progetto extra ciò che riguarda la prima tipologia la disciplina di riferimento è fissata...

132
PROGETTO EXTRA LABORATORIO Nr. 4 “Concessioni e gare”

Upload: vanphuc

Post on 15-Feb-2019

212 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

P R O G E T T O E X T R A

LABORATORIO Nr. 4

“Concessioni e gare”

2

Indice generale 1. Brevi note sugli affidamenti dei SPL (di Giuseppe De Mita) 3 2. Il recesso dell'amministrazione ai sensi dell'art.21 sexies della legge

n.241 del 1990 (di Andrea Baldanza) 8

3. Circolari Ministero Ambiente 06.12.2004 14 4. Sentenza Corte Costituzionale n.272/04 17 5. Sentenza Corte Giustizia C – 26/03 27 5.1. Conclusioni Avvocato Generale nella causa C – 26/03 44

6. Legge 15.12.2004, n.308 - Delega Ambientale 66 7. Consiglio di Stato, sez. V. ord. 2316/04 85 8. TAR Puglia, sez. III. ord. 08.09.2004 90 9. Libro Verde PPP, Comm. Eur. 30.04.2004, n.327 103

3

1. Brevi note sugli affidamenti dei SPL (di Giuseppe De Mita*)

Il tema degli affidamenti e delle concessioni nella materia dei servizi pubblici locali

(SPL) costituisce sicuramente uno degli aspetti di maggiore rilevanza all’interno del sistema

di detti servizi, per esso come è stato riformato e per come si va disciplinando, alla luce del

nuovo dettato normativo e dei ripetuti interventi della giurisprudenza e della legislazione

comunitarie e nazionali.

È bene precisare che la materia in questione è solo quella relativa ai SPL dal momento

che per le atre forme di appalti e concessioni i riferimenti normativi risultano essere differenti

da quelli che vedremo, e regolamentati da ultimo da specifiche direttive comunitarie il cui

recepimento risulta tra le indicazioni presenti nella legge comunitaria 2004 (L. 18.04.2005,

n.62, art.25).

La prima distinzione cui occorre fare riferimento è quella tra SPL a rilevanza economica

e SPL privi di rilevanza economica.

Per ciò che riguarda la prima tipologia la disciplina di riferimento è fissata dall’art. 113

comma 5 TUEL, nel quale vengono espressamente individuati, a tacitazione di un aspro

dibattito con echi anche a livello istituzionale, i modelli gestionali possibili: a) affidamento con

gara; b) affidamento diretto a società mista; c) affidamento diretto a società interamente

pubblica.

La normativa richiamata è integrativa delle discipline regionali cui comunque è

demandato il compito della indicazione delle disposizioni di dettaglio ed applicative, in virtù

degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n.272/04, la quale ha dichiarato, tra

l’altro, l’incostituzionalità del comma 7 dell’art. 113 TUEL (che disciplinava i criteri in ragione

dei quali si sarebbero dovute effettuare le gare), in quanto disposizione costrittiva delle

competenze regionali alla luce del nuovo testo dell’art. 117 Cost.

Va comunque detto che la materia resta ancora esposta ad interventi e modifiche dal

momento che, da un lato, con la delega ambientale (L. 15.12.2004, n.308) vengono previsti

4

prossimi interventi legislativi di riordino e, dall’altro lato, la giurisprudenza propone e

prospetta nuove interpretazioni sull’applicazione e i termini per l’affidamento dei servizi..

Sotto questo ultimo profilo, va evidenziata la pendenza davanti alla Corte di Giustizia

Europea di due questioni di compatibilità con le disposizioni comunitarie del modello

gestionale c.d. “in house”, proposte dal Consiglio di Stato (ord. N.2316/04) e dal TAR Puglia

(ord. 08.09.2004).

A ciò si aggiunga che con la sentenza C – 26/03 della CGE, è stato affermato il

principio che nessun affidamento in house è possibile nel caso in cui la società affidataria

abbia nella propria compagine la presenza di un socio privato, ancorché minoritaria. Tale

pronuncia apre, invero, una questione interpretativa di una certa delicatezza in merito alla

configurabilità di un affidamento diretto nell’ipotesi di società mista a date condizioni (come

si dovrebbe desumere dal testo dell’art.113, comma 5, lettera b) TUEL), specie se rapportato

al tenore delle recenti circolari del Ministero dell’Ambiente (v. circolari 06.12.2004).

Una nota a parte, infatti, meritano le due circolari appena richiamate con le quali il

Ministero è intervenuto nuovamente – e in termini francamente equivoci – per fissare alcune

indicazioni relative alle modalità ed alle forme di gestione nel caso di “appalto in house” e nel

caso di gara per la scelta del socio.

Le indicazioni contenute in tali circolari, da punto di vista del merito, contengono una

serie di indicazioni ed interpretazioni ingiustificatamente restrittive e dirette a rendere

sostanzialmente residuale le ipotesi in questione, con implicito favor per l’ipotesi

dell’affidamento con gara.

A queste circolari, tuttavia, sembra doveroso muovere una serie di rilievi innanzitutto

formali e procedurali.

In via sintetica, deve rilevarsi l’incompetenza e l’eccesso di potere del Ministero a

disciplinare la materia in questione e, comunque, l’incompetenza dei Ministeri a formulare

5

circolari intersoggettive nei confronti di regioni ed enti locali e dello Stato ad emanare

disposizioni di dettaglio in materia di SPL a rilevanza economica.

Pertanto, pur nella consapevolezza di doversi porre in una posizione di difficile

relazione dal punto di vista istituzionale, si deve concludere che a dette circolari non può

essere attribuita alcuna efficacia.

Allo stato, dunque, in riferimento ai tre modelli gestionali prospettati dall’art. 113,

comma 5, si possono formulare le seguenti considerazioni:

Il modello in house risulta essere ancora al vaglio del giudice comunitario per ciò che

concerne la sua compatibilità con le disposizioni comunitarie, specie in materia di libera

concorrenza, e resta, comunque, esposto alla verifica della sua pratica attuazione dal

momento che il requisito del c.d. controllo analogo è ancora tutto da definire nei suoi termini

applicativi. Qui, va detto, si evidenzia tutta l’approssimazione della formulazione normativa

dovuta al fatto di avere pedissequamente tradotto una espressione formulata in sede

giurisprudenziale (v. sentenza Teckal) che aveva evidentemente natura descrittiva di un

fenomeno giuridico, in una espressione di carattere �rescrittivi e cogente. L’ansia di volere

adeguare la normativa interna ai principi comunitari ha probabilmente indotto il legislatore ad

adottare una formulazione che, mentre in apparenza pareva avere risolto ogni questione, in

realtà si rivelava di grande problematicità.

Il modello gestionale della società mista è ancora esposto ad incertezze normative per i

termini con i quali deve essere effettuata la scelta del socio e per i tempi della scelta, avendo

la circolare ministeriale relativa a tale modello indicato che la scelta del socio privato

andrebbe effettuata anteriormente all’affidamento del servizio, con una serie di questioni

assolutamente problematiche ed incerte sul piano applicativo.

A ciò si deve aggiungere che anche la normativa applicabile per la selezione del socio

privato appare incerta.

6

Invero, al riguardo, si deve dubitare sull’applicabilità (melius, sulla vigenza) del D.P.R.

533/96, pure richiamato dalla circolare sopra detta, per le modalità di selezione del socio

privato.

Il regolamento in oggetto, invero, si configurerebbe allo stato quale regolamento di

esecuzione dell’art. 116 TUEL (come modificato dall’art.35 L. 448/01), il quale prevede la

società per azioni con partecipazione minoritaria degli enti locali per la gestione dei SPL privi

di rilevanza economica. Pertanto, non essendo applicabile l’art. 116 ai SPL con rilevanza

economica (ciclo idrico integrato, in particolare), non è ad essi applicabile neppure il relativo

regolamento di esecuzione dato dal D.P.R. 533/96.

Ciò si può però affermare in positivo è che sul tema un riferimento può essere

rappresentato dal libro verde sui partenariati pubblico–privati (Comm. Eur. 30.04.04 n. 327).

Infine, il modello di selezione con gara del gestore non ha ancora certezze circa le

modalità di svolgimento, anche alla luce della sentenza della Consulta n.272/04, la quale,

dichiarando la competenza regionale in materia di SPL, ha affidato ad esse la

determinazione dei requisiti, delle modalità e dei termini per lo svolgimento delle gare.

Per ciò che riguarda i SPL privi di rilevanza economica le questioni che devono porsi

sono tutte legate agli effetti discendenti dalla sentenza della Consulta n.272/04, con la quale,

oltre a quanto già detto, è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art.113 bis TUEL, che

disciplinava le forme gestionali di tali SPL.

Vi è preliminarmente da porre la questione su quali siano i tratti distintivi dei SPL privi di

rilevanza economica, dal momento che da tale distinzione discende anche l’applicazione di

discipline differenti, non dovendosi infatti applicare ai SPL privi di rilevanza economica le

norme sulla concorrenza, come pure affermato nel Libro Verde sui servizi di interesse

generale.

I termini qualificanti tale distinzione hanno un carattere dinamico ed evolutivo.

7

Alla luce della giurisprudenza comunitaria si tratta di bisogni di interesse generale

aventi carattere non commerciale, quelli che sono soddisfatti in modo diverso dall’offerta di

beni o servizi sul mercato e al cui soddisfacimento, per motivi connessi all’interesse

generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o ritiene di conservare un’influenza

determinante sulla loro gestione e organizzazione.

Le forme gestionali di tali servizi risultano influenzate dalla decisione della Consulta che

ha abrogato l’art. 113 bis TUEL, come detto. Pertanto, allo stato, si deve ritenere che gli enti

locali, nell’assenza di specifiche disposizioni, possano godere di una certa ampiezza di

scelta.

Si potrà perciò ricorrere alla Istituzione, alla Azienda speciale, alla Fondazione o

all’Associazione; così come al Consorzio o alla gestione in economia.

Si deve ritenere legittimo anche il ricorso alla forma societaria: benché per tali servizi

vada escluso uno scopo lucrativo, non è automatico che il ricorso alla forma societaria

imponga finalità lucrative sotto il profilo interpretativo.

Per ciò che riguarda la società mista la questione si pone in termini problematici.

Invero, nel campo dei SPL in esame le forme di affidamento sono tutte di tipo “diretto” e

ciò anche nel caso in cui si tratti di società mista.

Tuttavia, alla luce della sentenza C – 26/03 della Corte di Giustizia Europea dovrebbe

escludersi la possibilità di un affidamento diretto, laddove nel capitale della società vi sia,

comunque, un socio privato.

A ciò si aggiungano anche le incertezze applicative del D.P.R. 533/96 che dovrebbe

ritenersi abrogato in ragione degli effetti conseguenti all’abrogazione espressa dell’art. 113

bis e di quella prodottasi dell’art. 116 TUEL, del quale il D.P.R. citato costituisce il

regolamento di esecuzione.

8

Ad ogni, modo, in conclusione, la materia pone una serie consistente e rilevante di

problemi interpretativi ed applicativi, che possono suggerire l’elaborazione di distinte analisi

per ciascuna delle ipotesi di affidamento vedute.

E comunque, i prevedibili e già programmabili interventi futuri del legislatore, oltre che

quelli giurisprudenziali, consigliano di prestare grande attenzione ai prossimi sviluppi, che,

nella prospettiva della scadenza del periodo transitorio, saranno gli elementi che

effettivamente condizioneranno le scelte strategiche nel settore.

*Avvocato di Publilab Advisors

9

2. La nuova 241 ed il potere di recesso delle amministrazioni (di Andrea Baldanza**)

Il restyling della legge n.241 del 1990, scaturente dall’approvazione della legge 11

febbraio 2005, n.15, sembra scomporre l’intero quadro della c.d. fase esecutiva dei rapporti

delle amministrazioni pubbliche. La nuova versione della legge n.241 del 1990, intende

ampliare l’area di applicazione delle norme di diritto privato, secondo l’assunto (invero

indimostrato) che vuole che solo “il sistema privatistico possa assicurare maggiori garanzie

sia di efficienza e produttività, sia di moralità politico-amministrativa, sia di formazione

psicologica della nazione a quella competitività che è un aspetto inevitabile della

globalizzazione”1. Non a caso l’art.1bis della legge n.241 del 1990, sancisce che “la pubblica

amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di

diritto privato”.

L’art.21 sexies della legge n.241 del 1990, prevede che “il recesso unilaterale dai

contratti della pubblica amministrazione [sia] ammesso nei casi previsti dalla legge o dal

contratto”. La suddetta disposizione deve ritenersi applicabile sia nei riguardi delle fattispecie

contrattuali che quelle fondate su un provvedimento concessorio, legato ad un disciplinare.

Il primo effetto della norma introdotta nel corpo della legge n.241 del 1990 è la

dequotazione delle fonti, di rango non legislativo, deputate a disciplinare la tematica del

recesso. Senza nessuna pretesa di completezza, ed al solo scopo di rappresentare la

portata della questione, si possono annoverare tra le norme “affondate” dal citato art. 21

sexies della legge n.241 del 1990, l’art.122 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n.554, recante il

Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici, l’art.11 del d.M.

14 aprile 2000, n.200, recante il Regolamento concernente il capitolato generale d’oneri per i

contratti stipulati dall’Amministrazione della difesa ovvero l’art.20 del d.P.Regione Friuli-

Venezia Giulia, 5 giugno 2003, n.166, di approvazione, mediante atto di rango

regolamentare, del Capitolato generale d’appalto per i lavori pubblici presso la Regione Friuli

Venezia Giulia.

Tali disposizioni, in quanto di livello regolamentare e dirette a disciplinare il recesso

dell’amministrazione rispetto ai contratti di lavori, di forniture o di servizi, devono considerarsi

non più vigenti in quanto tali, ossia come fonti che si impongono nei confronti dei contraenti

privati a prescindere di qualsiasi manifestazione di volontà. Le norme regolamentari

sopracitate potranno trovare applicazione nei contratti conclusi dagli apparati pubblici, solo

1 S. Giacchetti, Giurisdizione amministrativa e legge n.15/2005: verso la riscoperta dell’unitarietà dell’interesse pubblico o verso una riserva indiana, in wwwgiurisprudenza.it, lo stesso autore, acutamente, registra come, in poco meno di un secolo, si sia ribaltato l’assunto che voleva, “negli anni trenta e quaranta del secolo scorso che “il diritto privato [fosse] una porcheria”.

10

previa acquisizione della volontà delle parti contraenti. Non più quindi in quanto norme di

diritto, ma in quanto espressione della volontà negoziale dei contraenti.

Né può ritenersi che l’espressione contenuta nel citato art.21 sexies debba intendersi

in senso lato. Militano contro siffatta interpretazione elementi sia letterali che sostanziali.

Sotto il primo aspetto, deve osservarsi come la stessa legge n.241 del 1990, in più passi,

distingua fra legge e regolamento (cfr. art.4, comma 1 ed art.17, comma 1). Non si vede

perché, nell’art.21 sexies, si possa essere fatto ricorso al concetto di legge in senso lato,

ricomprendendo tutte le fonti normative, a prescindere dall’inquadramento formale.

Sul piano sostanziale, inoltre, appare coerente con l’intento di massima espansione

del diritto privato, l’abbattimento di ogni deroga in favore del potere pubblico. Le fonti

regolamentari, infatti, in quanto provenienti dallo stesso soggetto chiamato a perseguire

l’interesse pubblico mediante l’attività negoziale sono sembrate, al legislatore della legge

n.15 del 2005, “fonti sospette” ed, in quanto tali, non meritevoli di intervenire nella dinamica

esecutivo-contraenti privati.

L’impatto dell’art.21 sexies sembra tuttavia ritorcersi contro gli stessi contraenti privati,

sopprimendo la procedimentalizzazione dell’azione amministrativa, senza recare concreti

vantaggi in termini di recupero dei profili volontaristici.

La possibilità che il recesso possa essere esercitato dall’amministrazione, solo in

quanto previsto da leggi o fonti convenzionali, ripropone le necessità di coordinare suddetta

facoltà con quanto previsto dall’art.1341 c.c. Tale disposizione reca, al comma 1, la

disciplina delle condizioni generali di contratto ed, al comma 2, l’elencazione delle c.d.

“clausole vessatorie”2, tra cui è annoverata la “facoltà di recedere dal contratto”. Una volta

riconosciuta l’applicazione dell’art.1341 c.c. anche nei confronti delle amministrazioni, in

ragione “della progressiva erosione delle immunità e dei privilegi storicamente riconosciuti”3,

si è posto il problema del coordinamento fra le esigenze di uniformità dell’attività contrattuale

delle singole strutture, con le esigenze di tutela dei contraenti non predisponenti.

Per uniformare la contrattualistica delle strutture amministrative sono stati via via

approvati i capitolati generali, ossia “raccolte di precetti destinati a regolare tutti i contratti di

una certa categoria, più o meno larga, a cui l’amministrazione addiviene [e che] si

presentano, almeno esteriormente, identici alle clausole (o condizioni) generali di contratto

2 La giurisprudenza ha più volte affermato che suddetta elencazione assume carattere tassativo, di guisa che è ammessa l’interpretazione estensiva, ma non quella analogica, talchè Cass., Sez. I, 19 marzo 2003, n. 4036, per fare un esempio, ha sancito che “la fissazione di un termine per i pagamenti, inserita in un capitolato speciale, relativo ad appalto di opere pubbliche, non rientra, nè per contenuto, nè per oggetto, tra le ipotesi normativamente previste come vessatorie”. 3 Cass., 29 settembre 1984, n.4832 in Foro it., 1984, I, 2442 ed in Giust. Civ., 1984, I,3254, confermata da Cass., 22 gennaio 1986, n.398 in Giur.it., 1987, I, 1105 e da Cass., 6 novembre 1987, n.2724, in Rep. Foro it., 1987 voce “Contratto in genere” n.267.

11

che qualunque imprenditore privato può predisporre per regolare in modo preventivo ed

uniforme i contratti da concludere”4. I capitolati generali in quanto “volti alla disciplina

generale e astratta di un numero indeterminato di situazioni”5 sono stati approvati, non

senza perplessità6, mediante lo strumento del regolamento.

L’approvazione dei capitolati generali medianti fonte regolamentare ha risolto le

incertezze in merito all’esigenza di conseguire il consenso dei contraenti non predisponenti,

rispetto alle clausole, contenute nei capitolati ma riconducibili nell’elencazione delle clausole

vessatorie di cui all’art.1341, comma 2, c.c.. Riguardo a tali clausole, infatti, l’efficacia inter

partes doveva collegarsi non alla volontà negoziale, ma alla naturale forza cogente delle

disposizioni regolamentari. Se le prescrizioni inerenti il recesso (ovvero inerenti le clausole

penali o la clausola compromissoria) vivevano nel rapporto contrattuale in quanto imposte

dalla fonte regolamentare, non si poneva il problema della “doppia sottoscrizione”, quale

formalità indefettibile, diretta a comprovare la conoscenza e l’accettazione del contraente

non predisponente.

Siffatta soluzione non esauriva comunque la problematica del rapporto fra clausole

vessatorie e contrattualistica pubblica, nella misura in cui singole amministrazioni, non

tenute all’applicazione di alcun capitolato, intendessero avvalersi di un capitolato adottato da

altra amministrazione. Si pensi al caso di un’azienda speciale, priva di un proprio capitolato

generale in tema di appalti di forniture o servizi, che intendesse avvalersi delle prescrizioni

contenute nel capitolato generale approvato, mediante atto regolamentare,

dall’amministrazione comunale di riferimento. Le prescrizioni contenute nel capitolato

generale approvato dall’amministrazione comunale potevano estendersi alla contrattualistica

dell’azienda speciale, solo in virtù di un espresso consenso del contraente non

predisponente, conformemente a quanto previsto dall’art.1341, comma 2, c.c.

La nuova versione dell’art.21 sexies della legge n.241 del 1990, perseguendo

l’obiettivo di ridurre le aree di privilegio degli apparati pubblici, impedisce l’aggiramento delle

prescrizioni formali di cui all’art.1341, comma 2. La valorizzazione dei profili volontaristici

induce inoltre a superare l’interpretazione giurisprudenziale, talvolta affacciatasi, secondo cui

il semplice richiamo “alle previsioni di una disciplina fissata in un documento distinto da

quello contrattuale conferisce il valore di clausole concordate, le quali, pertanto, si

4 M.S.Giannini, Diritto amministrativo, II, 791, Milano, 1990. 5 C.Volpe, Bandi di gara ed inviti alla gara, voce dell’opera Villata (a cura di) L’appalto di opere pubbliche, Padova, 2004. 6 M.S. Giannini, Diritto amministrativo, cit.,795, sul punto precisa che “il Consiglio di Stato [ha manifestato di condividere] la tesi negoziale, mentre la Corte dei conti una volta si è dichiarata per la tesi regolamentare, mentre la Cassazione [con riferimento alla data di pubblicazione dello scritto, ossia il 1990] ha mutato sei volte opinione”.

12

sottraggono all'esigenza della specifica approvazione per iscritto di cui all’art. 1341 c.c.”7.

Laddove il richiamo al capitolato generale, a sua volte contenente clausole vessatorie, integri

una presupposto per la partecipazione alla trattativa con l’amministrazione, l’unica

alternativa che si porrebbe è “prendere o lasciare”8. Un bando di gara che prevedesse la

clausola di recesso, dovrebbe oramai considerarsi inefficace, in parte qua, qualora non

“doppiato” dal rispetto delle prescrizioni formali di cui all’art.1341, comma 2 c.c., ovvero

illegittimo, nella misura in cui intendesse imporre tout court suddetta facoltà.

Emerge allora un’aporia sistematica. Tutte le clausole vessatorie di cui all’art.1341,

comma 2 c.c., in quanto riportate in fonti regolamentari, si continuerebbero ad applicare

rispetto ai contratti conclusi dalle amministrazioni destinatarie dei medesimi regolamenti. La

clausola di recesso, farebbe invece eccezione, in virtù dell’art.21 sexies della legge n.241

del 1990, richiedendo la doppia sottoscrizione.

Il citato art.21 sexies, ammettendo che il recesso possa non far parte dell’assetto

negoziale, si conforma alla linea interpretativa che nega l’esistenza di “diritto privato di

interesse pubblico”9, riproponendo l’alternativa secca: attività provvedimentale/attività

negoziale. L’amministrazione, una volta intrapresa la strada negoziale perderebbe

integralmente le prerogative pubblicistiche, dovendo adeguare la propria condotta ai

parametri del corretto contraente. In virtù di questo assunto, tutti gli accadimenti connessi

alla fase dell’esecuzione contrattuale, in quanto accidenti verificatisi in una fase in cui

vivrebbero solo diritti ed obblighi, risulterebbero assoggettati al sindacato del giudice civile,

quale autorità giurisdizionale competente su “ogni controversia attinente allo svolgimento del

rapporto successivamente alla stipula del contratto di appalto”10. L’amministrazione, allora,

non sarebbe tenuta alla procedimentalizzazione della propria attività, dovendo agire come

un normale contraente. Non risulterebbe applicabile nessuno dei principi contenuti nella

stessa legge n.241 del 1990, non dovendo l’amministrazione né aprirsi al contraddittorio con

il privato contraente, né motivare alcunché.

L’applicazione asettica delle regole del diritto privato, imporrebbe, paradossalmente,

un’evaporazione della tutela azionabile da parte dello stesso contraente privato. Una volta

che la clausola di recesso fosse penetrata nel tessuto contrattuale (seppur nel rispetto delle

prescrizioni formali di cui all’art.1341, comma 2, c.c.), l’amministrazione non sarebbe tenuta

7 Cas., Sez.I, 21 aprile 1999, n.3929, nonchè Cass, sez.I, 9 ottobre 1996, n.8824 sulla scia di Cass., sez. I, 25 ottobre 1969, n.3507, in Foro it., 1970, I,95. 8 L.Viola, Condizioni generali di contratto e pubblica amministrazione, Padova 2000. 9 S.Giacchetti, Giurisprudenza amministrativa e legge n.15/2005…, cit. 10 TAR Toscana, Sez.II, 15 febbraio 2000, n. 186 in wwwgiurisprudenza.it, in linea con un’interpretazione praticamente unanime, se si fa eccezione per TAR Calabria, Reggio Calabria, 27 gennaio 2000, n.71, in www.giurisprudenza.it.

13

ad agire secondo le ordinarie regole procedimentali, atteso che l’attività di diritto privato

risulta assoggettata ad una più libera disciplina.

Il paradosso appare ancor più evidente se si considera l’impegno profuso dal

legislatore, comunitario e nazionale, dagli organi di controllo nonchè dal giudice

amministrativo al fine di garantire che, nella c.d. fase dell’evidenza pubblica, la scelta del

contraente risponda ai canoni dell’imparzialità e del buon andamento. Canoni di cui non si

potrebbe trovare alcuna traccia in un atto (il recesso) con effetti estintivi del rapporto. Tale

atto, in quanto assoggettato alle regole del diritto privato, potrebbe, essere sindacato solo

alla luce della correttezza contrattuale, secondo il tradizionale orientamento, secondo cui “il

giudice ordinario, non deve accertare se l’ente pubblico si sia comportato da corretto

amministratore nella sfera interna delle proprie determinazioni, ma deve valutare le modalità

delle conseguenti manifestazioni attuate all’esterno, in quanto incidenti sull’affidamento e

sulle connesse determinazioni dei privati, al fine di rilevare, cioè, se la pubblica

amministrazione si sia comportata da corretto contraente”11. L’espansione dell’area di

applicazione del diritto privato non integra una maggiore garanzia dei contraenti privati, ma

semmai, una riduzione degli strumenti di tutela, nella misura in cui il sindacato del giudice

ordinario non può che limitarsi ad esaminare la correttezza formale degli atti senza tener

conto né dell’interesse pubblico né della parità di trattamento. **Magistrato della Corte dei Conti

11 Cass, Sez.I, 23 maggio 1980, n.3410.

14

3. Circolare Ministero Ambiente 06.12.2004

MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO

CIRCOLARE 6 dicembre 2004 Affidamento in house del servizio idrico integrato.

Alle regioni, province e comuni Alle autorita' d'ambito Ai gestori del servizio idrico integrato

La societa' di gestione a capitale interamente pubblico, introdotta con l'art. 14 del

decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge 24 novembre 2003, n.

326, e contemplata alla lettera c) del comma 5 del novato art. 113 del testo unico

sull'ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo del 18 agosto 2000, n.

267, rappresenta una forma gestionale innovativa le cui modalita' di costituzione,

operativita' e funzionalita', in adeguamento alla cornice normativa esistente in materia

societaria, sono disciplinate dalla presente circolare, nella quale sono definite le condizioni

essenziali e non eludibili per ricorrere all'affidamento con le suddette modalita' e per

rispettare i principi di diritto comunitario.

La principale peculiarita' che caratterizza la suddetta societa' e che la distingue rispetto

alle altre societa' di diritto privato regolate dal codice civile, risiede nella legittimazione a

diventare soggetto affidatario del servizio idrico integrato senza propedeutica gara europea

ad evidenza pubblica idonea all'individuazione del concessionario ai sensi dell'art. 20

della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela

del territorio del 22 novembre 2001.

La societa' di cui all'oggetto, rappresentando un contenitore atipico sotto diversi

aspetti che nel prosieguo si evidenzieranno, determina il concretizzarsi di un rapporto, tra

l'amministrazione concedente e la societa' stessa, non riconducibile ad un rapporto

contrattuale tra due soggetti autonomi e distinti, bensi' ad una ipotesi di delegazione

interoganica. Infatti, come esplicitato nella norma sopra richiamata, «l'ente o gli enti

pubblici titolari del capitale sociale esercitano sulla societa' un controllo analogo a quello

esercitato sui propri servizi». In tal caso, dunque, non si configura un contratto tra

l'amministrazione che conferisce la titolarita' del servizio ed un soggetto sostanzialmente

distinto da essa e autonomo sul piano decisionale; si realizza, invece, un

rapporto riconducibile nella forma e nella sostanza a quello che l'amministrazione ha

nei confronti dei propri servizi, seppur nella peculiarita' del modello societario in cui tali

servizi sono organizzati.

15

Tale modalita' gestionale (peraltro menzionata anche dalla circolare della

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle politiche comunitarie del 19

ottobre 2001, n. 12727), notoriamente definita in house, a seguito della sentenza Teckal

del 18 novembre 1999, nella quale la Corte di giustizia configuro' questa ipotesi di

delegazione interorganica, sancendone l'esclusione dall'applicabilita' della normativa

europea in materia di appalti pubblici, ovverosia della necessaria messa in

concorrenza,

rappresenta un'ulteriore opportunita', per la gestione dei servizi pubblici locali, che si

aggiunge ai modelli tradizionali. Ad essa tuttavia si dovra' ricorrere soltanto in casi

eccezionali e residuali, venendosi contrariamente ad eludere i principi derivanti dai trattati,

in particolare le norme sulla libera circolazione dei beni e dei servizi, nonche' i principi

fondamentali di non discriminazione, parita' di trattamento, trasparenza e mutuo

riconoscimento, che disciplinano il mercato dei servizi. Si ricordi a tale riguardo che la

stessa Commissione europea ritiene che l'inosservanza dei menzionati principi del

trattato costituisca un impedimento al corretto funzionamento del mercato interno ed alla

liberalizzazione degli appalti e dei servizi in cui sono in gioco importanti interessi

economici.

I medesimi concetti sono ribaditi ed esplicitati nella comunicazione interpretativa

della Commissione europea sulle concessioni nel diritto comunitario, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Comunita' europea del 29 aprile 2000, laddove si afferma che,

mentre le concessioni di lavori sono disciplinate specificatamente dalla direttiva

comunitaria n. 93/37, art. 1, lettera d), le altre forme di concessioni, nella misura in cui

risultino essere atti dello Stato (da intendersi come atti adottati dalle autorita' pubbliche

che fanno parte dell'organizzazione dello Stato, nonche' quelli adottati da qualsiasi altro

organismo che, se pur dotato di personalita' giuridica autonoma, sia collegato allo Stato

da vincoli cosi' stretti da poter essere considerato come facente parte

dell'organizzazione di questo ...), sebbene non siano coperti dalle direttive sugli appalti

pubblici, sono ugualmente soggette alle disposizioni generali del trattato ed ai principi che

la corte ha elaborato in materia di appalti (principio di parita' di trattamento, trasparenza,

proporzionalita', e mutuo riconoscimento.

Quanto sopra conferma il carattere strettamente residuale del modello societario in

house, il quale deve configurarsi come un'opportunita' residuale per gli enti locali:

malgrado la configurazione societaria che tale modello possiede, infatti, esso non

rappresenta una reale esternalizzazione della gestione rispetto alla originaria competenza

16

degli enti locali, bensi' costituisce un modello organizzativo per migliorare l'efficienza e

l'economicita' dell'attivita' di gestione che gli stessi enti locali sono chiamati a svolgere.

L'affidamento diretto del servizio a tale societa' e la contestuale esclusione dell'obbligo di

gara, trova la propria giustificazione nel fatto che il conferimento del servizio, a causa di

una motivata e comprovata ragione di interesse pubblico che obiettivamente escluda la

possibilita' di ricorrere alla gara, non avviene nei confronti di un soggetto giuridico

sostanzialmente autonomo, bensi' nei confrontidi un soggetto gerarchicamente

subordinato, assoggettato obbligatoriamente ad un controllo funzionale, gestionale e

finanziario stringente.

La durata della societa' in house, precisata nell'atto di affidamento, dovra' essere

motivata e obbligatoriamente limitata al tempo necessario per il superamento degli

impedimenti all'effettiva messa in concorrenza del servizio, da attuarsi mediante la

concessione a terzi, ovvero all'affidamento diretto a societa' a capitale misto pubblico-

privato previa individuazione del socio privato mediante procedimento di gara europea.

In virtu' di cio', e' obbligatorio che l'atto costitutivo e lo statuto prevedano che la

societa' sia dotata di un'autonomia finanziaria e decisionale limitata e preventivamente

circoscritta. In particolare, le deliberazioni concernenti l'amministrazione straordinaria

e quelle di determinante rilievo per l'attivita' sociale, quali il bilancio, la relazione

programmatica, l'organigramma, il piano degli investimenti, il piano di sviluppo ed

equivalenti, dovranno essere approvati dagli enti locali partecipanti

alla societa'. Gli amministratori ed il direttore della S.p.a. saranno nominati

direttamente dagli enti locali proprietari, conformemente, del resto, alle previsioni in

materia dettate dagli articoli del codice civile.

Alla societa' in house dovranno partecipare esclusivamente enti locali, trattandosi di

una societa' di scopo con peculiari caratteristiche. Essa non potra' essere partecipata

da societa' a partecipazione pubblica, neppure totale, cosi' come da consorzi

intercomunali o, qualora ancora esistenti, da aziende speciali. Non risulta, infatti, che la

partecipazione indiretta degli enti locali sia ammissibile in base ai principi comunitari,

ne' che sia funzionale allo scopo della gestione in house. Come affermato nel dettato

normativo, dovendo la societa' realizzare la parte piu' importante della propria attivita' con

l'ente o gli enti pubblici che la controllano, la societa' dovra' essere partecipata da tutti gli

enti locali facenti parte dell'ambito territoriale ottimale.

La societa' a totale capitale pubblico che riceve l'affidamento del servizio in house e'

una societa' di scopo strettamente interdipendente dall'ambito territoriale nel quale

svolge il proprio servizio. La societa' non potra' quindi operare al di fuori del proprio

17

ambito territoriale ottimale, perche' finalizzata unicamente alla gestione del servizio idrico

integrato in quel determinato territorio. Cio' dovra' essere espressamente previsto dallo

statuto.

Nelle ipotesi in cui sia stata scelta la modalita' di affidamento prevista dal comma 5

dell'art. 35 della legge n. 448 del 2001, essa - in luogo della cessazione entro e non oltre la

data del 31 dicembre 2006, senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente d'ambito,

stabilita nel comma 15-bis del novato art. 113 del testo unico n. 267/2000 - puo'

considerarsi assimilata all'ipotesi di gestione in house solo nel caso in cui tale societa'

presenti rigorosamente i requisiti e le caratteristiche formali e sostanziali sopra elencati.

Roma, 6 dicembre 2004

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio Matteoli

4. Sentenza Corte Costituzionale n.272/04

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Gustavo ZAGREBELSKY Presidente - Valerio ONIDA Giudice - Guido NEPPI MODONA - Piero Alberto CAPOTOSTI - Annibale MARINI - Franco BILE - Giovanni Maria FLICK - Francesco AMIRANTE - Ugo DE SIERVO - Romano VACCARELLA - Paolo MADDALENA - Alfonso QUARANTA ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 30

settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione

dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre

18

2003, n. 326, promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 21 gennaio 2004,

depositato in cancelleria il 29 successivo ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2004.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 2004 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l'avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana e l'avvocato dello Stato Franco

Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 1. - La Regione Toscana, con ricorso notificato il 21 gennaio 2004 e depositato il successivo

29 gennaio, ha impugnato diverse norme del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269

(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti

pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e, per quanto

qui interessa, ha denunciato l'art. 14, commi 1 e 2, in riferimento agli artt. 117 e 118 della

Costituzione.

2. - Il censurato art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 269 del 2003, come modificato dalla legge di

conversione n. 326 del 2003, ha modificato sia l'art. 113 del decreto legislativo 18 agosto

2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) – già modificato

dall'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio

annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002) in tema di servizi pubblici locali di

rilevanza economica – sia l'art. 113-bis del medesimo d. lgs. n. 267 del 2000, introdotto dal

citato art. 35 della legge n. 448 del 2001, sui servizi pubblici locali privi di rilevanza

economica.

In particolare, la normativa impugnata ha sostituito la distinzione fra servizi pubblici locali “di

rilevanza industriale” e servizi pubblici locali “privi di rilevanza industriale” con quella fra

servizi pubblici locali “di rilevanza economica” e servizi pubblici locali “privi di rilevanza

economica” ed ha specificato che le disposizioni che disciplinano puntualmente le modalità

di gestione dei servizi pubblici locali – anch'esse oggetto di modifica – attengono alla tutela

della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle specifiche normative di settore.

Quanto alla disciplina delle modalità di gestione dei predetti servizi, la normativa impugnata

ha stabilito che: la gestione dei servizi di rilevanza economica può essere affidata a società

di capitali individuate con gara ad evidenza pubblica o a società miste, i cui soci privati siano

scelti con gara ad evidenza pubblica, o a società a capitale interamente pubblico a

condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un

controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più

19

importante della propria attività con l'ente o con gli enti pubblici che la controllano; la

gestione dei servizi privi di rilevanza economica avviene mediante affidamento diretto ad

istituzioni ed aziende speciali o anche a società a capitale interamente pubblico, con

esclusione dei privati e delle società miste. Infine, si è provveduto a disciplinare la scadenza

del periodo di affidamento in esito alla successiva gara di affidamento al nuovo gestore

nonché il periodo di transizione per il passaggio dalle esistenti gestioni a quelle da affidarsi

con le nuove regole.

2.1. - Secondo la Regione Toscana, le disposizioni impugnate violerebbero in primo luogo

l'art. 117 della Costituzione, in quanto porrebbero una disciplina dettagliata ed

autoapplicativa dei servizi pubblici locali, materia che l'art. 117 non contempla fra quelle

riservate alla legislazione esclusiva dello Stato e che quindi spetta alle regioni disciplinare

nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli

obblighi internazionali.

Tale materia non sarebbe, infatti, riconducibile alla “determinazione dei livelli essenziali delle

prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, secondo comma, lettera m), della

Costituzione), la quale riguarderebbe solo i servizi sociali e non quelli di rilevanza economica

e comunque – essendo limitata alla determinazione degli standard minimi delle prestazioni –

non precluderebbe al legislatore regionale la possibilità di disciplinare gli aspetti concernenti

l'organizzazione del servizio e le modalità di gestione del medesimo; né essa potrebbe

ricollegarsi alle “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117,

secondo comma, lettera p), della Costituzione), non costituendo la gestione dei servizi

pubblici locali una funzione fondamentale dell'ente locale, ma “un'attività di regola esercitata

in regime di concorrenza e quindi sottratta ad una gestione effettuata con gli strumenti del

potere pubblico”. Le disposizioni impugnate non si potrebbero, inoltre, giustificare – ad

avviso della ricorrente – neppure in relazione alla competenza legislativa statale esclusiva in

materia di “tutela della concorrenza” (art. 117, secondo comma, lettera e), della

Costituzione), in quanto la disciplina dei servizi pubblici locali riguarderebbe non già la “tutela

della concorrenza”, ma la diversa materia della “promozione della concorrenza”, costituita da

un insieme di regole e procedure di tipo pubblicistico volte a creare in modo artificiale le

condizioni per la concorrenza, di competenza regionale.

La ricorrente deduce, infine, che le disposizioni censurate violerebbero anche l'art. 118 della

Costituzione, non essendo indicati i “presupposti per l'intervento legislativo statale in

sussidiarietà” e non essendo comunque prevista “l'intesa con la regione che sarebbe invece

imprescindibile a fronte dell'interferenza della disciplina in ambiti materiali di competenza

regionale”.

20

2.2. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica la Regione Toscana ha depositato memoria,

insistendo per l'accoglimento del ricorso.

3. - Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso

dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile

e, comunque, infondato.

In via preliminare, la difesa erariale ritiene che il ricorso sia inammissibile, giacché, con

riferimento alle disposizioni legislative già presenti nel decreto-legge n. 269 del 2003 e quindi

già in vigore dal 2 ottobre 2003, “a sé stanti e non modificate dalla legge di conversione”,

esso sarebbe tardivo e comunque conterrebbe censure prive di motivazione.

Nel merito, la difesa erariale sostiene l'infondatezza del ricorso, deducendo che

sussisterebbe una competenza legislativa esclusiva dello Stato, non solo in relazione alla

materia “tutela della concorrenza” (secondo comma, lettera e), dell'art. 117 della

Costituzione), ma anche in relazione alla materia “funzioni fondamentali degli enti locali”

(secondo comma, lettera p), dell'art. 117 della Costituzione), in quanto le funzioni di

gestione, organizzazione ed erogazione dei servizi pubblici locali sarebbero “essenziali”

rispetto ai bisogni delle comunità servite nonché in riferimento alla cospicua incidenza

sull'equilibrio finanziario degli enti locali dei costi per gli investimenti e per l'esercizio dei

servizi stessi. Si ravviserebbe, altresì, una competenza legislativa statale esclusiva in tema

di servizi pubblici locali anche in relazione alla materia “determinazione dei livelli essenziali

delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (secondo comma, lettera m), dell'art. 117

della Costituzione), dal momento che, attraverso la prestazione dei servizi pubblici locali, si

concretizzerebbero “molteplici ed importanti diritti sociali” che devono essere garantiti su

tutto il territorio nazionale.

3.1. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, la difesa erariale ha depositato memoria nella

quale insiste perché la Corte dichiari inammissibile e/o infondato il ricorso.

In particolare, l'Avvocatura generale dello Stato precisa che le modifiche apportate alla

disciplina dei servizi pubblici locali dalle disposizioni impugnate costituirebbero l'esito di “un

pluriennale dialogo con l'Unione europea” e sarebbero perciò volte “ad assicurare la

realizzazione di un valore e di un risultato – quello di una (per quanto tecnicamente

possibile) effettiva e non ostacolata concorrenza fra operatori economici” – esplicitamente

indicato dai Trattati come fondamentale. Pertanto, le disposizioni impugnate sarebbero

sorrette da più parametri costituzionali contenuti nell'art. 117, secondo comma, della

Costituzione, in particolare alla lettera e) ed alla lettera a).

4. - All'udienza pubblica le parti hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni

rassegnate negli scritti difensivi.

21

Considerato in diritto

1. - La questione di legittimità costituzionale, sollevata con il ricorso in epigrafe dalla Regione

Toscana, ha ad oggetto l'art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269

(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti

pubblici), convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, in riferimento

agli artt. 117 e 118 della Costituzione. Secondo la ricorrente, le disposizioni impugnate, che

hanno introdotto una disciplina dettagliata ed autoapplicativa dei servizi pubblici locali sia “di

rilevanza economica”, sia “privi di rilevanza economica”, non sarebbero riconducibili a

nessuna delle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato previste dall'art. 117,

secondo comma, della Costituzione, né, in particolare, a quella relativa alla “determinazione

dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, o a quella relativa alle

“funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”. Neppure invocabile,

secondo la ricorrente, sarebbe la competenza statale in materia di “tutela della concorrenza”,

prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera e), giacché al massimo si potrebbe fare

riferimento alla “promozione della concorrenza” in tutti quei casi in cui il mercato non appaia

concorrenziale.

La disciplina in oggetto, dettagliata ed autoapplicativa, esulerebbe quindi dalla sfera di

competenza legislativa dello Stato e rientrerebbe nell'ambito della competenza esclusiva

della Regione ricorrente, dal momento che non sono neppure indicati i “presupposti” di un

eventuale intervento “in sussidiarietà” dello Stato, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, e

non è comunque previsto un accordo sul punto tra Stato e Regione.

2. - In via preliminare vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità sollevate dall'Avvocatura

generale dello Stato in ordine all'asserita tardività delle censure proposte dalla ricorrente nei

confronti di disposizioni della legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, che hanno

confermato quelle originariamente contenute nel d.l. 30 settembre 2003, n. 269. Ed infatti,

indipendentemente dalla circostanza che nella specie la legge di conversione ha introdotto

rilevanti modifiche, in considerazione del carattere intrinsecamente precario del decreto –

legge, il ricorso può essere proposto nei confronti della relativa legge di conversione che

rende permanente e definitiva la asserita lesione da cui scaturisce l'interesse a ricorrere

della Regione (sentenza n. 25 del 1996).

3. - La questione è parzialmente fondata, nei termini di seguito esposti.

Le disposizioni impugnate, che recano una nuova disciplina della gestione dei servizi

pubblici locali, si inseriscono in un quadro normativo molto articolato, che sostanzialmente

prende le mosse dall'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante la legge

22

finanziaria per il 2002, il quale introduce profonde modifiche alla impostazione normativa

risalente agli anni novanta e consacrata nell'art. 113 e seguenti del decreto legislativo 18

agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali). Ma subito

dopo la riforma del 2001, si è proceduto ad ulteriori innovazioni su aspetti rilevanti della

disciplina in esame, dapprima con il censurato art. 14 del d.l. n. 269 del 2003, convertito con

modificazioni nella legge n. 326 del 2003, e successivamente ancora con l'art. 4, comma

234, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio

annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004). Tali innovazioni sono state in

larga parte indotte dai rilievi espressi dalla Commissione europea sulla precedente

normativa e dall'esigenza di trovare un esplicito fondamento nel novellato art. 117 della

Costituzione. Sotto questi profili sono significativi, nella disciplina in esame, sia il testuale

riferimento alla tutela della concorrenza, sia la nuova qualificazione di “rilevanza economica”

attribuita a determinati servizi pubblici locali – in analogia con la denominazione che viene

attualmente adottata in sede comunitaria – in luogo della precedente qualificazione di

“rilevanza industriale”.

La disciplina in esame non appare riferibile – come osserva la ricorrente – né alla

competenza legislativa statale in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle

prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, secondo comma, lettera m), della

Costituzione), giacché riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque

non attiene alla determinazione di livelli essenziali, né a quella in tema di “funzioni

fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117, secondo comma, lettera

p), giacché la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una

funzione propria ed indefettibile dell'ente locale. Viceversa, in relazione ai riferimenti testuali

e soprattutto ai caratteri funzionali e strutturali della regolazione prevista, la medesima

disciplina può essere agevolmente ricondotta nell'ambito della materia “tutela della

concorrenza”, riservata dall'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, alla

competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Non appare però condivisibile la prospettazione della Regione ricorrente, secondo cui il

regime in oggetto, incidendo su situazioni di non concorrenzialità del mercato per la

presenza di diffuse condizioni di monopolio naturale e riguardando interventi propriamente di

“promozione” e non già di “tutela” della concorrenza, sarebbe estraneo, in quanto tale,

all'ambito della potestà legislativa esclusiva dello Stato e pertinente invece alla competenza

regionale in tema di servizi pubblici locali. Secondo l'interpretazione di questa Corte, la tutela

della concorrenza “non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di

interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione

23

dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre

squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti

concorrenziali” (sentenza n. 14 del 2004). In altri termini, la tutela della concorrenza riguarda

nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude perciò anche

interventi promozionali dello Stato. Alla stregua dei principi espressi da questo indirizzo

giurisprudenziale, dunque, non può essere accolta la tesi della ricorrente su una pretesa

distinzione di competenze legislative tra Stato e Regioni in ordine rispettivamente a misure di

“tutela” o a misure di “promozione” della concorrenza, dal momento che la indicata

configurazione della tutela della concorrenza ha una portata così ampia da legittimare

interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l'assetto concorrenziale del

mercato.

Sotto questo profilo è quindi significativa la dichiarazione, contenuta nel censurato art. 14 di

modifica del comma 1 dell'art. 113 del t.u. citato, secondo cui le predette disposizioni sulle

modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica

“concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di

settore”. L'art. 14 si può dunque sostanzialmente considerare una norma-principio della

materia, alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché

il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione

dell'intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all'art. 117,

secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro

di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale. L'accoglimento di questa

interpretazione comporta, da un lato, che l'indicato titolo di legittimazione statale è riferibile

solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e

l'affidamento dei servizi pubblici locali di “rilevanza economica” e dall'altro lato che solo le

predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali.

Alla luce di queste considerazioni, nella questione di costituzionalità in esame, non appaiono

censurabili tutte quelle norme impugnate che garantiscono, in forme adeguate e

proporzionate, la più ampia libertà di concorrenza nell'ambito di rapporti – come quelli relativi

al regime delle gare o delle modalità di gestione e conferimento dei servizi – i quali per la

loro diretta incidenza sul mercato appaiono più meritevoli di essere preservati da pratiche

anticoncorrenziali. Alle stesse finalità garantistiche della concorrenza appare ispirata anche

la disciplina transitoria, che, in modo non irragionevole, stabilisce i casi di cessazione delle

concessioni già assentite in relazione all'effettuazione di procedure ad evidenza pubblica e

al tipo di società affidataria del servizio.

24

Non spetta peraltro a questa Corte valutare in concreto la rilevanza degli effetti economici

derivanti dalle singole previsioni di interventi statali in materia: stabilire cioè se una

determinata regolazione abbia effetti così importanti sull'economia di mercato, da postulare

misure di tutela della concorrenza, tali da trascendere l'ambito regionale; quello che invece

non può sottrarsi al sindacato di costituzionalità è il fatto che i vari “strumenti di intervento

siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi”

(sentenza n. 14 del 2004). Il criterio della proporzionalità e dell'adeguatezza appare quindi

essenziale per definire l'ambito di operatività della competenza legislativa statale attinente

alla “tutela della concorrenza” e conseguentemente la legittimità dei relativi interventi statali.

Trattandosi infatti di una cosiddetta materia-funzione, riservata alla competenza esclusiva

dello Stato, la quale non ha un'estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma, per

così dire, “trasversale” (cfr. sentenza n. 407 del 2002), poiché si intreccia inestricabilmente

con una pluralità di altri interessi – alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza

concorrente o residuale delle Regioni – connessi allo sviluppo economico-produttivo del

Paese, è evidente la necessità di basarsi sul criterio di proporzionalità-adeguatezza al fine di

valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati

interventi legislativi dello Stato.

Proprio sotto questo profilo appare fondata la censura della ricorrente relativa all'art. 14,

comma 1, lettera e), che, in riferimento all'art. 113, comma 7, del citato testo unico, là dove

stabilisce, dettagliatamente e con tecnica autoapplicativa, i vari criteri in base ai quali la gara

viene aggiudicata, introduce la prescrizione che le previsioni dello stesso comma 7 “devono

considerarsi integrative delle discipline di settore”. L'estremo dettaglio nell'indicazione di

questi criteri, che peraltro non prendono in considerazione ulteriori requisiti dell'aspirante,

quali, ad esempio, precedenti esperienze di gestione nel settore, va al di là della pur

doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara, che peraltro appaiono

sufficientemente garantiti dalla puntuale indicazione, nella prima parte del comma, di una

serie di standard – coerenti con quelli contenuti nella direttiva 2004/18/CE – nel cui rispetto

la gara appunto deve essere indetta ed aggiudicata. È evidente quindi che la norma in

esame, prescrivendo che deve considerarsi integrativa delle discipline settoriali di fonte

regionale la disposizione estremamente dettagliata ed autoapplicativa di cui al citato art.

113, comma 7, pone in essere una illegittima compressione dell'autonomia regionale, poiché

risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza

l'intervento legislativo statale.

Va pertanto dichiarata, per le ragioni esposte, l'illegittimità costituzionale della norma

censurata e, in via conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,

25

anche dell'art. 113, comma 7, limitatamente al secondo ed al terzo periodo del testo

risultante dalle modifiche apportate dall'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448

(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge

finanziaria 2002).

4. - La tutela della concorrenza e l'inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali

sono però esplicitamente evocate in riferimento ai soli servizi pubblici locali attualmente

classificati come “di rilevanza economica”, di cui all'art. 113, e non già in riferimento ai servizi

“privi di rilevanza economica” previsti dall'art. 113-bis. La nuova denominazione di questi

servizi, adottata in conformità a tendenze emerse in sede di Commissione europea a

decorrere dal settembre 2000, già di per sé può indicare che il titolo di legittimazione per gli

interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a

questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato

concorrenziale.

A questo proposito la Commissione europea, nel “Libro Verde sui servizi di interesse

generale” (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla

concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato che la

distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo,

cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse

generale di natura “non economica”. Secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta

infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato,

tenendo conto, in particolare, dell'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della

mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento

pubblico dell'attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa

18/2001). Per i servizi locali, quindi, che, in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed

alle modalità della prestazione, ai destinatari, appaiono privi di “rilevanza economica”, ci sarà

dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale.

Alla luce di queste considerazioni, l'intervento del censurato art. 14, comma 2, sulla

disciplina della gestione dei servizi pubblici locali “privi di rilevanza economica”, di cui all'art.

113-bis del citato testo unico, non può essere certo riferito ad esigenze di tutela della libertà

di concorrenza e quindi, sotto questo profilo, si configura come illegittima compressione

dell'autonomia regionale e locale.

Per tutte queste ragioni va dichiarata l'illegittimità costituzionale del censurato art. 14,

comma 2 e, in via conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,

anche dell'art. 113-bis, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 35 della legge n.

448 del 2001.

26

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, lettera e), e comma 2, del

decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per

la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24

novembre 2003, n. 326;

2) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale

dell'art. 113, comma 7, limitatamente al secondo ed al terzo periodo, del decreto legislativo

18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), nel testo

sostituito dall'art. 35, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la

formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002);

3) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale

dell'art. 113-bis dello stesso decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nel testo introdotto

dal comma 15 dell'art. 35 della citata legge n. 448 del 2001;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1 – ad

eccezione della lettera e) già dichiarata costituzionalmente illegittima – del medesimo

decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella citata legge 24

novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla

Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13

luglio 2004.

F.to: Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2004. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA

27

5. Sentenza Corte Giustizia C – 26/03

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 11 gennaio 2005

«Direttiva 92/50/CEE – Appalti pubblici di servizi – Affidamento senza pubblica gara d'appalto – Affidamento dell'appalto ad una società mista pubblico-privata – Tutela

giurisdizionale – Direttiva 89/665/CEE»

Nel procedimento C-26/03,avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dall'Oberlandesgericht Naumburg (Germania) con ordinanza in data 8 gennaio 2003, pervenuta in cancelleria il 23 gennaio 2003, nella causa tra:

Stadt Halle,

RPL Recyclingpark Lochau GmbH,

Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, e dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues, E. Juhász (relatore), M. Ilešič e E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl, cancelliere: sig. R. Grass,

vista la fase scritta del procedimento,

preso atto delle osservazioni presentate:

– per la Stadt Halle, dalla sig.ra U. Jasper, Rechtsanwältin; – per la Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna, dal sig. K. Heuvels, Rechtsanwalt; – per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e D. Petrausch, in qualità di agenti; – per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente; – per il governo finlandese, dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità di agente; – per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. K. Wiedner, in qualità di agente,

sentite le conclusioni presentate dall'avvocato generale all'udienza del 23 settembre 2004,

ha pronunciato la seguente

28

Sentenza

1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione

dell’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che

coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative

all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti

pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva del

Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione

degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), a sua volta modificata dalla

direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE (GU L

328, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 89/665»). La domanda di pronuncia

pregiudiziale riguarda altresì l’interpretazione degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della

direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di

appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di

trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L

199, pag. 84), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio

16 febbraio 1998, 98/4/CE (GU L 101, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 93/38»).

2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la

Stadt Halle (Città di Halle) (Germania) e la società RPL Recyclingpark Lochau GmbH

(in prosieguo: la «RPL Lochau») alla società Arbeitsgemeinschaft Thermische

Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna (in prosieguo: la «TREA

Leuna»), in merito alla regolarità, rispetto alle norme comunitarie, dell’affidamento

senza pubblica gara di un appalto di servizi relativo al trattamento dei rifiuti, effettuato

dalla Stadt Halle a favore della RPL Lochau, società questa il cui capitale è detenuto

dalla Stadt Halle, socio di maggioranza, e da una società privata, titolare di una quota

minoritaria.

Contesto giuridico-normativo

Normativa comunitaria

3. Ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50, come modificata dalla direttiva

97/52 (in prosieguo: la «direttiva 92/50»), gli «appalti pubblici di servizi» sono

«contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed

un’amministrazione aggiudicatrice». A norma dell’art. 1, lett. b), di tale direttiva, per

«amministrazioni aggiudicatrici» si intendono «lo Stato, gli enti locali, gli organismi di

diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico».

29

Infine, l’art. 1, lett. c), della medesima direttiva definisce i «prestatori di servizi» come

«le persone fisiche o giuridiche, inclusi gli enti pubblici[,] che forniscono servizi».

4. A mente dell’art. 8 della direttiva 92/50, «[g]li appalti aventi per oggetto servizi

elencati nell’allegato I A vengono aggiudicati conformemente alle disposizioni dei titoli

da III a VI». Tali disposizioni contengono in sostanza regole in materia di messa in

concorrenza e di pubblicità. L’art. 11, n. 1, della medesima direttiva dispone che

nell’attribuire gli appalti pubblici di servizi «le amministrazioni applicano le procedure

definite nell’articolo 1, lettere d), e) e f), adattate ai fini della presente direttiva». Le

procedure alle quali fa riferimento tale disposizione sono, rispettivamente, le

«procedure aperte», le «procedure ristrette» e le «procedure negoziate».

5. La categoria n. 16 dell’allegato I A della detta direttiva menziona i servizi consistenti

in «[e]liminazione di scarichi di fogna e di rifiuti; disinfestazione e servizi analoghi».

6. L’art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 92/50 prevede che questa si applichi agli appalti

pubblici di servizi il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto «sia

pari o superiore a 200 000 ECU».

7. Dal secondo e dal terzo ‘considerando’ della direttiva 89/665 risulta che la finalità di

quest’ultima è di garantire l’applicazione delle regole comunitarie in materia di appalti

pubblici attraverso mezzi di ricorso efficaci e rapidi, in particolare in una fase in cui le

violazioni possono ancora essere corrette, tenuto conto del fatto che l’apertura degli

appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole

delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione.

8. A tal fine, l’art. 1, nn. 1 e 3, della direttiva 89/665 dispone quanto segue:

«1. Gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per

quanto riguarda le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalle

direttive (…), le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere

oggetto di ricorsi efficaci e, in particolare, quanto più rapidi possibile, secondo le

condizioni previste negli articoli seguenti, in particolare nell’articolo 2, paragrafo 7,

qualora violino il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali

che lo recepiscono.

(…)

3. Gli Stati membri garantiscono che le procedure di ricorso siano accessibili,

secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, per lo meno a chiunque

abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto

pubblico (…) e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione

30

denunciata. In particolare gli Stati membri possono esigere che la persona che

desideri avvalersi di tale procedura abbia preventivamente informato l’autorità

aggiudicatrice della pretesa violazione e della propria intenzione di presentare un

ricorso».

9. L’art. 2, n. 1, della direttiva 89/665 dispone quanto segue:

«1. Gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi di cui

all’articolo 1 prevedano i poteri che permettano di:

a) prendere con la massima sollecitudine e con procedura d’urgenza provvedimenti

provvisori intesi a riparare la violazione o impedire che altri danni siano causati agli

interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la

procedura di aggiudicazione pubblica di un appalto o l’esecuzione di qualsiasi

decisione presa dalle autorità aggiudicatrici;

b) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle

specificazioni tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nei

documenti di gara, nei capitolati d’oneri o in ogni altro documento connesso con la

procedura di aggiudicazione dell’appalto in questione;

c) accordare un risarcimento danni alle persone lese dalla violazione.

(…)»

10. L’art. 1 della direttiva 93/38 è così formulato:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

2) “Imprese pubbliche”: le imprese su cui le autorità pubbliche possono esercitare,

direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne hanno la proprietà, o

hanno in esse una partecipazione finanziaria, oppure in conseguenza delle norme

che disciplinano le imprese in questione. L’influenza dominante è presunta quando le

autorità pubbliche, direttamente o indirettamente, riguardo ad un’impresa:

– detengono la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa, oppure

– controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le parti emesse dall’impresa,

oppure

– hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di

amministrazione, del consiglio direttivo o del consiglio di vigilanza.

31

3) “Impresa collegata”: (…) qualsiasi impresa sulla quale l’ente aggiudicatore eserciti,

direttamente o indirettamente, un’influenza dominante ai sensi del paragrafo 2 del

presente articolo (…).

(…)»

11. L’art. 13 della direttiva 93/38 prevede quanto segue:

«1. La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:

a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;

(…) sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella Comunità

dall’impresa in questione negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura

di detti servizi alle imprese alle quali è collegata. (…)»

Normativa nazionale

12. Dalla decisione di rinvio risulta che nell’ordinamento tedesco i ricorsi in materia di

appalti pubblici sono disciplinati dal Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen

(legge contro le restrizioni della concorrenza). In conformità dell’art. 102 di tale legge,

«gli affidamenti di appalti pubblici» possono costituire l’oggetto di un ricorso.

L’offerente o candidato ha un diritto soggettivo a che vengano rispettate «le

disposizioni che disciplinano le procedure di affidamento degli appalti», il quale gli

consente di azionare nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice le pretese

giuridicamente riconosciutegli dall’art. 97, n. 7, della legge suddetta «intese ad

ottenere che venga compiuto od omesso un determinato atto nell’ambito di una

procedura di affidamento di appalto (…)».

13. La decisione di rinvio precisa che, in base alle dette disposizioni, secondo

un’opinione seguita da una parte della giurisprudenza e della dottrina in Germania, la

proposizione di un ricorso in materia di affidamento di appalto è possibile soltanto se il

ricorrente mira a costringere l’amministrazione aggiudicatrice a comportarsi in un

certo modo nell’ambito di una formale procedura di affidamento in corso di

svolgimento, ciò che significa che la proposizione di un ricorso è impossibile qualora

l’amministrazione aggiudicatrice abbia deciso di non indire una pubblica gara

d’appalto e di non avviare formalmente una procedura di affidamento. Tuttavia, tale

opinione viene contrastata da un’altra parte della giurisprudenza e della dottrina.

32

Causa principale e questioni pregiudiziali 14. Dalla decisione di rinvio risulta che la Stadt Halle, con delibera del consiglio

comunale in data 12 dicembre 2001, ha affidato alla RPL Lochau l’elaborazione di un

progetto per il trattamento preliminare, il recupero e lo smaltimento dei propri rifiuti,

senza avviare una formale procedura di affidamento di appalto. Allo stesso tempo, la

Stadt Halle ha deciso, anche in tal caso senza fare appello alla concorrenza, di

avviare negoziati con la RPL Lochau, al fine di concludere con quest’ultima un

contratto relativo allo smaltimento dei rifiuti urbani residuali a partire dal 1° giugno

2005. La detta società si sarebbe assunta gli oneri di investimento relativi alla

costruzione dell’impianto termico di smaltimento e recupero dei rifiuti.

15. La RPL Lochau è una società a responsabilità limitata creata nel 1996. Il suo

capitale è detenuto, da un lato, per una quota del 75,1%, dalla Stadtwerke Halle

GmbH, società il cui socio unico è la Verwaltungsgesellschaft für Versorgungs- und

Verkehrsbetriebe der Stadt Halle mbH, a sua volta appartenente al 100 % alla Stadt

Halle, e, dall’altro, per una quota del 24,9 %, da una società privata a responsabilità

limitata. Il giudice del rinvio designa la RPL Lochau come «società mista a prevalente

capitale pubblico» e rileva come la ripartizione del capitale di quest’ultima sia stata

concordata nell’ambito di un contratto di società soltanto alla fine del 2001, quando è

stato previsto l’affidamento della realizzazione del progetto in questione.

16. Il giudice del rinvio fa altresì osservare come l’attività della RPL Lochau abbia ad

oggetto la gestione di impianti di riciclaggio e di smaltimento dei rifiuti. Secondo il

detto giudice, le deliberazioni dell’assemblea generale dei soci vengono adottate a

maggioranza semplice ovvero con una maggioranza del 75 % dei voti. Attualmente la

direzione commerciale e tecnica di tale società sarebbe attribuita ad un’impresa terza,

mentre alla Stadt Halle spetterebbe in particolare il potere di procedere alla verifica

dei conti.

17. Avendo avuto notizia dell’affidamento dell’appalto al di fuori della procedura

prevista dalle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, la TREA Leuna,

anch’essa interessata a fornire i detti servizi, si è opposta alla decisione della Stadt

Halle ed ha presentato dinanzi alla Sezione camerale per gli appalti pubblici del

Regierungspräsidium Halle un ricorso volto ad obbligare la detta amministrazione ad

indire una pubblica gara d’appalto.

18. La Stadt Halle si è difesa sostenendo che, ai sensi delle norme nazionali

menzionate ai punti 12 e 13 della presente sentenza, il ricorso era inammissibile, a

33

motivo del fatto che essa, quale amministrazione aggiudicatrice, non aveva

formalmente avviato una procedura di affidamento di appalto. Inoltre, la RPL Lochau

sarebbe piuttosto un’emanazione della Stadt Halle, essendo controllata da

quest’ultima. Si tratterebbe dunque di un’«operazione di “in house providing”», alla

quale non si applicherebbero le norme comunitarie in materia di appalti pubblici.

19. L’organo adito ha accolto la domanda della TREA Leuna, ritenendo che, anche in

assenza di procedura di affidamento, le decisioni dell’amministrazione aggiudicatrice

dovessero poter essere oggetto di un ricorso. Esso ha altresì giudicato che, nel caso

di specie, non poteva parlarsi di «operazione di “in house providing”», per il fatto che

la partecipazione minoritaria del socio privato superava la soglia del 10% a partire

dalla quale, ai sensi della normativa tedesca sulle società a responsabilità limitata, si

è in presenza di una minoranza che gode di taluni diritti particolari. Il detto organo ha

inoltre affermato che era lecito attendersi con ragionevole certezza che le attività

svolte dalla RPL Lochau per la Stadt Halle avrebbero comportato uno sfruttamento

pari soltanto al 61,25% della capacità del previsto impianto di trattamento dei rifiuti,

sicché, per l’utilizzazione della capacità residua, l’impresa sarebbe stata obbligata a

reperire incarichi sul suo mercato di azione.

20. L‘Oberlandesgericht Naumburg, a seguito dell’appello dinanzi ad esso proposto

dalla Stadt Halle, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le

seguenti questioni pregiudiziali:

«1) a) Se l’art. 1, n. 1, della direttiva [89/665] imponga agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso la decisione dell’autorità aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico mediante un procedimento adattato alle disposizioni delle direttive in materia di affidamento di appalti pubblici.

b) Se l’art. 1, n. 1, della direttiva [89/665] imponga altresì agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici preliminarmente alla formale indizione di una gara d’appalto, in particolare avverso la decisione sulle questioni, di carattere preliminare, se un determinato procedimento di acquisizione di beni o servizi rientri o meno nell’ambito d’applicazione ratione personae o ratione materiae delle direttive in materia di affidamento di appalti pubblici, ovvero se eccezionalmente resti esclusa l’applicazione della normativa sugli appalti.

c) In caso di risposta affermativa alla questione [1), sub a),] e di risposta negativa alla questione [1), sub b)]:

se uno Stato membro adempia all’obbligo di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso la decisione dell’autorità aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico nell’ambito di un procedimento adattato alle disposizioni delle direttive in materia di affidamento di appalti pubblici, nel caso in cui l’accesso alla procedura di ricorso sia subordinato al raggiungimento di una determinata fase formale

34

del procedimento di acquisizione di beni o servizi, quale ad esempio l’avvio di trattative contrattuali verbali o scritte con un terzo.

2) a) Presupponendo che un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente territoriale, intenda stipulare con un organismo formalmente distinto da essa (in prosieguo: l’“organismo controparte”) un contratto scritto a titolo oneroso relativo alla fornitura di servizi, il quale rientrerebbe nell’ambito d’applicazione della direttiva [92/50], e ipotizzando inoltre che tale contratto eccezionalmente non costituisca un appalto pubblico di servizi ai sensi dell’art. 1, lett. a), della detta direttiva qualora l’organismo controparte debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione ovvero come un organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice (in prosieguo: l’“affidamento diretto a servizi od organismi propri non soggetto alla normativa sugli appalti”), se debba sempre escludersi la possibilità di qualificare un tale contratto come affidamento diretto a servizi od organismi propri non soggetto alla normativa sugli appalti, nel caso in cui un’impresa privata detenga una semplice partecipazione societaria nel detto organismo controparte.

b) In caso di risposta negativa alla questione [2), sub a)]: in presenza di quali condizioni un organismo controparte in cui vi sia la

partecipazione societaria di privati (in prosieguo: la “società mista a prevalente capitale pubblico”) debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione ovvero come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice.

Più precisamente: – se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico

come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice con riferimento alle modalità e all’intensità del controllo, sia sufficiente che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla detta società un’“influenza dominante”, ad esempio ai sensi degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della direttiva 93/38 (…), modificata dall’Atto [relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 1994, C 241, pag. 21, e GU 1995, L 1, pag. 1)], nonché dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio [16 febbraio 1998,] 98/4/CE [, che modifica la direttiva 93/38 (GU L 101, pag. 1)];

– se la possibilità, giuridicamente riconosciuta al socio privato della società mista a prevalente capitale pubblico, di influire in qualche modo sull’individuazione degli obiettivi strategici dell’organismo controparte e/o sulle singole decisioni relative alla conduzione dell’impresa, impedisca di considerare tale entità come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice;

– se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice, sotto il profilo delle modalità e dell’intensità del controllo, sia sufficiente un ampio potere direttivo unicamente in ordine alle decisioni relative alla conclusione del contratto e alla fornitura dei servizi, con riferimento ad una specifica procedura di acquisizione;

– se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice, con riferimento al criterio dello svolgimento della parte più importante della sua attività in favore di tale amministrazione, sia sufficiente che almeno l’80% del fatturato medio realizzato nella Comunità dall’impresa in questione

35

negli ultimi tre anni nel settore dei servizi derivi dalla fornitura di detti servizi all’autorità aggiudicatrice ovvero alle imprese a questa collegate o a questa riconducibili, ovvero, qualora la società mista pubblico-privata non abbia ancora maturato un’attività triennale, sia sufficiente che possa prevedersi il rispetto della citata “regola dell’80%”».

Sulle questioni pregiudiziali 21. Al fine di poter fornire una risposta utile e coerente al giudice del rinvio, occorre

suddividere ed esaminare le questioni sollevate in due gruppi, secondo il loro

contenuto e la loro finalità.

Quanto alla prima questione, sub a), b) e c)

22. Con questa prima serie di questioni il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se

l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 debba essere interpretato nel senso che l’obbligo

degli Stati membri di garantire la possibilità di ricorsi efficaci e rapidi contro le

decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni

adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto e prima di un

atto di formale messa in concorrenza, ed in particolare alla decisione sulla questione

se un determinato appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae o

ratione materiae della direttiva 92/50, nonché a partire da quale momento nell’ambito

di un’operazione di acquisizione di beni o servizi gli Stati membri siano tenuti a

consentire ad un offerente, ad un candidato o ad un interessato l’accesso ad una

procedura di ricorso.

23. Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che la direttiva 92/50 è stata adottata, a

mente del suo primo e secondo ‘considerando’, nell’ambito delle misure necessarie

per la realizzazione del mercato interno, ossia di uno spazio senza frontiere interne

nel quale è garantita la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei

capitali. Risulta dal quarto e dal quinto ‘considerando’ della medesima direttiva che,

essendo l’obiettivo di quest’ultima la realizzazione dell’apertura dei mercati degli

appalti pubblici nel settore dei servizi, a condizioni di parità di trattamento e di

trasparenza, essa deve essere applicata da tutte le amministrazioni aggiudicatrici.

24 .Occorre poi sottolineare che le disposizioni della direttiva 92/50 indicano

chiaramente i presupposti che rendono obbligatoria l’applicazione delle norme dei

titoli III-VI della medesima da parte di tutte le amministrazioni aggiudicatrici, laddove

le eccezioni all’applicazione di tali norme vengono tassativamente elencate nella

direttiva stessa.

25. Di conseguenza, qualora risultino soddisfatti tali presupposti, ossia, in altri termini,

qualora un’operazione ricada nell’ambito di applicazione ratione personae e ratione

36

materiale della direttiva 92/50, gli appalti pubblici in questione debbono essere

attribuiti – a norma dell’art. 8 di tale direttiva, letto in combinato disposto con il

successivo art. 11, n. 1 – nel rispetto delle disposizioni di cui ai titoli III-VI della

direttiva stessa, e precisamente debbono essere affidati previo esperimento di una

pubblica gara e costituire l’oggetto di una pubblicità adeguata.

26. Tale obbligo vincola le amministrazioni aggiudicatrici senza che vi siano distinzioni

tra gli appalti pubblici da queste attribuiti per adempiere il loro compito di soddisfare

bisogni di interesse generale e quelli che non hanno alcun rapporto con tale compito

(v., in tal senso, sentenza 15 gennaio 1998, causa C-44/96, Mannesmann

Anlagenbau Austria e a., Racc. pag. I-73, punto 32).

27. Al fine di rispondere al giudice di rinvio, occorre esaminare la nozione di

«decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici» di cui all’art. 1, n. 1, della

direttiva 89/665. Posto che la detta nozione non viene espressamente definita in tale

direttiva, occorre delimitarne la portata sulla base del tenore letterale delle pertinenti

disposizioni della direttiva stessa e in rapporto alla finalità di una tutela giurisdizionale

efficace e rapida da questa perseguita.

28. Il tenore letterale dell’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 presuppone, visto l’impiego

dell’espressione «per quanto riguarda le procedure», che qualsiasi decisione di

un’amministrazione aggiudicatrice che ricada sotto le norme comunitarie in materia di

appalti pubblici e sia idonea a violarle sia assoggettata al controllo giurisdizionale

previsto dall’art. 2, n. 1, lett. a) e b), della detta direttiva (v., in tal senso, sentenze 18

giugno 2002, causa C-92/00, HI, Racc. pag. I-5553, punto 37, e 23 gennaio 2003,

causa C-57/01, Makedoniko Metro e Michaniki, Racc. pag. I-1091, punto 68). La detta

disposizione si riferisce dunque in maniera generale alle decisioni di

un’amministrazione aggiudicatrice, senza operare all’interno di queste ultime alcuna

distinzione a seconda del loro contenuto o del momento della loro adozione.

29. L’art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva 89/665 prevede inoltre la possibilità di

annullare le decisioni illegittime delle amministrazioni aggiudicatrici in rapporto alle

specifiche tecniche e ad altre figuranti non soltanto nei documenti di gara, ma anche

in qualsiasi altro documento connesso con la procedura di affidamento dell’appalto in

questione. Pertanto, la detta disposizione può ricomprendere anche documenti

recanti decisioni adottate in una fase situata a monte dell’appello alla concorrenza.

30. Tale estesa accezione della nozione di decisione di un’amministrazione

aggiudicatrice è confermata dalla giurisprudenza della Corte. Quest’ultima ha già

statuito che la disposizione di cui all’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 non prevede

37

alcuna limitazione quanto alla natura e al contenuto delle decisioni da essa

contemplate (sentenza 28 ottobre 1999, causa C-81/98, Alcatel Austria e a.,

Racc. pag. I-7671, punto 35). Una limitazione siffatta non può desumersi neppure dal

tenore letterale dell’art. 2, n. 1, lett. b), della detta direttiva (v., in tal senso, sentenza

Alcatel Austria e a., cit., punto 32). Peraltro, un’interpretazione restrittiva della nozione

di decisione impugnabile con un ricorso sarebbe incompatibile con il disposto

dell’art. 2, n. 1, lett. a), della medesima direttiva, che impone agli Stati membri di

prevedere procedure d’urgenza per l’adozione di provvedimenti provvisori in relazione

a qualsiasi decisione adottata dalle autorità aggiudicatrici (sentenza HI, cit., punto 49).

31. In tale ottica di interpretazione in senso ampio della nozione di decisione

impugnabile con un ricorso, la Corte ha statuito che la decisione dell’amministrazione

aggiudicatrice, precedente la conclusione del contratto, con la quale la detta autorità

sceglie l’offerente al quale sarà attribuito l’appalto, deve in ogni caso poter essere

impugnata con un ricorso, indipendentemente dalla possibilità di ottenere un

risarcimento dei danni qualora il contratto sia stato concluso (sentenza Alcatel

Austria e a., cit., punto 43).

32. Riferendosi all’obiettivo della soppressione degli ostacoli alla libera circolazione

dei servizi perseguito dalla direttiva 92/50, nonché alle finalità, alla formulazione

letterale ed alla ratio sistematica della direttiva 89/665, la Corte ha del pari statuito

che la decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di revocare il bando di gara

relativo ad un appalto pubblico di servizi deve poter costituire oggetto di ricorso, in

conformità dell’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 (v., in tal senso, sentenza HI, cit.,

punto 55).

33. A questo proposito, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 23 delle sue

conclusioni, la decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di non avviare una

procedura di aggiudicazione può considerarsi il simmetrico corrispondente della

decisione della detta autorità di porre fine ad una tale procedura. Qualora

un’amministrazione aggiudicatrice decida di non avviare una procedura di

aggiudicazione per il fatto che, a suo avviso, l’appalto in questione non ricade

nell’ambito di applicazione delle norme comunitarie pertinenti, una decisione siffatta

costituisce in assoluto la prima decisione suscettibile di controllo giurisdizionale.

34. Alla luce di tale giurisprudenza, nonché degli obiettivi, della ratio sistematica e

della formulazione letterale della direttiva 89/665, ed al fine di preservare l’effetto utile

di quest’ultima, occorre concludere che costituisce una decisione impugnabile con un

ricorso, ai sensi dell’art. 1, n. 1, della detta direttiva, qualsiasi atto di

38

un’amministrazione aggiudicatrice, adottato in relazione ad un appalto pubblico di

servizi rientrante nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50 ed

idoneo a produrre effetti giuridici, indipendentemente dal fatto che esso sia stato

adottato al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto oppure

nell’ambito di una procedura siffatta.

35. Non sono impugnabili con un ricorso i comportamenti che costituiscano un

semplice studio preliminare di mercato o che abbiano carattere meramente

preparatorio e si inseriscano nella fase di riflessione interna dell’amministrazione

aggiudicatrice in vista dell’affidamento di un appalto pubblico.

36. Sulla scorta di tali considerazioni, occorre disattendere la tesi sostenuta dalla

Stadt Halle, secondo cui la direttiva 89/665 non imporrebbe alcuna tutela

giurisdizionale al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto e la

decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di non avviare una tale procedura non

potrebbe essere impugnata con un ricorso, come del resto neppure la decisione sulla

questione se un appalto pubblico rientri nell’ambito di applicazione delle pertinenti

norme comunitarie.

37. Tale tesi avrebbe infatti come risultato di rendere facoltativa, a discrezione di

ciascuna amministrazione aggiudicatrice, l’applicazione delle pertinenti norme

comunitarie, quando invece tale applicazione è vincolata ove sussistano i presupposti

da esse previsti. Una facoltà di questo tipo potrebbe portare alla più grave violazione

della normativa comunitaria sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione

aggiudicatrice. Essa diminuirebbe sensibilmente la tutela giurisdizionale efficace e

rapida voluta dalla direttiva 89/665 e pregiudicherebbe gli obiettivi perseguiti dalla

direttiva 92/50, vale a dire quelli della libera circolazione dei servizi e di una

concorrenza aperta e non falsata in tale settore in tutti gli Stati membri.

38. Quanto al momento a partire dal quale è possibile proporre un ricorso, occorre

rilevare come esso non sia formalmente previsto dalla direttiva 89/665. Tuttavia,

tenuto conto dell’obiettivo perseguito da tale direttiva di una tutela giurisdizionale

efficace e rapida, da ottenersi segnatamente attraverso provvedimenti provvisori,

bisogna concludere che l’art. 1, n. 1, della direttiva stessa non autorizza gli Stati

membri a subordinare la possibilità di ricorso al fatto che la procedura di affidamento

di appalto pubblico di cui trattasi abbia formalmente raggiunto una fase determinata.

39. Sulla scorta della considerazione secondo cui, in conformità del secondo

‘considerando’ della detta direttiva, il rispetto delle norme comunitarie deve essere

garantito in particolare in una fase in cui le violazioni possono ancora essere corrette,

39

occorre concludere che può essere impugnata con un ricorso la manifestazione della

volontà dell’amministrazione aggiudicatrice in ordine ad un determinato appalto, la

quale giunga in qualsiasi modo a conoscenza dei soggetti interessati, qualora essa

abbia superato la fase indicata al punto 35 della presente sentenza e sia idonea a

produrre effetti giuridici. L’avvio di concrete trattative contrattuali con un interessato

costituisce una manifestazione di volontà di questo tipo. Al riguardo va evidenziato

l’obbligo di trasparenza che incombe all’amministrazione aggiudicatrice al fine di

consentire di accertare il rispetto delle norme comunitarie (sentenza HI, cit., punto

45).

40. Quanto ai soggetti ai quali è consentito proporre ricorso, è sufficiente constatare

come, ai sensi dell’art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, gli Stati membri debbano

garantire l’accesso alle procedure di ricorso per lo meno a chiunque abbia o abbia

avuto interesse a ottenere l’affidamento di un determinato appalto pubblico e che sia

stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata (v., in tal senso,

sentenza 24 giugno 2004, causa C-212/02, Commissione/Austria, non pubblicata

nella Raccolta, punto 24). Pertanto, la formale qualità di offerente o candidato non è

necessaria.

41. Sulla scorta delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima

questione, sub a), b) e c), dichiarando che l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 deve

essere interpretato nel senso che l’obbligo degli Stati membri di garantire la possibilità

di mezzi di ricorso efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle amministrazioni

aggiudicatrici si estende anche alle decisioni adottate al di fuori di una formale

procedura di affidamento di appalto e prima di un atto di formale messa in

concorrenza, ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato

appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae e ratione materiae della

direttiva 92/50. Tale possibilità di ricorso è concessa a qualsiasi soggetto che abbia o

abbia avuto interesse a ottenere l’appalto di cui trattasi e che sia stato o rischi di

essere leso a causa di una violazione denunciata, a partire dal momento in cui viene

manifestata la volontà dell’amministrazione aggiudicatrice idonea a produrre effetti

giuridici. Pertanto, gli Stati membri non sono autorizzati a subordinare la possibilità di

ricorso al fatto che la procedura di affidamento di appalto pubblico in questione abbia

formalmente raggiunto una fase determinata.

Quanto alla seconda questione, sub a) e b)

42. Con questa seconda serie di questioni, che vanno esaminate congiuntamente, il

giudice del rinvio chiede in sostanza se, qualora un’amministrazione aggiudicatrice

40

intenda concludere con una società di diritto privato da essa giuridicamente distinta,

nella quale detiene una partecipazione maggioritaria e sulla quale esercita un certo

controllo, un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di

applicazione ratione materiae della direttiva 92/50, la detta amministrazione sia

sempre tenuta ad applicare le procedure ad evidenza pubblica previste da tale

direttiva per il semplice fatto che un’impresa privata detiene una partecipazione,

anche minoritaria, nel capitale della detta società controparte. In caso di soluzione

negativa di tale questione, il giudice del rinvio chiede sulla base di quali criteri debba

ritenersi che l’amministrazione aggiudicatrice non sia assoggettata ad un obbligo

siffatto.

43. Tale questione fa riferimento alla situazione particolare di una società cosiddetta

«mista pubblico-privata», costituita e funzionante in base alle norme privatistiche, alla

luce dell’obbligo incombente all’amministrazione aggiudicatrice di applicare le norme

comunitarie in materia di appalti pubblici qualora sussistano i presupposti da esse

contemplati.

44. Al riguardo, va ricordato in primo luogo l’obiettivo principale delle norme

comunitarie in materia di appalti pubblici, quale evidenziato nell’ambito della risposta

alla prima questione, vale a dire la libera circolazione dei servizi e l’apertura ad una

concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri. Ciò implica l’obbligo di qualsiasi

amministrazione aggiudicatrice di applicare le norme comunitarie pertinenti qualora

sussistano i presupposti da queste contemplati.

45. L’obbligo di applicare in tal caso le norme comunitarie risulta confermato dal fatto

che, all’art. 1, lett. c), della direttiva 92/50, la nozione di prestatore di servizi, ossia di

offerente ai fini dell’applicazione di tale direttiva, include anche «gli enti pubblici che

forniscono servizi» (v. sentenza 7 dicembre 2000, causa C-94/99, ARGE,

Racc. pag. I-11037, punto 28).

46 . Qualsiasi deroga all’applicazione di tale obbligo va dunque interpretata

restrittivamente. Pronunciandosi sulla scelta di una procedura negoziata senza previa

pubblicazione di un bando di appalto, la Corte ha così statuito che l’art. 11, n. 3, della

direttiva 92/50, che contempla questo tipo di procedura, deve – in quanto disposizione

derogatoria alle norme intese a garantire l’effettività dei diritti conferiti dal Trattato CE

nel settore degli appalti pubblici di servizi – essere interpretato restrittivamente, e che

l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che

giustificano la deroga grava su colui che intenda avvalersene (sentenza 10 aprile

41

2003, cause riunite C-20/01 e C-28/01, Commissione/Germania, Racc. pag. I-3609,

punto 58).

47. Nell’ottica di un’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più

ampia possibile, quale voluta dalle norme comunitarie, la Corte ha statuito, in

riferimento alla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le

procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), che

tale direttiva è applicabile qualora un’amministrazione aggiudicatrice intenda

concludere, con un entità giuridicamente distinta, un contratto a titolo oneroso,

indipendentemente dal fatto che tale entità sia a sua volta un’amministrazione

aggiudicatrice o meno (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal,

Racc. pag. I-8121, punti 50 e 51). È opportuno constatare che la controparte

contrattuale in quel caso era un consorzio costituito da più amministrazioni

aggiudicatrici, al quale partecipava anche l’amministrazione aggiudicatrice in

questione.

48. Un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di

adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri

strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad

entità esterne non appartenenti ai propri servizi. In tal caso, non si può parlare di

contratto a titolo oneroso concluso con un entità giuridicamente distinta

dall’amministrazione aggiudicatrice. Non sussistono dunque i presupposti per

applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici.

49. In conformità della giurisprudenza della Corte, non è escluso che possano

esistere altre circostanze nelle quali l’appello alla concorrenza non è obbligatorio

ancorché la controparte contrattuale sia un’entità giuridicamente distinta

dall’amministrazione aggiudicatrice. Ciò si verifica nel caso in cui l’autorità pubblica,

che sia un’amministrazione aggiudicatrice, eserciti sull’entità distinta in questione un

controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e tale entità realizzi la

parte più importante della propria attività con l’autorità o le autorità pubbliche che la

controllano (v., in tal senso, sentenza Teckal, cit., punto 50). Occorre ricordare che,

nel caso sopra menzionato, l’entità distinta era interamente detenuta da autorità

pubbliche. Per contro, la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al

capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in

questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta

società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.

42

50. Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che il rapporto tra un’autorità pubblica, che

sia un’amministrazione aggiudicatrice, ed i suoi servizi sottostà a considerazioni e ad

esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Per contro,

qualunque investimento di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni

proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura differente.

51. In secondo luogo, l’attribuzione di un appalto pubblico ad una società mista

pubblico-privata senza far appello alla concorrenza pregiudicherebbe l’obiettivo di una

concorrenza libera e non falsata ed il principio della parità di trattamento degli

interessati contemplato dalla direttive 92/50, in particolare nella misura in cui una

procedura siffatta offrirebbe ad un’impresa privata presente nel capitale della detta

società un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti.

52. Pertanto, occorre risolvere la seconda questione, sub a) e b), dichiarando che,

nell’ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a

titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione ratione materiae

della direttiva 92/50 con una società da essa giuridicamente distinta, nella quale la

detta amministrazione detiene una partecipazione insieme con una o più imprese

private, le procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla citata direttiva

debbono sempre essere applicate.

53. In considerazione di tale risposta, non occorre risolvere le altre questioni sollevate

dal giudice nazionale.

Sulle spese

54. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce

un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle

spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle

delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: 1) L’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, a sua volta modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE,

43

deve essere interpretato nel senso che l’obbligo degli Stati membri di garantire la possibilità di mezzi di ricorso efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto e prima di un atto di formale messa in concorrenza, ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae e ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata. Tale possibilità di ricorso è concessa a qualsiasi soggetto che abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’appalto di cui trattasi e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata, a partire dal momento in cui viene manifestata la volontà dell’amministrazione aggiudicatrice idonea a produrre effetti giuridici. Pertanto, gli Stati membri non sono autorizzati a subordinare la possibilità di ricorso al fatto che la procedura di affidamento di appalto pubblico in questione abbia formalmente raggiunto una fase determinata. 2) Nell’ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata dalla direttiva 97/52, con una società da essa giuridicamente distinta, nella quale la detta amministrazione detiene una partecipazione insieme con una o più imprese private, le procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla citata direttiva debbono sempre essere applicate.

5.1. Conclusioni Avvocato Generale nella causa C – 26/03

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

CHRISTINE STIX-HACKL presentate il 23 settembre 2004

Causa C-26/03

Stadt Halle

RPL Recyclingpark Lochau GmbH

Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna

44

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Oberlandesgerichtes Naumburg

(Germania)]

Direttiva 89/665CEE - Affidamento diretto - Tutela giurisdizionale contro il mancato espletamento di una formale procedura di aggiudicazione - Direttiva 92/50/CEE -

Affidamento "in house"

I – Introduzione

1. Il presente procedimento pregiudiziale verte in sostanza su due questioni giuridiche

relative alla normativa sugli appalti pubblici: la tutela giurisdizionale dinanzi a fattispecie di

affidamento diretto, ossia in caso di mancato svolgimento di una formale procedura di

aggiudicazione, e i presupposti per l'applicabilità dell'eccezione relativa agli affidamenti di

appalti a società controllate (cosiddetti affidamenti «quasi in house»). Quest’ultimo punto

riguarda l’interpretazione della sentenza Teckal (2) .

II – Contesto normativo

2. Le questioni pregiudiziali hanno per oggetto, in primo luogo, l’interpretazione della

direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni

legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso

in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (3) (in prosieguo: la

«direttiva 89/665»), e, in secondo luogo, l’interpretazione della direttiva del Consiglio 18

giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici

di servizi (4) (in prosieguo: la «direttiva 92/50»).

3. L’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665, nel testo applicabile, è formulato nei seguenti

termini:

«Gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda

le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalle direttive 71/305/CEE,

77/62/CEE e 92/50/CEE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano

essere oggetto di ricorsi efficaci e, in particolare, quanto più rapidi possibile, secondo le

condizioni previste negli articoli seguenti, in particolare nell’articolo 2, paragrafo 7, qualora

violino il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali che lo

recepiscono».

4. L’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50 recita, nella parte qui di interesse, come segue:

«Ai fini della presente direttiva s’intendono per:

45

a) “appalti pubblici di servizi”, i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un

prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice (…)».

5. Infine, nel procedimento principale si fa anche riferimento alla direttiva del Consiglio

14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di

acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che

operano nel settore delle telecomunicazioni (5) (in prosieguo: la «direttiva 93/38»), il cui

art. 13, n. 1, così recita:

«1. La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:

a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;

b) assegnati da un’impresa comune, costituita da più enti aggiudicatori per l’esercizio di

attività ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, ad uno di questi enti aggiudicatori o ad

un’impresa collegata ad uno degli enti aggiudicatori,

sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella Comunità dall’impresa in

questione negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di detti servizi alle

imprese alle quali è collegata.

Allorché lo stesso servizio o servizi simili sono forniti da più di un’impresa collegata all’ente

aggiudicatore, occorre tener conto della cifra d’affari totale nella Comunità risultante dalla

fornitura di servizi da parte di queste imprese».

III – Fatti e procedimento principale

6. A partire dalla primavera del 2001, la città di Halle [Stadt Halle] ha iniziato ad

elaborare piani per il trattamento preliminare, il recupero e lo smaltimento dei propri rifiuti

soggetti ad obbligo di conferimento, ed eventualmente anche di quelli non soggetti a tale

obbligo, mediante un ente a ciò preposto, controllato a livello comunale. Con delibera 12

dicembre 2001, la città di Halle ha incaricato la RPL Recyclingpark Lochau GmbH (in

prosieguo: la «RPL») di procedere alle attività di progettazione, raccolta delle autorizzazioni

e costruzione necessarie per la realizzazione della Centrale termica di smaltimento e

recupero dei rifiuti in Lochau (in prosieguo: la «TABVA»). Nello stesso tempo, la città di Halle

ha deciso di avviare con la RPL, senza previo svolgimento di una formale procedura di gara,

trattative aventi ad oggetto un contratto per lo smaltimento dei rifiuti non riciclabili della città

di Halle con effetto a partire dal 1° giugno 2005. Il contratto, già disponibile in bozza,

supererebbe ampiamente la soglia prevista per gli appalti di servizi di questo tipo. Al fine di

garantire lo sfruttamento ottimale delle capacità dell’impianto, la città di Halle intende inoltre

stipulare accordi di programma con due amministrazioni circondariali limitrofe, per ottenere

da tali enti territoriali l’incarico del trattamento e recupero dei rifiuti, in modo che, in definitiva,

46

il trattamento dei rifiuti non riciclabili di tali enti avvenga ugualmente nell’impianto TABVA

della RPL. La città di Halle ritiene che in questo caso si configuri una fattispecie di «in house

providing», per la quale non vi è l’obbligo di indire una gara.

7. La RPL è una società mista a prevalente capitale pubblico, in forma giuridica di

società a responsabilità limitata, esistente dal 1996. Sono soci della RPL: per il 75,1% la

Stadtwerke Halle GmbH, la cui socia unica, la Verwaltungsgesellschaft für Versorgungs- und

Verkehrsbetriebe der Stadt Halle mbH, è controllata al 100% dalla città di Halle; per il 24,9%

la RWE Umwelt Sachsen-Anhalt GmbH, un’impresa privata. Le attuali quote di

partecipazione sono state definite nell'atto costitutivo della società solo alla fine del 2001, in

coincidenza con il previsto affidamento di servizi di smaltimento dei rifiuti a partire dal 1°

giugno 2005. L'oggetto sociale della RPL è, ai sensi dell'atto costitutivo, la gestione di

impianti di riciclaggio e di smaltimento dei rifiuti, in particolare la gestione di impianti per il

compostaggio di rifiuti biologici, per il trattamento di rifiuti misti provenienti da cantieri e di

rifiuti industriali, la costruzione e la gestione di impianti per il trattamento ed il recupero dei

fanghi di depurazione, per il recupero di acque d’infiltrazione, gas di discarica e biogas,

nonché per il trattamento termico dei rifiuti.

8. Ai sensi dell'atto costitutivo della società, le deliberazioni dei soci devono essere

assunte a maggioranza semplice, mentre talune decisioni, tra cui la nomina di entrambi gli

amministratori della società, richiedono una maggioranza qualificata pari al 75% dei voti.

L’amministrazione è tenuta a presentare mensilmente una relazione ai soci, secondo le

norme sul rendiconto valide per la Stadtwerke Halle GmbH. Per taluni atti o negozi giuridici,

tra cui la conclusione ovvero la modifica di contratti di gestione, la realizzazione di

investimenti nonché l'accensione di mutui, in ciascun caso a partire da una soglia

determinata, è richiesta l'approvazione dell’assemblea dei soci. Attualmente, la gestione

commerciale e tecnica della RPL è affidata per contratto ad un’impresa terza. Le funzioni di

controllo tipiche del consiglio di vigilanza sono esercitate dal consiglio di vigilanza della

Stadtwerke Halle GmbH. Ai sensi dell'atto costitutivo, alla città di Halle spettano in

particolare, con riferimento al bilancio annuale, il potere di revisione dei conti e quello di

informazione diretta dell'organo di revisione dei conti della città di Halle.

9. La Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA

Leuna (in prosieguo: la «TREA»), con lettere 21 dicembre 2001 e 30 gennaio 2002, ha fatto

valere nei confronti della città di Halle che mancavano i presupposti per un'operazione di «in

house providing», e che quindi la volontà della convenuta di affidare servizi di smaltimento

dei rifiuti a partire dal 1° giugno 2005 senza formale indizione di gara d’appalto era contraria

alla normativa sugli appalti. La città di Halle ha confermato con lettera 7 febbraio 2002,

47

nonché in occasione di un colloquio in data 19 febbraio 2002, che non intendeva modificare

la propria posizione. Con atto introduttivo del 21 febbraio 2001, la TREA ha presentato

ricorso dinanzi alla Vergabekammer del Regierungspräsidium Halle, chiedendo di imporre

alla città di Halle di indire una gara pubblica d’appalto. La Vergabekammer del

Regierungspräsidium Halle, con decisione 27 maggio 2002, ha ordinato alla città di Halle di

affidare i servizi in questione – cioè lo «smaltimento dei rifiuti non riciclabili della città di Halle

a partire dal 1° giugno 2005 – con modalità concorrenziali e mediante una procedura di

appalto trasparente, in conformità del regolamento nazionale per la disciplina degli appalti

pubblici.

10. Avverso questa decisione la città di Halle nonché la RPL hanno proposto

impugnazione immediata dinanzi all’Oberlandesgericht Naumburg.

IV – Le questioni pregiudiziali 11. L’Oberlandesgericht Naumburg ha sospeso il giudizio di impugnazione ed ha

sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

1. Se l’art. 1, n. 1, della direttiva di coordinamento delle procedure di ricorso imponga agli

Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso la

decisione dell’autorità aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico mediante un

procedimento conforme alle disposizioni delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti

pubblici.

2. Se l’art. 1, n. 1, della direttiva di coordinamento delle procedure di ricorso imponga altresì

agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso le

decisioni assunte dalle autorità aggiudicatrici nella fase preliminare alla formale indizione di

una gara d’appalto, in particolare avverso la decisione sulle questioni, di carattere

preliminare, se un determinato procedimento di acquisizione di beni o servizi rientri o meno

nell’ambito d’applicazione ratione personae o ratione materiae delle direttive in materia di

aggiudicazione di appalti pubblici, ovvero se eccezionalmente resti esclusa l'applicazione

della normativa sugli appalti.

3. In caso di risposta positiva alla questione pregiudiziale sub 1. e di risposta negativa alla

questione pregiudiziale sub 2., se uno Stato membro adempia all’obbligo di garantire mezzi

di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso la decisione dall’autorità

aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico nell'ambito di un procedimento conforme

alle disposizioni delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, nel caso in cui

l’accesso alla procedura di ricorso sia subordinato al raggiungimento di una determinata fase

48

formale del procedimento di acquisizione di beni o servizi, quale ad esempio l’avvio di

trattative scritte o verbali con un terzo.

4. Presupponendo che un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente territoriale, intenda

stipulare con un organismo formalmente distinto da essa (in prosieguo: l’«organismo

controparte») un contratto scritto a titolo oneroso relativo alla fornitura di servizi, il quale

rientrerebbe nell’ambito d’applicazione della direttiva di coordinamento degli appalti di

servizi, e ipotizzando inoltre che tale contratto eccezionalmente non costituisca un appalto

pubblico di servizi ai sensi dell’art. 1, lett. a), della detta direttiva qualora l'organismo

controparte debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione ovvero

come un organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice (in

prosieguo: l'«affidamento diretto a servizi od organismi propri non soggetto alla normativa

sugli appalti»), questa Sezione intende sapere se debba sempre escludersi la possibilità di

qualificare un tale contratto come affidamento diretto a servizi od organismi propri non

soggetto alla normativa sugli appalti, nel caso in cui un’impresa privata detenga una

semplice partecipazione societaria nel detto organismo controparte.

5. Nel caso di risposta negativa alla questione sub 4., in presenza di quali condizioni un

organismo controparte in cui vi sia la partecipazione societaria di privati (in prosieguo: la

«società mista a prevalente capitale pubblico») deve considerarsi come facente parte della

pubblica amministrazione ovvero come organismo di gestione economica

dell’amministrazione aggiudicatrice. Più precisamente:

a) se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come

organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice con riferimento

alle modalità e all’intensità del controllo, sia sufficiente che l’amministrazione

aggiudicatrice eserciti sulla detta società un'«influenza dominante», ad esempio ai

sensi degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993,

93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di

energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano

nel settore delle telecomunicazioni (GU L 199, pag. 84), modificata dall’atto di

adesione 1994 (GU C 241, del 29 agosto 1994, pag. 228), nonché dalla direttiva del

Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 98/4/CE (GU L 101, del

16 febbraio 1998, pag. 1) (in prosieguo: la «direttiva di coordinamento settoriale»);

b) se la possibilità, giuridicamente riconosciuta al socio privato della società mista a

prevalente capitale pubblico, di influire in qualche modo sull’individuazione degli

obiettivi strategici dell’organismo controparte e/o sulle singole decisioni relative alla

49

conduzione dell’impresa, impedisca di considerare tale entità come organismo di

gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice;

c) se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come

organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice, sotto il profilo

delle modalità e dell’intensità del controllo, sia sufficiente un ampio potere direttivo

unicamente in ordine alle decisioni relative alla conclusione del contratto e alla

fornitura dei servizi, con riferimento ad una specifica procedura di acquisizione;

d) se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come

organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice, con riferimento

al criterio dello svolgimento della parte più importante della sua attività in favore

dell’autorità aggiudicatrice, sia sufficiente che almeno l’80% del fatturato medio

realizzato nella Comunità dalla società in questione negli ultimi tre anni nel settore dei

servizi derivi dalla fornitura di detti servizi all’autorità aggiudicatrice ovvero alle

imprese a questa collegate o a questa riconducibili, ovvero, qualora la società mista

pubblico-privata non abbia ancora maturato un’attività triennale, sia sufficiente che

possa prevedersi il rispetto della citata «regola dell’80%».

V – Sulle questioni pregiudiziali riguardanti la tutela giurisdizionale (prima, seconda e terza questione pregiudiziale) A – Sulla ricevibilità

12. Per quanto riguarda le questioni pregiudiziali relative alla tutela giurisdizionale, occorre

anzitutto esaminare se ed in quale misura esse siano ricevibili.

13. La Corte è tenuta, in via di principio, a statuire sulla domanda di pronuncia

pregiudiziale sottopostale, a meno che non appaia in modo manifesto che quest'ultima tende

in realtà ad indurla a pronunciarsi mediante una controversia costruita o a formulare pareri

su questioni generali o ipotetiche, che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non

abbia alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della controversia, o ancora che la

Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile

alle questioni che le vengono sottoposte (6) .

14. Nel caso di specie, dagli atti emerge che il previsto affidamento diretto, oggetto della

causa nazionale, è giunto ad una fase determinata, dal momento che esiste già un progetto

di contratto. Ne consegue che le questioni pregiudiziali sono ricevibili solo in quanto

necessarie alla soluzione della controversia nel caso di specie. Vero è che tali questioni

pregiudiziali riguardano problemi giuridici sostanziali connessi con la tutela giurisdizionale,

tuttavia siffatte considerazioni di ordine generale non debbono trovare ingresso per motivi

50

processuali. Infatti, esse riguardano fattispecie che non sono oggetto della controversia

specifica di cui è investito il giudice del rinvio. Inoltre, il giudice del rinvio non spiega neppure

quali motivi lo abbiano indotto a considerare che sia necessario risolvere siffatte questioni

per poter decidere in merito alla controversia sottopostagli.

15. Di conseguenza, in mancanza di elementi da cui risulti che una soluzione di tali

questioni astratte è necessaria alla definizione della causa principale, le questioni in oggetto

devono essere considerate di natura ipotetica e, pertanto, dichiarate irricevibili (7) .

16. Pertanto, nella misura in cui sono volte a chiarire questioni giuridiche generiche, le

dette questioni pregiudiziali sono irricevibili. Lo stesso dicasi per la compatibilità del diritto

nazionale con il diritto comunitario, costituente l'oggetto della terza questione pregiudiziale.

Tuttavia, con queste limitazioni, le questioni pregiudiziali relative alla tutela giurisdizionale

sono ricevibili per il resto, vale a dire nella concreta configurazione di cui alla causa

nazionale. Tenuto conto dell'uguale finalità sostanziale delle prime tre questioni pregiudiziali,

vale a dire l'individuazione degli atti dell’amministrazione aggiudicatrice impugnabili con un

ricorso, è d'uopo esaminare e risolvere congiuntamente le tre questioni.

B – Analisi nel merito

17. Le questioni pregiudiziali relative alla tutela giurisdizionale contro talune decisioni

dell’amministrazione aggiudicatrice sono intese essenzialmente ad individuare la fase

precedente al vero e proprio affidamento dell'appalto a partire dalla quale occorre garantire

la possibilità di esperire ricorsi dinanzi ad organi nazionali prevista dalla direttiva 89/665. Si

tratta in sostanza di determinare il momento in cui un progetto di acquisizione di beni o

servizi raggiunge il grado di concretezza necessario ai fini di questa tutela giurisdizionale.

18. Occorre anzitutto partire dal principio che, conformemente alla giurisprudenza della

Corte, la nozione di «decisioni» ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 e la nozione di

«decisioni» come atti contro i quali è esperibile un ricorso ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. b),

della medesima direttiva – vale a dire quindi gli atti dell’amministrazione aggiudicatrice

impugnabili – devono essere interpretate in senso ampio.

19. Secondo questa giurisprudenza, l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 non prevede

«alcuna limitazione relativa alla natura e al contenuto» (8) delle decisioni in questione.

20. Inoltre, ai sensi dell’art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, gli Stati membri sono tenuti a

garantire che le procedure di ricorso previste da tale direttiva siano accessibili «per lo meno»

a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato

appalto pubblico e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata

51

delle disposizioni del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle normative

nazionali adottate per il relativo recepimento.

21. Nel presente procedimento si pone la questione se nell’ampia nozione di «decisioni»

rientrino anche le decisioni adottate «nella fase preliminare» o, detto in termini giuridici,

prima dell’avvio di una procedura di aggiudicazione. Si tratta dunque di decisioni che si

collocano a mezzo tra i propositi generici e l’avvio o il non avvio di una procedura di

aggiudicazione.

22. Pertanto, tenuto conto dello scopo della direttiva 89/665, ossia garantire una tutela

giurisdizionale efficace, come dispone espressamente anche l’art. 1, n. 1, si dovrebbero

includere in tale nozione anche le decisioni adottate prima dell’avvio di una procedura di

aggiudicazione.

23. Per quanto attiene alla possibilità di ricorso avverso la decisione di non avviare una

procedura di aggiudicazione, quest'ultima costituisce una decisione paragonabile alla

contrapposta decisione di concludere una procedura di aggiudicazione.

24. Le decisioni in merito alla conclusione di una procedura di aggiudicazione rientrano tra

gli atti dell’autorità aggiudicatrice contro i quali è esperibile un ricorso, come la Corte ha

espressamente sottolineato riguardo alla revoca di una procedura di aggiudicazione. Infatti,

«la realizzazione integrale dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 89/665 sarebbe

compromessa se si consentisse alle autorità aggiudicatrici di procedere alla revoca di un

bando di gara per un appalto pubblico di servizi senza assoggettarle a procedure di controllo

giurisdizionale, volte a garantire sotto ogni profilo l’effettivo rispetto sia delle direttive che

stabiliscono le norme sostanziali relative agli appalti pubblici, sia dei principi su cui si

basano» (9) .

25. Vero è che la decisione di non avviare una procedura di aggiudicazione ai sensi delle

direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, a differenza della revoca di una

procedura di aggiudicazione già avviata, si colloca per sua natura al di fuori di una procedura

di affidamento; tuttavia ciò non esclude affatto l’applicazione della direttiva 89/665.

26. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, nella sfera di applicazione della direttiva

89/665, che mira alla tutela giurisdizionale, non rientrano soltanto i ricorsi volti a far valere

violazioni delle direttive recanti le norme sostanziali in materia di affidamenti di appalti.

Infatti, la Corte ha affermato che l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 va applicato a tutte «le

decisioni adottate dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono soggette alle norme di diritto

comunitario in materia di appalti pubblici» (10) , senza limitare la validità di tale principio alle

sole prescrizioni risultanti dalle direttive in materia di aggiudicazione.

52

27. Gli Stati membri non sono tenuti a rendere in ogni caso accessibili procedure di

ricorso a chiunque voglia ottenere l’aggiudicazione di un appalto pubblico, bensì è consentito

loro di esigere che la persona interessata sia stata o rischi di essere lesa dalla violazione da

essa denunciata (11) . Su questa base, in linea di principio essi possono considerare la

partecipazione ad una procedura di aggiudicazione di appalti come condizione da soddisfare

affinché la persona interessata possa dimostrare che ha un interesse all’appalto in questione

e che rischia di subire un danno a causa dell’aggiudicazione dell’appalto asseritamente

illegittima.

28. Tuttavia, la Corte ha già dichiarato che, nell’ipotesi in cui un’impresa non abbia

presentato un’offerta a causa della presenza di specifiche che asserisce discriminatorie nei

documenti di gara o nel disciplinare, le quali le avrebbero proprio impedito di essere in grado

di fornire l’insieme delle prestazioni richieste, essa avrebbe tuttavia il diritto di presentare un

ricorso direttamente avverso tali specifiche, e ciò prima ancora che si concluda il

procedimento di aggiudicazione dell’appalto pubblico in questione (12) .

29. Così come ad un’impresa dev’essere consentito presentare direttamente un ricorso

per far valere eventuali violazioni, senza attendere la conclusione della procedura di

aggiudicazione dell’appalto (13) , dev’esserle anche consentito presentare ricorso avverso

determinate decisioni rilevanti ai fini dell'affidamento dell’appalto, senza attendere l’avvio di

una procedura di aggiudicazione. Infatti, proprio nei casi come quelli in esame, di solito non

si arriva affatto ad una procedura di aggiudicazione ai sensi delle direttive in materia di

appalti pubblici. Tuttavia, non si può esigere da un’impresa che presenti un’offerta se non è

stata avviata alcuna procedura di aggiudicazione.

30. Pertanto, per l’applicazione delle direttive in materia di ricorsi e quindi delle procedure

di ricorso, non è determinante che si sia svolta una procedura di aggiudicazione prevista

dalle direttive recanti le norme sostanziali in materia di affidamenti di appalti pubblici. Infatti,

l’ambito di applicazione delle direttive in materia di ricorsi non è determinato

dall'applicazione effettiva delle dette direttive sostanziali, come ad esempio la direttiva 93/38,

bensì è collegato alla questione se una di queste direttive sarebbe stata ovvero sia

applicabile, vale a dire se la procedura in esame rientri nell’ambito di applicazione di una di

queste direttive.

31. Dalle considerazioni che precedono deriva che anche taluni atti precedenti all’avvio di

una procedura di aggiudicazione sono impugnabili con un ricorso ai sensi della direttiva

89/665. Al riguardo sussistono però anche dei limiti.

32. Alla possibilità che proprio tutti gli atti di un'amministrazione aggiudicatrice siano

impugnabili con un ricorso si oppone in primo luogo la circostanza che le singole fasi

53

precedenti all’avvio di una procedura di aggiudicazione non solo differiscono da Stato

membro a Stato membro, ma dipendono altresì dai singoli concreti progetti di acquisizione di

beni o servizi.

33. Inoltre è d’uopo richiamare un criterio sviluppato dalla Corte per la garanzia della

tutela giurisdizionale, secondo cui «la direttiva 89/665 mira a rafforzare i meccanismi

esistenti, sia sul piano nazionale sia sul piano comunitario, per garantire l’effettiva

applicazione delle direttive comunitarie in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, in

particolare in una fase in cui le violazioni possono ancora essere sanate» (14) .

34. Il fatto che non tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto

di ricorso è anche confermato da un’altra sentenza della Corte, vertente su una limitazione

imposta dal diritto nazionale alle possibilità di ricorso avverso talune decisioni delle autorità

aggiudicatrici. In questa sentenza la Corte ha preso le mosse da una verifica dell'esistenza

di una tutela giurisdizionale adeguata. In quel caso essa è giunta alla conclusione che la

tutela giurisdizionale era adeguata, anche se, secondo il diritto nazionale, erano impugnabili

solo gli atti procedurali che decidono, direttamente o indirettamente, nel merito della

questione, che comportano l’impossibilità di continuare il procedimento o di difendersi, o che

determinano pregiudizi irreparabili a diritti o a legittimi interessi (15) .

35. Se quindi è ammissibile – vale a dire compatibile con la direttiva 89/665 – escludere

dalla possibilità di ricorso anche taluni atti posteriori all’avvio di una procedura di

aggiudicazione, dev’essere a maggior ragione ammissibile prevedere tale esclusione per

taluni atti precedenti l’avvio di una procedura siffatta.

36. Infine, occorre altresì rammentare che le direttive in materia di aggiudicazione di

appalti pubblici si limitano a coordinare, vale a dire semplicemente ad armonizzare, le

procedure di aggiudicazione e non disciplinano anche le fasi precedenti a tali procedure.

37. In conclusione occorre quindi rilevare che la direttiva 89/665 non garantisce una

completa tutela giurisdizionale preventiva.

38. Un fattore determinante per individuare gli atti impugnabili è costituito dalla normativa

sostanziale, vale a dire dal fatto che, in base alle direttive in materia di aggiudicazione di

appalti pubblici, un’impresa sia titolare di una pretesa giuridicamente riconosciuta a che

venga compiuto od omesso un determinato atto.

39. In tale contesto viene in questione, in linea di principio, anche un diritto ad ottenere

una misura inibitoria. Quest'ultima può, ad esempio, essere intesa a vietare ad un ente

soggetto alle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici di procedere ad

un’acquisizione di beni o servizi rientrante nell’ambito di applicazione di queste direttive

54

senza previo svolgimento delle procedure di aggiudicazione da esse previste. In tal modo

viene creato anche nella tutela giurisdizionale un parallelismo con la misura del divieto di

procedere all’aggiudicazione dell'appalto.

40. Di conseguenza, un possibile criterio per determinare gli atti compiuti prima dell’avvio

di una procedura di aggiudicazione che devono poter costituire oggetto di ricorso è costituito

dall'effetto che tali atti producono sull’impresa ricorrente. Si tratta dunque in questo caso di

un presupposto del potere di impugnazione (legittimazione attiva).

41. Per contro, nel presente procedimento si tratta semplicemente dei presupposti per

l’impugnabilità di un atto.

42. Un’ulteriore limitazione di cui tenere conto nel presente procedimento pregiudiziale

emerge dalle norme di diritto processuale relative a questo tipo di procedimento dinanzi alla

Corte. Infatti, anche il presente procedimento pregiudiziale non può essere inteso a fornire

una definizione generale di atti impugnabili, bensì solo a fornire una soluzione utile al giudice

nazionale, affinché questi possa risolvere la controversia sottopostagli.

43. Pertanto, il presente procedimento non ha per oggetto l'elaborazione di criteri generali

per valutare l’impugnabilità di atti di autorità aggiudicatrici, bensì solo di criteri applicabili agli

atti oggetto della specifica causa nazionale.

44. A questo proposito è sufficiente ricordare che sotto la direttiva 89/665 non ricadono le

considerazioni a carattere puramente interno, né parimenti la valutazione del fabbisogno di

beni o servizi, l’elaborazione dei capitolati o le semplici indagini di mercato. Pertanto, sotto di

essa non ricadono neppure le valutazioni giuridiche interne dell’autorità aggiudicatrice intese

a stabilire se una determinata acquisizione di beni o servizi rientri o meno nell’ambito di

applicazione delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici.

45. Per il resto, non occorre qui esaminare la questione se già la decisione di avviare

trattative con un’altra impresa possa costituire oggetto di un ricorso ovvero se tale facoltà di

impugnazione sussista solo per le trattative in corso. Si tratta infatti di questioni ipotetiche, in

quanto oggetto del procedimento principale e, perciò, anche del presente procedimento

pregiudiziale è un contesto diverso, in cui segnatamente esiste già un progetto di contratto.

46. Nella fattispecie in questione l’autorità aggiudicatrice è prossima alla conclusione di un

contratto. Tuttavia, tale situazione corrisponde ad un'altra che spesso si presenta nell’ambito

delle acquisizioni di beni o servizi, vale a dire la fase immediatamente precedente

all’aggiudicazione dell'appalto. Infatti, a seconda del diritto nazionale, l’aggiudicazione

precede la conclusione di un contratto d’appalto, oppure il contratto d’appalto si perfeziona

con l’aggiudicazione, configurata come accettazione dell’offerta.

55

47. Il fatto che nel secondo caso sia stata avviata una procedura di aggiudicazione – che

invece è mancata nel caso di specie – non può giustificare distinzioni, per motivi di effettività

della tutela giurisdizionale.

48. Pertanto, le prime tre questioni pregiudiziali vanno risolte dichiarando che l’art. 1, n. 1,

della direttiva 89/665 dev’essere interpretato nel senso che, in presenza di determinati

presupposti, gli Stati membri debbono garantire la possibilità di esperire mezzi di ricorso

efficaci e quanto più rapidi possibile anche avverso talune decisioni delle autorità

aggiudicatrici adottate al di fuori di una procedura di aggiudicazione; in tale categoria

possono rientrare anche le decisioni sulla questione, a carattere preliminare, di procedere ad

una determinata acquisizione di beni o servizi senza svolgimento di una procedura di

aggiudicazione.

VI – Sulle questioni pregiudiziali riguardanti gli affidamenti «quasi in house» (quarta e quinta questione pregiudiziale) 49. Il secondo gruppo di questioni pregiudiziali riguarda i presupposti per gli affidamenti di

appalti a società controllate (cosiddetti affidamenti «quasi in house»). Come giustamente

sottolineato dal governo austriaco, si tratta, a differenza degli affidamenti a servizi propri

(cosiddetti affidamenti «in house») (gestione diretta), di appalti assegnati ad un organismo

distinto dall’autorità aggiudicatrice e dotato di personalità giuridica. Infatti, qualora

l’organismo che esegue la prestazione fosse privo di personalità giuridica, non potrebbe

sussistere alcun contratto. In tal caso mancherebbe anche uno dei presupposti per un

appalto ai sensi delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici.

50. Nel presente procedimento si tratta, a ben vedere, dell’interpretazione della nozione di

«appalto», che costituisce uno dei presupposti per l’applicazione delle direttive in materia di

appalti pubblici. A questo riguardo occorre prendere le mosse dalla sentenza della Corte

nella causa Teckal, in cui la Corte ha considerato determinate fattispecie di acquisizione di

beni o servizi come non rientranti nell’ambito di applicazione delle direttive in materia di

aggiudicazione di appalti pubblici.

51. Conformemente a questa sentenza, le direttive in materia di aggiudicazione di appalti

pubblici non trovano applicazione «nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla

persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e

questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti

locali che la controllano» (16) .

52. In tal modo la Corte ha fissato due presupposti in presenza dei quali una procedura di

acquisizione di beni o servizi sfugge all'ambito di applicazione delle direttive in materia di

56

aggiudicazione di appalti pubblici; essa ha pertanto ristretto la nozione di «appalto» in base

ad un criterio teleologico.

53. A questo punto occorre anzitutto rilevare che la stessa Corte ha espressamente

definito come eccezione l’inapplicabilità delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti

pubblici. In tal modo assume rilievo il principio generale secondo cui le eccezioni devono

essere interpretate in maniera restrittiva. Nell'esaminare qui di seguito i due presupposti

suddetti, tale principio dovrà essere osservato quale prescrizione a carattere generale.

54. Si deve altresì osservare che gli affidamenti ad enti che sono essi stessi

amministrazioni aggiudicatrici, come è il caso di talune imprese controllate (a parte

l’eccezione Teckal ed altre eccezioni, come ad esempio l’art. 6 della direttiva 92/50),

rientrano in generale nella nozione di appalto. Pertanto, l’applicabilità delle direttive in

materia di aggiudicazione di appalti pubblici continua a costituire la regola (17) .

55. Occorre inoltre richiamare l’origine degli affidamenti «quasi in house» e, di

conseguenza, dell’eccezione Teckal, vale a dire il trattamento particolare riservato a

procedure a carattere organizzativo interno, ossia alle fattispecie di «in house providing», ed

ai casi a queste equiparabili.

in questa sede occorre tener conto anche degli scopi cui mirano le direttive in materia di

aggiudicazione di appalti pubblici, vale a dire l’apertura dei mercati e la garanzia di una

concorrenza effettiva.

57. Questi sono i punti di riferimento rilevanti nell’interpretazione dell’eccezione Teckal.

58. In linea generale è d’uopo distinguere tre fattispecie di affidamento «quasi in house»,

e precisamente: a società proprie (società detenute al 100% dall’autorità aggiudicatrice o da

organismi a questa riconducibili), a società a capitale interamente pubblico detenuto da più

soci (società con partecipazione di più amministrazioni aggiudicatrici) e a società miste

pubblico-private (società con partecipazione anche di veri e propri soggetti privati).

59. La causa principale riguarda il previsto affidamento di un contratto da parte della città

di Halle – ossia un ente territoriale senz’altro qualificabile come amministrazione

aggiudicatrice ai sensi delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici – ad una

subcontrollata (società «pronipote»). In effetti, la città di Halle è proprietaria al 100% della

sua controllata diretta (società «figlia») e questa detiene a sua volta il 100% delle quote della

società «nipote»; tuttavia, quest'ultima controlla la società «pronipote» solo al 75,1%. Le

quote restanti di quest’ultima società sono detenute da una semplice impresa privata.

60. Quindi il presente procedimento verte su una cosiddetta società mista

pubblico-privata, vale a dire una società nella quale un'amministrazione aggiudicatrice

57

detiene (indirettamente) una partecipazione maggioritaria, mentre delle restanti quote è

titolare un soggetto che non è un'autorità aggiudicatrice.

61. Per motivi di ordine processuale, in prosieguo verrà esaminata unicamente una

situazione quale quella oggetto della causa nazionale. Per contro, l’applicazione alla

concreta fattispecie in questione nella causa principale resta di competenza del giudice

nazionale (18) .

A – Primo criterio: controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi

62. Il primo presupposto per l’applicazione dell’eccezione e, quindi, per l’inapplicabilità

delle direttive in materia di appalti pubblici riguarda il tipo di controllo esercitato

dall’amministrazione aggiudicatrice sull’organismo cui intende affidare il contratto. La Corte

esige che l’ente aggiudicatore eserciti «eserciti (…) un controllo analogo a quello da esso

esercitato sui propri servizi».

63. Quindi, a questo riguardo la Corte applica un criterio che ricava dal diritto pubblico.

Tuttavia, poiché il criterio del controllo, come pure la nozione di appalto e di amministrazione

aggiudicatrice, vanno intesi in senso funzionale e non formale, la detta circostanza non osta

ad una trasponibilità di tale criterio al rapporto tra un’amministrazione aggiudicatrice e

persone giuridiche di diritto privato, ad esempio una società a responsabilità limitata come

nel caso di specie. Il criterio del collegamento ai servizi amministrativi interni si spiega

piuttosto con la funzione originaria della costituzione di organismi autonomi, vale a dire lo

scorporo di determinate unità organizzative.

64. A favore della trasponibilità ad altre fattispecie depone anche la circostanza che dalla

sentenza Teckal, nella versione nella lingua processuale, ossia l'italiano, risulta che la Corte

richiede solo un controllo «analogo», vale a dire equiparabile, ma non identico (19) .

65. Quindi, da un lato, la valutazione della posizione giuridica di un socio di maggioranza

avviene in base alle disposizioni applicabili del diritto nazionale, ossia nel caso di specie in

base alla normativa di diritto societario relativa alle società a responsabilità limitata.

Dall’altro, occorre valutare quelle disposizioni che disciplinano più specificamente il rapporto,

quindi, di norma, l'atto costitutivo. Ciò significa che non è sufficiente procedere ad un esame

meramente astratto in base alla forma giuridica scelta per l’organismo che è soggetto al

controllo, ad esempio in base al tipo di persona giuridica.

66. In tal modo, però, le normative nazionali, perlopiù a carattere legislativo, assumono

solo un’importanza limitata. Questo vale in particolare per le disposizioni che stabiliscono i

diritti spettanti ai soci di minoranza e le relative condizioni. Si tratta soprattutto di disposizioni

che subordinano taluni diritti di controllo e di veto dei soci all’entità della quota da essi

detenuta, ad esempio 10%, 25% o oltre 50%.

58

67. Siffatte disposizioni spiegano piuttosto un'efficacia presuntiva ai fini dell'individuazione

dei diritti spettanti ad un socio di minoranza. Resta decisiva la concreta configurazione del

singolo caso. L'ipotesi più importante da menzionare in questa sede è quella del cosiddetto

contratto di dominio che concede ad un determinato socio – indipendentemente dalla quota

detenuta – taluni diritti ulteriori rispetto a quelli minimi stabiliti dalla legge.

68. Quindi, poiché ciò che conta non è la situazione giuridica nazionale, bensì la concreta

configurazione nel caso di specie, può anche non essere di per sé decisiva l’entità della

partecipazione dell’amministrazione aggiudicatrice o, viceversa, del socio privato di

minoranza.

69. Ne consegue che una percentuale fissa ostacola una soluzione corretta, in quanto non

consente di tener conto del caso concreto ed esclude in maniera assoluta, nei casi che non

soddisfano il criterio percentuale, un’applicazione del criterio del controllo.

70. Tuttavia, poiché anche gli organismi con partecipazione di un socio privato di

minoranza possono soddisfare il criterio del controllo, è d’uopo dedurne che l’eccezione

Teckal si applica non solo alle società proprie, ma anche alle società miste pubblico-private.

Quindi, in linea di principio, il coinvolgimento di imprese private non comporta alcun

pregiudizio.

71. A questo punto è d'uopo rammentare le considerazioni dell’avvocato generale Léger,

che ha ritenuto applicabile l’eccezione Teckal già nel caso di una quota del 50,5% (20) .

72. Ai fini del criterio del controllo elaborato dalla Corte, è comunque necessaria più di

un’influenza dominante ai sensi del diritto societario o quale viene richiesta per la

qualificazione di determinati organismi come amministrazioni aggiudicatrici ai sensi dell'art. 1

di tutte le direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici. Tanto meno è sufficiente

un’influenza dominante ai sensi dell’art. 1, punto 3, in combinato disposto con l’art. 13, della

direttiva 93/38. Infatti, quest’ultima costituisce, in primo luogo, una normativa cosiddetta

settoriale, che non trova analogia nella direttiva applicabile nel caso di specie, e, in secondo

luogo, una disposizione eccezionale, che in linea generale dev’essere interpretata in senso

restrittivo.

73. Né il legislatore comunitario né la Corte hanno fatto riferimento, rispettivamente, nelle

direttive ovvero nella causa Teckal a disposizioni delle direttive in materia di aggiudicazione

di appalti pubblici.

74. Pertanto, il grado d’intensità del controllo richiesto nel caso di specie non può essere

desunto da specifiche disposizioni delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti

pubblici e, a causa della sua natura eccezionale, va al di là dei requisiti posti dalle altre

norme derogatorie.

59

75. In un procedimento pregiudiziale, al giudice nazionale spetta, in primo luogo,

interpretare le disposizioni di diritto nazionale e, in secondo luogo, applicare al caso concreto

queste ed altre disposizioni. Pertanto, il giudice del rinvio dovrà accertare quali diritti spettino

all'ente «supercontrollante», vale a dire la città di Halle, sulla società «pronipote», la RPL.

76. Nell'applicazione del criterio del controllo, il giudice nazionale deve prendere le mosse

dai corrispondenti poteri riconosciuti. Già per motivi di certezza del diritto nessun rilievo può

assumere la questione se e con quali modalità venga esercitato di fatto il controllo o,

addirittura, un pronostico su come il socio di maggioranza impiegherebbe la sua quota, vale

a dire se adotterebbe decisioni anche a sfavore del socio di minoranza. Da questo punto di

vista anche la rilevanza di eventuali obblighi di fedeltà del socio di maggioranza va

ridimensionata, segnatamente perché devono essere presi in considerazione anche i

corrispondenti obblighi di fedeltà del socio di minoranza, così come evidenziato dalla città di

Halle.

77. Per quanto riguarda l’oggetto del controllo, nell’eccezione Teckal la Corte non ha

limitato la validità delle proprie statuizioni a determinate decisioni dell’organismo controllato.

Pertanto, non è sufficiente un controllo delle sole decisioni di affidamento di contratti in

generale o addirittura della specifica decisione di affidamento del contratto in questione.

78. Considerando la formulazione e lo scopo del criterio costituito dal «controllo analogo a

quello esercitato sui propri servizi», occorre piuttosto esigere una possibilità di controllo

esaustiva. In ogni caso tale controllo non deve limitarsi a decisioni strategiche di mercato,

bensì deve comprendere anche singole decisioni di natura gestionale. Non occorre entrare

in dettaglio nel quadro del presente procedimento pregiudiziale, essendo ciò superfluo ai fini

della soluzione della controversia di cui alla causa nazionale.

B – Secondo criterio: svolgimento della parte più importante dell’attività con l'ente che

esercita il controllo

79. Il secondo presupposto che deve essere soddisfatto affinché si applichi l’eccezione

Teckal riguarda le attività dell’organismo controllato. Secondo la formulazione del

corrispondente passaggio della sentenza, l’eccezione si applica solo nel caso in cui questo

organismo «realizzi la parte più importante dellapropriaattività con l’ente o con gli enti locali

che la controllano».

80. Questo criterio può essere generalizzato, in quanto, in primo luogo, si prospetta come

possibile non soltanto la detenzione diretta di quote, ma anche quella indiretta, esercitata

cioè, come nel caso di specie, attraverso una successione di subcontrollate, e, in secondo

luogo, risultano compresi anche soggetti diversi dagli enti territoriali.

60

81. Il criterio sviluppato nella sentenza Teckal riguarda dunque una determinata quota

minima delle attività svolte nel complesso dall’organismo controllato. Di conseguenza, si

tratta di accertare la portata delle attività complessivamente svolte nonché di quelle svolte

per l'ente titolare delle quote inteso in senso ampio.

82. Tuttavia, a questo proposito, occorre osservare che dalla circostanza che la nozione di

ente titolare delle quote non va interpretata in senso troppo restrittivo non si può concludere

che in tal modo siano incluse anche attività prestate a favore di terzi, che però l'ente stesso

dovrebbe altrimenti fornire. Nella pratica ciò riguarda innanzi tutto i servizi di interesse

generale e nella fattispecie segnatamente le amministrazioni comunali, sulle quali grava

l'obbligo di fornire determinate prestazioni nei confronti di determinati soggetti. Tale

questione generale non costituisce l’oggetto del presente procedimento pregiudiziale, in

quanto il giudice del rinvio non necessita di una soluzione in merito per risolvere la

controversia sottopostagli.

83. Occorre inoltre chiarire che assumono rilievo le attività effettive, e non anche le attività

astrattamente consentite dalla legge o dallo statuto sociale, o addirittura le attività che

l’organismo controllato è obbligato a svolgere.

84. Orbene, la questione fondamentale è a partire da quale quota di partecipazione venga

raggiunta la soglia di applicabilità dell’eccezione Teckal. A questo riguardo ci sono diverse

tesi, e nel ventaglio di soluzioni proposte la quota necessaria va da più del 50% a

«considerevole», «decisamente prevalente», «quasi esclusiva», fino ad «esclusiva».

85. Al riguardo, oltre a un criterio positivo, consistente nel determinare la portata delle

prestazioni fornite all'ente che detiene il controllo, viene propugnato anche un criterio

negativo. Secondo tale criterio negativo occorrerebbe considerare l’entità della quota di

prestazioni fornite a soggetti diversi dall'ente che esercita il controllo. Quest’ultima tesi, a

prescindere dal presente procedimento, è quella sostenuta nelle conclusioni presentate

dall’avvocato generale Léger, citate da vari intervenienti. L’avvocato generale sostiene che

«la direttiva è applicabile quando tale ente svolge essenzialmente la propria attività con

operatori o enti territoriali diversi da quelli che compongono tale amministrazione

aggiudicatrice» (21) . Tuttavia, alla luce del criterio positivo scelto nell’eccezione Teckal, nel

caso di specie non occorre soffermarsi ulteriormente sull'approccio negativo.

86. Nondimeno, dal brano citato delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger

emerge un altro aspetto rilevante da prendere in considerazione nell’ambito della

determinazione della quota.

87. Si pone infatti la questione se l’eccezione Teckal consenta solo un criterio di

valutazione quantitativo o se invece occorra tener conto anche di elementi qualitativi.

61

Quest’ultima tesi è corroborata dal tenore e dalla ratio dell’eccezione stessa, che è stata

formulata senza fornire alcuna indicazione circa il modo di valutare le attività. Neppure la

versione autentica del corrispondente passaggio della sentenza Teckal, vale a dire la

versione italiana, esclude un criterio di valutazione qualitativo aggiuntivo o alternativo («la

parte più importante della propria attività»).

88. Del resto l’eccezione Teckal non contiene alcuna indicazione circa il metodo di calcolo

della quota. Pertanto, non è scontato che a tal fine assuma rilievo esclusivo il fatturato.

89. Il giudice nazionale deve dunque accertare qual è la «parte più importante delle

attività» sulla base di elementi quantitativi e qualitativi. Inoltre, anche la posizione sul

mercato dell’organismo controllato potrebbe essere rilevante, vale a dire in particolare la

situazione concorrenziale nei confronti di eventuali concorrenti.

90. Per quanto riguarda le conclusioni dell’avvocato generale Léger citate da molti

intervenienti in relazione al secondo presupposto di cui alla sentenza Teckal, è altresì d’uopo

rammentare che le conclusioni nella lingua scelta dall’avvocato generale quale lingua

originale fanno fede.

91. Partendo da questo principio, dalle conclusioni dell’avvocato generale Léger emerge il

seguente quadro: da un lato, l’avvocato generale si fonda sulla «quasi-exclusivité» delle

prestazioni fornite, mentre nella versione tedesca si incontra l'espressione «sämtliche

Dienstleistungen» [tutte le prestazioni di servizi] (22) . Dall’altro, l’avvocato generale fa leva

sulla versione dell’eccezione Teckal nella lingua processuale, che è l'italiano, e usa le

espressioni «en grande partie», che nella versione tedesca viene reso con «im

Wesentlichen» [sostanzialmente] (23) , o «la plus grande partie de leur activité» («la parte

più importante della propria attività») (24) .

92. Ai fini di una migliore specificazione, molti intervenienti hanno proposto di interpretare

il criterio relativo alla parte più importante dell'attività quale regola applicabile agli affidamenti

di appalti ad imprese che siano collegate all’amministrazione aggiudicatrice. Si tratta della

regola dell’80% di cui all’art. 13 della direttiva 93/38. A motivazione di tale proposta è stato

addotto il carattere «oggettivo» o «congruo» del criterio suddetto.

93. A questo riguardo è d’uopo osservare che anche un’altra percentuale fissa potrebbe

essere oggettiva o congrua. Tuttavia, proprio la rigidità di una percentuale fissa può anche

costituire un ostacolo per una soluzione corretta. Inoltre essa non consente di prendere in

considerazione elementi qualitativi.

94. Alla trasponibilità della regola dell’80% osta soprattutto la circostanza che si tratta di

una disposizione eccezionale contenuta in una direttiva valida solo per taluni settori. La

valutazione ivi compiuta dal legislatore comunitario risulta circoscritta, sulla base dell'intentio

62

legis desumibile, a quella direttiva. Seppure il concetto di fondo dovesse essere

praticamente applicabile anche al di fuori dei detti settori, è tuttavia determinante il fatto che

una siffatta disciplina non è stata adottata nella direttiva applicabile nel caso di specie.

95. Tuttavia, un ulteriore motivo osta ad una trasposizione dell’art. 13 della direttiva 93/38.

Infatti, il paragrafo 2 di detto articolo impone alle autorità aggiudicatrici di fornire alla

Commissione, dietro sua richiesta, talune informazioni. Questa disposizione funge da

contrappeso procedurale all’eccezione disciplinata dall’art. 13. Tuttavia, nel caso

dell’eccezione Teckal la Corte ha preso un’altra direzione e si è accontentata dei due

presupposti di natura sostanziale di cui alla sentenza. Nondimeno tali presupposti vanno

interpretati in maniera restrittiva proprio per la mancanza di analoghe prescrizioni

procedurali.

VII – Conclusione

96. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere le

questioni pregiudiziali nel seguente modo:

1) L’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665/CEE dev’essere interpretato nel senso che gli Stati

membri debbono garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso

determinate decisioni delle autorità aggiudicatrici che vengano adottate al di fuori di una

procedura di aggiudicazione pur essendo correlate ad una determinata acquisizione di beni

o servizi; in tale categoria possono rientrare anche le decisioni relative alla questione, a

carattere preliminare, di procedere ad una determinata acquisizione di beni o servizi senza

svolgimento di una procedura di aggiudicazione.

2) La direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di

aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, va interpretata nel senso che la

partecipazione societaria di un’impresa privata in un organismo, il quale sia controparte

contrattuale dell’amministrazione aggiudicatrice e nel quale quest’ultima abbia una

partecipazione diretta o indiretta, da sola non esclude la non applicazione di tale direttiva.

3) Affinché un organismo controparte con la partecipazione societaria di un socio privato (in

prosieguo: la «società mista a prevalente capitale pubblico») possa considerarsi come

facente parte della pubblica amministrazione ovvero come organismo di gestione economica

dell’amministrazione aggiudicatrice, è determinante la concreta configurazione del rapporto,

mentre non è di per sé decisiva l’entità della partecipazione.

63

Ai fini della detta qualificazione non è sufficiente:

– l’influenza dominante esercitata sulla società mista a prevalente capitale pubblico

dall’amministrazione aggiudicatrice ai sensi degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della

direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di

appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di

trasporto, nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni;

– un ampio potere direttivo unicamente per quanto riguarda le decisioni in materia di

affidamento di appalti in generale o le decisioni in materia di affidamento relative ad

una specifica procedura di acquisizione di beni o servizi.

4) A differenza dell’art. 13 della direttiva 93/38/CEE, per poter qualificare una società mista a

prevalente capitale pubblico come organismo di gestione economica dell’amministrazione

aggiudicatrice, con riferimento al criterio dello svolgimento della «parte più importante della

sua attività in favore dell’autorità aggiudicatrice», non occorre che almeno l’80% del fatturato

medio realizzato nella Comunità dalla società in questione negli ultimi tre anni nel settore dei

servizi derivi dalla fornitura di tali servizi all’autorità aggiudicatrice ovvero ad imprese a

questa collegate o a questa riconducibili, ovvero, qualora la società mista pubblico-privata

non abbia ancora maturato un’attività triennale, che possa prevedersi il rispetto della citata

regola dell’80%.

Ai fini della detta qualificazione, il giudice nazionale deve considerare piuttosto le attività

effettive e, in tale contesto, prendere in considerazione, in particolare, elementi di natura sia

quantitativa che qualitativa.

1 – Lingua originale: il tedesco.

2 – Sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal (Racc. pag. I-8121).

3 – GU L 395, pag. 33, come modificata dall’art. 41 della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1); nella terminologia del giudice del rinvio: «direttiva di coordinamento delle procedure di ricorso».

4 – GU L 209, pag. 1, più volte modificata; nella terminologia del giudice del rinvio: «direttiva di coordinamento degli appalti di servizi».

5 – GU L 199, pag. 84, più volte modificata.

64

6 – Riguardo a procedure di aggiudicazione, v. sentenze 16 ottobre 2003, causa C-421/01, Traunfellner (Racc. pag. I-0000, punto 37), e 4 dicembre 2003, causa C-448/01, EVN e Wienstrom (Racc. pag. I-0000, punto 76). V. inoltre, in particolare, sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia (Racc. pag. 3045, punto 18); 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punto 61); 16 gennaio 1997, causa C-134/95, USSL n. 47 di Biella (Racc. pag. I-195, punto 12), e 7 gennaio 2003, causa C-306/99, BIAO (Racc. pag. I-1, punto 89).

7 – Sentenze Traunfellner (citata alla nota 6, punti 38 e segg.), ed EVN e Wienstrom (citata alla nota 6, punto 83); v. anche sentenza 18 marzo 2004, causa C-314/01, Siemens (Racc. pag. I-0000, punto 36).

8 – Sentenze 28 ottobre 1999, causa C-81/98, Alcatel Austria e a. (Racc. pag. I-7671, punto 35); 18 giugno 2002, causa C-92/00, HI (Racc. pag. I-5553, punto 49), e 19 giugno 2003, causa C-315/01, Gesellschaft für Abfallentsorgungs-Technik GmbH [GAT]/Österreichische Autobahnen und Schnellstraßen AG [ÖSAG] (Racc. pag. I-6351, punto 52).

9 – Sentenza HI (citata alla nota 8, punto 53).

10 – V. in particolare sentenza 23 gennaio 2003, causa C-57/01, Makedoniko Metro e Michaniki (Racc. pag. I-1091, punto 68). V. inoltre sentenze HI (citata alla nota 8, punto 37), e GAT (citata alla nota 8, punto 52).

11 – Sentenze 12 febbraio 2004, causa C-230/02, Grossmann Air Service (Racc. pag. I-0000, punti 25 e segg.), e 19 giugno 2003, causa C-249/01, Hackermüller (Racc. pag. I-6319, punto 18).

12 – Sentenza Grossmann (citata alla nota 11, punto 28).

13 – Sentenza Air Service (citata alla nota 11, punti 29 e segg.).

14 – Sentenza Alcatel Austria (citata alla nota 8, punto 33) (il corsivo è mio); v. anche sentenza 11 agosto 1995, causa C-433/93, Commissione/Germania (Racc. pag. I-2303, punto 23).

15 – Sentenza 15 maggio 2003, causa C-214/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-4667, punti 77 e segg.).

16 – Sentenza Teckal (citata alla nota 2, punto 50) (il corsivo è mio).

17 – Sentenze 7 dicembre 2000, causa C-94/99, ARGE Gewässerschutz (Racc. pag. I-11037, punto 40), e Teckal (citata alla nota 2, punto 50).

18 – V. ordinanza della Corte 14 novembre 2002, causa C-310/01, Comune di Udine e a. (non pubblicata nella Raccolta).

19 – V. per contro l’avvocato generale Léger, che in un paragrafo delle sue conclusioni presentate il 15 giugno 2000 nella causa ARGE Gewässerschutz (sentenza citata alla nota 17, paragrafo 66), pretende addirittura che l’amministrazione aggiudicatrice «che richiede all’operatore la realizzazione di differenti servizi sia precisamente l’ente territoriale che esercita su di esso uno stretto controllo».

65

20 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19; sentenza citata alla nota 17, paragrafo 60).

21 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19, sentenza citata alla nota 17, paragrafo 93) (il corsivo è mio).

22 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19, sentenza citata alla nota 17, paragrafo 74).

23 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19, sentenza citata alla nota 17, paragrafo 81).

24 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19, sentenza citata alla nota 17, paragrafo 83). 6. Legge 15.12.2004, n.308 - Delega Ambientale

Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.

pubblicata nella GU n. 302 del 27 dicembre 2004 - Suppl. Ordinario n. 187

testo in vigore dal: 11-1-2005

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga la seguente legge:

Art. 1.

1. Il Governo e' delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della

presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, uno o piu' decreti

legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti

settori e materie, anche mediante la redazione di testi unici:

a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;

b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche;

c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione;

66

d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie

protette di flora e di fauna;

e) tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente;

f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale

strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC);

g) tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1, nel disciplinare i settori e le materie di cui al

medesimo comma 1, definiscono altresi' i criteri direttivi da seguire al fine di adottare, nel

termine di due anni dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, i necessari

provvedimenti per la modifica e l'integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione e

dei decreti ministeriali per la definizione delle norme tecniche, individuando altresi' gli ambiti

nei quali la potesta' regolamentare e' delegata alle regioni, ai sensi del sesto comma

dell'articolo 117 della Costituzione.

3. I decreti legislativi di cui al comma 1 recano l'indicazione espressa delle disposizioni

abrogate a seguito della loro entrata in vigore.

4. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'ambiente e

della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro

per le politiche comunitarie e con gli altri Ministri interessati, sentito il parere della

Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

5. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo trasmette

alle Camere gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1, accompagnati dall'analisi

tecnico-normativa e dall'analisi dell'impatto della regolamentazione, per l'espressione del

parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari. Ciascuna Commissione

esprime il proprio parere entro trenta giorni dalla data di assegnazione degli schemi dei

decreti legislativi, indicando specificamente le eventuali disposizioni ritenute non conformi ai

principi e ai criteri direttivi di cui alla presente legge. Al fine della verifica dell'attuazione del

principio di cui al comma 8, lettera c), i predetti schemi devono altresi' essere corredati di

relazione tecnica. Il Governo, tenuto conto dei pareri di cui al comma 4 ed al presente

comma, entro quarantacinque giorni dalla data di espressione del parere parlamentare,

ritrasmette alle Camere, con le sue osservazioni e con le eventuali modificazioni, i testi per il

parere definitivo delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro venti giorni

67

dalla data di assegnazione. Decorso inutilmente tale termine, i decreti legislativi possono

essere comunque emanati. Il mancato rispetto, da parte del Governo, dei termini di

trasmissione degli schemi dei decreti legislativi comporta la decadenza dall'esercizio della

delega legislativa.

6. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al

comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge, il Governo

puo' emanare, ai sensi dei commi 4 e 5, disposizioni integrative o correttive dei decreti

legislativi emanati ai sensi del comma 1, sulla base di una relazione motivata presentata alle

Camere dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, che individua le disposizioni

dei decreti legislativi su cui si intende intervenire e le ragioni dell'intervento normativo

proposto.

7. Dopo l'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, eventuali modifiche e

integrazioni devono essere apportate nella forma di modifiche testuali ai medesimi decreti

legislativi.

8. I decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei principi e delle norme

comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle

attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'articolo 117 della

Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.

112, e fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto

speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarieta', ai

seguenti principi e criteri direttivi generali:

a) garanzia della salvaguardia, della tutela e del miglioramento della qualita' dell'ambiente,

della protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse

naturali, della promozione sul piano internazionale delle norme destinate a risolvere i

problemi dell'ambiente a livello locale, regionale, nazionale, comunitario e mondiale, come

indicato dall'articolo 174 del Trattato istitutivo della Comunita' europea, e successive

modificazioni;

b) conseguimento di maggiore efficienza e tempestivita' dei controlli ambientali, nonche'

certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell'ambiente;

c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica;

d) sviluppo e coordinamento, con l'invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che

prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della

68

compatibilita' ambientale, l'introduzione e l'adozione delle migliori tecnologie disponibili,

come definite dalla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, nonche' il

risparmio e l'efficienza energetica, e a rendere piu' efficienti le azioni di tutela dell'ambiente e

di sostenibilita' dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali;

e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di

tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali e

delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza;

f) affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e

riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga";

g) previsione di misure che assicurino la tempestivita' e l'efficacia dei piani e dei programmi

di tutela ambientale, estendendo, ove possibile, le procedure previste dalla legge 21

dicembre 2001, n. 443;

h) previsione di misure che assicurino l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali,

incentivando in particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi, anche

attraverso il potenziamento e il miglioramento dell'efficienza delle autorita' competenti;

i) garanzia di una piu' efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento

e l'integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi

restando i limiti di pena e l'entita' delle sanzioni amministrative gia' stabiliti dalla legge;

l) semplificazione, anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17,

comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle procedure relative agli obblighi di

dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di notificazione in materia ambientale.

Resta fermo quanto previsto per le opere di interesse strategico individuate ai sensi

dell'articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni;

m) riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione,

nell'attuazione dei principi e criteri direttivi ispirati anche alla interconnessione delle

normative di settore in un quadro, anche procedurale, unitario, alla valorizzazione del

controllo preventivo del sistema agenziale rispetto al quadro sanzionatorio amministrativo e

penale, nonche' alla promozione delle componenti ambientali nella formazione e nella

ricerca;

69

n) adozione di strumenti economici volti ad incentivare le piccole e medie imprese ad aderire

ai sistemi di certificazione ambientale secondo le norme EMAS o in base al regolamento

(CE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 e introduzione

di agevolazioni amministrative negli iter autorizzativi e di controllo per le imprese certificate

secondo le predette norme EMAS o in base al citato regolamento (CE) n. 761/2001

prevedendo, ove possibile, il ricorso all' autocertificazione.

9. I decreti legislativi di cui al comma 1 devono essere informati agli obiettivi di massima

economicita' e razionalita', anche utilizzando tecniche di raccolta, gestione ed elaborazione

elettronica di dati e, se necessario, mediante ricorso ad interventi sostitutivi, sulla base dei

seguenti principi e criteri specifici:

a) assicurare un'efficace azione per l'ottimizzazione quantitativa e qualitativa della

produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantita' e la pericolosita';

semplificare, anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma

2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e razionalizzare le procedure di gestione dei rifiuti

speciali, anche al fine di renderne piu' efficace il controllo durante l'intero ciclo di vita e di

contrastare l'elusione e la violazione degli obblighi di smaltimento; promuovere il riciclo e il

riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli

stessi, nonche' il recupero di energia, garantendo il pieno recepimento della direttiva

2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, relativa

all'incenerimento dei rifiuti, ed innovando le norme previste dal decreto del Ministro

dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.

88 del 16 aprile 1998, e successive modificazioni, con particolare riguardo agli scarti delle

produzioni agricole; prevedere i necessari interventi per garantire la piena operativita' delle

attivita' di riciclaggio anche attraverso l'eventuale transizione dal regime di obbligatorieta' al

regime di volontarieta' per l'adesione a tutti i consorzi costituiti ai sensi del decreto legislativo

5 febbraio 1997, n. 22; razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi

urbani, mediante la definizione di ambiti territoriali di adeguate dimensioni all'interno dei quali

siano garantiti la costituzione del soggetto amministrativo competente, il graduale passaggio

allo smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite

procedure di evidenza pubblica; prevedere l'attribuzione al presidente della giunta regionale

dei poteri sostitutivi nei confronti del soggetto competente che non abbia provveduto ad

espletare le gare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al

comma 1, tramite la nomina di commissari ad acta e di poteri sostitutivi al Ministro

dell'ambiente e della tutela del territorio senza altri obblighi nel casti in cui il presidente della

70

giunta regionale non provveda entro quarantacinque giorni; prevedere possibili deroghe,

rispetto al modello di definizione degli ambiti ottimali, laddove la regione predisponga un

piano regionale dei rifiuti che dimostri l'adeguatezza di un differente modello per il

raggiungimento degli obiettivi strategici previsti; assicurare tempi certi per il ricorso a

procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e nazionali e definire

termini certi per la durata dei contratti di affidamento delle attivita' di gestione dei rifiuti

urbani; assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani,

anche mediante una piu' razionale definizione dell'istituto; promuovere la specializzazione

tecnologica delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti speciali, al fine di

assicurare la complessiva autosufficienza a livello nazionale; garantire adeguati incentivi e

forme di sostegno ai soggetti riciclatori dei rifiuti e per l'utilizzo di prodotti costituiti da

materiali riciclati, con particolare riferimento al potenziamento degli interventi di riutilizzo e

riciclo del legno e dei prodotti da esso derivati; incentivare il ricorso a risorse finanziarie

private per la bonifica ed il riuso anche ai fini produttivi dei siti contaminati, in applicazione

della normativa vigente; definire le norme tecniche da adottare per l'utilizzo obbligatorio di

contenitori di rifiuti urbani adeguati, che consentano di non recare pregiudizio all'ambiente

nell'esercizio delle operazioni di raccolta e recupero dei rifiuti nelle aree urbane; promuovere

gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati da amianto; introdurre

differenti previsioni a seconda che le contaminazioni riguardino siti con attivita' produttive in

esercizio ovvero siti dismessi; prevedere che gli obiettivi di qualita' ambientale dei suoli, dei

sottosuoli e delle acque sotterranee dei siti inquinati, che devono essere conseguiti con la

bonifica, vengano definiti attraverso la valutazione dei rischi sanitari e ambientali connessi

agli usi previsti dei siti stessi, tenendo conto dell'approccio tabellare; favorire la conclusione

di accordi di programma tra i soggetti privati e le amministrazioni interessate per la gestione

degli interventi di bonifica e messa in sicurezza;

b) dare piena attuazione alla gestione del ciclo idrico integrato, semplificando i procedimenti,

anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge

23 agosto 1988 n. 400, al fine di renderli rispondenti alle finalita' e agli obiettivi fondamentali

definiti dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36; promuovere il risparmio idrico favorendo

l'introduzione e la diffusione delle migliori tecnologie per l'uso e il riutilizzo della risorsa;

pianificare, programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei

corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi; accelerare la piena

attuazione della gestione del ciclo idrico integrato a livello di ambito territoriale ottimale, nel

rispetto dei principi di regolazione e vigilanza, come previsto dalla citata legge n. 36 del

71

1994, semplificando i procedimenti, precisando i poteri sostitutivi e rendendone semplice e

tempestiva l'utilizzazione; prevedere, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di

trasporto e distribuzione dell'acqua, l'obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione

delle condotte, sia interni che esterni; favorire il ricorso alla finanza di progetto per le

costruzioni di nuovi impianti; prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza

pubblica, le modalita' per la definizione dei meccanismi premiali in favore dei comuni

compresi nelle aree ad elevata presenza di impianti di energia idroelettrica;

c) rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale e finanziario che ostacolino il

conseguimento della piena operativita' degli organi amministrativi e tecnici preposti alla

tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi

piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici; valorizzare il ruolo

e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale; adeguare la

disciplina sostanziale e procedurale dell'attivita' di pianificazione, programmazione e

attuazione di interventi di risanamento idrogeologico del territorio e della messa in sicurezza

delle situazioni a rischio; prevedere meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone

agricole e dei boschi che investono per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel

rispetto delle linee direttrici del piano di bacino; adeguare la disciplina sostanziale e

procedurale della normativa e delle iniziative finalizzate a combattere la desertificazione,

anche mediante l'individuazione di programmi utili a garantire maggiore disponibilita' della

risorsa idrica e il riuso della stessa; semplificare il procedimento di adozione e approvazione

degli strumenti di pianificazione con la garanzia della partecipazione di tutti i soggetti

istituzionali coinvolti e la certezza dei tempi di conclusione dell'iter procedimentale;

d) confermare le finalita' della legge 6 dicembre 1991, n. 394; estendere, nel rispetto

dell'autonomia degli enti locali e della volonta' delle popolazioni residenti e direttamente

interessate, la percentuale di territorio sottoposto a salvaguardia e valorizzazione

ambientale, mediante inserimento di ulteriori aree, terrestri e marine, di particolare pregio;

articolare, con adeguata motivazione, e differenziare le misure di salvaguardia in relazione

alle specifiche situazioni territoriali; favorire lo sviluppo di forme di autofinanziamento

tenendo in considerazione le diverse situazioni geografiche, territoriali e ambientali delle

aree protette; favorire l'uso efficiente ed efficace delle risorse assegnate alle aree protette

dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali; favorire la conclusione di accordi di programma

con le organizzazioni piu' rappresentative dei settori dell'industria, dell'artigianato,

dell'agricoltura, del commercio e del terzo settore, finalizzati allo sviluppo economico-sociale

e alla conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale delle aree; prevedere che, nei

72

territori compresi nei parchi nazionali e nei parchi naturali regionali, i vincoli disposti dalla

pianificazione paesistica e quelli previsti dall'articolo 1-quinquies del decreto-legge 27 giugno

1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, decadano con

l'approvazione del piano del parco o delle misure di salvaguardia ovvero delle misure di

salvaguardia disposte in attuazione di leggi regionali; nei territori residuali dei comuni

parzialmente compresi nei parchi nazionali e nei parchi naturali regionali, provvedere ad una

nuova individuazione delle aree e dei beni soggetti alla disciplina di cui all'articolo 1-

quinquies del citato decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, dalla legge

n. 431 del 1985; armonizzare e coordinare le funzioni e le competenze previste dalle

convenzioni internazionali e dalla normativa comunitaria per la conservazione della

biodiversita';

e) conseguire l'effettivita' delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante

l'adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le

procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l'efficacia delle prescrizioni

delle autorita' competenti e il risarcimento del danno; definire le modalita' di quantificazione

del danno; prevedere, oltre a sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l'ambiente,

anche meccanismi premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano

investimenti per il miglioramento della qualita' dell'ambiente sul territorio nazionale;

f) garantire il pieno recepimento delle direttive 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno

1985, e 97/11/CE del Consiglio, del 3 marzo 1997, in materia di VIA e della direttiva

2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, in materia di VAS

e, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443,

semplificare, anche ì mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma

2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, le procedure di VIA che dovranno tenere conto del

rapporto costi-benefici del progetto dal punto di vista ambientale, economico e sociale;

anticipare le procedure di VIA alla prima presentazione del progetto dell'intervento da

valutare; introdurre un sistema di controlli idoneo ad accertare l'effettivo rispetto delle

prescrizioni impartite in sede di valutazione; garantire il completamento delle procedure in

tempi certi; introdurre meccanismi di coordinamento tra la procedura di VIA e quella di VAS

e promuovere l'utilizzo della VAS nella stesura dei piani e dei programmi statali, regionali e

sovracomunali; prevedere l'estensione della procedura di IPPC ai nuovi impianti,

individuando le autorita' competenti per il rilascio dell'autorizzazione unica e identificando i

provvedimenti autorizzatori assorbiti da detta autorizzazione; adottare misure di

coordinamento tra le procedure di VIA e quelle di IPPC nel caso di impianti sottoposti ad

73

entrambe le procedure, al fine di' evitare duplicazioni e sovrapposizioni; accorpare in un

unico provvedimento di autorizzazione le diverse autorizzazioni ambientali, nel caso di

impianti non rientranti nel campo di applicazione della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del

24 settembre 1996, ma sottoposti a piu' di un'autorizzazione ambientale settoriale;

g) riordinare la normativa in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in

atmosfera, mediante una revisione della disciplina per le emissioni di gas inquinanti in

atmosfera, nel rispetto delle norme comunitarie e, in particolare, della direttiva 2001/ 81/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, e degli accordi internazionali

sottoscritti in materia, prevedendo:

1) l'integrazione della disciplina relativa alle emissioni provenienti dagli impianti di

riscaldamento per uso civile;

2) l'incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili o alternative anche

mediante la disciplina della vendita dell'energia prodotta in eccedenza agli operatori del

mercato elettrico nazionale, prolungando sino a dodici anni il periodo di validita' dei certificati

verdi previsti dalla normativa vigente;

3) una disciplina in materia di controllo delle emissioni derivanti dalle attivita' agricole e

zootecniche;

4) strumenti economici volti ad incentivare l'uso di veicoli, combustibili e carburanti che

possono contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni e al miglioramento della

qualita' dell'aria;

5) strumenti di promozione dell'informazione ai consumatori sull'impatto ambientale del ciclo

di vita dei prodotti che in ragione della loro composizione possono causare inquinamento

atmosferico;

6) predisposizione del piano nazionale di riduzione di cui all'articolo 4, paragrafo 6, della

direttiva 2001/80/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, che

stabilisca prescrizioni per i grandi impianti di combustione esistenti.

10. Per l'emanazione dei regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23

agosto 1988, n. 400, nei casi previsti dalle lettere a), b) ed f) del comma 9, si intendono

norme generali regolatrici della materia i principi previsti dalle medesime lettere per le

deleghe legislative.

74

11. Ai fini degli adempimenti di cui al comma 1 il Ministro dell'ambiente e della tutela del

territorio si avvale, per la durata di un anno, di una commissione composta da un numero

massimo di ventiquattro membri scelti fra professori universitari, dirigenti apicali di istituti

pubblici di ricerca ed esperti di alta qualificazione nei settori e nelle materie oggetto della

delega.

12. La commissione di cui al comma 11 e' assistita da una segreteria tecnica, coordinata dal

Capo dell'ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio o da un suo

delegato e composta da venti unita', di cui dieci scelte anche tra persone estranee

all'amministrazione e dieci scelte tra personale in servizio presso il Ministero dell'ambiente e

della tutela del territorio, con funzioni di supporto.

13. La nomina dei componenti della commissione e della segreteria tecnica di cui ai commi

11 e 12, e' disposta con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, che ne

disciplina altresi' l'organizzazione e il funzionamento. Nei limiti dell'autorizzazione di spesa di

cui al comma 18, con successivo decreto dello stesso Ministro, di concerto con il Ministro

dell'economia e delle finanze, sono stabiliti i compensi spettanti ai predetti componenti.

14. Ai fini della predisposizione dei decreti legislativi, con atto del Ministro dell'ambiente e

della tutela del territorio, sono individuate forme di consultazione delle organizzazioni

sindacali e imprenditoriali e delle associazioni nazionali riconosciute per la protezione

ambientale e per la tutela dei consumatori.

15. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, ogni quattro mesi dalla data di

istituzione della commissione di cui al comma 11, riferisce alle competenti Commissioni

parlamentari sullo stato dei lavori della medesima commissione.

16. Allo scopo di diffondere la conoscenza ambientale e sensibilizzare l'opinione pubblica, in

merito alle modifiche legislative conseguenti all'attuazione della presente legge, e'

autorizzata la spesa di 250.000 euro per l'anno 2004.

17. All'onere derivante dall'attuazione del comma 16, si provvede mediante corrispondente

riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito

dell'unita' previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del

Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando

l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.

75

18. Per l'attuazione dei commi 11 e 12 e' autorizzata la spesa di 800.000 euro per l'anno

2004 e di 500.000 euro per l'anno 2005.

Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai

fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di parte

corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle

finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando, per gli anni 2004 e 2005,

l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.

19. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le

variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione dei commi 17 e 18.

20. All'articolo 36 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni,

dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:

"1-bis. Nei processi di elaborazione degli atti di programmazione del Governo aventi

rilevanza ambientale e' garantita la partecipazione del Ministero dell'ambiente e della tutela

del territorio".

21. Qualora, per effetto di vincoli sopravvenuti, diversi da quelli di natura urbanistica, non sia

piu' esercitabile il diritto di edificare che sia stato gia' assentito a norma delle vigenti

disposizioni, e' in facolta' del titolare del diritto chiedere di esercitare lo stesso su altra area

del territorio comunale, di cui abbia acquisito la disponibilita' a fini edificatori.

22. In caso di accoglimento dell'istanza presentata ai sensi del comma 21, la traslazione del

diritto di edificare su area diversa comporta la contestuale cessione al comune, a titolo

gratuito, dell'area interessata dal vincolo sopravvenuto.

23. Il comune puo' approvare le varianti al vigente strumento urbanistico che si rendano

necessarie ai fini della traslazione del diritto di edificare di cui al comma 21.

24. L'accoglimento dell'istanza di cui ai commi 21 e 22 non costituisce titolo per richieste di

indennizzo, quando, secondo le norme vigenti, il vincolo sopravvenuto non sia

indennizzabile. Nei casi in cui, ai sensi della normativa vigente, il titolare del diritto di

edificare puo' richiedere l'indennizzo a causa del vincolo sopravvenuto, la traslazione del

diritto di edificare su area diversa, ai sensi dei citati commi 21 e 22, e' computata ai fini della

determinazione dell'indennizzo eventualmente dovuto.

76

25. In attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplini in modo

organico la materia, alla lettera a) del comma 29, sono individuate le caratteristiche e le

tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli

produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attivita'

siderurgiche e metallurgiche, nonche' le modalita' affinche' gli stessi siano sottoposti al

regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti.

26. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138,

convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, sono sottoposti al regime

delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla definizione di materia prima

secondaria per attivita' siderurgiche e metallurgiche di cui al comma 1, lettera q-bis),

dell'articolo 6 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dal comma 29, i

rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia

l'obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini

del recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed effettivo

all'impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici.

27. I rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall'estero sono riconosciuti a tutti gli effetti

come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da

fornitori o produttori di Paesi esteri che si iscrivono all'Albo nazionale delle imprese che

effettuano la gestione dei rifiuti con le modalita' specificate al comma 28.

28. E' istituita una sezione speciale dell'Albo nazionale delle imprese che effettuano la

gestione dei rifiuti, di' cui all'articolo 30, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.

22, alla quale sono iscritte le imprese di Paesi europei ed extraeuropei che effettuano

operazioni di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi, elencate nell'allegato C annesso al

medesimo decreto legislativo, per la produzione di materie prime secondarie per l'industria

siderurgica e metallurgica, nel rispetto delle condizioni e delle norme tecniche riportate

nell'allegato 1 al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel

supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998. L'iscrizione e'

effettuata a seguito di comunicazione all'Albo da parte dell'azienda estera interessata,

accompagnata dall'attestazione di conformita' a tali condizioni e norme tecniche rilasciata

dall'autorita' pubblica competente nel Paese di appartenenza. Le modalita' di funzionamento

della sezione speciale sono stabilite dal Comitato nazionale dell'Albo; nelle more di tale

definizione l'iscrizione e' sostituita a tutti gli effetti dalla comunicazione corredata

dall'attestazione di conformita' dell'autorita' competente.

77

29. Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti:

"q-bis) materia prima secondaria per attivita' siderurgiche e metallurgiche: rottami ferrosi e

non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF,

UNI, EURO o ad altre. specifiche nazionali e internazionali, nonche' i rottami scarti di

lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la

raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle

specifiche sopra menzionate;

q-ter) organizzatore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti: l'impresa che

effettua il servizio di gestione dei rifiuti, prodotti anche da terzi, e di bonifica dei siti inquinati

ricorrendo e coordinando anche altre imprese, in possesso dei requisiti di legge, per lo

svolgimento di singole parti del servizio medesimo. L'impresa che intende svolgere l'attivita'

di organizzazione della gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti deve essere iscritta nelle

categorie di intermediazione dei rifiuti e bonifica dei siti dell'Albo previsto dall'articolo 30,

nonche' nella categoria delle opere generali di bonifica e protezione ambientale stabilite

dall'allegato A annesso al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25

gennaio 2000, n. 34";

b) all'articolo 8, comma 1, dopo la lettera f-quater) e' aggiunta la seguente:

"f-quinquies) il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto

dalle norme tecniche UNI 9903-1 (RDF di qualita' elevata), utilizzato in co-combustione,

come definita dall'articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell'industria, del

commercio e dell' artigianato 11 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 292

del 14 dicembre 1999, come sostituita dall'articolo 1 del decreto del Ministro delle attivita'

produttive 18 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 25 marzo 2002, in

impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del

Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60

del 12 marzo 2002";

c) all'articolo 10, dopo il comma 3 e' aggiunto il seguente:

"3-bis. Nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di

raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di rifiuti, indicate rispettivamente

ai punti D 13, D 14, D 15 dell'allegato B, la responsabilita' dei produttori dei rifiuti per il

78

corretto smaltimento e' esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di trasporto,

di cui al comma 3, lettera b), abbiano ricevuto il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato

dal titolare dell'impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D 1 a D 12 del citato

allegato B. Le relative modalita' di attuazione sono definite con decreto del Ministro

dell'ambiente e della tutela del territorio";

d) all'articolo 40, comma 5, le parole: "31 marzo di ogni anno" sono sostituite dalle seguenti:

"31 maggio di ogni anno".

30. Il Governo e' autorizzato ad apportare modifiche al decreto del Presidente del Consiglio

dei ministri 8 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2002,

conseguenti a quanto previsto al comma 29, lettera b).

31. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e' autorizzato ad apportare le

modifiche e integrazioni al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel

supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, finalizzate a

consentire il riutilizzo della lolla di riso, affinche' non sia considerata come rifiuto derivante

dalla produzione dell'industria agroalimentare, nonche' dirette a prevedere, oltre ai

cementifici, le seguenti attivita' di recupero della polvere di allumina, in una percentuale dall'

1 al 5 per cento nella miscela complessiva:

a) produzione di laterizi e refrattari;

b) produzione di industrie ceramiche;

c) produzione di argille espanse.

32. In considerazione del grave pregiudizio arrecato al paesaggio da vasti interventi di

lottizzazione abusiva realizzati nella localita' denominata Punta Perotti nel comune di Bari, il

direttore generale per i beni architettonici e paesaggistici del Ministero per i beni e le attivita'

culturali, verificato il mancato esercizio del potere di demolizione delle opere abusive gia'

confiscate a favore del comune con sentenza penale passata in giudicato, diffida il comune

medesimo a provvedere entro il termine di sessanta giorni, invitando la regione Puglia ad

esercitare, ove occorra, il potere sostitutivo. Il direttore generale, accertata l'ulteriore inerzia

del comune, nonche' il mancato esercizio del potere sostitutivo da parte della regione,

provvede agli interventi di demolizione, avvalendosi a tal fine delle strutture tecniche del

Ministero della difesa, previa convenzione.

79

33. Per l'esecuzione della demolizione di cui al comma 32 il Ministero per i beni e le attivita'

culturali si avvale delle anticipazioni e delle procedure di cui all'articolo 32, comma 12, del

decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24

novembre 2003, n. 326. Per le medesime finalita', possono essere utilizzate le somme

riscosse ai sensi del comma 38, secondo periodo, nonche', previa intesa tra il Ministero per i

beni e le attivita' culturali e la regione Puglia, le somme riscosse dalla regione ai sensi

dell'articolo 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e ai sensi dell'articolo 167 del

decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

34. Il Ministero per i beni e le attivita' culturali, d'intesa con la regione Puglia ed il comune di

Bari e sentito il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, effettuata la demolizione,

procede all'elaborazione del progetto di recupero e di riqualificazione paesaggistica

dell'area. Per l'esecuzione di tali interventi la regione o i comuni interessati utilizzano le

somme riscosse ai sensi dell'articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004, ovvero altre

somme individuate dalla regione.

35. Con uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro

per i beni e le attivita' culturali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del

territorio, o della regione interessata, sono individuati ulteriori opere o interventi realizzati da

sottoporre ad interventi di demolizione, secondo le procedure e le modalita' di cui ai commi

32, 33 e 34. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 2 della legge 9 dicembre 1998,

n. 426.

36. Al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 167, comma 3, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Laddove l'autorita'

amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d'ufficio, il direttore regionale

competente, su richiesta della medesima autorita' amministrativa ovvero, decorsi centottanta

giorni dall'accertamento dell'illecito, previa diffida alla suddetta autorita' competente a

provvedervi nei successivi trenta giorni, procede alla demolizione avvalendosi delle modalita'

operative previste dall'articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,

n. 380, a seguito di apposita convenzione stipulata d'intesa tra il Ministero per i beni e le

attivita' culturali e il Ministero della difesa.";

b) all'articolo 167, il comma 4 e' sostituito dal seguente:

80

4. Le somme riscosse per effetto dell'applicazione del comma 1, nonche' per effetto

dell'articolo 1, comma 38, secondo periodo, della legge recante: "Delega al Governo per il

riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure

di diretta applicazione" sono utilizzate, oltre che per l'esecuzione delle rimessioni in pristino

di cui al comma 3, anche per finalita' di salvaguardia nonche' per interventi di recupero dei

valori paesaggistici e di riqualificazione degli immobili e delle aree degradati o interessati

dalle rimessioni in pristino. Per le medesime finalita' possono essere utilizzate anche le

somme derivanti dal recupero delle spese sostenute dall'amministrazione per l'esecuzione

della rimessione in pristino in danno dei soggetti obbligati, ovvero altre somme a cio'

destinate dalle amministrazioni competenti.";

c) all'articolo 181, dopo il comma 1, sono aggiunti i seguenti:

"1-bis. La pena e' della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1:

a) ricadano su immobili od aree che, ai sensi dell'articolo 136, per le loro caratteristiche

paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito

provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;

b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'articolo 142 ed abbiano

comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria

della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima

superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una

nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.

b) 1-ter. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative ripristinatorie o

pecuniarie di cui all'articolo 167, qualora l'autorita' amministrativa competente accerti

la compatibilita' paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la

disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformita' dall'autorizzazione paesaggistica, che

non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di

quelli legittimamente realizzati;

b) per l'impiego di materiali in difformita' dall'autorizzazione paesaggistica;

c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai

sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.

380.

81

1-quater. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area

interessati dagli interventi di cui al comma 1-ter presenta apposita domanda all'autorita'

preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilita'

paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorita' competente si pronuncia sulla

domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della

soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.

1-quinquies. La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli

paesaggistici' da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorita'

amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al

comma 1".

37. Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004

senza la prescritta autorizzazione o in difformita' da essa, l'accertamento di compatibilita'

paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all'autorizzazione

eventualmente rilasciata, comporta l'estinzione del reato di cui all'articolo 181 del decreto

legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti

condizioni:

a) che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli

indicati nell'eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli

strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati

compatibili con il contesto paesaggistico;

b) che i trasgressori abbiano previamente pagato:

1) la sanzione pecuniaria di cui all'articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004,

maggiorata da un terzo alla meta';

2) una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata, dall'autorita' amministrativa

competente all'applicazione della sanzione di cui al precedente numero 1), tra un

minimo di tremila euro ed un massimo di cinquantamila euro.

38. La somma riscossa per effetto della sanzione di cui al comma 37, lettera b), numero

1), e' utilizzata in conformita' a quanto disposto dall'articolo 167 del decreto legislativo n.

42 del 2004. La somma determinata ai sensi del comma 37, lettera b), numero 2), e'

riscossa dal Ministero dell'economia e delle finanze e riassegnata alle competenti unita'

previsionali di base dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le

82

attivita' culturali per essere utilizzata per le finalita' di cui al comma 33 e al comma 36,

lettera b).

39. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area

interessati all'intervento, presenta la domanda di accertamento di compatibilita'

paesaggistica all'autorita' preposta alla gestione del vincolo entro il termine perentorio del

31 gennaio 2005. L'autorita' competente si pronuncia sulla domanda, previo parere della

soprintendenza.

40. All'articolo 34 del codice della navigazione, le parole: "dell'amministrazione

interessata" sono sostituite dalle seguenti: "dell'amministrazione statale, regionale o

dell'ente locale competente".

41. A decorrere dall'anno 2004 le spese di funzionamento delle Autorita' di bacino di

rilievo nazionale sono iscritte in una specifica unita' previsionale di base dello stato di

previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.

42. Al fine di migliorare, incrementare ed adeguare agli standard europei, alle migliori

tecnologie disponibili ed alle migliori pratiche ambientali gli interventi in materia di tutela

delle acque interne, di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, nonche' di aumentare

l'efficienza di detti interventi anche sotto il profilo della capacita' di utilizzare le risorse

derivanti da cofinanziamenti dell'Unione europea, e' istituita, presso il Ministero

dell'ambiente e della tutela del territorio, una segreteria tecnica composta da non piu' di

ventuno esperti di elevata qualificazione, nominati con decreto del Ministro dell'ambiente

e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il

quale ne e' stabilito anche il funzionamento. Per la costituzione ed il funzionamento della

predetta segreteria e' autorizzata la spesa di 450.000 euro per l'anno 2004, di 500.000

euro per l'anno 2005 e di un milione di euro a decorrere dall'anno 2006.

43. All'onere derivante dall'attuazione della disposizione del comma 42 si provvede

mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale

2004-2006, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale"

dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo

scopo parzialmente utilizzando per gli anni 2004-2006 l'accantonamento relativo al

Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.

83

44. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri

decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione del comma 43.

45. Al fine di consentire la prosecuzione degli accordi di programma in materia di

sviluppo sostenibile e di miglioramento della qualita' dell'aria, anche attraverso l'utilizzo e

l'incentivazione di veicoli a minimo impatto ambientale, e' autorizzata la spesa di 50

milioni di euro per ciascuno degli anni 2003, 2004 e 2005.

46. All'onere derivante dall'attuazione del comma 45 si provvede quanto a 50 milioni di

euro per l'anno 2003 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini

del bilancio triennale 2003-2005, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di conto

capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle

finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al

Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 50 milioni di euro per

ciascuno degli anni 2004 e 2005, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento

iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unita' previsionale di base

di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e

delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento

relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.

47. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri

decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione del comma 46.

48. All'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al

decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, sono apportate le

seguenti modifiche:

a) dopo il comma 1, e' inserito il seguente:

"1-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del trasporto

pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e

successive modificazioni.";

b) dopo il comma 2, e' inserito il seguente:

"2-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli impianti di trasporti a

fune per la mobilita' turistico-sportiva eserciti in aree montane".

84

49. Dall'attuazione del comma 48 non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza

pubblica.

50. Al fine di adeguare le strutture operative dell'Istituto centrale per la ricerca scientifica

e tecnologica applicata al mare (ICRAM) alle esigenze di una maggiore presenza sul

territorio anche a supporto tecnico degli enti locali nel coordinamento delle attivita' a

livello locale nelle aree marine protette, negli scavi portuali e nella pesca, anche

attraverso l'apertura di sedi decentrate ovvero di laboratori locali di ricerca, e' autorizzata

per il triennio 2003-2005 la spesa di 7.500.000 euro annui.

51. All'onere derivante dall'attuazione del comma 50 si provvede quanto a 7,5 milioni di

euro per l'anno 2003 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini

del bilancio triennale 2003-2005, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di conto

capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e' delle

finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al

Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 7,5 milioni di euro per

ciascuno degli anni 2004 e 2005, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento

iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unita' previsionale di base

di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e

delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento

relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.

52. Al fine di garantire la messa in sicurezza di emergenza e per la bonifica dei terreni e

delle falde delle aree ex depositi POL della Marina Militare, zona "Celle" e zona

"Cimitero" e della Aeronautica Militare, zona "Vecchia delle Vigne", nell'ambito

dell'attuazione del piano intermodale dell'area Flegrea, e' autorizzata la spesa di 4 milioni

di euro per l'anno 2003, di 10 milioni di euro per l'anno 2004 e di 5 milioni di euro per

l'anno 2005.

53. All'onere derivante dall'attuazione del comma 52 si provvede quanto a 4 milioni di

euro per l'anno 2003, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai

fini del bilancio triennale 2003-2005, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di conto

capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle

finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al

Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 10 milioni di euro per l'anno

2004 e a 5 milioni di euro per l'anno 2005 mediante corrispondente riduzione dello

85

stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unita'

previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del

Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente

utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del

territorio.

54. Il Ministro delIeconomia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri

decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione dei commi 51 e 53.

7. Consiglio di Stato, sez. V. ord. 2316/04

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE Sezione Quinta ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 6265 del 2003, proposto dalla SABA Italia s.p.a., rappresentata e difesa dagli

avv.ti Ugo Ferrari e Giustino Ciampoli, elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, via

P.A. Micheli 78

contro

il Comune di Bolzano, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ettore Prosperi e Marco Cappello

ed elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, Via Panisperna n. 104, e

la SEAB s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Manfred Schullian e Maurizio Calò,

elettivamente domiciliata presso il secondo in Roma, via Antonio Gramsci, 36

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa per il Trentino – Alto

Adige, Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano, 20 maggio 2003 n. 211, resa tra le

parti.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano e della SEAB s.p.a.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

86

Relatore alla pubblica udienza del 27 gennaio 2004 il consigliere Marzio Branca, e uditi gli

avvocati Ferrari, Cappello e Totino per delega dell’avv. Calò .

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dalla SABA Italia s.p.a. per

l’annullamento di tutti i provvedimenti con i quali il Comune di Bolzano ha esercitato il

recesso dalla convenzione stipulata con la SABA Italia s.p.a. per la gestione dei parcheggi a

pagamento, e, con deliberazione del Consiglio comunale 17 dicembre 2002, n. 124, ha

affidato il medesimo servizio alla SEAB s.p.a., con decorrenza 1 gennaio 2003. Con la

stessa sentenza è stato respinta anche la domanda relativa al risarcimento del danno.

In particolare, la ricorrente aveva dedotto che l’affidamento di servizi pubblici ad una società

per azioni, a capitale interamente comunale, come la SEAB, senza espletamento di

procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, si poneva in contrasto le norme

di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato dell’Unione Europea, che tutelano principio di

non discriminazione, la libertà nella prestazione dei servizi pubblici e il principio della libera

concorrenza.

La Sezione autonoma di Bolzano ha ritenuto che tale vizio non si configurasse, allegando la

giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità che ha escluso l’applicazione delle

regole della libera concorrenza per i casi di “in house providing”, riconoscibili dal fatto che

l’Amministrazione esercita sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri

servizi (sentenza 18 novembre 1999 in causa 197/98 Teckal s.r.l. c. Comune di Aviano; 9

settembre 1999 in causa 108/98 Risan c. Comune di Ischia). Il possesso del 100% del

capitale sociale garantirebbe tale forma di controllo.

Avverso la decisione la SABA Italia s.p.a. ha proposto appello, chiedendone la riforma.

Il Comune di Bolzano e la s.p.a. SEAB si sono costituite in giudizio per resistere al gravame

Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2004 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ha rilevo preliminare la doglianza con la quale la ricorrente in primo grado, e odierna

appellante, ha lamentato che l’affidamento di servizi pubblici ad una società per azioni, a

capitale interamente comunale, come l’attuale controinteressata, senza espletamento di

procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, si porrebbe in contrasto le

87

norme posto che il Comune è amministrazione aggiudicatrice a norma dell’art. 1 lett. a) della

Direttiva citata dell’Unione Europea, che stabiliscono il divieto di discriminazione, la libertà

nella prestazione dei servizi pubblici e la libera concorrenza.

L’appellante non ignora che le norme dell’ordinamento della Regione Trentino – Alto Adige

(art. 44 della legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1, nel testo sostituito dall’art. 10, comma 1,

della legge regionale 23 ottobre 1998, n.10;) consentono l’affidamento diretto del servizio

pubblico ad una società per azioni, o a responsabilità limitata, alla condizione che vi sia

“influenza dominante pubblica” (art. 44 cit. comma 6, lett. b), e ciò si verifica quando i comuni

“detengono un numero di azioni tali da consentire di disporre della maggioranza dei diritti di

voto nell’assemblea ordinaria, ovvero quando lo statuto della società preveda il diritto di

nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, sempre che il comune

detenga almeno il venti per cento del capitale” (comma 10).

Si esprime, tuttavia, il dubbio che tali disposizioni non siano compatibili con i principi del

Trattato UE con particolare riguardo al divieto di discriminazione, alla libera prestazione dei

servizi pubblici ed alla libera concorrenza.

Il Collegio condivide tale dubbio e ritiene opportuno la remissione alla Corte di giustizia ai fini

di una pronuncia pregiudiziale (v., in caso molto simile, Tribunale di Giustizia Amministrativa

per il Trentino- Alto Adige, Sezione Autonoma di Bolzano, ord. 27 settembre 2003 n. 25,

estratto in G.U.C.E. 10 gennaio 2003, C. 7/23).

Il problema della compatibilità con l’ordinamento comunitario dell’affidamento di servizi

pubblici a società per azioni a capitale pubblico, totale o maggioritario, cosiddetto “in house

providing” non sembra sia stato esaminato dalla Corte di Giustizia assumendo come

parametro diretto di giudizio le norme del Trattato medesimo citate in precedenza.

E’ nota la pronuncia pregiudiziale 18 novembre 1999 adottata in causa 107/98, Teckal s.r.l.

c. Comune di Aviano. Era stato chiesto se, a norma della Direttiva CEE 93/36, doveva farsi

luogo alla procedura di gara per l’affidamento di un appalto pubblico di fornitura,

considerando che era stato prescelto con trattativa diretta un soggetto consortile cui

l’Amministrazione committente partecipava con proprio capitale. Nella detta pronuncia

(punto 50) la Corte ha affermato che, essendo il Comune amministrazione aggiudicatrice a

norma dell’art. 1 lett. a) della Direttiva 93/36 CEE, la relativa normativa doveva essere

applicata, quindi occorreva bandire una gara, se, secondo la valutazione del giudice a quo,

si trattava di due soggetti distinti tra i quali si era concluso un contratto configurabile come

appalto. “Può avvenire diversamente - ha soggiunto la Corte - solo nel caso in cui, nel

contempo, l’Ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello che

88

da esso esercitato sui propri servizi, e questa persona realizzi la parte più importante della

propria attività con l’Ente o con gli Enti locali che la controllano.”.

L’espressione usata dalla Corte “..controllo analogo a quello da esso esercitato suo propri

servizi …” propone un nuovo problema interpretativo, dovendosi stabilire quando il controllo

esercitato presenti le caratteristiche volute dalla sentenza.

Più specificamente si tratta di capire se il possesso dell’intero capitale del soggetto

affidatario, nella specie una società per azioni, possa garantire quella situazione di

dipendenza organica che normalmente si realizza nell'organizzazione burocratica di una

pubblica amministrazione.

Occorre notare che la Commissione della U.E. ha avuto occasione di esprimere il proprio

autorevole avviso sul punto con la nota 26 giugno 2002, diretta al Governo Italiano per

sollecitare ulteriori modificazioni all’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito

dall’art. 35 comma 1, della legge n. 448 del 2001, nel quale si riscontravano disposizioni non

conformi ai principi di diritto comunitario invocati anche nella presente fattispecie

Si legge nella detta nota: “ 34. Per quanto riguarda in particolare la nozione di “controllo

analogo a quello esercitato sui propri servizi” di cui alla giurisprudenza in discorso, la

Commissione sottolinea che affinché tale tipo di controllo sussista non è sufficiente il

semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole

proprie del diritto societario.

35. Il controllo contemplato nella sentenza Teckal fa infatti riferimento ad un rapporto che

determina, da parte dell’amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione,

coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme

dei più importanti atti di gestione del medesimo.”.

La commissione sembra alludere, quindi, ad un fenomeno giuridico assimilabile a quello

delle aziende municipalizzate di cui al r.d. 15 ottobre 1925 n.2578, nel quale si istituiva un

nuovo soggetto, con capacità giuridica propria e propri organi, sottoposto peraltro a

penetranti poteri di vigilanza da parte dell’Amministrazione (art. 16 e ss. R.D. n. 2578/1925).

Tale esperienza, d’altra parte, era caratterizzata dall’obbligo dell’azienda di svolgere la

propria attività mediante contratti, scegliendo il contraente con procedure ad evidenza

pubblica (art. 57 e ss. del Regolamento di cui al d.P.R. 4 ottobre 1986 n. 902).

L’affidamento diretto a società per azioni, del tutto autonome, salvo l’esercizio dei poteri

propri del possessore della maggioranza delle azioni, secondo le norme del diritto

commerciale comune, sembra esporre la gestione delle pubbliche risorse a procedure

diverse da quelle destinate a garantire una crescita del mercato interno, l’economia nelle

spese e il vantaggio per l’utenza.

89

E’ da aggiungere che la soluzione del quesito in esame non esplica effetti solo sulla

applicabilità della normativa della Regione Trentino-Alto Adige, perché anche la legislazione

dello Stato consente ora la deroga al metodo di scelta del contraente mediante procedura ad

evidenza pubblica. Con l’art. 14 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24

novembre 2003 n. 326 è stato nuovamente modificato l’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 (

testo unico delle leggi sugli enti locali) concernente la disciplina dei servizi pubblici, già

modificato, come accennato in precedenza con l’art. 35 della legge 20 dicembre 2001 n.

448. Il comma 5 è stato interamente sostituito con una disposizione che, alla lettera c),

riproducendo alla lettera le espressioni della sentenza Teckal, ammette il conferimento del

servizio “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici

titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui

propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente

o gli enti pubblici che la controllano.”.

Si riscontra un impiego sempre più frequente della detta deroga, e ciò comporta la

sottrazione di aree assai ampie di attività economiche all’iniziativa imprenditoriale privata, in

contrasto la stessa ragion d’essere dell’Unione Europea.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, sospende il giudizio e rimette

gli atti alla Corte di giustizia della Comunità Europea, a sensi dell’art. 234 del Trattato

istitutivo, ai fini della pronuncia pregiudiziale sul seguente quesito:

se è compatibile col diritto comunitario, in particolare con la libertà della prestazione di

servizi, il divieto di discriminazione e l’obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera

concorrenza, di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l’affidamento diretto, ossia in

deroga ai sistemi di scelta del contraente di cui alla Direttiva 92/50 CEE, della gestione di

parcheggi pubblici a pagamento, ad una società per azioni, a capitale interamente pubblico,

ai sensi dell’art. 44, comma 6, lett. b) della legge della Regione Trentino-Alto Adige 4.1.1993,

n. 1, modificato dall’art. 10 della legge regionale del 23.1.1998, n. 10.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 gennaio 2004 con l'intervento dei

magistrati:

Agostino Elefante Presidente Klaus Dubis Consigliere Rosalia Bellavia Consigliere Corrado Allegretta Consigliere Marzio Branca Consigliere est.

90

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F.to Marzio Branca F.to Agostino Elefante IL SEGRETARIO F.to Gaetano Navarra

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 22 aprile 2004 (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) IL DIRIGENTE F.to Antonio Natale 8. TAR Puglia, sez. III. ord. 08.09.2004

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sezione Terza ha pronunciato la seguente

ORDINANZA sul ricorso nr. 459 del 2004 proposto dall’Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori –

A.N.A.V., in proprio ed in rappresentanza delle aziende associate con sede legale in Roma

alla piazza dell’Esquilino, 29, in persona del Presidente dott. ing. Nicola Proto, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Colapinto ed

elettivamente domiciliata presso lo stesso in Bari alla via Roberto da Bari, 96,

CONTRO

il Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti

Biancalaura Capruzzi e Rosa Cioffi e con le stesse elettivamente domiciliato in Bari alla via

Principe Amedeo, 152, presso l’Avvocatura Comunale,

nonché nei confronti - dell’A.M.T.A.B. Servizio S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Gennaro Notarnicola ed elettivamente domiciliata presso lo

stesso in Bari alla via De Rossi, 16;

- della Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, non costituita nel presente

giudizio;

per l’annullamento

91

della deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Bari nr. 2003/00238 d’ordine del

18.12.2003, affissa e pubblicata all’albo pretorio dal 19.12.2003 al 2.1.2004, ad oggetto:

“Affidamento alla società A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. del servizio di trasporto pubblico urbano

locale nel Comune di Bari per il periodo 1 gennaio 2004/31 dicembre 2012. Approvazione

relativi atti ed approvazione della spesa conseguente”, nonché di ogni atto e/o

provvedimento presupposto connesso e consequenziale, ancorché non conosciuti, ed in

particolare della decisione della G.M. del Comune di Bari del 9.10.2003, anch’essa non nota,

di:

a) non proseguire la gara per l’affidamento del servizio in virtù del D.L. nr. 269 del 30.9.2003;

b) proseguire la privatizzazione all’esito dell’affidamento del servizio.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione dell’Amministrazione intimata e della controinteressata A.M.T.A.B.

Servizio S.p.A.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 22.7.2004, il Referendario, dott. Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Colapinto per la ricorrente, l’avv. Capruzzi per l’Amministrazione e l’avv.

Notarnicola per la controinteressata;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO Con ricorso notificato il 1 marzo 2004, depositato il 9 marzo 2004, l’Associazione Nazionale

Autotrasporto Viaggiatori (A.N.A.V.), premesso di rappresentare per statuto le imprese

esercenti servizi di trasporto viaggiatori, nazionali ed internazionali, nonché servizi

riconducibili all’attività di trasporto, ed in tale qualità di curare – tra l’altro - l’interesse delle

società affidatarie del servizio pubblico urbano ed extraurbano al corretto svolgimento del

servizio stesso, ha impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati, relativi all’affidamento del

servizio di trasporto pubblico locale nel Comune di Bari per il periodo 2004-2012.

In particolare, con la deliberazione consiliare in epigrafe, l’Amministrazione comunale ha

deciso di non proseguire la gara già indetta per l’affidamento del servizio, essendo entrata in

vigore nelle more la disciplina di cui all’art. 14 D.L. nr. 269/03, sulla base della quale ha

ritenuto di affidare il servizio stesso alla A.M.T.A.B. S.p.A., società il cui capitale sociale è

interamente di proprietà del Comune di Bari, avente come sola ed esclusiva attività

l’erogazione del servizio di trasporto pubblico locale nella città di Bari e sottoposta a totale

controllo da parte della stessa Amministrazione in virtù del Contratto di Servizio e degli

92

ulteriori strumenti di controllo di cui il Comune si è dotato con la deliberazione di G.M. nr.

550 del 10.5.2001.

Avverso tale provvedimento, la ricorrente ha dedotto specificamente:

Violazione per mancata e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 3, 16, 43, 49,

50, 51, 70, 71, 72, 81, 82, 86, 87 e segg. del Trattato CE; Violazione per mancata

applicazione dell’art. 24 co. VIII L. nr. 448/01, del D. Lgs. nr. 442/97, del Regolamento CE nr.

1191/69 nonché delle Direttive CE nn. 93/38 e 92/50; Violazione dei principi di diritto

comunitario in subiecta materia; Eccesso di potere per difetto di istruttoria; Travisamento dei

fatti; Illogicità: con l’art. 14 del D. L. nr. 269/03 (convertito, con modifiche, nella legge

24.11.2003, nr. 326) è stata attuata una vera e propria controriforma del settore dei servizi

pubblici locali, in precedenza incamminato verso la strada della liberalizzazione e della

concorrenza a seguito delle leggi di settore e dell’art. 35 L. nr. 448/01; tale ultima norma era

intervenuta a modificare gli artt. 113 e 113bis D. Lgs. nr. 267/00, a seguito delle reiterate

sollecitazioni della Commissione delle Comunità Europee, al fine di ampliare al massimo

l’applicazione, sia in sede di affidamento della gestione delle reti e degli impianti che in sede

di affidamento del servizio, dei principi di pubblicità e concorrenza, rendendo generale la

regola del ricorso a gara ad evidenza pubblica per l’affidamento di appalti o concessioni

aventi ad oggetto la gestione di servizi pubblici, in conformità ai principi ricavabili dal Trattato

e dalle Direttive comunitarie. Al riguardo la Corte di Giustizia ha enunciato il principio

secondo cui l’applicazione di tali principi in subiecta materia può essere esclusa nelle sole

ipotesi eccezionali in cui il servizio sia svolto direttamente dall’Amministrazione, ovvero

affidato a società sulla quale essa eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri

servizi, e che realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti

locali che la controllano (c.d. affidamento in house).

L’art. 14 del D.L. nr. 269/03, generalizzando tale ultima ipotesi, ha aperto la strada, a dire

della ricorrente, ad una vera e propria “occupazione” del mercato in numerosi settori da

parte delle imprese pubbliche locali, in maniera non conforme allo spirito dell’art. 86 del

Trattato, alla cui stregua sono ammissibili deroghe alle regole della concorrenza nella

gestione di servizi di interesse economico generale solo in quanto si giustifichino per

l’adempimento della “missione” che le imprese affidatarie devono svolgere (ipotesi che non

sembra ricorrere nel caso di specie);

Illegittimità costituzionale dell’art. 14 co. I e II, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.: le

disposizioni sopra indicate sono incostituzionali in quanto dettano una disciplina dettagliata

ed autoapplicativa in un settore (quello dei servizi pubblici locali) che l’art. 117 Cost. non

riserva alla legislazione esclusiva dello Stato, non potendosi ritenere tale disciplina

93

giustificata dalle competenze “trasversali” dello Stato di cui al capoverso dell’art. 117, ed in

particolare non dalla “tutela della concorrenza” (art. 117 co. II lett. e), essendo questa

nozione, inerente alla valutazione dell’impatto concorrenziale della condotta degli operatori

economici, ben diversa da quella di “promozione della concorrenza”, che riguarda invece la

necessità di adottare discipline tese a conseguire la parità di trattamento tra gli operatori e a

correggere le carenze del mercato, e che non risulta riservata in via esclusiva allo Stato;

Violazione per falsa applicazione dell’art. 14 D.L. nr. 269/03; Eccesso di potere per difetto di

istruttoria, travisamento dei fatti: l’affidamento del servizio alla A.M.T.A.B. Servizio S.p.A.,

per cui è processo, non risulta rispettoso dei parametri individuati dalla giurisprudenza

comunitaria per l’affidamento in house e della stessa disciplina legislativa: in particolare, al di

là delle disposizioni dello statuto dell’A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. tali da far dubitare che

effettivamente sussista il totale controllo della stessa da parte dell’Ente pubblico, la presenza

nel contratto di servizio di clausole integranti un sistema di penali ed incentivi economici, di

clausole arbitrali disciplinanti le procedure di composizione delle eventuali controversie, di

rapporti finanziari certi e definiti nel tempo e nella quantità consente di escludere la

riconducibilità dell’affidamento in oggetto a quello schema (che, secondo l’opinione

consolidata, comporta l’equiparabilità del rapporto sottostante a quello di una delega

interorganica);

Violazione di legge (art. 113 co. Vbis D. Lgs. nr. 267/00 introdotto dall’art. 4 co. CCIIIIV L. nr.

350/03): alla stregua di tale disciplina – da considerarsi immediatamente applicabile – la

scelta tra i diversi modelli di affidamento non è rimessa alla integrale discrezionalità

dell’Amministrazione, ma deve essere orientata dall’esigenza di assicurare concorrenzialità

nel settore di riferimento e superare assetti monopolistici, con la conseguente necessità,

disattesa nel caso di specie, di una puntuale motivazione in ordine alla scelta di non

procedere a gara ad evidenza pubblica;

Eccesso di potere per travisamento dei fatti; Erroneità e falsità dei presupposti; Difetto

d’istruttoria: la deliberazione di G.R. nr. 1720 del 6.11.2002, con la quale era stato approvato

il Piano Triennale dei Servizi, nonché l’ulteriore deliberazione nr. 248/03, con la quale fu

approvato anche il contratto-tipo sottoscritto tra il Comune di Bari e l’A.M.T.A.B. Servizio

S.p.A., sono state annullate da questo Tribunale con sentenza nr. 4331 del 27.11.2003;

Violazione dell’art. 97 Cost.: l’azione amministrativa del Comune di Bari, per tutto quanto

sopra evidenziato, si è svolta in contrasto con i principi costituzionali di imparzialità e buon

andamento dell’attività amministrativa.

94

Chiede pertanto la ricorrente l’annullamento dei provvedimenti impugnati, previa

disapplicazione, in parte qua, dell’art. 14 D.L. nr. 269/03 siccome contrastante con la

normativa comunitaria.

La controinteressata A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. si è costituita in data 15 aprile 2004,

chiedendo genericamente che il ricorso sia dichiarato inammissibile, o comunque rigettato.

L’Amministrazione intimata si è costituita in data 25 giugno 2004, chiedendo, anch’essa

genericamente, che il ricorso sia dichiarato inammissibile, improcedibile e comunque

infondato.

Entrambe le parti resistenti hanno poi depositato, in data 16 luglio 2004, articolate memorie

con le quali hanno puntualmente replicato alle censure di parte ricorrente, ed inoltre

l’Amministrazione ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per omessa

impugnazione di atti presupposti immediatamente lesivi.

All’udienza del 22 luglio 2004, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO 1. Il ricorso all’esame ha ad oggetto la vicenda amministrativa relativa all’affidamento del

servizio di trasporto pubblico locale nel territorio del Comune di Bari per il periodo 2004-

2012.

In un primo tempo, l’Amministrazione comunale aveva avviato la procedura di gara ad

evidenza pubblica per l’affidamento del servizio, all’uopo emanando la deliberazione di G.M.

nr. 621 del 17.7.2003, nella quale si faceva espresso richiamo agli schemi-tipo di contratto a

suo tempo approvati dalla Regione.

Successivamente, è intervenuta la deliberazione consiliare nr. 238/03, oggetto dell’odierna

impugnazione, con la quale l’Amministrazione ha mutato avviso, dichiaratamente a seguito

dell’entrata in vigore dell’art. 14 D.L. nr. 269/03, deliberando in particolare:

a) di abbandonare la procedura di evidenza pubblica già avviata;

b) di affidare il servizio direttamente alla società A.M.T.A.B. Servizio S.p.A., ritenuta in

possesso dei requisiti richiesti dalla disposizione sopra citata per l’affidamento diretto.

Avverso tale determinazione è insorta l’associazione A.N.A.V., rappresentativa delle imprese

esercenti attività di trasporto pubblico, articolando diverse censure, inerenti sia all’asserita

illegittimità del provvedimento de quo rispetto alla normativa richiamata, sia – soprattutto – al

lamentato contrasto di quest’ultima con i principi comunitari in subiecta materia.

Il Collegio ritiene che l’esame di quest’ultima problematica sia prioritario rispetto

all’approfondimento delle ulteriori questioni sollevate nel ricorso introduttivo: con il primo

motivo di ricorso, infatti, si chiede dichiararsi l’illegittimità della citata delibera nr. 238/03,

95

previa disapplicazione dell’art. 14 D.L. nr. 269/03, ritenuto dalla ricorrente contrastante con

la normativa comunitaria.

È indispensabile, pertanto, prendere le mosse da un accurato esame della normativa,

interna e comunitaria, della cui applicazione si controverte.

2. In materia di servizi pubblici locali, la disciplina generale di riferimento è quella risultante

dall’art. 113 D. Lgs. nr. 267/00, il cui testo è stato soggetto a numerose modifiche, a seguito

dei ripetuti richiami che la Commissione CE ha rivolto allo Stato italiano, che a suo dire

seguitava a mantenere in piedi in rilevanti settori il precedente regime dell’affidamento

diretto, così contravvenendo ai principi desumibili dal Trattato CE, alla stregua dei quali

s’imponeva il rispetto delle regole di trasparenza ed imparzialità nella scelta del soggetto

affidatario.

In particolare, il citato art. 113 è stato in un primo momento modificato dall’art. 35 L. nr.

448/01, e successivamente dal più volte richiamato art. 14 D.L. nr. 269/03; ulteriori

integrazioni sono state poi effettuate con l’art. 4 L. nr. 350/03.

Per quel che qui interessa, il comma V della norma così recita:

“L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della

normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio:

a) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad

evidenza pubblica;

b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto

attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato

garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le

linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari

specifiche;

c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari

del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri

servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli

enti pubblici che la controllano”.

La ricorrente assume la contrarietà di tale disposizione a numerose norme del Trattato, ed in

particolare al principio, ricavabile sia dalle interpretazioni politiche ricavabili dagli atti della

Commissione, sia dalla giurisprudenza in materia della Corte di Giustizia, secondo cui agli

Stati membri dell’Unione incomberebbe un obbligo di tendenziale “apertura” del mercato,

tale da imporre come forma normale di affidamento dei servizi pubblici locali il ricorso a gare

ad evidenza pubblica, confinando ad ipotesi residuali ed eccezionali l’affidamento diretto.

96

Viceversa, l’Amministrazione resistente e la controinteressata sottolineano come la

normativa all’esame sia perfettamente aderente ai principi comunitari, non avendo fatto altro

che codificare, tra le forme di affidamento della gestione dei servizi, quella corrispondente al

modello del c.d. affidamento in house, che si attua allorché è l’Amministrazione stessa a

provvedere all’erogazione del servizio, o direttamente tramite i propri servizi o affidandola a

società di cui essa abbia il totale controllo; ipotesi, quest’ultima, nella quale la stessa Corte

di Giustizia ha escluso l’applicabilità della disciplina comunitaria in materia di concorrenza.

3. Venendo all’esame del Trattato CE, va anzi tutto richiamato l’art. 16, che ha recepito la

nozione di servizio pubblico nei seguenti termini:

“Fatti salvi gli articoli 73, 86 e 87, in considerazione dell’importanza dei servizi di interesse

economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione, nonché del loro ruolo nella

promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo le

rispettive competenze e nell’ambito del campo di applicazione del presente Trattato,

provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano

loro di assolvere i loro compiti”.

Quanto al successivo art. 86, il Collegio non condivide l’opinione della controinteressata

A.M.T.A.B. Servizio S.p.A., che nella memoria depositata in data 16.7.2004 afferma

lapidariamente l’inconferenza al caso che occupa di detta norma (oltre che delle altre

disposizioni del Trattato richiamate da parte ricorrente), siccome essa avrebbe riguardo ai

casi di “esternalizzazione dei servizi”, nei quali si pone l’esigenza di tutelare la libertà di

concorrenza delle imprese sul mercato, ed a cui resta pacificamente estraneo quello

dell’affidamento diretto in house.

Ed invero, da una lettura sistematica delle disposizioni innanzi richiamate – ed in particolare,

del richiamo che l’art. 16 fa (anche) all’art. 86 – non appare azzardato ipotizzare che non

sono del tutto indifferenti, ai fini del rispetto dei principi comunitari de quibus, i criteri che

ispirano le scelte dell’Amministrazione verso l’uno o l’altro dei modelli di affidamento del

servizio.

Infatti, l’art. 86 contiene – tra l’altro – una disposizione espressamente dedicata al settore dei

“servizi d’interesse economico generale”, laddove recita: “…Le imprese incaricate della

gestione di servizi d’interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale,

sono sottoposte alle norme del presente Trattato, ed in particolare alle regole di

concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di

diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.

Al riguardo, risulta corretta l’impostazione della ricorrente, secondo cui la disposizione

appena citata enuncia un importante principio di generale di applicazione delle regole

97

comunitarie in materia di concorrenza a tutte le ipotesi di affidamento di servizi pubblici, con

il solo limite della necessità di garantire in ogni caso l’adempimento della “missione” cui il

servizio è finalizzato.

Tale conclusione, ad avviso del Collegio, appare confortata dai principi elaborati, sia pure

spesso in maniera incidentale, sia dalla Commissione che dalla Corte europea in sede di

interpretazione ed applicazione delle predette norme.

4. In via preliminare, occorre sgombrare il campo da ogni possibile complicazione derivante

dal concreto atteggiarsi dell’affidamento del servizio in termini di appalto ovvero di

concessione.

Sul punto, sono quanto mai opportuni i richiami di parte ricorrente al principio, più volte

affermato dalla Commissione e dalla Corte, secondo cui, ferma restando l’applicazione agli

appalti pubblici di servizi della normativa attuativa delle Direttive comunitarie (in Italia, D.

Lgs. nn. 157/95 e 158/95 e succ. modif.), anche laddove l’affidamento sia attuato nelle forme

della concessione di servizi pubblici s’impone il rispetto degli obblighi di trasparenza e

pubblicità delle procedure di affidamento discendenti dagli artt. 43 e 49 del Trattato.

In altri termini, i predetti principi, con tutto il complesso di regole che ne derivano (parità di

trattamento, divieto di discriminazioni, proporzionalità delle scelte rispetto agli scopi

perseguiti etc.), costituiscono norme – per così dire – “di chiusura” del sistema, volte a

garantire il rispetto del nucleo essenziale delle norme comunitarie in materia di concorrenza

anche nei casi in cui le modalità con cui avviene l’affidamento del servizio non siano

direttamente riconducibili a specifiche Direttive.

Per quel che qui interessa, ne consegue che è sostanzialmente indifferente la qualificazione

dell’affidamento in termini di concessione ovvero di appalto di servizi, atteso che in ogni caso

vanno rispettati i principi sopra richiamati.

5. Con riguardo alla giurisprudenza comunitaria, da un attento esame delle sentenze rese in

subiecta materia emerge che la Corte di Giustizia si è soffermata soprattutto sulle

caratteristiche strutturali dell’affidamento in house, tali da giustificare l’esclusione

dell’applicazione delle regole comunitarie sulla concorrenza.

Il principio da cui la Corte ha più volte preso le mosse è stato quello secondo cui neppure si

pone un problema di tutela della concorrenza fra gli operatori economici, laddove il servizio

venga svolto direttamente dall’Amministrazione, e quindi manchi un vero e proprio rapporto

giuridico tra ente pubblico e soggetto gestore.

Peraltro, è doveroso sottolineare che nella successiva elaborazione del principio, la Corte ha

ampliato la nozione di affidamento in house rispetto alla semplice ipotesi in cui la gestione

del servizio venga svolta da un’articolazione interna dello stesso Ente pubblico, sulla base di

98

una delega interorganica: in particolare, è stato specificato che la distinzione formale tra

Amministrazione e soggetto gestore, e perfino la circostanza che i loro rapporti siano regolati

da un contratto, non valgono di per sé ad escludere che l’affidamento del servizio possa

essere ricondotta all’ipotesi derogatrice, dovendosi piuttosto guardare alla prevalenza o

meno che l’Ente pubblico abbia nella gestione e nel controllo sostanziale del gestore.

In tale prospettiva, la Corte è giunta ad affermare l’irrilevanza anche dell’eventuale struttura

privatistica della società affidataria, stante l’indicata esigenza di valorizzare soprattutto il

momento del controllo della stessa da parte dell’Amministrazione (cfr. sentenza Ri.San.

citata dalla ricorrente).

In definitiva, alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale in materia, è possibile affermare

che perché possa dirsi sussistente la fattispecie dell’affidamento in house, con la

conseguente esclusione dell’applicabilità dei principi comunitari, devono ricorrere i seguenti

presupposti:

- che l’Ente pubblico eserciti sulla società affidataria un controllo analogo a quello esercitato

sui propri servizi;

- che tale società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti

locali che la controllano(cfr. sentenza Teckal, 18.11.1999 causa C-107/98).

La giurisprudenza ha anche precisato, più volte, le caratteristiche che deve assumere il

controllo esercitato dall’Amministrazione sulla società, sotto il profilo sia gestionale che

finanziario, affinché il rapporto tra esse intercorrente possa dirsi equivalente a quello della

delega interorganica.

La Corte non si è invece specificamente intrattenuta sui criteri che devono informare la

scelta “a monte” dell’uno o dell’altro modello di affidamento da parte dell’Amministrazione:

ciò, evidentemente, al fine di non invadere la sfera di discrezionalità rimessa in materia alla

legislazione degli Stati membri.

Tuttavia, non può non rimarcarsi come nella maggior parte delle pronunce esaminate si

insista sulla qualificazione dell’affidamento in house come “ipotesi eccezionale”, che sola

può giustificare la mancata applicazione delle regole in materia di concorrenza, altrimenti

cogenti – come si è visto – in tutti i casi di affidamento di un servizio pubblico a soggetto

diverso dalla stessa Amministrazione.

Tale eccezionalità è stata sottolineata anche dalla Commissione, la quale, con esplicito

riferimento ai principi enunciati nella sentenza Teckal, ha sentito l’esigenza di precisare che

l’ipotesi dell’affidamento in house “non può valere ad escludere in maniera generale dal

campo di applicazione delle regole comunitarie in materia di appalti pubblici e di concessioni

ogni affidamento di un servizio che venga effettuato da un ente locale in favore di una

99

società a capitale maggiormente o totalmente pubblico” (cfr. atto del 26.6.2002, C(2002)

2329, citato dalla ricorrente).

In definitiva, le istituzioni comunitarie, pur riconoscendo l’ammissibilità della fattispecie di

affidamento in house in quanto estranea al campo delle regole in tema di concorrenza, la

considerano palesemente un’ipotesi residuale ed eccezionale, dando per scontato che

l’ipotesi normale sia rappresentata dall’affidamento mediante procedura ad evidenza

pubblica, nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza.

6. Se è vero tutto quanto fin qui evidenziato, occorre allora porsi il problema di quali siano i

criteri alla stregua dei quali le Amministrazioni debbano operare le scelte di base in ordine

alle modalità di affidamento dei servizi pubblici.

In altri termini: tali scelte sono rimesse alla piena ed incondizionata discrezionalità delle

stesse Amministrazioni, ovvero devono essere ispirate da criteri che a qualsiasi titolo

tengano conto delle più volte rappresentate esigenze di “apertura” del mercato e di tutela

della concorrenza?

Una prima risposta a questo interrogativo può trarsi dalla stessa giurisprudenza

amministrativa, in cui è insistito il richiamo alle concrete “esigenze” del servizio e della

stessa Amministrazione, come parametro alla cui stregua può giustificarsi la scelta per l’una

o l’altra forma di affidamento.

La stessa Amministrazione resistente ha richiamato l’orientamento che, dopo aver ribadito

che la decisione dell’Ente locale in ordine alle modalità di affidamento ed erogazione di un

servizio è “logicamente estranea ad un sindacato di compatibilità con la tutela della

concorrenza”, significativamente aggiunge: “…Ciò che all’atto di compiere una simile scelta

rileva sono piuttosto le esigenze del servizio. Se la costituzione di un soggetto ad hoc è

idonea a garantire economie di scala, riduzione dei costi o razionalizzazione del bacino di

utenza, l’opzione dell’ente locale non potrebbe esporsi ad alcuna censura solo perché

escludente il ricorso al confronto competitivo” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23.4.1998, nr. 477).

Altrove si è evidenziato che la non interferenza dei principi comunitari sulle scelte

discrezionali delle Amministrazioni pubbliche in ordine alla soluzioni organizzative da

adottare per l’affidamento del servizio è giustificata dal fatto che le stesse Amministrazioni

hanno la potestà di adottare opzioni “che siano le più rispondenti alle esigenze che esse

stesse ritengano di dover soddisfare, conformemente alle leggi che le disciplinano” (cfr.

Cons. Stato, Sez. V, 18.9.2003, nr. 5316).

Emerge, insomma, che non solo le scelte della P.A. devono essere coerenti alle esigenze

del servizio, ma che la valutazione in ordine a tali esigenze deve avvenire in conformità con

le “leggi che le disciplinano”.

100

Ma questo primo rilievo (su cui, peraltro, si tornerà appresso) non esaurisce la problematica.

Infatti, se è perfino banale che è alla stregua della legislazione interna che devono essere

condotte le valutazioni in ordine alle esigenze sulla base delle quali operare le scelte in

ordine all’affidamento del servizio, allora non si può non chiedersi se non esistano anche

principi comunitari, immediatamente applicabili, suscettibili di condizionare tali valutazioni.

La risposta a questo quesito deve muovere dalle considerazioni più sopra svolte, in ordine al

perché non possa ritenersi del tutto indifferente per il diritto comunitario il momento della

scelta in ordine alla modalità di affidamento del servizio, proprio in ragione dei principi già

sottolineati di tendenziale “espansione” delle regole in materia di concorrenza, con la

conseguente eccezionalità delle ipotesi di affidamento diretto.

Sotto tale profilo, assume valore decisivo la già citata disposizione dell’art. 86 del Trattato,

laddove riafferma il principio della massima applicazione delle norme comunitarie sulla

concorrenza, ponendo il solo limite negativo dell’ipotetica esigenza di evitare che detta

applicazione possa essere di ostacolo all’espletamento della “missione” cui il servizio è

finalizzato: ancora una volta è la sola considerazione delle esigenze del servizio che può

giustificare la deroga ai principi comunitari.

7. Venendo ora all’esame della normativa interna di cui all’art. 113 D. Lgs. nr. 267/00, quale

risultante dalle modifiche introdotte con l’art. 14 del D.L. nr. 269/03, non v’è dubbio che le

stesse – così come dedotto dalla ricorrente – siano suscettibili di incentivare un ricorso

sempre più massiccio da parte delle Amministrazioni locali alla deroga costituita

dall’affidamento in house.

Per queste ragioni, la Corte europea è stata già investita della questione di compatibilità

della disposizione con la normativa comunitaria, ritenendosi la norma sostanzialmente non

conforme allo spirito della disciplina in materia di concorrenza nel settore dei servizi pubblici

(cfr. Cons. Stato, Sez. V, Ord. 22.4.2004, nr. 2316, nella quale, peraltro, viene in gioco

anche una disciplina locale ancor più ampliativa delle possibilità di ricorso all’affidamento

diretto).

Tuttavia, non può sottacersi l’esattezza delle osservazioni sviluppate dalle parti resistenti,

secondo cui neppure astrattamente potrebbe porsi una siffatta questione di compatibilità, in

quanto la disposizione di cui alla lettera c) del comma V dell’art. 113, nello “scolpire” le

caratteristiche dell’affidamento in house, riproduce quasi letteralmente i parametri individuati

dalla c.d. sentenza Teckal (controllo dell’Ente pubblico sulla società equivalente a quello che

il primo esercita sui propri servizi, svolgimento da parte della società di attività prevalente per

l’Ente pubblico controllante etc.).

101

Per tali ragioni, si afferma la piena compatibilità della previsione ai principi comunitari: sulla

base di tale ordine di considerazioni, in altra occasione è stata disattesa la medesima

questione di compatibilità della norma con la disciplina CE (cfr. Cons. Stato, sez. V.

26.6.2004, nr. 4771).

Il Collegio, pur dando atto della perfetta aderenza del disposto della citata lettera c) ai

principi sopra ricostruiti, ritiene che non sia questo il punto centrale della questione.

Ed invero, dalle considerazioni che si sono sin qui svolte emerge con chiarezza che il vero

profilo nevralgico della materia – sul quale non risulta che la Corte di Giustizia sia stata

finora chiamata a pronunciarsi – è costituito non già dal modo con cui nella norma de qua è

costruita la figura dell’affidamento in house, ma nel fatto che in essa l’istituto viene di fatto

generalizzato, lasciando apparentemente alle Amministrazioni locali piena discrezionalità in

ordine alla scelta tra esso e l’affidamento mediante gara ad evidenza pubblica (o, ancora,

attraverso il sistema “misto” dell’affidamento diretto a società pubblico-privata in cui il socio

privato sia scelto con procedura di evidenza pubblica).

Una tale previsione, nella sua pratica attuazione, è suscettibile di stravolgere quello che si è

visto essere, alla stregua dei principi comunitari, il rapporto tra i diversi modelli di

affidamento dei servizi pubblici, in forza del quale il ricorso a procedure di evidenza pubblica

dovrebbe configurarsi come la regola e l’affidamento in house come eccezione.

In altri termini, manca nella disciplina all’esame ogni riferimento alle modalità con cui le

Amministrazioni dovranno esternare le proprie valutazioni in ordine alle “esigenze” del

servizio che giustificano la deroga al principio della gara pubblica: tale non può certamente

considerarsi il successivo comma Vbis dell’art. 113 (introdotto dalla L. nr. 350/03), secondo

cui “le normative di settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre

regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati

prevedendo, nel rispetto delle disposizioni di cui al comma V, criteri di gradualità nella scelta

delle modalità di conferimento del servizio”.

Infatti, anzi tutto tale norma è espressamente limitata ai casi in cui sussista l’esigenza di

“superare assetti monopolistici”; in secondo luogo – ed in questo il Collegio concorda con

l’opinione delle parti resistenti – essa, lungi dal porre un principio di gradualità tra i vari

modelli di affidamento, si limita a rinviare al legislatore futuro l’individuazione eventuale di

tale gradualità, con riguardo ai singoli settori d’intervento.

E anzi, il comma Vbis a ben vedere, disegnando in termini di mera facoltà la possibile

previsione futura di criteri di gradualità in specifici settori, mostra e contrario di considerare

del tutto equipollenti, in linea generale, i tre modelli individuati dal precedente comma V.

102

Inoltre, è lo stesso contrasto di opinioni esistente fra le parti, con riguardo al caso che

occupa, in ordine all’applicabilità o meno dei principi a suo tempo elaborati dalla normativa di

settore in materia di trasporti (D. Lgs. nr. 422/97) a dimostrare come un generico rinvio alla

disciplina di settore non sia per nulla idoneo a garantire il rispetto dei principi comunitari più

volte richiamati.

8. Non può dubitarsi della rilevanza della questione, con riguardo al caso di specie.

Infatti, è proprio a seguito dell’entrata in vigore del D.L. nr. 269/03 che il Comune di Bari ha

deciso di abbandonare la gara ad evidenza pubblica già avviata per l’affidamento del

servizio di trasporto pubblico locale, optando per l’affidamento diretto alla A.M.T.A.B.

Servizio S.p.A.

Siffatta decisione non appare assistita da adeguata motivazione in ordine alle esigenze del

servizio, tale non potendosi considerare la richiamata esigenza – su cui insiste la difesa

dell’Amministrazione resistente – di “valorizzare” la società affidataria (che sembra

corrispondere ad esigenze di quest’ultima, e non del servizio); peraltro, tale carenza

motivazionale non appare allo stato configurare un contrasto del provvedimento impugnato

con la normativa, che come detto nulla prevede in ordine alle valutazioni sottostanti alla

scelta della modalità di affidamento del servizio.

Né il problema può dirsi superato, come argomentato dalle parti resistenti, in virtù del fatto

che l’Amministrazione, con provvedimenti successivi, sta ponendo in atto un’opera di

“privatizzazione sostanziale” del servizio, avviando una gara ad evidenza pubblica per

l’individuazione del socio privato cui cedere una cospicua parte del capitale sociale

dell’A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. (cfr. delibera di G.M. nr. 413 del 21.5.2004).

Tale evenienza, al contrario, segnala l’insorgenza di una prassi anch’essa presumibilmente

destinata a generalizzarsi, in forza della quale le Amministrazioni provvederanno dapprima

ad affidamento diretto dei servizi a società da esse interamente controllate (secondo lo

schema di cui alla lettera c) dell’art. 113 co. V), e quindi provvederanno a cedere una parte

del capitale a socio privato (attuando in concreto il modello di cui alla precedente lettera b).

Tuttavia, è vero che anche l’affidamento del servizio a società “mista”, come rilevato da parte

ricorrente, pone delicati problemi di compatibilità col diritto comunitario, atteso che

l’esperimento della gara avviene non per la scelta della migliore modalità tecnica di

erogazione del servizio, ma per la sola scelta del socio privato, che sarà destinato ad

inserirsi in uno schema già approvato a priori dall’Amministrazione, con modalità non

concorrenziali.

103

La prassi suindicata, realizzando una sorta di privatizzazione indiretta di rilevanti settori

d’intervento pubblico, sembra configurare un sostanziale aggiramento della normativa

comunitaria in materia di concorrenza.

S’impone, pertanto, il ricorso alla Corte europea perché valuti la conformità della predetta

disciplina alla normativa comunitaria sotto i profili innanzi evidenziati.

P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sezione III, sospende il giudizio e

rimette gli atti alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, ai sensi dell’art. 234 del

Trattato istitutivo, ai fini della pronuncia pregiudiziale sul seguente quesito:

Se sia compatibile con il diritto comunitario, ed in particolare con gli obblighi di trasparenza e

libera concorrenza di cui agli artt. 46, 49 e 86 del Trattato, l’art. 113 co. V D. Lgs. nr. 267/00,

come modificato dall’art. 14 D.L. nr. 269/03, nella parte in cui non pone alcun limite alla

libertà di scelta dell’Amministrazione pubblica tra le diverse forme di affidamento del servizio

pubblico, ed in particolare tra l’affidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica

e l’affidamento diretto a società da essa interamente controllata.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 22.7.2004, con l’intervento dei Magistrati:

Dott. Amedeo Urbano Presidente Dott. Doris Durante Componente Dott. Raffaele Greco Componente, est. Depositata in segreteria l'8 settembre 2004

9. Libro Verde PPP, Comm. Eur. 30.04.2004, n.327

COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE Bruxelles, 30.4.2004

COM(2004) 327 definitivo

LIBRO VERDE RELATIVO AI PARTENARIATI PUBBLICO - PRIVATI ED AL DIRITTO COMUNITARIO

DEGLI APPALTI PUBBLICI E DELLE CONCESSIONI (presentato dalla Commissione)

INDICE

1. L'evoluzione del partenariato pubblico-privato: constatazioni e sfide

1. 1. Il fenomeno del "partenariato pubblico-privato"

104

1.2 La sfida del mercato interno: garantire lo sviluppo dei PPP in condizioni di concorrenza

effettiva e di chiarezza giuridica

1. 3. Oggetto specifico e piano del presente Libro verde

2. I ppp puramente contrattuali ed il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle

concessioni

2. 1. La fase di selezione del partner privato

2.1. 1. Partenariato di tipo puramente contrattuale: atto attributivo qualificato come appalto

pubblico

2.1. 2. Partenariato di tipo puramente contrattuale: atto attributivo qualificato come

concessione

2. 2. Questioni specifiche per la selezione di un operatore economico nel quadro di un PPP

su iniziativa privata

2. 3. La fase successiva alla selezione del partner privato

2.3. 1. Il quadro contrattuale del progetto

2.3. 2. Il subappalto di determinati compiti

3. Il ppp istituzionalizzato ed il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni

3. 1. Attuazione di un partenariato che implica la creazione di un'entità ad hoc detenuta

congiuntamente dal settore pubblico e dal settore privato

3. 2. Assunzione del controllo su un'entità pubblica da parte di un operatore privato

4. Osservazioni finali

1. L'EVOLUZIONE DEL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO: CONSTATAZIONI E

SFIDE

1. 1. Il fenomeno del "partenariato pubblico-privato"

1. Il termine partenariato pubblico-privato ("PPP") non è definito a livello comunitario. Questo

termine si riferisce in generale a forme di cooperazione tra le autorità pubbliche ed il mondo

delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la

gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio.

2. I seguenti elementi caratterizzano normalmente le operazioni di PPP:

� La durata relativamente lunga della collaborazione, che implica una cooperazione tra

il partner pubblico ed il partner privato in relazione a vari aspetti di un progetto da

realizzare.

105

� La modalità di finanziamento del progetto, garantito da parte dal settore privato,

talvolta tramite relazioni complesse tra diversi soggetti. Spesso, tuttavia, quote di

finanziamento pubblico, a volte assai notevoli, possono aggiungersi ai finanziamenti

privati.

� Il ruolo importante dell'operatore economico, che partecipa a varie fasi del progetto

(progettazione, realizzazione, attuazione, finanziamento). Il partner pubblico si

concentra principalmente sulla definizione degli obiettivi da raggiungere in termini

d'interesse pubblico, di qualità dei servizi offerti, di politica dei prezzi, e garantisce il

controllo del rispetto di questi obiettivi.

� La ripartizione dei rischi tra il partner pubblico ed il partner privato, sul quale sono

trasferiti rischi di solito a carico del settore pubblico. I PPP non implicano tuttavia

necessariamente che il partner privato si assuma tutti i rischi, o la parte più rilevante dei

rischi legati all'operazione. La ripartizione precisa dei rischi si effettua caso per caso, in

funzione della capacità delle parti in questione di valutare, controllare e gestire gli

stessi.

3. Nel corso dell'ultimo decennio, il fenomeno dei PPP si è sviluppato in molti settori

rientranti nella sfera pubblica. L’aumento del ricorso a operazioni di PPP è riconducibile a

vari fattori. In presenza delle restrizioni di bilancio cui gli Stati membri devono fare fronte,

esso risponde alla necessità di assicurare il contributo di finanziamenti privati al settore

pubblico. Inoltre, il fenomeno è spiegabile anche con la volontà di beneficiare maggiormente

del "know-how" e dei metodi di funzionamento del settore privato nel quadro della vita

pubblica. Lo sviluppo dei PPP va d’altronde inquadrato nell'evoluzione più generale del ruolo

dello Stato nella sfera economica, che passa da un ruolo d'operatore diretto ad un ruolo

d'organizzatore, di regolatore e di controllore.

4. Le autorità pubbliche degli Stati membri ricorrono spesso ad operazioni di PPP per

realizzare progetti infrastrutturali, in particolare nel settore dei trasporti, della sanità pubblica,

dell'istruzione e della sicurezza pubblica. Sul piano europeo, si è riconosciuto che il ricorso

alle PPP poteva contribuire alla realizzazione delle reti transeuropee dei trasporti,

realizzazione che ha subito forti ritardi, in particolare a causa di un'insufficienza degli

investimenti (1). Nel quadro dell'iniziativa per la crescita, il Consiglio ha approvato una serie

di misure volte ad aumentare gli investimenti per le infrastrutture della rete transeuropea e

nel settore dell'innovazione, nonché della ricerca e dello sviluppo, in particolare tramite

l’attuazione di operazioni PPP(2).

5. Se è vero che la cooperazione tra pubblico e privato può offrire vantaggi microeconomici,

consentendo di realizzare un progetto con il miglior rapporto qualità/prezzo, mantenendo al

106

contempo gli obiettivi di pubblico interesse, il ricorso al PPP non può tuttavia essere

presentato come una soluzione “miracolo” per un settore pubblico confrontato a restrizioni di

bilancio (3). L'esperienza mostra che, per ciascun progetto, occorre valutare se l'opzione del

partenariato comporta una plusvalore reale rispetto ad altre opzioni come la stipulazione di

un contratto d'appalto di tipo più classico (4).

6. La Commissione constata del resto con interesse che alcuni Stati membri e Paesi

aderenti hanno creato strumenti di coordinamento e di promozione del PPP, miranti tra l'altro

a diffondere 'buone pratiche in materia di PPP all'interno di questi stati o su scala europea.

Questi strumenti mirano a condividere la relativa esperienza e a consigliare in tal modo gli

utilizzatori sulle diverse forme di PPP e sulle loro tappe, che si tratti della concezione, delle

modalità di scelta del partner privato, della migliore ripartizione dei rischi, della scelta

adeguata delle clausole contrattuali ovvero ancora dell’integrazione di finanziamenti

comunitari (si veda l’esempio delle “Task Force” nel Regno Unito o in Italia, ecc.)

7. Le autorità pubbliche ricorrono a strutture di partenariato con il settore privato anche per

garantire la gestione di servizi pubblici, in particolare a livello locale. Infatti, servizi pubblici

incentrati sulla gestione dei rifiuti o sulla distribuzione idrica o elettrica vengono sempre più

spesso affidati ad imprese, sia pubbliche sia private o miste. Il Libro verde sui servizi

d'interesse generale ricorda a tale riguardo che quando un'autorità pubblica decide di

assegnare la gestione di un servizio ad un terzo, è obbligata a rispettare il diritto degli appalti

pubblici e delle concessioni, anche se questo servizio è considerato di interesse generale

(5). Il Parlamento europeo ha del resto riconosciuto che il rispetto di queste norme 'può

costituire uno strumento efficace per prevenire inopportuni ostacoli alla concorrenza,

permettendo nello stesso

tempo ai pubblici poteri di fissare e controllare le condizioni da soddisfare in termini

di qualità, di disponibilità, di norme sociali e di tutela dell'ambiente (6).

1.2 La sfida del mercato interno: garantire lo sviluppo dei PPP in condizioni di concorrenza

effettiva e di chiarezza giuridica.

8. Il presente Libro verde analizza il fenomeno dei PPP alla luce del diritto comunitario degli

appalti pubblici e delle concessioni. Il diritto comunitario non prevede regimi specifici

comprensivi del fenomeno dei PPP. Ciononostante qualsiasi atto, sia contrattuale sia

unilaterale, attraverso il quale un'impresa pubblica affida la prestazione di un'attività

economica ad un terzo deve essere esaminato alla luce delle norme e dei principi derivanti

dal Trattato, in particolare in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi

107

(articoli 43 e 49 del Trattato CE) (7). Tali principi comprendono in particolare i principi di

trasparenza, di parità di trattamento, di proporzionalità e di mutuo riconoscimento (8). Inoltre,

disposizioni dettagliate si applicano nei casi disciplinati dalle direttive relative al

coordinamento delle procedure d'aggiudicazione degli appalti pubblici (9) (10). Tali direttive

mirano a “tutelare gli interessi degli operatori economici stabiliti in uno Stato membro e

desiderosi di prestare beni o servizi alle amministrazioni aggiudicatrici installate in un altro

Stato membro e, a tale scopo, escludere al contempo sia il rischio che in occasione della

stipulazione di un contratto d'appalto sia data la preferenza agli offerenti nazionali, sia la

possibilità che un'amministrazione aggiudicatrice si lasci guidare da considerazioni diverse

da quelle economiche (11).''L'applicazione delle disposizioni dettagliate di queste direttive

tuttavia è circoscritta ad alcune ipotesi e riguarda soprattutto la fase d'aggiudicazione dei

contratti.

9. Il regime applicabile alla selezione di un partner privato dipende innanzitutto dal tipo di

relazione contrattuale che quest'ultimo intrattiene con un organismo aggiudicatore (12). In

base al diritto comunitario derivato, ogni contratto stipulato per iscritto a titolo oneroso fra

un'amministrazione aggiudicatrice ed un operatore, nella misura in cui ha per oggetto

l'esecuzione di lavori, la realizzazione di un’opera o la prestazione di un servizio è definito

"appalto pubblico" di lavori o di servizi. Il concetto di "concessione" è definito come un

contratto con le stesse caratteristiche di un appalto pubblico ad eccezione del fatto che la

contropartita dei lavori o dei servizi effettuati consiste soltanto nel diritto di sfruttare l’opera o

il servizio ovvero in tale diritto accompagnato da un prezzo.

10. La valutazione degli elementi di queste definizioni deve, secondo la Corte, essere

effettuata in modo da garantire che l'effetto utile della direttiva in questione non sia

compromesso (13). Ad esempio, il formalismo inerente alla nozione di contratto nel diritto

nazionale non potrà rappresentare un argomento valido per fare perdere alle direttive il loro

effetto utile. Inoltre il carattere oneroso del contratto in causa non implica obbligatoriamente

il pagamento diretto di un prezzo da parte del partner pubblico, ma può derivare da qualsiasi

altra forma di contropartita economica ricevuta dal partner privato.

11. I contratti qualificati come appalto di lavori pubblici o di servizi, definiti come prioritari

(14), sono soggetti alle disposizioni dettagliate delle direttive comunitarie. Le concessioni di

lavori e gli appalti pubblici di servizi definiti 'non prioritari' sono disciplinati solo da alcune

singole disposizioni di diritto derivato. Infine, alcune operazioni, ed in particolare le

concessioni di servizi, sfuggono ad ogni inquadramento del diritto derivato. Lo stesso vale

peraltro per ogni attribuzione di incarico avvenuta attraverso un atto unilaterale.

108

12. Il quadro regolamentare che disciplina la scelta del partner privato è dunque stato

oggetto di un coordinamento comunitario a molti livelli e gradi d'intensità, con la persistenza,

sul piano nazionale, di un’ampia divergenza di approcci, anche se ogni operazione che

implica l'attribuzione di un incarico ad un terzo è disciplinata da una base minima di principi

derivanti dagli articoli 43 a 49 del Trattato CE.

13. La Commissione ha già preso iniziative relative al fenomeno nel settore del diritto degli

appalti pubblici. Nel 2000 ha pubblicato una Comunicazione interpretativa sulle concessioni

nel diritto comunitario degli appalti pubblici (15), nella quale precisa, sulla base delle norme

e dei principi derivanti dal Trattato e dal diritto derivato applicabile, i contorni della nozione di

concessione nel diritto comunitario e gli obblighi che spettano alle autorità pubbliche in

occasione della scelta degli operatori economici ai quali vengono assegnate le concessioni.

Inoltre, le nuove direttive del Parlamento europeo e del Consiglio volte a modernizzare e

semplificare il quadro legislativo comunitario instaurano una procedura d'attribuzione

innovativa, elaborata espressamente per rispondere alle specificità dell'aggiudicazione di

'contratti d'appalto particolarmente complessi, e dunque di alcune forme di PPP. Questa

nuova procedura, denominata "dialogo competitivo", permette alle autorità pubbliche di

discutere con le imprese candidate al fine di individuare le soluzioni suscettibili di rispondere

alle loro necessità.

14. Nondimeno, molti rappresentanti degli ambienti interessati ritengono che le norme

comunitarie applicabili alla scelta delle imprese destinate a cooperare con un'autorità

pubblica nel quadro di un PPP, così come le loro conseguenze sulle relazioni contrattuali

che disciplinano l'esecuzione del partenariato, siano insufficientemente chiare e manchino

d'omogeneità tra i vari Stati membri. Questa situazione farebbe gravare sui soggetti

comunitari delle incertezze che potrebbero costituire un reale ostacolo alla creazione o al

successo dei PPP, a scapito del finanziamento di importanti infrastrutture e dello sviluppo di

servizi pubblici di qualità.

15. Il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a valutare l’eventualità di adottare una

proposta di direttiva volta a regolamentare in maniera omogenea il settore delle concessioni

e di altre forme di PPP (16). Anche il Comitato economico e sociale ha espresso il parere

che si imponga un'iniziativa legislativa (17).

16. In questo contesto, la Commissione ha annunciato, nella sua strategia per il mercato

interno 2003-2006 (18), che avrebbe pubblicato un libro verde sul PPP e sul diritto

comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, al fine di avviare un dibattito sul

migliore modo di garantire che i PPP possano svilupparsi in un contesto di concorrenza

efficace e di chiarezza giuridica. La pubblicazione di un libro verde appare anche fra le

109

azioni previste nel contesto dell'iniziativa europea per la crescita (19). Infine essa va incontro

ad alcune richieste formulate nel corso della consultazione pubblica sul Libro verde sui

servizi d'interesse generale (20).

1. 3. Oggetto specifico e piano del presente Libro verde

17. Il Libro verde punta ad avviare un dibattito sull'applicazione del diritto comunitario degli

appalti pubblici e delle concessioni al fenomeno dei PPP. Tale dibattito si concentra dunque

sulle norme che devono essere applicate quando si decide di affidare una missione o un

incarico ad un terzo. Esso si colloca a valle della scelta economica ed organizzativa

effettuata da un ente locale o nazionale, e non può essere interpretato come un dibattito

mirante a esprimere un apprezzamento generale riguardo alla scelta se esternalizzare o

meno la gestione dei servizi pubblici; tale scelta compete infatti esclusivamente alle autorità

pubbliche. Infatti, il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni non si

esprime riguardo all’opzione degli Stati membri se garantire un servizio pubblico attraverso i

propri stessi servizi o se affidarli invece ad un terzo.

18. Più precisamente, il presente Libro verde mira a illustrare la portata delle norme

comunitarie applicabili alla fase di selezione del partner privato ed alla fase successiva, allo

scopo di individuare eventuali incertezze e di valutare se il quadro comunitario è adeguato

alle sfide ed alle caratteristiche specifiche dei PPP. Verranno proposti spunti di riflessione

per un eventuale intervento comunitario in materia. Giacché l’intento di questo Libro verde è

quello di aprire una consultazione, non è stata scelta nessuna opzione predeterminata

riguardo a un intervento comunitario. Gli strumenti disponibili per migliorare l'apertura delle

operazioni di PPP alla concorrenza in un contesto giuridico chiaro sono infatti assai

variegati: strumenti legislativi, comunicazioni interpretative, azioni miranti ad un migliore

coordinamento delle pratiche nazionali, scambio di buone pratiche tra Stati membri.

19. Se il presente Libro verde si concentra dunque su questioni attinenti al diritto degli

appalti pubblici e delle concessioni, bisogna ricordare che la Commissione ha già adottato,

in altri settori, misure volte ad eliminare gli ostacoli che possono ostacolare l’attuazione dei

PPP. Ad esempio, di recente sono state chiarite le norme relative al trattamento contabile

nei conti nazionali dei contratti sottoscritti da unità pubbliche nel quadro del partenariato con

imprese private (21). Inoltre, ricordiamo che l’applicazione dello statuto della società europea

faciliterà l’attuazione di PPP transeuropei (22).

20. Ai fini dell'analisi del presente libro verde, si propone di tracciare una distinzione tra:

110

� i PPP di tipo puramente contrattuale, nei il partenariatotra settore pubblico e settore

privato si fonda su legami esclusivamente convenzionali, e

� i PPP di tipo istituzionalizzato, che implicano una cooperazione tra il settore pubblico

ed il settore privato in seno ad un'entità distinta.

Questa distinzione è fondata sulla constatazione che la diversità delle pratiche in materia di

PPP che si incontrano negli Stati membri può essere ricollegata a due grandi modelli.

Ognuno di essi solleva delle questioni particolari riguardo all'applicazione del diritto

comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni e merita un esame distinto, che sarà

oggetto dei capitoli seguenti (23).

2. I PPP PURAMENTE CONTRATTUALI ED IL DIRITTO COMUNITARIO DEGLI APPALTI

PUBBLICI E DELLE CONCESSIONI

21. Il termine PPP di tipo puramente contrattuale riguarda un partenariato basato

esclusivamente sui legami contrattuali tra i vari soggetti. Esso definisce vari tipi di

operazione, nei quali uno o più compiti più o meno ampi – tra cui la progettazione, il

finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un

servizio - vengono affidati al partner privato.

22. In questo contesto, uno dei modelli più conosciuti, spesso denominato "modello

concessorio (24)", è caratterizzato dal legame diretto esistente tra il partner privato e l'utente

finale: il partner privato fornisce un servizio al pubblico, "in luogo", ma sotto il controllo, del

partner pubblico. Il modello è caratterizzato anche dal tipo di retribuzione del co-contraente,

consistente in compensi riscossi presso gli utenti del servizio, se necessario completata da

sovvenzioni versate dall’autorità pubblica.

23. In operazioni di altro tipo, il partner privato è destinato a realizzare e gestire

un'infrastruttura per la pubblica amministrazione (ad esempio, una scuola, un ospedale, un

centro penitenziario, un'infrastruttura di trasporto). L'esempio più tipico di questo modello è

l'operazione di tipo PFI (25). In questo modello la retribuzione del partner privato non

avviene in forma di compensi versati dagli utenti del lavoro o del servizio, ma di pagamenti

regolari ricevuti dal partner pubblico. Questi pagamenti possono essere fissi, ma anche

calcolati in modo variabile, in funzione, ad esempio, della disponibilità dell’opera o dei servizi

ad essa relativi, o anche della frequentazione dell’opera (26).

1. Quali tipi di operazioni di PPP puramente contrattuali conoscete? Tali

operazioni sono oggetto di una regolamentazione specifica (legislativa o di

111

altro tipo) nel vostro paese?

2. 1. La fase di selezione del partner privato

2.1. 1. Partenariato di tipo puramente contrattuale: atto attributivo qualificato come

appalto pubblico

24. Il regime applicabile all'aggiudicazione di appalti di lavori pubblici, o di appalti pubblici di

servizi definiti come prioritari (27), deriva dalle disposizioni delle direttive comunitarie che

fissano norme dettagliate, in particolare in materia di pubblicità e di partecipazione. Quando

l'autorità pubblica è un'amministrazione aggiudicatrice che agisce nel campo delle direttive

classiche (28), di norma, per la scelta del proprio partner privato, in questo quadro essa

deve ricorrere alla procedura aperta o ristretta. A titolo d'eccezione, ed a determinate

condizioni, talvolta è possibile il ricorso alla procedura negoziata. A tale riguardo, la

Commissione desidera ricordare che la deroga prevista all'articolo 7, par. 2 della direttiva

93/37/CEE, che prevede il ricorso alla procedura negoziata qualora il bando riguardi "lavori

la cui natura o i cui imprevisti non consentano una fissazione preliminare e globale dei prezzi

", ha un campo d'applicazione limitato. Questa deroga riguarda soltanto le situazioni

eccezionali, nelle quali le incertezze gravano a priori sulla natura o sulla dimensione dei

lavori da effettuare, ma non le situazioni nelle quali le incertezze derivano da altre cause,

quali ad esempio la difficoltà di fissare in anticipo il prezzo a causa della complessità

dell'operazione giuridica e finanziaria posta in essere (29).

25. In seguito all'adozione della direttiva 2004/18/CE, una nuova procedura detta di "dialogo

competitivo" può essere applicata in occasione della conclusione di contratti d'appalto

particolarmente complessi (30). La procedura di dialogo competitivo può essere lanciata nei

casi in cui l'organismo aggiudicatore non sia obiettivamente in grado di definire i mezzi

tecnici che possono rispondere alle proprie necessità ed ai propri obiettivi, nonché nei casi in

cui l'organismo aggiudicatore non sia obiettivamente in grado di stabilire le operazioni

giuridiche e/o finanziarie proprie di un progetto. Questa nuova procedura permetterà agli

organismi aggiudicatori di instaurare un dialogo con i candidati incentrato sullo sviluppo di

soluzioni atte a rispondere a queste necessità. Al termine di questo dialogo i candidati

saranno invitati a consegnare la loro offerta finale sulla base della/delle soluzione/i

individuata/e nel corso del dialogo. Tali offerte devono comprendere tutti gli elementi richiesti

e necessari per la realizzazione del progetto. Gli organismi aggiudicatori valutano le offerte

in funzione di criteri d'attribuzione prestabiliti. L'offerente che ha consegnato l'offerta

112

economicamente più vantaggiosa può essere invitato a chiarire alcuni aspetti della sua

offerta od a confermare gli impegni in essa contenuti, a condizione che ciò non comporti una

modifica degli elementi decisivi dell'offerta o della gara d'appalto, una distorsione della

concorrenza o delle discriminazioni.

26. La procedura di dialogo competitivo dovrebbe permettere di garantire la flessibilità

necessaria alle discussioni con i candidati di tutti gli aspetti del contratto in occasione della

fase di attuazione , pur facendo in modo che queste discussioni siano condotte nel rispetto

dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, e non mettano a rischio i diritti che il

Trattato conferisce agli operatori economici. Essa si basa sul concetto che i metodi strutturati

di selezione devono essere salvaguardati in qualsiasi occasione, poiché contribuiscono a

garantire l'obiettività e l'integrità della procedura sfociante nella scelta di un operatore. Ciò

garantisce il buon utilizzo del denaro pubblico, diminuisce i rischi di pratiche poco trasparenti

e rafforza la sicurezza giuridica necessaria all’attuazione di tali progetti.

27. D'altra parte, occorre sottolineare che, in virtù delle nuove direttive, per gli organismi

aggiudicatori aumenta l'interesse a formulare le specifiche tecniche in termini di prestazioni o

di esigenze funzionali. Nuove disposizioni permetteranno così agli organismi aggiudicatori di

aumentare le possibilità di tenere conto di soluzioni innovative in occasione della fase

d'aggiudicazione, indipendentemente dalla procedura adottata (31).

2. Secondo la Commissione, il recepimento nel diritto nazionale della procedura

di dialogo competitivo permetterà alle parti interessate di disporre di una

procedura particolarmente adeguata all'aggiudicazione dei contratti qualificati

come appalti pubblici in occasione dell’attuazione di un PPP di tipo puramente

contrattuale, pur preservando i diritti fondamentali degli operatori economici.

Condividete questo punto di vista? Se no,

perché?

3. Per quanto riguarda questi contratti, esistono secondo voi altri punti, oltre a

quelli relativi alla scelta della procedura d'aggiudicazione, che potrebbero

causare problemi riguardo al diritto comunitario degli appalti pubblici? Se sì,

quali e per quali ragioni?

2.1. 2. Partenariato di tipo puramente contrattuale: atto attributivo qualificato come

concessione

113

28. Non sono numerose le disposizioni di diritto derivato che coordinano le procedure

d'aggiudicazione di contratti qualificati come concessioni in diritto comunitario. Per quanto

riguarda le concessioni di lavori, si tratta unicamente di alcuni obblighi inerenti alla pubblicità,

tesi a garantire la messa in concorrenza preliminare degli operatori interessati, e di un

obbligo relativo al termine minimo di ricezione delle candidature (32). Il modo in cui

successivamente viene prescelto il partner privato è lasciato alla libera scelta degli organismi

aggiudicatori, che devono tuttavia in questo quadro accertarsi del pieno rispetto dei principi e

delle norme che derivano dal Trattato.

29. Quanto al regime applicabile in occasione della fase di aggiudicazione delle concessioni

di servizi, esso è regolamentato unicamente attraverso il riferimento agli articoli 43 e 49 del

Trattato, segnatamente ai principi di trasparenza, di parità di trattamento, di proporzionalità e

di mutuo reciproco (33). Nella sua sentenza Telaustria, la Corte ha segnalato a tale riguardo

che "l’obbligo di trasparenza imposto all'amministrazione aggiudicatrice consiste nel

garantire, a favore di ogni offerente potenziale, un grado di pubblicità adeguato che permetta

un'apertura del mercato dei servizi alla concorrenza ed il controllo dell'imparzialità delle

procedure d'aggiudicazione (34)".

30. Secondo la Commissione, il regime che deriva dalle disposizioni pertinenti del Trattato

può essere riassunto negli obblighi seguenti: fissazione delle norme applicabili alla selezione

del partner privato, pubblicità adeguata riguardo all’intenzione di assegnare una concessione

ed alle norme che regolamentano la selezione al fine di permettere un controllo

dell'imparzialità nel corso della procedura, messa in concorrenza reale degli operatori

potenzialmente interessati e/o in grado di garantire lo svolgimento dei compiti in questione,

rispetto del principio di parità di trattamento di tutti i partecipanti nel corso della procedura,

aggiudicazione sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori.

31. Il diritto comunitario applicabile nel quadro dell'aggiudicazione di concessioni deriva

dunque principalmente da obblighi a carattere generale che non implicano alcun

coordinamento delle legislazioni degli Stati membri. Inoltre, e benché gli Stati membri ne

abbiano la facoltà , ben pochi hanno scelto di dotarsi di legislazioni interne volte a

regolamentare in maniera globale e particolareggiata la fase d'aggiudicazione delle

concessioni di lavori o di servizi (35). Di conseguenza le norme applicabili alla scelta di un

concessionario da parte di un organismo aggiudicatore sono di solito proprie ad un caso

specifico.

32. Questa situazione potrebbe porre problemi agli operatori comunitari. L'assenza di

coordinamento delle legislazioni nazionali rappresenta infatti un potenziale ostacolo per

un’autentica apertura comunitaria delle operazioni in questione, in particolare quando tali

114

operazioni vengono realizzate a livello transnazionale. L'insicurezza giuridica legata

all'assenza di norme chiare e coordinate potrebbe inoltre provocare un aumento dei costi

legati all’attuazione di tali operazioni.

33. D'altra parte, da diverse parti si è notato che gli obiettivi del mercato interno rischiano di

non essere raggiunti in determinate situazioni a causa dell’assenza di una concorrenza

effettiva sul mercato. La Commissione desidera ricordare in questo contesto che le direttive

'appalti pubblici non solo puntano a garantire la trasparenza delle procedure e la parità di

trattamento degli operatori economici, ma impongono anche che un numero minimo di

candidati sia invitato a partecipare alle procedure, sia aperte, sia ristrette, negoziate, o di

dialogo competitivo (36). Bisogna valutare se l'applicazione effettiva di queste disposizioni è

sufficiente, o se invece sono necessarie ulteriori misure per facilitare la realizzazione di un

ambiente più competitivo.

34. La Commissione ha inoltre constatato, nel quadro dell’istruzione di procedure di

infrazione , che non è sempre facile determinare fin dall'origine se il contratto in esame è un

appalto pubblico o una concessione. Infatti, per i contratti qualificati come concessioni al

momento dell’avvio della procedura di aggiudicazione, la ripartizione dei rischi e dei benefici

può essere oggetto di negoziati in corso di procedura. Può accadere che dopo tali negoziati

il contratto in questione debba essere definito come "appalto pubblico"; questa

riqualificazione spesso comporta una rimessa in discussione della legalità della procedura

d'aggiudicazione scelta dall'organismo aggiudicatore. Secondo i punti di vista espressi dalle

parti interessate, tale situazione fa gravare su queste operazioni un'insicurezza giuridica

suscettibile di nuocere considerevolmente al loro sviluppo.

35. In questo contesto, la Commissione potrebbe considerare di proporre un'azione

legislativa mirante a coordinare le procedure d'aggiudicazione delle concessioni nell'Unione

europea per mezzo di una nuova legislazione, che verrebbe ad aggiungersi ai testi esistenti

in materia d'aggiudicazione di appalti pubblici. In tale ipotesi, dovrebbero essere messi a

punto i dettagli del regime applicabile all'aggiudicazione delle concessioni.

36. D’altronde, potrebbe essere necessario esaminare se esistono ragioni oggettive per

sottoporre l'aggiudicazione delle concessioni ad un regime diverso da quello esistente per la

conclusione di altri PPP contrattuali. In questo contesto, si ricorda che il criterio del diritto di

gestione ed il suo corollario, il trasferimento dei rischi inerenti alla gestione , distinguono gli

appalti pubblici delle concessioni. Se si confermasse che un'insicurezza giuridica, legata alla

difficoltà di identificare a priori la ripartizione dei rischi di gestione tra i partner, è spesso

presente nel quadro dell'aggiudicazione di alcuni PPP di tipo puramente contrattuale, la

Commissione potrebbe prevedere di sottoporre l'aggiudicazione di tutti i PPP contrattuali, sia

115

quelli definiti come appalti pubblici sia quelli definiti come concessioni, ad un unico regime

d'aggiudicazione.

4. Avete già organizzato, partecipato, o avuto l’intenzione di organizzare o

partecipare ad una procedura d'attribuzione di una concessione nell'Unione?

Che esperienza ne avete ricavato?

5. Ritenete che l’attuale quadro giuridico comunitario sia sufficientemente

preciso per garantire la partecipazione concreta ed effettiva di società o gruppi

non nazionali alle procedure d'aggiudicazione di concessioni? Secondo voi, in

questo contesto è abitualmente garantita una concorrenza reale?

6. Pensate che un'iniziativa legislativa comunitaria mirante a regolamentare la

procedura d'aggiudicazione di concessioni sia auspicabile?

7. In maniera più generale, se ritenete che sia necessario che la Commissione

proponga una nuova azione legislativa, esistono a vostro parere ragioni

oggettive per regolamentare tramite un tale atto tutti i PPP di tipo contrattuale,

siano essi qualificabili come appalti pubblici o come concessioni, per sottoporle a

identici regimi d'aggiudicazione?

2. 2. Questioni specifiche per la selezione di un operatore economico nel quadro di un PPP

su iniziativa privata

37. Alcune pratiche volte a conferire al settore privato l'opportunità di prendere l'iniziativa di

un'operazione PPP si sono recentemente sviluppate in alcuni Stati membri (37). Nelle

formule di questo tipo gli operatori economici formulano una proposta dettagliata di progetto,

in generale relativa alla costruzione e gestione di un'infrastruttura, eventualmente su invito

dell'amministrazione.

38. Queste pratiche permettono di sondare in una fase precoce la volontà degli operatori

economici di investire in alcuni progetti. Inoltre, permettono di incitare tali operatori a

sviluppare o applicare soluzioni tecniche innovative, adeguate alle esigenze particolari

dell'organismo aggiudicatore.

39. Il fatto che un progetto d'utilità pubblica tragga origine da un'iniziativa privata non cambia

la natura dei contratti stipulati tra gli organismi aggiudicatori e gli operatori economici. Se

questi contratti hanno per oggetto delle prestazioni regolamentate dal diritto derivato, e

vengono stipulati con carattere oneroso, devono essere qualificati come appalto pubblico o

concessione e basarsi sul relativo regime d'aggiudicazione.

116

40. Occorre dunque assicurarsi che le procedure utilizzate in questo quadro non finiscano

per privare gli operatori economici europei dei diritti loro conferiti in virtù del diritto

comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni. In particolare, e come base minima, la

Commissione ritiene che debba essere garantito l'accesso di tutti gli operatori europei a

questo tipo di progetti, in particolare tramite una pubblicità adeguata assicurata all'invito a

formulare un progetto. In seguito, qualora la pubblica autorità desideri attuare un progetto

presentato, essa deve organizzare la messa in concorrenza di tutti gli operatori economici

potenzialmente interessati dallo sviluppo del progetto in questione, offrendo tutte le garanzie

d'imparzialità della selezione.

41. Per preservare l’attrattività del sistema gli Stati membri hanno talvolta cercato di

stimolare l’iniziativa degli operatori. Si è fatto ricorso, ad esempio, alla possibilità di retribuire

il promotore del progetto, ad esempio indennizzandolo per la sua iniziativa al di là della

successiva procedura di messa in concorrenza. Si è anche previsto di accordare al soggetto

che lancia un'iniziativa alcuni vantaggi da fare valere in occasione della messa in

concorrenza della attività di sviluppo del progetto in questione. Queste soluzioni devono

essere attentamente analizzate, per scongiurare che i vantaggi competitivi accordati

all'iniziatore del progetto pregiudichino la parità di trattamento dei candidati.

8. In base alla vostra esperienza, l'accesso degli operatori non nazionali alle

formule di PPP di iniziativa privata è garantito? In particolare, nei casi in cui le

amministrazioni aggiudicatrici invitano a presentare un'iniziativa, tale invito è

generalmente oggetto di pubblicità adeguata ad assicurare l'informazione di

tutti gli operatori interessati? Viene organizzata una procedura di selezione

realmente concorrenziale per garantire l'attuazione del progetto stesso?

9. Quale sarebbe secondo voi la migliore formula per assicurare lo sviluppo di

PPP di iniziativa privata nell'Unione europea pur garantendo il rispetto dei

principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento?

2. 3. La fase successiva alla selezione del partner privato

42. Il diritto derivato dagli appalti pubblici e dalle concessioni riguarda soprattutto la fase

d'aggiudicazione di un contratto. La fase posteriore alla selezione del partner privato, in

compenso, non è contemplata in maniera globale dal diritto derivato. Tuttavia, in linea

generale i principi di parità di trattamento e di trasparenza derivanti dal Trattato si

oppongono a qualsivoglia intervento del partner pubblico successivo alla selezione di un

117

partner privato che sia tale da pregiudicare la parità di trattamento tra operatori economici

(38).

43. Il carattere spesso complesso delle operazioni in questione, il lasso di tempo che può

trascorrere tra la selezione del partner privato e la firma del contratto, la durata relativamente

lunga dei progetti e, infine, il ricorso frequente al meccanismo dei subappalti, rendono a volte

delicata l’applicazione di tali norme e principi. Due aspetti sono esaminati qui di seguito: il

quadro contrattuale dei PPP e i subappalti.

2.3. 1. Il quadro contrattuale del progetto

44. Le disposizioni contrattuali che disciplinano la fase d'attuazione dei PPP rientrano, in

primo luogo, nel diritto nazionale. Tuttavia, l'elaborazione delle clausole contrattuali deve

avvenire anche nel rispetto delle norme comunitarie pertinenti, ed in particolare dei principi di

parità di trattamento e di trasparenza. Questo implica in particolare che i documenti di gara

indichino chiaramente le condizioni e le modalità d'esecuzione dei contratti, affinché i vari

candidati al partenariato possano interpretarli allo stesso modo e tenerne conto

nell'elaborazione delle proprie offerte. Inoltre, queste condizioni e modalità d'esecuzione non

devono avere un'incidenza discriminatoria diretta o indiretta o ostacolare in modo

ingiustificato la libera prestazione di servizi o la libertà di stabilimento (39).

45. Il successo di un PPP dipende soprattutto dalla completezza del quadro contrattuale del

progetto, e dalla messa a punto ottimale degli elementi che disciplineranno la sua

attuazione. In questo contesto sono determinanti una valutazione pertinente ed una

ripartizione ottimale dei rischi tra il settore pubblico ed il settore privato, in funzione della

capacità di ciascuna parte di assumersi tali rischi. Inoltre, appare importante prevedere

meccanismi che permettano di valutare con regolarità le prestazioni dei titolari di PPP. In

questo contesto, il principio di trasparenza impone che gli elementi che permettono di

procedere alla valutazione e alla ripartizione di rischi, come anche alla valutazione della

prestazione, siano comunicati nei documenti di gara, consentendo così agli offerenti di

tenerne conto nell'elaborazione delle proprie offerte.

46. D'altra parte, il periodo durante il quale il partner privato assumerà l’esecuzione di un

opera o di un servizio deve essere fissato in funzione della necessità di garantire l'equilibrio

economico e finanziario di un progetto. In particolare, la durata della relazione di partenariato

deve essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di

quanto sia necessario per garantire l'ammortamento degli investimenti ed una ragionevole

rendita dei capitali investiti. Una durata eccessiva sarebbe infatti in contrasto con i principi

118

che disciplinano il mercato interno (40) o con le disposizioni del Trattato in materia di

concorrenza (41). Inoltre, il principio di trasparenza impone di comunicare nei documenti di

gara gli elementi che permettono di stabilire la durata, per permettere agli offerenti di tenerne

conto nell'elaborazione delle loro offerte.

47. Riguardando una prestazione diluita nel tempo, le relazioni del tipo PPP devono potersi

evolvere per adattarsi ai cambiamenti dell'ambiente macroeconomico o tecnologico, nonché

alle necessità di interesse generale. In linea generale, il diritto comunitario degli appalti

pubblici non si oppone alla possibilità di tenere conto di queste evoluzioni, a condizione che

ciò avvenga nel rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza. Quindi i

documenti di gara , trasmessi agli offerenti o candidati in occasione della procedura di

selezione, possono prevedere clausole d'adeguamento automatico o clausole

d'indicizzazione del prezzo, o fissare in quali circostanze sia ammessa una revisione delle

tariffe percepite. Esse possono inoltre prevedere delle clausole di revisione, a condizione

che menzionino precisamente le circostanze e le condizioni nelle quali potranno essere

apportati degli adeguamenti alla relazione contrattuale. Tuttavia, è importante che tali

clausole siano sufficientemente chiare da permettere agli operatori economici di interpretarle

in maniera uniforme in occasione della fase di selezione del partner.

48. In alcune operazioni, le istituzioni finanziarie si riservano il diritto di sostituirsi al gestore

del progetto, o di designare un nuovo gestore, qualora i flussi finanziari generati dal progetto

scendano al di sotto di un certo livello. L'attuazione di queste clausole, che appartengono

alla categoria delle cosiddette clausole di “step-in”, può comportare il cambiamento del

partner privato dell'organismo aggiudicatore senza bandire una gara. La compatibilità di

queste operazioni con il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni merita di

conseguenza un'attenzione particolare.

49. Generalmente, le modifiche che intervengono in fase di esecuzione di un PPP, quando

non sono contemplate dai documenti contrattuali, sortiscono l’effetto di rimettere in

discussione il principio di parità di trattamento degli operatori economici (42). Simili

modifiche non contemplate dai contratti sono quindi accettabili unicamente se rese

necessarie da un evento imprevedibile o se giustificate da ragioni d'ordine pubblico, di

sicurezza pubblica o di salute pubblica (43). Inoltre qualsiasi modifica sostanziale, che

riguardi l'oggetto stesso del contratto, deve essere assimilata alla stipulazione di un nuovo

contratto, che implica una nuova messa in concorrenza (44).

50. Occorre infine ricordare che il diritto derivato precisa le situazioni eccezionali nelle quali

è permessa un'attribuzione diretta e senza messa in concorrenza dei lavori o servizi

complementari che non appaiono nel progetto inizialmente previsto o nel primo contratto

119

stipulato (45). Tali eccezioni devono essere interpretate in modo restrittivo. Ad esempio,

esse non riguardano l'estensione della durata di una concessione autostradale già esistente,

mirante a coprire i costi di lavori svolti per la realizzazione di un nuovo tronco. Infatti, la

pratica consistente nel riunire tra le mani di un unico concessionario attività “redditizie” e

“non redditizie”, non può condurre a una situazione in cui una nuova attività sia attribuita ad

un concessionario esistente senza bandire una gara.

10. Che esperienza avete riguardo alla fase successiva alla selezione del

partner privato nelle operazioni di PPP contrattuali?

11. Siate a conoscenza di casi nei quali le condizioni d'esecuzione -

comprese le clausole d'aggiornamento - hanno potuto avere un'incidenza

discriminatoria o hanno potuto costituire un ostacolo ingiustificato alla libera

prestazione di servizi o alla libertà di stabilimento? Se sì, potete descrivere il

tipo di problemi incontrati?

12. Siete al corrente di pratiche o di meccanismi di valutazione di offerte con

conseguenze discriminatorie?

13. Condividete la constatazione della Commissione secondo la quale alcune

operazioni del tipo "step-in" possono porre problemi in termini di trasparenza

e di parità di trattamento?

Conoscete altre "clausole tipo" la cui attuazione potrebbe causare problemi

simili?

14. Ritenete che sia necessario chiarire a livello comunitario alcuni aspetti

attinenti al quadro contrattuale dei PPP? Se sì, su quale(i) aspetto(i)

dovrebbe incentrarsi tale chiarificazione?

2.3. 2. Il subappalto di determinati compiti

51. In base alle esperienze della Commissione, l'applicazione delle norme relative ai

subappalti rappresenta talvolta una fonte di incertezze o interrogativi nel contesto delle

operazioni di tipo PPP. Alcune parti hanno fatto osservare, ad esempio, che le relazioni

contrattuali tra le società di progetto che diventano titolari del contratto o della concessione,

e gli azionisti della stessa, sollevano un certo numero di questioni giuridiche. A tale riguardo,

la Commissione desidera ricordare che nei casi in cui la società di progetto abbia essa

stessa lo status di organismo aggiudicatore, è obbligata ad assegnare i propri contratti o le

proprie concessioni nel quadro di un bando di gara, sia che i contratti siano conclusi con i

120

propri azionisti sia che non lo siano. Fa eccezione un solo caso: quello in cui le prestazioni

affidate da una società di progetto ai propri azionisti sono già state oggetto di un bando da

parte del partner pubblico, precedentemente alla costituzione della società di progetto (46).

In compenso, se la società di progetto non ha lo status di organismo aggiudicatore, di norma

è libera di contrattare con terzi, a prescindere dal fatto se siano propri azionisti o meno. A

titolo d'eccezione, quando la società di progetto è un 'concessionario di lavori, si applicano

alcune norme inerenti alla pubblicità per quanto riguarda la stipulazione di contratti d'appalto

di lavori superiori alla soglia di 5 milioni di euro, ad eccezione tuttavia dei contratti conclusi

con le imprese che si sono raggruppate per ottenere la concessione o le imprese ad esse

affiliate (47).

52. I partner privati sono, per principio, liberi di dare in subappalto una parte o la totalità di un

appalto pubblico o di una concessione. Occorre tuttavia segnalare che, nel quadro

dell'aggiudicazione degli appalti pubblici, può essere chiesto agli offerenti di comunicare

nella loro offerta la parte dell'appalto che hanno intenzione di subappaltare a terzi (48). Per

le concessioni di lavori di cui il valore supera 5 milioni di euro, l'organismo aggiudicatore può

inoltre imporre al concessionario di affidare a terzi contratti rappresentanti una percentuale

minima del 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione (49).

15. Nel contesto delle operazioni di PPP, siete al corrente di problemi

particolari incontrati in materia di subappalto? Quali?

16. Il fenomeno dei PPP di tipo contrattuale, che implica il trasferimento di

un insieme di compiti ad un unico partner privato, giustifica secondo

l’introduzione, riguardo al fenomeno dei subappalti, di norme più dettagliate

e dal campo d'applicazione più vasto?

17. In maniera più generale, ritenete che si dovrebbe prendere un'iniziativa

complementare a livello comunitario al fine di chiarire, o sistemare, le

norme relative ai subappalti?

3. IL PPP ISTITUZIONALIZZATO ED IL DIRITTO COMUNITARIO DEGLI APPALTI

PUBBLICI E DELLE CONCESSIONI

53. Ai sensi del presente Libro verde, le operazioni PPP di tipo istituzionalizzato implicano la

creazione di un'entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato

(50). Tale soggetto comune ha quindi la missione di assicurare la fornitura di un’opera o di

un servizio a favore del pubblico. Negli Stati membri, le autorità pubbliche ricorrono a volte a

121

queste strutture, in particolare per la gestione di servizi pubblici a livello locale (ad esempio,

per i servizi d'approvvigionamento idrico o per la raccolta dei rifiuti).

54. La cooperazione diretta tra il partner pubblico ed il partner privato nel quadro di un ente

dotato di personalità giuridica propria permette al partner pubblico di conservare un livello di

controllo relativamente elevato sullo svolgimento delle operazioni, che può adattare nel

tempo in funzione delle circostanze, attraverso la propria presenza nella partecipazione

azionaria e in seno agli organi decisionali dell'impresa comune. Essa permette inoltre al

partner pubblico di sviluppare un’esperienza propria riguardo alla fornitura del servizio in

questione, pur ricorrendo al sostegno di un partner privato.

55. La creazione di un PPP istituzionalizzato può avvenire sia attraverso la creazione di

un'entità detenuta congiuntamente dal settore pubblico e dal settore privato (3.1.), sia

tramite il passaggio a controllo privato di un'impresa pubblica già esistente (3.2).

56. La discussione che segue si concentra esclusivamente sulle questioni attinenti al diritto

degli appalti pubblici e delle concessioni che riguardano PPP istituzionalizzati. Per una

discussione più generale sulle incidenze di tale diritto in occasione della creazione e dello

svolgimento di tali PPP si rinvia ai capitoli precedenti.

3. 1. Attuazione di un partenariato che implica la creazione di un'entità ad hoc detenuta

congiuntamente dal settore pubblico e dal settore privato (51)

57. L'operazione consistente nel creare un'impresa a capitale misto, di per sé non è

contemplata dal diritto degli appalti pubblici e delle concessioni. Tuttavia, occorre garantire il

rispetto delle norme e dei principi derivanti da tale diritto (i principi generali del Trattato o, in

alcuni casi, le disposizioni delle direttive) quando tale operazione è accompagnata

dall’attribuzione di incarichi tramite un atto che può essere definito appalto pubblico o

concessione (52).

58. La scelta di un partner privato destinato a svolgere tali incarichi nel quadro del

funzionamento di un'impresa mista non può dunque essere basata esclusivamente sulla

qualità del suo contributo in capitali o della sua esperienza, ma dovrebbe tenere conto delle

caratteristiche della sua offerta – che economicamente è la più vantaggiosa – per quanto

riguarda le prestazioni specifiche da fornire. Infatti, in mancanza di criteri chiari ed oggettivi

che permettano all'amministrazione aggiudicatrice di individuare l'offerta economicamente

più vantaggiosa, l'operazione in capitale potrebbe costituire una violazione del diritto degli

appalti pubblici e delle concessioni.

122

59. In questo contesto, l'operazione consistente nel creare tale impresa non solleva

generalmente problemi riguardo al diritto comunitario applicabile, qualora costituisca una

modalità d'esecuzione dell’incarico affidato nel quadro di un contratto ad un partner privato.

Occorre tuttavia che le condizioni relative alla creazione dell'impresa siano chiaramente

stabilite in occasione della pubblicazione del bando relativo agli incarichi che si desiderano

affidare al partner privato (53).

60. Tuttavia, la Commissione ha constatato che in alcuni Stati la legislazione nazionale

permette alle entità miste, nelle quali la partecipazione del settore pubblico è quella

dell'organismo aggiudicatore, di partecipare ad una procedura d'attribuzione di appalti

pubblici o di concessioni prima ancora di essere costituite. In questi casi l'impresa viene poi

definitivamente costituita solo una volta effettivamente ottenuto l’incarico. In altri Stati si è

affermata una pratica che tende a confondere la fase di costituzione dell'impresa e la fase

d'attribuzione dei compiti. La procedura lanciata dall'amministrazione aggiudicatrice mira in

tal caso alla creazione di un'entità mista cui vengono affidati determinati compiti.

61. Queste formule non sembrano offrire soluzioni soddisfacenti per quanto concerne le

disposizioni applicabili in materia di appalti pubblici e di concessioni (54). Nel primo caso,

una situazione di concorrenza rischia di essere pregiudicata dalla posizione privilegiata della

società in costituzione, e dunque del partner privato che vi partecipa. Anche nel secondo

caso, la procedura specifica di selezione del partner privato comporta numerosi problemi.

Alcune difficoltà riguardano l'obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di definire in modo

sufficientemente chiaro e preciso, in questo contesto, l'oggetto del contratto o della

concessione. La Commissione ha sovente constatato che le missioni affidate alla struttura

della partnerhip non sono chiaramente definite e che in alcuni casi sfuggono anche a

qualsiasi quadro contrattuale. Questo non solo contrasta con i principi di trasparenza e di

parità di trattamento, ma rischia anche di pregiudicare gli obiettivi d'interesse generale

perseguiti dalla pubblica autorità. Inoltre, si può constatare che solitamente la durata

dell'impresa creata non coincide con la durata del contratto o della concessione attribuita, il

che appare suscettibile di indurre a rinnovi dell’incarico affidato a questa impresa senza che

sia posta in essere una reale nuova messa in concorrenza. Ciò a volte implica che, de facto,

gli incarichi siano attribuiti per una durata illimitata.

62. D'altra parte, occorre ricordare che la creazione congiunta di tali imprese può essere

realizzata solo rispettando il principio di non discriminazione in ragione della nazionalità, in

linea generale, e del principio di libera circolazione dei capitali, in particolare (55). A titolo di

esempio, di norma le pubbliche autorità non possono sommare la propria posizione di

123

azionista di una simile impresa a privilegi esorbitanti non basati su un'applicazione normale

del diritto societario (56).

63. La Commissione desidera inoltre ricordare che la partecipazione dell'organismo

aggiudicatore all'impresa mista, che al termine della procedura di selezione diventa

contitolare del contratto, non giustifica la mancata applicazione del diritto dei contratti e delle

concessioni in occasione della selezione del partner privato. L'applicazione del diritto

comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni non dipende infatti dal carattere

pubblico, privato o misto del co-contraente dell'organismo aggiudicatore. Come ha

confermato la Corte di giustizia nella causa Teckal, tale diritto si applica quando un

organismo aggiudicatore decide di affidare un compito ad un terzo, ovvero a una persona

giuridicamente distinta. Una procedura diversa può essere applicata solo nell'ipotesi in cui,

allo stesso tempo, l'organismo aggiudicatore eserciti sulla persona in oggetto un controllo

analogo a quello che esercita sui propri servizi e al contempo questa persona realizzi la

parte più importante della sua attività con la/le collettività che la detengono (57). Solo le

entità che soddisfano entrambe queste condizioni possono essere assimilate a delle entità

'in house rispetto all’organismo aggiudicatore e vedersi affidare dei compiti al di fuori di una

procedura concorrenziale (58).

64. Infine è il caso di ricordare che se l'entità mista funge da organismo aggiudicatore, tale

funzione implica anche il rispetto del diritto applicabile in materia di appalti pubblici e di

concessioni, laddove tale diritto assegni al partner privato dei compiti che l'amministrazione

aggiudicatrice non abbia bandito precedentemente alla costituzione dell'impresa mista. Il

partner privato non può, infatti, approfittare della propria posizione privilegiata nell'entità

mista per riservarsi alcuni compiti senza procedere preliminarmente a un bando.

3. 2. Assunzione del controllo su un'entità pubblica da parte di un operatore privato

65. La creazione di un PPP di tipo istituzionalizzato può anche avvenire tramite una modifica

della partecipazione azionaria di un'impresa pubblica. A tale riguardo, occorre innanzitutto

sottolineare che il passaggio di un'impresa del settore pubblico al settore privato è una

scelta di politica economica che, come tale, è di esclusiva competenza degli Stati membri

(59).

66. Occorre quindi ricordare che il diritto comunitario degli appalti pubblici non ha di per sé il

compito di regolamentare operazioni che rappresentano semplici versamenti di capitale da

parte di un finanziatore ad un'impresa, sia appartenente al settore pubblico sia privato.

Queste operazioni rientrano nel campo d'applicazione delle disposizioni del Trattato relative

124

al libero movimento dei capitali (60) e ciò implica in particolare che le misure nazionali che le

regolamentano non devono costituire degli ostacoli agli investimenti provenienti da altri Stati

membri (61).

67. Per contro, le disposizioni relative alla libertà di stabilimento ai sensi dell'articolo 43 del

Trattato devono essere applicate quando un'autorità pubblica decide, tramite un'operazione

in capitale, di cedere ad un terzo una partecipazione che gli permette di esercitare

un'influenza certa su un'impresa pubblica che svolge operazioni economiche normalmente

rientranti nella responsabilità dello Stato (62).

68. In particolare, quando i pubblici poteri accordano a un operatore economico un’influenza

certa in seno a un’impresa, nel quadro di un’operazione di cessione di capitale, e tale

operazione ha per effetto il conferimento a tale operatore di determinati incarichi rientranti

nel campo materiale del diritto degli appalti pubblici, incarichi che precedentemente venivano

esercitati, direttamente o indirettamente, dai poteri pubblici, le disposizioni relative alla libertà

di stabilimento impongono il rispetto del principio di trasparenza e di parità di trattamento,

allo scopo di garantire che ogni potenziale operatore abbia il medesimo accesso alla

prestazione di tali attività fino a quel momento riservate ai pubblici poteri.

69. Inoltre, la buona pratica consiglia di accertarsi che tale operazione in capitale non

nasconda in realtà l'attribuzione ad un partner privato di contratti definibili come appalti

pubblici o come concessioni. In particolare ciò accade quando, prima dell'operazione in

capitale, l'impresa in questione si vede attribuire, direttamente e senza messa in

concorrenza, degli incarichi particolari, nell’intento di rendere attraente l'operazione in

capitale.

18. Quale esperienza avete del lancio di operazioni PPP di tipo

istituzionalizzato? In particolare, la vostra esperienza vi porta a pensare che il

diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni sia rispettato nel

caso di operazioni PPP istituzionalizzate? Se no, perché?

19. Ritenete che debba essere presa un'iniziativa a livello comunitario per

chiarire o precisare gli obblighi degli organismi aggiudicatori riguardo alle

condizioni che devono regolamentare la concorrenza tra operatori

potenzialmente interessati da un progetto di tipo istituzionalizzato? Se sì, su

quali punti particolari e sotto quale forma? Se no, perché?

In maniera generale, ed indipendentemente dai problemi sollevati in questo

documento:

20. Quali sono le misure o le pratiche che ritenete di ostacolo alla creazione di

125

PPP nell'Unione europea?

21. Conoscete altre forme di PPP sviluppate nei paesi al di fuori dell'Unione?

Conoscete esempi di 'buone pratiche 'sviluppate in questo contesto, cui l'Unione

potrebbe ispirarsi? Se sì, quali?

22. In termini più generali, e tenuto conto dei considerevoli investimenti

necessari in alcuni Stati membri, al fine di realizzare uno sviluppo economico-

sociale durevole, pensate che sia utile una riflessione collettiva su tali questioni

che prosegua ad intervalli regolari tra gli attori interessati e che permetta uno

scambio di ‘buone pratiche’? Ritenete che la Commissione dovrebbe dare

impulso ad una tale rete?

4. OSSERVAZIONI FINALI

70. La Commissione invita tutte le parti interessate a trasmetterle le proprie osservazioni

sulle domande formulate nel presente Libro verde. Le risposte, osservazioni e proposte

possono essere inviate per posta all'indirizzo seguente:

Commissione europea

Consultazione "Libro verde sui PPP e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e

delle concessioni"

C 100 2/005

B-1049 Bruxelles

o per posta elettronica all'indirizzo seguente:

[email protected]

I commenti devono essere inviati alla Commissione entro il termine ultimo del 30 luglio 2004.

Per informazione delle parti interessate, i contributi pervenuti via email, nonché le coordinate

dei mittenti, saranno inseriti sul sito web http://europa.eu.int/comm/internal_market, a meno

che i mittenti non abbiano espressamente sollevato un'obiezione nei confronti di tale

pubblicazione.

71. Sulla base, tra l'altro, dei contributi ricevuti, la Commissione si propone di trarre le

proprie conclusioni e, se necessario, di presentare iniziative concrete per dare un seguito

alla materia.

126

________________________

1 Cfr. la comunicazione della Commissione del 23 aprile 2003 "Sviluppare la rete

transeuropea di trasporto: finanziamenti innovativi, interoperabilità del telepedaggio", COM

(2003) 132, e la relazione del gruppo ad alto livello sulla rete transeuropea di trasporto del

27 giugno 2003.

2 Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles del 12 dicembre 2003.

3 L'11 febbraio 2004 Eurostat, l’Ufficio statistico delle Comunità europee, ha preso una

decisione (cfr. Comunicato stampa STAT/04/18) relativa al trattamento contabile nei conti

nazionali dei contratti firmati dalle imprese pubbliche nel quadro di partenariati con imprese

private. La decisione precisa l’impatto sul deficit/sull’eccedenza pubblica e sul debito

pubblico. Eurostat raccomanda che gli attivi legati ad un partenariato pubblico-privato siano

classificati come attivi non pubblici e non siano dunque registrati nel bilancio delle

amministrazioni pubbliche qualora siano realizzate le due seguenti condizioni: 1. il partner

privato si assume il rischio della costruzione 2. il partner privato si assume almeno uno dei

due rischi seguenti: quello della disponibilità o quello legato alla domanda.

4 Cfr. la comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento “Public finances in

EMU 2003”, pubblicata su European Economy n° 3/2003 (COM(2003) 283 def.).

5 COM (2003) 270 def. Per il testo del Libro verde e dei contributi cfr.

http://europa.eu.int/comm.secretariat_general/services_general_interest.

6 Risoluzione del Parlamento europeo sul Libro verde sui servizi d'interesse generale,

adottata il 14 gennaio 2004.

7 Le norme relative al mercato interno, comprese le norme ed i principi in materia di appalti

pubblici e di concessioni, sono applicate a qualsiasi attività a carattere economico, cioè a

qualsiasi attività consistente nell’offrire servizi, beni o lavori sul mercato, anche se questi

servizi, beni o lavori mirano a garantire un 'servizio pubblico ' così come è definito da uno

Stato membro.

8 Cfr. la Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto

comunitario, GUCE n. C 121 del 29 aprile 2000.

9 Direttive 92/50/CEE, 93/36/CEE, 93/37/CEE, 93/38/CEE, che coordinano le procedure di

aggiudicazione, rispettivamente, degli appalti pubblici di servizi, degli appalti pubblici di

forniture, degli appalti pubblici di lavori, e degli appalti degli enti erogatori di acqua e di

energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel

settore delle telecomunicazioni. Queste direttive saranno sostituite dalla direttiva 2004/18/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativa al coordinamento delle

procedure d'aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, di forniture e di servizi; e dalla

127

direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativa al

coordinamento delle procedure d'aggiudicazione degli appalti nei settori dell'acqua,

dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, che saranno pubblicate prossimamente in

GUUE . Una versione (provvisoria) delle nuove direttive è consultabile sul sito web

http://www.europarl.eu.int/code/concluded/default_2003_en.htm.

10 Inoltre, in alcuni settori, ed in particolare nel settore dei trasporti, l’attuazione di un PPP

può essere soggetta anche ad una legislazione settoriale specifica. Cfr. a proposito il

regolamento (CEE) n° 2408/92 del Consiglio sull'accesso dei vettori aerei della Comunità

alle rotte intracomunitarie, il regolamento (CEE) n° 3577/92 del Consiglio concernente

l'applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati

membri, il regolamento (CEE) n° 1191/69 del Consiglio relativo all'azione degli Stati membri

in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per

ferrovia, su strada e per via navigabile, modificato dal regolamento (CEE) n° 1893/91, e la

proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo

all'azione degli Stati membri in tema di obblighi di servizio pubblico e di aggiudicazione di

contratti di servizio pubblico nel settore del trasporto di passeggeri per ferrovia, su strada e

per via navigabile interna (COM (2002) 107 def).

11 Cause riunite C-285/99 e C-286/99, Impresa Lombardini c. ANAS, sentenza del 27

novembre 2001, paragrafo 36 e - per analogia - causa C-380/98, University of Cambridge,

Racc. p. I-8035 e causa C- 19/00, Siac construction, Racc. p. I-7725.

12 Nel quadro delle operazioni di PPP i partner pubblici sono in primo luogo gli enti

nazionali, regionali o locali. Possono anche essere organismi di diritto pubblico creati per

compiere missioni d'interesse generale sotto il controllo dello Stato, o imprese che

gestiscono alcune industrie a rete. A fini di semplificazione, il termine "organismo

aggiudicatore" in questo documento verrà impiegato per designare la totalità di tali

organismi; il termine include quindi le "amministrazioni aggiudicatrici" ai sensi delle direttive

92/50/CEE, 93/36/CEE, 93/37/CEE e 2004/18/CE e gli enti aggiudicatori che sono le

"autorità pubbliche " e le "imprese pubbliche" ai sensi delle direttive 93/38/CEE e

2004/17/CEE.

13 Sentenza della Corte del 12 luglio 2001, causa C-399/98, Scala, Racc. I-5409, cfr. in

particolare i punti 53 - 55.

14 Ovvero quelli elencati all'allegato IA della direttiva 92/50/CEE o all'allegato XVIA della

direttiva 93/38/CEE.

15 Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario.

GUCE C 121 del 29 aprile 2000.

128

16 Parere del Parlamento europeo in prima lettura sulla proposta della Commissione COM

(2000) 275 del 10.05.2002.

17 Parere, CES, GUCE C 14 del 16.1.2001, relatore Levaux, punto 4.1.3 e parere, CES,

GUCE C 193 del 10.07.2001, relatore Bo Green, punto 3.5.

18 strategia per il mercato interno, priorità 2003-2006, (2003) 238 finale.

19 Comunicazione della Commissione "un'iniziativa per la crescita: Investire nelle reti e la

conoscenza per sostenere la crescita e l'occupazione ", (2003) 690 finale dell'11 novembre

2003. Rapporto approvato dal Consiglio europeo di Bruxelles del 12 dicembre 2003.

20 Cfr. Rapporto sui risultati della consultazione sul libro verde sui servizi d'interesse

generale (vedi nota 5 qui sopra).

21 Cfr nota 3 qui sopra.

22 Regolamento (CE) n°2157/2001 del Consiglio dell'8 ottobre 2001.

23 La distinzione qui operata non tiene conto delle qualifiche giuridiche operate nel diritto

nazionale e non pregiudica affatto la qualificazione di questi tipi di operazioni o di contratti

nel diritto comunitario. L'analisi che segue ha dunque il solo scopo di distinguere tra loro le

operazioni di solito qualificate come PPP, per potere poi più agevolmente determinare quali

norme del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni vadano ad esse

applicate.

24 Va ricordato che la denominazione assegnata dal diritto nazionale o dalle parti in causa

non ha alcuna incidenza sulla qualificazione giuridica di questi contratti ai fini

dell'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni.

25 Il termine PFI si riferisce a "Private Finance Initiative", un programma del governo

britannico che permette l'ammodernamento delle infrastrutture pubbliche con l'ausilio del

ricorso al finanziamento privato. Lo stesso modello è utilizzato in altri Stati membri, con

varianti a volte notevoli. ILPFI, ad esempio, ha ispirato lo sviluppo del 'Betreibermodell' in

Germania.

26 Cfr. il caso dei 'pedaggi virtuali', utilizzati nel quadro di progetti autostradali, in particolare

nel Regno Unito, in Portogallo, in Spagna ed in Finlandia.

27 Ovvero quelli elencati all'allegato IA della direttiva 92/50/CEE ed all'allegato XVIA della

direttiva 93/38/CEE.

28 Ovvero le direttive 93/37/CEE, 92/50/CEE e 2004/18/CE.

29 A titolo d’esempio, ciò può accadere quando i lavori vengono effettuati in una zona

geologicamente instabile o in una zona archeologica, e per questa ragione la portata dei

lavori da effettuare non può essere prevista al momento del lancio della procedura. Una

129

deroga simile è prevista dall'articolo 11, par. 2 della direttiva 92/50, nonché dalla direttiva

2004/18/CE, all'articolo 30, par. 1, b).

30 Articolo 29 della direttiva 2004/18/CE.

31 Articolo 23 della direttiva 2004/18/CE e articolo 34 della direttiva 2004/17/CE.

32 Cfr. articolo 3, par. 1 della direttiva 93/37/CEE, e articoli 56-59 della direttiva 2004/18/CE.

33 Benché la Commissione abbia proposto di includere le concessioni di servizi nella

direttiva 92/50/CEE, nel corso del processo legislativo il Consiglio ha deciso di escluderli dal

campo d'applicazione della stessa.

34 Causa C-324/98. Cfr. anche l’ordinanza del 30 maggio 2002, causa C-358/00, Deutsche

Bibliothek, Racc. I-4685. Questi principi sono applicabili anche agli altri atti statali che

affidano una prestazione economica ad un terzo, come ad esempio i bandi esclusi dal

campo d'applicazione delle direttive a causa del fatto che il loro importo non supera le soglie

d'applicazione del diritto derivato (ordinanza della Corte del 3 dicembre 2001, causa C-

59/00, Vestergaard, Racc. I-9505) o i servizi detti non prioritari.

35 La Spagna (legge del 23 maggio 2003 sulle concessioni di lavori), l'Italia (legge Merloni

del 1994, come modificata) e la Francia (legge Sapin del 1993) si sono tuttavia dotate di

simili legislazioni.

36 Articolo 19 della direttiva 93/36/CEE, articolo 22 della direttiva 93/37/CEE, articolo 27

della direttiva 92/50/CEE ed articolo 31 della direttiva 93/38/CEE. Cfr. anche l'articolo 44

della direttiva 2004/18/CE e l'articolo 54 della direttiva 2004/17/2004.

37 In alcuni stati membri, l'iniziativa privata è oggetto di una regolamentazione specifica (cfr,

in Italia, la legge Merloni ter del 18 novembre 1998 e, in Spagna, il regolamento dei servizi

delle Comunità locali del 1955 e la legge 13/2003 sulle concessioni di lavori del 23 maggio

2003). In altri Stati membri, i PPP di iniziativa privata si sviluppano anche nella pratica.

38 Cfr. causa C-87/94, Commissione c. Belgio (Bus Wallons), sentenza del 25 aprile 1994,

punto 54. Cfr. Inoltre, causa C-243/89, Commissione c. Danimarca (ponte sullo Storebaelt),

sentenza del 22 giugno 1992.

39 Causa C-19/00, Siac Constructions, sentenza del 18 ottobre 2001, punti 41-45; causa C-

31/87, Gebroeders Beentjes c. Paesi Bassi, sentenza del 20 settembre 1988, punti 29-37.

Cfr. anche l'articolo 26 della direttiva 2000/18/CE e l’articolo 38 della direttiva 2000/17/CE.

40 Cfr. la Comunicazione interpretativa sulle concessioni, in particolare il punto 3.1. 3.

41 Articoli 81, 82 e 86, paragrafo 2 del Trattato CE.

42 Cfr causa C-337/98, Commissione c. Francia, sentenza del 5 ottobre 2000, punti 44 e

seguenti. Il diritto comunitario è contrario anche a modifiche intervenute durante la fase di

messa a punto del contratto, dopo la selezione finale dell'offerente prescelto. Le nuove

130

disposizioni che disciplinano il dialogo competitivo prevedono a tale riguardo che l'offerente

prescelto possa solo "fornire chiarimenti in merito a taluni aspetti della propria offerta o

confermare gli impegni che vi figurano, a patto che ciò non abbia l'effetto di modificare

elementi sostanziali dell'offerta o del bando di gara, di falsare la concorrenza o creare

discriminazioni."

43 Articolo 46 del Trattato.

44 Causa C-337/98, Commissione c. Francia, sentenza del 5 ottobre 2000, punti 44 e

seguenti. La

Comunicazione interpretativa sulle concessioni precisa a tale riguardo che l'estensione di

una

concessione esistente al di là del termine originariamente fissato debba essere assimilata al

rilascio di una nuova concessione a favore dello stesso concessionario.

45 Cfr. l'articolo 11, paragrafo 3, e) della direttiva 92/50/CEE, l’articolo 7, paragrafo 3, d)

della direttiva 93/37/CEE e l'articolo 20, paragrafo 2, f) della direttiva 93/38/CEE. La nuova

direttiva 2004/18/CE prevede un'eccezione simile per le concessioni di lavori, cfr. articolo 61.

46 L'articolo 13 della direttiva 93/38/CEE prevede una deroga qualora dei subappalti di

servizi siano assegnati da un ente aggiudicatore, operatore di reti, ad un'impresa collegata.

L'articolo 23 della direttiva 2004/17/CE estende questa eccezione ai contratti di subappalto

di forniture o lavori.

47 Articolo 3, par. 4 della direttiva 93/37/CEE e articoli 63-65 della direttiva 2004/18/CE.

Questi ultimi articoli innalzano la soglia di cui sopra a 6.242.000 euro.

48 Articolo 17 della direttiva 93/36/CEE, articolo 20 della direttiva 93/37/CEE, articolo 25

della direttiva 92/50, articolo 27 della direttiva 93/38. Cfr. anche l'articolo 25 della direttiva

2004/18/CE e l’articolo 37 della direttiva 2004/17/CE.

49 Articolo 3, paragrafo 2 della direttiva 93/37/CEE. Cfr. anche l'articolo 60 della direttiva

2004/18/CE.

50 Negli Stati membri in questo contesto sono in uso terminologie e regimi diversi (es.

Kooperationsmodell, PPP associatives, joint ventures).

51 Ci riferiamo al caso di creazione di impresa ex novo nel quadro di un’operazione giuridica

specifica. In compenso non affronteremo specificamente il caso delle imprese miste

preesistenti che partecipano alle procedure d'aggiudicazione di appalti pubblici o di

concessioni, poiché non si tratta di una situazione che possa suscitare discussioni riguardo

al diritto comunitario applicabile. Il carattere misto di un'impresa che partecipa ad una

procedura di appalto non implica infatti alcuna deroga alle norme applicabili nel quadro

dell'aggiudicazione di un appalto pubblico o di una concessione. Solo qualora l’impresa in

131

oggetto abbia le caratteristiche di un’impresa "in house", ai sensi della giurisprudenza Teckal

della Corte di giustizia, l’amministrazione aggiudicatrice può tralasciare l’applicazione delle

norme abituali.

52 Si ricorda che i principi del diritto degli appalti pubblici e delle concessioni si applicano

anche quando l'attribuzione di un incarico avviene tramite un atto unilaterale (ad esempio un

atto legislativo o regolamentare).

53 Inoltre, queste condizioni non devono comportare discriminazioni o costituire un ostacolo

ingiustificato alla libera prestazione di servizi o alla libertà di stabilimento, o comportare

restrizioni sproporzionate rispetto allo scopo da raggiungere.

54 In occasione della concezione o dell'organizzazione di tali operazioni, il test consistente

nell’applicazione dei formulari standard – che riprendono gli elementi indispensabili per un

bando che garantisca una buona informazione -, permette del resto di comprendere quanto

possa essere difficile trovare una formula di pubblicità adeguata per l'attribuzione degli

incarichi rientranti nel campo d'applicazione del diritto degli appalti pubblici o delle

concessioni.

55 La partecipazione a una nuova impresa con l’obiettivo di creare legami economici duraturi

è contemplata dalle disposizioni dell'articolo 56 relative al libero movimento dei capitali. Cfr.

allegato I della direttiva 88/361/CEE, adottata nel contesto del vecchio articolo 67, che

elenca i tipi di operazione che devono essere considerati come movimenti di capitali.

56 Cfr. sentenze della Corte del 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione c. Portogallo,

Racc. I-4731; causa C-483/99, Commissione c. Francia, Racc. I-4781; e sentenze del 13

maggio 2003, causa C-463/00, Commissione c. Spagna, Racc. I-4581; causa C-98/01,

Commissione c. Regno Unito, Racc. I-4641. Sulle giustificazioni possibili in questo contesto,

cfr. sentenza della Corte del 4 giugno 2002, causa C-503/99, Commissione c. Belgio, Racc.

I-4809.

57 Causa C-107/98, Teckal, sentenza del 18 novembre 1999, paragrafo 50.

58 La Corte di giustizia è stata investita di tre questioni pregiudiziali (cause C-26/03, C-

231/03 e C-458/03) miranti a ottenere una chiarificazione complementare sulla portata dei

criteri che consentono di accertare l’esistenza di una relazione del tipo 'in house.'

59 Ciò deriva dal principio di neutralità del Trattato riguardo al regime di proprietà, sancito

dall'articolo 295 del Trattato.

60 Articolo 56 e seguenti del Trattato CE.

61 Cfr. la Comunicazione della Commissione relativa ad alcuni aspetti giuridici attinenti agli

investimenti intracomunitari, GU delle CE n° C 220 del 19 luglio 1997, p.15.

132

62 Cfr. al riguardo la sentenza della Corte del 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, Racc.

I-2787