazione per almeno 1/5, sarà sufficiente per la loro approvazione il quorum previsto dal secondo comma dell’art. 1136 c.c. A rinforzare ancor di più tale convinzione fornisce ausilio la riconfermata
disposizione di cui all’art. 68 dd.aa. che, sebbene l’eliminazione della doverosità rispetto al previgente teste, prevede analogamente che la “apposita tabella” millesimale venga “allegata al regolamento di condominio”, e per l’effetto non inficiando una delle principali motivazioni poste a fondamento della pronuncia 18477/2010 delle Sezioni Unite, in virtù della quale a suffragio di legittimare la originaria facoltà di approvazione delle tabelle millesimali (conformi all’effettivo accertamento dei valori) con il quorum maggioritario precisò che allorchè per espressa previsione dell’art. 1138 c.c. il regolamento possa essere approvato con la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c. (principio identicamente riconfermato anche dalla novella riformatrice), e nel contempo l’art. 68 dd.aa. prevedeva (e tuttora prevede) che la tabella debba essere allegata al medesimo regolamento, divenendone quindi parte integrante, non si ravvedono i motivi possano indurre a ritenere che questa sia necessariamente e diversamente bisognosa dell’unanimità rispetto al testo regolamentare. 4.15- IN CONCLUSIONE Al fine di riassumere le precedenti argomentazioni, ritengo utile stilare un chiaro
prospetto delle ipotesi che via via potranno presentarsi: 1. Il condominio è privo di tabella millesimale e bisogna
provvedere alla sua originaria approvazione assembleare, 2 ipotesi: a. I criteri millesimali esprimono esattamente i valori
proporzionali accertati; è sufficiente l’approvazione con la maggioranza di cui al 2° comma dell’art. 1136 c.c.
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(500 mill.); b. I criteri millesimali non esprimono gli effettivi valori
proporzionali ma se ne discostano: è necessaria l’approvazione con l’unanimità dei consensi dei comproprietari.
1. Il condominio è già dotato di una tabella millesimale,
redatta sulla scorta dei criteri di cui al capo 1.A, ma: a. si accorge che i valori espressi in millesimi sono stati frutto
di uno o più errori: è sufficiente rettificarle con la maggioranza di cui al 2° comma dell’art. 1136 c.c. (500 mill.);
b. Nel tempo sono mutate le condizioni di una, o più, unità immobiliari in misura superiore ad 1/5: è sufficiente modificarle con la maggioranza di cui al 2° comma dell’art. 1136 c.c. (500 mill.).
c. Il condominio intende derogare a tali principi e quindi far approvare una tabella millesimale “convenzionale”: è necessario modificarle con l’unanimità dei consensi dei comproprietari.
4.16- Domanda di revisione giudiziale delle tabelle millesimali Secondo la originaria Giurisprudenza prevalente, allorchè un condomino
dissenziente avesse avuto la volontà di proporre domanda giudiziale volta ad accertare l'invalidità delle tabelle millesimali, tale azione giudiziaria prevedeva che questa venisse proposta nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, senza che potesse essere legittimato passivo a ciò il solo amministratore. Principio che trovava la sua giustificazione nella convinzione della natura negoziale
e contrattuale delle tabelle. Tale convinzione, fu poi mutata in virtù della più volte richiamata sentenza n. 18477
del 6.7.2010 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, chiarendo che,-‐ una volta sancita la natura "non negoziale" delle tabelle millesimali-‐ per validamente dar corso a tale procedura fosse sufficiente la notifica della giudiziario introduttivo al solo amministratore. L’identico principio è stato integralmente recepito nell’attuale codice che, all’art. 69
dd.aa. ha previsto che in ipotesi di revisione giudiziaria delle tabelle millesimali “può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell’amministratore”.
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MODULO N. 4BIS
Animali in condominio (Laura Gonnellini)
Molte persone hanno l'abitudine di convivere con un animale domestico nella
propria casa. La presenza di questi animali, di solito, non comporta nessun inconveniente ma quando, invece, i proprietari degli animali non si preoccupano o non riescono a impedire che essi infastidiscano in vario modo i vicini, esplode spesso una reazione di questi ultimi, provocando litigi e incomprensioni che spesso diventano insanabili e irrimediabili. Un regolamento condominiale ordinario, cioè NON contrattuale, non può stabilire
limiti ai diritti ed ai poteri dei condomini sulla loro proprietà esclusiva. Stessa cosa vale per le semplici delibere condominiali. Come è stabilito, infatti, dalla Corte di Cassazione, sez. II civile, con la sentenza n.
12028 del 04/12/1993 “in tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti limitare importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni di fabbricato appartenenti ad essi in maniera esclusiva”. La detenzione di animali in un condominio, dunque, può essere vietata solo se il
proprietario dell’immobile si è contrattualmente obbligato a non detenere animali nel proprio appartamento e l’assemblea condominiale non può impedirne il possesso, neanche se con delibera adottata a maggioranza. Qualunque delibera condominiale che imponga delle regole a discapito dell'animale
(es.: vietato dare cibo ai randagi; vietato l'uso dell'ascensore; divieto d'uso delle scale...), può essere annullata presentando ricorso dinanzi la competente autorità giudiziaria. Qualora una norma contenuta in un regolamento condominiale NON
CONTRATTUALE vieti la detenzione di animali con l'accusa che possano turbare la quiete o l'igiene della collettività, il semplice possesso di cani o di altri animali non e sufficiente a far incorrere in questo divieto: è invece necessario che si accerti effettivamente il pregiudizio causato alla collettività degli altri condomini sotto il profilo della quiete o dell'igiene. Insomma, i condomini, contrari alla presenza di un animale domestico, dovranno seriamente documentare -‐ tramite personale tecnico privato o pubblico (ASL) -‐ la gravità delle situazioni da loro denunciate, come eccesso di rumore, cattivo odore, pelo, etc. Così ha stabilito una importante sentenza della Procura di Campobasso del 12 maggio 1990. I casi in cui il Giudice o l’Autorità Sanitaria possono quindi imporre
l’allontanamento degli animali sono davvero rari e possono verificarsi solo quando vi siano comprovati motivi di ordine igienico – sanitario o a causa di un eccessiva concentrazione di animali in uno spazio abitativo. Di norma è, quindi, difficile trovare un giudice che faccia allontanare un animale da
un appartamento: chi dovesse accusare di quanto esposto sopra, dovrebbe dimostrare con prove rigorose che, per. es., l'animale o gli animali recano disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone (art. 659 Codice Penale), o che si verifichino immissioni superiori alla normale tollerabilità. (art. 844 Codice Civile).
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L’abbaiare non può essere considerato un disturbo alla quiete, ex art. 659 c.p., fino a
quando le lamentele non vengono fatte da un gruppo indeterminato di persone. Una sentenza della Corte di Cassazione n. 1349 del 06/03/2000 ha stabilito che ” se
gli ululati non disturbano una pluralità di persone, ma ad averne fastidio è il vicino di casa, è inutile querelare il padrone per disturbo alla quiete pubblica in quanto il disturbo non coinvolge che un solo nucleo familiare”. Se invece, l’abbaiare del cane arreca disturbo ad un numero indeterminato di
persone, il giudice, dopo aver accertato tali disturbi, può ordinare con provvedimenti d'urgenza di tenere gli animali lontani dagli appartamenti in cui si trovano. (Tribunale di Napoli ord. 25 ottobre 1990). Successivamente lo stesso Tribunale di Napoli, con ordinanza in data 8 marzo 1994, ha stabilito che il giudice può, con provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.c., ordinare l'allontanamento di animali che provocano molestia in condominio, affidandone l'esecuzione ad organi pubblici, e di vietare in modo assoluto che l'animale ritorni in quell'edificio. Dunque è da sottolineare che non è la detenzione di un animale, in sé, a provocare
disagi, lo è solo nella misura in cui tale animale produce rumore, cattivi odori, molestie, danni o lesioni. Ma se un animale è ben custodito non vi è norma regolamentare o delibera assembleare che ne possa impedire la detenzione in appartamento. L’allontanamento degli animali domestici, potenzialmente innocui, non sarà
necessario, tuttavia sarà sufficiente che i loro proprietari li custodiscano e li sorveglino in modo che la loro detenzione non turbi la quiete e l'igiene degli altri condomini. Se queste norme non vengono rispettate e le molestie arrecate raggiungano livelli intollerabili e, quindi, tali da cagionare insofferenze, problemi d'igiene e pregiudizio alla salute delle persone vicine e degli animali stessi con esalazioni maleodoranti; qualora l'animale venga tenuto dal suo proprietario in un luogo chiuso o in giardino senza provvedere a una quotidiana ed adeguata pulizia dei rifiuti prodotti dagli animali, si configura il reato previsto dall'art. 674 cod. pen. (molestia o disturbo alle persone). A tal proposito la Legge Regionale n° 34 (art. 19 comma 3 del 21 ottobre 1997) vieta a chiunque di tenere nelle proprie abitazioni animali in tali condizioni.
RIFORMA DEL CONDOMINIO. Nella riforma del condominio, ora divenuta legge, sono contenute nuove regole per i
condomini, in materia di detenzioni di animali nelle proprie unità immobiliari. E, tra le novità introdotte vi è la norma esplicita, in base alla quale i regolamenti di condominio non potranno precludere negli stabili il possesso o la presenza di cani o gatti o altri animali domestici. Addio, ora alle barriere che venivano dettate nei regolamenti di condominio. Adesso la legge esplicitamente vieta qualsiasi tipo di divieto. La norma mette in chiaro come, all’articolo 1138 del Codice civile, dal titolo
“regolamenti di condominio”, in nessun modo possa essere bandita la presenza degli animali domestici. Viene, a questo proposito, inserito un comma nuovo all’articolo sopra citato, ovvero “Le norme del regolamento non possono porre limiti alle destinazioni d’uso delle unità di proprietà esclusiva né vietare di possedere o detenere animali da compagnia”. Occorre precisare che la nuova disciplina dei regolamenti condominiali fa una distinzione tra animali domestici ed esotici e fissa un discrimine decisivo. La norma è infatti estesa a tutti gli animali d'affezione e quindi riguarda cani, gatti, ma anche, ad esempio, conigli nani, ma, se da un lato evita che i regolamenti condominiali vietino la
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detenzione di cani, gatti, criceti, dall'altra fa in modo che vietino la detenzione di animali esotici come serpenti e felini selvatici.
SENTENZE RIGUARDO ANIMALI DOMESTICI IN CONDOMINIO Di seguito riportiamo alcune delle sentenze che si sono avvicendate nel tempo
sull’argomento: Corte di Cassazione, sezione II sentenza n. 899 del 24 marzo 1972. “E’ inesistente il divieto giuridico di tenere cani in condominio. Il regolamento
condominiale che contenga una norma contraria è limitativo del diritto di proprietà e quindi giuridicamente nullo. L’Assemblea condominiale non può pertanto deliberarlo”. Pretura Civile di Campobasso Sentenza 12 maggio 1990. “Qualora una norma contenuta in un regolamento condominiale vieti la detenzione di
animali che possano turbare la quiete o l’igiene della collettività, il semplice possesso di cani o altri animali non è sufficiente a far incorrere i condomini in questo divieto, essendo necessario che si accerti effettivamente il pregiudizio causato alla collettività dei condomini sotto il profilo della quiete o dell’igiene”. Tribunale Civile di Piacenza Sez. II, sentenza del 10 aprile 1990, n. 231. “La detenzione di animali in un condominio, essendo la suddetta facoltà una
esplicazione del diritto dominicale, può essere vietata solo se il proprietario dell’immobile si sia contrattualmente obbligato a non detenere animali nel proprio appartamento, non potendo un regolamento condominiale di tipo non contrattuale, quand’anche approvato a maggioranza, stabilire i limiti ( oneri reali e servitù) ai diritti ed ai poteri dei condomini sulla loro proprietà esclusiva salvo (…..) pertanto, in mancanza di un regolamento contrattuale che vieti al singolo condomino di detenere animali nell’immobile di sua esclusiva proprietà, la legittimità di tale detenzione deve essere accertata alla luce dei criteri che presiedono la valutazione della tollerabilità delle immissioni.” Cassazione Civile, Sez. II, sentenza del 4 dicembre 1993 n. 12028. “In tema di condominio di edifici il divieto di detenere negli appartamenti i comuni
animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni alle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni di fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicché in difetto di un approvazione unanime le disposizione anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con voto favorevole alla relativa approvazione, giacché le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici per se inidonei ai sensi dell’ art. 1987 c.c. a vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l’obbligatorietà.” Cassazione Penale Sez. I, sentenza del 9 dicembre 1999 n. 1109. “E’ necessario, per la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659, I
comma, del Codice Penale ( disturbo alla quiete pubblica.) che i lamenti ed i rumori abbiano attitudine a propagarsi ed a costituire quindi un disturbo per una potenziale
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pluralità di persone, ancorché non tutte siano state poi disturbate [...] è necessario che i rumori siano obiettivamente idonei ad incidere negativamente sulla tranquillità di un numero indeterminato di persone”. Corte di Cassazione, sentenza n. 1349 del 6 marzo 2000. “Se gli ululati non disturbano una pluralità di persone, ma ad averne fastidio è il
vicino di casa, è inutile querelare il padrone per disturbo alla quiete pubblica in quanto il disturbo non coinvolge che un solo nucleo familiare”. Corte di Cassazione, sentenza n. 7856 del 28 marzo 2008. “I cani che vivono in un condominio non possono abbaiare giorno e notte disturbando
i vicini di casa. I padroni, infatti, "senza coartare la natura dell'animale" devono cercare di limitare le occasioni che in qualche modo preoccupano l'amico a quattro zampe. Da un punto di vista pratico, tuttavia, non si può fare molto: infatti i padroni dell'animale non devono risarcire i vicini per il disturbo”. Cassazione civile, sez. II, sentenza del 15.02.2011 n. 3705. “Nel condominio il possesso di animali domestici può essere vietato solo se lo
deliberano tutti i condomini. Il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva”. Tribunale di Lecco, ordinanza n. 270/12 del 9 febbraio 2012. “Le clausole dei comuni regolamenti condominiali (di formazione interna) non
possono imporre divieti, che limitino il diritto di proprietà dei condomini, cioè la facoltà dei proprietari di godere e disporre dei loro appartamenti in modo pieno ed esclusivo, invece i regolamenti condominiali, cosiddetti di origine esterna, aventi natura contrattuale, possono imporre limiti o oneri reali o vere e proprie servita e, quindi, anche il divieto assoluto di detenere determinati animali nelle proprietà esclusive. Ne consegue che la clausola d'un comune regolamento condominiale, che vieta di tenere cani o altri animali nei singoli appartamenti non ha valore assoluto, non può limitare la facoltà dei condomini di tenere tali animali, a meno che questi arrechino in concreto disturbo o molestia, ovvero si verifichi una immissio in alienum, che superi i limiti della normale tollerabilità (art. 844 c.c.). Invece, nel caso di regolamenti contrattuali non si richiede il disturbo effettivo, la molestia, l'immissione intollerabile, poiché il divieto di tenere animali ha valore assoluto, anche quando non si verifichi e non venga in concreto provato un disturbo effettivo ai condomini, perché tale divieto, siccome inserito in un atto avente natura contrattuale, diventa una limitazione reale, una servitù, con la quale il condomino accetta espressamente una limitazione della sua proprietà nei confronti di determinate altre persone”.
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MODULO N. 5
Le controversie (Paola Carloni)
Le controversie in materia condominiale hanno ad oggetto:
- le azioni a tutela della cosa comune; - le azioni di impugnativa di delibere condominiali, e le
correlative istanze cautelari di sospensione della esecutività della delibera, proponibili prima o in corso di causa ( art. 1137 c.c. comma 2, comma 4); - le azioni per la riscossione di crediti condominiali; - tutte le altre azioni derivanti dalla violazione o dalla errata
applicazione delle disposizioni contenute nel libro III, titolo VII, capo II del codice civile e di quelle di cui agli artt. da 61 a 72 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile (art. 71-‐quater disp. att. c.c.).
5.1- Le azioni a tutela della cosa comune. Ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti
segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune, e' legittimato ad agire o resistere in giudizio, anche senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei confronti dei terzi o di un singolo condomino. Tra le azioni a difesa della proprietà evidenziamo:
- l’azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni dell’edificio, allorchè un condomino o un terzo affermi di essere proprietario esclusivo di un bene che la legge (art. 1117 c.c.) assume essere di proprietà comune. Essa ha una duplice finalità: innanzitutto l’accertamento della titolarità del diritto di proprietà; in secondo luogo tende a recuperare il bene posseduto (o detenuto) da un altro soggetto.
Esempi: accertamento della proprietà di locali soffitte di cui un condomino si è appropriato
mettendoli in comunicazione con la propria abitazione accertamento della proprietà condominiale di area cortilizia e rivendicazione del
diritto di comproprietà nei confronti degli occupanti senza titolo
- le azioni possessorie (reintegrazione, art. 1168 c.c. e manutenzione, art. 1170 c.c.), finalizzate al recupero o al mantenimento del godimento del bene comune, sottratto illecitamente o molestato.
La prima (reintegra) ha come scopo la reintegrazione nel possesso di chi ne sia stato spogliato in maniera violenta o clandestina, e si può proporre entro un anno dalla sofferta lesione. La seconda (manutenzione) si può proporre quando il possessore venga molestato
nel suo possesso: o mediante una contraria pretesa, ovvero mediante atti diretti a rendere più disagevole e scomodo il possesso. Per esperire l'azione di manutenzione è necessario che il possesso duri ininterrottamente da più di un anno e sia stato acquisito senza violenza o clandestinità.
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Esempi: azione di reintegrazione: ipotesi di un condomino che, senza il consenso degli altri
ed in loro pregiudizio, abbia alterato o violato lo stato di fatto, o la destinazione della cosa comune (art. 1117-‐quater c.c.), impedendo o restringendo il godimento spettante agli altri condomini; questi ultimi sono legittimati all'esperimento dell'azione di reintegrazione per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato; azione di manutenzione: ipotesi in cui il condomino crea aperture o varchi nel
muro perimetrale di un edificio condominiale, onde porre in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, situato nello stesso fabbricato, con un altro vano, facente parte di un edificio adiacente, di sua proprietà ma estraneo al condominio. La giurisprudenza ammette l’azione di manutenzione anche per le immissioni
moleste (rumori, esalazioni), che superino la normale tollerabilità ex art. 844 c.c.
- le azioni di nunciazione (nuova opera, art. 1171 c.c. e danno temuto, art. 1172 c.c.), che hanno finalità tipicamente cautelari, in quanto tendono a prevenire un danno o un pregiudizio che può derivare da una nuova opera o dalla cosa altrui.
La denuncia di nuova opera è l'azione concessa a chi abbia ragione di temere che da una nuova opera/attività da altri intrapresa stia per derivare un danno alla cosa che forma oggetto del proprio diritto o del possesso, per ottenere dal giudice un provvedimento che sospenda l'esecuzione dell'opera; invece, la denuncia di danno temuto è l'azione diretta contro il pericolo di un danno grave e prossimo, derivante da un edificio, albero o altre cose già esistenti (danno minacciato dallo stato attuale della cosa altrui), conseguente all’inosservanza di un obbligo a rimuovere una situazione di pericolo. Esempi: ipotesi di una costruzione effettuata sul lastrico solare che, per l’eccessivo
sovraccarico, provochi pericolo di danno alla statica dell’immobile, che l’azione cautelare tende ad evitare invocando il blocco dei relativi lavori (nuova opera) ipotesi di pericolo di danno proveniente da un muro condominiale a discapito di
una proprietà esclusiva per omessa manutenzione della cosa comune, che attenti alla integrità dell’appartamento che il denunciante vuole tutelare (danno temuto)
- le azioni cautelari di urgenza, art. 700 c.p.c. che sono rivolte ad ottenere un provvedimento d'urgenza atipico, che salvaguardi, nel tempo occorrente a giungere ad una decisione di merito, il diritto del ricorrente che è minacciato da un danno grave e irreparabile.
Presupposti per ottenere tale provvedimento sono a) il “periculum in mora”, inteso come fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile; b) il “fumus boni juris”, e cioè la approssimativa verosimiglianza circa l'esistenza del diritto; c) la inesistenza di provvedimenti cautelari tipici applicabili alla vicenda oggetto del ricorso (residualità dei provvedimenti d'urgenza).
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Esempi: ricorso ex art. 700 c.p.c. per ordinare al precedente amministratore la consegna
della documentazione condominiale necessaria per l’espletamento dell’incarico gestionale. La mancata consegna al nuovo amministratore della documentazione è atto contrario alla legge che determina un pregiudizio irreparabile e che legittima la pronuncia di in ordine giudiziale in via d’urgenza all’ex amministratore Ricorso d’urgenza per la conservazione dell’integrità delle cose comuni Ricorso d’urgenza per ottenere il passaggio nel fondo attiguo per porre in essere
attività di manutenzione conservativa nell’edificio 5.2- Le impugnative L’art. 1137, primo comma, c.c. stabilisce che "le deliberazioni prese dall'assemblea
a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini". E’ una norma importante in quanto vincola tutti condomini, compresi assenti e dissenzienti, al rispetto di quanto deciso dalla maggioranza. Attesa la particolare incisività del deliberato assembleare, che cosa accade se prima
o durante lo svolgimento dell’assemblea non vengono rispettate le regole previste dalla legge o dal regolamento di condominio? In poche parole, come si possono contestare le irregolarità di una delibera? Ogni deliberazione assembleare deve infatti avere determinati requisiti affinché la
si possa considerare valida. Ad esempio: - l’avviso di convocazione, che deve contenere la data
dell’adunanza, l’orario, il luogo e l’indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno 5 giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione (art. 66 disp. att. c.c.), salvo diverso termine indicato nel regolamento di condominio; il verbale deve essere compilato facendo in modo che tutto lo
svolgimento dell’assise sia comprensibile e sia possibile verificare la correttezza dei quorum costitutivi e deliberativi; - ogni deliberazione relativa ai singolo punto all’ordine del
giorno, per essere valida, deve riportare un numero di voti uguale o superiore a quello previsto dalla legge; - devono essere rispettati i criteri di ripartizione previsti dalla
legge o dal regolamento. Per contestare le irregolarità (vizi) di una delibera, si deve fare ricorso
all'azione di impugnativa ex art. 1137 comma 2 c.c,, che recita: “contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria, chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di 30 giorni". La norma in commento si riferisce alle sole ipotesi di annullabilità, e le Sezioni
Unite della Suprema Corte di Cassazione nel 2005 con la sentenza n. 4806 hanno enucleato in via esemplificativa le seguenti ipotesi di annullabilità (impugnativa) delle delibere condominiali: vizi formali attinenti alla regolare costituzione dell'assemblea, vizi attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, delibere genericamente affette da irregolarità' nel procedimento di convocazione, delibere che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all'oggetto, delibere adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale.
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A titolo esemplificativo, ma non certo esaustivo, possiamo indicare come cause di annullabilità:
- la mancata convocazione di un condomino all’assemblea; con la precisazione che il condomino che, non avvisato, si presenta ugualmente all’assemblea, sana la mancata convocazione e, quindi, non può impugnarla per annullabilità. A tale proposito è importante ricordare che l’amministratore ha il
dovere di informare dell’assemblea tutti i condomini, ossia tutti coloro che alla data dell’adunanza hanno diritto di partecipare e di esprimere il loro parere sulle questioni indicate nell’ordine del giorno (e cioè i proprietari delle unità immobiliari, l'usufruttuario e nudo proprietario ai sensi e per gli effetti dell'art. 67, comma 6 e comma 7, disp. att. c.c.). Nel caso di unità immobiliari possedute in regime di comunione, ossia
laddove non sussista una proprietà esclusiva in capo ad unico soggetto, l’amministratore dovrà effettuare la notifica a tutti i comproprietari. - l’incompletezza dell’ordine del giorno: la delibera condominiale
che contenga decisioni su questioni non menzionate all’ordine del giorno è annullabile in quanto affetta da vizi attinenti prescrizioni relative all’informazione dell’assemblea; - la mancanza di quorum costitutivo o deliberativo; - la partecipazione all’assemblea di un condomino munito di un
numero di deleghe superiore a quello consentito dall'art. 67, comma 2, disp. att. c.c. o dal regolamento condominiale; - la fissazione di criteri di riparto delle spese diversi e derogatori
rispetto a quelli legali; - la violazione del diritto di ciascun condomino di esaminare la
documentazione attinente ad argomenti posti all’ordine del giorno dell’assemblea condominiale: il rifiuto dell’amministratore di consentire al condomino di visionare o estrarre copia ad esempio della documentazione contabile comporta invalidità della delibera riguardante l’approvazione del bilancio, poiché la lesione del diritto all’informazione incide sul procedimento di formazione delle maggioranze assembleari (Cass. 19.05.2008, n. 12650; Cass. 24.01.2004, n. 1544); - è annullabile entro 30 gg. la delibera il cui verbale dà atto del
risultato della senza l’indicazione analitica dei condomini che hanno votato a favore, a meno che contenga l’elenco di tutti i condomini presenti personalmente o per delega con i relativi millesimi e nel contempo contenga l’indicazione dei nominativi dei condomini che si sono astenuti e che hanno votato contro con le quote millesimali degli uni e degli altri: infatti, la specificazione di tali dati consente di stabilire con sicurezza, per differenza, (quanti e) quali condomini hanno espresso voto favorevole e il valore da essi rappresentato nonché di verificare che la deliberazione abbia in effetti superato il quorum richiesto dall'articolo 1136 del Codice civile (Cass. 10.08.2009, n. 18192). Si segnalano le pronunce di merito che confermano tale indirizzo: Tribunale di Monza, Sezione 1, Sentenza 4 aprile 2011, n. 954; Corte d'Appello Firenze, Sezione 1 Civile, Sentenza 15 settembre 2010, n. 1290; Tribunale di Genova, Sezione 3 Civile, Sentenza 23 giugno 2010, n. 2557.
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Legittimati all'azione di annullamento sono i dissenzienti, gli astenuti, e gli assenti (art. 1137 comma 2 c.c.). Il termine perentorioper proporre l'azione di impugnazione è di 30 giorni, che
decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e astenuti, e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. Il termine dei 30 gg. si ritiene rispettato se l’atto di impugnativa giunge al
condominio mediante notifica da parte dell’ufficiale giudiziario entro il 30° giorno dalla delibera per i dissenzienti, ovvero entro il 30° giorno dalla comunicazione del verbale per gli assenti. L'azione di annullamento della delibera si propone con atto di citazione: con la
sentenza della Cassazione Civile n. 8491 del 14/04/2011 a sezioni Sezioni Unite si è infatti statuito che “L’art. 1137 c.c. non disciplina la forma delle impugnazioni delle deliberazioni condominiali, che vanno pertanto proposte con citazione, in applicazione della regola dettata dall’art. 163 c.p.c.”. L’impugnazione non implica l’automatica sospensione della delibera: su di essa
dispone il giudice, valutata la ricorrenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora (art. 1137 comma 3 c.c.). Il comma 4 dell'art. 1137 c.c. prevede che la sospensione dell’esecuzione della
delibera possa essere chiesta anche prima dell’instaurazione della causa di merito. Precisa la norma che in tale ultimo caso non viene interrotto il termine (di 30
giorni) per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione dinanzi all’autorità giudiziaria. Ciò significa che proposta l’istanza cautelare di sospensione della delibera prima (e
autonomamente) della causa di merito, il termine di decadenza dei 30 giorni continua a decorrere senza interruzione. La sospensione della delibera impugnata è disciplinata dalle norme previste di cui
al libro IV, titolo I, capo III, sezione I del codice di procedura civile. Non si applica però l’art. 669–octies c.p.c. che prevede che con l’ordinanza di
accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell’inizio della causa di merito, deve essere fissato un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per l’inizio del giudizio di merito. 5.3 - Dissenso alle liti Qualora l'assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di
resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all'amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L'atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha
avuto notizia della deliberazione. Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla
parte vittoriosa. Se l'esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente. I presupposti del dissenso Affinché un condòmino possa far valere il proprio diritto al dissenso alla lite è
necessario che la materia sia di competenza dell'Assemblea e quindi che ci sia stata una specifica delibera di promuovere una lite o di resistere ad una domanda.
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Spese non esentate L’ “estraniazione" dalla lite non esclude le spese propedeutiche o non inerenti, cioè
spese che non possono essere propriamente considerate oneri difensivi per lo svolgimento delle difese in giudizio, ma propedeutiche ad esso. Riportiamo alcune sentenze sul tema: Trib. civ. Bologna, sez. III, 12 ottobre 2007,
n. 2618: " In tema di dissenso alle liti, l'operatività dell'art. 1132 c.c. non va oltre l'esonero del condomino dissenziente dall'onere di partecipare alla rifusione delle spese di giudizio in favore della controparte, nell'ipotesi di esito della lite sfavorevole per il condominio; la norma lascia, tuttavia, immutato l'onere di partecipare alle spese affrontate dal condominio per la propria difesa". Cass. civ., sez. II, 2 marzo 1998, n. 2259 : "il condomino dissenziente non
parteciperà solo a quelle spese che il condominio in caso di esito sfavorevole della lite dovrà versare alla controparte, mentre è obbligato in solido al pagamento delle spese che il condominio si trova ad affrontare per proprio conto (avvocato di parte e varie consulenze tecniche, e tutto quanto serva per arrivare a giudizio). Mentre nel caso che il condominio vinca la vertenza, se il condomino dissenziente ne trae un vantaggio è obbligato al pagamento delle spese che non si sono potute ripetere (tutte quelle spese che non è possibile richiedere alla parte avversa o che il giudice non ha liquidato".. Modalità del dissenso La “estraniazione” del condomino riguardo alla deliberata proposizione della lite,
per produrre i suoi effetti, deve essere esplicitata in apposito atto, il quale non è implicito e neppure equipollente al voto contrario alla delibera espresso il assemblea. Non costruisce invece elemento di validità della dichiarazione di esternazione del
condominio che essa sia motivata, né, tantomeno, che il dissenso alla lite sia fondato. La separazione di responsabilità può essere proposta soltanto da chi in assemblea
ha espresso voto contrario o da chi era assente, mentre non può essere proposta da chi era presente in assemblea ed ha votato a favore della lite giudiziale. Termini per l'estraneazione. La volontà di estraniazione deve essere manifestata entro 30 giorni che decorrono,
a pena di decadenza: • per il Condòmino dissenziente presente all'assemblea, dalla data in cui
si è tenuta l'assemblea stessa; • per il Condòmino assente, dalla data di ricezione del verbale
dell'assemblea da parte dell'amministratore.
Notifica dell'estraneazione. Nel termine dei 30 giorni come sopra indicati, l'interessato dovrà provvedere a
"notificare" adeguatamente il dissenso all'amministratore. Non vi è concordanza circa la forma del dissenso, ritenendosi da alcuni sufficiente la
comunicazione scritta effettuata a mezzo lettera raccomandata, mentre altri ritengono indispensabile la notifica a mezzo ufficiale giudiziario. La forma più sicura è quella della notifica a mezzo di Ufficiale Giudiziario ex art.137
c.p.c. al fine di evitare spiacevoli sorprese in sede di ripartizione dei costi. 5.4 - Il recupero dei crediti Recita il primo comma dell’art. 63 disp. att. c.c.:" Per la riscossione dei contributi in
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base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione". La norma citata completa e rende attuale il disposto dell’art. 1130, primo comma n.
3, c.c. che impone all’amministratore di "riscuotere i contributi […] per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni". Inoltre, ai sensi dell'art. 1129 c.c. comma 9 l'amministratore, salvo che sia
dispensato dall'assemblea, è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro 6 mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso. Deve dunque ritenersi che:
• è posto in capo all’Amministratore l’obbligo di agire nei confronti dei soggetti morosi, entro il termine di 6 mesi suddetto;
• l’Amministratore non ha bisogno di autorizzazione assembleare per agire giudizialmente, mentre ha bisogno della espressa dispensa da parte dell’assemblea in ogni caso in cui si ritenesse opportuno e conveniente agli interessi del Condominio rinviare l’azione giudiziaria ad un momento successivo.
• sarà onere dell’Amministratore, ogni qualvolta lo riterrà opportuno, richiedere all’assemblea espressa “dispensa” con riferimento al singolo specifico caso di morosità.
Il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo è uno strumento particolarmente incisivo, previsto per offrire una tutela specifica, in considerazione del fatto che il pagamento ritardato delle quote condominiali incide sulla regolare conservazione della parti comuni, nonché sull’ erogazione dei servizi comuni. L’usufruttuario e il nudo proprietario, ai sensi dell'art. 67, ultimo comma,
disp. att. c.c. rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale. È importante sottolineare, ad ulteriore dimostrazione della particolare attenzione
data dal legislatore al recupero del credito condominiale, che si tratta di una norma imperativa. In sostanza, il regolamento di condominio (sia esso assembleare o contrattuale) non potrà derogare a quanto previsto dall’art. 63, primo comma, disp. att. c.c. (si veda art. 72 disp. att. c.c.). Per iniziare il procedimento monitorio è necessario che l’assemblea abbia
approvato il bilancio (preventivo o consuntivo) e il relativo piano di ripartizione. Tale documentazione consente di riconoscere in capo al condominio un credito certo (in quanto approvato dall’assemblea), liquido (perché determinato nel suo ammontare) ed esigibile (poiché lo stato di morosità fa maturare le quote dovute). Prima di iniziare un’azione giudiziale è opportuno farla precedere dalla messa in
mora ex. art. 1219 c.c. La legge non richiede espressamente che l’ingiunzione di pagamento ex art. 63 disp.
att. c.c. sia preceduta da un’intimazione stragiudiziale di pagamento. Tuttavia ciò è consigliabile, in quanto è possibile che il condomino provveda a pagare il debito condominiale in seguito alla lettera del legale che gli intima il pagamento degli oneri insoluti (con ciò riducendosi enormemente i costi di recupero, limitati nel caso alla lettera di intervento del legale del condominio).
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Contro chi dovrà essere rivolta la domanda di pagamento? Legittimato passivo è il proprietario dell’appartamento che risulterà in ritardo con i
pagamenti., ovvero il nudo proprietario e l'usufruttuario, in caso di scissione tra proprietà e godimento della unità immobiliare: questi ultimi, ai sensi dell'art. 67, ultimo comma, disp. att. c.c. rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale Non si potrà agire contro chi appare il condomino (c.d. condomino apparente)-‐
Cassazione, sez. II, 12 gennaio 2011, n. 574: “In caso di azione giudiziale dell'amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale, poiché difettano, nei rapporti fra condominio, che è un ente di gestione, ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l'operatività' del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell'affidamento del terzo in buona fede, ed essendo, d'altra parte, il collegamento della legittimazione passiva alla effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale”. Già le Sezioni Unite avevano affermato che "in caso di azione giudiziale
dell'amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale" (così Cass. SS.UU. n. 5035/02). Il Supremo Collegio, è utile sottolinearlo, ha tenuto ben distinte le ipotesi di
recupero crediti giudiziale da quello stragiudiziale. In sostanza in quest’ultimo caso si è detto, viste le esigenze di celerità, praticità e funzionalità, addotte a giustificazione dell’applicazione dell’istituto dell’apparenza del diritto, valgono per l’ipotesi non contenziosa del rapporto, quando, cioè, l’apparente condomino non solleva alcuna contestazione provvedendo al pagamento degli oneri condominiali (Cass. SS.UU. n. 5035/02). Se il tentativo stragiudiziale non dovesse sortire effetto, per iniziare l’azione
giudiziale l’amministratore deve, comunque, accertarsi dell’effettiva proprietà dell’immobile. Richiamiamo a tale proposito le prescrizioni contenute nell'art. 1130, comma 6, c.c.:
"l'amministratore deve curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale, contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare". Attraverso la regolare tenuta di tale registro l'amministratore dovrebbe essere
sempre in grado di conoscere la titolarità dell'unità immobiliare. In mancanza, in caso di incompletezza di informazioni, ovvero qualora i condomini non provvedono a comunicare variazioni, l'amministratore potrà richiedere le suddette informazioni a mezzo di lettera raccomandata e, in caso di omessa risposta, l'amministratore dovrà acquisirle attraverso visure immobiliari, addebitando il costo ai condomini responsabili della mancata comunicazione/variazione (art. 1130 comma 6, disp. att. c.c.). In caso di vendita dell’appartamento, l’art. 63, quarto comma, disp. att., c.c.
prevede che "Chi subentra nei diritti di un condominio e obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente". Pertanto, qualora il venditore abbia degli arretrati, e non venga pattuito diversamente con l'acquirente, l'amministratore del condominio potrà chiedere l'adempimento tanto
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all' uno quanto all'altro (c.d. responsabilità solidale). In particolare, nei confronti dell'acquirente, a mente dell'articolo citato, potrà pretendere le somme imputabili sia all'anno relativo alla vendita sia a quello precedente. Questo principio, oramai consolidato nella giurisprudenza della Cassazione, è stato recentemente ribadito dagli stessi Giudici di legittimità, secondo i quali "lo status di condomino spetta all’acquirente e […]consegue che se il condomino alienante non è legittimato a partecipare alle assemblee e ad impugnare le delibere condominiali, nei suoi confronti non può essere chiesto ed emesso il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi, atteso che soltanto nei confronti di colui che rivesta la qualità di condomino può trovare applicazione l'art. 63 comma 1" (così Cass. n. 23345 del 2008). Per richiedere il decreto ingiuntivo occorrono i seguenti documenti:
1. copia conforme del verbale di assemblea di approvazione autenticata per conformità all’originale dell’amministratore; 2. copia dello stato di ripartizione delle spese; 3. lettera di sollecito di pagamento (consigliabile);
Nel caso che il condomino contro il quale si richiede il decreto ingiuntivo sia
risultato assente all’assemblea di approvazione del riparto delle spese, occorre aggiungere agli indicati documenti:
1. lettera raccomandata di convocazione, con la dimostrazione dell’avvenuto recapito entro i termini di legge; 2. invio e ricezione del verbale assembleare.
5.5 - Le immissioni La materia delle immissioni è disciplinata dall'art. 844 c.c., che stabilisce che "il
proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino se non superano la normale tollerabilità, avuto riguardo anche alle condizioni dei luoghi. Nell'applicare questa norma l'Autorità Giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”. Chi valuta cosa è tollerabile e cosa non è tollerabile è l'autorità giudiziaria. In merito ai limiti di tollerabilità è stato infatti specificato “ che non avendo il
limite di tollerabilità delle immissioni rumorose carattere assoluto, ma essendo esso relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, spetta al giudice del merito sia accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e l'individuazione degli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della normale tollerabilità”(ex multis Cass. n. 3438/10). Il criterio della "normale tollerabilità", indicato dall'art. 844 c.c. per verificare la
liceità delle immissioni, è dunque un criterio relativo, poiché esso non trova il suo punto di riferimento in dati aritmetici fissati dal legislatore, ma ha riguardo a tutte le caratteristiche del caso concreto. In particolare il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose è relativo alla
situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; di conseguenza la valutazione ex art. 844 cod. civ., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale. Tale norma si applica anche nei rapporti tra i singoli condomini di uno stesso
edificio, sia quando l’immissione molesta o dannosa proviene dal condominio, sia
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quando uno di essi nel godimento della cosa propria o anche comune, dà luogo ad immissioni intollerabili nella proprietà altrui. Qualora un condomino, quindi, nel godimento della propria unità immobiliare o
delle parti comuni, dia luogo a immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini, il conflitto deve essere risolto secondo i criteri dettati dall'art. 844 cod. civ. Il condomino danneggiato dalle immissioni intollerabili è, quindi, legittimato
chiedere al giudice, con azione di manutenzione ex art. 1170 c.c., di inibire al vicino colpevole delle immissioni illecite la prosecuzione della sua attività e di ordinare a suo carico il risarcimento del danno. Allorché si verta in tema di violazione della clausola di un regolamento
condominiale che, imponendo limitazioni al godimento degli appartamenti di proprietà esclusiva, vieti in essi l'esercizio di certe attività, e si invochi, a sostegno dell'obbligazione di non fare, non l'art. 844 cod. civ. sulle immissioni, ma il rispetto della più rigorosa previsione regolamentare, non occorre accertare, al fine di ritenere l'attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex art. : ciò in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dall'art. 844 c.c., a tutela della tranquillità degli altri partecipi (Cass., sent. n. 1064 del 18 gennaio 2011). In ogni caso spesso, prima o contemporaneamente all'azione ordinaria innanzi al
giudice, a presidio del diritto alla salute e della salubrità ambientale, viene chiesto anche un provvedimento d'urgenza per far cessare immediatamente i rumori. Il livello di tutela è anche quello penale. Ai sensi del primo comma dell’art. 659 c.p. rubricato Disturbo delle occupazioni o
del riposo delle persone: Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 309. La giurisprudenza, in più occasioni, ha specificato che “ ai fini della configurabilità
del reato di cui all'art. 659 cod. pen., e’ necessario che le emissioni sonore rumorose siano tali da superare i limiti della normale tollerabilità, anche in relazione alla loro intensità, in modo da recare pregiudizio alla tranquillità pubblica, ovvero alla quiete ed al riposo di un numero indeterminato di persone, anche se non e’ necessario che siano state tutte disturbate in concreto, atteso che la valutazione circa l'entità del fenomeno rumoroso va fatta in relazione alla sensibilità media del gruppo sociale in cui il fenomeno stesso si verifica, non assumendo rilievo assorbente le lamentele di una o più persone (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3678 del 01/12/2005-31/01/2006).
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MODULO N. 5BIS
Metodi A.D.R (ALTERNATIVE DISPUTE RESOLUTION):
LA CONCILIAZIONE (Rossana De Angelis)
IL CONFLITTO Per inquadrare correttamente l’istituto della conciliazione è necessario innanzitutto
definire e comprendere cosa è il conflitto. Se prendessimo il dizionario della lingua italiana Zingarelli, alla voce CONFLITTO
troveremmo scritto: “Contrasto, scontro, urto, aspro e prolungato di idee e opinioni”. In termini assoluti, pensarla in maniera diversa è un bene; lo scambio di opinioni aiuta a
migliorare, in modo costruttivo, qualunque rapporto sociale. Si pensi alla famiglia, al lavoro, alla società, alla politica.
Che si pensi in modo diverso è naturale e giusto. Che ne sarebbe di una famiglia dove non si discute mai? Prima o poi l’insoddisfazione
porterebbe all’esplosione del nucleo familiare. E nella società? Se non vi fosse contraddittorio non vi sarebbe libertà. Vi sarebbe
dittatura. Con tutte le conseguenze del caso. Il diverso modo di pensare è inoltre una conseguenza della propria cultura, della propria
esperienza del proprio background. Ogni soggetto ha un diverso modo di recepire il problema, di elaborarlo di percepirlo e, quindi, di affrontarlo.
Pensate per esempio alla seguente notizia: Questa mattina è aumentato di
un punto il Tasso Ufficiale di Sconto. Questo, che di per se stessa è solo una notizia, in realtà crea al neo mutuato (magari rimasto pure disoccupato) un grosso problema. La stessa notizia al contadino di Poggibonsi non lo scalfisce affatto. Al contrario una grossa grandinata a fine agosto è per il contadino toscano un disastro per la raccolta della sua uva mentre al disoccupato non interessa per nulla. Questa si chiama diversa percezione del problema.
Ma oltre alla percezione del problema esistono, e sono scientificamente individuate, le
distorsioni cognitive. Sono vere e proprie distorsioni della realtà che l’essere umano compie inconsciamente. Si pensi agli STEREOTIPI (tutti gli amministratori di condominio rubano – chi guida
con il cappello guida male), alla RAPPRESENTATIVITÀ (se presento un documento ben confezionato e lo stesso scritto a mano si tende a prescegliere inconsciamente il primo), ecc.
Che si pensi quindi in modo diverso è corretto e positivo. Non è dunque vero che il conflitto nasce dal diverso modo di pensare.
Il conflitto nasce da come si pensa di risolvere il diverso modo di pensare. Ciò che divide non è il problema ma il diverso modo di risolverlo. MODI DI RISOLUZIONE DEL CONFLITTO Vi sono tre metodi per risolvere i conflitti. FORZA: Ai tempi dei Babilonesi, nel codice di Hammurabi (1792 a.c.), il primo codice
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giuridico che sia mai stato rinvenuto la regola base della soluzione dei conflitti era “Occhio per occhio”.
Ghandi, che di pace se ne intendeva, amava concludere il “motto” Occhio per occhio aggiungendo: “ e rimasero entrambi ciechi”.
E’ infatti scientificamente provato che la vendetta produce desiderio di vendetta portando il contrasto in quella che tecnicamente di definisce “escalation del conflitto”. Fino ad arrivare alla distruzione di una delle parti. O di entrambe.
Uno degli utilizzi più comuni del metodo della forza applicata in modo pacifico è lo sciopero.
*** DIRITTO: Il Giudizio ha natura pubblicistica, vi si ricorre in maniera formale, la difesa
tecnica è obbligatoria con l’ausilio di terze persone abilitate(gli avvocati) che rappresentano ad un Magistrato (imposto ed estraneo anch’esso al conflitto ed alle parti), il problema. Il Giudice emette la Sentenza che è titolo esecutivo per le parti in causa.
Tutto perfetto… se funzionasse! La realtà italiana è drammatica. Cause pendenti presso i Tribunali italiani (anno 2007): 4o.070.770 Tempi medi per l’emissione di una Sentenza tra primo grado e appello a Roma : fra i 10
e i 12 anni (1° in Europa- USA 316 giorni Francia 331 giorni) Costi di un giudizio: 29,9% (secondi in Europa dopo la Svezia – USA 9,4%-Francia e
Spagna 17%) Risultati che si commentano da soli. Risultati drammatici per un Paese che si definisce
“civile”. Anche da un punto di vista di politica economica, riflettete: quante imprese straniere investirebbero in un paese rischiando di non avere mai Giustizia?
Non può infatti definirsi Giustizia quella che arriva dopo 10-12 anni. ***
SODDISFAZIONE DEI BISOGNI: Le parti, con l’aiuto di un terzo estraneo al conflitto (conciliatore) autonomamente trovano la soluzione del problema comune ottenendo reciproca soddisfazione. Il conciliatore quindi non impone decisioni dall’alto ma aiuta le parti a creare il consenso.
Esempi sui metodi di risoluzione dei conflitti: Un operaio che lavora in fabbrica si compra da solo il casco e le scarpe
antinfortunistiche. Tutti i giorni li mette in un armadietto della fabbrica dove lavora assicurando la chiusura dell’armadietto tramite una chiave fornita dalla stessa ditta. Una mattina l’operaio trova l’armadietto vuoto a causa di un furto. L’operaio si rivolge alla ditta per ottenere il rimborso o la fornitura a spese dell’azienda degli oggetti da lui acquistati. La ditta si rifiuta poiché nello spogliatoio c’è scritto chiaramente che tutti gli oggetti sono depositati sotto la propria responsabilità e che la ditta è esonerata da ogni responsabilità per danni o furti. Come si può risolvere il problema nelle tre soluzioni elencate?
1. I lavoratori organizzano uno sciopero (metodo della FORZA):l’operaio perde la paga nei giorni di sciopero, l’impresa ferma il suo ciclo produttivo;
2. L’avvocato della rappresentanza sindacale vuole intentare una causa adducendo che il contratto è nullo (metodo del DIRITTO): tempo lunghissimo e inasprimento dei rapporti;
3. Si convoca un tavolo delle parti per addivenire ad un accordo per entrambi soddisfacenti (metodo della SODDISFAZIONE DEL BISOGNO)
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Ma come si sceglie il migliore dei metodi per la soluzione del conflitto? In base a parametri scientifici e più precisamente:
• Costi (e non solo economici ma anche di sofferenza); • Risultati e soddisfazione; • Relazioni (come ne esce la relazione tra le parti?); • Ripetitività della soluzione.
CENNI STORICI SULLA CONCILIAZIONE Nelle prime agorà della storia, laddove tra due persone nasceva un conflitto, queste si
rivolgevano al capo tribù, che cercava di creare il consenso delle parti. E laddove una si rifiutava di conciliare veniva espulsa dal gruppo… con tutte le gravissime conseguenze del caso…
Il concetto di armonia poi è insito nelle mentalità e tradizioni orientali. Ogni conflitto deve essere risolto con la conciliazione. La tutela giurisdizionale è vista come l’estrema possibilità, ma di regola la soluzione delle controversie è perseguita tramite la mediazione e la presenza di conciliatori è estremamente attiva e diffusa su tutti il territorio in maniera capillare.
Per altri e ben diversi motivi la conciliazione ha preso piede già da decenni anche in America (soprattutto nei paesi sud americani). Infatti, almeno inizialmente, negli Stati Uniti prima e in sud America poi, si è giunti alla conciliazione per porre rimedio ai limiti della giurisdizione statuale. La struttura del processo di stampo anglosassone infatti, soprattutto per quanto riguarda la fase probatoria del trial, è estremamente impegnativa da un punto di vista economico e quindi si è cercato di realizzare un sistema di soluzione alternative delle controversie (csd. ADR).
E in Italia? Uno dei più grandi ed importanti studiosi del mondo dei metodi conciliatori è il Prof. Roger Fischer – Harward che nel ---- scrisse un manuale intitolato “Getting to yes”. Il manuale, di facilissima lettura è stato tradotto in 15 lingue ed è stato un best seller in America. I diritti di questo manuale, in Italia, furono acquistati dalla Mondadori. Fu un flop. Qualche anno dopo la casa editrice Corbaccio ne riacquistò i diritti e lo pubblicò con il titolo L’arte del negoziato.
INQUADRAMENTO PSICOLOGICO E GIURIDICO DELL’ ISTITUTO NELL’AMBITO CONDOMINIALE Ma tutto questo quadro storico come si inquadra nel contesto che ci interessa, quindi
quello condominiale? Due sono gli obiettivi della conciliazione: risoluzione del problema e mantenimento di
buoni rapporti. Qual è il luogo migliore dove il rispetto di questi due obiettivi è così fondamentale? I vicini di casa non si scelgono. Quando compriamo la casa non sappiamo a priori con
quali persone ci andremo giornalmente a confrontare. Ma una cosa è certa. Con loro dovremo confrontarci ogni giorno. Ogni giorno li incontreremo al portone, in ascensore, in garage, ecc. Con loro dovremo convivere.
La necessaria e stabile coesistenza tra proprietà e parti comuni indivise, non impedisce ai condomini di godere e disporre delle rispettive proprietà solitarie in modo pieno ed esclusivo.
Ma è proprio questo equilibrio di “cosa si può e cosa non si può fare” in un condominio che scatena le liti fra i condomini, puntualmente presenti in quasi ogni assemblea condominiale, intasando i Tribunali di ogni città.
Si tratta di una mole enorme di provvedimenti che invadono ogni anno la già lenta
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macchina della giustizia italiana, generando un costo enorme per la società, senza considerare che per recuperare, a volte, cifre irrisorie si sostengono spese che tra onorari, oneri e lungaggini della procedura lievitano in maniera esorbitante.
E quindi, il settore condominale, dato l'alto "tasso" di litigiosità, ben si presta all'utilizzo della procedura conciliativa che ricerca soluzioni facilitative, al fine di preservare i rapporti sociali al di là della decisione della singola controversia.
Secondo uno dei rapporti CENSIS/ANACI gli episodi di litigiosità che si sviluppano nell’ambito delle assemblee condominiali derivano soprattutto dalle controversie tra singoli condomini; le liti derivanti da controversie legate alla gestione del condominio appaiono, invece, meno frequenti.
Dalle opinioni espresse dagli amministratori riguardo ai motivi della litigiosità sembra emergere che il fenomeno è legato soprattutto a questioni di “intolleranza” della presenza fisica del vicino di casa più che a divergenze di opinioni sulla gestione della proprietà condominiali. Alla testa della classifica dei motivi di litigiosità più frequenti si trova l’utilizzo delle parti comuni dello stabile, seguiti dai fastidi derivanti da rumori molesti.
In questa ottica lo strumento della conciliazione riveste sicuramente un ruolo fondamentale, perché arriva al cuore del problema, sviscerando quelle che sono le vere motivazioni che hanno portato al litigio.
E di motivi per “arrivare al litigio” nel condominio ce ne sono a bizzeffe. La conciliazione condominiale consente di risolvere qualsiasi tipo di lite, dall'impresa
che non esegue correttamente i lavori di condominio alla lite con l'impiantista, fino ai rapporti di vicinato.
Quali saranno i rapporti futuri di due condomini che si sono citati in giudizio? E quali saranno i loro rapporti dopo che un Giudice avrà a loro imposto come comportarsi. Il minimo che accadrà è che si toglieranno il saluto. Ma poi cercheranno la vendetta in quell’escalation conflittuale cui ho già accennato fino ad arrivare potenzialmente… alla degenerazione del conflitto!
Ecco quindi quanto è importante in questo quadro l’inserimento di uno strumento alternativo delle controversie che vada a mirare ai due obiettivi principali di cui parlavamo prima: risoluzione dei problemi e mantenimento dei buoni rapporti futuri.
Ma qual è il quadro giuridico della conciliazione in Italia? Nel Codice di Procedura Civile del 1865, vi era un titolo preliminare “Della
conciliazione e del compromesso”, il cui art. 1 recitava “i conciliatori, quando ne siano richiesti, devono adoperarsi per comporre le controversie”.
Nell’edizione del 1986 del “Digesto Italiano”Scamozzi scriveva la voce “Conciliatore – conciliazione giudiziaria”, un trattato dedicato agli aspetti storici, culturali e comparativi dell’istituto. Emergevano apprezzamenti per vantaggi economici e etici offerti dalla conciliazione.
Se invece sfogliassimo il codice di procedura civile vigente, quello del 1942 troveremmp un accenno alla conciliazione solo all’art. 320, divenuto un passaggio interno di una procedura decisionale, è affidato ad un Giudice.
Sembrava quindi che ci si fosse “dimenticati” di strumenti come la conciliazione. Ma nel 1993 cominciò la “rinascita” della conciliazione. Inizialmente con la riforma
delle Camere di Commercio che dal 1998 sono incaricate di organizzare servizi di arbitrato e conciliazione in materia di consumi e di sub-fornitura. Poi, nel 2003, con la riforma del diritto societario e i successivi decreti di attuazione , ecco nascere il secondo “pilastro” della conciliazione, che ha definito, tra l’altro, le caratteristiche degli organismi di conciliazione e individuato gli standard formativi dei conciliatori.
Il 4 marzo 2010 il Ministero della Giustizia ha emanato il D. Lgs.vo n. 28 in attuazione dell’art. 60 della L. 69/2009 (Legge che riforma la disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione, con obiettivi di deflazione dei processi e diffusione della cultura del
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ricorso a soluzioni alternative). Il 18 ottobre 2010 è stato pubblicato anche il Regolamento di Attuazione del decreto.
Queste le principali novità: 1. Ogni parte può depositare una domanda di mediazione presso un organismo
accreditato dal Ministero della Giustizia per la conciliazione di una controversia civile e commerciale relativa a diritti disponibili, anche a causa pendente.
2. Della mancata partecipazione alla mediazione senza giustificato motivo della controparte, il giudice potrà tenere conto.
3. Anche il Giudice può, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a rivolgersi ad un organismo di mediazione.
4. All’atto del conferimento dell’incarico l’avvocato è tenuto ad informare per iscritto l’assistito della possibilità di avvalersi della procedura di mediazione.
5. Introduzione di incentivi fiscali come l’esenzione dall’imposta di bollo e da ogni tassa o diritto di qualsiasi spese e natura per tutti gli atti, documenti e provvediementi. Esenzione dall’imposta di registro del verbale di accordo per un valore di giudizio fino a 50.000 euro ed un credito d’imposta per le parti che corrispondono il compenso per la mediazione fino ad un massimo di € 500,00.
6. Nel caso in cui il provvedimento che chiude il processo (iniziato dopo il mancato accordo di conciliazione) corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto dal mediatore, tutte le spese di giudizio nonché un ulteriore somma a titolo di contributo unificato sarà posta dal Giudice a carico della parte che ha deciso di non accordarsi in fase di mediazione.
Infine con la L. 220/2012 (cd. Riforma del condominio) la conciliazione è stata definitivamente riconosciuta come strumento di risoluzione dei conflitti condominiali e regolamentata.
In base al Codice Civile, sono considerate controversie in materia condominiale quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle Disposizioni contenute nel libro Terzo, titolo VII, capo II del Codice e degli art. da 61 a 72 delle Disp. Att. C.C.
Potrà procedere al procedimento di conciliazione l’amministratore, previa delibera assembleare assunta con le maggioranze previste dall’art. 1136 2° c.
La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea di condominio con la medesima maggioranza.
LA CONCILIAZIONE: VANTAGGI, DEFINIZIONE, FIGURA DEL CONCILIATORE
• Le parti sono direttamente coinvolte nel trovare l’accordo; • Il mediatore è un professionale dotato di formazione specifica e
competenza tecnica; • Il mediatore, in quanto terzo neutrale, ha una visione esterna oggettiva del
conflitto (sta al balcone) • La procedura è rapida e meno costosa del giudizio (max 4 mesi); • La procedura tutela la conservazione dei rapporti fra le parti;
• La procedura è aperta a soluzioni creative che rispecchiano i reali interessi delle parti;
• La procedura è aperta a soluzioni “creative” che rispecchiano i reali interessi delle parti;
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• La procedura, a differenza della transazione, non vuole arrivare a concessioni reciproche (che lascerebbero comunque scontente le parti) ma al Miglior Accordo Negoziato (MAN)
• Le informazioni assunte nel corso della procedura sono riservate e non utilizzabili nell’ambito di altre procedure formali o informali.
Quindi: La mediazione è la ricerca di un accordo basato sugli interessi e/o bisogni, favorita
dall’intervento di un terzo estraneo alla disputa. In quanto tale essa prescinde da qualunque elemento di giudizio e di decisioni provenienti da un terzo, facendo affidamento solo sulla volontà delle parti, le quali sono indotte a collaborare per cercare il miglior accordo risolutivo per entrambi vantaggioso.
Ma quali sono i bisogni di una persona? Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di
"Hierarchy of Needs" (gerarchia dei bisogni o necessità) e la divulgò nel libro Motivation and Personality del 1954.
Questa scala di bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari (necessari alla sopravvivenza dell'individuo) ai più complessi (di carattere sociale). L'individuo si realizza passando per i vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo. Questa scala è internazionalmente conosciuta come "La piramide di Maslow". I livelli di bisogno concepiti sono:
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E chi è e come deve essere un bravo conciliatore? • Neutrale, indipendente e imparziale • Preparato; • Realista • Ottimista • Umile • Paziente • Tecnicamente competenze • Possedere acutezza percettiva
LA PROCEDURA Sono partita dalla definizione del conflitto per spiegare da dove nasce. Quali sono i modi
per risolverlo, come si scelgono, quali sono le normative che coinvolgono il mondo condominiale. Ho parlato della conciliazione, della sua storia, delle sue finalità. Ho parlato dei vantaggi della procedura e delle qualità del conciliatore.
A questo punto non mi rimane che dire come funziona una conciliazione. Ogni parte può presentare domanda di mediazione ad un organismo riconosciuto e
preposto ubicato nella circoscrizione del Tribunale nel quale il condominio è situato. L’organismo, ricevuta l’istanza, apre un fascicolo e lo assegna ad un conciliatore.
Contatta altresì l’altra parte, la informa dell’apertura del procedimento e fissa l’incontro di conciliazione.
Il conciliatore, avendo preliminarmente studiato il fascicolo, nel giorno fissato, incontra le parti ed utilizza le tecniche di comunicazione acquisite, al fine di far risolvere, alle parti stesse, il proprio conflitto. Le sessioni d’incontro possono essere così sintetizzate:
I SESSIONE Congiunta iniziale Discorso introduttivo del mediatore;
Posizione di A Parafrasi di A Posizione di B Parafrasi di B Domande di chiarimento
II SESSIONE Privata con ogni parte Domande aperte (6W) Formulazione di proposte alternative
III SESSIONE Congiunta finale Riformulazione del conflitto; Opzioni Accordo/non accordo
Nella prima sessione il conciliatore incontra entrambe le parti, si presenta, presenta la
procedura ed ascolta – attivamente – le posizioni di entrambi, riassumendo e parafrasando i concetti espressi.
Nella seconda fase il conciliatore entra nel vivo della procedura incontrando separatamente le parti. Da esse cerca di trarre il maggior numero di informazioni possibili ponendo loro domande aperte atte a far parlare e ad esplicare emozioni, ricordi, sensazioni, proposte che, naturalmente, non sarebbero mai emerse da sole.
Nella terza sessione il conciliatore ricongiunge le parti e riformula conflitto e opzioni risolutive rilevando se le stesse possano essere condivise da entrambi i soggetti o meno.
Ove non si raggiungesse l’accordo, come sopra detto,il conciliatore può formulare la sua proposta finale di accordo e dovrà comunque farla se richiesto da entrambe le parti, proposta
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che potrà o non potrà da loro essere accettata. Qualora non venisse accettata, la proposta finale sarà prodotta in un eventuale successivo giudizio ed il Giudice ne potrà tenere conto in sede di liquidazione delle spese processuali.
Il verbale di accordo invece, una volta omologato a cura di una delle parti (l’omologa avviene con Decreto del Presidente del Tribunale ove ha sede l’organismo di conciliazione), trasforma il “contratto” in provvedimento esecutivo e ne determina la tassabilità (con esenzione fino ad un valore di 50.000 euro).
GLI SVANTAGGI DELLA CONCILIAZIONE Finora ho parlato dei vantaggi della conciliazione. E’ giusto che vi accenni anche ai suoi
limiti. Ebbene la conciliazione non può andare a buon fine se:
• Le parti ritengono che il conciliatore non sia preparato a sufficienza; • La questione reale fra le parti è una questione di morale o di principi; • La questione da conciliare è di puro diritto; • Le parti cercano una condanna per esperire ulteriori azioni; • Una delle parti vuole solo cercare di arrecare il maggior danno possibile
all’altra. • C’è forte disparità fra le parti
Inoltre, paradossalmente, i motivi che spingono alla ricerca di procedure alternative di risoluzioni delle controversie (lungaggini giudiziarie) sono al tempo stesso il maggior ostacolo al loro possibile affermarsi (se so che la mia posizione è debole, ma so anche che la causa si trascinerà per molti anni, per quale motivo dovrei collaborare con una soluzione rapida e non contenziosa?).
Infine la proposta finale del conciliatore fa venire di fatto meno alla natura “facilitativa” della mediazione (cioè finalizzata a facilitare le parti stesse alla ricerca di un accordo) trasformandola in una mediazione “valutativa” (e trasformando quindi di fatto il mediatore in un Giudice). Ciò potrebbe portare le parti a non aprirsi completamente al conciliatore impedendo quindi a priori la conciliazione stessa.
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MODULO N. 6
Le innovazioni (Valerio Troiani e Laura Villirilli)
6.1 - Introduzione Il tema in questione, pur essendo nella sua essenza ben identificato dai contenuti
codicistici, è da sempre oggetto di diatribe concettuali, strumentali a diversi interessi economici facenti capo alle"contrapposte" parti delle compagine condominiale, tali da renderlo argomento di numerose sentenze di cassazione e dotti approfondimenti giuridici che in questo capitolo si proverà a riassumere. Le attività "innovative" oggetto di valutazione assembleare sono esplicitamente
richiamate dagli art 1117 ter 1120 e 1121 cc. Art. 1120 del codice civile: I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136,
possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrita' degli edifici e degli impianti; 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche,
per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonchè per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune; 3) l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per
l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole tenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.
L'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all'adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l'indicazione del contenuto specifico e delle modalita' di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l'amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni. Sono vietate le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla
sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino Art. 1121 -‐ Innovazioni gravose o voluttuarie Qualora l’innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario
rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio, e consista in opere,
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impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa. Se l’utilizzazione separata, non è possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la
maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa. Nel caso previsto dal primo comma i condomini e i loro eredi o aventi causa possono
tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera. Al fine di rendere più agevole la comprensione dei confini dei riportati articoli, si
ritiene opportuno richiamare le più complete definizioni tecnico-‐guridiche del concetto di innovazione in condominio. 6.2 - Nozione Varie seppur coerenti sono le definizione ricondotte al termine "innovazione"
nell'ambito condominiale; dalla lettura del Corana, Branca e Salis, di cui Terzago riporta ampi interventi, si può riassumere il concetto fondante delle innovazioni in " quelle modifiche apportate alla cosa comune che comportino alterazione nella entità sostanziale della cosa o mutamento delle destinazione di essa" . Ulteriore spunti di riflessione per la definitiva delimitazione del concetto di innovazione possono essere tratti dai contenuti giurisprudenziali di una lunga serie di interventi della cassazione dai quali si può desumere che “innovazioni sono considerate le opere dalle quali, derivando alterazioni nella entità sostanziale o mutamento di destinazione della cosa, comportino dei costi a carico di tutti i condomini e che, pur volte all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose stesse, si traducano in una limitazione all'uso degli altri partecipanti”. Il Terzago quindi spiega come in Condominio, la distinzione tra modifica e
innovazione si ricollega all'entità e alla qualità della incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione delle cosa comune nel senso che, per innovazione in senso tecnico giuridico deve intendersi non un qualsiasi mutamento o modificazione delle cosa comune bensì quella modificazione materiale che ponendo costi a carico della collettività ne alteri la destinazione o la entità sostanziale originale. Si desume quindi come sia differente il concetto di delibera assembleare volta alla
manutenzione da quello di delibera volta alla innovazione: la prima è finalizzata all'assunzione di decisioni su questioni considerate necessarie, caratteristica che per propria natura, fatti salvi casi tecnicamente isolati, manca alle decisioni adottabili in materia di innovazioni. Degno di rilievo e necessario per la completezza del quadro identificativo di una
innovazione materiale è il richiamato concetto di coinvolgimento economico della intera compagine condominiale, in quanto ove ciò non accada a causa dell'accollo di spesa da parte di un solo condomino, si rientra nel ben più semplice concetto di miglior uso delle parti comuni (art. 1102 cc) 6.3 - Le modificazioni del singolo condomino Art. 1102 -‐ Uso della cosa comune Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la
destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
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Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso. È proprio il dettato normativo dei due articoli in questione (art. 1120 comma primo
e 1102) a distinguere le fattispecie e quindi definire il concetto di innovazione, evidenziando come le modificazioni che, senza l'addebito di costi ad altri che non all'interessato, non alterano la destinazione di un bene e non impediscano il pari uso rientrano nel concetto di miglior uso della cosa comune,sono libere da preventive autorizzazioni assembleari (fatti salvi eventuali limiti posti da regolamenti condominiali contrattualmente accettati). Il caso pratico più emblematico, pur nella sua deflagrante consistenza, è quello
riguardante l'installazione di un ascensore nella tromba delle scale, riguardo il quale la Suprema Corte ha affermato che “la norma di cui all’art. 1120 c.c., nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l’approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per tutti i condomini; ma, ove non debba procedersi a tale ripartizione per essere stata la spesa relativa alle innovazioni di cui si tratta assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale di cui all’art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune.” (Cass. 10 aprile 1999, n. 3508, 27.12.2004 n. 24006) Sempre con riferimento alle modificazioni realizzate autonomamente da un singolo
condomino sulle parti comuni, è necessario precisare che la giurisprudenza ha ritenuto applicabili per analogia anche i limiti previsti dall’art. 1120 c.c., in quanto le due norme (1102 e 1120) sono ispirate alla medesima finalità (c.d. ratio). In altri termini, il singolo condomino che apporta modificazioni ai beni e/o impianti comuni dovrà, oltre che rispettarne la destinazione e non limitarne l’uso, non pregiudicare la stabilità, la sicurezza e/o il decoro del fabbricato (Cass. 22 agosto 2003, n. 12343). Oltre ai su richiamati limiti posti dai contenuti del disposto degli art. 1102 e 1120
cc, anche l’art . 1117quater viene posto a salvaguardia del legittimo interesse comune verso attività che in qualche modo possano pregiudicare la destinazione d'uso delle parti comuni: a tal fine la richiamata norma prescrive che ove si ravvisino attività che possano in qualche modo incidere negativamente e in modo sostanziale sulla destinazione d'uso delle parti comuni, l'amministratore o anche il singolo condomino possono diffidare l'esecutore e possono richiedere la convocazione di un'assemblea chiamata a deliberare sulle azioni, comprese quelle giudiziarie, necessarie all'ottenimento della cessazione di dette attività. In tal caso il quorum deliberativo è quello prescritto dal secondo comma dell'art. 1136 (maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno 500 mm) 6.4 - Le innovazioni lecite, separate, vietate; il richiamo codicistico
alle leggi speciali; “I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136,
possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.” Art. 1120 comma primo. Rientrano nell’alveo delle innovazioni consentite (lecite),validamente deliberate
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dalla maggioranza degli intervenuti in assembla che rappresenti almeno i due terzi del valore dell’edificio, con coinvolgimento alla contribuzione alle spese anche della minoranza dissenziente, tutte le innovazioni dalla cui esplicazione derivino modificazioni sostanziali delle parti comuni o delle loro destinazione d’uso quali: la realizzazione di un gruppo elettrogeno per l’alimentazione delle utenze comuni; la realizzazione di una copertura in muratura al viale di accesso condominiale; la destinazione di una parte di parco condominiale a area giochi per bambini; la chiusura con cancellate del piano piloty di un fabbricato. In ossequio al preciso disposto dell’art. 1121, alcune delibere aventi ad oggetto
interventi innovativi, possono essere regolate di contenuti di tale norma; caratteri imprescindibili delle innovazioni separate debbono essere: la gravosità della spesa, la sua voluttuarietà, la suscettibilità ad utilizzazione separata. Con tale norma, il legislatore, pur riconoscendo il giusto diritto alla realizzazione di
opere volte al miglior godimento delle parti comuni da parte dei condomini interessati, ha voluto salvaguardare l’interesse delle minoranze dissenzienti in specifici casi di delibere aventi ad oggetto interventi la cui natura voluttuaria ( e cioè priva di utilità necessaria) e gravosa (in riferimento oggettivo alle condizioni e all’importanza dell’edificio), facendo tuttavia salvo il diritto di questi ultimi ad un successivo subentro nella comproprietà del bene previa contribuzione alle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera. Potrebbero rientrare in tali fattispecie le delibere relative alla realizzazione di una piscina, di un centro sportivo o di un impianto ascensore. Sono invece da considerarsi vietate e, quindi, in alcun modo effettuabili dal
condominio ovvero legittimamente deliberate dall’assemblea le innovazioni che : • possano recare pregiudizio alla stabilità, • possano recare pregiudizio alla sicurezza del fabbricato, • possano alterare il decoro architettonico del fabbricato, • possano rendere inservibili all’uso o al godimento anche di un solo
condomino, alcune parti comuni dell’edificio. Qualche precisazione è necessaria per ben comprendere la portata dei suddetti
divieti. Con “stabilità” la norma si riferisce al “pericolo di crollo” dell’edificio, che si verifica
ogni qual volta vengano eseguite modificazioni della struttura del fabbricato incompatibili con la sua funzione statica. Con riferimento a tale ipotesi, per indicare qualche caso concreto di innovazione
vietata, può farsi l’esempio della demolizione di parte delle fondazioni (che costituiscono, ai sensi dell’art. 1117 c.c., parti comuni) con compromissione della stabilità dell’edificio (App. Torino, 12 maggio 1971). Con “sicurezza”, invece, si intende la salvaguardia dell’immobile contro i terzi (per
es., i ladri) o nei confronti di eventi materiali (quali, intemperie, alluvioni, incendi, ecc.). La tutela del “decoro architettonico”,discende dalla sua inclusione nei beni comuni,
suscettibile di specifica valutazione economica in quanto concorsuale nella formazione del valore economico delle parti comuni e private degli immobili. Del decoro non si rinviene una definizione nel codice civile, ma, secondo la giurisprudenza prevalente, si ritiene sia dato dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota estetica dominante dell’edificio, ed imprimono ad esso una determinata
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fisionomia. Un’ottima definizione di “decoro” è stata data da Cass. 13 luglio 1965, n. 1472 in
base alla quale “il decoro architettonico di un edificio… risulta dall’insieme delle linee e dei motivi architettonici e ornamentali che costituiscono le note uniformi dominanti ed imprimono alle varie parti dell’edificio stesso nel suo insieme, dal punto di vista estetico, una determinata fisionomia, unitaria e armonica, e dal punto di vista architettonico una certa dignità più o meno pregiata e più o meno apprezzabile”. Il decoro può riscontrarsi in ogni edificio (anche di tipo economico/popolare) e non
solo in quelli di particolare pregio: oggettivamente ogni edificio può rispondere ad un disegno idoneo a dargli una sua particolare fisionomia suscettibile quindi a danneggiamenti derivanti da opere che la modifichino. L’innovazione, per essere vietata a causa di lesione del decoro, deve comportare
modifiche rilevanti dell’aspetto del fabbricato, con incidenza negativa sulla sua fisionomia complessiva. Il decoro, tuttavia, è una qualità dell’immobile sottoposta, nel tempo, a
deterioramento (spesso dovuto ad attività poste in essere dai singoli condomini e tollerate dalla collettività) e, quindi, per stabilire se vi sia una concreta lesione, è necessario effettuare uno specifico accertamento che tenga conto delle condizioni in cui l’edificio si trovava prima della esecuzione delle opere. Tali condizioni, infatti, possono ben essere “peggiorate” rispetto a quelle iniziali. In sede di tale accertamento, l’immobile va considerato in sé, senza che abbia rilievo
l’ambiente urbanistico circostante in cui esso è collocato (Cass. 28 giugno 1975, n. 2552). Perché si abbia una lesione del decoro, inoltre, è necessario che si verifichi anche un
pregiudizio economicamente valutabile (cioè, un danno e/o un deprezzamento dell’immobile) il quale, tuttavia, seppur assai frequente in caso di alterazione dell’armonia estetica del fabbricato, non può essere implicito o presupposto, bensì concreto. In conseguenza di ciò, “il giudice di merito per stabilire se in concreto vi sia stata
lesione di tale decoro, oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un deprezzamento dell’ìntero fabbricato” (Cass. 15 maggio 1987, n. 4474). È assai dubbio se alcuni dei suddetti divieti possano essere derogati attraverso una
deliberazione all’unanimità di tutti i partecipanti al condominio. Qualche sentenza sembra ritenere la cosa possibile (sempre a patto di raccogliere
tutti i consensi) (vedi Cass. 14 dicembre 1988, n. 6814). Secondo, una diversa opinione (Branca) il divieto sarebbe comunque inderogabile
nel caso di innovazione pericolosa per la stabilità e/o la sicurezza del fabbricato, in quanto la delibera stesa sarebbe viziata di nullità vista l'illecita dell'oggetto. Un autorevole studioso (Salis), infine, ritiene possibile (sempre all’unanimità) la
sola innovazione che renda talune parti dell’edificio inservibile all’uso e/o al godimento di uno o più condomini. In tale caso, il consenso unanime deve risultare da atto scritto, il quale ultimo può anche consistere nel verbale assembleare, debitamente sottoscritto da parte di tutti i partecipanti al condominio (i quali, quindi, occorre siano tutti presenti). Esiste poi una precisa famiglia di interventi espressamente richiamati al comma
due dell’art. 1120 legittimamente deliberabili in condominio, che pur avendo
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inequivocabilmente i caratteri delineati per le innovazioni, per la loro natura e finalità, sono oggetto di quorum “agevolati” per la relativa decisione assembleare: I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136,
possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
1. le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrià degli edifici e degli impianti; 2. le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche,
per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune; 3. l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e
per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole tenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.
Frutto della legislazione speciale di seguito richiamata, di volta in volta promulgata
per la regolamentazione di specifici ambiti, tali interventi, pur avendo come detto le caratteristiche distintive delle delibere innovative, hanno la qualità delle “necessita” derivante dalla utilità sociale discendente dalle finalità di sicurezza, risparmio energetico, abbattimento barriere architettoniche, diritto all’informazione, adeguamento della capacità complessiva di parcamento. Come detto, pur se con cambiamenti sostanziali rispetto ai testi originari, il seconda comma dell’art. 1120 richiama in se norme riportare nelle seguenti leggi:
• legge 9 gennaio 1991, n. 10: art. 26 comma 2 e comma 5 ”per le innovazioni relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento, in base al consumo effettivamente registrato, l’assemblea di condominio decide con la maggioranza prevista dal secondo comma dall'art. 1136;
• legge 5 agosto 1978, n. 457 (norme per l’edilizia residenziale), prevede che gli interventi di recupero relativi ad un unico immobile composto da più unità immobiliari possono essere disposti dalla maggioranza dei condomini che comunque rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio (art. 30.2);
• legge 9 gennaio 1989, n. 13 (disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche) “Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, sono approvate dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, comma 2”;
• legge 24 marzo 1989, n. 122 (parcheggi): “i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano
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terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti. Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici. Le deliberazioni sono approvate dall’ assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 2 c.c. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, comma 2 e 1121, comma 3 c.c.;
• legge 20 marzo 2001, n. 66 - trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali): “al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie di radiodiffusione da satellite, le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie ai sensi dell’art. 1120 c.c. Per l’approvazione delle relative deliberazioni si applica l’art. 1136 c.c. comma 2”
• legge 8 giugno 2009 n. 69 - art. 1.7 (banda larga): “le innovazioni condominiali relative ai lavori di ammodernamento necessari al passaggio di cavi in fibra ottica sono approvate dalla maggioranza di un terzo dei partecipanti al condominio rappresentanti almeno un terzo del valore millesimale
6. 5 - Le modificazione delle destinazioni d'uso - art. 1117 ter Argomento attinente alla trattazione di questa materia, vista la definizione ormai
più volte richiamata dell'innovazione, è quello relativo alla modificazione delle destinazioni d'uso delle parti comuni, per il quale viene così previsto:
1. Per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle parti comuni. 2. La convocazione dell'assemblea deve essere affissa per non meno di
trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione. 3. La convocazione dell'assemblea, a pena di nullità, deve indicare le parti
comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso. 4. La deliberazione deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati
effettuati gli adempimenti di cui ai precedenti commi 5. Sono vietate le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare
pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico.
6.6- Quorum assembleari e formalità per la legittima convocazione di assemblea Come visto nello svolgimento di questa trattazione, diverse sole le fattispecie
specificatamente regolamentate nella quali ci si può imbattere nello svolgimento delle attività amministrativa, ritenendosi quindi proficuo riassumerle brevemente; in ragione del bene su cui incidono (destinazione d’uso o bene materiale), oggetto delle delibera e promotore della stessa, si hanno le seguenti indicazioni: Innovazioni lecite e separate: convocazione di assemblea con le forme previste
dall’art. 66 disp att cc, deliberazione con i quorum previsti dall’art. 1136 quinto comma
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cc. (maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno i due terzi del valore dell’edificio); Innovazioni di cui al secondo comma art. 1120 cc : convocazione di assemblea
con le forme previste dall’art. 66 disp att cc, deliberazione con i quorum previsti dall’art. 1136 secondo comma cc. (maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno metà del valore dell’edificio); Innovazioni relative alla modifica delle destinazioni d’uso: convocazione di
assemblea con le forme previste dall’art. 1117 ter cc, deliberazione con i quorum previsti dall’art. 1117 ter secondo comma cc. (maggioranza di quattro quinti dei condomini che rappresentino almeno quatto quinti del valore dell’edificio)
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MODULO N. 7
I contratti (appalto e assicurazione) (Benedetta Coricelli e Alfonso Del Sorbo)
7.1 - Il contratto di appalto Il contratto di appalto riveste un’importanza assolutamente primaria, rispetto ad
altri, per la vita del condominio sia in ragione delle somme che – soprattutto negli appalti di opera – il condominio è tenuto talvolta a spendere con importanti conseguenze sul bilancio sia, ed è quanto tenteremo di individuare, per i numerosi riflessi giuridici che il contratto stesso implica. Senza pretesa alcuna di esaustività, poiché il contratto “ideale” di appalto non
esiste, si vuole tuttavia fornire una sorta di codice comportamentale per le due parti contrattuali che, se rispettato in linea di massima, può in via generale esentare le medesime da una serie di sgradevoli quanto consuete vicende legate alla esecuzione del contratto. Esaminando infatti le figure, spesso e pressoché inevitabilmente in
contrapposizione, dell’appaltatore e del committente, con i rispettivi obblighi e le rispettive responsabilità, emerge la evidente necessità di contemperare le rispettive esigenze anche in previsione di situazioni che potranno verificarsi successivamente al momento della sottoscrizione. A differenza di altri contratti che il condominio può trovarsi a stipulare, come ad
esempio la locazione o la compravendita di un bene per uso comune, il contratto di appalto presenta proprio nella sua fase esecutiva, e per ovvie ragioni, i maggiori (potenziali) pericoli per entrambi i contraenti, ovvero condominio ed impresa esecutrice. In realtà nello scenario dell’appalto si muovono, oltre ai sopra citati contraenti,
anche una pluralità di figure, che potremmo però definire satellitari rispetto alle due principali parti contrattuali, quali i subappaltatori e gli ausiliari dell’appaltatore (entrambi menzionati dalla disciplina relativa nel codice civile) nonché la figura del direttore dei lavori, o ancora del responsabile della sicurezza, tenuto alla conoscenza delle varie disposizioni contenute nei Decreti legislativi 494/96 e 528/99, poi parzialmente modificati dal DPR 222/03. Tenendo presente la disciplina del codice civile, cui va fatto costante riferimento
unitamente alle leggi urbanistiche e di sicurezza, va ora preso in esame l’ appalto privato, ovvero l’appalto di cui all’art. 1655 e ss. c.c., in cui la committenza riveste natura privata. E’ appalto privato anche quello in cui la committenza sia privata e la impresa
appaltatrice sia di natura pubblica. Si tratta di una fattispecie solo raramente ipotizzabile in rapporto alla vita di un condominio. L’appalto in cui l’appaltatore ha natura pubblica soggiace peraltro a regole peculiari
che lo spazio delle presenti dispense non permette di approfondire. Va inoltre chiarito che la disciplina codicistica, che ha permesso una chiara
enucleazione del contratto di appalto rispetto a figure “miste” ed alla locatio operis è conformata sull’appalto d’opera.
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L’appalto di servizi è viceversa disciplinato -‐ qualora detti servizi consistano in prestazioni periodiche e continuative -‐ dalle norme in materia di somministrazione (art. 1559 e ss. c.c.) in quanto compatibili e sempre fatto salvo il recesso con effetto immediato dalla comunicazione, permesso al committente. Ovviamente, sotto tale tipologia contrattuale non potrà celarsi l’appalto c.d. di
manodopera edile, assolutamente vietato dalla legge 1369/60. La menzionata legge speciale ha permesso di ovviare ad un triste fenomeno sociale
di sfruttamento della manovalanza, restituendo quanto più possibile dignità e tutela alle attività connesse alle imprese edili. 7.2 - Cenni sul contratto: chi sono committente e appaltatore Tornando quindi ai soggetti contrattuali nell’appalto, va sottolineato che l’art. 1655
c.c., che definisce il contratto medesimo, si riferisce non già ad un qualsiasi prestatore di opera o servizio con il termine “appaltatore”, ma solo a colui che con organizzazione di mezzi propri e gestione a proprio rischio sia in grado di svolgere quanto commissionatogli. Ciò porta automaticamente ad escludere dal novero degli appaltatori tutti quei
piccoli imprenditori (in linea di massima coincidenti con la figura di cui all’art. 2083 c.c., ovvero i prestatori di opera) che nella esecuzione dell’opera non siano dotati di organizzazione di mezzi autonoma. Con notevoli conseguenze sul piano della eventuale azione per vizi del committente. Mentre infatti il contratto di appalto comporta ex art. 1667 c.c. una azione giudiziale
per vizi avente prescrizione biennale, nel contratto d’opera tale prescrizione è meramente annuale. A fronte di un lasso di tempo di due anni per agire contro l’impresa edile in caso di
scoperta di vizi dell’opera, cioè, avverso il piccolo imprenditore si potrà agire al massimo entro un anno. La figura del piccolo imprenditore è pertanto maggiormente tutelata
dall’ordinamento nella misura in cui si presume economicamente più debole rispetto all’appaltatore. Le dimensioni dell’opera non influiscono invece sulla natura del contratto: una
opera di modesta entità può comunque implicare la applicazione degli art. 1655 e ss. c.c. se eseguita da un appaltatore. Appare difficilmente ipotizzabile l’inverso: non si vede come possa essere affidata,
da parte di un condominio, una opera di importanti dimensioni (e relativi costi, rischi, ecc.) ad un piccolo imprenditore, che certo non dispone di mezzi sufficienti, a livello organizzativo, per soddisfare le esigenze del condominio committente. Infine, l’appaltatore potrebbe inizialmente non essere determinato; accade negli
appalti in cui il committente ha stabilito pedissequamente testo contrattuale e capitolato, ovvero il documento che ne fa parte integrante ed inscindibile e contiene la elencazione delle opere da eseguire. L’appaltatore dovrà rispondere a determinati requisiti e verrà eletto all’esito di una gara: in tal senso può parlarsi di un appalto come fattispecie a formazione progressiva. Quando parliamo di committenza, per quanto qui interessa, ci riferiamo invece,
giova ribadirlo, al condominio. La forma del contratto è assolutamente libera; è fatto salvo il caso in cui
l’appaltatore vende il terreno su cui l’opera andrà edificata, di tal che, trovandoci in presenza di un trasferimento immobiliare, sarà necessaria la forma scritta e la successiva trascrizione a pena di nullità, cui anche l’appalto andrà assoggettato come contratto accessorio.
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Per il resto, nessuna disposizione in tema di appalto pretende la forma scritta; si ricorda che per mere ragioni probatorie le sole variazioni non necessarie apportate dall’appaltatore comportano tuttavia la autorizzazione scritta del committente ex art. 1659 c.c.. Per ragioni pratiche, tuttavia, la forma scritta è assolutamente consigliabile. Ciò, ove possibile, anche negli appalti di servizi e sempre e comunque negli appalti
di opera anche di modesta entità economica, nell’ottica sia di una massima tutela, quanto ad eventuali corresponsabilità, dell’amministratore di condominio sia – cautelativamente – per facilitare la dimostrazione delle ragioni del condominio in caso di controversia. Elencare specificamente gli orari, o i giorni, o gli specifici ambiti ove il servizio di
pulizia condominiale deve essere svolto, ad esempio, può evitare al condominio sgradevoli sorprese anche sul fronte di indebite pretese economiche. Ancora, in via generale, tutte le norme in materia di appalto sono derogabili dalle
parti quanto a diritti disponibili; è ovvio che il disposto dell’art. 1676 c.c. relativo agli ausiliari dell’appaltatore è escluso da tale area di derogabilità. Appaltatore e committente non potranno pertanto pretendere di accordarsi in
deroga a tale fondamentale norma, che a tutela di soggetti presunti più deboli sul piano economico, nel caso di inadempimento del datore di lavoro-‐appaltatore nel versamento delle spettanze, permette loro una azione diretta verso il committente per la somma eventualmente ancora dovuta all’appaltatore stesso al tempo della pretesa. Oggetto del contratto è una opera ovvero un servizio, salva in tal caso la
applicazione delle norme in materia di somministrazione in quanto compatibili. Il prezzo, infine, viene convenzionalmente determinato globalmente o a singole partite, ovvero ex art. 1657 c.c. secondo usi e tariffe. Il difetto di accordo può comportare la determinazione giudiziale, con notevole compressione della libertà economica delle parti. Ovviamente oggetto e prezzo possono non essere determinati inizialmente, purchè
siano determinabili sulla base di concreti elementi. Ad evitare tuttavia l’insorgere di questioni interpretative che prestano spesso il
fianco ad una revisione di quanto originariamente pattuito ma non formalizzato, è consigliabile determinare con esattezza il prezzo delle opere commissionate ab origine. Come accennato, l’intero novero di disposizioni in tema di appalto è derogabile
dalle parti, fatti salvi i diritti non disponibili. Poiché ciò comporta la derogabilità dell’art. 1664 c.c. relativo alla revisione del
prezzo in corso d’opera, si concorda pienamente con l’orientamento di alcuni esponenti del Centro Studi della A.N.A.C.I. nella misura in cui suggeriscono di ”blindare” originariamente il contratto eliminando la facoltà di revisione, ed impedendo nel corso dell’opera pericolose revisioni di prezzo. Abbiamo evidenziato quale caratteristica del contratto di appalto una sorta di
correlazione tra reciproci obblighi e conseguenti responsabilità delle due figure appena esaminate, ovvero committente ed impresa appaltatrice. Ovviamente incombe in primo luogo su entrambi i contraenti, come per ogni
obbligazione, il generale principio di buona fede contrattuale ex artt. 1175 e 1375 c.c.. Non vi è necessità di illustrare le numerose sfumature in cui tali principi vanno
ravvisati: a mero titolo esemplificativo un linguaggio chiaro nella redazione del testo contrattuale, regolari meccanismi di pagamento negli eventuali acconti di prezzo, piena reperibilità dei soggetti responsabili del cantiere ecc., rappresentano alcuni momenti di espressione della buona fede contrattuale. Altra regola di carattere generale, cui deve attenersi però il solo appaltatore è la
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esecuzione a regola d’arte, cioè un quid pluris rispetto alla generica diligenza nella esecuzione delle obbligazioni ex art. 1176 c.c. in quanto estesa non solo alla materiale esecuzione dell’opera ma anche alla verifica della progettazione pur in presenza di un direttore dei lavori, e della bontà dei materiali. La disposizione è severa, per quanto generica; il grado di perizia richiesto
all’appaltatore è proporzionale all’incarico assunto né la eventuale presenza di un direttore lavori lo esenta completamente da responsabilità che gli sono specificamente attinenti, con ciò scoraggiando la assunzione di commissioni da parte di appaltatori non dotati di sufficienti mezzi, a tutela di ovvie ragioni di mercato. Talvolta le amministrazioni condominiali, magari a causa di inesperienza ovvero
dinanzi ad una assemblea particolarmente “tumultuosa”, esitano ad esternare le loro remore nella scelta di una o di un’altra impresa appaltatrice. Si ritiene tuttavia che detta scelta non debba mai essere totalmente rimessa a
raffronti di “prezzi” di mercato, ma tenga comunque conto del “curriculum” delle singole imprese da valutare; in tal modo la probabilità di eventuali disguidi, dovuti al non sufficiente grado di perizia in capo alla impresa stessa, se non evitata integralmente può essere comunque notevolmente ridotta. Quello che ora interessa tentare di individuare, senza alcuna pretesa di esaustività,
si ribadisce, in quanto la enorme casistica in materia ci permette di delineare al massimo orientamenti giurisprudenziali, ma non certo risposte nette, sono obblighi e responsabilità specifici rispettivamente del committente e dell’appaltatore. 7.2.1 - Committente Ne vanno distinti obblighi e facoltà/diritti. Se si eccettua quello di “consegnare” secondo la tempistica prevista
contrattualmente il cantiere nella disponibilità dell’appaltatore, poiché come in tutte le obbligazioni sinallagmatiche è necessario mettere in grado il proprio debitore di adempiere, nonché il rispetto di tutte le obbligazioni in capo al creditore ex art. 1173 e ss. c.c., .vediamo che il codice non prevede obbligazioni specifiche del committente. Obbligo principale e praticamente esclusivo del committente è pertanto il
pagamento del prezzo ex artt. 1665 e 1666 c.c. ogni qualvolta l’opera sia stata verificata ed accettata. Ciò sia per il prezzo determinato globalmente sia per il prezzo determinato a singole partite. Obbligo, si diceva, che deriva dalla esigibilità del credito dell’appaltatore
subordinatamente alla accettazione (espressa o per fatti concludenti) dell’opera medesima. Consueto il c.d. collaudo dell’opera, ove vi siano caratteristiche tecniche tali da non
permettere una valutazione meramente visiva dell’opera stessa, e che vale da negozio giuridico bilaterale di accertamento secondo alcuni autori, mentre altri lo considerano mera dichiarazione di scienza. Parimenti, si ritiene che la verifica finale non possa essere affidata dal committente
al direttore dei lavori in quanto essendo responsabile per l’esecuzione dell’opera è controinteressato. L’accettazione dell’opera implica il trasferimento del rischio per perimento del bene
ex art. 1673 c.c. nonché la perdita della azione per vizi ex art. 1667 c.c. fatti salvi quelli occulti o sottaciuti. Infine implica la consegna dell’opera. Le ulteriori disposizioni codicistiche prevedono in realtà mere facoltà ovvero diritti
e non già obblighi del committente: così il potere di verifica e controllo sancito dall’art. 1662 c.c., che riveste fondamentale importanza nella misura in cui permette a spese della committenza di esaminare l’opera nel corso della sua esecuzione, e disporre una
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sorta di diffida ad adempiere – in deroga alla generale normativa in materia – non quando l’opera sia conclusa ma appunto in corso di esecuzione, è una mera facoltà. Trascorso inutilmente il termine per l’appaltatore, il contratto è risolto e si può
agire per risarcimento danni. Né tale facoltà esime il committente dalla ulteriore -‐ prudenziale -‐ verifica di cui
all’art. 1665 c.c.. Così il diritto di recesso unilaterale ex art. 1671 c.c., ammesso nella misura in cui il
committente paghi l’opera per la parte in cui è stata eseguita ed il mancato guadagno per l’appaltatore. Il debito verso l’appaltatore è peraltro di valore, e va quindi soggetto a
rivalutazione. In tal modo, l’ordinamento giuridico ritiene di avere bilanciato i due contrapposti
interessi; è ovvio tuttavia che la prova del mancato guadagno per l’appaltatore, al fine di non snaturare la norma volta anche alla tutela del committente, deve essere fornita con particolare rigore. Ma, si ribadisce, quanto a specifici obblighi del committente, il codice prevede tra le
norme dedicate all’appalto il solo pagamento del prezzo alla consegna dell’opera. Vale tuttavia la pena di chiarire che accanto a tale esclusivo obbligo previsto
normativamente la giurisprudenza di merito e legittimità hanno individuato la responsabilità per danni a terzi del committente allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante tanto che l’appaltatore finisca per agire quale appunto nudus minister privo della autonomia che normalmente gli compete o allorquando vi siano gli estremi della culpa in eligendo, se il compimento dell’opera o del servizio sono stati affidati ad una impresa appaltatrice priva delle capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire l’opera oggetto del contratto senza determinare situazioni di pericolo per i terzi. 7.2.2 - Appaltatore Diverso è il discorso delle responsabilità dell’appaltatore. Esse sono piuttosto
numerose e derivano: 1) dalla mancata autorizzazione alle modifiche ex art. 1659 c.c.: in tal caso
non potrà pretendere alcun prezzo neppure per indebito arricchimento dell’appaltatore; 2) dalla eventuale non conformità della esecuzione in corso d’opera al
progetto ex art. 1662 c.c.: in tal caso si espone alla risoluzione del contratto ed alla azione per risarcimento danni; 3) dalla mancata denuncia ex art. 1663 c.c., anche quando i materiali siano
stati forniti dal committente a mente dell’art. 1658 c.c. : in tal caso si espone alla responsabilità per vizi ex art. 1667 c.c.; 4) dall’avere sottaciuto in mala fede vizi/difformità dell’opera: in tal caso
si espone alla azione giudiziaria del committente ex art. 1667 c.c.; 5) dalla rovina in tutto in parte o dal pericolo di rovina di opere destinate
a durare: in tal caso si espone alla azione giudiziaria del committente ex art. 1669 c.c..
Le responsabilità dell’appaltatore sono in pratica direttamente correlate alla
mancata esecuzione, in tutto o in parte, dell’opera seconda la citata regola d’arte. Se si tiene altresì conto della possibilità di recedere del committente ex art. 1671
c.c. nonché del rischio del perimento/deterioramento dell’opera non ancora accettata
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ex art. 1673 c.c., ne emerge un quadro di obblighi, scadenze e responsabilità estremamente complesso e rigido, per cui si comprende perché l’ordinamento pretenda la rispondenza dell’appaltatore ad una serie di requisiti specifici di carattere organizzativo che il piccolo artigiano certo non può possedere. Proprio per questa ragione, come accennato in premessa, l’ordinamento distingue
le azioni per vizi da proporsi contro il piccolo artigiano ovvero contro l’appaltatore sul piano delle prescrizioni. E’ ovvio poi che le garanzie richieste dal combinato disposto degli artt. 1667 e 1668
c.c. all’appaltatore, lungi dal rivestire il carattere di norme-‐capestro, gli permettono, nel pieno rispetto della libertà contrattuale e proporzionalmente alla perizia inizialmente dichiarata per l’incarico assunto, di ovviare alle difformità più o meno rilevanti riscontrate dal committente. Questi può infatti scegliere tra la eliminazione del vizio a cura e spese
dell’appaltatore e la azione di riduzione del prezzo in proporzione alla opera svolta; sempre però fatto salvo il diritto al risarcimento del danno in caso di colpa dell’appaltatore. Da parte sua l’appaltatore viene posto in condizione, appunto, di “rimediare” ad un
operato eventualmente non rispondente alla regola d’arte, conformandosi alle indicazioni del committente e senza che ciò in alcun modo costituisca un riconoscimento della ulteriore colpa di cui all’art. 1668 c.c.. 7.2.3 - Aree di responsabilità non esattamente individuate In realtà le norme di cui agli artt. 1667/1668 e 1669 c.c. non implicano mai, salvo
nei casi eclatanti, una diretta ed esclusiva responsabilità dell’appaltatore, nonostante la presunzione di responsabilità del medesimo. Ciò in quanto è applicabile alla fattispecie dell’appalto l’art. 1227 c.c., sul concorso di colpa delle parti. Non solo: può prevedersi eventualmente un direttore dei lavori cui siano state
specificamente rimesse nel contratto le responsabilità derivanti da errori di progetto o direttive nella esecuzione. In questo specifico caso (Cass. 1044/99) la responsabilità dell’appaltatore è addirittura esclusa. Viceversa, non viene esclusa la responsabilità dell’appaltatore quando anche in
presenza di un direttore dei lavori (e quindi di “ingerenza” del committente) l’appaltatore accortosi di un vizio nella esecuzione non lo abbia prontamente denunciato (Cass. 8075/99) manifestando il proprio dissenso. Va infine ricordata la responsabilità, pacificamente incombente sul condominio ex
art. 2051 c.c., per danni a terzi nella esecuzione di un appalto ove la materiale disponibilità del bene non sia stata completamente conferita all’appaltatore. Infine, un mero cenno alla responsabilità personale dell’amministratore, quale
rappresentante del condominio e soggetto che sottoscrive materialmente il contratto, in materia di appalto. Accanto alle ovvie responsabilità di natura prettamente civilistica derivanti dalla attivazione nei termini imposti dalla legge contro l’appaltatore (decadenze, prescrizioni, ecc.) può talvolta profilarsi una responsabilità di natura penale. Tale rilievo è particolarmente grave se si considera che non soltanto
l’amministratore regolarmente eletto a mente dell’art. 1129 c.c. risponde per fatti penalmente rilevanti quali quelli profilati dagli artt. 677 e 650 c.p., ma anche il c.d. amministratore di fatto. Mentre l’art. 650 c.p.c. è norma in bianco applicabile solo ove non vi siano
disposizioni ad hoc, interessa qui il disposto dell’art. 677 c.p., le cui sanzioni possono giungere fino all’arresto quando il pericolo sia inerente la pubblica incolumità.
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E’ naturale che l’amministratore deve essere stato posto in grado di svolgere l’opera atta a rimuovere il pericolo di crollo dell’immobile o parte di esso, di tal che la mancanza di volontà cosciente e libera escludono la imputabilità. Né gli artt. 650 e 677 c.p. possono applicarsi in concorso. Per costante, anche se non più recente, orientamento di Cassazione, la imputabilità
dell’amministratore va esclusa qualora egli dimostri di non essere stato posto nelle condizioni di adempiere l’ordine dell’Autorità che abbia raggiunto il condominio. In realtà, mentre dal punto di vista civilistico le responsabilità personali
dell’amministratore possono essere fortemente limitate da meccanismi “contrattati” con il proprio condominio, fino a giungere ad accordi di manleva ovvero alla stipula di polizze assicurative ad hoc, non è possibile individuare modalità comportamentali tali da esentare il medesimo amministratore dal rischio di coinvolgimenti in vicende penali; solo sul piano della difesa legale, ovvero in un momento successivo, l’amministratore potrà essere tenuto indenne dalle spese sostenute appellandosi ad eventuali accordi. La Cassazione esclude invece recisamente la possibilità di stabilire a livello di
delibera assembleare lo stanziamento di un “fondo” per eventuali spese legali di difesa penale dell’amministratore; si pretende appunto la sottoscrizione di un accordo tra l’amministratore e i vari condomini aderenti alla decisione, senza però che detta decisione possa essere assunta in sede assembleare. Proprio in ragione della potenziale pericolosità che un appalto comporta per un
edificio, soprattutto se coinvolge aspetti statici del medesimo, la scelta di una impresa appaltatrice che risponda appieno al grado di perizia richiesto dall’opera da svolgersi diventa allora di rilevanza estrema, ed è compito del diligente amministratore di condominio illustrare in sede di assemblea le specifiche e numerose problematiche cui il condominio può esporsi nel sottoscrivere un contratto di appalto senza le dovute cautele, prima tra esse la verifica delle polizze assicurative delle imprese coinvolte. In conclusione, si vuole poi sottolineare l'importanza di un aspetto talvolta
trascurato del contratto di appalto : il committente deve mettere l'impresa edile in condizione di potere eseguire il lavoro commissionato. Inutile contestare vizi di sorta alle opere di una impresa edile che non è stata posta
in condizione di lavorare bene. E' viceversa opportuno che l'amministratore -‐ prima di procedere alla
sottoscrizione del contratto -‐ prenda accurata visione, unitamente al legale rappresentante pro tempore della impresa stessa, non soltanto delle aree in cui strettamente si svolgerà la attività, ma anche degli spazi preposti a deposito materiali ecc., ottenendo dalla impresa stessa la sottoscrizione di una clausola per cui detti luoghi non implicheranno difficoltà esecutive. In proposito, è frequente che determinate lavorazioni, per la particolare
conformazione dell'edificio condominiale e la inesistenza di aree comuni adeguate, comportino la necessità di un passaggio ovvero di un deposito materiali presso aree private. Raramente, tuttavia, il condomino coinvolto, porrà a disposizione spontaneamente
e senza rimostranze, ad esempio, il giardino privato per la installazione del ponteggio ovvero per il deposito del materiale edile. Se detto spazio privato risulterà realmente l'unico possibile da utilizzare ed il
condomino oppone un reciso rifiuto il Condominio potrebbe essere costretto ad agire ex art.700 c.p.c., in via d'urgenza, per vedersi riconosciuto in via giudiziale il diritto ex art.843 c.c. al passaggio della impresa o alla installazione del ponteggio. Tuttavia la soluzione giudiziale non appare auspicabile : nei mesi necessari ad
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ottenere il provvedimento giudiziale il cantiere è fermo, e lo scotto dei prolungati tempi di lavorazione e relativi costi ricade sul Condominio. Migliore appare l'opera di "mediazione" dell'amministratore, che illustri alla
assemblea condominiale la necessità di corrispondere al condomino che presta l'area privata la adeguata indennità prevista dalla Legge. 7.3 - Il contratto di assicurazione La polizza Globale Fabbricati (che in seguito indicheremo per brevità G.F.), nasce
dall’esigenza di assicurare contro alcuni rischi, i fabbricati (in generale) e quindi nello specifico, i condomini. Questo contratto assicurativo, garantisce il condominio, contro alcune categorie di
danni, siano essi subiti dal fabbricato, che provocati a terzi. I contratti infatti sono suddivisi in due o più sezioni: l’una che prevede i danni al
fabbricato assicurato; l’altra che prevede i danni che il fabbricato provoca a terzi. In tale ottica, è facile intuire che, le tipologie di sinistro, sebbene possano essere
identiche, sono trattate in maniera differente. Per meglio esprimere tale concetto, supponiamo di affrontare un sinistro da
infiltrazione d’acqua che provoca danni al condominio assicurato, e danni ad un condominio limitrofo. Quelli al condominio assicurato, sono danni subiti dall’assicurato, mentre i danni prodotti al condominio limitrofo, saranno danni subiti da terzi e quindi da Responsabilità Civile. Quindi, in base a questo concetto, avremo due tipologie di sinistri: – Danni diretti (o in garanzia diretta) – Danni da R.C. (o in garanzia indiretta) Garanzia diretta, in quanto l’immobile che è assicurato, risulta colpito direttamente
dal sinistro; Garanzia indiretta, in quanto l’immobile che è stato danneggiato, non è quello
assicurato. 7.3.1 - Cosa si assicura con la polizza G.F. ? Il contratto assicurativo G.F., assicura il fabbricato nella sua interezza, compresi gli
impianti fissi (idrico, igienico, termico, elettrico, ecc.), compresi fissi ed infissi per destinazione (porte, finestre, citofoni, ascensori, ecc.), in alcuni casi i giardini, gli alberi di alto fusto, le recinzioni, i viali, le piscine, ecc. La definizione di fabbricato (e quindi dell’ente assicurato) è riportata sul contratto
assicurativo e, all’atto della stipula del contratto, bisogna prestare attenzione a ciò che si assicura ovvero che non è compreso tra le cose assicurate. E’ evidente quindi che, quando si fa riferimento al fabbricato nella sua interezza,
non si fa alcuna distinzione tra le parti comuni e le porzioni attinenti alle singole unità immobiliari. C’è quindi differenza tra il concetto di proprietà comune e proprietà privata, e quanto invece previsto dalla polizza G.F.; essa infatti nel prestare la garanzia, non distingue ciò che è comune e ciò che è privato, all’interno di un condominio. Naturalmente questa distinzione entrerà in gioco al momento in cui, bisognerà stabilire chi ha diritto al risarcimento dell’uno o dell’altro danno. 7.3.2 - Come assicurare un condominio con polizza G.F. ? Sebbene possa sembrare un’operazione semplice e ovvia, prima di assicurare un
condominio, è bene tener conto di alcuni fattori importanti, il primo dei quali è, qual è
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il valore da assicurare. La polizza G.F. è una polizza che tiene conto del valore che viene assegnato al
fabbricato assicurato. Se un fabbricato non è assicurato in maniera adeguata, e quindi con un “capitale assicurato” inferiore al suo valore reale, in caso di danno, l’importo indennizzabile subirà una riduzione proporzionale in relazione al rapporto tra il capitale assicurato e il valore del fabbricato (insufficienza assicurativa). Il valore da assicurare è determinato dal costo di integrale ricostruzione a nuovo
dell’immobile. Il calcolo è piuttosto semplice: si calcola il volume vuoto per pieno dello stabile e si applica un costo unitario (per fabbricati medi in Roma tale costo è pari a circa 300,00 euro/mc.). Il risultato di tale prodotto, darà il valore da assicurare. 7.3.3 - Quali sono i rischi assicurati con la polizza G.F. ? I rischi assicurati sono riportati nel contratto e comunque genericamente sono i
seguenti: – Incendio – Scoppio – Esplosione – Fulmine – Acqua Condotta – Guasti cagionati dai ladri a fissi ed infissi
– Ecc.
Per meglio comprendere gli aspetti relativi ad alcune garanzie prestate, bisogna fare una premessa. La polizza G.F. nasce fondamentalmente in funzione della copertura “Incendio”, allorquando gli enti eroganti mutui o finanziamenti in genere, richiedevano una garanzia assicurativa che li cautelasse in caso di distruzione di un fabbricato. Le ulteriori garanzie, furono man mano introdotte a beneficio dell’assicurato. Oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, la polizza G.F. viene interessata per
altre tipologie di danni, e non per l’incendio, piuttosto raro. Parliamo in particolar modo della garanzia “Acqua Condotta”. E’ una garanzia che viene pressoché sempre interessata nei sinistri subiti dai
condomìni, per piccoli, medi o grandi danni. Questa garanzia risolve le problematiche frequenti e comuni, di quei danni dovuti
alle rotture di condutture, che danneggiano i piani sottostanti, o l’immobile stesso interessato alla rottura della tubazione. Nell’analisi di questo tipo di garanzia, bisogna prestare attenzione al fatto che essa
non riguarda la riparazione del tubo rotto e tutte le opere murarie finalizzate a tale riparazione e, tranne in casi particolari, non è operante se non si sia verificata “rottura accidentale” della conduttura. Risultano di solito esclusi dalla garanzia: – Occlusioni – Trabocchi – Rotture dovute a vetustà della conduttura – Rotture dovute al gelo – Rotture provocate da terzi intenti ad opere di manutenzione
– Ecc.
Le opere per riparare la tubazione che ha dato origine allo spargimento d’acqua, dette anche “Ricerca e riparazione guasto”, sono previste solo con garanzie aggiuntive. 7.3.4 - Come viene liquidato un danno con polizza G.F. ?
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Partendo dalla garanzia Acqua Condotta, e riallacciandoci al concetto di “Garanzia diretta” e “Garanzia indiretta”, analizziamo come viene liquidato un danno su polizza G.F. Abbiamo detto che, se il danno è subito dallo stesso immobile assicurato, siamo in
regime di garanzia diretta. Quindi ad esempio se si rompe il tubo dal sig. Rossi al terzo piano di uno stabile, e danneggia le pareti dell’appartamento del sig. Bianchi, al piano inferiore, siamo in Garanzia diretta. Infatti, lo spargimento d’acqua ha interessato la muratura e quindi una parte del fabbricato assicurato. La garanzia che opererà sarà quella da Acqua Condotta, con le sue limitazioni e/o franchigie. Se la stessa rottura interessa anche i mobili del sig. Bianchi (e quindi enti non
assicurati), la garanzia che interverrà sarà quella da R.C. che è in altro settore della polizza, con le sue limitazioni e/o franchigie. Nella liquidazione del danno si terrà poi conto della cosiddetta “Preesistenza”, vale
a dire del confronto tra il capitale assicurato e il valore di ricostruzione dell’immobile, calcolato secondo i criteri di cui al precedente paragrafo 7.3.2. Se tale rapporto è superiore o uguale al 100%, il danno verrà liquidato interamente, se il rapporto è inferiore al 100%, il danno verrà liquidato nella percentuale così ottenuta. Es.1: Capitale Assicurato € 1.000.000,00 Costo ricostruzione fabbricato mc. 3.000 x 300 €/mc. = € 900.000,00 Il Capitale Assicurato è superiore al valore del fabbricato quindi il danno sarà
indennizzabile senza riduzioni proporzionali. Es.2: Capitale Assicurato € 1.000.000,00 Costo ricostruzione fabbricato mc. 4.000 x 300 €/mc. = € 1.200.000,00 Il Capitale Assicurato è inferiore al valore del fabbricato quindi il danno sarà
indennizzabile con l’applicazione della regola proporzionale. Quindi se il danno accertato è € 1.000,00, si avrà: € 1.000,00 (Danno) x € 1.000.000,00 (Cap. Ass.to) = € 833,33 € 1.200.000,00 (Val. Fabbr.) L’importo indennizzabile (€ 833,33) sarà quindi inferiore al danno subito (€
1.000,00).
7.3.5 - E nel caso di coassicuratrici Accade talvolta che, per lo stesso condominio, sono prestate due o più polizze G.F. In questo caso, la liquidazione del danno non sarà raddoppiata, triplicata e così via,
ma il danno quantificato dal perito, sarà ripartito in quota tra le due o più Compagnie che prestano i contratti assicurativi. 7.3.6 - In caso di disaccordo? Non sempre ciò che il perito in fase di accertamento del danno valuta, viene
accettato dall’amministratore o dal condomino danneggiato. In caso di disaccordo, il contratto assicurativo prevede la “Clausola Compromissoria”. Vale a dire che, se emerge disaccordo, il condominio dovrà nominare un perito di parte che, si confronterà con il perito della Compagnia e, qualora il disaccordo dovesse persistere, i due periti provvederanno a nominare un Terzo Perito Arbitro, che deciderà sulla
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controversia. Il Terzo Perito Arbitro sarà nominato congiuntamente dai periti delle parti o dal
Tribunale. Tutto ciò per i danni inerenti la Garanzia diretta. Per i danni da R.C., si dovrà
procedere con un classico contenzioso giudiziario. 7.3.7 – Franchigie e scoperti Alcune garanzie, vengono prestate con franchigia e/o scoperto. La franchigia è un importo fisso di danno che l’assicurato decide di tenere a proprio
carico, così come lo scoperto è una percentuale (del danno o del capitale assicurato) che rimarrà a carico dell’assicurato. In particolare, la franchigia andrà detratta dall’importo indennizzabile a termine di
polizza, e dovrà essere quindi recuperata da parte del danneggiato, facendone eventuale richiesta al responsabile del sinistro. Come già riferito è un importo fisso che potrà variare a seconda della garanzia
prestata e del tipo di contratto. Lo scoperto sarà detratto in forma percentuale rispetto al danno subìto (10% -‐ 20%
-‐ 25% a seconda delle disposizioni contrattuali), o in forma percentuale, rispetto al capitale assicurato. Talvolta lo scoperto è previsto con franchigia minima. Un esempio di scoperto percentuale con franchigia minima: “garanzia acqua
condotta prestata con scoperto del 10% del danno, col minimo di euro 500,00”. In caso di danno accertato pari a euro 3.000,00, risultando lo scoperto percentuale
pari al 10% di euro 3.000,00 (pari quindi a euro 300,00) si applicherà la franchigia minima di euro 500,00. In caso di danno pari a euro 6.000,00 lo scoperto sarà pari al 10% di euro 6.000,00
superiore quindi alla franchigia minima di euro 500,00 e si applicherà dunque lo scoperto di euro 600,00. 7.3.8 - La prescrizione Infine un breve cenno sulla prescrizione. Un danno si ritiene prescritto, e quindi si perde il diritto al risarcimento, qualora
per oltre due anni, la pratica rimane ferma e l’amministratore non si fa parte diligente ad inviare una lettera raccomandata A.R. alla Compagnia, che abbia valore di comunicazione che interrompe i termini della prescrizione. Ciò sempre per quanto attiene la Garanzia diretta. Per i danni da R.C., la prescrizione decade dopo cinque anni dall’evento.
**** *** **** Un piccolo monito agli amministratori condominiali in formazione: è preferibile
stipulare contratti assicurativi annuali (come per ogni fornitura di servizi, d'altro canto), salvo espresse indicazioni da parte della assemblea di condominio. Ciò, oltre a rispondere con rigore ai limiti temporali del mandato professionale
amministrativo (aspetto fondamentale, ad avviso di chi scrive), anche per permettere, alla naturale scadenza del contratto, di ridiscutere unitamente alla assemblea condominiale preventivi di varie compagnie assicurative valutandone la convenienza.
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MODULO N. 8
La privacy (Sarah Pacetti)
Privacy Parola inglese, con significati mutevoli che nella nostra lingua può essere resa con "
riservatezza ". Con tale parola indichiamo il nostro diritto di controllare l'uso e la circolazione dei
nostri dati personali. Dato " Dato " può essere inteso come sinonimo di " informazione " e comprende qualsiasi
elemento di scrittura, di suono, di immagine che abbia un contenuto informativo (Alberto Zucchetti. " Privacy. Problemi e casi pratici " Giuffrè Editore, pag. 117). I dati personali La definizione di" dato personale " è molto ampia. E' " dato personale " qualsiasi informazione che riguardi persone, società, enti,
associazioni identificati o che possano essere identificati anche attraverso altre informazioni (ad esempio
attraverso un numero o un codice identificativo). Sono dati personali : nome, cognome, denominazione, indirizzo o sede, codice
fiscale, ma anche una foto, la registrazione della voce di una persona, la sua impronta vocale o digitale. Difatti la persona può essere identificata anche attraverso altre informazioni, ad esempio associando la
registrazione della voce della persona alla sua immagine, oppure alle circostanze in cui la registrazione è stata effettuata : luogo, ora, situazione (Garante per la protezione dei dati personali. " Glossario minimo della protezione dei dati ", pag. 3). In altre parole è " dato personale " una qualunque informazione attraverso la quale
una persona è identificata o identificabile, anche indirettamente. Giova evidenziare che tra i dati personali rientrano senz'altro anche le immagini e i
suoni, trattandosi di elementi tramite i quali è possibile identificare una persona. Questo è un aspetto molto importante per gli amministratori di immobili perché, come vedremo meglio in prosieguo, nel predisporre un sistema di videosorveglianza deve essere rispettato il codice sulla privacy. In proposito il Garante della privacy infatti ha tenuto a chiarire in modo molto
rigoroso che la normativa sulla privacy : " è senz'altro applicabile anche ai trattamenti di suoni ed immagini effettuati attraverso sistemi di videosorveglianza, a prescindere dalla, circostanza che tali informazioni siano eventualmente registrate in un archivio elettronico, o comunicate a terzi, dopo il loro temporaneo monitoraggio in un circuito di controllo ". (Pareri del Garante del 17/12/1997, 28/5/1998, 23/3/1999,21/10/1999,29/11/2000).
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I dati sensibili Tra i dati personali sono ricompresi e meritano particolare attenzione i " dati
sensibili ", così definiti dalla lettera d), comma 1 dell'art. 4 del decreto legislativo 196/2003. Sono dati sensibili i dati idonei a rivelare : " l'origine razziale ed etnica, le
convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni ad organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. I dati sensibili sono informazioni personali particolarmente delicate e
potenzialmente in grado di procurare un danno agli interessati in caso di loro trattamento. Quindi sono i dati ai quali occorre prestare la maggior attenzione in caso di loro
trattamento. E' opportuno anche aggiungere che, mentre i dati personali non sono esattamente
individuati dalla legge, la quale si limita a dare una spiegazione generica, i dati sensibili sono esclusivamente e tassativamente quelli sopra indicati. I dati giudiziari Sono i dati personali idonei a rivelare provvedimenti giudiziari soggetti ad
iscrizione nel casellario giudiziale (provvedimenti penali di condanna definitivi, liberazione condizionale, divieto od obbligo di soggiorno, le misure alternative alla detenzione), di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la, qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale. Trattamento E' qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza 1'ausilio
di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modifica, la selezione, l'estrazione, il confronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distribuzione di dati, anche se
non registrati in una banca dati. Consenso Il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è
ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato. a-‐ Il consenso può riguardare l'intero trattamento ovvero una o più operazioni dello
stesso. b-‐ II consenso è validamente prestato solo se è espresso liberamente e
specificatamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se è documentato per iscritto, e se sono state rese dall'interessato le informazioni di cui all'art. 13 (Codice della Privacy). c-‐ II consenso è manifestato in forma scritta quando il trattamento riguarda dati
sensibili. Autorizzazione E' il provvedimento con il quale il Garante autorizza Pente, l'azienda, il libero
professionista a trattare determinati dati sensibili o giudiziari.
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Diffusione E' il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque
forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione. Comunicazione Comunicazione vuol dire mettere uno o più soggetti determinati (e che ovviamente
non siano l'interessato) a conoscenza di dati personali in qualunque forma, anche attraverso la loro messa a disposizione o consultazione. Misure minime di sicurezza E' il complesso delle misure tecniche, informatiche, organizzative, logistiche e
procedurali di sicurezza che configurano il livello minimo di protezione richiesto in relazione ai rischi previsti all'art. 31 (Cod. Privacy), che si riporta. qui di seguito : Art. 31 -‐ I dati personali oggetto di trattamento sono custoditi e controllati anche in
relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, alla natura dei dati e alle specifiche caratteristiche del trattamento, in modo da ridurre al minimo, mediante l'adozione di idonee e preventive misure di sicure!Ra, i rischi di distrazione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta. 8.1- L'amministratore di immobili quale libero professionista Regole generali per il trattamento dei dati Volenti o nolenti, consapevoli oppure no, tutti noi, nessuno escluso, è direttamente
coinvolto dalla normativa per la tutela della privacy. Siamo coinvolti sia come cittadini destinatari della tutela, sia come soggetti tenuti al
rispetto delle disposizioni di legge nell'esercizio di qualsiasi nostra attività. E' un dato di fatto oggettivo, una realtà incontrovertibile, con la quale dobbiamo
rapportarci sempre Come accennato poco sopra, in questa sede ci interessa porre l'accento su quale sia il riflesso che l'introduzione del Codice della Privacy ha sulla figura dell'amministratore di immobili inteso quale libero professionista, titolare di uno studio professionale e quindi su quali siano le " misure di sicurezza " che l'amministratore di immobili deve adottare come qualsiasi altro professionista. Una prima considerazione apparentemente banale è che l'amministratore, come
qualsiasi altro professionista, nello svolgimento della sua attività inevitabilmente viene in contatto e tratta informazioni, classificabili quali " dati ". Quasi sempre l'amministratore avrà a che fare con dati comuni e dati personali,
tuttavia in astratto non si può escludere che in casi particolari ed eccezionali l'amministratore debba maneggiare dati sensibili e dati giudiziari. Orbene, nel settore privato, nel quale rientra l'attività di amministratori di
immobili, la regola generale è il trattamento dei dati previa informativa e previo consenso dell'interessato (A. Ciccia e S. Fumagalli, Privacy -‐ Guida agli adempimenti, Indicitalia Ipsoa., pag. 15). Questa regola generale deve essere sempre tenuta presente. L'informativa, orale o scritta deve essere idonea a far conoscere all'interessato della
identità del titolare del trattamento e della sua organizzazione, delle caratteristiche del trattamento e dei diritti attribuiti dal Codice della Privacy (cfr. A. Ciccia e S. Fumagalli, opera citata). A riguardo occorre avere sempre ben presente che:
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a) per il trattamento di dati diversi da quelli sensibili occorre ottenere un preventivo consenso espresso, documentato per iscritto, seppure esistono delle eccezioni, tassativamente previste dal Codice, per le quali non è necessario il consenso dell'interessato. b) per trattare i dati sensibili ci vuole il consenso espresso dell'interessato e in più
ci vuole anche l'autorizzazione del Garante. Appare evidente, come detto sopra, che gli amministratori di immobili, salvo casi
rari, non avranno occasione di trattare dati sensibili nell'esercizio della loro attività. Peraltro, laddove dovesse capitare, è chiaro che anche gli amministratori saranno
tenuti, come qualsiasi altro soggetto privato, a chiedere la specifica autorizzazione al Garante. Viceversa, nell'esercizio della. sua attività professionale, vi sarà sempre il
trattamento da parte dell'Amministratore di immobili di dati personali. E' logico e inevitabile : basti pensare a quante volte ogni giorno l'amministratore di
immobili deve trattare informazioni quali nome, cognome, denominazione, indirizzo o sede, codice fiscale sia dei condomini che degli eventuali conduttori, sia dei fornitori. Tutti questi dati, come abbiamo visto, sono a tutti gli effetti dati personali, tutelati dal Codice della Privacy. Pertanto sono le corrette modalità per il trattamento di questi dati che toccano
molto da vicino l'amministratore e che cercheremo di esaminare più nel dettaglio. Il trattamento dei dati personali Art. 23 (Consenso) del Codice: 1) Il trattamento dei dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è
ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato. 2) Il consenso può riguardare l'intero trattamento ovvero una o più operazioni
dello stesso. 3) Il consenso è validamente prestato solo se è espresso liberamente e
specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se è documentato per iscritto, e se sono state rese all'interessato le informazioni dell'art. 13. 4) Il consenso è manifestato in forma scritta quando il trattamento riguarda dati
sensibili. La prima considerazione da farsi è che la norma in oggetto esclude la possibilità del
consenso presunto (cfr, conforme: Privacy, Guida agli Adempimenti, A. Ciccia -‐ S. Fumagalli, op. cit.). Altro elemento certo è che per i dati sensibili e giudiziari il consenso deve essere
scritto, per gli altri dati deve essere sempre espresso. Il problema è il significato delle parole " se è documentato per iscritto ". Che cosa vuol dire che il consenso è validamente prestato " se è documentato per
iscritto "? Che differenza c'è tra la forma scritta prevista obbligatoriamente per il consenso
relativo ai dati sensibili e la documentazione per iscritto prevista per il consenso relativo ai dati personali diversi da quelli sensibili ? Una risposta certa non è stata rintracciata. Nel dubbio di un'interpretazione cavillosa, il suggerimento, per avere la massima
tranquillità sarebbe, ovviamente, quello di farsi dare sempre il consenso scritto da parte dell'interessato, ma è chiaro che così facendo si annullerebbe lo scopo della norma che è di differenziare il sistema di trattamento dei dati sensibili (più delicati e importanti) dagli altri dati personali.
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L'art. 24 del Codice è molto importante perché stabilisce una serie di eccezioni, volte a semplificare (e di molto) l'attività professionale dei privati e degli enti pubblici economici, indicando i casi nei quali può essere effettuato il trattamento dei dati personali diversi da quelli sensibili senza il consenso. Come è ovvio la norma in questione detta la regola generale. E' compito poi dell'interprete valutare se il caso concreto rientra nella astratta
fattispecie normativa. Delle varie ipotesi di esclusione astrattamente previste dall'art. 24, l'attività dell'amministratore di immobili potrebbe fondatamente essere annoverata tra quelle disciplinate al punto b dell'articolo citato, in forza del quale il consenso non è richiesto quando il trattamento "è necessario per eseguire obblighi derivanti da un contratto del quale è parte l'interessato o per adempiere, prima della conclusione del contratto, a specifiche richieste dell'interessato ”. Infatti pare fondato ritenere che l'amministratore tratti i dati personali dei
condomini nell'esercizio del (contratto di) mandato professionale ricevuto dall'assemblea dei condomini, nell'interesse dei condomini stessi. Per cui siamo dell'avviso che l'amministratore non sia tenuto a raccogliere il
consenso espresso dei condomini per il trattamento dei loro dati personali diversi da quelli sensibili, in quanto Fattività professionale dell'amministratore rientra tra quelle che beneficiano dell'esclusione di cui al punto b) dell'art. 24. In tema di condominio una non recente pronuncia del Garante (pronuncia del
19/5/2000) ha chiarito che " per quanto riguarda la normativa sulla protezione dei dati personali, i condomini devono essere considerati contitolari di un medesimo trattamento di dati di cui l'amministratore ha la concreta gestione; tale contitolarità rende lecita per ciascun condomino la conoscenza dei dati raccolti ed utilizzabili correntemente presso il condominio per le finalità riconducibili alla disciplina dettata dagli artt. 1117 e ss. del C. C. ". La pronuncia in questione è utile laddove precisa che ciascun condomino è
contitolare di un unico trattamento e quindi conferma il diritto per ciascun condomino di conoscere tutti i dati raccolti e necessari per la gestione del condominio. In ogni caso il punto da sottolineare è che sempre il trattamento dei dati personali
deve avvenire nel rispetto di quanto statuito dall'art. 11 del decreto legislativo n. 196/ 2003, "Codice in materia di protezione dei dati personali ". E' opportuno quindi rammentare il disposto del citato art. 11, il quale prevede
espressamente che i dati personali siano : a) trattati in modo lecito e secondo correttezza ; b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre
operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi ; c) esatti e, se necessita, aggiornati ; d) pertinenti, completi, non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti
e successivamente trattati ; e) conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un
periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati. Di sicuro possono apparire come regole generiche, ma secondo le finalità perseguite
dal Legislatore tutti noi professionisti, ogni qualvolta trattiamo dei dati personali, dobbiamo porci il problema se il nostro uso e conservazione dei dati personali siano conformi alle direttive dell'art. 11 sopracitato.
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Il trattamento dei dati sensibili Il Garante autorizza i liberi professionisti a trattare i dati sensibili di cui all'art. 4,
comma 1, lettera d), del Codice, secondo le prescrizioni di seguito indicate. Prima di iniziare o proseguire il trattamento, i sistemi informativi ed i programmi
informatici sono (debbono essere) configurati riducendo al minimo l'utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l'interessato solo in caso di necessità, in conformità all'art. 3 del Codice. Con il provvedimento n.4/2004 (G.U. n. 190 del 14/8/2004) il Garante per la
protezione dei dati personali ha emanato un'autorizzazione generale per trattare i dati sensibili di cui all'art. 4, comma 1, lettera d del Codice, autorizzazione che si riporta: " l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni ad organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale ". Tale autorizzazione riguarda esclusivamente " i liberi professionisti iscritti in albi o
elenchi professionali". Sono equiparati ai liberi professionisti i soggetti iscritti nei corrispondenti albi o elenchi speciali istituiti anche ai sensi dell'art. 34 del regio decreto-‐legge 27 novembre 1933, n. 1578 e successive modificazioni ed integrazioni, recante l'ordinamento della professione di avvocato. L'autorizzazione è rilasciata anche ai sostituti e agli ausiliari che collaborano con il
libero professionista ai sensi dell'art. 2232 del Codice civile, ai praticanti e ai tirocinanti presso il libero professionista, qualora tali soggetti siano titolari di un autonomo trattamento o siano contitolari del trattamento effettuato dal libero professionista. Pertanto questo è un ulteriore caso nel quale la mancanza di un albo o registro
costituisce un ingiusto svantaggio per gli amministratori di immobili rispetto alle altre categorie di professionisti. Peraltro, come già accennato, i casi nei quali l'amministratore di immobili debba
trattare dati sensibili sono un'eccezione rara, per cui, almeno in base alle nozioni di cui disponiamo al momento, possiamo per ora accantonare la minuziosa e complessa problematica del come trattare i dati sensibili. Il trattamento dei dati sensibili può essere effettuato ai soli fini dell'espletamento di
un incarico che rientri tra quelli che il libero professionista può eseguire in base al proprio ordinamento professionale. Il trattamento dei dati sensibili deve essere effettuato unicamente con logiche e
mediante forme di organizzazione dei dati strettamente indispensabili in rapporto all'incarico conferito dal cliente. Resta ferma la facoltà del libero professionista di designare quali responsabili o
incaricati del trattamento i sostituti, gli ausiliari, i tirocinanti e i praticanti presso il libero professionista, i quali, in tal caso, possono avere accesso ai soli dati strettamente pertinenti alla collaborazione ad essi richiesta. I dati sensibili possono essere conservati per un periodo di tempo non superiore a
quello strettamente necessario per adempiere agli incarichi conferiti. A tal fine, anche mediante controlli periodici, deve essere verificata la stretta
pertinenza, non eccedenza ed indispensabilità dei dati rispetto agli incarichi in corso, da instaurare o cessati, anche con riferimento ai dati che l'interessato fornisce di propria iniziativa. I dati che, a seguito delle verifiche, risultano eccedenti o non
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pertinenti o non indispensabili non possono essere utilizzati, salvo che per l'eventuale conservazione, a norma di legge, dell'atto o del documento che li contiene. I dati sensibili possono essere comunicati e ove necessario diffusi, a soggetti
pubblici o privati, nei limiti strettamente pertinenti all'espletamento dell'incarico conferito e nel rispetto, in ogni caso, del segreto professionale. Tuttavia teniamo ancora una volta a sottolineare che l'art. 37 (Notificazione del
trattamento) posto sotto il Titolo VI ( Adempimenti ) del Codice della Privacy non indica " chi " deve notificare al Garante il trattamento dei dati personali ( generico ) per i quali deve operare, cioè non indica quali categorie debbano adempiere, bensì contiene un elenco complesso, variegato e generico di categorie di " dati " assoggettati al regime della notificazione. Misure minime di sicurezza Le misure minime di sicurezza sono disciplinate sotto il Capo II, artt. 33, 34, 35 e 36
del Codice. Peraltro, prima di esaminare il contenuto di tali norme è forse opportuno cercare di
dare una risposta ad un problema pratico operativo che " tormenta " gli amministratori di immobili. Questi debbono predisporre il cosiddetto " Documento programmatico per la
Sicurezza " comunemente chiamato DPS ? Come più volte sottolineato anche su questo aspetto la legge non dà risposte certe,
ma deve essere interpretata. A nostro avviso gli amministratori non debbono predisporre tale documento,
perché " il documento programmatico per la sicurezza è obbligatorio a condizione che ricorrano due requisiti : 1) trattamento di dati sensibili o giudiziari; 2) che tali trattamenti avvengano mediante strumenti elettronici (parere del Dott. Alessandro Colaprisco, dell'Ufficio del Garante). Riteniamo corretta e coerente con lo spirito della legge tale interpretazione, in
quanto dall'esame del combinato disposto dell'art.34 lettera G, e dell'allegato B punto 19 emerge chiaro come l'obbligo di predisporre il DPS sia stato volutamente limitato dal legislatore in capo ai titolari del trattamento dei dati sensibili ( cfr. A Ciccia -‐ S. Fumagalli, op. cit. pag. 165). Peraltro vale sempre l'avviso che a tale obbligo è invece tenuto l'amministratore
che dovesse trattare dati sensibili c/o giudiziari mediante strumentazione elettronica. Chiarito quanto sopra, in buona sostanza in che cosa consistono le misure minime
da adottare per la protezione dei dati personali ? Orbene non possiamo che concordare con quanto scritto, con acuta sintesi, dall'Avv.
Gian Vincenzo Tortorici, il quale, nella sua relazione del 26 aprile 2005, ha ottimamente sottolineato che " le precauzioni da prendere consistono nel ridurre al minimo il rischio che i dati trattati possano : a) essere distrutti o persi, anche a causa di eventi accidentali ; b) essere letti o utilizzati in modo improprio da persone non autorizzate . Ne consegue che l'accesso al computer deve essere protetto da una password
avente lunghezza minima di otto caratteri, la password non deve contenere riferimenti riconducibili in qualsiasi modo all'incaricato del trattamento, deve essere mantenuta segreta e, quindi, non deve essere comunicata a nessuno e deve essere cambiata ogni sei mesi ". Per quanto concerne i documenti cartacei si deve operare in modo che questi non
possano essere letti o copiati da terzi estranei.
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Inoltre dobbiamo sottolineare che l'art. 35 lettera c) prevede che per la conservazione di documenti cartacei debbano essere adottate procedure per la conservazione di determinati atti in archivi ad accesso selezionato e disciplina delle modalità di accesso finalizzata all’identificazione degli incaricati. Quindi i documenti debbono essere conservati in armadi o archivi chiusi a chiave, e
la chiave deve essere controllata dal titolare del trattamento (amministratore): niente più carte, fascicoli, documenti accessibili a chiunque entri nel nostro studio. La videosorveglianza E' lecito installare apparecchiature di videosorveglianza a tutela del singolo purché
le immagini raccolte non vengano rese note a terze persone, purché inquadrino esclusivamente l'accesso alla singola abitazione e purché sussistano le effettive e concrete situazioni di pericolo che costituiscono presupposti di liceità della stessa installazione (art.5, comma 3 del Codice). Nel caso di installazione di apparecchi di videosorveglianza da parte del
condominio ci sono due condizioni preliminari: a) che sussistano effettive e concrete situazioni di pericolo per la sicurezza di persone o beni; b) la preventiva valutazione di inadeguatezza di altri sistemi di protezione quali cancelli, allarmi, porte blindate che siano stati già adottati. In questo caso è necessario informare le persone che possono essere riprese attraverso l'affissione di un cartello posto all'ingresso degli spazi condominiali. Il Garante ha comunque sollecitato il rispetto del principio di proporzionalità fra
mezzi impiegati e fini perseguiti. (Provvedimento del 29 aprile 2004 reperibile sul sito dell'Autorità www.garanteprivacy.it). La tematica è stata esaminata da questa Autorità per i profili di sua competenza,
ovvero per quanto riguarda la liceità e la correttezza del trattamento di dati personali. In presenza di una crescente utilizzazione di impianti di videosorveglianza da parte
di molti soggetti pubblici e privati, il Garante, nell'attesa di una specifica legislazione, reputa necessario sintetizzare gli adempimenti, le garanzie e le tutele già necessari in base alle norme vigenti, per facilitarne la, conoscenza da parte degli operatori interessati. Le regole di base della disciplina sul trattamento dei dati personali, infatti, sono già
applicabili alle immagini ed ai suoni, qualora le apparecchiature che li rilevano permettano di identificare, in modo diretto o indiretto, i soggetti interessati. Chi intende svolgere attività di videosorveglianza deve quindi osservare almeno le
seguenti cautele (decalogo delle regole per non violare la privacy), rispettando comunque il principio di proporzionalità tra mezzi impiegati e fini perseguiti: 1 -‐ Tutti gli interessati devono determinare esattamente le finalità perseguite
attraverso la videosorveglianza e verificarne la liceità in base alle norme vigenti. Se l'attività è svolta in presenza di un pericolo concreto o per la prevenzione di specifici reati, occorre rispettare le competenze che le leggi assegnano per tali fini solo a determinate amministrazioni pubbliche, prevedendo che alle informazioni raccolte possano accedere solo queste amministrazioni. 2 -‐ Il trattamento dei dati deve avvenire secondo correttezza e per scopi
determinati, espliciti e legittimi (art. 9, comma 1, lett. A) e b), legge 675/1996). 3 -‐ Nei casi in cui la legge impone la notificazione al Garante dei trattamenti di dati
personali effettuati da determinati soggetti (art. 7 legge 675/1996), questi devono indicare fra le modalità di trattamento anche la raccolta di informazioni mediante apparecchiature di videosorveglianza. Non è prevista alcuna altra forma di specifica comunicazione o richiesta di autorizzazione al Garante.
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4 -‐ Si devono fornire alle persone che possono essere riprese indicazioni chiare, anche se sintetiche, che avvertano della presenza di impianti di videosorveglianza, fornendo anche le informazioni necessarie ai 13 sensi dell'art. 10 della legge n. 675/1996. Ciò è tanto più necessario quando le
apparecchiature non siano immediatamente visibili. 5 -‐ Occorre rispettare scrupolosamente il divieto di controllo a distanza dei
lavoratori e le precise garanzie previste al riguardo (art. 4 legge 300/1970). 6 -‐ Occorre rispettare i principi di pertinenza e di non eccedenza, raccogliendo solo i
dati strettamente necessari per il raggiungimento delle finalità perseguite, registrando le sole immagine indispensabili, limitando l'angolo visuale delle riprese, evitando -‐ quando non indispensabili -‐ immagini dettagliate, ingrandite o dettagli non rilevanti, e stabilendo in modo conseguente la localizzazione delle telecamere e le modalità di ripresa. 7 -‐ Occorre determinare con precisione il periodo di eventuale conservazione delle
immagini, prima della loro cancellazione, e prevedere la loro conservazione solo in relazione ad illeciti che si siano verificati o ad indagini delle autorità giudiziarie o di polizia. 8 -‐ Occorre designare per i iscritto i soggetti -‐ responsabili ed incaricati del
trattamento dei dati (artt. 8 e 9 della legge 675/1996) -‐ che possono utilizzare gli impianti e prendere visione delle registrazioni, avendo cura che essi accedano ai soli dati personali strettamente necessari e vietando rigorosamente l'accesso di altri soggetti, salvo che si tratti di indagini giudiziarie o di polizia. 9 -‐ I dati raccolti per determinati fini (ad esempio, ragioni di sicurezza, tutela del
patrimonio) non possono essere utilizzati per finalità diverse o ulteriori (ad esempio pubblicità, analisi di comportamenti di consumo), salvo le esigenze di polizia o giustizia, e non possono essere diffusi o comunicati a terzi. 10 -‐ I particolari per la rilevazione degli accessi dei veicoli a centri storici e alle zone
a traffico limitato devono essere conformi anche alle disposizioni contenute nel D.P.R. 250/1999. E' altresì necessario che la relativa documentazione sia conservata per il solo periodo necessario per contestare le infrazioni e definire il relativo contenzioso e che ad essa si possa, inoltre, accedere solo ai fini di indagine giudiziaria o di polizia. Per gli impianti di videosorveglianza finalizzati esclusivamente alla sicurezza
individuale (ad esempio il controllo dell'accesso alla propria abitazione) si ricorda che questi non rientrano nell'ambito dell'applicazione della legge 675/1996, ricorrendo le condizioni di cui all'art. 3. Occorre, però, che le riprese siano strettamente limitate allo spazio antistante tali
accessi, senza forme di videosorveglianza su aree circostanti e senza limitazioni delle libertà altrui. Occorre, inoltre, che le informazioni raccolte non siano in alcun modo comunicate o
diffuse. Altrimenti si rientra nell'ambito di applicazione generale della legge 675/1996 e
devono, quindi, essere rispettate tutte le indicazioni di cui ai punti precedenti. In piena osservanza della Tutela al diritto alla privacy giova ricordare che le
immagini sono conservate in luogo non accessibile a terzi salvo al Responsabile del trattamento, che le immagine devono essere cancellate entro le 24 ore alla registrazione -‐ fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a indagini -‐ e che le stesse possono essere visibili sono in casi di reati su richiesta dell’Autorità Giudiziaria.
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Inoltre, va sottolineato che i dati relativi al trattamento di videosorveglianza, devono essere protetti da idonee e preventive misure di sicurezza, riducendo al minimo i rischi di distruzione, perdita, anche accidentale, di accesso non autorizzato o trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta. Le "misure minime di sicurezza" sono obbligatorie anche sul piano penale. Il titolare del trattamento che si avvale di un soggetto esterno deve ricevere dall’installatore una descrizione scritta dell’intervento effettuato che ne attesti la conformità alle regole in materia. Tra le misure di sicurezza che devono essere adottate: -‐ locali con accesso protetto da badge -‐ armadi chiusi a chiave per la custodia dei supporti -‐ sistemi di controllo accessi (user-‐id, password) per visionare le registrazioni -‐ diversi profili di autorizzazione per accedere alla visione delle immagini registrate
(ad esempio: per manutentore, per responsabile del trattamento, per forze di polizia) -‐ sistemi di cifratura delle registrazioni. In merito al quorum deliberativo per gli impianti di videosorveglianza delle aree
condominiali l’Art. 1122-‐ter. -‐ (Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni) – testualmente recita: “Le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136”, pertanto, le delibere per essere valide devono essere approvate con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio.
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Lettera di incarico ad un collaboratore per il trattamento dei dati personali
ai sensi del D. Lgs. 196/2003 Io sottoscritto ..... quale amministratore del condominio di Via ... ai sensi del D. Lgs.
196/2003 (Codice in materia di trattamento dei dati personali), autorizzo il sig. …... al trattamento del dati personali dei condomini in possesso dello studio. Premesso che: • il trattamento dei dati personali deve essere svolto nel rispetto del D.
Lgs.196/2003, secondo le prescrizioni dell'eventuale "Documento Programmatico sulla Sicurezza" e secondo le specifiche direttive impartite dal titolare o dall'eventuale responsabile del trattamento; • il trattamento dei dati personali è strumentale all'incarico affidato ad ogni
collaboratore dello studio di amministrazione condominiale; • il trattamento dei dati deve essere effettuato esclusivamente in ordine all'incarico
affidato al collaboratore; • al fine di un corretto e diligente trattamento del dati personali si impartiscono le
seguenti istruzione alle quali dovrà scrupolosamente attenersi; • i dati dei condomini conosciuti, acquisiti o utilizzati, nell'esercizio delle proprie
attività di competenza dovranno essere trattati in modo lecito e secondo correttezza; • è richiesta a ciascun collaboratore la massima riservatezza affinché i dati
personali siano esatti, aggiornati, pertinenti, completi e non eccedenti le finalità per cui sono stati raccolti e trattati in conformità al D. Lgs 196/2003; • i dati personali dei condomini dovranno essere conservati per il tempo
strettamente necessario ad adempiere agli obblighi contrattuali del mandato conferito allo studio e di legge; • ciascun collaboratore non potrà trattare dati sensibili senza il consenso
dell'interessato; • dovranno essere rispettati i diritti dell'interessato al trattamento secondo il
disposto degli artt. 7 e ss. del D. lgs 196/2003; • durante il trattamento dei dati dovrà adottarsi ogni precauzione idonea ad evitare
la visione, il possesso e l'utilizzo da parte di soggetti non autorizzati; • è tassativamente vietato l'utilizzo personale e comunque improprio dei dati di cui
trattasi; • ciascun collaboratore dichiara di aver preso visione e di rispettare le indicazioni
del "Documento Programmatico sulla Sicurezza" dello studio. Luogo e data L'amministratore II collaboratore per accettazione
( per gentile concessione dell’autore, Avv. Gian Vincenzo Tortorici, Pisa )
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Informativa ai sensi dell’art. 13 D. Lgs 196/2003 In ottemperanza al disposto dell'art. 13 del D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, io
sottoscritto ... Amministratore del condomini odi Via ... informo che i dati personali del condominio e dei condomini, sono raccolti al fine di: 1. adempiere agli obblighi contrattuali conseguenti alla nomina di amministratore
condominiale; 2. adempiere agli obblighi di legge (es. fatturazione, scritture e registrazioni
contabili obbligatorie, ecc.); 3. gestire i rapporti contrattuali con i clienti e fornitori del condominio
amministrato; 4. gestire eventuali contenziosi giudiziali e stragiudiziali. In relazione alle predette finalità, si comunica che il trattamento dei dati personali è
effettuato con l'ausilio di strumenti cartacei ed informatici, in modo da garantire la sicurezza e la riservatezza dei dati in osservanza del nuovo codice della privacy. La presente informativo è resa per i dati: a) raccolti direttamente presso l'interessato (art. 13, comma 1); b) raccolti presso terzi (art. 13, comma 4), in particolare presso il precedente
amministratore; c) pervenuti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque
(art. 24, comma 1, lett. c). II conferimento dei dati personali è indispensabile ai fini di adempiere agli obblighi
contrattuali assunti ed un eventuale diniego al trattamento dei dati comporterà l'impossibilità ad adempiere al mandato conferito ed ai conseguenti obblighi di legge. I dati personali non saranno diffusi. AI fine di adempiere agli obblighi di legge e
contrattuali, i dati potranno invece essere comunicati a: • collaboratori dello studio; • Poste s.p.a. o altre società di recapito di corrispondenza; • banche ed istituti di credito; • studi legali e tecnici; • compagnie di assicurazione e imprese di manutenzione solo in occasione di
sinistri e di riparazioni interessanti le proprietà esclusive; Non intercorrendo alcun rapporto contrattuale tra l'eventuale locatario/affittuario
e l'amministratore, lo studio tratterà i dati personali del conduttore solo previa autorizzazione scritta
dello stesso; in caso contrario ogni comunicazione e suddivisione delle spese condominiali avrà come unico referente il proprietario dell'immobile. Si informa inoltre che, ai sensi dell'art. 7 del D. Lgs 196/2003, l'interessato al trattamento dei dati ha diritto: I. di avere conferma, in modo intelligibile e gratuito, dell'esistenza o meno di dati
personali che lo riguardano; II. di essere informato sulle finalità e sulle modalità del trattamento, sul titolare,
sull'eventuale responsabile del trattamento, sui soggetti o categorie di soggetti ai quali i dati personali potranno essere comunicati; III. di ottenere l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse,
l'integrazione dei dati; IV. di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei
dati trattati in violazione di legge o dopo la cessata necessità di conservazione; V. di opporsi al trattamento per motivi legittimi;
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VI. di opporsi all'invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale . Titolare del trattamento è il sottoscritto amministratore. Responsabile del trattamento è il sig. ... Luogo e data L'amministratore
Per ricevuta II condomino
( per gentile concessione dell'autore, Avv. Gian Vincenzo Tortorici, Pisa)
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MODULO N. 9
Gli impianti condominiali (Pietro Barchi)
I fabbricati, nella loro componente muraria, sono strutture statiche. Per essere vissuti completamente e dare ai Condomini un uso confortevole e
pienamente godibile del bene gli immobili debbono essere completati con la presenza degli impianti. Gli impianti costituiscono la componente “viva” dei fabbricati: tutti i giorni ci
serviamo di acqua, energia elettrica, ascensore, fogne, riscaldamento, condizionamento dell’aria, televisione ed altro ancora. Spesso proprio dal malfunzionamento degli impianti nasce il contenzioso
condominiale. Riteniamo opportuno fare una panoramica sugli impianti di maggior rilievo al fine
di poter meglio comprendere il loro funzionamento e meglio rispondere alle problematiche condominiali. 9.1- IMPIANTI ELETTRICI
Scopo degli impianti elettrici in generale è quello di alimentare utenze e servizi. All’interno delle realtà condominiali gli impianti elettrici hanno inizio a valle dei misuratori di energia posti in opera dalle società erogatrici (ENEL, ACEA od altre). Le due classificazioni principali prevedono che l’energia venga utilizzata per :
a. Illuminazione (scale, giardini, locali di servizio); b. Forza motrice (ascensori, montacarichi, centrale termica, cancelli
automatici, pompe di circolazione, centralini per citofoni ecc.); La normativa relativa agli impianti elettrici si è sempre maggiormente indirizzata
verso la sicurezza degli impianti. Il riferimento normativo di maggior rilievo è stato rappresentato dalla L. 46/90 che
ha disciplinato le tipologie di materiali da usare ed i sistemi di realizzazione degli impianti. Sono così scomparsi per sempre i vecchi impianti realizzati con “filtubo” annegato
nelle murature, prese elettriche murate, tracciati non identificabili della rete elettrica ecc. La L. 46/90 ha inoltre imposto la qualificazione delle imprese ed assegnato loro la
responsabilità della realizzazione attraverso l’obbligo del rilascio della “Dichiarazione di conformità dell’impianto”. La L. 46/90 dopo numerose proroghe è stata vigente fino al 30 giugno 2006. I principi informatori della legge erano i seguenti:
1) Gli impianti debbono essere eseguiti a "regola d'arte" secondo la normativa vigente, usando materiali a norma; 2) I lavori d’installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione
straordinaria degli impianti in genere debbono essere affidati a ditte abilitate ed il cui responsabile tecnico possieda i requisiti tecnico professionali ufficialmente accertati; 3) II committente od il proprietario o l'amministratore è tenuto ad
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affidare i lavori di cui sopra alle sole ditte abilitate; 4) Per i lavori di una certa importanza è previsto un progetto redatto da
un professionista iscritto nel rispettivo albo professionale; 5) A lavori eseguiti la ditta esecutrice dovrà rilasciare una dichiarazione di
conformità alle norme di sicurezza e, qualora sia previsto, il progetto ed il certificato di collaudo.
Per dare continuità e rafforzamento alle direttive mirate alla sicurezza degli
impianti è stato poi emanato il D.M. 37 del 22 gennaio 2008, entrato in vigore dal 23 marzo 2008. In particolare, per uniformare la regolarità degli impianti è stata resa obbligatoria la
certificazione anche di quelli preesistenti con verifica da parte di tecnico abilitato. Il possesso della certificazione è basilare per il funzionamento del fabbricato e
l’amministratore dovrà curare la raccolta e conservazione dei certificati degli impianti. Per norma del DPR 22 ottobre 2001 n. 462 è obbligo di legge far verificare
periodicamente gl’impianti. 9.2- IMPIANTI CITOFONICI Scopo degli impianti “di citofono” è quello di mettere in comunicazione le singole
unità immobiliari con l’esterno del fabbricato. Fatto salvo quanto sopra detto per gl’impianti elettrici, gl’impianti citofonici
costituiscono una delle applicazioni maggiormente radicate all’interno dei condomini. Gli impianti videocitofoni aggiungono l'uso della telecamera fissa allo scopo di
vedere la persona con la quale si sta parlando. Gli impianti citofono sono molto diffusi sul territorio e ben noti a tutti, gli impianti
videocitofono sono meno diffusi molto probabilmente per un problema di costi. Riteniamo che presto gl’impianti di videocitofono avranno una più larga diffusione
per il prezioso servizio di vigilanza e controllo che attraverso di loro è possibile effettuare sull'ingresso di visitatori più o meno graditi all'interno dei condomini. Nuove tecnologie di posa in opera hanno semplificato la realizzazione di tali
impianti, abbassato i costi di realizzazione e facilitato la loro diffusione. 9.3- IMPIANTI DI VIDEOSORVEGLIANZA Scopo degl’impianti di videosorveglianza è quello di tenere sotto controllo video
alcuni punti ritenuti strategici dell’area condominiale. Il sistema di realizzazione è tecnicamente elementare in quanto comprende
semplicemente una telecamera ed un registratore a cassetta video per la conservazione delle immagini. 9.4- IMPIANTI ANTENNA TV Scopo degli impianti antenna TV è quello di permettere la ricezione dei segnali
provenienti e diffusi da stazioni fisse o mobili. Gli impianti di antenna TV hanno ormai diffusione su tutto il territorio nazionale,
spesso con più di un apparecchio servito all’interno della stessa unità immobiliare. Gli impianti d'antenna c'interessano solo nel caso siano " centralizzati" quando cioè
con una sola antenna sia servito l’intero condominio o singole scale. Questo sistema è largamente diffuso anche se non ha del tutto soppiantato quello
dell'antenna individuale altamente antiestetico. La prima distinzione è tra antenna terrestre ed antenna satellitare.
121
L’antenna terrestre ha costituito per anni l’unico sistema di ricezione, dalla nascita del sistema televisivo in Italia. L’antenna terrestre riceve il segnale da postazioni fisse collocate in punti strategici
del territorio e può essere utilizzata sia per ricevere il segnale “analogico” che quello “digitale”. L’antenna satellitare, di più moderna ed ormai larghissima diffusione, riceve il
segnale di tipo digitale dai satelliti, proprio per questo lanciati nello spazio, ed offre un segnale di migliore qualità. Le problematiche che possono sorgere nei condomini sono prevalentemente legate
al sistema di distribuzione del segnale proveniente dall’impianto, sia terrestre che digitale, alle singole unità immobiliari. I sistemi di distribuzione in uso sono infatti di due tipi:
• diretto; • a cascata;
Nel sistema “diretto” ogni unità immobiliare è servita con un cavo indipendente con
partenza dalla centralina di amplificazione; Nel sistema “a cascata” un unico cavo parte dalla centralina di amplificazione ed
entra ed esce dagli alloggi sovrapposti, lasciando in ciascuno una presa di collegamento TV. È intuitivo come il sistema a cascata sia quelle che determina più facilmente
disservizi (e conseguentemente tensioni tra i Condomini) e problemi per l’amministratore. Una piccola manomissione (anche involontaria ) da parte di un Condomino può
pregiudicare la qualità del segnale negli alloggi sottostanti. Il disservizio di cui sopra può alimentare , per insoddisfazione del servizio, il
proliferare di sistemi sia terrestri che satellitari individuali, in sovrapposizione ad impianti centralizzati esistenti. Certo è che la norma DPR 29.3.1973, art. 231 da facoltà di realizzare tali impianti
individuali in omaggio al principio del “diritto all’informazione”. È nostro parere che un impianto centralizzato nella ricezione e diretto nella
trasmissione del segnale sia la soluzione migliore sia ai fini del risparmio (per la suddivisione delle spese di manutenzione di antenne e centralini) sia ai fini estetici per evitare il proliferare di antenne TV sui fabbricati, sia sui tetti che sulle facciate. Riteniamo ed auspichiamo che con la completa copertura digitale del territorio
possa essere questa la soluzione, se non se ne troveranno di migliori. 9.5- IMPIANTI ELEVATORI Scopo degli impianti elevatori è quello di facilitare il trasporto in alto di persone e/o
cose. Gli impianti elevatori nascono come esigenza al momento in cui vengono realizzate,
nella moderna tipologia costruttiva, le abitazioni multipiano. Gli impianti elevatori possono essere al servizio di persone, definizione corrente
“ascensore”, o di cose, definizione corrente “montacarichi”. Dal punto di vista della realizzazione possono essere elettrici con trazione a funi od
oleodinamici. Gli ascensori con trazione a funi sono quelli più largamente diffusi e solitamente più
economici nella realizzazione. Gli ascensori sono costituiti fondamentalmente da un vano corsa, interno od
esterno alle murature, nel quale scorre una cabina porta persone, e da una “sala
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macchina”. Nella sala macchina, posta in alto rispetto al vano corsa, sono presenti le
apparecchiature per il funzionamento ed il controllo del servizio e quindi motore, argano, puleggia, funi di trazione, quadro elettrico ecc. Gli ascensori a funzionamento oleodinamico hanno invece un “pistone” che spinge
da sotto la cabina porta persone. Hanno una sala macchina di dimensioni ridotte rispetto a quella del sistema a funi e
non necessariamente disposta in asse con la cabina ascensore: è sufficiente che un compressore spinga l’olio nel pistone e che questo sollevi la cabina. Questa tipologia di ascensore è normalmente utilizzata per fabbricati non superiori
a tre piani. Riferimenti nornativi Per impianti di nuova realizzazione l’amministratore ha alcune incombenze dettate
dal D.P.R. 162/1999. Sostanzialmente deve compilare una modulistica indicata nella normativa
inviandola al Comune nel quale è istallato l’impianto, entro 10 giorni dal rilascio della “Dichiarazione di conformità”. Nella modulistica sono compresi dati tecnici ed amministrativi quali l’indirizzo
dello stabile, alcune caratteristiche quali velocità, numero di fermate , dati sul costruttore dell’impianto, sul manutentore e sul soggetto incaricato delle verifiche periodiche. Il Comune da parte sua assegnerà un numero di matricola da utilizzare in tutti i
rapporti futuri per l’immediata individuazione dell’impianto. Per impianti già in esercizio l’amministratore è tenuto, a far eseguire la
manutenzione ordinaria dell’impianto e le visite periodiche con cadenza biennale. La manutenzione ordinaria deve essere eseguita da “Ditta Abilitata” a norma della
46/90 e seguenti. Le visite periodiche devono essere eseguite da Enti preposti (ASL, ARPA, Enti
Notificati) ed hanno lo scopo di verificare il rispetto delle normative di sicurezza relative al funzionamento dei macchinari. Al termine della visita viene rilasciato un verbale che può essere con esito positivo,
positivo con prescrizioni, negativo. L’amministratore si attiverà per far eseguire gl’interventi di manutenzione
ordinaria e/o straordinaria, con le eventuali delibere assembleari, al fine di consentire ai condomini l’uso dell’ascensore nelle condizioni di piena sicurezza. 9.6- IMPIANTI IDRICI Scopo degli impianti idrici è quello di consentire la distribuzione dell’acqua
all’interno degli edifici. 9.6.1- Acqua ad uso potabile Scopo degli impianti idrici ad uso potabile è quello di garantire condizioni di
vivibilità ed igienico sanitarie ottimali per i residenti. All’interno delle realtà condominiali gl’impianti idrici hanno inizio a valle dei
misuratori posti in esercizio dalle Società erogatrici (ACEA od altre).
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Gli impianti interni sono formati da tubazioni, solitamente in acciaio zincato, che portano l'acqua alle diverse utenze, siano esse d'uso condominiale (lavatoi, bagno di portineria od altro) siano d'uso privato, cioè al servizio dei singoli appartamenti. La distribuzione nei singoli appartamenti ha subito in questi ultimi anni una
sostanziale trasformazione in quanto si è passati, quasi totalmente, dal sistema a "cassoni" a quello ad “acqua diretta” Nel primo caso si trattava di avere per ogni singola unità immobiliare un cassone
d'accumulo (200 -‐ 300 litri), posto nella parte alta del fabbricato, con funzione di riserva nel caso di mancanza d'erogazione; nel secondo caso si tratta di avere un allacciamento diretto all'acquedotto comunale, senza accumulo. Le motivazioni che hanno spinto a questa trasformazione sono, in modo prevalente,
di carattere igienico. I cassoni, infatti, non erano quasi mai perfettamente sigillati e quindi permettevano
il ristagno, al loro interno, di corpi estranei di varia natura (anche piccoli animali); inoltre il materiale solitamente usato per i cassoni era l’“eternit” che, come ormai sappiamo ampiamente, contiene fibre d'amianto che hanno sull'uomo effetti cancerogeni. Per motivi di praticità e di ricerca della maggiore garanzia igienica possibile, nella
quasi totalità dei casi nei quali erano presenti cassoni in eternit non si è proceduto alla sostituzione dei cassoni in eternit con altri (magari in polietilene od acciaio inox) , ma al cambio del sistema di distribuzione. Un piccolo accenno sulla contabilizzazione dei consumi: in ambedue i sistemi di
distribuzione (cassoni o diretta) è opportuno che ogni singola unità immobiliare abbia installato un contatore divisionale al fine di addebitare al singolo utente l'acqua effettivamente consumata. In caso d'assenza di tali contatori, ed in pendenza di un'eventuale delibera
assembleare che regoli la materia, il sistema di ripartizione più logico è quello "per millesimo di proprietà" e non "in parti uguali" o "per componente familiare" come a volte c'è capitato di vedere. Da molto tempo si è ormai diffuso il servizio di “lettura e riparto” da parte di ditte
specializzate. I costi del servizio sono generalmente abbastanza contenuti e per questo accettati
senza obiezioni da parte dei Condomini. Per l’amministratore un problema in meno. La manutenzione degli impianti idrici è praticamente nulla se non in caso di guasto
del contatore o foratura accidentale di una tubazione. 9.6.2- Acqua ad uso innaffiamento Scopo degli impianti d’innaffiamento è quello di garantire il mantenimento delle
condizioni ottimali delle aree verdi condominiali. Per motivi economici è opportuno che la fonte d'approvvigionamento dell'acqua sia,
ove possibile, un pozzo condominiale e non l'acquedotto fornitore di acqua potabile. La rete di distribuzione dell’acqua dovrà essere ben studiata al fine di permettere
un adeguato e razionale innaffiamento dei giardini, magari con sistema automatizzato. Sarà conveniente che tale rete , ovviamente passante a terra, sia realizzata con
tubazioni in polietilene, piuttosto che in acciaio, materiale che subisce facilmente il fenomeno dell’ossidazione. Vale la pena ricordare che per lo sfruttamento dei pozzi per innaffiamento esiste
l’obbligo della “Denuncia del pozzo” e del pagamento degli oneri a Provincia e Regione;
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9.6.3- Acqua ad uso antincendio Scopo degli impianti antincendio è quello di garantire condizioni di sicurezza nei
fabbricati avverso il pericolo d’incendio. Gli impianti idrici con funzione antincendio non sono molto diffusi , a livello
condominiale, in quanto la loro obbligatorietà è legata ad una particolare tipologia di fabbricato (per esempio altezza in gronda oltre 24 m.). Normalmente non hanno bisogno di manutenzione di nessun tipo. La distribuzione dell'acqua avviene con partenza da un contatore ad uso “dedicato”
e non promiscuo ad altri usi e terminale costituito da una serie di manichette e lance di erogazione, chiuse in apposite cassette. Gli impianti debbono essere soggetti a verifiche cadenzate per accertare la loro
efficienza. Nei casi di posteggi auto al coperto le normative di legge possono prevedere
l’installazione d'impianto antincendio. Nei casi in cui sia possibile usare degli estintori occorre avere cura di eseguirne la
manutenzione che consiste nella ricarica semestrale da parte di ditte specializzate. 9.7- IMPIANTI DI SCARICO Scopo degli impianti di scarico è quello di raccogliere acque meteoriche ed acque
residue dei servizi e convogliarle verso la rete fognaria comunale. Sono costituiti da una rete verticale e da una rete orizzontale. La rete verticale per la raccolta delle acque meteoriche è costituita dai cosiddetti
“pluviali”, tubazioni, in ferro,plastica o rame, che partendo dai terrazzi o lastrici solari raggiungono, con un percorso verticale, uno o più pozzetti di raccolta posti ai piedi del fabbricato. Il punto d’innesto nel terrazzo o lastrico solare prende il nome di “bocchettone”. La rete verticale per la raccolta delle acque di scarico dei servizi è costituita da
tubazioni, solitamente in ghisa, che raccolgono gli scarichi di lavorazione di bagni e cucine e li convogliano a dei pozzetti posti ai piedi del fabbricato. I problemi legati agli scarichi fognari sono molto sentiti nell'ambito condominiale
perché possono creare effetti di rigurgito per intasamento o cattivi odori permanenti. La soluzione può essere rappresentata da periodiche ispezioni ai pozzetti per
l'accertamento della non ostruzione dei condotti ed eventuale pulizia degli stessi a mezzo di sistemi tipo "canal-‐jet ". 9.8- IMPIANTI DI ESALAZIONE Scopo degli impianti di esalazione è quello di scaricare oltre la sommità del
fabbricato gli odori fisiologicamente prodotti da bagni e cucine. Per il mantenimento dello stato di efficienza di detti impianti è opportuno
verificare la cosiddètta rete di ventilazione (primaria e secondaria) per accertare che non abbia avuto modifiche od ostruzione in genere dal momento della sua realizzazione. 9.9- IMPIANTI TERMICI Scopo degli impianti termici è quello di modificare la temperatura degli ambienti , al
fine di renderla confortevole per lo svolgimento delle nostre attività. Gli impianti termici ai quali facciamo riferimento sono quelli di tipo “centralizzato”
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Gli impianti termici si possono distinguere in due prime grandi tipologie: a-‐ Impianti di riscaldamento dell’aria (fase invernale); b-‐ Impianti di condizionamento dell’aria (fase estiva).
9.10- IMPIANTI DI RISCALDAMENTO Descrizione degli impianti di riscaldamento e loro elementi:
Sistemi di realizzazione degli impianti: • a colonne montanti; • misto: a colonne montanti ed anello;
Elementi costituenti gli impianti;
• la centrale termica; • la rete di distribuzione; • i corpi scaldanti; • i componenti esterni
La centrale termica:
• caldaia; • bruciatore; • pompe di circolazione; • tubazioni; • rivestimenti atermici; • organi di regolazione e termoregolazione; • organi d'intercettazione; • gruppo d'alimentazione idrica; • sistema d'espansione; • trattamento dell'acqua d'alimentazione; • impianto elettrico; • canna fumaria;
La rete di distribuzione:
• tubazioni
I corpi scaldanti; • radiatori / termoventilatori , altro.
I Componenti esterni:
• canna fumaria; • serbatoio per combustibile.
Principali componenti la centrale termica
CALDAIA Lo scopo della caldaia è quello di produrre calore attraverso la fiamma ed i fumi per
trasferirlo al fluido da riscaldare. Nella maggior parte dei casi questo fluido è l'acqua che per gli impianti ad uso civile
è posta in circolazione allo stato liquido. In questo settore sotto lo stimolo delle crisi energetiche succedutesi nel tempo e
delle esigenze ecologiche sempre più sentite sono stati fatti in questi ultimi anni dei
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progressi notevolissimi. Il costo sempre più elevato dei combustibili ed eventuali prevedibili restrizioni che
si potrebbero avere in futuro, consigliano di non risparmiare in sede d'acquisto di queste macchine. Le caldaie oggi istallate sono del tipo ad “alto rendimento” ed è bene che abbiano
una notevole facilità di manutenzione e pulizia. Il problema della facilità di pulizia riveste grande importanza perché una caldaia,
anche ben costruita, cala di rendimento quando le pareti delle superfici di scambio sono ricoperte da incrostazioni di fuliggine. Una caratteristica importante che le caldaie debbono avere è quella dell'affidabilità
intesa come continuità di esercizio perché guasti in genere provocano notevoli disservizi sia nell'area industriale, per la regolarità dei processi. di lavorazione, sia nell'area civile, che in questa sede c'interessa, per le tensioni conseguenti all'interno dei condomini. Altra importante caratteristica è la sicurezza di funzionamento per evitare scoppi
od esplosioni, anche se esistono diversi dispositivi per rendere abbastanza sicuro un impianto termico ben progettato. Tra i dati caratteristici delle caldaie notiamo:
— la potenza termica al focolare, che indica la quantità di calore sviluppata, per ogni ora, nella camera di combustione;
— la potenza termica utile, che indica la quantità di calore effettivamente trasferita, per ogni ora, al fluido vettore. Questi dati sono riportati sulla targa della caldaia (più i valori sono vicini tra loro
migliore è il rendimento della caldaia). CLASSIFICAZIONE: Le caldaie normalmente installate per usi civili in impianti centralizzati sono caldaie
"a tubi di fumo" nelle quali i fumi, dopo aver lambito le pareti della camera di combustione, rimbalzano sul fondo della camera di combustione stessa e s'infilano all'interno dei fasci tubieri, esternamente lambiti dall'acqua che per trasferimento del calore dai fumi diventa acqua calda. I materiali usati per la costruzione di caldaie sono:
− acciaio; − ghisa.
Per studi legati al risparmio di energia (e conseguente risparmio economico) sono
in uso, oltre le caldaie ad alto rendimento, caldaie del tipo a “ temperatura scorrevole” e del tipo a “ condensazione”. Le caldaie a temperatura scorrevole hanno un funzionamento regolato dalla
richiesta termica dell’impianto e quindi dalle condizioni climatiche. In questo modo si ottiene una diminuzione delle perdite verso l’ambiente esterno
ed al camino, a bruciatore spento con conseguente risparmio economico. Le caldaie a condensazione hanno un rendimento percentualmente più alto rispetto
alle caldaie tradizionali anche se ad alto rendimento in quanto riutilizzano , per mezzo di uno scambiatore di calore, parte dei fumi prodotti dalla combustione per scaldare l’acqua che torna in caldaia dopo aver ceduto calore ai corpi scaldanti e quindi agli
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ambienti. Un impianto che dovesse nascere con caldaia del tipo a condensazione ha bisogno di
un’attenta progettazione ma garantirebbe, nel tempo, un risparmio economico rispetto ad un impianto tradizionale del quale ha certamente un maggior costo iniziale. Sostituire la sola caldaia a condensazione in un impianto realizzato per caldaia
tradizionale è intervento da affidare a Ditte qualificate per evitare che fenomeni di condensa possano in breve tempo deteriorare componenti dell’impianto. DA RICORDARE
Nelle caldaie è necessario che non manchi mai l'acqua. Occorre che l’acqua lambisca effettivamente le parti metalliche e non sia impedita
da incrostazioni calcaree. (Tali incrostazioni danneggiano sempre lo scambio termico e quindi il rendimento
della macchina e quando raggiungono grossi spessori possono anche provocare il surriscaldamento del metallo ed il suo collasso). Tutte le parti non sufficientemente raffreddate dall'acqua come i portelli ed i setti
per deviare i fumi devono essere protetti da materiali refrattari per evitare surriscaldamenti: anche in questo caso bisogna assicurarsi che lo stato del refrattario sia in perfetta efficienza. Per normativa è importante ricordare che quando la potenza necessaria a scaldare
l’edificio supera 350 kW occorre suddividere la potenza stessa su due generatori.
BRUCIATORE Lo scopo del bruciatore è quello di realizzare la combustione. Si definiscono bruciatori gli apparecchi che permettono di sprigionare dai
combustibili le loro energie. La combustione, infatti, non è che una reazione chimica tra il combustibile ed il
comburente: questa reazione è tanto più facilitata quanto più intimo è il contatto fra i due componenti la reazione. Il combustibile può essere gas o gasolio, il comburente è l’aria. La combustione deve assolutamente avvenire tutta nella camera di combustione
della caldaia perché poi i fumi, a contatto con le superfici di scambio si raffreddano e se la combustione non è stata totale si ha la formazione d'incombusti e di fuliggine. Incombusti e fuliggine si formano ovviamente anche se l'aria di combustione è
scarsa; tuttavia l'aria di combustione non deve neppure essere eccessiva per non andare incontro ad un abbassamento di rendimento , in quanto i fumi ancora troppo caldi e non “sfruttati” verrebbero incanalati troppo velocemente verso la canna fumaria.
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DA RICORDARE
Nei bruciatori si deve realizzare la perfetta miscelazione tra il combustibile
ed il comburente. Deve esistere e mantenersi un rapporto costante e sicuro fra combustibile
e comburente. La lunghezza della fiamma deve essere regolabile e comunque tale da
rimanere sempre nella camera di combustione.
Potere Calorifico Inferiore (p.c.i.) Tipo di combustibile p.c.i. espresso in
Kcal/Kg Legname 3.500/4.000 Torbe 4.000/4.500 Lignite 4.500/6.000
Litantrace 7.500/8.500 Antracite 8.000/8.500 Benzine 10.500 Gasolio 10.100 Gas città 4.000/5.000 Metano 8.500/8.600
POMPA DI CIRCOLAZIONE Scopo della pompa di circolazione è quello di “spingere” l'acqua calda all'interno
delle tubazioni e farla pervenire fino ai radiatori per lo scambio termico con l'ambiente. Le pompe vanno scelte sotto il profilo progettuale secondo le caratteristiche di
"portata" e di "prevalenza" intendendosi per portata la quantità d’acqua da trasportare (espressa in m3/h) e per prevalenza la distanza (espressa in metri) alla quale una
Rendimento della caldaia Tipo di combustibile Rendimento Combustibili solidi
polverizzati e soffiati 80-‐90%
Gas di città 85-‐90% Nafte leggere 89-‐91% Gasolio 90-‐92%
Nafte pesanti 90-‐92% Metano 92-‐92%
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quantità d'acqua deve essere trasportata. Le caratteristiche tecniche vanno scelte con molta cura dal progettista per evitare
fenomeni di malfunzionamento e conseguenti lamentele da parte degli utenti. Sotto il profilo costruttivo, le pompe vanno scelte di materiali d'alta affidabilità
(preferibili le giranti inox) con motori elettrici più silenziosi (con più alto numero di poli) ed eventualmente con più curve di funzionamento. TUBAZIONI Scopo delle tubazioni è quello di veicolare il fluido caldo prodotto, dalla centrale
termica al resto dell’impianto. All'interno della centrale termica sono installate tubazioni d'acciaio, con partenza
dalla caldaia, che costituiscono l'inizio della rete di distribuzione dell'acqua calda ai radiatori. Normalmente avremo in centrale i cosiddetti "collettori" di mandata e di ritorno
intendendo delle tubazioni di gran diametro sulle quali sono innestate le tubazioni di partenza dalla caldaia all'impianto, e quelle di ritorno dall'impianto alla caldaia. RIVESTIMENTI ATERMICI Scopo dei rivestimenti atermici è quello di conservare il calore del fluido passante
nelle tubazioni evitando che si possa disperdere negli ambienti nei quali le tubazioni transitano. I materiali possono essere di diversa natura ed il progettista dovrà tenere conto
degli spessori da usare in funzione delle loro capacità coibenti. I rivestimenti "classici" degli impianti termici sono quelli costituiti da lana di vetro,
cartone, filo di ferro zincato, rete metallica e finitura in gesso con collarini alle testate. Da molti anni questo tipo di rivestimento è stato sostituito da materiali sintetici; tra
i più usati è quello realizzato in coppelle di poliuretano espanso a loro volta rivestite esternamente in p.v.c. Particolare caratteristica è la praticità d'installazione ed il costo estremamente
contenuto rispetto al sistema in gesso. ORGANI DI REGOLAZIONE E TERMOREGOLAZIONE Scopo degli organi di regolazione e termoregolazione è quello di controllare i cicli di
funzionamento delle apparecchiatura. Nella centrale termica saranno installati termometri e termostati . Particolare interesse riveste la termoregolazione con regolatore climatico che ci
permette di controllare la temperatura d'invio dell'acqua al circuito di riscaldamento in funzione della temperatura esterna. Il sistema è stato ideato per il contenimento dei consumi energetici e si compone di
un regolatore climatico di tipo elettronico con funzione di centralina di comando, una sonda di temperatura aria esterna, una sonda di temperatura acqua di mandata all'impianto, una valvola a tre o quattro vie di tipo manuale od a comando elettrico, per l’invio dell’acqua al circuito, di una pompa di ricircolo a scopo anticondensa. Il sistema appena descritto è stato uno dei "cavalli di battaglia" della prima
normativa sul risparmio energetico, la legge 373/76. ORGANI D'INTERCETTAZIONE Scopo degli organi d’intercettazione è quello di permettere d'intercettare il flusso
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dell'acqua all'interno delle tubazioni. Si rendono particolarmente necessari in centrale termica a monte ed a valle delle
pompe di circolazione e sulle linee di partenza e ritorno ai collettori; lungo la rete di distribuzione ed ai piedi delle colonne montanti per facilitare lo svuotamento soltanto parziale dell'impianto in caso di guasto. I modelli più in uso sono quelli del tipo a sfera "con manovra rapida a leva" che
offrono vantaggi di tenuta meccanica, d'immediata individuazione dei circuiti aperti ed anche di regolazione di flusso in quanto l'esecuzione del movimento apertura-‐chiusura avviene con un movimento in un arco di 90 gradi. In moltissimi impianti troviamo installate le classiche "saracinesche" che non
offrono alcuno dei vantaggi sopra descritti e si rivelano assai fastidiose nella gestione dell'impianto. Uno degli inconvenienti più frequenti è legato al deposito di calcio nella sede di
chiusura : il fenomeno impedisce di fatto la perfetta chiusura dei circuiti e costringe l'operatore, in caso di riparazione, a svuotare completamente l'impianto (od almeno fino al punto di guasto se si tratta di tubazione verticale) . GRUPPO D’ALIMENTAZIONE IDRICA Scopo del gruppo di alimentazione è quello di restituire al circuito la quantità di
acqua persa per evaporazione. La fonte dì alimentazione idrica deve essere certa e costante per far si che
l’impianto sia sempre pieno di acqua. La fonte può essere indifferentemente acqua di rete od acqua di pozzo
eventualmente stoccata in piccoli serbatoi di servizio. L'ingresso dell'acqua all'impianto dovrà avvenire tramite apposito gruppo di
riempimento omologato. É sempre opportuno installare un contatore dei litri dell'acqua d'alimentazione per
verificare il consumo giornaliero : sarà così anche possibile identificare immediatamente, nel caso di consumi anomali, l'esistenza di perdite per rottura di tubazioni. SISTEMA DI ESPANSIONE Scopo dell’esistenza negli impianti del sistema di espansione è quello di raccogliere
l’acqua che per effetto dell’aumento della temperatura aumenta di volume Per controllare l'effetto di questo processo fisico si utilizzano il sistema cosiddetto a
"vaso aperto" o quello a "vaso chiuso". Quello a vaso aperto è costituito da un cassone, completo d'accessori, atto a ricevere
la quantità d'acqua in espansione ed a restituirla all'impianto (insieme a quelle da reintegrare per evaporazione) quando l'impianto sarà in fase di riposo; Quello a vaso chiuso è costituito da un recipiente chiuso nel quale è alloggiata una
membrana in gomma che modifica la sua posizione quando l’acqua è in espansione; Il dimensionamento dei vasi d'espansione va effettuato con cura dal progettista per
evitare continui reintegri dannosi per l'impianto. E' il caso di ricordare che il sistema a vaso aperto va alloggiato nel punto più alto del
fabbricato mentre quello a vaso chiuso viene alloggiato all'interno della centrale termica. Il primo è meccanicamente più semplice e quindi maggiormente affidabile del
secondo ma ha lo svantaggio di essere difficilmente ispezionabile a causa della sua posizione.
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Sotto il profilo funzionale, i due sistemi si equivalgono e sarà quindi il progettista a scegliere un sistema o l'altro secondo personali valutazioni tecniche. TRATTAMENTO DELL’ACQUA DI ALIMENTAZIONE DELL’IMPIANTO Scopo dell’istallazione di un sistema di trattamento dell’acqua di alimentazione
dell’impianto è quello di evitare/limitare i danni provocati dalla concentrazione di calcare contenuto nell’acqua. Il valore della concentrazione viene normalmente espresso in gradi francesi. Nell’acqua, è noto, è contenuto il carbonato di calcio che ,con l'aumento della
temperatura (già sopra i 40°C) da corso al fenomeno della precipitazione con formazione d’incrostazioni e depositi nella partì basse dell'impianto e quindi segnatamente nella caldaia. In questo modo si peggiora il rendimento della caldaia e si avviano fenomeni di non
uniformi dilatazioni termiche delle lamiere con conseguente rapido deperimento della caldaia medesima. Secondo l'analisi dell'acqua ed i riscontri tecnici effettuati da uno specialista si
potrà procedere alla installazione d'impianti di trattamento a sali polifosfati od altri ancora più complicati e naturalmente più costosi. Un buon successo hanno ottenuto dei prodotti chimici con effetto filmante : capaci
cioè di creare una pellicola all'interno della tubazione per impedire l'aggressione del carbonato di calcio. In questi casi la perdita di efficacia del prodotto è segnalata dal mutamento del
colore e quindi si può procedere con la giusta tempestività alla sua sostituzione. IMPIANTO ELETTRICO Fermo restando quanto detto in precedenza per gl’impianti elettrici vediamo in
particolare quelli istallati nelle centrali termiche. La ricerca è sempre quella di avere una maggiore sicurezza e questo ha portato ad
un succedersi di normative riguardanti tutta la componentistica ed in particolare: • quadri elettrici; • linee di potenza e d'alimentazione; • interruttore esterno; • impianto d'illuminazione.
Sottolineiamo in questa sede che i gradi di protezione delle apparecchiature, dei
condotti e di qualsiasi involucro contenente conduttori sotto tensione, presenti nelle centrali termiche con potenzialità superiori alle 30.000 Kcal/h non deve essere inferiore a quello previsto dalle norme CEI 64/2 ART.B 1.05, relativa agli impianti civili. In generale per impianti termici ad uso civile è sufficiente un indice di protezione
(IP) 44. Il grado di protezione è formato da due cifre: la prima definisce la protezione contro
la penetrazione dai corpi solidi, la seconda contro la penetrazione dai liquidi. Più è alto il numero e maggiore è il grado di protezione. E' da ricordare che, in caso di trasformazione di alimentazione dell'impianto da
combustibile liquido a gas metano, l'impianto elettrico ed in particolare le linee di alimentazione dovranno essere completamente sostituite. Oltre i motivi logici di opportunità legati al rinnovo dell'impianto, ricordiamo che il
gasolio, in caso di perdita del bruciatore, si raccoglie in basso mentre il gas metano , più leggero dell'aria, stratifica in alto.
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La posizione delle linee elettriche deve essere opposta a quella di ristagno del combustibile per evitare il pericolo di incendio o scoppio. RETE DI DISTRIBUZIONE CALORE Scopo della rete di distribuzione negl’impianti termici è quello di veicolare l'acqua
calda ( tra i 50 ed i 90 °C ) in partenza dalla caldaia verso i radiatori e quindi l'ambiente, e farla tornare, a temperatura più fredda, nella caldaia stessa. La rete di distribuzione è costituita da tubazioni di diametro conforme alle utenze
da servire, adeguatamente coibentate e passanti molto spesso in scantinati, autorimesse o simili. Per impianti distribuiti col sistema a "colonne montanti" avremo una tubazione che
allaccerà tutti i radiatori posti sulla stessa verticale; per impianti distribuiti col sistema "ad anello" avremo i radiatori sullo stesso piano orizzontale (preferibilmente dello stesso appartamento) collegati insieme ed a loro volta alimentati da una colonna montante per servire i diversi piani. Questo secondo sistema favorisce, rispetto al primo, la possibilità di riscaldamento ,
per zone , secondo la richiesta termica. CORPI SCALDANTI Scopo dei corpi scaldanti è quello di diffondere negli ambienti il calore contenuto
nell’acqua prodotta in centrale termica, scambiandolo con l’aria. Lo scambio termico avviene per convezione / irraggiamento. Negli impianti di riscaldamento di tipo tradizionale l'elemento che immette calore
nei locali è il radiatore. I radiatori, chiamati comunemente termosifoni o piastre, secondo la loro
conformazione, costituiscono la parte più accessibile e visibile dell'impianto, da parte degli utenti. Possono essere costruiti in ghisa, in acciaio od in alluminio. I radiatori in ghisa mantengono più a lungo il calore e continuano ad emetterlo
anche quando l'impianto sia stato spento ; di contro sono più ingombranti ed impiegano più tempo a diventare caldi. Quelli in alluminio ed in acciaio hanno il pregio di scaldarsi rapidamente e di avere
un minore ingombro, ma tendono a raffreddarsi piuttosto in fretta. Per effetto del basso coefficiente di trasmissione del calore da parte dell'aria i
radiatori sono generalmente costruiti con ampie superfici a contatto con l'aria allo scopo di migliorare la resa dell'apparecchio. I radiatori sono normalmente corredati di una valvola che regola l'ingresso
dell'acqua calda proveniente dalla centrale termica, di una valvola che regola l'uscita e quindi il ritorno dell'acqua verso la centrale termica ( detentore ) e di una valvola di sfogo aria. Negli impianti di taglio più moderno e nei condomini nei quali è maggiore è la
sensibilità verso il risparmio energetico vengono installate delle valvole di tipo termostatico che regolano il flusso dell'acqua in ingresso al radiatore in modo tale che l'ambiente interessato abbia al suo interno la temperatura prefissata ( per esempio 20°C.). Il risparmio si ottiene anche perché l'ambiente può sfruttare gratuitamente delle
rientrate di calore da cose o persone presenti nei locali ovvero da fonti esterne di calore quali illuminazione, computer, insolazione ecc. I termoventilatori sono una sorta di radiatori corredati da un ventilatore allo scopo
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di accelerare la diffusione del calore negli ambienti. Per questa caratteristica sono particolarmente usati nelle abitazioni a
frequentazione saltuaria. ELEMENTI ESTERNI CANNA FUMARIA Scopo della canna fumaria è quello di espellere nell'atmosfera i prodotti della
combustione. E' collegata alla caldaia attraverso un raccordo metallico ed ha alla sua base una
cosiddetta "camera di calma" dalla quale i fumi si avviano verso l'atmosfera. La canna fumaria vera e propria è normalmente realizzata in muratura di mattoni
intonacata e rivestita , ovvero in elementi prefabbricati a doppia parete, ovvero in acciaio inox a doppia parete, con interposto materiale di coibentazione. Alla sommità della canna fumaria è posto il cappello con funzione antipioggia e con
sagomatura atta ad agevolare il deflusso dei fumi. In fase progettuale è molto importante un corretto dimensionamento della canna
fumaria che per non dover sopportare malfunzionamenti che possono rivelarsi anche di difficile e costosa eliminazione. La scelta del materiale, sotto il profilo estetico, va fatta di norma secondo la
tipologia del fabbricato. Al fine di operare una scelta vanno valutati anche i tempi di esecuzione ed i costi
complessivi degli interventi (materiali e posa in opera). A volte per non sostenere i costi di demolizione di una canna fumaria e quelli della
sua sostituzione con altra dello stesso tipo si può procedere all'intubazione della canna fumaria in opera. In sostanza si opera il consolidamento delle pareti esterne della canna fumaria
esistente (ad un costo relativamente basso in quanto si può noleggiare una piattaforma aerea) e successivamente si posiziona all’interno della canna fumaria consolidata una tubazione in acciaio inox non coibentata, che viene a costituire la vera canna fumaria dell'impianto. SERBATOI PER COMBUSTIBILE Un elemento da non trascurare è il serbatoio per combustibile liquido per
l'alimentazione dell'impianto. Normalmente si tratta di un recipiente in lamiera (spessore 4 / 5 millimetri), di
forma cilindrica, che viene interrato in un giardino di pertinenza dello stabile del quale è a servizio ovvero in sottosuolo stradale. Se l'interramento è in zona non carrabile la generatrice superiore deve distare al
minimo centimetri 20 dal piano di campagna, se l'interramento è in zona carrabile la generatrice superiore deve distare al minimo 70 centimetri dal piano di riferimento. La capacità più in uso è quella contenente 5.000 litri. Il serbatoio viene collegato idraulicamente al bruciatore con tubazioni
normalmente in rame con funzione di andata e ritorno al serbatoio medesimo. Il gestore dell’impianto dovrà porre molta attenzione alla quantità di combustibile
realmente approvvigionato e scaricato durante l'esercizio dell'impianto, per vigilare su eventuali perdite; dovrà porre altrettanta attenzione alle quantità residue a fine stagione di riscaldamento cercando di non far ristagnare combustibile nel serbatoio durante l'estate. Il rischio che si corre è che il serbatoio si buchi (attenzione alle correnti vaganti !)
ed il combustibile si disperda nel terreno.
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Il fatto può naturalmente avvenire anche durante la stagione invernale ma esercitando il controllo sui consumi (con cadenza almeno settimanale) avremo la possibilità d’intervenire con rapidità ed evitare sia un danno economico che un danno ecologico. È stato approvato il D.M. n. 246 del 24 maggio 1999 riguardante la conduzione dei
serbatoi interrarti che obbligano l'amministratore a controlli e verifiche che non lo facciano ricadere nel 51-‐bis della legge nel quale è previsto per inquinamento l'arresto da sei mesi ad un anno ed multe non indifferenti.
Principali interventi di manutenzione della Centrale Termica da eseguirsi …
… a scadenza mensile … al termine della stagione • Verifica apertura saracinesche • Verifica premistoppa
saracinesche • Verifica livello impianto • Controllo termostati di limite • Controllo termostati di sicurezza • Controllo valvole solenoidi • Verifica ed inversione
elettropompe • Pulizia fascio tubiero caldaie • Controllo stato raccordo fumario • Verifica vaso d'espansione • Controllo teleruttori • Controllo e ricarica sali
addolcitore • Pulizia degli elettrodi
d'accensione bruciatore • Pulizia dell'ugello bruciatore • Pulizia del vetro della foto
resistenza bruciatore • Controllo della combustione
• Pulizia della caldaia e dei raccordi del camino • Controllo livello impianto e messa
a riposo di tutte le apparecchiature • Pulizia del camino verticale • Pulizia dei filtri
ELENCO DELLA NORMATIVA PER IMPIANTI TERMICI In ordine cronologico le leggi e le circolari più importanti emanate dal Ministero
dell'Interno Direzione Generale della Protezione Civile e dei Servizi Antincendio attualmente in vigore, relative agli impianti di riscaldamento sono le seguenti:
• D.M. 27 settembre 1955, “Determinazione delle attività soggette alle visite periodiche in prevenzione incendi”.
• Legge n. 615 del 13 luglio 1966, "Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico".
• Circolare del Ministero dell'interno n. 68 del 25 novembre 1969:
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“Norme di sicurezza per gli impianti termici a gas di rete”. • D.P.R. n. 1391 del 22 dicembre 1970, “Regolamento per l'esecuzione
della legge 13 luglio 1966 n.°615, recante provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico, limitatamente al settore degli impianti termici”.
• D.P.R. n. 322 del 15 aprile 1977, "Regolamento per l'esecuzione della legge 13 luglio 1966, n. 615, recante provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico, limitatamente al settore delle industrie".
• Circolare del Ministero dell'Interno n. 73 del 29 luglio 1971, “Impianti termici ad olio combustibile od a gasolio - Istruzione per l'applicazione delle norme contro l'inquinamento atmosferico; disposizione ai fini della prevenzione incendi”.
• D.M. 1 dicembre 1975, "Norme di sicurezza per apparecchi contenenti liquidi caldi sotto pressione".
• Legge n. 373 del 30 Aprile 1976, “Risparmio energetico negli edifici”. • D.M 10 Marzo 1977 e D.P.R. 28 Giugno 1977 n.1052 , attuativi della
373. • D.M.16 febbraio 1982 "Modificazioni del decreto ministeriale 27
settembre 1965, concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzione incendi. Chiarimenti e criteri applicativi”.
• Legge n. 308 del 29 maggio 1982 e D.M. 22 Giugno 1983. • Legge n. 818 del 7 Dicembre 1984 riguardante l'obbligo per i titolari
d'attività indicate nel D.M. 6.12.82 a richiedere il “certificato prevenzione incendi”.
• Legge n. 10 9 gennaio 1991, Norme per l'attuazione del Piano Energetico Nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e dello sviluppo delle fonti rinnovabili di energia.
• D.P.R. n. 412 26 Agosto 1993, “Regolamento recante norme per la progettazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art.4, comma 4, della legge 9, Gennaio 1991, n.10”.
Oltre le suddette leggi, decreti e circolari vi sono moltitudini d'altre circolari e
pareri espressi ufficialmente dal Ministero dell'Interno per chiarimenti in merito a particolari impianti. E’utile seguire costantemente gli aggiornamenti, magari con l’ausilio di un addetto
al settore per la corretta interpretazione delle norme.
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INFORMAZIONI D'ORDINE PRATICO AD USO DEGLI AMMINISTRATORI D’IMMOBILI
A- Durata apparecchiature Ci è stato spesso chiesto quanto "devono" durare le apparecchiature degli impianti
termici. Come ogni macchina anche le apparecchiature componenti gli impianti termici
hanno una durata legata al tempo di funzionamento ed al modo in cui è stata eseguita la sua manutenzione. Motivi d'ordine pratico poi ne consigliano, a volte, la sostituzione, anche se ancora
funzionanti, perché le riparazioni ed i costi d'esercizio diventano così onerosi da rendere commercialmente utile servirsi d'apparecchiature completamente nuove. Un amministratore attento dovrà badare anche a questa circostanza, anche se ci
rendiamo conto della difficoltà di convincere un'assemblea ad effettuare la sostituzione di una caldaia non completamente "finita" senza suscitare commenti ed illazioni. Sarà confortante per l'Amministratore in questi casi poter disporre di un giudizio
tecnico qualificato che giustifichi le iniziative prospettate. Riportiamo comunque, di seguito, una tabella indicativa delle durate medie, in
buona funzionalità delle apparecchiature più significative, sempre a patto che vengano eseguiti corretti interventi di manutenzione: Tipo di apparecchio Anni Tipo di apparecchio Anni
Bruciatori di gasolio 12 Tubazioni in rame 40 Bruciatori gas metano 15 Valvole in genere 15 Caldaie d'acciaio 12 Vaso di espansione
chiuso 15
Caldaie in ghisa 15 Elettropompe 15 Corpi scaldanti in
acciaio 15 Regolazioni automatiche 10
Corpi scaldanti ghisa 30 Apparecchiature elettriche
10
Convettori in rame ed alluminio
20 Rivestimenti isolanti 30
Serbatoi combustibili liquidi
30 Organi di controllo 10
Tubazioni d'acciaio 30 B-Controllo delle temperature ambiente E' fisiologico per un amministratore d'immobili ricevere reclami in ordine alle
temperature nei diversi ambienti serviti. Sempre saranno discordanti i pareri ed i giudizi sul concetto di "caldo" e di "freddo"
(in quanto si tratta di sensazioni personali e non di un valore numerico) ma spesso neanche i termometri riusciranno a fare chiarezza al riguardo perché anche loro saranno "di parte"! Per generale informazione riportiamo, di seguito, alcune accortezze da seguire nel
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caso che l'amministratore voglia avventurarsi ad eseguire personalmente le misurazioni delle temperature eventualmente richieste non servendosi (cosa che invece raccomandiamo vivamente) dell'intervento di un tecnico che saprà come operare: Evitare le misurazioni in giornate particolarmente solatie che generano il
surriscaldamento negli ambienti esposti al sole rispetto a quelli in ombra; Evitare le misurazioni in giornate eccezionalmente ventose perché attraverso gli
infissi aumenta il ricambio dell'aria che penalizzerà le temperature degli ambienti esposti; Evitare le misurazioni durante le prime ore d'accensione dell'impianto, che
coincidono solitamente con le ore del mattino peraltro dedicate alle pulizie dei locali medesimi, ma effettuarle nelle prime ore pomeridiane quando gli ambienti dovrebbero essere a regime ottimale. Per ulteriore informazione si riportano di seguito alcuni punti significativi della
circolare UNI-‐CTI 5364 relative al collaudo degli impianti termici: a) per temperatura interna di un locale si intende quella dell'aria,
misurata al centro del locale, all'altezza di m.1,50 dal pavimento; b) la tolleranza ammessa per i valori di temperatura minimi di legge va da
-‐1°C a +2°C; c) i locali debbono essere in normali condizioni d'abitabilità con porte ed
infissi principali a vetri completamente chiusi, avendo cura che rimangano aperti durante le ore di illuminazione naturale gli infissi secondari di oscuramento quali tapparelle, persiane, veneziane ecc.
d) l'esercizio dell'impianto deve essere tale da garantire che sul suo funzionamento non influiscano modalità diverse di accensione stabilite in periodi precedenti;
e) il termometro usato per le misurazioni deve avere l'elemento sensibile schermato dall'influenza di ogni notevole effetto radiante e la sua precisione deve consentire letture con un errore massimo di 0,2°C;
Non si possono fare confronti di omogeneità tra ambienti disabitati ed ambienti
abitati ed arredati ed ambienti eventualmente riscontrati in condizioni non idonee per una corretta misurazione delle temperature nei quali ad esempio:
• vi siano porte e/o finestre socchiuse o che presentino difetti di tenuta o siano state serrate da poco tempo;
• gli infissi di oscuramento siano chiusi; • le superfici vetrate risultino irraggiate dal sole durante le rilevazioni o
nel periodo immediatamente precedente; • siano stesi panni o biancheria ad asciugare; • siano in funzione elettrodomestici o fornelli a gas; • siano presenti contemporaneamente molte persone; • i corpi scaldanti siano confinati dietro tendaggi e comunque coperti
anche parzialmente; • sia impedita la libera circolazione dell'aria nei corpi scaldanti; • risulti parzialmente o totalmente impedito il contatto dell'aria con le
superfici riscaldanti (eventuali pannelli a soffitto od a pavimento ecc.). TERZO RESPONSABILE La legge prevede la possibilità di delegare la responsabilità dell'esercizio e della
manutenzione dell'impianto ad un soggetto, appunto il “terzo responsabile”, purché
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questo sia dotato di sufficienti competenze tecniche ed organizzative. Il terzo responsabile deve essere infatti una ditta che possieda almeno
un'abilitazione, rilasciata dalla Camera di commercio o dall'albo delle imprese artigiane , ai sensi della legge n.46 del 1990. L’assemblea può quindi scegliere tra:
• delegare a ditta qualificata la manutenzione e le periodiche visite strumentali all’impianto e la responsabilità dell'esercizio (consigliata);
• affidare ad una ditta la manutenzione e le verifiche strumentali periodiche ed assumere in proprio la responsabilità dell’impianto nella figura dell’amministratore.
RISPARMIO ENERGETICO/CONTABILIZZAZIONE DEL CALORE Con la crisi petrolifera degli anni '70 in Italia e nel mondo si è cominciato ad
affrontare il problema del risparmio energetico. Il nostro Paese infatti non è un produttore di petrolio, od almeno non nella quantità
tale da coprire il fabbisogno nazionale, per cui trovandosi obbligatoriamente nella posizione di "importatore" ha sofferto, come altri, il rincaro dei prezzi. Ai problemi di quegli anni il legislatore ha risposto con emanazione di norme mirate
a contrastarli ed in particolare ha emanato la legge 26 aprile 1976 n.373 e, successivamente il D.P.R. 28 giugno 1977 n.1052; I punti cardine di questa normativa vanno ricercati nell'isolamento termico degli
edifici, nei criteri di progettazione dei nuovi impianti, nell'omologazione dei componenti gli impianti stessi. La progettazione impiantistica, prima di tale legge, veniva normalmente realizzata
assegnando, in base a calcoli, ai diversi ambienti da riscaldare le Kcal/h necessarie a reintegrare quelle perdute per trasmissione verso l'esterno. Pareti molto sottili e quindi molto disperdenti facevano gravare enormemente i
bilanci di chi doveva acquistare combustibile per riscaldamento. Dopo tale legge un ambiente non "doveva" disperdere più di un certo numero di
Kcal/h prefissato dalla legge stessa, secondo le indicazioni dei tecnici: l'obbligo diventava quindi quello di realizzare fabbricati con dispersioni di calore ridotte al minimo. Ad un più elevato investimento iniziale faceva riscontro un risparmio energetico e,
di fatto, economico, per tutto il tempo di esercizio dell'impianto. Dal punto di vista esclusivamente tecnico la legge 373 ha inoltre reso obbligatoria il
“sistema di termoregolazione”: un insieme di strumentazioni atte ad far ottenere all'interno dei locali una temperatura imposta e prefissata “in funzione della temperatura esterna”. Con la 373 (sostituita poi dalla 10 / 91), ed aggiornata ulteriormente con altre
normative, si è proceduto inoltre alla suddivisione del territorio nazionale in sei zone climatiche ed all'indicazione dei periodi ed orari nei quali è consentita l'erogazione del calore. Per esempio la città di ROMA ricade nella zona climatica D e può (non deve) erogare
riscaldamento dal giorno 1 novembre al giorno 15 aprile , per un massimo di 12 ore giornaliere. Al di fuori del periodo indicato è possibile erogare riscaldamento per condizioni
climatiche avverse per una durata giornaliera non superiore alla metà delle ore previste nel periodo di legge. I fabbricati ad uso civile che c’interessano rientrano nella Categoria E1. Con la L. 9 gennaio 1991 n.10 "Norme per l'attuazione del piano energetico
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nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e dello sviluppo delle fonti rinnovabili di energia" è stato chiarito che il risparmio energetico e il minor consumo dovevano essere ottenuti "a parità di servizio reso e di qualità della vita". Dal punto di vista degli amministratori di immobili la legge 10 / 91 ha presentato
una innovazione storica : ha ammesso la trasformazione degli impianti di riscaldamento "centralizzati" in "impianti autonomi unifamiliari a gas" con una sola maggioranza , quella relativa ai millesimi. La normativa ha dato il via a numerosissimi casi di abbandono dell’impianto
centralizzato in favore di impianti unifamiliari. Le trasformazioni sono spesso avvenute senza il rispetto completo delle normative
ed ha dato corso a numerosi casi di contenzioso. Il caso più frequente è legato alla presentazione al Comune della pratica di
trasformazione carente della “Relazione Tecnica” a dimostrazione del beneficio energetico per il fabbricato interessato nell’eseguire la trasformazione di che trattasi. In sostanza in molti casi mirando all’indipendenza individuale si è passati sopra lo
spirito della norma. Successive riflessioni in materia hanno fatto maturare la convinzione che il
“risparmio energetico di un fabbricato” non passasse per la trasformazione dell’impianto da centralizzato ad impianti autonomi ma potesse avere una soluzione diversa. Ripercorriamo brevemente i passaggi tecnici del funzionamento delle caldaie: Nei primi impianti considerati si procedeva all’accensione ed al funzionamento
degli stessi secondo una delibera assembleare (per periodo ed orario di funzionamento) spesso aggiustata nel corso della giornata dalla "sensazione di calore” da parte di questo o quel condomino che andava, a volte personalmente, a regolare il termostato; L'adozione della termoregolazione è stata un grande passo in avanti : l’istallazione
di una sonda di temperatura esterna (esposta a NORD) offriva già la prima forma di risparmio. Naturalmente i locali esposti a SUD , o con esposizioni diverse dal NORD, ed
assoggettai alla stessa centralina avevano un eccesso di calore. In questi casi la prima forma di regolazione della temperatura era determinata
dall’apertura delle finestre. Riconosciamo che è praticamente impossibile pensare di educare l'occupante alla
regolazione della singola valvola del radiatore ma a questo punto è sicuro che abbiamo vanificato la maggior parte del risparmio che avevamo ipotizzato facendo installare il sistema di termoregolazione. In una fase successiva si è proceduto all’istallazione di valvole termostatiche
posizionate sui radiatori esposti a SUD, per mantenere temperature omogenee negli alloggi con stabile situazione di benessere. Il limite di questo sistema è rappresentato dal fatto che le valvole termostatiche
vengono installate all'interno dei singoli ambienti da servire e sono sotto l'unico diretto controllo del fruitore del servizio e non offre un risparmio immediatamente visibile a chi diligentemente istalla le valvole e non le manomette, rispetto ad altri condomini. Superare questo limite è stato il punto qualificante della “contabilizzazione del
calore”. Con la “contabilizzazione del calore” l'utilizzatore non avrà alcun interesse ad
140
aprire le finestre per regolare gli eventuali eccessi di temperatura in alcuni dei propri ambienti perché il suo radiatore seguiterebbe a registrare emissione di calore che gli verrebbe addebitata sul conto personale. Per riepilogare l’impianto ad oggi considerato ottimale per il raggiungimento di
valori interessanti di risparmio energetico nei fabbricati è quello della “contabilizzazione del calore”. Dal punto di vista tecnico si concretizza con un impianto centralizzato con valvola
di termoregolazione climatica, con valvole termostatiche su tutti i radiatori componenti l’impianto e con l’applicazione di contabilizzatore su ogni singolo radiatore; Il sistema indicato abbatte di fatto l’interesse per la realizzazione di impianti
unifamiliari in sostituzione centralizzato in quanto permette la gestione “quasi” individuale dell’impianto termico dell’alloggio a costi contenutissimi, quelli dell’istallazione delle valvole termostatiche e dei contabilizzatori , contro i costi d’impiantistica ed opere murarie da considerare nel caso di realizzazione d’impianto autonomo. Se vogliamo confrontare ulteriormente le due possibili soluzioni diremo che con
l'impianto unifamiliare la libertà è piena ed esclusiva ed i consumi saranno quelli legati all'effettivo utilizzo ( non così bassi come si potrebbe sperare, anzi sicuramente più alti a parità di ore di accensione ! ) con il contabilizzato saremo costretti a spendere una quota anche se il nostro impianto fosse chiuso ma riceveremo calore dagli alloggi limitrofi e, soprattutto, risparmieremo le spese di trasformazione. In buona sostanza la scelta non è facile ma c'è da dire che da quando si è diffuso il
contabilizzatore sempre meno si da corso a trasformazioni in unifamiliari. Forse ci saranno ancora passi in avanti ma per il momento questo sistema viene
adottato con successo e soddisfazione. Sotto il profilo psicologico ci gratifica il fatto di essere "quasi" gestori individuali del
calore proveniente dall'impianto centralizzato ; sotto il profilo economico ci gratifica il fatto che le nostre ore di assenza dall'alloggio, se abbiamo avuto cura di chiudere il rubinetto d'ingresso al radiatore, ci vengono in buona parte riconosciute come ore in franchigia. Dal punto di vista normativo l’assemblea può andare in delibera secondo la L.
10/91. Il sistema nel dettaglio prevede una suddivisione dei costi di esercizio nel seguente
modo: • dal 20 % al 50 % ( solitamente il 30% ) secondo le esistenti tabelle
millesimali; • il restante attraverso la lettura diretta degli strumenti conta calore
posizionati su ogni singolo radiatore. Gli strumenti normalmente usati dalle diverse case sono del tipo " a lettura diretta "
come il contatore dell'acqua, ovvero col radiocomando. Per effettuare la lettura stagionale del primo tipo è necessario accedere all'alloggio,
nel secondo caso non sarà necessario. La Società che provvede alle lettura dei valori indicati dai contabilizzatori
consegnerà all’amministratore un tabulato con le imputazioni di spesa per i singoli Condomini, proprio come avviene per la lettura dei contatori idrici divisionali. CONDIZIONAMENTO DELL’ARIA Scopo degli impianti di condizionamento dell’aria è quello di costituire condizioni di
141
benessere termico per gli occupanti degli ambienti condominiali. A causa dei non indifferenti costi di realizzazione e di gestione gl’impianti di questo
tipo sono poco diffusi nei fabbricati ad uso civile abitazione, mentre sono abbastanza diffusi nei fabbricati ad uso ufficio. Senza entrare nei dettagli tecnici ci limitiamo a segnalare che, come per gl’impianti
termici, avremo: • la centrale frigorifera; • la rete di distribuzione; • gli elementi di diffusione del freddo.
La tipologia d’impianto maggiormente in uso fino a qualche anno addietro era
formata da un gruppo frigorifero (ed altre apparecchiature accessorie) atto a produrre acqua fredda. L’acqua fredda (5°/7° C) veniva fatta passare attraverso una “batteria di scambio
termico” investita da un flusso d’aria che in questo modo diventava aria fredda da convogliare agli ambienti per mezzo di canalizzazioni in lamiera zincata internamente rivestite, per evitare la dispersione del freddo. Sulle canalizzazioni erano montati i diffusori (bocchette, anemostati) con la
funzione appunto di diffondere l’aria negli ambienti. Una tecnologia leggermente diversa si è diffusa successivamente. Nella centrale frigorifera viene comunque prodotta l’acqua fredda , poi la stessa
acqua viene veicolata nei diversi ambienti attraverso tubazioni rivestite ed in ogni singolo ambiente viene istallato uno o più diffusori (secondo necessità). Questi diffusori (fan-‐coil) hanno al loro interno una batteria nella quale transita
l’acqua fredda inviata dalla centrale che viene investita dall’aria ambiente. L’aria a contatto con la batteria diffonde aria fredda costituendo le condizioni di
benessere richieste. Confrontando i due sistemi possiamo dire che il primo è un sistema abbastanza
rigido che si lascia preferire nel caso di grandi aree da servire a condizioni omogenee di temperatura, il secondo è molto flessibile e per questo particolarmente adatto ad uffici formati da una serie di stanze indipendenti alle quali è possibile dare anche condizioni climatiche diverse tra loro. In alcuni casi i due tipi d’impianti si possono combinare anche in uno stesso stabile:
il primo per le aree ad uso comune, il secondo per gli uffici individuali. L’amministratore che si trovasse a gestire questi sistemi dovrà approfondire queste
tematiche sia per opportune conoscenze di manutenzione che per una corretta ripartizione dei costi d’esercizio. ENERGIE ALTERNATIVE Un brevissimo cenno alle energie alternative : eolico, fotovoltaico e solare termico. I primi due si rivolgono alla produzione di energia, il terzo alla produzione di calore. L’energia fotovoltaica richiede un forte impegno di capitale iniziale e basse spese di
mantenimento: come acquistare oggi energia da consumare nei prossimi anni. Recuperato il costo iniziale si disporrà per gli anni a venire di energia quasi a costo zero. Senza sovvenzioni iniziali è di interesse quasi nullo per i condomini. L’energia prodotta dal solare termico si presenta come un aspetto maggiormente
interessante in quanto è possibile produrre, a basso costo e sfruttando l’irraggiamento solare, acqua calda per impianti sanitari condominiali ed acqua calda per alimento
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caldaie centralizzate di riscaldamento. Il “ritorno economico” di questo tipo d’intervento può essere abbastanza
interessante. Prima di procedere ad investimenti sarà bene approfondire le conoscenze sia
tecniche che economiche.
143
MODULO N.10
Contabilità e rendiconto condominiali (Carlo Parodi)
10.1 - Definizione e normativa La contabilità è un sistema di regole che disciplinano la formazione e l’esecuzione
delle decisioni di finanziamento e di spesa; una registrazione corretta ed ordinata dei fatti contabili nei quali si articola la gestione rende agevole la trasformazione dei valori della contabilità generale in valori di bilancio consuntivo (o rendiconto) che rappresenta la funzione più rilevante per dare contenuto all’informazione dell’utenza in tutti i casi di amministrazione di beni altrui (vedi anche l’art. 1713 c.c. per il mandatario). La contabilità non ha regole codificate ed anche per l’imprenditore il codice civile si limita ad indicare “quelle richieste dalla natura e dalla dimensione dell’impresa”. È opportuno evidenziare che già la norma UNI 10801 (Amministrazione
condominiale e immobiliare) definisce il rendiconto come il documento contabile dettagliato della gestione amministrativa di un anno o frazione; esso espone in una forma di facile comprensione per l’utente medio le spese e le entrate raggruppate per motivazioni omogenee secondo le disposizioni di legge e/o del regolamento condominiale. Aggiunge che il riparto delle spese è un quadro sinottico che indica le quote di spesa spettanti a ciascuna unità immobiliare per ogni capitolo omogeneo (tabella). Contiene altresì il saldo attivo o passivo per ogni unità immobiliare, rappresentato dal totale delle spese dedotti i versamenti effettuati e, trattandosi di spese di cassa, saranno annotate quelle da pagare relativamente alla competenza. 10.2- La normativa del codice civile Nell’ambito condominiale la nuova normativa di cui alla legge n. 220/2012 in vigore
dal 17 giugno 2013 prevede innanzitutto al settimo comma dell'art. 1129: - l'obbligo di far transitare le somme ricevute dai condomini e da terzi, nonché quelle
a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente bancario o postale, intestato al condominio. All’art. 1130 c.c. punto 7) prevede inoltre l'obbligo di tenuta da parte
dell'amministratore di un registro di contabilità dove annotare in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed uscita, da gestire ovviamente anche in modalità informatizzata.
Registro di contabilità – Si tratta in sostanza di un “registro di cassa” nel quale vanno inseriti i movimenti relativi agli incassi di quote periodiche versate dai condomini (o anche straordinarie) e di eventuali canoni di affitto, nonché i pagamenti relativi alla fornitura dei servizi comuni; potrebbe essere utile una parificazione periodica con il saldo del conto corrente bancario o postale ove fosse tutto “tracciato” e si potessero evitare versamenti a mezzo assegno o addirittura in contanti che alcuni condomini pretendono ancora di effettuare. Al punto 10) poi stabilisce l'obbligo per l’amministratore di redigere il rendiconto
condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per la relativa
144
approvazione entro 180 giorni. Nel successivo art. 1130 bis chiarisce alcune indicazioni “tecniche” circa le modalità di redazione del documento stesso. Deve contenere: -‐ "le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione
patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve". Si compone: -‐ "di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota
sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti".
L’art. 1130 bis chiarisce che il rendiconto condominiale deve contenere “le voci di
entrata e di uscita”: si tratta degli stessi dati contabili individuati come “movimenti” del registro di contabilità di cui al citato punto 7).
I fondi disponibili e le eventuali riserve debbono essere evidenziati nella
situazione patrimoniale “in modo da consentire l’immediata verifica”; la verifica automatica si può ottenere facendo riferimento alla situazione patrimoniale relativa al rendiconto dell’esercizio precedente dove ad esempio il TFR (Trattamento di Fine Rapporto o Fondo liquidazione del personale dipendente) evidenziava una determinata disponibilità da integrare con l’accantonamento dell’anno di riferimento, già imputato fra le spese di esercizio (oneri per il personale). Analogamente la “voce” (o il “conto”) Fondo di riserva viene istituita ed inserita fra le passività (partite a debito) della situazione patrimoniale a seguito di specifiche delibere assembleari che istituiscono accantonamenti per determinati obiettivi, compreso quello “speciale” previsto al punto 4) dell’art. 1135 c.c.
La “novità” di tale fondo speciale è rappresentata dall’obbligatorietà di costituzione in occasione di delibere per opere di manutenzione straordinaria per un ammontare pari all’ammontare dei lavori; si tratta in sostanza della corretta interpretazione del punto 3) dell’art. 1130 c.c. (“riscuotere i contributi ed erogare (poi) le spese”) nel senso della preventiva provvista di fondi da parte dell’amministratore. E’ indispensabile in tali occasioni predisporre, in allegato al rendiconto annuale, un prospetto di “personalizzazione” degli accantonamenti stessi rendendo possibile un diretto conguaglio tra venditore ed acquirente in caso di mobilità dei comproprietari.
CONTO CORRENTE BANCARIO O POSTALE INTESTATO AL CONDOMINIO
REGISTRO DI CONTABILITA’
(registrazioni entro 30 gg. dai movimenti di entrata ed uscita) Inottemperanza è causa di gravi irregolarità con possibile
ricorso all’autorità giudiziaria per revoca
RENDICONTO CONDOMINIALE Riepilogo finanziario – Situazione patrimoniale
Relazione esplicativa
CONSERVAZIONE DOCUMENTI: DIECI ANNI
145
10.2.1 - Le indicazioni di giurisprudenza e dottrina La Suprema Corte ha sentenziato che la contabilità presentata dall’amministratore
del condominio non è necessario sia redatta con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, ma deve essere idonea a rendere intelligibile ai condòmini le voci di entrata e di uscita con le relative quote di ripartizione ed a fornire la prova della qualità e quantità delle somme incassate nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti (tra le altre Cassazione 28 aprile 2005, n. 8877). La Corte d’Appello di Milano (1/1/1993, n.1824) ha precisato però che ciò non
significa che non esistano regole minime da osservare ai fini dell’adempimento dell’obbligo di rendiconto, che è l’atto con il quale l’obbligato giustifica le spese addebitate ai suoi mandanti. Ed infatti la giurisprudenza ha indicato in varie sentenze alcuni requisiti
indispensabili del rendiconto condominiale evidenziando anche la necessità di tener conto dell’aspetto dimensionale del condominio stesso:
– Cassazione 6/2/84, n.896: il documento contabile assume la forma semplificata di rendiconto finanziario e deve contenere, nella parte relativa alle spese, gli impegni di uscita, distinti per importi pagati, rimasti da pagare e totali. – Corte d’Appello di Milano 26/5/1992: se non vengono poste in evidenza le
giacenze patrimoniali si tratta di un modo non corretto di redigere il rendiconto perché elaborato in modo da impedire ai condòmini di prendere conoscenza della reale situazione finanziaria del condominio. – Tribunale di Genova 3/3/1994: Per soddisfare le esigenze di chiarezza
amministrativa e contabile il prospetto di riparto delle spese condominiali deve indicare per le varie colonne relative ciascuna ad una determinata categoria, gli importi addebitati ad ogni singolo proprietario con a fianco l’aliquota millesimale a lui attribuita. – Corte d’appello di Milano 7/6/88, n. 134: Allorché non ci si trovi di fronte
ad un condominio di piccole dimensioni si impongono forme contabili rigorose secondo le regole proprie della tecnica ragionieristica. Spesso gli errori rivelano la costruzione eccessivamente semplificata della contabilità, realizzata senza riscontri costanti, al di fuori di un sistema di partita doppia.
Anche la dottrina ha dato indicazioni a prima vista generiche in merito alla resa del
conto: «nelle forme contabili idonee a rappresentare il modo in cui la gestione amministrativa ha avuto luogo» (Salis); “i canoni contabili-‐amministrativi che presiedono la materia” (Branca); “le norme ordinarie di amministrazione” (Nobile). Tali “principi contabili” indicano che la forma del rendiconto deve essere costante
per una indispensabile comparabilità, la rilevazione dei fatti economici deve seguire criteri contabili ben individuati, l’informazione patrimoniale, economica e finanziaria fornita dal bilancio deve essere verificabile con una indipendente ricostruzione del procedimento contabile, la situazione patrimoniale deve identificare attività e passività alla data di riferimento, il bilancio di esercizio deve essere corredato da una nota integrativa che faciliti la comprensione della schematica simbologia contabile, l’effetto delle operazioni deve essere rilevato e attribuito all’esercizio al quale si riferiscono e non a quello in cui si concretizzano i relativi incassi e pagamenti.
146
10.3 - Criterio di competenza e di cassa Tale ultimo principio contabile viene definito criterio di competenza, fissato anche
dall’art. 2423 bis c.c. per la redazione del bilancio societario (“si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio indipendentemente dalle date dell’incasso e del pagamento”) e dal Regolamento concernente l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici (DPR 27/2/2003, n.97): “La competenza economica imputa gli effetti delle operazioni e degli altri eventi all’esercizio nel quale è rinvenibile l’utilità economica anche se diverso da quello in cui si concretizzano i relativi movimenti finanziari”. Il criterio di competenza rispetta il principio dell’autonomia dei bilanci con
conseguente omogeneità e confrontabilità nel tempo analogamente a quanto previsto dall’ordinamento fiscale per la determinazione del reddito d’impresa; in particolare nell’ambito condominiale è importante tener conto dei servizi effettivamente resi (forniture di gas, acqua e luce, manutenzioni in abbonamento e riparazioni effettuate, prestazioni per vigilanza e pulizie, ecc.) ed addebitarli ai relativi fruitori indipendentemente dalla data del pagamento. Il criterio di cassa invece, con l’inserimento in rendiconto soltanto di fatture al
momento dell’effettivo pagamento e quindi anche in un esercizio successivo a quello di riferimento può determinare l’imputazione di talune spese a soggetti diversi da quelli che hanno effettivamente goduto del relativo servizio (una fornitura di combustibile, una utenza per consumi idrici, ecc.) nell’ipotesi di vendita dell’unità immobiliare o di mobilità dell’inquilino con relative difficoltà per l’incasso delle quote da parte dell’amministratore che tenterà invano di far comprendere ai debitori il concetto della solidarietà passiva prevista dall’art. 63 delle Disposizioni per l’attuazione del codice civile. La Cassazione con sentenza n. 10153 del 9 maggio 2011 evidenzia, senza alcuna
valida argomentazione contabile, che "nell'ambito della gestione condominiale il consuntivo soggiace al criterio di cassa"; la stessa S.C. (16 agosto 2000, n. 10815) aveva precisato che "l'amministratore dura in carica un anno e sottopone all'approvazione dell'assemblea il consuntivo delle spese afferenti all'anno per cui la gestione viene rapportata alla competenza annuale". L'inserimento delle spese nel "Registro di contabilità" secondo le modalità previste
in una qualsiasi procedura informatica utilizzata per le registrazioni contabili, può avvenire come segue: Descrizione Importo Fattura Data Fattura Data competenza Cassa
ALFA ascensore IV trimestre ‘13
€ 250,00 02.12.13 20.12.13 28.12.13
L'imputazione in rendiconto 2013 viene comunque effettuata trattandosi di servizio
già reso mentre se il pagamento non viene effettuato per mancanza di disponibilità, non verrà indicata la data nella colonna "cassa" con conseguente regolare addebito pro quota ai condomini ed inserimento fra le passività della situazioni patrimoniale (debito verso ALFA). Seguendo invece il criterio di cassa la registrazione non verrebbe effettuata nel
registro di contabilità (inteso come "movimenti di entrata ed uscita"), ma il debito per una utenza scaduta o per un intervento di manutenzione effettuato e fatturato
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dovrebbe comunque essere registrato (come "voce di uscita" art. 1130 bis?) 10.4 - Schema di rendiconto standard Nell’interesse della collettività condominiale è necessario fissare una struttura
uniforme di rappresentazione del documento riassuntivo dell’esercizio che possa esporre con semplicità e chiarezza i risultati conseguiti e consentire comprensione e controllo ad ogni condòmino dotato di un minimo di cultura contabile. La struttura contabile, il sistema di scritture, il metodo di registrazione potranno
risultare diversamente articolati in funzione della complessità della gestione, ma lo schema riassuntivo di esercizio dovrà comprendere una dimostrazione delle spese e delle entrate, la relativa ripartizione nonché una situazione contabile che rappresenti una memoria storica del patrimonio condominiale realizzando uno strumento di raccordo tra successivi esercizi e quindi una complessiva trasparenza gestionale con automatismi contabili e concordanze a garanzia di un’elaborazione tecnicamente corretta (cosiddetta situazione patrimoniale). Il CSN A.N.A.C.I. ha elaborato un “bilancio concordato” sottoscritto da associazioni della proprietà, dell’inquilinato e dei consumatori il 4 luglio 2007, con linee guida per la relativa redazione, poi perfezionato come segue con il contributo dell'Ordine dei Commercialisti di Napoli che risponde anche alle attuali prescrizioni del codice (vedi anche sito www.anaci.it):
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AMMINISTRAZIONE CONDOMINIO VIA RENDICONTO CONSUNTIVO ANNO 20
Elaborato n.1 di 5 CONTO CONSUNTIVO ANNO 20.... TABELLA A
- Generale
Consuntivo (A)
Preventivo (B)
Conguaglio (A-B)
%
1 Assicura
zione fabbricato
2 Oneri
bancari c/c n……
3 ICI ex
alloggio portiere
4
Compenso amministratore
5 Iva e cpa
amministratore
6 Cancelle
ria/postali/amm.ne
7 Manuten
zioni e riparazioni
8 Fornitur
a energia elettrica
9 Fornitura acqua
10
....................................
TOTALE TABELLA A
TABELLA B - Portierato
Consuntivo (A)
Preventivo (B)
Conguaglio (A-B) %
1 Stipendi
o portiere e sostituto
2
Oneri fiscali e previdenziali
3 Accanto
namento per t.f.r.
4 Consule
nza del Lavoro
4 Consule
nza del Lavoro
5 ..............
....................
..
TOTALE
TABELLA B
TABELLA C - Scala
Consuntivo (A)
Preventivo (B)
Conguaglio (A-B) %
1 Manuten
zioni e riparazioni
2 Fornitur
a energia elettrica
3 ..............
....................
..
TOTALE
TABELLA C
TABELLA D - Ascensore
Consuntivo (A)
Preventivo (B)
Conguaglio (A-B) %
1 Manuten
zioni e riparazioni
2 Fornitur
a energia elettrica f.m.
3 Verifiche biennali
4 ..............
....................
..
149
TOTALE TABELLA D
TABELLA E - Autorimessa
Consuntivo (A)
Preventivo (B)
Conguaglio (A-B) %
1 Manuten
zioni e riparazioni
2 Fornitur
a energia elettrica
3 Cosap
varco carraio
4 ..............
....................
..
TOTALE
TABELLA D
ALTRE DA RIPARTIRE
Consuntivo (A)
Preventivo (B)
Conguaglio (A-B) %
1 Riparazi
oni pluviali e fecali
2
Manutenzioni e riparazioni citofoni
3 Postali individuali
4 ..............
....................
..
TOTALE
ALTRE
IMPREVISTE (*)
Consuntivo (A)
Preventivo (B)
Conguaglio (A-B) %
1 Spese ………….
2 Spese …………
3 ..............
....................
..
TOTALE
IMPREVISTE (*) spese senza separata imputazione da
ripartire secondo legge.
TOTALE GENERALE
150
Nello schema sono incluse le spese impreviste di importi tali da non richiedere un separato riparto. Diversamente le spese straordinarie di importo rilevante e oggetto di apposita delibera o ratifica, saranno oggetto di separata rendicontazione i cui risultati confluiranno anch’essi, così come quelli del conto consuntivo, nello stato patrimoniale finale.
LO STATO PATRIMONIALE I valori da riportare nel prospetto sono quelli risultanti esattamente al termine del periodo
oggetto di rendiconto; ciò evidentemente allo scopo di rispettare il principio di certezza dei valori iscritti in modo da poter avere evidenza della effettiva consistenze di cassa, facilitando allo stesso tempo il compito di quadratura dell’amministratore, sia nell’ambito del rendiconto presentato che nel collegamento con quelli successivi, a scongiurare ogni ipotesi di duplicazione della spesa. Si consiglia, per esigenze soprattutto di carattere fiscale, di considerare il periodo amministrativo coincidente con l’anno solare. Nella nostra analisi vanno pertanto considerati i valori come esistenti alla data del 31 dicembre.
ATTIVO: In tale prospetto, oltre alla esistenza di cassa e di banca, (al 31/12 dell’anno) devono essere dettagliatamente riportati tutti i crediti, distinguendo quelli sorti durante l’anno da quelli relativi agli anni pregressi, suddividendoli tra quelli che hanno avuto origine da conguagli rispetto a quelli che hanno avuto origine dall’emissione di quote ordinarie non pagate (morosità). Nel dettaglio dei crediti inoltre vanno evidenziati quelli oggetto di contenzioso, quelli per quote straordinarie, gli eventuali acconti a fornitori e per spese legali a fronte di contenziosi non ancora definiti.
PASSIVO: nei debiti vanno evidenziati quelli relativi a conguagli, quelli relativi a fornitori non pagati durante l’anno, quelli sorti in anni pregressi (motivando nelle note le ragioni del mancato pagamento), i depositi cauzionali, i debiti tributari/previdenziali ed infine i fondi a qualsiasi titolo costituiti (es. fondo cassa, fondo locazioni attive, fondo lavori, ecc) indicando la loro specifica destinazione e riferendo nelle note la fonte istitutiva dello stesso (es. “delibera del ...”, oppure “avanzo del....”). Per il Fondo TFR è opportuno specificare se a copertura ci sia un accantonamento reale a mezzo polizza o libretto bancario, precisando altresì eventuali corresponsioni di anticipi ai dipendenti.
151
AMMINISTRAZIONE CONDOMINIO VIA RENDICONTO CONSUNTIVO ANNO 20
Elaborato n.2 di 5 STATO PATRIMONIALE AL 31/12/20....
ATTIVITA' PASSIVITA'
DESCRIZIONE IMPORTI DESCRIZIONE
IMPORTI Crediti per quote ordinarie dell'anno Debiti v/fornitori (4) Crediti per quote ordinarie anni
pregressi Debiti tributari
Crediti per conguagli anni pregressi Debiti previdenziali
Crediti per quote straordinarie Debiti per conguagli anni pregressi
Crediti in contenzioso (1) Fitti attivi da ripartire (5)
Acconti vertenze legali (1) Deposito cauzionale fitti attivi
Fitti attivi da incassare (2) Deposito cauzionale fornitori
Fornitori c/anticipi (3) Fondo T.F.R. dipendenti (6)
Liquidità su c/c bancario Fondo riserva esigenze di cassa (7)
Liquidità su c/c postale .......................... Liquidità in cassa .......................... Deposito cauzionale COSAP .......................... .......................... ..........................
TOTALE ATTIVITA' TOTALE PASSIVITA'
Conguaglio anno corrente (8) Conguaglio anno corrente (9)
TOTALE A PAREGGIO TOTALE A PAREGGIO
Note (1) specificare per quale vertenza (2) specificare inquilino, periodo e motivazioni del mancato incasso (3) specificare il fornitore e il titolo della spesa (4) trattasi dei costi consuntivati da pagare al 31/12 - specificare eventuali importi riferiti ad anni pregressi (5) trattasi degli introiti da locazione immobili proprietà comune su cui deliberare la destinazione o riparto (6) al netto degli (eventuali) anticipi corrisposti - specificare se c'è accantonamento reale (es. libretto, assicurazione) (7) specificare destinazione e riferimento delibera istitutiva (8) conguaglio gestione corrente a debito dei condomini (= credito per il Condominio) (9) conguaglio gestione corrente a credito dei condomini (= debito per il Condominio)
SITUAZIONE DI CASSA In questo prospetto viene ricostruita tutta la movimentazione effettiva della
“cassa” condominiale. Vengono cioè riportati tutti gli incassi e gli esborsi effettivamente operati durante l’anno così come risultanti dal libro cassa ovvero, in caso di utilizzo del metodo della partita doppia, risultanti dalle scritture che hanno comportato un movimento finanziario. In tal modo si ha una perfetta coincidenza dei movimenti e dei saldi del c/c intestato al condominio con le registrazioni di
152
contabilità. In sintesi, si riportano i saldi liquidi iniziali, si aggiungono i movimenti in entrata
ed uscita raggruppati per tipologia di movimentazione, giungendo alla consistenza finale di cassa e banca/posta. Anche qui la movimentazione riportata è quella fino al 31/12 dell’anno ed i valori finali necessariamente dovranno coincidere con quelli indicati nell’attivo dello stato patrimoniale. Scopo fondamentale di tale elaborato è la dimostrazione della movimentazione finanziaria che ha determinato la variazione della consistenza di cassa nel periodo amministrativo; voci e importi dovranno trovare riscontro puntuale nel Conto Consuntivo e nello Stato Patrimoniale così da determinare la quadratura completa delle scritture contabili.
Rappresenta dunque un importante documento di controllo.
AMMINISTRAZIONE CONDOMINIO VIA SITUAZIONE DI CASSA ANNO 20
Elaborato n.3 di 5 SITUAZIONE DI CASSA ANNO 20
ENTRATE USCITE
DESCRIZIONE IMPORTI DESCRIZIONE
IMPORTI
Esistenza c/c bancario al 01/01/20..... Spese consuntivate dell'anno effett. pagate
Esistenza c/c postale al 01/01/20..... Spese straordinarie effett. Pagate
Esistenza di cassa al 01/01/20..... Pagamento debiti anni pregressi
Quote condominiali ordinarie dell'anno Riparto fitti anni pregressi
Quote condominiali ordinarie anni pregressi. Restituzione depositi
cauzionali
Quote condominiali straordinarie dell'anno Anticipi/liquidazione TFR
dipendenti
Quote condominiali straordinarie anni pregressi Utilizzo fondo cassa
Quote condominiali conguaglio anno precedente Anticipi a fornitori
Quote condominiali conguaglio anni pregressi Anticipi vertenze legali
Fitti attivi Restituzione conguagli a credito condomini
.......................... .......................... TOTALE USCITE Liquidità al 31/12/20__ (1)
TOTALE ENTRATE TOTALE A PAREGGIO (1 ) di cui € ….. su c/c bancario, € ….. su c/c postale, € ….. in cassa.
153
RIPARTO CONSUNTIVO In tale prospetto le spese vengono ripartite secondo i criteri di ripartizione
stabiliti dal Regolamento di condominio (tabelle millesimali, ecc) e/o dall’Assemblea di condominio e/o dalla legge.
Per ciascun condomino vengono riportati i millesimi di ogni tabella di ripartizione, la relativa attribuzione della spesa per millesimi, o il coefficiente di ripartizione per le altre spese non riconducibili a nessuna tabella millesimale, e la relativa spesa attribuita.
Viene poi riportato per ciascuna unità immobiliare il totale spesa, il confronto con il preventivo e l’indicazione del relativo conseguente conguaglio (differenza fra quanto previsto e quanto effettivamente speso), indipendentemente da eventuali morosità pregresse.
TAB.A Generale
TAB.B Portierato
TAB.C Scala
TAB.D Ascensore
Tot. Spese (A)
Quote
emesse (B)
Conguaglio 20.... (A – B) N S
C P I
NT
CONDOMINO
mm
Importi
mm
Importi
mm
Importi
mm
Importi
1 A T 1 2 A 1 2 3 A 2 3 4 A 3 4 5 A 4 5 6 A 5 6 8 B T 1 9 B 1 2 1
0 B 2 3
11
B 3 4 1
2 B 4 5
13
B 5 6 1
5 G S1
1 1
6 G S1
2 1
7 G S1
3 1
8 G S1
4 1
9 G S1
5 2
0 G S1
6 2
1 G S1
7 2
9 E T 7
5
30
E T 77
TOTALI RIPARTITI 1
000 1
000 1
000 1
000 TOTALI DA
CONSUNTIVO
ARROTOND. DA RIPARTO
154
IL PROSPETTO DEI CONTI INDIVIDUALI In tale prospetto vengono riportate, per singolo condomino, tutte le somme
dovute al condominio: in pratica costituisce un vero e proprio estratto conto di fine anno contabile. Alle eventuali morosità relative agli anni precedenti vengono aggiunte quelle sorte nell’anno per quote ordinarie e straordinarie non pagate, nonché le somme dovute per il conguaglio finale (che non costituisce morosità).
In tal modo il condomino ha un quadro completo della sua situazione debitoria e il condominio il dettaglio dei crediti nei confronti dei condomini.
Tale rappresentazione contabile consente, inoltre, di evidenziare debiti di anni pregressi eventualmente a carico di precedenti condomini (art. 63 disp. att. c.c.).
AMMINISTRAZIONE CONDOMINIO VIA RENDICONTO ANNO 20
Elaborato n.5 di 5 PROSPETTO CONTI INDIVIDUALI AL 31/12 ANNO 20
Quote non versate anno corrente Quote non versate anni pregressi
Altri crediti
TOTALE
N sc P i
nt condo
mino
Quote Ordin
arie
Quote Straordinarie
Conguaglio
Quote
Ord.
Quote
Straord.
Conguagli
RisarcimRimborsi
complessivo dovuto
1 A T 1 2 A 1 2 3 A 2 3 4 A 3 4 5 A 4 5 6 A 5 6 7 B T 1 8 B 1 2 9 B 2 3 1
0 B 3 4
11
B 4 5 1
2 B 5 6
13
G S1
1 1
4 G S1
2 1
5 G S1
3 1
6 G S1
4 1
7 G S1
5 1
8 G S1
6 1
9 G S1
7 2
0 E T 7
5
21
E T 77
TOTALI
155
10.4.1 – Il meccanismo contabile Il rendiconto condominiale deve essere elaborato in base ad un meccanismo
contabile che coordina opportunamente le scritture che già vengono normalmente elaborate nelle varie amministrazioni condominiali; le entrate vengono suddivise secondo la natura (quote ordinarie e straordinarie, affitti, proventi vari e rimborsi) con annotazione in schede o partitari individuali anche di tipo informatizzato per seguire i versamenti delle quote dovute dai vari partecipanti al condominio; la classificazione delle uscite tiene conto delle diverse imputazioni indicate dal regolamento condominiale e predispone una analitica registrazione delle componenti di categorie di spese da ripartire secondo differenti criteri rappresentati dalle tabelle millesimali. Le schede o partitari individuali intestati ad ogni utente dei servizi condominiali
hanno la colonna delle partite a debito con le quote ordinarie e straordinarie fissate nei preventivi inserite ad ogni rispettiva scadenza e la colonna delle partite a credito ovvero ogni versamento, anche in acconto, effettuato dai singoli partecipanti con l’indicazione delle date relative in modo da consentire anche la possibilità di calcolare eventuali indennità di mora; altre due colonne evidenziano i saldi arretrati in sospeso e la successiva regolarizzazione. Tali prospetti forniscono a fine esercizio il totale dei versamenti effettuati da inserire nella “Ripartizione spese” per il raffronto con il «dovuto» e la conseguente determinazione dei conguagli a credito o a debito. A fine esercizio, per visualizzare in modo completo i risultati della gestione
condominiale (normalmente dodici mesi anche se non corrispondenti all’anno solare) è necessario elaborare quattro prospetti la cui reciproca concordanza è garanzia di perfetta tenuta della contabilità (Conto economico o Dimostrazione spese ed entrate, Ripartizione spese, Situazione di cassa e Situazione patrimoniale). Per facilitare il compito dell’amministratore sono disponibili sul mercato numerose
procedure informatiche per la registrazione, l’aggiornamento e la documentazione delle informazioni relative alle gestioni condominiali. L'Associazione ha realizzato ANACI Gest, un software gestionale dedicato agli amministratori immobiliari. Il giornale di contabilità è rappresentato dalla prima nota ovvero una lista di tutte le
spese imputate all’esercizio con le voci raggruppate per tabelle millesimali con dettagli di spesa sotto ciascuna voce ordinati per data. Dal preventivo vengono generate delle quote relative ad un numero variabile di rate
che danno luogo ad addebiti periodici automaticamente riportati negli estratti conto individuali; per ogni utente del condominio (è possibile distinguere le imputazioni tra proprietario ed inquilino) è disponibile un archivio con la descrizione della data degli addebiti, la successiva data di pagamento e la registrazione di eventuali acconti. In ogni momento è possibile ottenere il riepilogo degli estratti conto nominativi, il
consuntivo delle spese e la situazione di cassa; il sistema a fine esercizio seleziona tutte le spese immesse e i movimenti degli estratti conto nell’intervallo di tempo da considerare, ripartisce le spese per nominativo in base ai millesimi di ciascuna tabella, totalizza i pagamenti degli estratti conto e determina i conguagli individuali. La dimostrazione delle spese e delle entrate potrà avere contenuti diversi in
relazione ai servizi disponibili nel condominio con la rappresentazione di altre categorie di spese in funzione delle varie tabelle millesimali esistenti; l’esposizione della natura delle spese sostenute potrà essere più analitica anche se la sintesi rende spesso il rendiconto meno complicato e quindi più leggibile, con la dovuta disponibilità dell’amministratore a rilasciare, su richiesta, copia della prima nota spese; potrà considerare tutti i pagamenti comunque effettuati dai condòmini nel periodo contabile di riferimento con l’inserimento anche di tutti i saldi dell’esercizio precedente (a
156
credito o a debito). 10.4.2 - Documenti giustificativi L’evoluzione della giurisprudenza (Cassazione 28/11/2001 n.15159) ha superato il
concetto del controllo dei giustificativi di spesa solo in sede di rendiconto annuale; la S.C. ha chiarito che il rapporto tra l’amministratore ed i condòmini è analogo a quello del mandato con rappresentanza, sebbene con caratteristiche del tutto peculiari, e che i condòmini, in quanto mandanti, sono titolari dei poteri di vigilanza e di controllo previsti dal contratto di mandato (art. 1713 c.c.: «il mandatario deve rimettere al mandante ciò che ha ricevuto a causa del mandato»). Non vi è ragione pertanto di impedire agli stessi di esercitare, in ogni tempo, la
vigilanza ed il controllo sullo svolgimento dell’attività di gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni e, perciò, di prendere visione dei registri e dei documenti che li riguardano, sempre che la vigilanza ed il controllo non si risolvano in un intralcio dell’amministrazione, non siano contrari al principio della correttezza ed i condòmini sostengano i costi delle attività afferenti alla vigilanza ed al controllo. L'art. 1130 bis evidenzia infatti che "condomini ed inquilini possono prendere
visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese". 10.4.3 - Elenco fornitori beni e servizi Anche se il Ministero delle Finanze ha chiarito (Risoluzione 24 maggio 1986,
n.321703) che il soggetto obbligato al rilascio delle fatture, responsabile quindi di eventuali omissioni, è colui che effettua cessioni o prestazioni di servizi nell’esercizio di imprese o di arti e professioni e non il condominio considerato consumatore finale, l’amministratore dovrà acquisire giustificativi di spesa fiscalmente regolari per essere in grado di documentare agli uffici finanziari un corretto elenco dei fornitori del condominio (art. 21 comma 14, legge n.449/1997), un obbligo specifico per l’«amministratore» e non per il condominio. Il D.M. 12 novembre 1998 ha fissato i contenuti di tale «comunicazione degli
amministratori di condominio all’anagrafe tributaria» e più precisamente ha chiarito quali dati non debbono essere comunicati per cui per esclusione l’amministratore deve preparare soltanto un elenco delle forniture di beni e servizi effettuate nell’anno solare di riferimento (con generalità, domicilio e codice fiscale) che non abbiano determinato ritenute alla fonte (corrispettivi da inserire soltanto nel Modello 770) e che non si riferiscano ad utenze acqua, gas ed energia elettrica; non vanno indicati eventuali pagamenti effettuati allo stesso fornitore fino a € 258,23 anche se rappresentati da più fatture, ma tale semplificazione non rappresenta una franchigia, nel senso che le forniture superiori a tale importo vanno integralmente registrate. Il Ministero ha chiarito che, per individuare l’importo complessivo delle forniture
per gli acquisti di beni (gasolio, materiali pulizie, cancelleria, estintori, materiale elettrico, ecc.) si considera il momento della consegna, mentre per le prestazioni di servizi (manutenzioni, riparazioni, ecc.) si tiene conto della data di pagamento del corrispettivo, anche se parziale. Il quadro AC (Amministratori di condominio) fa parte dei prospetti aggiuntivi al
modello base UNICO (sia persone fisiche che società), ed il soggetto obbligato ad effettuare l’anzidetta comunicazione all’anagrafe tributaria riferita all’intera gestione condominiale è l’amministratore in carica al 31 dicembre dell’anno solare di riferimento. I quadri AC (uno per ogni condominio) debbono essere allegati al Mod. UNICO dell’amministratore.
157
Questo adempimento per gli amministratori di condomini esige quindi la tenuta di contabilità chiara ed ordinata e la predisposizione di un rendiconto di esercizio facilmente «leggibile» in quanto gli uffici finanziari potranno eseguire controlli per accertare l’esattezza delle comunicazioni anzidette. Gli amministratori condominiali sono tenuti ad un attento studio delle tematiche
tributarie, evitando troppo semplicisticamente di considerare «errori formali» la mancata predisposizione di un quadro AC per ogni condominio gestito, in quanto ininfluente per la determinazione dell’imposta. Non si tratta infatti di un obbligo fiscale fine a se stesso e l’inosservanza del dettato normativo dà luogo ad una sanzione amministrativa da 258 a 1.032 euro. A seguito dell'abolizione dell'invio della comunicazione di inizio lavori ai fini della
pratica per l'ottenimento dei benefici fiscali per gli interventi di recupero edilizio, nel Quadro AC vanno indicati i riferimenti catastali relativi agli immobili dove si effettuano i lavori stessi.
158
MODULO N. 11
La gestione dei dipendenti (Antonio Pazonzi)
Nel condominio si può verificare la necessità di instaurare rapporti di lavoro al fine
di poter svolgere determinati servizi necessari al mantenimento, al miglior godimento ed alla sicurezza del bene comune. Quando si verifica la suddetta necessità si possono instaurare rapporti di lavoro
subordinato assumendo il condominio, in persona dell’amministratore pro-‐tempore in quanto rappresentante legale, la figura di datore di lavoro. Per questo motivo il legislatore e le associazioni di categoria hanno visto bene di
regolamentare ad hoc questi possibili rapporti. L’art. 2094 c.c. definisce chi è il prestatore di lavoro subordinato e quali sono gli
elementi che devono essere presenti nel rapporto tra questi ed il datore di lavoro affinché il lavoratore sia considerato tale. Precisamente: la subordinazione, l’impiego di mezzi forniti dal datore di lavoro, l’orario di lavoro. La natura del rapporto giuridico che si viene ad instaurare tra datore di lavoro e
lavoratore è un contratto a prestazioni corrispettive dove i contratti collettivi di lavoro assumono un ruolo fondamentale. 11.1 - I contratti collettivi di lavoro I contratti collettivi disciplinano in maniera dettagliata lo svolgimento dell’attività
lavorativa e ne abbiamo incontrati nel tempo di tre categorie: a) Contratti Collettivi Corporativi Sono quei contratti stipulati dal sindacato di diritto pubblico e mantenuti in vigore
dopo la caduta del fascismo dall’art.43 del D.Lgs. 23 novembre 1944, n.369. b) Contratto Collettivo ex art. 39 Costituzione L’art. 39 Cost. ha inteso stabilire nel nostro ordinamento il principio del contratto
collettivo come norma giuridica e pertanto ha predisposto uno speciale procedimento per la stipulazione del contratto collettivo attraverso il quale viene ad essi attribuita efficacia di norma giuridica, valevole in quanto tale erga omnes. La mancata attuazione di questo articolo e l’esigenza di fornire a tutte le categorie
di lavoratori una piattaforma più aggiornata di trattamento minimo rispetto a quella ormai superata, portarono il legislatore, con la legge 14 luglio 1959 n. 741 intitolata “norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori”, a conferire, in via indiretta, efficacia erga omnes ad alcuni contratti collettivi. c) Contratto collettivo di diritto comune Il tipo fondamentale di contratto collettivo e l’unico che oggi possa realizzarsi. E’ il
contratto di diritto comune o postcorporativo. È un contratto atipico, perché privo di una specifica disciplina legislativa, ed è chiamato così in quanto regolato dalle norme di diritto comune valide in materia contrattuale (libro IV c.c.). In conformità dei principi generali del diritto validi in materia contrattuale vincola esclusivamente gli
159
associati alle organizzazioni sindacali che li hanno stipulati. Di conseguenza il datore di lavoro che receda dalla propria organizzazione si libera dall’obbligo di applicare i contratti collettivi stipulati successivamente al recesso, ma resta vincolato fino alla normale scadenza del contratto vigente al momento in cui il recesso si è verificato. I contratti collettivi di diritto comune hanno durata economica e normativa
quadriennale e rinnovo economico biennale. Quelli che stabiliscono il trattamento minimo economico e normativo applicato ai rapporti di lavoro dei dipendenti da proprietari di fabbricati sono due e classificano i lavoratori in categorie, a loro volta suddivise in più profili in base alle mansioni svolte: Contratto Confedilizia-‐Sindacati Confederali e Contratto Federproprietà-‐UPPI-‐CONFSAL-‐CONFAPPI-‐ASPPI. Una volta inquadrato il profilo professionale del lavoratore, potrà essere
determinato l’orario al quale lo stesso dovrà conformarsi. A seconda dell’orario svolto scaturiscono dei particolari obblighi in merito alle procedure di assunzione, al pagamento della retribuzione, alla contribuzione previdenziale (INPS) ed al pagamento dei premi per assicurare i lavoratori in caso di infortunio sul luogo di lavoro (INAIL). L’orario massimo settimanale consentito è fissato per legge. Il normale orario di
lavoro attualmente è fissato dal legislatore in 40 ore settimanali escludendo da detto limite le categorie di lavoratori che svolgono servizio di vigilanza, guardiania, semplice attesa o custodia (legge 24 giugno 1997, n. 196). Tale limite è stato ribadito dal D.Lgs. n.66 dell’8 aprile 2003 che ha dato attuazione alle direttive comunitarie 93/104/CE e 2000/34/CE. Dall’origine ad oggi il servizio di portierato originariamente svolto per 66 ore settimanali è stato da prima ridotto a 60, in seguito a 59 ed ora a 48 ore, stante il limite imposto dalla Comunità Europea. Il datore di lavoro una volta scelto il lavoratore e dopo averlo inquadrato secondo le
mansioni attribuitegli, eseguirà tutta una serie di operazioni previste dalla normativa vigente ai fini della costituzione, della durata e della eventuale estinzione della prestazione lavorativa. Nel susseguirsi del rinnovamento del mercato del lavoro è possibile applicare una
più ampia scelta tra i vari istituti per l’inserimento dei lavoratori e più precisamente: L’apprendistato: applicabile esclusivamente per alcuni profili e solo qualora vi sia
già un tutore che possa assistere l’apprendista, concede di assumere usufruendo delle agevolazioni tipiche di questo istituto (contributive e previdenziali). Il job sharing: da la possibilità di assumere legando alla prestazione da adempiere,
due o più persone le quali saranno retribuite secondo la prestazione effettivamente lavorata e corresponsabili della stessa. 11.2 - Il part-time Per assumere un lavoratore part-‐time, stante l’abrogazione dell’art. 5 della legge n.
863/84 dal D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 e modificato dal D.Lgs 26 febbraio 2001, n. 100 ed infine dal D.Lgs. 276/2003, non è più necessaria la comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro degli assunti con questo istituto, rimane solo l’obbligo della convalida da parte della stessa, qualora da un contratto a tempo pieno si passi ad uno a tempo ridotto, da espletare in forma scritta e previo consenso delle parti. Il part-‐time può essere orizzontale, quando la prestazione è costante nel tempo e la
riduzione riguarda solo l’orario di lavoro, e verticale, quando la prestazione viene effettuata solo in giorni prestabiliti con cadenza settimanale, mensile o annuale. Il part-‐time può essere instaurato per un minimo di 24 ore per i portieri A4 e 20 ore per gli A3.
160
La responsabilità della custodia per i lavoratori a tempo parziale , (riservata ai soli lavoratori con alloggio cui tale mansione è riferibile), non sussisterà negli orari che il lavoratore intende destinare ad altre attività lavorative al di fuori dell’alloggio di servizio. Ai lavoratori a tempo parziale con distribuzione orizzontale o verticale non potrà
essere affidata la conduzione dell’impianto di riscaldamento, fatta salva tale possibilità per i lavoratori a tempo parziale verticale con orario giornaliero completo e con prestazioni continuative da svolgersi in un determinato periodo dell’anno. Il ricorso al lavoro supplementare ed al lavoro straordinario è consentito con
riferimento alle seguenti specifiche esigenze organizzative: – necessità di manutenzione ordinaria e/o straordinaria agli impianti,
che non possa essere eseguita nel corso del normale orario di lavoro; – altre contingenti necessità connesse con le funzioni di sorveglianza e/o
di custodia del portiere. Contratto di assunzione Fermo restando che l’orario settimanale di lavoro relativo ai rapporti part-‐time
dovrà risultare da atto scritto al momento dell’assunzione, gli stessi saranno regolati, oltre che dalle specifiche normative già previste dal CCNL, anche dal D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 e successive modifiche e/o integrazioni. L’atto scritto di cui al comma precedente dovrà inoltre contenere:
a) il trattamento economico e normativo secondo criteri di proporzionalità all’entità della prestazione lavorativa b) la puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della
collocazione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno così come previsto dall’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 61/2000 citato e sue successive modifiche e/o integrazioni.
Il rapporto a tempo parziale sarà disciplinato secondo i seguenti principi: a) volontarietà di entrambe le parti;
b) reversibilità della prestazione da tempo parziale a tempo pieno in relazione alle esigenze della proprietà e quando sia compatibile con le mansioni svolte e/o da svolgere, ferma restando la volontarietà delle parti; c) priorità del passaggio da tempo pieno a tempo parziale o viceversa dei
lavoratori già in forza rispetto ad eventuali nuove assunzioni, per le stesse mansioni.
I genitori di portatori di handicap grave, comprovato dai Servizi sanitari competenti per territorio, che richiedano il passaggio a tempo parziale, hanno diritto di precedenza rispetto agli altri lavoratori. Clausole di flessibilità e di elasticità Le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono concordare per iscritto
clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione stessa. Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere
stabilite sempre per atto scritto anche clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa. Il rifiuto da parte del lavoratore non può integrare in nessun caso gli estremi del
giustificato motivo di licenziamento né l’adozione di provvedimenti disciplinari.
161
Sia le clausole flessibili che le clausole elastiche potranno essere pattuite a tempo indeterminato come pure a tempo determinato. Le parti hanno concordato che, in presenza di clausole flessibili, la collocazione
temporale della prestazione lavorativa potrà essere modificata a richiesta del datore di lavoro nel rispetto di un preavviso di almeno 10 giorni lavorativi. Al lavoratore cui si applica la clausola di flessibilità spetterà un’indennità pari al 5%
della retribuzione globale di fatto a titolo di compensazione. Nell’ipotesi del venire meno della clausola di flessibilità, la predetta indennità cesserà di essere corrisposta. Le parti concordano altresì che, in presenza di clausole elastiche, la prestazione
lavorativa potrà essere modificata in aumento, a richiesta del datore di lavoro, nel rispetto di un preavviso di almeno 2 gg. lavorativi. Nell’accordo devono inoltre essere indicate le ragioni di carattere tecnico,
organizzativo produttivo o sostitutivo che autorizzano l’applicazione delle clausole flessibili od elastiche. Le ore di lavoro effettuate in aggiunta a quelle ordinarie, vengono retribuite con le
stesse modalità e maggiorazione previste per il lavoro supplementare. Il datore di lavoro può, a sua volta , recedere dal patto con un preavviso di almeno
un mese. 11.3 - Il contratto a tempo determinato Presupposti - E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro
subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico organizzativo , produttivo o sostitutivo. Copia dell’atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore
entro 5 gg. lavorativi dall’inizio della prestazione. Ipotesi di utilizzo - In relazione a quanto disposto dal D.Lgs 6 settembre 2001, n. 368, le parti
convengono sulle seguenti ipotesi di apposizione di un termine al contratto di lavoro, nel caso di assunzioni di lavoratori:
– per sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto ai sensi dell’art. 2110 c.c.;
– per sostituzione di lavoratori assenti per ferie e permessi; – per sostituzione di lavoratori assenti per aspettative, per le quali
comunque sia legalmente previsto l’obbligo della conservazione del posto; – per sostituzione di lavoratori impegnati in attività formative;
– per sostituzione di lavoratori il cui rapporto di lavoro sia temporaneamente trasformato da tempo pieno a tempo parziale; – a servizio di residenze turistiche a carattere stagionale ovvero con
mansioni relative a strutture, impianti o apparati con funzionamento limitato solo ad alcuni periodi nell’anno;
– per supporto tecnico nel campo della prevenzione e sicurezza del lavoro; – per lavorazioni connesse ai vincolanti termini di esecuzione; – per l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno;
– a conclusione di un periodo di tirocinio o di stage, allo scopo di facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro;
– per l’inserimento di lavoratori con età superiore ai 55 anni; – per l’esecuzione di un’opera o di un servizio definiti o predeterminati
nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale;
162
– per esigenze connesse ad eccezionali cause di forza maggiore e/o calamità naturale.
Limiti di utilizzo - I contratti a tempo determinato non potranno superare il 10% dell’organico
complessivo dei lavoratori assunti a tempo indeterminato. Formazione - Il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato dovrà ricevere una
formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del lavoro. Posti vacanti - Ai lavoratori occupati a tempo determinato dovrà essere inoltrata comunicazione
circa i posti vacanti che si rendessero disponibili, in modo da garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri lavoratori. 11.4 - Assunzione: primi obblighi Comunicazione al centro per l’impiego di competenza (ex collocamento) – Deve essere effettuata il giorno antecedente all’assunzione del lavoratore,
attraverso la compilazione e l’invio telematico del modello UNI-‐LAV. In questo modello vanno riportati tutti i dati delle parti che stipulano il contratto (nome, cognome, codice fiscale, ecc.) e quei dati attinenti al rapporto di lavoro in senso più stretto come la tipologia di lavoro scelta (se a tempo determinato, indeterminato, full-‐time, part-‐time, la qualifica e la posizione assicurativa INAIL). Una particolare attenzione deve essere fatta al periodo di prova che deve risultare
da atto scritto ed è considerato un normale periodo retributivo e pertanto maturano tutti i diritti contrattuali. Il lavoratore aspirante all’assunzione deve presentare i seguenti documenti: – carta di identità; – scheda professionale;
– la documentazione necessaria per fruire dell’assegno per il nucleo familiare (stato di famiglia);
– certificato medico; – il codice fiscale; – la carta di soggiorno per motivi di lavoro se stranieri; – attestato di frequenza al corso ex-‐D.Lgs. 81/2008. La licenza comunale prevista dal R.D. 18 giugno 1931 è stata abrogata dalla Legge
24 novembre 2000, n. 340. Lettera d’assunzione -‐ Una volta assunto il dipendente dobbiamo sottoscrivere e far sottoscrivere una
dichiarazione dalla quale risultino tutti gli elementi fondamentali del rapporto (durata, orario, retribuzioni, detrazioni spettanti). La lettera di assunzione (o contratto individuale) non può derogare alla legge, ma
può contenere disposizioni in melius rispetto al contratto collettivo (ossia, oltre le condizioni minime di trattamento economico e normativo contenute nel contratto collettivo, il contratto individuale può stabilire ulteriori condizioni, ma solo a patto che
163
siano più favorevoli per il lavoratore). Devono essere altresì elencati gli obblighi (dovere di diligenza, obbedienza e
fedeltà, artt. 2104 e 2105 c.c.) le mansioni e le sanzioni del lavoratore. È necessario, inoltre, che all’interno della lettera di assunzione vi siano specificati
anche le sanzioni a cui il lavoratore andrebbe in contro a causa della violazione degli obblighi contrattuali, nonché la procedura per la contestazione delle stesse. Questi ultimi elementi sono importanti in quanto in caso di richiamo è necessario
che ci sia prova certa che il lavoratore conosca ciò che rientra nei suoi doveri contestualmente all’assunzione, anche al fine di evitare il ricorso all’Autorità Giudiziaria. Iscrizione del lavoratore nel libro unico del lavoro gestito telematicamente dal
consulente -‐ Al fine dell’assolvimento dell’obbligo previsto dalla normativa vigente. Il libro in
questione è un libro che le aziende sono tenute ad istituire e a conservare e nel quale vanno iscritti i lavoratori assunti, gli stessi vanno inseriti seguendo una numerazione progressiva ed in ordine cronologico di assunzione (per data). Inoltre debbono essere annotate le detrazioni annuali spettanti al lavoratore, le quali possono essere trascritte globalmente riferendole all’ammontare annuo se dettagliate nel libro delle retribuzioni (cedolini paga). Il libro non può contenere spazi in bianco e le correzioni debbono essere fatte in modo tale da lasciare leggibile ciò che si è cancellato. Va conservato 10 anni dopo l’ultima scrittura. Libro degli infortuni -‐ Deve essere conservato presso il datore di lavoro. La vidimazione viene effettuata
presso l’ASL di competenza e conservato per quattro anni dalla data dell’ultima registrazione. 11.5 - INAIL (Istituto Nazionale Assicurazioni Infortuni sul Lavoro) La gestione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sui luoghi di lavoro e
le malattie professionali è affidata all’INAIL. Si tratta di un ente pubblico non economico a carattere nazionale, erogatore di servizi, che opera sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale. Il Testo Unico in materia di infortuni sui luoghi di lavoro (DPR 30 giugno 1965, n.
1124) obbliga all’assicurazione in questione, tutti quei soggetti che svolgendo attività lavorativa possono incorrere in infortuni e più precisamente:
1. Coloro che in modo permanente o avventizio prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma retributiva. 2. Coloro che trovandosi nelle condizioni di cui al precedente n. 1 anche
senza partecipare materialmente al lavoro, sovrintendono a quello altrui. 3. I soci che partecipano all’attività della ditta associante. Elementi che devono ricorrere affinché l’infortunio si possa qualificare come
professionale sono: a) La causa violenta;
b) L’occasione di lavoro (rischio generico – quello che corre ogni individuo; rischio specifico – quello che corre il soggetto in particolari condizioni); c) Una menomazione della capacità lavorativa del soggetto temporanea o
164
permanente assoluta o parziale. La differenza tra infortunio e malattia professionale sta nella modalità della causa:
l’infortunio, causa concentrata nel tempo, violenta, immediata. La malattia professionale, causa lenta che si verifica con il tempo, agendo sull’organismo dell’individuo. I premi da versare all’istituto vengono calcolati a partire da una base minimale
prevista dall’INAIL stessa, affinché il versamento del premio effettuato dal datore di lavoro sia matematicamente ed economicamente sufficiente a risarcire il danno occorso al lavoratore. Una volta fissati gli elementi (tasso in funzione del rischio assicurato e retribuzioni
imponibili) l’INAIL si limita ad inviare ad ogni datore di lavoro il prospetto di autoliquidazione con le basi del calcolo del premio ed è il datore di lavoro stesso che calcola quanto deve sia come “regolazione” dell’anno precedente sia come rata di premio anticipata per l’anno in corso. Si deve provvedere entro il 16 febbraio di ogni anno al pagamento ed entro il 31 marzo all’invio telematico. Resta salvo il potere di controllo e verifica da parte dell’INAIL. Contro le applicazioni delle tariffe il datore di lavoro può ricorrere entro 30 giorni
dalla data di comunicazione del provvedimento al Consiglio di Amministrazione dell’INAIL. I crediti vantati dall’INAIL nei confronti dei debitori si prescrivono nel termine dei 5
anni. Quando occorre un infortunio al soggetto assicurato, le prestazioni economiche che
l’istituto eroga vengono accreditate lasciando delle percentuali a carico del datore di lavoro in funzione del tempo trascorso sotto infortunio dal lavoratore e calcolate come segue: 1° giorno 100% a carico del datore di lavoro salve migliori
condizioni dei CCNL 2°-‐3° giorno 60% a carico del datore di lavoro
dal 4° al 90° giorno 60% a carico INAIL della retribuzione media dei 15 giorni precedenti infortunio
dal 91° giorno 75% a carico INAIL della retribuzione media dei 15 giorni precedenti l'infortunio
Per vedersi riconosciuta un’invalidità permanente il lavoratore deve riportare
residuati postumi permanenti e l’attitudine al lavoro deve essere inficiata per una percentuale superiore al 10% della sua capacità lavorativa totale. La rendita sarà calcolata: 1) Previa valutazione medico legale del danno;
2) Tenendo conto delle retribuzioni percepite dal lavoratore nei 12 mesi precedenti l’infortunio (compresa la 13a). Nel caso di minor periodo lavorativo la retribuzione si calcola pari a 300 volte la retribuzione giornaliera.
Altre prestazioni erogate dall’Istituto: Rendita provvisoria; revisione e
capitalizzazione della rendita; assegno per assistenza personale continuativa; rendita ai superstiti; assegno funerario di passaggio.
165
11.5.1 - La denuncia di infortunio L’art. 52 del T.U. 1124/65 prevede che il lavoratore dia immediata notizia
dell’infortunio al datore di lavoro; per le malattie professionali il termine è di giorni 15. Il diritto alle prestazioni si perde per le denuncie fatte dopo 3 anni dall’evento lesivo. Il datore di lavoro ha l’obbligo di denunciare l’infortunio all’INAIL entro 2 giorni da
quello in cui ne ha avuta notizia a mezzo del certificato medico. La denuncia va compilata su apposito modello. In caso di morte del lavoratore la denuncia va fatta a mezzo telegramma entro 24 ore dall’evento. Per le malattie professionali la denuncia va presentata dal datore di lavoro entro 5 giorni successivi a quello in cui il lavoratore ha informato il datore di lavoro. La c.d. inchiesta pretorile -‐ Ogni datore di lavoro deve dare notizia all’autorità di P.S. di ogni infortunio che
abbia durata superiore a 3 giorni. L’autorità di P.S. in caso di infortunio mortale o con inabilità superiore a 30 giorni ne informa la Direzione Provinciale del Lavoro che può procedere ad inchiesta al fine di verificare le modalità dell’infortunio (D.Lgs. n. 51 del 1998), anche su richiesta dell’INAIL o dell’infortunato. La procedura d’urgenza è richiesta dall’Istituto alla Direzione Provinciale del Lavoro quando questo ritiene che l’infortunio sia dovuto a dolo dell’infortunato o lo stesso abbia aggravato le conseguenze. 11.5.2 - La denuncia di esercizio Il proprietario di fabbricato che vuole assumere lavoratori dipendenti deve
denunciare l’esercizio all’Istituto contestualmente all’instaurazione del rapporto (o alla cessazione). Ai fini della denuncia rileva la data di effettivo inizio dell’attività lavorativa a prescindere dalla data di assunzione presente sul contratto di lavoro stipulato. In via generale la contestualità della denuncia non esclude che la stessa possa essere fatta anticipatamente. La denuncia deve essere fatta attraverso il canale telematico dell'INAIL. Assegnato il numero di posizione assicurativa l’INAIL comunica il grado del rischio
ed il premio relativo in funzione dell’attività dichiarata. Ogni variazione e modifica nell’estensione del rischio va comunicata entro 30 giorni cosi come la cessazione dell’attività. 11.6 - Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) E’ l’ente di diritto pubblico incaricato di gestire le Assicurazioni Generali
Obbligatorie (AGO). Queste assicurazioni sono: l’Indennità Vecchiaia per i lavoratori e Superstiti (I.V.S.);
la disoccupazione involontaria; la malattia (ordinaria e specifica-‐TBC); la maternità; l’indennità di mobilità; l’integrazione salariale ordinaria e straordinaria; gli Assegni per il Nucleo Familiare (A.N.F.). L’istituto accerta e riscuote i contributi delle gestioni affidategli. L’Istituto gestisce inoltre la cosidetta Gestione Separata (relativa a lavoratori
autonomi e parasubordinati), operativa dal 1° aprile 1996 per i non iscritti ad altre forme di previdenza e dal 30 giugno 1996 per gli iscritti ad altre forme di previdenza e per i già pensionati. La domanda di iscrizione all’INPS deve essere compilata on-‐line e trasmessa
telematicamente. L’INPS in funzione dell’iscrizione comunicherà il settore di
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appartenenza ed assegnerà il numero di matricola che è un numero composto di dieci caratteri numerici dei quali i primi due indicano la sede provinciale i successivi sei sono numeri progressivi e gli ultimi due il settore. L’Istituto provvederà ad attribuire anche il Codice Statistico Contributivo (C.S.C.) che è composto di 5 caratteri numerici dove il primo indica il ramo di inquadramento (industria, artigianato, commercio, ecc..) il secondo ed il terzo la classe nell’ambito del ramo (es: ramo – industria ; classe – tessile), il quarto ed il quinto la categoria specifica di attività nell’ambito della classe e del ramo. Per i proprietari di fabbricati il C.S.C. è: 70600 oppure 70601. 11.6.1 - Imponibile contributivo INPS Ai fini della determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di
previdenza ed assistenza si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza dal rapporto di lavoro”. La base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza e dei
premi INAIL è individuata con riferimento alla normativa fiscale. Le nuove disposizioni hanno fissato il principio in base al quale i redditi qualificati come di lavoro dipendente dal punto di vista fiscale sono considerati allo stesso modo dal punto di vista contributivo/previdenziale. La retribuzione da prendere come base non può essere inferiore all’importo delle
retribuzioni stabilite da leggi, regolamenti o contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, riconoscendo forza erga omnes alla contrattazione collettiva, ai fini del calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali. Le retribuzioni devono essere confrontate con i minimali di legge ai fini
contributivi. Qualora la retribuzione effettivamente corrisposta sia superiore ai minimi giornalieri di legge resta confermata, altrimenti deve essere adeguata ai predetti minimi. 11.6.2 - La liquidazione delle prestazioni da parte del datore di lavoro Sono quelle che il datore di lavoro è tenuto a liquidare e ad anticiparne il
pagamento al lavoratore per conto dell’INPS, e che, all’atto del versamento dei contributi “conguaglia” con le somme dovute, esponendo i relativi codici ed importi sul modello di denuncia aziendale mensile (UNIEMENS). Si tratta di assegni integrativi o sostitutivi di tutta o di parte della retribuzione per
eventi o condizioni soggettive, la cui gestione economica è affidata al datore di lavoro oltre che per evidenti motivi pratici in ossequio al principio dell’integrità della retribuzione (A.N.F. malattia/maternità/integrazioni salariali). L’assegno per il nucleo familiare spetta per intero purché si sia lavorato nel mese
almeno 104 ore mensili per gli operai e 130 per gli impiegati. Al di sotto di tale soglia l’A.N.F. sarà giornaliero. I lavoratori part-‐time devono aver lavorato almeno 24 ore settimanali. L’A.N.F. non è assoggettabile a prelievo né fiscale né previdenziale. La malattia -‐ E’ qualsiasi evento morboso che comporti l’incapacità temporanea al lavoro. La
gestione dell’indennità per i profili A), C), D), è passata alla competenza delle specifiche Casse previste dai CCNL. Tali prestazioni sono erogate dal datore di lavoro per conto della cassa la quale provvede, terminato l’evento, a rimborsare quanto anticipato. Il lavoratore ammalato è tenuto a trasmettere, a mezzo racc. A.R., o a recapitare,
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entro due giorni dalla data del rilascio, il certificato medico e l’attestazione rispettivamente alla Cassa anzidetta ed al proprio datore di lavoro. L’indennità spetta dal: -‐ 1° giorno per malattia di durata continuativa da 15 a 180 giorni; -‐ 4° giorno per malattia di durata continuativa sino a 14 giorni; Per il profilo B) la malattia è gestita dall'Inps. L’inizio della malattia è dichiarato sul certificato medico, dallo stesso lavoratore e,
solitamente, coincide con il giorno della visita medica (e quindi di redazione del certificato), ma può anche essere il giorno immediatamente precedente. In caso di omessa indicazione della data di inizio il quarto giorno si computa dalla visita medica. In presenza di ricaduta accertata dal medico curante entro 30 giorni dalla conclusione del primo periodo di malattia, non si applica la carenza. Il lavoratore ammalato ha l’obbligo della reperibilità durante le fasce orarie 10-‐12 e
17-‐19 per permettere le visite di controllo domiciliari effettuate su richiesta del datore di lavoro o su iniziativa della Cassa. La maternità -‐ La tutela della maternità si concretizza, oltre che con la difesa dell’integrità fisica
che prevede l’interdizione obbligatoria pre e post-‐parto, anche con la corresponsione di tre tipi di indennità connesse a tre fasi concatenate: – Astensione obbligatoria; – Astensione facoltativa;
– Permessi per allattamento durante il primo anno di vita del bambino.
L’indennità di maternità compete alle lavoratrici nei confronti delle quali risultino esistenti all’inizio del periodo di assenza obbligatoria dal lavoro le seguenti condizioni: accertato stato di gravidanza e rapporto di lavoro con corresponsione in atto della retribuzione. L‘astensione obbligatoria è prevista nei primi due mesi anteriori al parto più
eventuale interdizione dal lavoro riconosciuta dall’Ispettorato, più l’eventuale periodo intercorrente tra la data presunta del parto e quella effettiva. Analoga astensione per i tre mesi successivi al parto. L’astensione facoltativa spetta per la durata massima di 11 (undici) mesi fruibili ininterrottamente o in maniera frazionata, entro otto anni di età del bambino o dal suo ingresso nella famiglia in caso di affidamento provvisorio (non maggiore di 3 anni). Astensione obbligatoria: 80% della retribuzione media giornaliera lorda dell’ultimo
mese lavorato. Astensione facoltativa: 30% della retribuzione media giornaliera lorda, con esclusione dei ratei delle competenze ultramensili, per un periodo massimo complessivo tra i genitori, di sei mesi, entro il terzo anno di età dl bambino (in caso di adozione o affidamento, entro tre anni dall’ingresso in famiglia). In caso di superamento dei sei mesi e dal compimento del terzo anno fino al
compimento degli otto anni di età del bambino, l’indennità spetta a condizione che il reddito individuale del genitore richiedente non superi due volte e mezzo l’importo del trattamento minimo pensionistico in vigore a quella data. La domanda va presentata all’INPS e al datore di lavoro. E’ d’obbligo per il datore di lavoro corrispondere acconti pari ad almeno il 50%
della retribuzione percepita dalla lavoratrice il mese precedente l’astensione obbligatoria. Le somme anticipate dal datore di lavoro sono poste a conguaglio sul DM 10/02.
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11.6.3 - Il versamento e l’accredito dei contributi Il corretto assolvimento degli obblighi contributivi presuppone come abbiamo già
visto, l’esatta individuazione della base retributiva imponibile sulla quale applicare le aliquote in vigore per i specifici periodi di riferimento, tenuto conto, altresì, dei minimali di retribuzione vigenti. Dopo aver determinato le somme dovute occorre procedere alla liquidazione totale dei contributi tenendo conto delle somme anticipate per conto dell’istituto. Dopo tale operazione può verificarsi che la differenza sia una somma da versare
oppure che l’azienda abbia titolo ad un rimborso, avendo anticipato per prestazioni più di quanto è tenuta a versare. L’esposizione di questi dati si effettua sui modelli DM 10/02. Il condominio quando assume lavoratori dipendenti ha l’obbligo di iscriversi
all’INPS che è l’ente di diritto pubblico incaricato di gestire le assicurazioni suddette. Detto adempimento deve essere fatto entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è scaduto il primo periodo di retribuzione. 11.6.4 - La retribuzione Di retribuzione si occupa, all’interno dell’Ordinamento italiano, la Costituzione
all’art. 36, comma 1, che stabilisce che il lavoratore deve essere retribuito proporzionalmente al lavoro svolto e sufficientemente per poter aver una esistenza “libera e dignitosa“. La retribuzione non è quindi mero corrispettivo dell’adempimento dell’attività, ma
dell’impegno profuso personalmente nell’attività, tant’è che il lavoratore viene retribuito anche quando non adempie all’obbligazione (ferie, permessi..); la disciplina legale o contrattuale, infatti, impone al datore di lavoro di retribuire comunque il lavoratore anche se questo non effettua la controprestazione, contrariamente a quanto normalmente avviene nei contratti sinallagmatici. I principi costituzionali sanciti espressamente dall’art. 36 della Costituzione sono la
proporzionalità e la sufficienza. Sufficienza: al lavoratore deve essere garantita una retribuzione che possa attuare il
programma sociale individuato dall’art. 3 della Costituzione, proporzionata anche alle concrete esigenze del singolo lavoratore e della propria famiglia. Proporzionalità: la quantità dell’ammontare della retribuzione non è relazionata
soltanto al tempo del lavoro svolto, ma anche dalla qualità della prestazione in termini di difficoltà, importanza e complessità, nonché di responsabilità. Il Codice Civile all’art. 2121 definisce la retribuzione (ai fini del calcolo
dell’indennità di mancato preavviso) come “le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili e ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con l’esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”. La giurisprudenza, invece, nel ricostruire il concetto di retribuzione, si è consolidata
attorno al c.d. concetto unitario o onnicomprensivo di retribuzione: sarebbero voci retributive tutti i compensi erogati dal datore di lavoro in modo determinato (in misura fissa o variabile), obbligatorio (escluse le liberalità), corrispettivo (in correlazione causale con il rapporto di lavoro) e continuo (cioè con regolarità). La retribuzione minima dei dipendenti dei proprietari dei fabbricati è determinata
in base a quanto stabilito dai CCNL come riportato in tabelle allegate agli stessi. La retribuzione può avvenire in denaro ed in natura. Alla retribuzione ordinaria vanno aggiunte le competenze che maturano anche in
caso di assenze giustificate (13a, ferie, permessi, trattamento di fine rapporto). Di seguito vengono elencati gli elementi della retribuzione e la loro imputabilità ai
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fini previdenziali, fiscali ed ai fini della maturazione del Trattamento di Fine Rapporto (T.F.R.): VOCE INPS IRPEF TFR Salario 100% 100% 100% Indennità di scala mobile 100% 100% 100% Indennità supplementari 100% 100% 100% Indennità di alloggio (1) 100% 100% 100% Lavoro straordinario (2) 100% 100% Solo se continuo Indennità di esazione 100% 100% 100% Assegni di malattia 0 100% 100% Assegni di maternità INPS 0 100% 100% Assegni di infortunio INAIL 0 100% 100% Giorni di carenza di malattia 100% 100% 100% Permessi non goduti 100% 100% 0 13a mensilità 100% 100% 100% Preavviso lavorato 100% 100% 100% Indennità sostitutiva di
preavviso 100% Tassaz. Separata 0
Liquidazione T.F.R. 0 Tassaz. Separata Note (1) Per i fabbricati concessi ai portieri si deve calcolare il 30% della rendita catastale
dell’immobile aumentandola di tutte le spese inerenti comprese le utenze non a carico del dipendente (si considera il reddito figurativo se superiore ad euro 258,23 annue).
(2) Non consentito per i portieri con alloggio (va recuperato in ore). La contribuzione dovuta all’INPS Sulla base della retribuzione mensile come sopra determinata, che non può essere
inferiore al minimale stabilito, si deve versare attraverso la delega di pagamento F24 e descritta sul mod. DM10/2. I contributi sono i seguenti: Operai 40,27% Portieri 37,13% Di cui a carico del lavoratore 9,19% 8,84% Evidenziazione dei lavoratori sul DM10/2 – PORTIERI nella casella OPERAI – PULITORI (tempo pieno) nella casella OPERAI – PULITORI (part-‐time) (1° rigo bianco) cod.194 11.7 - La tassazione IRPEF sui redditi di lavoro dipendente Il condominio è sostituto di imposta con obblighi di accertamento, dichiarazione e
liquidazione delle imposte sul reddito delle persone fisiche; tutte le retribuzioni devono essere assoggettate a tassazione mensilmente con trattenuta da quanto corrisposto al lavoratore in ciascun periodo di paga. La tassazione viene determinata sull’imponibile dato dalla retribuzione lorda al
netto di quanto trattenuto per quota a carico del lavoratore dovuta all’INPS. Una volta quantificato l’imponibile fiscale (reddito complessivo meno gli oneri
deducibili e la rendita per l’abitazione principale), per ottenere l’imposta lorda occorre applicare a detto importo l’aliquota corrispondete alla fascia di reddito determinata moltiplicando l’aliquota IRPEF per il reddito imponibile (dato dal reddito complessivo
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a cui si sottraggono gli oneri deducibili e la rendita per l’abitazione principale). In seguito alla tassazione lorda si sottraggono le detrazioni (per tipologia di reddito, per familiari a carico, per oneri sostenuti ecc.) e si ottiene la tassazione netta.
Reddito Complessivo
– Oneri deducibili e rendita abitaz. Principale
= Reddito imponibile
x
aliquote
= IRPEF lorda
IRPEF lorda
– DETRAZIONI
= Per tipologia di reddito per familiari a carico per oneri sostenuti familiari a carico altre
= IRPEF NETTA
Mensilmente la ritenuta così determinata, viene operata sulla busta paga del
lavoratore e versata con la delega F24 riportando il codice tributo 1001, entro il giorno 16 del mese successivo a quello di pagamento della retribuzione. Non c’è obbligo di versamento con modalità telematiche. Entro il 15 marzo di ogni anno per l’anno appena trascorso il datore di lavoro
dovrà consegnare ai dipendenti il modello C.U.D. riepilogante i compensi corrisposti, le ritenute operate e le detrazioni riconosciute nonché l’ammontare assunto per imponibile del trattamento di fine rapporto. Il modello C.U.D. relativo alle somme corrisposte nell’anno precedente ha anche la funzione di riepilogativo contributivo consegnato al dipendente in quanto figurano gli imponibili contributivi, i mesi lavorati, le assicurazioni sociali, il tipo di rapporto e quant’altro necessario al rapporto con l’INPS. Entro il 28 febbraio dell’anno successivo si deve effettuare il conguaglio di fine anno
per tutti i redditi percepiti dal lavoratore fino al 12 gennaio prendendo per base tutte le retribuzioni imponibili fiscalmente sommando tutte le eventuali indennità corrisposte per infortunio e/o malattia e considerando le detrazioni anzidette. Si dovrà altresì provvedere a determinare l’addizionale regionale e, se deliberata dal comune di residenza del lavoratore, l’addizionale comunale che dovranno essere versate in 11 rate mensili uguali e successive. 11.8 - La risoluzione del rapporto di lavoro Il rapporto di lavoro si può risolvere per estinzione o per risoluzione. Si estingue
quando la causa si è realizzata in pieno (esempio: rapporto di lavoro a tempo determinato per sostituzione del lavoratore in ferie). Quando invece intervengono degli elementi “perturbatori” la causa non si realizza e si ha la risoluzione del rapporto per impossibilità sopravvenuta o per inadempimento della prestazione. Per definire la cessazione del rapporto di lavoro, va chiarito che se la cessazione
proviene dal datore di lavoro parleremo di licenziamento, se proviene dal lavoratore di dimissioni. Nei contratti a tempo determinato, sia il licenziamento che le dimissioni, devono
essere preceduti dal preavviso. Le cause che fanno cessare un rapporto di lavoro a tempo determinato possono essere: – La scadenza del termine; – Il compimento del lavoro;
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– La risoluzione legale; – Il recesso per giusta causa; – Il recesso per giustificato motivo. Il rapporto a tempo indeterminato è visto con maggior favore sia dal legislatore, sia
dalla contrattazione collettiva perché garantisce la conservazione del posto, la maturazione di una maggiore indennità di anzianità o trattamento di fine rapporto. 11.8.1 - Il licenziamento La motivazione più frequente del licenziamento riguarda comportamenti colposi o
dolosi del lavoratore, la cui gravità non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro per via della lesione del vincolo fiduciario. In relazione alla gravità della condotta, nel diritto italiano si distingue tradizionalmente tra licenziamenti per “giusta causa” e per “giustificato motivo”. – giusta causa: un concetto usato dal codice civile italiano (art. 2119 c.c.) per
riferirsi ad un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto neppure a titolo provvisorio (in sostanza: neppure per il tempo previsto per il preavviso di licenziamento). In queste ipotesi, il datore può licenziare in tronco, senza dare alcun preavviso. – giustificato motivo soggettivo: è un’ipotesi meno grave di inadempimento degli
obblighi contrattuali, che giustifica il licenziamento ma con l’obbligo da parte del datore di lavoro di concedere il preavviso previsto (ovvero di pagarne il relativo ammontare). – giustificato motivo oggettivo: è reso necessario da una riorganizzazione del
lavoro, da ragioni relative all’attività produttiva (innovazioni tecnologiche, modifica dei cicli produttivi, ecc.), ovvero da una crisi aziendale. Nelle ipotesi, cioè, in cui l’azienda, per vari motivi, non ricava più utilità dal lavoro svolto da quel dipendente, o, in generale, da una categoria di dipendenti. Per ragioni di natura economica o tecnica, il datore può quindi decidere di licenziare uno o più lavoratori. Il licenziamento può essere impugnato con qualsiasi atto scritto entro 60 giorni. Il
lavoratore può chiedere la specifica dei motivi che hanno determinato il suo licenziamento e quindi ci sono delle garanzie per la conservazione del posto; non solo, ma può esserci la reintegrazione nel posto di lavoro quando il Giudice del Lavoro, una volta adito, dovesse riscontrare che non era previsto come giustificato motivo o giusta causa l’allontanamento del lavoratore. Il preavviso è un atto dovuto ed è determinato dall’anzianità di servizio del
lavoratore, dalla qualifica e dall’età. Il preavviso è obbligatorio tranne che nel periodo di prova. Una risoluzione anticipata prevede il pagamento al lavoratore di un indennità sostitutiva. 11.8.2 - Tutela obbligatoria contro i licenziamenti illegittimi Qualora il licenziamento dichiarato illegittimo, a seguito di ricorso giudiziale, sia
stato intimato da aziende di dimensioni ridotte (sino a 15 dipendenti), come nella quasi totalità dei condomini, la sentenza stabilisce un obbligo alternativo in capo al datore di lavoro (art. 8 legge n. 604/66), il quale può scegliere tra: – riassumere il lavoratore entro tre giorni dalla pubblicazione della sentenza;
– ovvero pagare all’ex dipendente una indennità risarcitoria, compresa tra 2,5 e 6 mensilità (estensibile sino a 10 per i lavoratori con almeno dieci anni di anzianità, e fino a 14 per i dipendenti in servizio da più di venti anni). La misura dell’indennità è stabilita dal giudice sulla base dell’anzianità di servizio,
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delle dimensioni aziendali, nonché al comportamento tenuto dalle parti. 11.8.3 - Le dimissioni Le dimissioni sono l’atto con cui un lavoratore dipendente recede unilateralmente
dal contratto che lo vincola al datore di lavoro. Nell’ordinamento italiano, le dimissioni si configurano come una facoltà del
lavoratore, che può essere esercitata senza alcun limite, con il solo rispetto dell’obbligo di dare il preavviso così come stabilito dai contratti collettivi. L’atto ha effetto al momento in cui viene a conoscenza del datore di lavoro. Non
rileva in alcun modo l’eventuale dissenso del datore. L’eventuale revoca delle dimissioni è efficace, secondo le regole generali (art. 1328 c.c.), solo se è comunicata al datore di lavoro prima che quest’ultimo abbia avuto notizia dell’atto di recesso. L’ordinamento italiano non prevedeva forme particolari per le dimissioni, che
potevano, quindi, essere presentate anche oralmente. I requisiti di forma sono, però, spesso dettati dai contratti collettivi, che possono imporre l’onere della forma scritta a tutela del lavoratore. 11.8.4 - Il trattamento di fine rapporto In tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro subordinato deve essere
corrisposto al lavoratore il trattamento di fine rapporto. Il calcolo deve essere aggiornato annualmente per poter individuare la
rivalutazione del TFR (75% aggiornamento ISTAT + misura fissa 1,50%) da assoggettare ad imposta sostitutiva 11% da imputare a riduzione dello stesso accantonamento. L’imposta deve essere versata annualmente (anche se il rapporto di lavoro
continua) entro il 16 dicembre in acconto sul 90% della rivalutazione maturata nell’anno di riferimento ed il saldo entro il 28 febbraio successivo. 11.9 - L’Amministratore/datore di lavoro L’Amministratore riveste la figura di datore di lavoro di ogni figura assunta alle
dirette dipendenze del condominio. Da ciò derivano, ex lege, adempimenti, obblighi e responsabilità propri della funzione assunta. Si pensi per esempio alla Circolare esplicativa del Ministero del Lavoro n. 28 del 5
marzo 1997 che al punto n. 1 individua come datore di lavoro l’amministratore pro tempore che ha alle sue dipendenze lavoratori subordinati: e tali sono non soltanto quelli stricto sensu intesi, ma anche i lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato e “tutti i lavoratori subordinati che prestino la loro attività nell’ambito di un condominio, con mansioni affini a quelle dei portieri” (nel disimpegno del servizio di pulizia-‐scale, o di quello di giardinaggio, ecc.), beninteso restando esclusi coloro i quali “prestino la loro attività con contratto di lavoro autonomo”. 11.9.1 - Adempimenti, obblighi Gli adempimenti che l’amministrazione condominiale deve mettere in atto sono
quelli tipici del datore di lavoro nei confronti del lavoratore dipendente: dalla lettera di assunzione, alla sottoscrizione del contratto di lavoro, sino a quelli previdenziali e fiscali (vedi sub. 11.4). Gli obblighi dell’amministratore/datore di lavoro nei confronti dei lavoratori
subordinati sono essenzialmente: – Obbligo di corrispondere il trattamento economico e normativo dovuto: e
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cioè la retribuzione (art. 2099 c.c.), con i relativi accessori, e di provvedere agli obblighi previdenziali e assistenziali previsti dalla legge e dal contratto collettivo; – Obbligo di sicurezza: il datore di lavoro (ex art. 2087 c.c.) è tenuto ad
adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. L’ultima norma in merito di sicurezza sui posti di lavoro è il D.Lgs. 81/2008 che stabilisce gli adempimenti obbligatori del datore di lavoro; – Obbligo di tutelare la riservatezza del lavoratore: dovere impedire a
terzi l’accesso si dati personali riservati del prestatore di lavoro (le sue opinioni politiche, sindacali o religiose) così come statuito dal D.Lgs. 196/2003 in analogia all’art. 8 della legge n. 300 del 20 maggio 1970 (Statuto dei lavoratori); – Obbligo di informazione: nei confronti del prestatore di lavoro (al quale
devono essere comunicati qualifica, mansioni, periodi di ferie, prospetto paga ecc.), e nei confronti del sindacato che deve essere informato non solamente sul rapporto di lavoro in corso di svolgimento, ma anche sulla gestione complessiva; – Obbligo di accertamenti sanitari: prima dell’assunzione o in costanza di
rapporto nei casi in cui la legge ne preveda la sorveglianza obbligatoria. 11.9.2 - Responsabilità civile e penale La violazione di obblighi summenzionati può essere fonte sia di responsabilità civile
(di natura contrattuale nei confronti del condominio, di natura extracontrattuale nei confronti dei terzi danneggiati), sia di responsabilità penale (principalmente in merito alla sicurezza) nel caso dell’insorgere di una situazione di pericolo che l’amministratore/datore di lavoro ha l’obbligo di eliminare. La giurisprudenza penale, ha spesso analizzato le responsabilità
dell’amministratore, con particolare riferimento ai reati che trovano fondamento nell’art. 40, comma2, del Codice Penale: “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Il risultato è che l’amministratore è penalmente responsabile in tutti quei casi in cui
non si attivi con la necessaria urgenza per rimuovere quelle situazioni di pericolo per l’incolumità delle persone, derivante, per esempio dalla rovina delle parti comuni dello stabile (Cass. Pen., sez. I, 20 novembre 1996, n. 9866). L’amministratore è infatti titolare “ope legis”, non solo del dovere di erogazione
delle spese attinenti alla manutenzione ordinaria e alla conservazione delle parti e servizi comuni dell’edificio, ai sensi dell’art. 1130 nn. 3 e 4 c.c., ma anche del potere di “ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente” con l’obbligo di “riferirne nella prima assemblea dei condomini”, ai sensi dell’art. 1135 comma 2 c.c., di talché deve riconoscersi in capo allo stesso l’obbligo giuridico di attivarsi senza indugio per la eliminazione delle situazioni potenzialmente idonee a cagionare la violazione della regola del “neminem laedere” ex art. 2043 c.c. (Cass. Pen., sez. I, 25 febbraio 2003, n. 9027). 11.9.3 Il potere disciplinare Il potere disciplinare indica la facoltà del datore di lavoro di irrogare sanzioni al
lavoratore che venga meno ai suoi doveri contrattuali, e precisamente agli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà, sanciti dagli artt. 2104 e 2105 del c.c.. In tal senso detto potere assume una funzione preventiva diretta a ristabilire, con
immediatezza e celerità, l’ordinato svolgimento dell’attività lavorativa turbato dalle
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inadempienze del lavoratore. I presupposti che condizionano il legittimo esercizio del potere disciplinare sono
– la sussistenza e l’imputabilità del fatto: l’onere della prova in ordine alla sussistenza del fatto spetta al datore. Qualora il prestatore ritenga che il fatto contestatogli non gli sia imputabile (ad es. per forza maggiore, caso fortuito, condotta di terzi, ecc.), è tenuto a dimostrare le ragioni della non imputabilità .; – l’adeguatezza della sanzione: il requisito della proporzionalità, previsto
dall’art. 2106 c.c., vieta al datore di lavoro di applicare sanzioni non proporzionate all’indebito contestato. Di norma i contratti collettivi prevedono le sanzioni comminabili a fronte di determinate condotte illegittime. In questo caso, il datore non può applicare sanzioni più gravi di quelle stabilite dalla contrattazione collettiva; – i limiti alla rilevanza della recidiva: ovvero l’impossibilità di prendere in
considerazione precedenti sanzioni disciplinari dopo 2 anni dalla loro applicazione; – la determinazione del codice disciplinare e la sua affissione in luogo
accessibile a tutti i lavoratori, ovvero previsione di comportamenti cui consegue una sanzione.
Tipi di sanzione - La tipologia delle sanzioni, così come ricavata dalla prassi contrattuale prevede: – il richiamo verbale; – l’ammonizione scritta;
– la multa: non può essere comminata per un importo superiore a 4 ore della retribuzione base; – la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione: non può essere disposta
per un periodo superiore a 10 giorni; – il licenziamento (cosiddetto disciplinare). Procedura - Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti
del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e specificato i fatti imputati con precisione. Dopo la contestazione dell’addebito il datore è tenuto a sentire oralmente il
lavoratore che ne faccia richiesta e a ricevere le sue eventuali difese scritte concedendogli un termine non inferiore a 5 giorni. Il lavoratore può tutelarsi nei confronti del provvedimento disciplinare con un
ricorso al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro (dopo aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione), con una procedura arbitrale preso la Direzione provinciale del lavoro, ovvero con analoghe procedure arbitrali previste nel C.C.N.L.
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MODULO N. 12
Le piscine (Laura Gonnellini)
In alcuni edifici condominiali più moderni, soprattutto nelle località di villeggiatura, si trova talvolta anche una piscina destinata ai condomini. La presenza della piscina condominiale senza dubbio impreziosisce la situazione complessiva dell’edificio, fornendo ai condomini un’utilità in più, ma determina anche ulteriori problemi per quanto riguarda il suo uso, la ripartizione delle spese e soprattutto la questione fondamentale della responsabilità per i danni che gli utenti eventualmente possono subire a seguito del suo uso. Inoltre, come in ogni situazione di convivenza, la piscina può essere fonte di litigi tra
i condomini. Per questi motivi, l'assemblea condominiale o il regolamento di condominio debbono disciplinare in maniera chiara le modalità di utilizzo, anche se questo non potrà escludere contrasti tra i condomini. 12.1- Definizione Si definisce piscina un complesso attrezzato per la balneazione che comporti la
presenza di uno o più bacini artificiali utilizzati per attività ricreative, formative, sportive e terapeutiche esercitate nell’acqua contenuta nei bacini stessi. Né esistono di varie tipologie: posso essere di proprietà pubblica o privata destinate
ad un’utenza pubblica; piscine pubbliche (come le comunali), piscine ad uso collettivo (alberghi, palestre, complessi), piscine ad uso speciale (stazioni termali), piscine condominiali (art. 1117 c.c.) sono destinate esclusivamente ai condomini e suoi ospiti. 12.2- Normativa applicabile Dal punto di vista normativo non esiste una disciplina apposita che riguardi le
piscine c.d. condominiali ossia le piscine facenti parte di un complesso condominiale. Le piscine condominiali essendo destinate ad una collettività sono equiparate dalla dottrina e dalla giurisprudenza alle piscine pubbliche per quel che riguarda la normativa applicabile. La disciplina base in materia è costituita: dall’Atto d’intesa tra Stato e Regioni,
proposto nel 1992 dal Ministero della Sanità, relativo agli aspetti igienico sanitari concernenti la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso natatorio” (pubblicato nella G.U. il 17.2.92); dal D.M. 18.3.96 dettante norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio di impianti sportivi e, da ultimo, dall’atto d’intesa Stato Regioni del 16.01.2003. Alla luce di tali atti, che non costituiscono norme giuridiche in senso stretto con
valore vincolante per la generalità dei destinatari, si ritiene di applicare la normativa delle piscine pubbliche anche a quelle condominiali che impongono la presenza del bagnino nella piscina. Qualora l’atto d’intesa non sia stato recepito dalle singole Regioni, come nel caso
della Regione Lazio, è chiaro che non vi è nessun vincolo di legge a carico del condominio che imponga la presenza di un bagnino nella piscina condominiale. Per eseguire la progettazione di una piscina servono delle specifiche competenze e
deve essere eseguita con molta cura vista la delicatezza della materia. La sua
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realizzazione deve rispettare regole e normative per non avere in seguito problemi di difficile soluzione, sia strutturali che impiantistici. Occorre per la progettazione, fare una distinzione tra: piscine private, dove non esiste una normativa tecnica obbligatoria a cui fare riferimento; piscine pubbliche, semipubbliche, condominiali o quelle inserite in strutture turistiche ricettive per cui devono essere applicate le norme UNI n. 10637 e UNI EN n. 15288 – 1/2, dove vengono stabiliti i requisiti di sicurezza per la progettazione. 12.3- Autorizzazioni necessarie per costruire una piscina La normativa italiana in merito è molto confusa e spesso viene interpretata non
correttamente. In ogni regione e spesso in molti comuni le normative sono diverse e non consentono di avere un indirizzo univoco su quali autorizzazioni siano necessarie. In ogni caso per costruire una piscina è necessaria un’autorizzazione e vediamo quali occorrono:
permesso di costruire. Necessario per tutti gli interventi di nuova costruzione, che comportano una trasformazione edilizia urbanistica del territorio, sia per opere realizzate fuoriterra che per quelle interrate. In merito ai lavori per la costruzione delle piscine, la Cassazione penale sez.III, con due sentenze del 27 settembre 2000 n. 12288 e del 29 aprile 2003 n. 26197 ha chiarito che occorre il permesso di costruire.
D.I.A. (Denuncia inizio attività) ora sostituita dalla S.C.I.A. Se la costruzione della piscina, intesa come opera pertinenziale, supera il volume del 20% del fabbricato principale, viene considerata nuova costruzione ed è necessario il permesso di costruire oppure se la zona è sottoposta a vincoli urbanistici o di particolare pregio. Se dopo 30 giorni dalla presentazione non si riceve risposta dall’autorità comunale il titolo costituisce autorizzazione a costruire ed ha lo stesso valore giuridico del permesso di costruire.
12.4- L’uso Se non è specificato nel regolamento condominiale, l'assemblea, per assicurare
l'igiene, la sicurezza, ed ottimizzare il godimento del bene, deve poi disciplinare l'uso della piscina, tramite un regolamento di servizio che preveda limitazioni di orario, capienza di utilizzatori ed eventuali turni, la possibilità di far accedere ospiti dei condomini, ecc.. I condomini debbono attenersi al regolamento interno, igienico e di sicurezza, della
piscina affisso in prossimità dell’ingresso dell’impianto natatorio.Nel regolamento sono disciplinate, fra l’altro, le modalità di accesso alla vasca, la sua capienza, il periodo, in cui è consentito l'accesso all'impianto e l’orario di funzionamento; le indicazioni minime del regolamento di uso della piscina sono le seguenti:
raccomandazione di non bagnarsi a meno di tre ore dal pasto; segnalazione della presenza o assenza del servizio di assistenza bagnanti; ubicazione dei servizi igienici; periodo di accesso ed orario; profondità dell'acqua ed eventuali punti a profondità ridotta;
divieto di ingresso ai minori di 12 anni se non sono accompagnati da maggiorenni;
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obbligo di doccia e di pediluvio prima di bagnarsi; divieto di effettuare tuffi (se non in presenza di strutture adeguate). L'amministratore condominiale o, se nominato, il responsabile dell'impianto, dovrà
occuparsi del funzionamento della piscina non solo da un punto di vista gestionale-‐organizzativo, ma anche dal punto di vista tecnologico quindi avrà l'obbligo di verificare il rispetto dei requisiti igienico sanitari, incluse le procedure di autocontrollo, le pulizie e la disinfezione e deve tenere aggiornato il documento di valutazione dei rischi. La piscina condominiale è soggetta anche a controlli esterni, effettuati dall’Azienda
Sanitaria Locale di competenza, la quale deve effettuare prelievi dell’acqua per verificare che corrispondano ai valori stabiliti dalla competente regione. Qualora venga accertato che non sono garantiti i requisiti stabiliti possono essere inflitte sanzioni ed anche la chiusura dell’impianto. Per quanto riguarda l’uso della piscina il problema fondamentale riguarda la
possibilità o meno che un condomino possa invitare ospiti (estranei al condominio). Poiché la piscina costituisce una cosa comune, in proposito trova applicazione l’art. 1102 cod. civ., che consente a tutti i condomini di usare il bene condominiale purché l’uso che ne viene fatto non impedisca agli altri partecipanti di farne pure pari uso secondo il loro diritto. In una decisione non molto recente (Pret. Roma 13 luglio 1989) è stato individuato un limite al diritto di invitare gli ospiti nella piscina condominiale ed è stato deciso che, in applicazione del principio contenuto nell’art. 1118, comma 1, e nell’art. 1123 cod. civ., il diritto di invitare ospiti nella piscina comune, costituendo un modo di fruizione del bene comune, deve essere esercitato da ciascun condomino in proporzione alla sua quota di proprietà.
12.5- La ripartizione delle spese La ripartizione delle spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria della
piscina deve essere attuata in funzione di quanto previsto dal regolamento condominiale, criterio derogabile soltanto all'unanimità. Se però non e' previsto nulla, le spese relative all'impianto dovranno essere ripartite sulla base della tabella generale. Vengono esonerati dalla contribuzione alle spese i condomini che non utilizzano la piscina per ragioni indipendenti dalla loro volontà ossia per ragioni strutturali dell'edificio o perché così previsto nel regolamento condominiale (cioè quando la piscina e' comune soltanto ad alcune unità immobiliari). Con riferimento non solo alla piscina, ma in generale anche ad altri servizi
condominiali suscettibili di utilizzo separato, la Suprema Corte ha infatti affermato (Cass. n. 5179 del 29 aprile 1992) che nel condominio il principio di proporzionalità fra spese e uso previsto dall’art. 1123, comma 2, cod. civ., secondo cui le spese per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell’edificio devono essere ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione dell’uso che ciascuno può farne, comporta che qualora la possibilità dell’uso sia del tutto esclusa, con riguardo alla destinazione delle quote immobiliari di proprietà esclusiva, per ragioni strutturali indipendenti dalla libera scelta del condomino, deve essere escluso anche l’onere del condomino stesso di contribuire alle spese di gestione del relativo servizio.
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12.6- La responsabilità in caso di danni Chi usa la piscina può subire qualche incidente (eventualmente anche mortale) o
contrarre un’infezione quando l’acqua non viene disinfettata in maniera adeguata. In caso di incidente possono sorgere tre ordini di responsabilità –amministrativa,
civile e penale-‐ a carico dei condomini quali proprietari, quindi a carico dell’amministrazione e del gestore della piscina. La responsabilità amministrativa è dovuta alla violazione delle eventuali norme
emanate a livello regionale che impongano la presenza obbligatoria del bagnino, qualora l’atto d’intesa fosse stato recepito dalla Regione. La responsabilità civile, invece, trova il fondamento negli art.li 2043 e 2051 del
codice civile. Secondo l’art. 2043 c.c., la responsabilità extracontrattuale è connessa ad un mero comportamento doloso o colposo che cagiona un danno ingiusto ed obbliga, per l’appunto, colui che l’ha commesso (nel caso di infortunio in piscina, il condominio) a risarcire il danno. Mentre l’art. 2051 c.c. prevede la responsabilità del custode, per tutti i danni cagionati dalle cose da lui custodite (come nel caso della piscina), salvo il caso fortuito. In altri termini ciò sta a significare che per un danno subito nella piscina condominiale, il Condominio per non essere giudicato responsabile deve dimostrare di aver adottato tutte le misure richieste dalla legge in materia di sicurezza e gestione. Va rilevato, comunque, che l’esercizio della piscina può essere considerata come
attività pericolosa ex art. 2050 c.c., che rende punibile anche la colpa lievissima. È chiaro che se il Condominio avesse ritenuto di incaricare un apposito gestore
dell’impianto, ogni responsabilità in ordine ai danni conseguenti all’uso della piscina si trasferirebbe in capo al medesimo gestore. Infine, l’eventuale sinistro potrebbe essere altresì fonte di responsabilità penale a
carico del proprietario della piscina (nel nostro caso il condominio), in capo al quale si potrebbe configurare il reato di lesioni personali colpose ex art. 590 c.p. o del più grave reato di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p..
ELENCO DELLE REGIONI CHE HANNO EMESSO NORMATIVA IN MERITO ALLE PISCINE:
Provincia di Bolzano; Provincia di Trento; Repubblica di San Marino; Lombardia; Emilia Romagna; Liguria; Toscana; Marche; Molise; Umbria; Puglia; Calabria.
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MODULO N. 13
Il perimento dell'edificio: conseguenze e disciplina applicabile
(Laura Gonnellini) Molto spesso, anche di recente, abbiamo appreso dai media che edifici in
condominio sono crollati per cause murarie, terremoti, incendio o scoppio. La normativa specifica applicabile, in materia di perimento parziale o totale e di
ricostruzione dell'edificio, è dettata dall'articolo 1128 del codice civile. L’art. 1128 c.c. stabilisce che se l’edificio perisce interamente o per una parte che
rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condòmini può richiedere la vendita all’asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto. Nel caso di perimento di una parte minore, l’assemblea dei condòmini delibera circa
la ricostruzione delle parti comuni dell’edificio, e ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse. L’indennità corrisposta per l’assicurazione relativa alle parti comuni è destinata alla
ricostruzione di queste. Il condòmino che non intende partecipare alla ricostruzione dell’edificio è tenuto a
cedere agli altri condòmini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà, secondo la stima che ne sarà fatta, salvo che non preferisca cedere i diritti stessi ad alcuni soltanto dei condòmini.
Quanto all’ambito di applicabilità della norma, va precisato che il perimento dell’edificio deve dipendere da fatti estranei alla volontà dei condòmini, sicché rientrano nella fattispecie i crolli dovuti a vetustà, difetti di manutenzione, esplosioni o disastri naturali (es. sisma, incendio, scoppio etc). Rimane, invece, estranea all’ambito di applicabilità della norma l’ipotesi di demolizione dell’edificio, per volontà dei condòmini, a scopo di ricostruzione, salvo che la demolizione si sia resa necessaria per evitare crolli conseguenti alla vetustà dell’edificio, che avrebbero potuto cagionare danni a persone e cose. (Cass. 28-‐6-‐1980, n. 4102).
L’art. 1128 c.c. prende in esame due diverse ipotesi: il 1° comma prevede il caso in cui l’edificio sia perito totalmente o il suo valore sia ridotto a non oltre un quarto di quello originario, mentre il 2° comma prevede il perimento di una parte minore dell’edificio, ovvero inferiore ai tre quarti. Il primo problema da affrontare è quello relativo alla determinazione del valore
della parte dell’edificio che sia perita. La soluzione che ha raccolto i maggiori consensi in dottrina è quella in base alla quale è necessario avere riguardo al valore che l’edificio aveva prima della distruzione, senza considerare il suolo. Perimento totale -‐ Nel caso di perimento totale o dei tre quarti, il condominio si estingue ed al suolo e ai materiali di risulta si applicano le regole sulla comunione. Di questi ultimi beni ciascun condòmino può chiedere la vendita all’asta, salvo che sia
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diversamente convenuto. La relativa deroga può risultare, oltre che dal titolo, da un contratto o dal regolamento approvato da tutti i condòmini.
La ricostruzione del fabbricato può avvenire solo con la unanime volontà dei condòmini, cioè in seguito ad accordi tra di loro, essendosi esaurito il potere deliberativo dell’assemblea. I condòmini dissenzienti non sono vincolati a contribuire alle spese di ricostruzione. Pertanto, un condomino non può richiedere la vendita all'asta del suolo e dei
materiali, attribuita nel caso di perimento dell'edificio, ove la demolizione sia voluta da tutti i condomini al fine di ricostruire lo stabile condominiale. Viene da domandarsi, tuttavia, cosa succeda nel caso in cui la ricostruzione sia
eseguita su iniziativa di uno o alcuni dei condòmini, senza il consenso degli altri. Secondo la giurisprudenza ciascun condòmino ha il diritto di ricostruire, qualora ciò si rendesse necessario per il godimento di parti di proprietà esclusiva, oltre a queste ultime, anche parti originariamente di proprietà comune o di proprietà esclusiva di altri condòmini. Perciò ove uno dei condòmini proceda di sua esclusiva iniziativa alla ricostruzione secondo le caratteristiche sostanziali del fabbricato preesistente ed in modo da riprodurre le singole unità immobiliari che vi erano comprese, gli altri non possono chiedere la demolizione della costruzione, ma hanno l’alternativa tra il cedere al costruttore le loro quote o il concorrere alle spese di ricostruzione e riavere le loro unità immobiliari. Principio generale, valido anche nel caso di perimento e ricostruzione parziale dello
stabile, inoltre, è che il singolo che non intenda concorrere alla ricostruzione delle parti comuni dovrà cedere agli altri condòmini o a terzi i propri diritti, compresi quelli sulla parte di sua esclusiva proprietà, a prezzi di stima fissati da periti incaricati dagli interessati o, nel caso di contrasto, dal perito nominato dal giudice (art. 1128 c.c., ultimo comma). Non può, invece, parlarsi di ricostruzione nel caso in cui un condòmino occupi il
suolo comune di risulta con parte di un edificio diverso, da lui costruito su un’area attigua di sua proprietà esclusiva. Con la conseguenza che gli altri condòmini possono chiedere, a norma dell’art. 2933 c.c., la riduzione in pristino relativamente al suolo comune illegittimamente occupato (Cass. 21-‐10-‐1974, n. 2988). Con il perimento totale dell’edificio il condominio viene meno e permane solo la
comunione sul suolo e sui materiali di risulta. Se il fabbricato viene ricostruito come era in precedenza, si ripristina il condominio, mentre nel caso di ricostruzione eseguita ad iniziativa di alcuni soltanto dei condòmini, con caratteristiche sostanziali diverse da quelle del preesistente fabbricato il condominio stesso non rinasce e quanto edificato costituisce un’opera realizzata sul suolo comune, come tale soggetta alla disciplina della accessione e, quindi, da attribuire secondo le quote originarie ai comproprietari del suolo (Cass. 16 marzo 2011, n. 6198; Cass. 20 maggio 2008, n. 12775). Perimento parziale -‐ L’art. 1128, 2° comma., c.c. prevede l’ipotesi del perimento di
una parte dell’edificio inferiore ai tre quarti del suo valore. In tale ipotesi l’assemblea dei condòmini delibera circa la ricostruzione delle parti comuni dell’edificio e ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse. Il fatto che la norma parli espressamente di «assemblea dei condòmini» è sufficiente per affermare che con il perimento parziale dell’edificio il condominio ed i suoi organi non vengono meno.
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La delibera che stabilisca la ricostruzione dell’edificio deve essere adottata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136, 2° e 4° comma., c.c.). L’assemblea può deliberare soltanto la ricostruzione delle parti comuni ma non il rifacimento dei singoli piani, inerendo quest’ultimo alla sfera individuale di ciascun condòmino, salvo che la sua mancata realizzazione impedisca la ricostruzione delle stesse parti comuni. Il condòmino, dal canto suo, non è obbligato a ricostruire la propria unità immobiliare, salvo che ciò si renda indispensabile al fine della ricostruzione di parti comuni dell’edificio. La mancanza della delibera assembleare di ricostruzione o, addirittura, l’esistenza di una delibera contraria, non impedisce ai singoli condòmini di ricostruire le loro unità immobiliari parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie al godimento di esse (Cass. 25-‐10-‐1980, n. 5762). Parte della giurisprudenza ha tuttavia affermato che l’assemblea dei condòmini ha un vero è proprio obbligo di deliberare la ricostruzione delle parti comuni, con la conseguenza che il condòmino ha il diritto di pretendere che tali opere siano compiute (Cass. 2-‐8-‐1968, n. 2767). Indennità di assicurazione -‐ L’art. 1128, 3° comma, c.c. stabilisce che l’indennità
corrisposta per l’assicurazione delle parti comuni è destinata alla ricostruzione di queste. Tale indennità viene, in tal modo, vincolata alla ricostruzione delle parti per le quali l’assicurazione era stata contratta, con divieto per la maggioranza (ma non per l’unanimità) di distoglierla ad altri scopi. Questa possibilità deve tuttavia ammettersi nell’ipotesi in cui la maggioranza dei condòmini decida di non ricostruire. Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1128 c.c., il condòmino che non intende
partecipare alla ricostruzione dell’edificio è tenuto a cedere agli altri condòmini i suoi diritti. Tale obbligo, in mancanza di spontanea adesione, può essere imposto giudiziariamente. Per la cessione è necessaria la forma scritta.
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MODULO N. 14
Cenni di Diritto penale e processuale
(Floria Carucci) 14.1 - Premessa La normativa del diritto penale sostanziale vigente è contenuta sia nel codice penale
sia in alcune leggi speciali di diritto penale che disciplinano particolari materie (come, ad esempio, la legge a tutela della salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro), cui fanno – poi – immediato complemento le disposizioni del codice di procedura penale che stabilisco i principi e le regole del processo. Poste queste doverose premesse di natura meramente nozionistica, sembra quasi
superfluo evidenziare come la figura dell’amministratore di condominio non rappresenti, per l’ordinamento penale italiano, un soggetto destinatario di particolari norme ovvero di specifica disciplina, non rilevandosi alcuna differenza rispetto alla normativa dettata in via generale e risultando – conseguentemente – applicabili alla menzionata figura professionale tutte le disposizioni ordinarie attualmente vigenti, indistintamente riferibili a qualunque soggetto presente sul territorio nazionale, salvo la previsione di alcuni reati specificamente attribuiti allo stesso da leggi speciali. È chiaro, dunque, che l’amministratore di condominio (tanto nella sua vita privata
quanto nell’esercizio della sua professione) può assumere, come qualunque altra persona, sia la veste di imputato (vale a dire di responsabile di una condotta di reato) sia di persona offesa (e, dunque, di soggetto titolare del bene giuridico protetto dalla norma che si assume essere stato violato dalla condotta di reato). Sul punto sembra, inoltre, doveroso puntualizzare come il condominio (che è un
ente privo di personalità giuridica) non possa mai assumere la veste di imputato in un processo penale poiché la responsabilità penale è – come noto – esclusivamente personale, ma ben potrà – invece – avere la qualifica di persona offesa nel caso in cui la condotta di reato tenuta dal responsabile abbia offeso un diritto proprio del condominio complessivamente inteso. 14.2 Condizioni di procedibilità Pur nella consapevolezza di richiedere al lettore un apprezzabile sforzo di
comprensione, si ritiene opportuno affrontare a questo punto dell’esposizione un importante argomento di diritto processuale relativo alle c.d. “condizioni di procedibilità”, introducendo la distinzione tra “reati procedibili d’ufficio” e “reati procedibili a querela della persona offesa”. I reati previsti dal codice penale sono, infatti, generalmente procedibili d’ufficio
eccezion fatta per quelle ipotesi di reato in relazione alle quali la legge espressamente richiede doversi procedere a querela della persona offesa, evidentemente in ragione del diverso interesse specifico dello Stato alla persecuzione penale di quel determinato fatto di reato, così rimettendo la decisione in ordine alla procedibilità alla esclusiva volontà della persona offesa che può valutare se presentare o meno la querela.
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14.3 - La denuncia-querela La querela rappresenta, dunque, “un atto processuale di natura negoziale, con la
quale il soggetto privato, titolare del relativo diritto, indica, con dichiarazione unilaterale di volontà, il fatto per il quale chiede che l’organo pubblico di giustizia inizi l’azione penale”2. La normativa vigente non prevede alcuna specifica formalità in ordine al contenuto
della querela, limitandosi a stabilire all’art. 336 c.p.p. che “La querela è proposta mediante dichiarazione nella quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, si manifesta la volontà che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato”. Nonostante sia opinione largamente diffusa quella secondo la quale – ai fini della
procedibilità – la querela debba contenere la c.d. “istanza di punizione”, la Cassazione, negli ultimi anni, ha chiarito in modo pressoché uniforme come “la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiede formule particolari e può essere riconosciuta dal Giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione; ne consegue che tale volontà può essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile”3 ovvero nel fatto stesso di recarsi presso gli Uffici dell’Autorità Giudiziaria al fine di presentare querela. La querela deve, però, essere presentata personalmente dalla persona offesa o dal
suo legale rappresentante o, ancora, da un suo procuratore speciale entro e non oltre il termine di tre mesi dal giorno in cui si sono verificati i fatti di reato ovvero da quello in cui se ne è avuta notizia; è sufficiente che venga formalizzata anche da uno soltanto dei soggetti passivi e si estende a tutti i partecipanti al reato anche se presentata contro uno soltanto di questi. Spettando, dunque, alla persona offesa l’esclusiva legittimazione a proporre
querela, alla stessa è – conseguentemente – attribuito anche il potere di rinunciarvi (espressamente o tacitamente) ovvero, ancora, di rimettere la querela vale a dire di ritirarla in un momento successivo alla sua presentazione (e fintanto che la sentenza non passi in giudicato). Tali formalità non sono, invece, richieste in ordine alla procedibilità dei reati
perseguibili d’ufficio in relazione ai quali è sufficiente che l’Autorità Giudiziaria (mediante la presentazione di denuncia, esposto, ecc.) abbia conoscenza di un fatto penalmente rilevante affinché sia obbligata all’iscrizione della comunicazione nel registro delle notizie di reato tenuto ex art. 335 c.p.p. presso la Procura della Repubblica di ogni Tribunale Penale. La fondamentale differenza va, dunque, individuata nel fatto che nel primo caso la
presentazione della querela deve necessariamente avvenire a mezzo della persona offesa (o del suo procuratore speciale) entro il termine di tre mesi mentre nell’altra ipotesi chiunque, ed in qualunque tempo, può dare comunicazione (a mezzo denuncia, esposto, referto ecc.) alla Autorità Giudiziaria che si è verificato un fatto di reato; inoltre, mentre nei reati procedibili a querela la manifestata volontà della persona offesa di ritirarla pone fine al processo penale, nei reati perseguibili d’ufficio una volta iscritta la notizia di reato nel registro ex art. 335 c.p.p., il procedimento va avanti indipendentemente dalla volontà della persona offesa di rinunciarvi o meno.
2 Cassazione Penale, 17.01.1983, Werner, CP 84, 558; GP 84, III, 100. 3 Cassazione Penale, sentenza 19.10.2001, Cosenza, CP 03, 386.
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14.4 - Legittimazione dell’amministratore Pare opportuno, allora, chiarire a chi sia attribuita la legittimazione a presentare
denuncia – querela nell’ipotesi in cui persona offesa dal reato sia il condominio generalmente e complessivamente considerato. La Giurisprudenza è, oggi, univocamente orientata nel ritenere che – nell’ipotesi in
cui persona offesa sia un ente di mera gestione privo di personalità giuridica, come è appunto il condominio – “il diritto di querela deve essere esercitato a mezzo di rappresentante specialmente autorizzato dallo Statuto o da tutti insieme i condomini, componenti dell’ente collettivo. Quando lo Statuto non preveda un rappresentante speciale, il rappresentante ordinario dell’ente non ha veste di querelarsi per l’ente stesso e deve essere munito della procura speciale di tutti i componenti dell’ente medesimo”4 In tema di legittimazione a proporre querela, infatti, per la proposizione di una
valida istanza di punizione da parte di un condominio di edifici, occorre la preventiva manifestazione di volontà da parte dei condomini, volta a conferire all’Amministratore l’incarico di perseguire penalmente un soggetto in ordine ad un fatto ritenuto lesivo del patrimonio comune5. Parimenti, però, ogni singolo condomino ha diritto di presentare querela in ordine a
reati commessi in danno del condominio6. Recentemente, la Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi circa
la legittimazione dell’Amministratore di condominio a presentare querela in ordine a reati in danno del condominio. La Cassazione ha sul punto chiarito come “(…) Il condominio di edifici non è un
soggetto giuridico dotato di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti (CASS. CIVILE, SEZ. II, SENTENZA 29.08.1997, N. 8257; CASS. CIVILE, II, SENTENZA 27.01.1997, N. 826; CASS. CIVILE, SEZ. II, SENTENZA 12.03.1994, N. 2393), bensì uno strumento di gestione collegiale di interessi comuni dei condomini, che non è suscettibile, in quanto tale, di essere portatore di propri autonomi interessi direttamente protetti dall’ordinamento penale, la cui violazione, prescindendo dalle diverse formalità eventualmente imposte dalla natura ordinaria o straordinaria dell’atto, possa consentire una legittimazione all’esercizio del diritto di querela dell’amministratore che lo rappresenta. Un tale esercizio da parte dell’amministratore non è ipotizzabile, inoltre, in relazione
alla lesione degli interessi individuali, anche se collettivi dei partecipanti, dal momento che l’amministratore esplica, come mandatario dei condomini, soltanto le funzioni esecutive, amministrative, di gestione e di tutela dei beni e servizi a lui attribuite dalla legge, dal regolamento di condominio o dall’assemblea, a norma degli artt. 1130 e 1131, comma primo c.c., ed esclusivamente nell’ambito di queste ha la rappresentanza degli stessi e può agire in giudizio. Non può, infatti, ricomprendersi la querela tra gli atti di gestione dei beni o di
conservazione dei diritti inerenti alla parti comuni dell’edificio, anche se avente ad oggetto un fatto lesivo del patrimonio condominiale, costituendo la stessa un presupposto della validità del promovimento dell’azione penale e non un mezzo di cautela processuale o sostanziale, ed il competere il relativo diritto in via strettamente personale alla persona offesa dal reato esclude anche che, in assenza dello speciale mandato, previsto dagli artt. 122 e 336 c.p.p., lo stesso possa essere esercitato da un
4 Cassazione Penale, sentenza 16.10.1950, Silvestri, GP 51, II, 274. 5 Cassazione Penale, sentenza 29.11.2000, Panichella, CP 02, 1719. 6 Cassazione Penale, sentenza 9 giugno 1958, Cecchi, GP 59, II, 140.
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soggetto diverso dal suo titolare. Corretta, pertanto, appare la decisione del Giudice che ha negato, in assenza di una
unanime manifestazione di volontà dei condomini che si procedesse penalmente in ordine al fatto contestato all’imputato e di un corrispondente unanime specifico incarico conferito all’Amministratore, l’esistenza e la legittimazione del rappresentante del condominio alla presentazione della querela (CFR. CASSAZIONE PENALE, SENTENZA 16.10.1950, SILVESTRI)”7. Pare opportuno sottolineare come la Giurisprudenza della Suprema Corte di
Cassazione sia oramai univocamente orientata nel ritenere che “In tema di legittimazione a proporre la querela, per la proposizione di una valida istanza di punizione da parte di un condominio di edifici occorre la preventiva unanime manifestazione di volontà da parte dei condomini volta a conferire all’amministratore l’incarico di perseguire penalmente un soggetto in ordine ad un fatto ritenuto lesivo del patrimonio comune”8. Alla persona offesa dal reato l’ordinamento processuale penale vigente riconosce,
poi, il diritto di agire nel processo per fornire il proprio contributo, evidentemente volto all’accertamento della responsabilità penale dell’imputato e ad ottenere, in conseguenza di questo, il riconoscimento del proprio diritto al risarcimento di tutti i danni patiti in ragione della condotta di reato contestata all’imputato. Lo strumento attraverso il quale poter agire in sede penale per formalizzare la
propria richiesta di risarcimento danni è rappresentato dalla costituzione di parte civile, disciplinata agli artt. 74 e ss. c.p.p., che inserisce l’esercizio dell’azione civile all’interno del processo penale. L’art. 185 c.p. stabilisce, infatti, che “Ogni reato obbliga alle restituzioni a norma
delle leggi civili. (artt. 2043-2059 c.c.). Ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale (art. 2059 c.c.) obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”. In tema di parte civile, l’art. 74 c.p.p. dispone, innanzitutto, che “l’azione civile per le
restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’art. 185 c.p. può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell’imputato e del responsabile civile”. La legittimazione a costituirsi parte civile nel processo penale spetta – dunque – al
“soggetto” offeso o danneggiato dal reato. Tenuto conto del combinato disposto di cui agli artt. 185 c.p. e 74 e ss. c.p.p., si pone
il problema se legittimato alla costituzione di parte civile sia soltanto colui che ha subito un danno diretto dalla condotta del soggetto agente ovvero possa ritenersi compreso anche il danno indiretto e, conseguentemente, se ex art. 74 c.p.p. possa costituirsi parte civile solo colui che abbia subito un danno diretto ovvero anche chi abbia subito un danno indiretto. La Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha chiarito
come l’ammissibilità della costituzione di parte civile sia subordinata al fatto che il danno risarcibile sia conseguenza diretta ed immediata del reato, con ciò – però – non volendo affermare che il soggetto danneggiato dal reato coincide necessariamente ed esclusivamente con il soggetto titolare dell’interesse specifico direttamente tutelato dalla norma violata. Tale coincidenza, infatti, rappresenta la regola, ma la Corte di Cassazione ha –
comunque – lasciato intendere che in talune situazioni può risultare legittimato a
7 Cassazione Penale, Sez. II, 29.11.2000, Presidente dott. N. Zingale. 8 Cassazione Penale, Sezione II, 05.01.2001, n. 6, Panichella.
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costituirsi parte civile anche un danneggiato diverso dal soggetto passivo del reato, sempre che il danno da questi subito sia conseguenza diretta ed immediata della condotta di reato. Pur non rilevandosi specifiche pronunce giurisprudenziali sul punto, pare corretto
ritenere (in modo speculare a quanto indicato in tema di legittimazione a presentare querela) che nel caso in cui la persona offesa o il danneggiato dal reato sia l’intero condominio, l’Amministratore possa validamente rilasciare ad un difensore procura speciale ex artt.76 ss. c.p.p. ai fini della costituzione di parte civile in giudizio penale soltanto se – a sua volta – preventivamente e specificamente autorizzato sul punto con delibera unanime dell’assemblea condominiale, ritenuto che portatore dell’interesse giuridicamente protetto e leso dal reato è solo ed esclusivamente il condominio.
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ALLEGATO 1
ANACI Sede di Roma Convegno Giuridico 20 Ottobre 2012
“LO SLALOM DELL’AMMINISTRATORE TRA LEGGI E SENTENZE”
LA RETRIBUZIONE DELL’AMMINISTRATORE CONDOMINIALE
-TRACCIA DELLA RELAZIONE ORALE-
Dott. Fabio Gerosa
(Direttore del Centro studi ANACI di Roma)
“Tutto quello che espone a rischi contenuti e relativi rende poco. Spesso meno del costo della vita. Non è il caso dell’amministratore condominiale”
1- Premessa Il mio intervento non ha l’ambizione di penetrare nei meandri giuridici, né vuol
essere, anche lontanamente, un’esercitazione accademica, poiché il rischio è quello di riferire di una realtà, come è quella del mondo condominiale, che non può semplificarsi con paradigmi, categorie e concetti criptici.
Nel nostro attuale quadro normativo sono i condòmini interessati, riuniti in
assemblea, a decidere sulle modalità di gestione delle cose, impianti e servizi comuni. Precisando che l’assemblea e l’amministratore rappresentano figure peculiari all’istituto del condominio. Ed in quanto tali, differenti dalle omologhe figure delle persone giuridiche e societarie. Seppur non trascurando la circostanza che la giurisprudenza, quando ha un dubbio interpretativo, si volge verso spunti e suggerimenti del mondo societario. Offuscando il palcoscenico condominiale.
L’assemblea, peraltro, non può deliberare su ogni questione che attenga alle parti
comuni, in quanto le sue attribuzioni sono circoscritte e temperate dalle attribuzioni riservate all’amministratore condominiale, soggetto che - come ci ricorda la Curia - ha il mero compito di amministrare (cfr. Cass. 9/2/1977 n. 571), e tenuto a dar seguito alle sole delibere rientranti nei poteri deliberativi dell’assemblea (Cass. 14/1/1977 n. 278). Del resto il nuovo testo sulla “Riforma del condominio”,
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approvato dalla Camera dei Deputati il 27 Settembre 2012, ed ora all’esame del Senato, conferma questo ruolo meramente esecutivo dell’amministratore, anzi indebolendolo. Dalla lettura dell’art. 1129 c.c. del nuovo testo in esame, al terzo comma si legge un nuovo vincolo condizionante l’incarico: “L’assemblea può subordinare la nomina dell’amministratore alla presentazione ai condomini di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato”. Senza che vi sia, in parallelo, un riconoscimento di una congrua retribuzione a fronte di nuovi compiti.
Difatti l’art.1135 c.c. resta ancorato ad una anacronistica eventualità del
compenso, in quanto il legislatore, sia nel primo passaggio al Senato, approvato il 26 Gennaio 2011, sia nella successiva approvazione modificativa della Camera di cui sopra, ha stabilito di rivisitare la lettera del punto 1) dell’art.1135 del cod. civ. vigente. Lasciando invariata la prima attribuzione dell’assemblea dei condomini, ovvero quella di provvedere “alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione”.
Quindi l’amministratore deve principalmente dare esecuzione alle delibere
dell’assemblea, attraverso una legittimazione ricevuta dalle deliberazioni assembleari, immediatamente esecutive ex art. 1137, secondo comma, del c.c.. E di recente, la Cass., 28 marzo 2012 n. 4988, ha ribadito, ancora una volta, che il potere decisionale non compete all’amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale ma semplicemente esecutivo del condominio.
Un soggetto, l’amministratore di condominio, definito dalla giurisprudenza un
ufficio di diritto privato, orientato alla tutela di interessi individuali e realizzante una cooperazione con tutti i singoli condomini, quindi come tale, assimilabile al mandato con rappresentanza.
Definito pure un soggetto che segue l’incarico conferito dai condomini, con
un’attività che si concretizza nelle azioni esecutive e di rappresentanza verso i terzi, supportato da un rapporto di mandato. Ove il mandatario-amministratore non può superare la “linea Maginot” del compito gestorio affidatogli, ed il mandante-gruppo di condòmini mantiene sia il diritto di regolarsi da sé i propri interessi, che rimuovere il mandatario infedele in ogni tempo. Fermo restando, comunque, la possibilità, per l’amministratore rimosso, di avanzare una richiesta di risarcimento dei danni, qualora subisca una revoca senza giusta causa, come disposto dall’art. 1725 c.c.. Di misura pari ad almeno la quota di retribuzione che avrebbe incassato fino al termine dell’incarico annuale (Tribunale Catania, 1999) alla stregua dell’amministratore ad interim che ha diritto ad essere retribuito per il periodo di interinato con le stesse modalità stabilite per il periodo precedente (Cass. 14/6/1976, n. 2214).
Parimenti le stesse regole dovrebbero valere nel caso di un amministratore che
rinunci all’incarico senza giusta causa. Ma in materia condominiale, operando la regola della prorogatio della funzione, deve essere comunque garantita la
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prosecuzione dell’amministrazione, fino alla sostituzione del gestore dimissionario.
2- La cornice di riferimento normativo Lo sviluppo della realtà condominiale ha origine dal Regio Decreto 15 Gennaio
1934, numero 56, il quale precisava che gli organi di amministrazione del condominio erano due: assemblea ed amministratore. Con quest’ultimo che “presta di regola gratuitamente la propria opera”. Se ne desume che nel codice abrogato il mandato era presunto gratuito, a differenza dell’impianto in vigore, che presume il mandato a titolo oneroso (cfr. art. 1709 cod.civ.).
Ma pur tenendo sempre presente che il mandato può essere anche a titolo
gratuito: in tal caso, l'assemblea condominale deve però esprimersi chiaramente sulla gratuità, al momento della nomina dell'amministratore (cfr. N. Izzo, AA.VV., I rapporti tra assemblea ed amministratore di condominio, Milano, 2005; Cass.,16/4/1987 n.3774).
Con l’analisi delle attribuzioni dell’amministratore, che determinano pedissequamente il diritto alla retribuzione, è necessario soffermarsi ad evidenziare come il codice civile limiti dette attribuzioni nell’alveo dell’ordinaria amministrazione, limite specificato chiaramente dall’art. 1135 c.c., allorchè prescrive che l’amministratore non può ordinare lavori di straordinaria manutenzione. Frapposti ai lavori ed alla gestione ordinaria, per la quale, invece, l’amministratore può disporre con autonomia: si pensi alle spese inerenti la normale e ricorrente gestione a scadenza fissa.
Interessante è l’esempio della nomina del “Terzo responsabile” per la conduzione della caldaia, che autorevole dottrina ritiene non rientri nei poteri dell’amministratore, ma “deve essere deliberata dall’assemblea” (vd. R. Triola, AA.VV. in I rapporti tra assemblea ed amministratore del condominio, Milano, 2005, pag. 207).
In altre parole ogni qual volta l’amministratore del condominio, esercita attività
di amministrazione ordinaria, ne sarà direttamente soggetto responsabile e legittimato; nel caso, al contrario, di operazioni classificabili come di amministrazione straordinaria, senza una specifica deliberazione da parte dell’assemblea condominiale, non potrà disporre, salvo il caso di urgenza, ex art. 1135 c.c., ultimo comma, ma comunque rimarrà sempre l’obbligo di riferire alla prima assemblea.
Quindi, nell’espletamento del mandato, l’amministratore di condominio dovrà
agire utilizzando la diligenza del buon padre di famiglia, ovvero agire in modo ordinato, con solerzia e prudenza.
Ricapitolando: la regola della “presunta onerosità” viene in secondo piano
allorché vi sia il riconoscimento esplicito da parte dell’assemblea condominiale. Pertanto, ogni compenso deve ritenersi compreso nel corrispettivo stabilito
all’inizio dell’incarico per tutta l’attività di carattere amministrativo annuale, che
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quindi non può essere retribuita separatamente (cfr. Cass. 28/4/2010 n. 10204). Ed un eventuale compenso extra dell’amministratore di condominio deve essere
deliberato dall’assemblea condominiale (Cass. 3.12.2008, n. 28734). Inoltre, tale eventuale attività aggiuntiva va analizzata sotto la lente dell’art. 1711
del cod.civ. sui “Limiti del mandato”, il quale dispone chiaramente: “Il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato. L’atto che esorbita dal mandato resta a carico del mandatario, se il mandante non lo ratifica. Il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possono essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione”.
Ne discende che il mandatario-amministratore è tenuto ad eseguire
diligentemente sia gli atti per il quale il mandato è stato conferito, ma anche quelli utili per il suo compimento. In particolare, poiché l'amministratore riveste la qualità di mandatario generale, la sua retribuzione deve essere rapportata anche alle attività ulteriori e strumentali necessarie al completamento dell’azione gestoria. In questo senso, si sono pronunciate le sentenze della Cassazione 25 febbraio 2000, n. 2149; e 5 giugno1999, n.5932.
3- La quantificazione del compenso
L’ANACI con la collaborazione del Censis ha monitorato gli onorari degli amministratori di condominio attraverso due rapporti: uno pubblicato nel 2004 e l’altro nel 2010. Per quel che riguarda il primo rapporto, dal sondaggio sono emersi i corrispettivi medi praticati in Italia per unità immobiliare, che sono risultati di € 77,00 e di € 88,00, a seconda se vi erano inclusi i servizi.
Questa differenziazione dei corrispettivi sottolinea il “peso” sulla retribuzione
dell’amministratore della gestione di personale dipendente e gestione riscaldamento centralizzato.
Altro aspetto è il confronto con i cugini francesi ove il corrispettivo medio è di €
115,00 ad unità immobiliare. In particolare a Roma è emerso il dato di € 75,00 mentre Parigi è € 157,00.
Altro dato interessante si è ricavato dalle risposte relative al compenso minimo
per condominio, che varia dai 1.600,00 Euro di Napoli ai 300,00 Euro di Cremona. Nel secondo rapporto Anaci – Censis, svolto nel 2010 su un campione di 1.150
Amministratori, è emerso che l’onorario medio varia in funzione dei servizi da garantire al singolo edificio condominiale con una variazione pari al 10% tra un condominio con portiere e riscaldamento centralizzato (80,00 euro) e un condominio semplice pari a 76,00 euro.
Altra analisi è stata pubblicata sul n. 104 del 2008 della rivista “Dossier
Condominio” ove Francesco Caporilli ha calcolato che il corrispettivo ad unità
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immobiliare ammonta a 110,00 Euro annui. Da tale dato ha ricavato che, per ottenere un congruo risultato relativamente alla
retribuzione annua, un amministratore professionista deve amministrare almeno 25 stabili condominiali.
4- Retribuzione e verifica sull’amministratore
Ai condòmini che richiedano di visionare i documenti contabili, con modalità che non intralci l’attività amministrativa dell’amministratore, e rispetti le regole di correttezza, il diritto per i proprietari è bilanciato, per l’amministratore, se vi sia anche una richiesta di estrarre copia di detti documenti, dal rimborso dei costi sostenuti a carico dei condòmini istanti (Cass. 26/8/98 n.8460; Cass. 29/11/2001 n. 15159; Cass. 11/9/2003 n.13350). In passato, invece, si sosteneva che il potere del singolo condomino di verificare l’attività del gestore sussistesse di norma all’approvazione del consuntivo (Cass. 5/4/1984 n. 2220). A conferma dell’assunto, sul testo del Disegno di Legge sulla riforma del condominio, all’art. 1129 c.c., secondo comma, si specifica: “Contestualmente all’accettazione della nomina, e ad ogni rinnovo dell’incarico, l’amministratore comunica i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si tratta di societa`, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell’articolo 1130, nonche´ i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore, puo` prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata”. Non riconoscendo, in ogni caso, alcun compenso extra all’amministratore, ma il mero rimborso delle spese sostenute.
Superando forse anche l’interessante Sentenza del 26.11.2008, n. 23539, del
Tribunale di Roma la quale, se pur confermando l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, ha specificato che il diritto di ciascun condomino nel prendere visione dei giustificativi di spesa ed estrarne copia, non deve essere confuso con l’analogo diritto all’invio di copia della medesima documentazione sulla base dei principi di correttezza e di probabile intralcio all’attività amministrativa.
Lo stesso principio vale poi anche per il conduttore, il quale può anch’egli
prendere visione dei documenti giustificativi delle spese (cfr. Cassazione, 4/6/1998, n. 5485).
Ricordando, ad ogni modo, che se l’unità immobiliare è concessa in locazione “le spese relative al compenso corrisposto all' amministratore del condominio e le spese sostenute dallo stesso nell'esercizio della sua attività non rientrano tra gli oneri accessori che l'art. 9 della legge n. 392 del 1978 pone a carico del conduttore dell'immobile” (cfr. Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1991, n. 6216).
Tornando per un attimo al R.D.L. n. 56 del 1934, le regole e gli indirizzi dati
dall’amministratore erano obbligatorie per i condomini, salvo il ricorso al consiglio di amministrazione e all’assemblea.
Nell’attuale disegno legislativo, che non prevede il consiglio di amministrazione,
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vale il disposto dell’art. 1133 c.c., con una “scala gerarchica” ove l’amministratore è sopra i condòmini, ma ritorna subalterno di fronte agli stessi condòmini se legittimamente riuniti in assemblea. Si pensi ad esempio al diritto al compenso ed alla possibilità, che ha sempre l’assemblea, di revocare in ogni tempo l’amministratore.
Riassumendo: al primo gradino vi sono i condòmini, al secondo l’amministratore, al terzo l’assemblea. Ma può accadere che vi sia un Regolamento condominiale, che si pone al vertice. In un disegno gerarchico, peculiare del periodo nel quale la legislazione condominiale ha preso vita.
Problema, quello della “retribuzione” dell’amministratore di condominio, che
genera ancora incertezze e risente dell’evoluzione storica dell’istituto condominiale, con un’evoluzione giurisprudenziale parallela all’evolversi della stessa figura dell’amministratore. Con un passaggio lento e graduale dal soggetto turnario ed interno al condominio, che presta normalmente la propria opera a titolo gratuito, all’attuale professionista che reclama una retribuzione a fronte di sempre più ampi ed articolati compiti.
E sempre in ordine alla gerarchia di rapporti tra assemblea ed amministratore, la
giurisprudenza di merito ha costantemente negato la legittimità di un compenso in aggiunta a quello deliberato dall’assemblea. Intendendo che la retribuzione accordata in assemblea comprende tutte le attività dell’amministratore durante l’anno.
5- Casistica pratica sulla retribuzione dell’amministratore
La vasta casistica affrontata dalla giurisprudenza può essere riassunta per argomenti.
Il passaggio delle consegne
Nel caso di richiesta di un compenso aggiuntivo per attività relativa al passaggio delle consegne, specificato che l’amministratore deve restituire tutti i documenti, non è dovuto dal condominio alcun compenso aggiuntivo.
In tal senso si sono espressi più volte i Tribunali di merito, ad esempio Corte d’Appello di Milano Sentenza 29 dicembre 1992 n. 2220; più di recente Tribunale di Messina 9 gennaio 2012 n. 20.
Anche nel testo della “Riforma”, la Camera non ha modificato quanto stabilito dal Senato in prima approvazione, ossia quanto disposto all’ ottavo comma del probabile nuovo art.1129 c.c.: “Alla cessazione dell’incarico l’amministratore e` tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attivita` urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”.
Cristallino il riferimento all’esclusione di un compenso per attività ultronea.
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I lavori straordinari
Va escluso il compenso aggiuntivo a favore dell’Amministratore di condominio per la cura dei lavori straordinari di ristrutturazione. Come ad esempio: verifica dei preventivi, esame degli aspetti civili e fiscali del contratto di appalto, od emissione di nuove bollette di pagamento; cfr. Corte di Appello di Milano 23 maggio 1997 n. 1637.
Paradossalmente nel nuovo testo della “Riforma”, la posizione dell’amministratore si aggrava ancora, con l’aggiunta di un nuovo vincolo all’attività, indicato al comma decimo del nuovo probabile art.1129 c.c.: “L’amministratore e` tenuto altresı` ad adeguare i massimali della polizza se nel periodo del suo incarico l’assemblea deliberi lavori straordinari. Tale adeguamento non deve essere inferiore all’importo di spesa deliberato e deve essere effettuato contestualmente all’inizio dei lavori. Nel caso in cui l’amministratore sia coperto da una polizza di assicurazione per la responsabilita` civile professionale generale per l’intera attività da lui svolta, tale polizza deve essere integrata con una dichiarazione dell’impresa di assicurazione che garantisca le condizioni previste dal periodo precedente per lo specifico condominio”.
Un costo per amministrare il condominio a tutela dell’utenza, a carico dell’amministratore, che potrebbe finanche sempre rinunciare al compenso ordinario. Si commenta da solo.
Infine, di recente, la Corte di Cassazione con Sentenza n. 5984 del 16
aprile 2012 ha stabilito che anche il compenso di un tecnico deve essere liquidato attraverso il passaggio in assemblea. Infatti in assenza di una deliberazione dell’assemblea - escluso il tema di lavori urgenti – anche il compenso da corrispondere al Direttore dei Lavori deve essere ratificato dal consesso condominiale.
Le assemblee straordinarie
La definizione di assemblea “straordinaria” discende dall’art. 66 delle disp. Att. Cod. civ., intendendo qualsiasi riunione tenuta in aggiunta a quella ordinaria annuale, per provvedere all’amministrazione o alla necessità della delibera assembleare. Si pensi, ad esempio, alla notifica di un Atto giudiziario al condominio.
E’ esclusa anche la richiesta di un compenso aggiuntivo per attività
straordinaria volta alla convocazione e tenuta di più assemblee straordinarie (Tribunale di Perugia 15 novembre 1999 n. 793, che riforma la Sentenza del Febbraio dell’anno precedente del Pretore di Foligno n.8).
Ed anche se è vero che l'amministratore non è obbligato a partecipare alle
assemblee condominiali, tuttavia «quale mandatario dei condomini, svolge le funzioni che metaforicamente possono definirsi di organo esecutivo dell'assemblea da cui riceve ordini, direttive, indicazioni, suggerimenti, il
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che spiega la prassi diffusa…secondo cui l'amministratore partecipa sempre all'assemblea e solitamente funge da segretario», Cassazione 12 marzo 2003, n. 3596. Ne discende pertanto che la partecipazione dell’amministratore alle assemblee deve ritenersi compresa tra i suoi compiti istituzionali e, se non espressamente concordato, non retribuito a parte.
Nondimeno se dovesse passare la “Riforma”, sarà interessante
comprendere l’orientamento della giurisprudenza in ordine alla richiesta di assemblee straordinarie. Ciò considerata la differente modalità della richiesta all’amministratore: non più almeno 1/6 dei millesimi ed almeno due condòmini, ma il singolo condomino, senza vincolo millesimale, in diversi casi. Ad esempio nel novello art. 1117-quater sulla Tutela delle destinazioni d’uso: “In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attivita` con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’articolo 1136” .
L’amministratore, su sollecitazione singola - si pensi ad un grande complesso con posti auto scoperti, di mezzo millesimo -che richiedono assemblee, di quanto lavoro aggiuntivo sarebbe gravato? Forse non potrà esimersi da richiedere un compenso extra.
Andando avanti sul Progetto di legge di Riforma del condominio, va
considerato anche l’art. 1120 del cod. civ, sulle innovazioni: ”L’amministratore e` tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all’adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l’amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni».
Oppure i casi di sospetti di gravi irregolarità, ove nel progetto di
“Riforma”, il nuovo art .1129 c.c. così dispone : “ Nei casi in cui siano emerse gravi irregolarita` fiscali o di non ottemperanza a quanto disposto dal numero 3) del dodicesimo comma del presente articolo, (ovvero la mancata apertura ed utilizzazione del conto di cui al settimo comma) i condomini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore. In caso di mancata revoca da parte dell’assemblea, ciascun condomino puo` rivolgersi all’autorita` giudiziaria”.
Concludendo, ne deriva che l’attività di amministratore condominiale
comprende pure la partecipazione alle assemblee straordinarie, prescindendone dalla numerosità, fatti salvi eventuali patti contrari e
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preventivi, instaurati tra assemblea e gestore.
I Consiglieri Il Tribunale di Monza con la sentenza 27 giugno 1985, ha statuito che la
retribuzione stabilita dall’assemblea va intesa come relativa a tutte le attività svolte. In guisa di ciò eventuali riunioni del consiglio di condominio non sono da considerarsi estranee al mandato dell’Amministratore. Ed anche qualora l’Amministratore del condominio risulti essere un professionista con Albo, i criteri da assumere per la determinazione del compenso, in assenza di una delibera assembleare specifica, rimangono quelli determinati dal consesso condominiale.
Anche in questo caso l’attività dell’amministratore e la pedissequa annosa
questione del compenso, con l’avvio della “Riforma” subirà alcune sostanziali modifiche. In proposito, infatti, dalla lettura del nuovo art. 1130-bis, secondo comma, risulta che: “L’assemblea può anche nominare, oltre all’amministratore, un consiglio di condomino composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo”.
Ne discende che, con l’istituzione del nuovo “organo” del consiglio di
condominio, l’amministratore sarà gravato di un altro adempimento: la convocazione e l’informativa ad un ristretto gruppo di partecipanti del condominio, in una lettura che ricorda la vecchia disciplina del 1934 in tema di condominio. E con maggiori oneri subentrano, per logica, più alti costi per la collettività condominiale.
I “tariffari”
In merito ai tariffari degli amministratori di condominio, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con il provvedimento del 14/12/1994 n. 2550, ha escluso l’applicazione di un tariffario per gli amministratori condominiali predisposti dalle rispettive associazioni; come ha escluso per i Geometri l’applicazione di un loro tariffario nell’esperimento di attività di amministrazione condominiale.
Rammentando che il compenso all’amministratore ha carattere
“eventuale” ex art. 1135, n.1, cod.civ., ed esso deve essere deliberato dall’assemblea. Per tale ragione non può riferirsi ad eventuali tariffari consigliati dalle Associazioni, se non accettate dal consesso condominiale.
Solamente in caso di amministrazione giudiziaria, il Tribunale di Napoli,
con sentenza del 19/12/2003 n. 12748 ha stabilito in via equitativa il compenso sulla base del tariffario predisposto dalla F.I.A.B.S. (Federazione Italiana Amministratori di Beni Stabili).
Annotando comunque, sempre trattando di amministratori giudiziari, che anche per essi la retribuzione deve essere deliberata dall’assemblea, e
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solamente nel caso in cui non si arrivasse ad un accordo sul quantum, la sua determinazione avverrà in sede giudiziaria (Tribunale Napoli, 4/5/1971).
Nel 2003, inoltre, il Giudice di Pace di Valenza ha rigettato la domanda
della fissazione di una percentuale sulla retribuzione dell’Amministratore determinata dal Tariffario dell’UNAI, sulla considerazione errata che il passaggio delle consegne sia attività extra-mandatum.
In senso contrario, va annotata la Sentenza numero 2220 del 29 Dicembre
1992, con la quale la Corte d’Appello di Milano, riconobbe all’amministratore del condominio, pur in assenza del tariffario professionale, un compenso aggiuntivo dell’ 1% sul valore complessivo di un appalto per lavori di rifacimento delle facciate condominiali; a giustificare un lavoro aggiuntivo svolto per due anni dal gestore condominiale.
Ad ogni buon fine, per non incorrere in errore, interviene il Disegno di
Legge sulla “riforma” che, nel testo dell’art.1129 c.c. così dispone: “L’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”.
La gratuità dell’amministrazione condominiale
Le fattispecie analizzate, che riconoscono il diritto dell’amministratore condominiale ad un compenso aggiuntivo, sono giustificate da attività riconosciute come eccedenti le normali attribuzioni ex art.1135 cod.civ., unica norma che disciplina la materia: «L'assemblea dei condomini provvede alla conferma dell'amministratore e all'eventuale sua retribuzione».
Il concetto di “eventuale” retribuzione può condurre anche alla
circostanza di “gratuità” dell’attività dell’amministrazione condominiale, se disposta dall’assemblea o dal Regolamento di condominio. Fermo restando l’accettazione dell’altra parte.
Anche la giurisprudenza è stata interessata di tali questioni: la Cassazione, con Sentenza n. 3774 del 16 Aprile 1987, ha confermato la lettura del Regolamento condominiale che prevedeva la retribuzione unicamente per l’amministratore professionista, escludendola per il condomino-amministratore; e sempre la Cassazione, con Sentenza del 27 Maggio 1982, numero 3233, ha superato la “presunzione di onerosità” riferita all’attività di amministratore di condominio, allorchè la prassi esistente presso il condominio o l’atteggiamento delle parti sia indirizzato in tal senso. Nella fattispecie l’amministratore durato in carica per cinque anni, non aveva mai richiesto una retribuzione.
Gratuità esclusa, anche se disposta da un Regolamento contrattuale, solamente per l’amministratore giudiziario (Cass. 12/2/1988, n. 1513).
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La lievitazione della retribuzione
Al contrario, laddove si ravvisi un aumento del compenso dell’amministratore, lo stesso deve sempre e comunque venir ratificato dall’assemblea condominiale (Tribunale di Roma, 21 Febbraio 1987).
E nel caso in cui l'assemblea non abbia provveduto a determinare il
compenso, quest'ultimo può essere determinato in sede di approvazione del consuntivo annuale.
Altra fattispecie è quella per la quale si sia statuito un compenso
sproporzionato. Il Pretore di Catania, 27/10/1997, ha dichiarato nulla la delibera, viziata da eccesso di potere, del riconoscimento di una retribuzione “abnorme” per l’amministratore, lesiva dell’interesse comune. Considerando anche il compenso medio ricorrente nel luogo ove è stato edificato il condominio.
Di interesse risulta il caso in cui l’amministratore non stabilisca, come di
prassi, un compenso omnia, ma lo determini parametrandolo a singole prestazioni; ad esempio per numero di sopralluoghi presso il condominio, che si stabiliscono attraverso decisioni discrezionali del gestore.
In questi casi si potrebbe innescarsi un conflitto di interessi, tipico del
“Contratto con se stessi” ex art. 1395 del codice civile. Questo articolo dispone infatti che “E’ annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificatamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto di interessi. L’impugnazione può essere proposta soltanto dal rappresentato”.
In tal senso la delibera potrebbe ritenersi viziata, nel caso si evidenziasse il caso di un’eventuale vessatorietà a danno della proprietà, considerando gli utenti condòmini come consumatori (cfr. sul punto Cass. 24/7/2001 n. 10086).
Retribuzione esclusa per “mala gestio”
La realtà fattuale vede l’amministratore di condominio legato all’assemblea da un rapporto fiduciale, ovvero la proprietà ha la massima scelta sul soggetto da incaricare: un professionista esterno, una società oppure un condòmino. E questo vincolo rimane per l’intera durata del rapporto, talvolta pure con la deroga delle attribuzioni dell’amministratore da parte dell’assemblea.
L’assemblea può pertanto in ogni momento sostituirsi all’amministratore
e privarlo dei suoi poteri, sull’assunto della normale derogabilità del mandato ex art. 1723 c.c., come espresso in dottrina anche da Corona (cfr. R. Corona,
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Proprietà e maggioranza nel condominio degli edifici, Torino, 2001). Ed in questa logica, con la sentenza del 18 aprile 2007 n.1763, la Corte di
Appello di Roma ha stabilito che non può riconoscersi il compenso all’Amministratore di condominio che non abbia permesso ai condomini di conoscere le situazioni patrimoniali nelle assemblee annuali, esponendoli ad esborsi per omissioni o ritardi nel pagamento delle forniture.
Dello stesso tenore la pronuncia del 22/7/2011 del Trib. Civ. Nocera Inferiore.
Amministrazione condominiale soggetta ad IVA?
La Corte di Cassazione, attraverso due pronunce, la prima n. 12916 del 2007; e la seconda del 26.11.2008, n. 28186, ha stabilito che il compenso dell’Amministratore, se l’attività è svolta senza impiegare mezzi organizzati, non è assoggettabile IVA.
Compenso per pratiche relative agli sgravi fiscali
Nemmeno tali nuovi obblighi, peraltro, consentono - per quanto detto sopra - comunque, di scardinare la dicotomia tra “amministrazione ordinaria” ed “amministrazione straordinaria”, per la valutazione delle competenze di amministratore od assemblea, al fine di valutare la retribuzione dovuta all’amministratore. Talchè la giurisprudenza si è interessata ai nuovi obblighi relativi alle certificazioni fiscali per lavori del 36%, ora 50%. Disponendo in modo netto che anche per esse l’amministratore non ha diritto ad un compenso suppletivo, rientrando nei suoi compiti (cfr. Tribunale Catania, 10/05/2004 n. 1577).
La revisione dei conti
Di particolare interesse la questione relativa ad un’eventuale richiesta di revisione dei pregressi rendiconti condominiali all’Amministratore. In particolare nel caso in cui lo stesso debba ricostruire le contabilità pregresse degli Amministratori precedenti. Riteniamo che questa attività sia ultronea rispetto ai compiti specificati ex art. 1130 c.c., limitati ad un anno di gestione ed alla resa del proprio operato, anche contabile.
Tale questione diviene di particolare importanza alla luce della recente Sentenza Cassazione 6/12/2011 n. 26243, secondo la quale l’assemblea è legittimata a modificare i rendiconti pregressi degli ultimi 10 anni, se pur regolarmente approvati.
Retribuzione “sanata”dalla delibera assembleare
Il compenso straordinario dell’amministratore è riconosciuto, come abbiamo visto, se deliberato dall’assemblea, e la delibera non può essere impugnata se non per motivi di legittimità. In tale alveo, particolarmente interessante risulta la sentenza del Tribunale di Roma 24820 del 8/9/2004.
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Con tale decisione il Tribunale ha rigettato l’impugnazione di assemblea ove l’assemblea aveva, a consuntivo, approvato alcune voci retributive “ulteriori” per l’Amministratore di condominio.
La pronuncia del Tribunale di Roma è conforme all’indicazione della Suprema Corte di Cassazione n. 2133 del 1995 che statuisce come “possa riconoscere a posteriori lavori o voci di spesa non preventivamente deliberati”.
In sintesi si può affermare che l’assemblea ha il potere di integrare o
modificare una decisione deliberando successivamente un compenso extra all’Amministratore. In tal caso il Giudice non può avere sindacato di merito, se non nel caso di un eccesso di potere da parte del consesso condominiale.
Ma sul tema dell’approvazione implicita del compenso
dell’Amministratore, la Corte di Cassazione, il 20 ottobre 2007 n. 21130 ha rimesso il giudizio alle Sezioni unite. Tale assunto è di particolare interesse per gli amministratori di condominio poiché rimane il dubbio che la mera approvazione di Bilancio nel corpo del quale risulti iscritta la voce relativa al compenso dell’Amministratore non sembrerebbe sufficiente.
Le Sezioni Unite infatti, con la pronuncia del 29 agosto 2008 n. 21933,
hanno precisato che la retribuzione extra necessita di una “esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione di bilancio”. Questa decisione anche se riferita agli amministratori di società di capitali, ricade anche per gli Amministratori di condominio. Difatti la Cassazione successivamente ha stabilito lo stesso principio per l’approvazione ed il pedissequo riconoscimento dell’anticipazione di soldi da parte dell’Amministratore a favore del condominio (cfr. Cas., 9.6.2010 n. 13878; Cas., 9.5.2011 n. 10153; Cas. 27.6.2011 n. 14197). In tale ipotesi il diritto del mandatario al compenso deve comprendere la prova della corretta quantificazione del credito vantato per la retribuzione.
6- Retribuzione “à forfait” o “modulata” ?
Da quanto evidenziato, la retribuzione dovrebbe essere sempre esaustiva, per l’amministratore, proprio al fine di evitare conflitti ed interpretazioni dubbie, sia nel caso si perfezioni l’incarico con un forfait annuo, sia nel caso di richiamo a singole voci minuziosamente indicate, ossia “modulata”.
Ma sul punto vanno accesi i riflettori in merito alla circostanza che l’attività di
amministratore condominiale, per la sua peculiare complessità ed interdisciplinarietà, ha un limite nella obiettiva impossibilità di definire con assoluta esattezza, in via preventiva, una retribuzione annua.
Tanti possono essere gli imprevisti e le attività aggiuntive rispetto ad un’ordinaria
amministrazione. Per fare un esempio, come abbiamo visto, si pensi al numero di assemblee necessarie in un esercizio annuale per la soddisfacente gestione di un
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qualsiasi condominio. In tal senso è interessante la pronuncia della Cassazione, 24 marzo 2009 n. 7057.
Ove, nel caso di specie, e confermando un principio già enunciato, sottolineava che sul verbale di assemblea a fronte di una delibera che specificava e quantificava un compenso per ogni partecipazione in tribunale, per ogni incontro con i tecnici e infine il costo per le riunioni con gli avvocati per ogni questione condominiale, l’assemblea “onde dissipare ogni dubbio” aveva precisato una somma per il compenso annuo. La Suprema Corte ha allora sentenziato che detta precisazione costituiva il massimo della retribuzione che l’amministratore poteva richiedere al condominio.
Con un art.1130 c.c., sulle attribuzioni dell’amministratore, che potrebbe passare
da quattro a dieci punti (se passasse la Riforma), e con l’obbligo di tenere pure un registro per le nomine e le revoche degli amministratori; la retribuzione dell’amministratore, a fronte di così tante nuove attribuzioni, non può che lievitare, a danno della piccola proprietà, con buona pace della spending review.
Allorchè l’assemblea può disporre pure (nel progetto di nuovo art. 1135 c.c.) che:
“L’assemblea puo` autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare a progetti programmi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonche´ di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, la vivibilita` urbana, la sicurezza e la sostenibilita` ambientale della zona in cui il condominio e` ubicato”.
Senza disporre alcunché sul compenso! Così pure quanto disposto dal “riformato” art. 66 disp. Att. c.c.
“L’amministratore ha facolta` di fissare piu` riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell’assemblea in termini brevi, convocando gli aventi diritto con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell’assemblea validamente costituitasi”.
Anche per questa ipotesi non è prevista “revisione prezzi” a favore dell’amministratore per attività ulteriore.
Pertanto, e concludendo, qualora apparissero sul codice civile queste nuove ed
onerose attribuzioni, ultronee, per l’amministrazione condominiale. Essa, stretta da una eccessiva chiosa sociale, non potrebbe far altro che “modulare” la retribuzione, attraverso la creazione di un contratto tra proprietà ed amministratore.
Non potendo più assumere, il professionista, l’alea di un compenso a forfait,
come magari sempre fatto. Per concludere, vi lascio questo messaggio: “Tutto quello che espone a rischi
contenuti e relativi rende poco. Spesso meno del costo della vita. Non è il caso dell’amministratore condominiale.