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Indice generale 1. Brevi note sugli affidamenti dei SPL (di Giuseppe De Mita) 3 2. Il recesso dell'amministrazione ai sensi dell'art.21 sexies della legge
n.241 del 1990 (di Andrea Baldanza) 8
3. Circolari Ministero Ambiente 06.12.2004 14 4. Sentenza Corte Costituzionale n.272/04 17 5. Sentenza Corte Giustizia C – 26/03 27 5.1. Conclusioni Avvocato Generale nella causa C – 26/03 44
6. Legge 15.12.2004, n.308 - Delega Ambientale 66 7. Consiglio di Stato, sez. V. ord. 2316/04 85 8. TAR Puglia, sez. III. ord. 08.09.2004 90 9. Libro Verde PPP, Comm. Eur. 30.04.2004, n.327 103
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1. Brevi note sugli affidamenti dei SPL (di Giuseppe De Mita*)
Il tema degli affidamenti e delle concessioni nella materia dei servizi pubblici locali
(SPL) costituisce sicuramente uno degli aspetti di maggiore rilevanza all’interno del sistema
di detti servizi, per esso come è stato riformato e per come si va disciplinando, alla luce del
nuovo dettato normativo e dei ripetuti interventi della giurisprudenza e della legislazione
comunitarie e nazionali.
È bene precisare che la materia in questione è solo quella relativa ai SPL dal momento
che per le atre forme di appalti e concessioni i riferimenti normativi risultano essere differenti
da quelli che vedremo, e regolamentati da ultimo da specifiche direttive comunitarie il cui
recepimento risulta tra le indicazioni presenti nella legge comunitaria 2004 (L. 18.04.2005,
n.62, art.25).
La prima distinzione cui occorre fare riferimento è quella tra SPL a rilevanza economica
e SPL privi di rilevanza economica.
Per ciò che riguarda la prima tipologia la disciplina di riferimento è fissata dall’art. 113
comma 5 TUEL, nel quale vengono espressamente individuati, a tacitazione di un aspro
dibattito con echi anche a livello istituzionale, i modelli gestionali possibili: a) affidamento con
gara; b) affidamento diretto a società mista; c) affidamento diretto a società interamente
pubblica.
La normativa richiamata è integrativa delle discipline regionali cui comunque è
demandato il compito della indicazione delle disposizioni di dettaglio ed applicative, in virtù
degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n.272/04, la quale ha dichiarato, tra
l’altro, l’incostituzionalità del comma 7 dell’art. 113 TUEL (che disciplinava i criteri in ragione
dei quali si sarebbero dovute effettuare le gare), in quanto disposizione costrittiva delle
competenze regionali alla luce del nuovo testo dell’art. 117 Cost.
Va comunque detto che la materia resta ancora esposta ad interventi e modifiche dal
momento che, da un lato, con la delega ambientale (L. 15.12.2004, n.308) vengono previsti
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prossimi interventi legislativi di riordino e, dall’altro lato, la giurisprudenza propone e
prospetta nuove interpretazioni sull’applicazione e i termini per l’affidamento dei servizi..
Sotto questo ultimo profilo, va evidenziata la pendenza davanti alla Corte di Giustizia
Europea di due questioni di compatibilità con le disposizioni comunitarie del modello
gestionale c.d. “in house”, proposte dal Consiglio di Stato (ord. N.2316/04) e dal TAR Puglia
(ord. 08.09.2004).
A ciò si aggiunga che con la sentenza C – 26/03 della CGE, è stato affermato il
principio che nessun affidamento in house è possibile nel caso in cui la società affidataria
abbia nella propria compagine la presenza di un socio privato, ancorché minoritaria. Tale
pronuncia apre, invero, una questione interpretativa di una certa delicatezza in merito alla
configurabilità di un affidamento diretto nell’ipotesi di società mista a date condizioni (come
si dovrebbe desumere dal testo dell’art.113, comma 5, lettera b) TUEL), specie se rapportato
al tenore delle recenti circolari del Ministero dell’Ambiente (v. circolari 06.12.2004).
Una nota a parte, infatti, meritano le due circolari appena richiamate con le quali il
Ministero è intervenuto nuovamente – e in termini francamente equivoci – per fissare alcune
indicazioni relative alle modalità ed alle forme di gestione nel caso di “appalto in house” e nel
caso di gara per la scelta del socio.
Le indicazioni contenute in tali circolari, da punto di vista del merito, contengono una
serie di indicazioni ed interpretazioni ingiustificatamente restrittive e dirette a rendere
sostanzialmente residuale le ipotesi in questione, con implicito favor per l’ipotesi
dell’affidamento con gara.
A queste circolari, tuttavia, sembra doveroso muovere una serie di rilievi innanzitutto
formali e procedurali.
In via sintetica, deve rilevarsi l’incompetenza e l’eccesso di potere del Ministero a
disciplinare la materia in questione e, comunque, l’incompetenza dei Ministeri a formulare
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circolari intersoggettive nei confronti di regioni ed enti locali e dello Stato ad emanare
disposizioni di dettaglio in materia di SPL a rilevanza economica.
Pertanto, pur nella consapevolezza di doversi porre in una posizione di difficile
relazione dal punto di vista istituzionale, si deve concludere che a dette circolari non può
essere attribuita alcuna efficacia.
Allo stato, dunque, in riferimento ai tre modelli gestionali prospettati dall’art. 113,
comma 5, si possono formulare le seguenti considerazioni:
Il modello in house risulta essere ancora al vaglio del giudice comunitario per ciò che
concerne la sua compatibilità con le disposizioni comunitarie, specie in materia di libera
concorrenza, e resta, comunque, esposto alla verifica della sua pratica attuazione dal
momento che il requisito del c.d. controllo analogo è ancora tutto da definire nei suoi termini
applicativi. Qui, va detto, si evidenzia tutta l’approssimazione della formulazione normativa
dovuta al fatto di avere pedissequamente tradotto una espressione formulata in sede
giurisprudenziale (v. sentenza Teckal) che aveva evidentemente natura descrittiva di un
fenomeno giuridico, in una espressione di carattere �rescrittivi e cogente. L’ansia di volere
adeguare la normativa interna ai principi comunitari ha probabilmente indotto il legislatore ad
adottare una formulazione che, mentre in apparenza pareva avere risolto ogni questione, in
realtà si rivelava di grande problematicità.
Il modello gestionale della società mista è ancora esposto ad incertezze normative per i
termini con i quali deve essere effettuata la scelta del socio e per i tempi della scelta, avendo
la circolare ministeriale relativa a tale modello indicato che la scelta del socio privato
andrebbe effettuata anteriormente all’affidamento del servizio, con una serie di questioni
assolutamente problematiche ed incerte sul piano applicativo.
A ciò si deve aggiungere che anche la normativa applicabile per la selezione del socio
privato appare incerta.
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Invero, al riguardo, si deve dubitare sull’applicabilità (melius, sulla vigenza) del D.P.R.
533/96, pure richiamato dalla circolare sopra detta, per le modalità di selezione del socio
privato.
Il regolamento in oggetto, invero, si configurerebbe allo stato quale regolamento di
esecuzione dell’art. 116 TUEL (come modificato dall’art.35 L. 448/01), il quale prevede la
società per azioni con partecipazione minoritaria degli enti locali per la gestione dei SPL privi
di rilevanza economica. Pertanto, non essendo applicabile l’art. 116 ai SPL con rilevanza
economica (ciclo idrico integrato, in particolare), non è ad essi applicabile neppure il relativo
regolamento di esecuzione dato dal D.P.R. 533/96.
Ciò si può però affermare in positivo è che sul tema un riferimento può essere
rappresentato dal libro verde sui partenariati pubblico–privati (Comm. Eur. 30.04.04 n. 327).
Infine, il modello di selezione con gara del gestore non ha ancora certezze circa le
modalità di svolgimento, anche alla luce della sentenza della Consulta n.272/04, la quale,
dichiarando la competenza regionale in materia di SPL, ha affidato ad esse la
determinazione dei requisiti, delle modalità e dei termini per lo svolgimento delle gare.
Per ciò che riguarda i SPL privi di rilevanza economica le questioni che devono porsi
sono tutte legate agli effetti discendenti dalla sentenza della Consulta n.272/04, con la quale,
oltre a quanto già detto, è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art.113 bis TUEL, che
disciplinava le forme gestionali di tali SPL.
Vi è preliminarmente da porre la questione su quali siano i tratti distintivi dei SPL privi di
rilevanza economica, dal momento che da tale distinzione discende anche l’applicazione di
discipline differenti, non dovendosi infatti applicare ai SPL privi di rilevanza economica le
norme sulla concorrenza, come pure affermato nel Libro Verde sui servizi di interesse
generale.
I termini qualificanti tale distinzione hanno un carattere dinamico ed evolutivo.
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Alla luce della giurisprudenza comunitaria si tratta di bisogni di interesse generale
aventi carattere non commerciale, quelli che sono soddisfatti in modo diverso dall’offerta di
beni o servizi sul mercato e al cui soddisfacimento, per motivi connessi all’interesse
generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o ritiene di conservare un’influenza
determinante sulla loro gestione e organizzazione.
Le forme gestionali di tali servizi risultano influenzate dalla decisione della Consulta che
ha abrogato l’art. 113 bis TUEL, come detto. Pertanto, allo stato, si deve ritenere che gli enti
locali, nell’assenza di specifiche disposizioni, possano godere di una certa ampiezza di
scelta.
Si potrà perciò ricorrere alla Istituzione, alla Azienda speciale, alla Fondazione o
all’Associazione; così come al Consorzio o alla gestione in economia.
Si deve ritenere legittimo anche il ricorso alla forma societaria: benché per tali servizi
vada escluso uno scopo lucrativo, non è automatico che il ricorso alla forma societaria
imponga finalità lucrative sotto il profilo interpretativo.
Per ciò che riguarda la società mista la questione si pone in termini problematici.
Invero, nel campo dei SPL in esame le forme di affidamento sono tutte di tipo “diretto” e
ciò anche nel caso in cui si tratti di società mista.
Tuttavia, alla luce della sentenza C – 26/03 della Corte di Giustizia Europea dovrebbe
escludersi la possibilità di un affidamento diretto, laddove nel capitale della società vi sia,
comunque, un socio privato.
A ciò si aggiungano anche le incertezze applicative del D.P.R. 533/96 che dovrebbe
ritenersi abrogato in ragione degli effetti conseguenti all’abrogazione espressa dell’art. 113
bis e di quella prodottasi dell’art. 116 TUEL, del quale il D.P.R. citato costituisce il
regolamento di esecuzione.
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Ad ogni, modo, in conclusione, la materia pone una serie consistente e rilevante di
problemi interpretativi ed applicativi, che possono suggerire l’elaborazione di distinte analisi
per ciascuna delle ipotesi di affidamento vedute.
E comunque, i prevedibili e già programmabili interventi futuri del legislatore, oltre che
quelli giurisprudenziali, consigliano di prestare grande attenzione ai prossimi sviluppi, che,
nella prospettiva della scadenza del periodo transitorio, saranno gli elementi che
effettivamente condizioneranno le scelte strategiche nel settore.
*Avvocato di Publilab Advisors
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2. La nuova 241 ed il potere di recesso delle amministrazioni (di Andrea Baldanza**)
Il restyling della legge n.241 del 1990, scaturente dall’approvazione della legge 11
febbraio 2005, n.15, sembra scomporre l’intero quadro della c.d. fase esecutiva dei rapporti
delle amministrazioni pubbliche. La nuova versione della legge n.241 del 1990, intende
ampliare l’area di applicazione delle norme di diritto privato, secondo l’assunto (invero
indimostrato) che vuole che solo “il sistema privatistico possa assicurare maggiori garanzie
sia di efficienza e produttività, sia di moralità politico-amministrativa, sia di formazione
psicologica della nazione a quella competitività che è un aspetto inevitabile della
globalizzazione”1. Non a caso l’art.1bis della legge n.241 del 1990, sancisce che “la pubblica
amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di
diritto privato”.
L’art.21 sexies della legge n.241 del 1990, prevede che “il recesso unilaterale dai
contratti della pubblica amministrazione [sia] ammesso nei casi previsti dalla legge o dal
contratto”. La suddetta disposizione deve ritenersi applicabile sia nei riguardi delle fattispecie
contrattuali che quelle fondate su un provvedimento concessorio, legato ad un disciplinare.
Il primo effetto della norma introdotta nel corpo della legge n.241 del 1990 è la
dequotazione delle fonti, di rango non legislativo, deputate a disciplinare la tematica del
recesso. Senza nessuna pretesa di completezza, ed al solo scopo di rappresentare la
portata della questione, si possono annoverare tra le norme “affondate” dal citato art. 21
sexies della legge n.241 del 1990, l’art.122 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n.554, recante il
Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici, l’art.11 del d.M.
14 aprile 2000, n.200, recante il Regolamento concernente il capitolato generale d’oneri per i
contratti stipulati dall’Amministrazione della difesa ovvero l’art.20 del d.P.Regione Friuli-
Venezia Giulia, 5 giugno 2003, n.166, di approvazione, mediante atto di rango
regolamentare, del Capitolato generale d’appalto per i lavori pubblici presso la Regione Friuli
Venezia Giulia.
Tali disposizioni, in quanto di livello regolamentare e dirette a disciplinare il recesso
dell’amministrazione rispetto ai contratti di lavori, di forniture o di servizi, devono considerarsi
non più vigenti in quanto tali, ossia come fonti che si impongono nei confronti dei contraenti
privati a prescindere di qualsiasi manifestazione di volontà. Le norme regolamentari
sopracitate potranno trovare applicazione nei contratti conclusi dagli apparati pubblici, solo
1 S. Giacchetti, Giurisdizione amministrativa e legge n.15/2005: verso la riscoperta dell’unitarietà dell’interesse pubblico o verso una riserva indiana, in wwwgiurisprudenza.it, lo stesso autore, acutamente, registra come, in poco meno di un secolo, si sia ribaltato l’assunto che voleva, “negli anni trenta e quaranta del secolo scorso che “il diritto privato [fosse] una porcheria”.
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previa acquisizione della volontà delle parti contraenti. Non più quindi in quanto norme di
diritto, ma in quanto espressione della volontà negoziale dei contraenti.
Né può ritenersi che l’espressione contenuta nel citato art.21 sexies debba intendersi
in senso lato. Militano contro siffatta interpretazione elementi sia letterali che sostanziali.
Sotto il primo aspetto, deve osservarsi come la stessa legge n.241 del 1990, in più passi,
distingua fra legge e regolamento (cfr. art.4, comma 1 ed art.17, comma 1). Non si vede
perché, nell’art.21 sexies, si possa essere fatto ricorso al concetto di legge in senso lato,
ricomprendendo tutte le fonti normative, a prescindere dall’inquadramento formale.
Sul piano sostanziale, inoltre, appare coerente con l’intento di massima espansione
del diritto privato, l’abbattimento di ogni deroga in favore del potere pubblico. Le fonti
regolamentari, infatti, in quanto provenienti dallo stesso soggetto chiamato a perseguire
l’interesse pubblico mediante l’attività negoziale sono sembrate, al legislatore della legge
n.15 del 2005, “fonti sospette” ed, in quanto tali, non meritevoli di intervenire nella dinamica
esecutivo-contraenti privati.
L’impatto dell’art.21 sexies sembra tuttavia ritorcersi contro gli stessi contraenti privati,
sopprimendo la procedimentalizzazione dell’azione amministrativa, senza recare concreti
vantaggi in termini di recupero dei profili volontaristici.
La possibilità che il recesso possa essere esercitato dall’amministrazione, solo in
quanto previsto da leggi o fonti convenzionali, ripropone le necessità di coordinare suddetta
facoltà con quanto previsto dall’art.1341 c.c. Tale disposizione reca, al comma 1, la
disciplina delle condizioni generali di contratto ed, al comma 2, l’elencazione delle c.d.
“clausole vessatorie”2, tra cui è annoverata la “facoltà di recedere dal contratto”. Una volta
riconosciuta l’applicazione dell’art.1341 c.c. anche nei confronti delle amministrazioni, in
ragione “della progressiva erosione delle immunità e dei privilegi storicamente riconosciuti”3,
si è posto il problema del coordinamento fra le esigenze di uniformità dell’attività contrattuale
delle singole strutture, con le esigenze di tutela dei contraenti non predisponenti.
Per uniformare la contrattualistica delle strutture amministrative sono stati via via
approvati i capitolati generali, ossia “raccolte di precetti destinati a regolare tutti i contratti di
una certa categoria, più o meno larga, a cui l’amministrazione addiviene [e che] si
presentano, almeno esteriormente, identici alle clausole (o condizioni) generali di contratto
2 La giurisprudenza ha più volte affermato che suddetta elencazione assume carattere tassativo, di guisa che è ammessa l’interpretazione estensiva, ma non quella analogica, talchè Cass., Sez. I, 19 marzo 2003, n. 4036, per fare un esempio, ha sancito che “la fissazione di un termine per i pagamenti, inserita in un capitolato speciale, relativo ad appalto di opere pubbliche, non rientra, nè per contenuto, nè per oggetto, tra le ipotesi normativamente previste come vessatorie”. 3 Cass., 29 settembre 1984, n.4832 in Foro it., 1984, I, 2442 ed in Giust. Civ., 1984, I,3254, confermata da Cass., 22 gennaio 1986, n.398 in Giur.it., 1987, I, 1105 e da Cass., 6 novembre 1987, n.2724, in Rep. Foro it., 1987 voce “Contratto in genere” n.267.
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che qualunque imprenditore privato può predisporre per regolare in modo preventivo ed
uniforme i contratti da concludere”4. I capitolati generali in quanto “volti alla disciplina
generale e astratta di un numero indeterminato di situazioni”5 sono stati approvati, non
senza perplessità6, mediante lo strumento del regolamento.
L’approvazione dei capitolati generali medianti fonte regolamentare ha risolto le
incertezze in merito all’esigenza di conseguire il consenso dei contraenti non predisponenti,
rispetto alle clausole, contenute nei capitolati ma riconducibili nell’elencazione delle clausole
vessatorie di cui all’art.1341, comma 2, c.c.. Riguardo a tali clausole, infatti, l’efficacia inter
partes doveva collegarsi non alla volontà negoziale, ma alla naturale forza cogente delle
disposizioni regolamentari. Se le prescrizioni inerenti il recesso (ovvero inerenti le clausole
penali o la clausola compromissoria) vivevano nel rapporto contrattuale in quanto imposte
dalla fonte regolamentare, non si poneva il problema della “doppia sottoscrizione”, quale
formalità indefettibile, diretta a comprovare la conoscenza e l’accettazione del contraente
non predisponente.
Siffatta soluzione non esauriva comunque la problematica del rapporto fra clausole
vessatorie e contrattualistica pubblica, nella misura in cui singole amministrazioni, non
tenute all’applicazione di alcun capitolato, intendessero avvalersi di un capitolato adottato da
altra amministrazione. Si pensi al caso di un’azienda speciale, priva di un proprio capitolato
generale in tema di appalti di forniture o servizi, che intendesse avvalersi delle prescrizioni
contenute nel capitolato generale approvato, mediante atto regolamentare,
dall’amministrazione comunale di riferimento. Le prescrizioni contenute nel capitolato
generale approvato dall’amministrazione comunale potevano estendersi alla contrattualistica
dell’azienda speciale, solo in virtù di un espresso consenso del contraente non
predisponente, conformemente a quanto previsto dall’art.1341, comma 2, c.c.
La nuova versione dell’art.21 sexies della legge n.241 del 1990, perseguendo
l’obiettivo di ridurre le aree di privilegio degli apparati pubblici, impedisce l’aggiramento delle
prescrizioni formali di cui all’art.1341, comma 2. La valorizzazione dei profili volontaristici
induce inoltre a superare l’interpretazione giurisprudenziale, talvolta affacciatasi, secondo cui
il semplice richiamo “alle previsioni di una disciplina fissata in un documento distinto da
quello contrattuale conferisce il valore di clausole concordate, le quali, pertanto, si
4 M.S.Giannini, Diritto amministrativo, II, 791, Milano, 1990. 5 C.Volpe, Bandi di gara ed inviti alla gara, voce dell’opera Villata (a cura di) L’appalto di opere pubbliche, Padova, 2004. 6 M.S. Giannini, Diritto amministrativo, cit.,795, sul punto precisa che “il Consiglio di Stato [ha manifestato di condividere] la tesi negoziale, mentre la Corte dei conti una volta si è dichiarata per la tesi regolamentare, mentre la Cassazione [con riferimento alla data di pubblicazione dello scritto, ossia il 1990] ha mutato sei volte opinione”.
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sottraggono all'esigenza della specifica approvazione per iscritto di cui all’art. 1341 c.c.”7.
Laddove il richiamo al capitolato generale, a sua volte contenente clausole vessatorie, integri
una presupposto per la partecipazione alla trattativa con l’amministrazione, l’unica
alternativa che si porrebbe è “prendere o lasciare”8. Un bando di gara che prevedesse la
clausola di recesso, dovrebbe oramai considerarsi inefficace, in parte qua, qualora non
“doppiato” dal rispetto delle prescrizioni formali di cui all’art.1341, comma 2 c.c., ovvero
illegittimo, nella misura in cui intendesse imporre tout court suddetta facoltà.
Emerge allora un’aporia sistematica. Tutte le clausole vessatorie di cui all’art.1341,
comma 2 c.c., in quanto riportate in fonti regolamentari, si continuerebbero ad applicare
rispetto ai contratti conclusi dalle amministrazioni destinatarie dei medesimi regolamenti. La
clausola di recesso, farebbe invece eccezione, in virtù dell’art.21 sexies della legge n.241
del 1990, richiedendo la doppia sottoscrizione.
Il citato art.21 sexies, ammettendo che il recesso possa non far parte dell’assetto
negoziale, si conforma alla linea interpretativa che nega l’esistenza di “diritto privato di
interesse pubblico”9, riproponendo l’alternativa secca: attività provvedimentale/attività
negoziale. L’amministrazione, una volta intrapresa la strada negoziale perderebbe
integralmente le prerogative pubblicistiche, dovendo adeguare la propria condotta ai
parametri del corretto contraente. In virtù di questo assunto, tutti gli accadimenti connessi
alla fase dell’esecuzione contrattuale, in quanto accidenti verificatisi in una fase in cui
vivrebbero solo diritti ed obblighi, risulterebbero assoggettati al sindacato del giudice civile,
quale autorità giurisdizionale competente su “ogni controversia attinente allo svolgimento del
rapporto successivamente alla stipula del contratto di appalto”10. L’amministrazione, allora,
non sarebbe tenuta alla procedimentalizzazione della propria attività, dovendo agire come
un normale contraente. Non risulterebbe applicabile nessuno dei principi contenuti nella
stessa legge n.241 del 1990, non dovendo l’amministrazione né aprirsi al contraddittorio con
il privato contraente, né motivare alcunché.
L’applicazione asettica delle regole del diritto privato, imporrebbe, paradossalmente,
un’evaporazione della tutela azionabile da parte dello stesso contraente privato. Una volta
che la clausola di recesso fosse penetrata nel tessuto contrattuale (seppur nel rispetto delle
prescrizioni formali di cui all’art.1341, comma 2, c.c.), l’amministrazione non sarebbe tenuta
7 Cas., Sez.I, 21 aprile 1999, n.3929, nonchè Cass, sez.I, 9 ottobre 1996, n.8824 sulla scia di Cass., sez. I, 25 ottobre 1969, n.3507, in Foro it., 1970, I,95. 8 L.Viola, Condizioni generali di contratto e pubblica amministrazione, Padova 2000. 9 S.Giacchetti, Giurisprudenza amministrativa e legge n.15/2005…, cit. 10 TAR Toscana, Sez.II, 15 febbraio 2000, n. 186 in wwwgiurisprudenza.it, in linea con un’interpretazione praticamente unanime, se si fa eccezione per TAR Calabria, Reggio Calabria, 27 gennaio 2000, n.71, in www.giurisprudenza.it.
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ad agire secondo le ordinarie regole procedimentali, atteso che l’attività di diritto privato
risulta assoggettata ad una più libera disciplina.
Il paradosso appare ancor più evidente se si considera l’impegno profuso dal
legislatore, comunitario e nazionale, dagli organi di controllo nonchè dal giudice
amministrativo al fine di garantire che, nella c.d. fase dell’evidenza pubblica, la scelta del
contraente risponda ai canoni dell’imparzialità e del buon andamento. Canoni di cui non si
potrebbe trovare alcuna traccia in un atto (il recesso) con effetti estintivi del rapporto. Tale
atto, in quanto assoggettato alle regole del diritto privato, potrebbe, essere sindacato solo
alla luce della correttezza contrattuale, secondo il tradizionale orientamento, secondo cui “il
giudice ordinario, non deve accertare se l’ente pubblico si sia comportato da corretto
amministratore nella sfera interna delle proprie determinazioni, ma deve valutare le modalità
delle conseguenti manifestazioni attuate all’esterno, in quanto incidenti sull’affidamento e
sulle connesse determinazioni dei privati, al fine di rilevare, cioè, se la pubblica
amministrazione si sia comportata da corretto contraente”11. L’espansione dell’area di
applicazione del diritto privato non integra una maggiore garanzia dei contraenti privati, ma
semmai, una riduzione degli strumenti di tutela, nella misura in cui il sindacato del giudice
ordinario non può che limitarsi ad esaminare la correttezza formale degli atti senza tener
conto né dell’interesse pubblico né della parità di trattamento. **Magistrato della Corte dei Conti
11 Cass, Sez.I, 23 maggio 1980, n.3410.
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3. Circolare Ministero Ambiente 06.12.2004
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO
CIRCOLARE 6 dicembre 2004 Affidamento in house del servizio idrico integrato.
Alle regioni, province e comuni Alle autorita' d'ambito Ai gestori del servizio idrico integrato
La societa' di gestione a capitale interamente pubblico, introdotta con l'art. 14 del
decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge 24 novembre 2003, n.
326, e contemplata alla lettera c) del comma 5 del novato art. 113 del testo unico
sull'ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo del 18 agosto 2000, n.
267, rappresenta una forma gestionale innovativa le cui modalita' di costituzione,
operativita' e funzionalita', in adeguamento alla cornice normativa esistente in materia
societaria, sono disciplinate dalla presente circolare, nella quale sono definite le condizioni
essenziali e non eludibili per ricorrere all'affidamento con le suddette modalita' e per
rispettare i principi di diritto comunitario.
La principale peculiarita' che caratterizza la suddetta societa' e che la distingue rispetto
alle altre societa' di diritto privato regolate dal codice civile, risiede nella legittimazione a
diventare soggetto affidatario del servizio idrico integrato senza propedeutica gara europea
ad evidenza pubblica idonea all'individuazione del concessionario ai sensi dell'art. 20
della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio del 22 novembre 2001.
La societa' di cui all'oggetto, rappresentando un contenitore atipico sotto diversi
aspetti che nel prosieguo si evidenzieranno, determina il concretizzarsi di un rapporto, tra
l'amministrazione concedente e la societa' stessa, non riconducibile ad un rapporto
contrattuale tra due soggetti autonomi e distinti, bensi' ad una ipotesi di delegazione
interoganica. Infatti, come esplicitato nella norma sopra richiamata, «l'ente o gli enti
pubblici titolari del capitale sociale esercitano sulla societa' un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi». In tal caso, dunque, non si configura un contratto tra
l'amministrazione che conferisce la titolarita' del servizio ed un soggetto sostanzialmente
distinto da essa e autonomo sul piano decisionale; si realizza, invece, un
rapporto riconducibile nella forma e nella sostanza a quello che l'amministrazione ha
nei confronti dei propri servizi, seppur nella peculiarita' del modello societario in cui tali
servizi sono organizzati.
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Tale modalita' gestionale (peraltro menzionata anche dalla circolare della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle politiche comunitarie del 19
ottobre 2001, n. 12727), notoriamente definita in house, a seguito della sentenza Teckal
del 18 novembre 1999, nella quale la Corte di giustizia configuro' questa ipotesi di
delegazione interorganica, sancendone l'esclusione dall'applicabilita' della normativa
europea in materia di appalti pubblici, ovverosia della necessaria messa in
concorrenza,
rappresenta un'ulteriore opportunita', per la gestione dei servizi pubblici locali, che si
aggiunge ai modelli tradizionali. Ad essa tuttavia si dovra' ricorrere soltanto in casi
eccezionali e residuali, venendosi contrariamente ad eludere i principi derivanti dai trattati,
in particolare le norme sulla libera circolazione dei beni e dei servizi, nonche' i principi
fondamentali di non discriminazione, parita' di trattamento, trasparenza e mutuo
riconoscimento, che disciplinano il mercato dei servizi. Si ricordi a tale riguardo che la
stessa Commissione europea ritiene che l'inosservanza dei menzionati principi del
trattato costituisca un impedimento al corretto funzionamento del mercato interno ed alla
liberalizzazione degli appalti e dei servizi in cui sono in gioco importanti interessi
economici.
I medesimi concetti sono ribaditi ed esplicitati nella comunicazione interpretativa
della Commissione europea sulle concessioni nel diritto comunitario, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Comunita' europea del 29 aprile 2000, laddove si afferma che,
mentre le concessioni di lavori sono disciplinate specificatamente dalla direttiva
comunitaria n. 93/37, art. 1, lettera d), le altre forme di concessioni, nella misura in cui
risultino essere atti dello Stato (da intendersi come atti adottati dalle autorita' pubbliche
che fanno parte dell'organizzazione dello Stato, nonche' quelli adottati da qualsiasi altro
organismo che, se pur dotato di personalita' giuridica autonoma, sia collegato allo Stato
da vincoli cosi' stretti da poter essere considerato come facente parte
dell'organizzazione di questo ...), sebbene non siano coperti dalle direttive sugli appalti
pubblici, sono ugualmente soggette alle disposizioni generali del trattato ed ai principi che
la corte ha elaborato in materia di appalti (principio di parita' di trattamento, trasparenza,
proporzionalita', e mutuo riconoscimento.
Quanto sopra conferma il carattere strettamente residuale del modello societario in
house, il quale deve configurarsi come un'opportunita' residuale per gli enti locali:
malgrado la configurazione societaria che tale modello possiede, infatti, esso non
rappresenta una reale esternalizzazione della gestione rispetto alla originaria competenza
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degli enti locali, bensi' costituisce un modello organizzativo per migliorare l'efficienza e
l'economicita' dell'attivita' di gestione che gli stessi enti locali sono chiamati a svolgere.
L'affidamento diretto del servizio a tale societa' e la contestuale esclusione dell'obbligo di
gara, trova la propria giustificazione nel fatto che il conferimento del servizio, a causa di
una motivata e comprovata ragione di interesse pubblico che obiettivamente escluda la
possibilita' di ricorrere alla gara, non avviene nei confronti di un soggetto giuridico
sostanzialmente autonomo, bensi' nei confrontidi un soggetto gerarchicamente
subordinato, assoggettato obbligatoriamente ad un controllo funzionale, gestionale e
finanziario stringente.
La durata della societa' in house, precisata nell'atto di affidamento, dovra' essere
motivata e obbligatoriamente limitata al tempo necessario per il superamento degli
impedimenti all'effettiva messa in concorrenza del servizio, da attuarsi mediante la
concessione a terzi, ovvero all'affidamento diretto a societa' a capitale misto pubblico-
privato previa individuazione del socio privato mediante procedimento di gara europea.
In virtu' di cio', e' obbligatorio che l'atto costitutivo e lo statuto prevedano che la
societa' sia dotata di un'autonomia finanziaria e decisionale limitata e preventivamente
circoscritta. In particolare, le deliberazioni concernenti l'amministrazione straordinaria
e quelle di determinante rilievo per l'attivita' sociale, quali il bilancio, la relazione
programmatica, l'organigramma, il piano degli investimenti, il piano di sviluppo ed
equivalenti, dovranno essere approvati dagli enti locali partecipanti
alla societa'. Gli amministratori ed il direttore della S.p.a. saranno nominati
direttamente dagli enti locali proprietari, conformemente, del resto, alle previsioni in
materia dettate dagli articoli del codice civile.
Alla societa' in house dovranno partecipare esclusivamente enti locali, trattandosi di
una societa' di scopo con peculiari caratteristiche. Essa non potra' essere partecipata
da societa' a partecipazione pubblica, neppure totale, cosi' come da consorzi
intercomunali o, qualora ancora esistenti, da aziende speciali. Non risulta, infatti, che la
partecipazione indiretta degli enti locali sia ammissibile in base ai principi comunitari,
ne' che sia funzionale allo scopo della gestione in house. Come affermato nel dettato
normativo, dovendo la societa' realizzare la parte piu' importante della propria attivita' con
l'ente o gli enti pubblici che la controllano, la societa' dovra' essere partecipata da tutti gli
enti locali facenti parte dell'ambito territoriale ottimale.
La societa' a totale capitale pubblico che riceve l'affidamento del servizio in house e'
una societa' di scopo strettamente interdipendente dall'ambito territoriale nel quale
svolge il proprio servizio. La societa' non potra' quindi operare al di fuori del proprio
17
ambito territoriale ottimale, perche' finalizzata unicamente alla gestione del servizio idrico
integrato in quel determinato territorio. Cio' dovra' essere espressamente previsto dallo
statuto.
Nelle ipotesi in cui sia stata scelta la modalita' di affidamento prevista dal comma 5
dell'art. 35 della legge n. 448 del 2001, essa - in luogo della cessazione entro e non oltre la
data del 31 dicembre 2006, senza necessita' di apposita deliberazione dell'ente d'ambito,
stabilita nel comma 15-bis del novato art. 113 del testo unico n. 267/2000 - puo'
considerarsi assimilata all'ipotesi di gestione in house solo nel caso in cui tale societa'
presenti rigorosamente i requisiti e le caratteristiche formali e sostanziali sopra elencati.
Roma, 6 dicembre 2004
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio Matteoli
4. Sentenza Corte Costituzionale n.272/04
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Gustavo ZAGREBELSKY Presidente - Valerio ONIDA Giudice - Guido NEPPI MODONA - Piero Alberto CAPOTOSTI - Annibale MARINI - Franco BILE - Giovanni Maria FLICK - Francesco AMIRANTE - Ugo DE SIERVO - Romano VACCARELLA - Paolo MADDALENA - Alfonso QUARANTA ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre
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2003, n. 326, promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 21 gennaio 2004,
depositato in cancelleria il 29 successivo ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2004.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 2004 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
uditi l'avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana e l'avvocato dello Stato Franco
Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto 1. - La Regione Toscana, con ricorso notificato il 21 gennaio 2004 e depositato il successivo
29 gennaio, ha impugnato diverse norme del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e, per quanto
qui interessa, ha denunciato l'art. 14, commi 1 e 2, in riferimento agli artt. 117 e 118 della
Costituzione.
2. - Il censurato art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 269 del 2003, come modificato dalla legge di
conversione n. 326 del 2003, ha modificato sia l'art. 113 del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) – già modificato
dall'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002) in tema di servizi pubblici locali di
rilevanza economica – sia l'art. 113-bis del medesimo d. lgs. n. 267 del 2000, introdotto dal
citato art. 35 della legge n. 448 del 2001, sui servizi pubblici locali privi di rilevanza
economica.
In particolare, la normativa impugnata ha sostituito la distinzione fra servizi pubblici locali “di
rilevanza industriale” e servizi pubblici locali “privi di rilevanza industriale” con quella fra
servizi pubblici locali “di rilevanza economica” e servizi pubblici locali “privi di rilevanza
economica” ed ha specificato che le disposizioni che disciplinano puntualmente le modalità
di gestione dei servizi pubblici locali – anch'esse oggetto di modifica – attengono alla tutela
della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle specifiche normative di settore.
Quanto alla disciplina delle modalità di gestione dei predetti servizi, la normativa impugnata
ha stabilito che: la gestione dei servizi di rilevanza economica può essere affidata a società
di capitali individuate con gara ad evidenza pubblica o a società miste, i cui soci privati siano
scelti con gara ad evidenza pubblica, o a società a capitale interamente pubblico a
condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più
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importante della propria attività con l'ente o con gli enti pubblici che la controllano; la
gestione dei servizi privi di rilevanza economica avviene mediante affidamento diretto ad
istituzioni ed aziende speciali o anche a società a capitale interamente pubblico, con
esclusione dei privati e delle società miste. Infine, si è provveduto a disciplinare la scadenza
del periodo di affidamento in esito alla successiva gara di affidamento al nuovo gestore
nonché il periodo di transizione per il passaggio dalle esistenti gestioni a quelle da affidarsi
con le nuove regole.
2.1. - Secondo la Regione Toscana, le disposizioni impugnate violerebbero in primo luogo
l'art. 117 della Costituzione, in quanto porrebbero una disciplina dettagliata ed
autoapplicativa dei servizi pubblici locali, materia che l'art. 117 non contempla fra quelle
riservate alla legislazione esclusiva dello Stato e che quindi spetta alle regioni disciplinare
nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali.
Tale materia non sarebbe, infatti, riconducibile alla “determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione), la quale riguarderebbe solo i servizi sociali e non quelli di rilevanza economica
e comunque – essendo limitata alla determinazione degli standard minimi delle prestazioni –
non precluderebbe al legislatore regionale la possibilità di disciplinare gli aspetti concernenti
l'organizzazione del servizio e le modalità di gestione del medesimo; né essa potrebbe
ricollegarsi alle “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117,
secondo comma, lettera p), della Costituzione), non costituendo la gestione dei servizi
pubblici locali una funzione fondamentale dell'ente locale, ma “un'attività di regola esercitata
in regime di concorrenza e quindi sottratta ad una gestione effettuata con gli strumenti del
potere pubblico”. Le disposizioni impugnate non si potrebbero, inoltre, giustificare – ad
avviso della ricorrente – neppure in relazione alla competenza legislativa statale esclusiva in
materia di “tutela della concorrenza” (art. 117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione), in quanto la disciplina dei servizi pubblici locali riguarderebbe non già la “tutela
della concorrenza”, ma la diversa materia della “promozione della concorrenza”, costituita da
un insieme di regole e procedure di tipo pubblicistico volte a creare in modo artificiale le
condizioni per la concorrenza, di competenza regionale.
La ricorrente deduce, infine, che le disposizioni censurate violerebbero anche l'art. 118 della
Costituzione, non essendo indicati i “presupposti per l'intervento legislativo statale in
sussidiarietà” e non essendo comunque prevista “l'intesa con la regione che sarebbe invece
imprescindibile a fronte dell'interferenza della disciplina in ambiti materiali di competenza
regionale”.
20
2.2. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica la Regione Toscana ha depositato memoria,
insistendo per l'accoglimento del ricorso.
3. - Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile
e, comunque, infondato.
In via preliminare, la difesa erariale ritiene che il ricorso sia inammissibile, giacché, con
riferimento alle disposizioni legislative già presenti nel decreto-legge n. 269 del 2003 e quindi
già in vigore dal 2 ottobre 2003, “a sé stanti e non modificate dalla legge di conversione”,
esso sarebbe tardivo e comunque conterrebbe censure prive di motivazione.
Nel merito, la difesa erariale sostiene l'infondatezza del ricorso, deducendo che
sussisterebbe una competenza legislativa esclusiva dello Stato, non solo in relazione alla
materia “tutela della concorrenza” (secondo comma, lettera e), dell'art. 117 della
Costituzione), ma anche in relazione alla materia “funzioni fondamentali degli enti locali”
(secondo comma, lettera p), dell'art. 117 della Costituzione), in quanto le funzioni di
gestione, organizzazione ed erogazione dei servizi pubblici locali sarebbero “essenziali”
rispetto ai bisogni delle comunità servite nonché in riferimento alla cospicua incidenza
sull'equilibrio finanziario degli enti locali dei costi per gli investimenti e per l'esercizio dei
servizi stessi. Si ravviserebbe, altresì, una competenza legislativa statale esclusiva in tema
di servizi pubblici locali anche in relazione alla materia “determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (secondo comma, lettera m), dell'art. 117
della Costituzione), dal momento che, attraverso la prestazione dei servizi pubblici locali, si
concretizzerebbero “molteplici ed importanti diritti sociali” che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale.
3.1. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, la difesa erariale ha depositato memoria nella
quale insiste perché la Corte dichiari inammissibile e/o infondato il ricorso.
In particolare, l'Avvocatura generale dello Stato precisa che le modifiche apportate alla
disciplina dei servizi pubblici locali dalle disposizioni impugnate costituirebbero l'esito di “un
pluriennale dialogo con l'Unione europea” e sarebbero perciò volte “ad assicurare la
realizzazione di un valore e di un risultato – quello di una (per quanto tecnicamente
possibile) effettiva e non ostacolata concorrenza fra operatori economici” – esplicitamente
indicato dai Trattati come fondamentale. Pertanto, le disposizioni impugnate sarebbero
sorrette da più parametri costituzionali contenuti nell'art. 117, secondo comma, della
Costituzione, in particolare alla lettera e) ed alla lettera a).
4. - All'udienza pubblica le parti hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni
rassegnate negli scritti difensivi.
21
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale, sollevata con il ricorso in epigrafe dalla Regione
Toscana, ha ad oggetto l'art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici), convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, in riferimento
agli artt. 117 e 118 della Costituzione. Secondo la ricorrente, le disposizioni impugnate, che
hanno introdotto una disciplina dettagliata ed autoapplicativa dei servizi pubblici locali sia “di
rilevanza economica”, sia “privi di rilevanza economica”, non sarebbero riconducibili a
nessuna delle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato previste dall'art. 117,
secondo comma, della Costituzione, né, in particolare, a quella relativa alla “determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, o a quella relativa alle
“funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”. Neppure invocabile,
secondo la ricorrente, sarebbe la competenza statale in materia di “tutela della concorrenza”,
prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera e), giacché al massimo si potrebbe fare
riferimento alla “promozione della concorrenza” in tutti quei casi in cui il mercato non appaia
concorrenziale.
La disciplina in oggetto, dettagliata ed autoapplicativa, esulerebbe quindi dalla sfera di
competenza legislativa dello Stato e rientrerebbe nell'ambito della competenza esclusiva
della Regione ricorrente, dal momento che non sono neppure indicati i “presupposti” di un
eventuale intervento “in sussidiarietà” dello Stato, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, e
non è comunque previsto un accordo sul punto tra Stato e Regione.
2. - In via preliminare vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità sollevate dall'Avvocatura
generale dello Stato in ordine all'asserita tardività delle censure proposte dalla ricorrente nei
confronti di disposizioni della legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, che hanno
confermato quelle originariamente contenute nel d.l. 30 settembre 2003, n. 269. Ed infatti,
indipendentemente dalla circostanza che nella specie la legge di conversione ha introdotto
rilevanti modifiche, in considerazione del carattere intrinsecamente precario del decreto –
legge, il ricorso può essere proposto nei confronti della relativa legge di conversione che
rende permanente e definitiva la asserita lesione da cui scaturisce l'interesse a ricorrere
della Regione (sentenza n. 25 del 1996).
3. - La questione è parzialmente fondata, nei termini di seguito esposti.
Le disposizioni impugnate, che recano una nuova disciplina della gestione dei servizi
pubblici locali, si inseriscono in un quadro normativo molto articolato, che sostanzialmente
prende le mosse dall'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante la legge
22
finanziaria per il 2002, il quale introduce profonde modifiche alla impostazione normativa
risalente agli anni novanta e consacrata nell'art. 113 e seguenti del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali). Ma subito
dopo la riforma del 2001, si è proceduto ad ulteriori innovazioni su aspetti rilevanti della
disciplina in esame, dapprima con il censurato art. 14 del d.l. n. 269 del 2003, convertito con
modificazioni nella legge n. 326 del 2003, e successivamente ancora con l'art. 4, comma
234, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004). Tali innovazioni sono state in
larga parte indotte dai rilievi espressi dalla Commissione europea sulla precedente
normativa e dall'esigenza di trovare un esplicito fondamento nel novellato art. 117 della
Costituzione. Sotto questi profili sono significativi, nella disciplina in esame, sia il testuale
riferimento alla tutela della concorrenza, sia la nuova qualificazione di “rilevanza economica”
attribuita a determinati servizi pubblici locali – in analogia con la denominazione che viene
attualmente adottata in sede comunitaria – in luogo della precedente qualificazione di
“rilevanza industriale”.
La disciplina in esame non appare riferibile – come osserva la ricorrente – né alla
competenza legislativa statale in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione), giacché riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque
non attiene alla determinazione di livelli essenziali, né a quella in tema di “funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117, secondo comma, lettera
p), giacché la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una
funzione propria ed indefettibile dell'ente locale. Viceversa, in relazione ai riferimenti testuali
e soprattutto ai caratteri funzionali e strutturali della regolazione prevista, la medesima
disciplina può essere agevolmente ricondotta nell'ambito della materia “tutela della
concorrenza”, riservata dall'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Non appare però condivisibile la prospettazione della Regione ricorrente, secondo cui il
regime in oggetto, incidendo su situazioni di non concorrenzialità del mercato per la
presenza di diffuse condizioni di monopolio naturale e riguardando interventi propriamente di
“promozione” e non già di “tutela” della concorrenza, sarebbe estraneo, in quanto tale,
all'ambito della potestà legislativa esclusiva dello Stato e pertinente invece alla competenza
regionale in tema di servizi pubblici locali. Secondo l'interpretazione di questa Corte, la tutela
della concorrenza “non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di
interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione
23
dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre
squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti
concorrenziali” (sentenza n. 14 del 2004). In altri termini, la tutela della concorrenza riguarda
nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude perciò anche
interventi promozionali dello Stato. Alla stregua dei principi espressi da questo indirizzo
giurisprudenziale, dunque, non può essere accolta la tesi della ricorrente su una pretesa
distinzione di competenze legislative tra Stato e Regioni in ordine rispettivamente a misure di
“tutela” o a misure di “promozione” della concorrenza, dal momento che la indicata
configurazione della tutela della concorrenza ha una portata così ampia da legittimare
interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l'assetto concorrenziale del
mercato.
Sotto questo profilo è quindi significativa la dichiarazione, contenuta nel censurato art. 14 di
modifica del comma 1 dell'art. 113 del t.u. citato, secondo cui le predette disposizioni sulle
modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica
“concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di
settore”. L'art. 14 si può dunque sostanzialmente considerare una norma-principio della
materia, alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché
il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione
dell'intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all'art. 117,
secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro
di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale. L'accoglimento di questa
interpretazione comporta, da un lato, che l'indicato titolo di legittimazione statale è riferibile
solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e
l'affidamento dei servizi pubblici locali di “rilevanza economica” e dall'altro lato che solo le
predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali.
Alla luce di queste considerazioni, nella questione di costituzionalità in esame, non appaiono
censurabili tutte quelle norme impugnate che garantiscono, in forme adeguate e
proporzionate, la più ampia libertà di concorrenza nell'ambito di rapporti – come quelli relativi
al regime delle gare o delle modalità di gestione e conferimento dei servizi – i quali per la
loro diretta incidenza sul mercato appaiono più meritevoli di essere preservati da pratiche
anticoncorrenziali. Alle stesse finalità garantistiche della concorrenza appare ispirata anche
la disciplina transitoria, che, in modo non irragionevole, stabilisce i casi di cessazione delle
concessioni già assentite in relazione all'effettuazione di procedure ad evidenza pubblica e
al tipo di società affidataria del servizio.
24
Non spetta peraltro a questa Corte valutare in concreto la rilevanza degli effetti economici
derivanti dalle singole previsioni di interventi statali in materia: stabilire cioè se una
determinata regolazione abbia effetti così importanti sull'economia di mercato, da postulare
misure di tutela della concorrenza, tali da trascendere l'ambito regionale; quello che invece
non può sottrarsi al sindacato di costituzionalità è il fatto che i vari “strumenti di intervento
siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi”
(sentenza n. 14 del 2004). Il criterio della proporzionalità e dell'adeguatezza appare quindi
essenziale per definire l'ambito di operatività della competenza legislativa statale attinente
alla “tutela della concorrenza” e conseguentemente la legittimità dei relativi interventi statali.
Trattandosi infatti di una cosiddetta materia-funzione, riservata alla competenza esclusiva
dello Stato, la quale non ha un'estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma, per
così dire, “trasversale” (cfr. sentenza n. 407 del 2002), poiché si intreccia inestricabilmente
con una pluralità di altri interessi – alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza
concorrente o residuale delle Regioni – connessi allo sviluppo economico-produttivo del
Paese, è evidente la necessità di basarsi sul criterio di proporzionalità-adeguatezza al fine di
valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati
interventi legislativi dello Stato.
Proprio sotto questo profilo appare fondata la censura della ricorrente relativa all'art. 14,
comma 1, lettera e), che, in riferimento all'art. 113, comma 7, del citato testo unico, là dove
stabilisce, dettagliatamente e con tecnica autoapplicativa, i vari criteri in base ai quali la gara
viene aggiudicata, introduce la prescrizione che le previsioni dello stesso comma 7 “devono
considerarsi integrative delle discipline di settore”. L'estremo dettaglio nell'indicazione di
questi criteri, che peraltro non prendono in considerazione ulteriori requisiti dell'aspirante,
quali, ad esempio, precedenti esperienze di gestione nel settore, va al di là della pur
doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara, che peraltro appaiono
sufficientemente garantiti dalla puntuale indicazione, nella prima parte del comma, di una
serie di standard – coerenti con quelli contenuti nella direttiva 2004/18/CE – nel cui rispetto
la gara appunto deve essere indetta ed aggiudicata. È evidente quindi che la norma in
esame, prescrivendo che deve considerarsi integrativa delle discipline settoriali di fonte
regionale la disposizione estremamente dettagliata ed autoapplicativa di cui al citato art.
113, comma 7, pone in essere una illegittima compressione dell'autonomia regionale, poiché
risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza
l'intervento legislativo statale.
Va pertanto dichiarata, per le ragioni esposte, l'illegittimità costituzionale della norma
censurata e, in via conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
25
anche dell'art. 113, comma 7, limitatamente al secondo ed al terzo periodo del testo
risultante dalle modifiche apportate dall'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 2002).
4. - La tutela della concorrenza e l'inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali
sono però esplicitamente evocate in riferimento ai soli servizi pubblici locali attualmente
classificati come “di rilevanza economica”, di cui all'art. 113, e non già in riferimento ai servizi
“privi di rilevanza economica” previsti dall'art. 113-bis. La nuova denominazione di questi
servizi, adottata in conformità a tendenze emerse in sede di Commissione europea a
decorrere dal settembre 2000, già di per sé può indicare che il titolo di legittimazione per gli
interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a
questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato
concorrenziale.
A questo proposito la Commissione europea, nel “Libro Verde sui servizi di interesse
generale” (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla
concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato che la
distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo,
cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse
generale di natura “non economica”. Secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta
infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato,
tenendo conto, in particolare, dell'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della
mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento
pubblico dell'attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa
18/2001). Per i servizi locali, quindi, che, in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed
alle modalità della prestazione, ai destinatari, appaiono privi di “rilevanza economica”, ci sarà
dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale.
Alla luce di queste considerazioni, l'intervento del censurato art. 14, comma 2, sulla
disciplina della gestione dei servizi pubblici locali “privi di rilevanza economica”, di cui all'art.
113-bis del citato testo unico, non può essere certo riferito ad esigenze di tutela della libertà
di concorrenza e quindi, sotto questo profilo, si configura come illegittima compressione
dell'autonomia regionale e locale.
Per tutte queste ragioni va dichiarata l'illegittimità costituzionale del censurato art. 14,
comma 2 e, in via conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
anche dell'art. 113-bis, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 35 della legge n.
448 del 2001.
26
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, lettera e), e comma 2, del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per
la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24
novembre 2003, n. 326;
2) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale
dell'art. 113, comma 7, limitatamente al secondo ed al terzo periodo, del decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), nel testo
sostituito dall'art. 35, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002);
3) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale
dell'art. 113-bis dello stesso decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nel testo introdotto
dal comma 15 dell'art. 35 della citata legge n. 448 del 2001;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1 – ad
eccezione della lettera e) già dichiarata costituzionalmente illegittima – del medesimo
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella citata legge 24
novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla
Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13
luglio 2004.
F.to: Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2004. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA
27
5. Sentenza Corte Giustizia C – 26/03
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 11 gennaio 2005
«Direttiva 92/50/CEE – Appalti pubblici di servizi – Affidamento senza pubblica gara d'appalto – Affidamento dell'appalto ad una società mista pubblico-privata – Tutela
giurisdizionale – Direttiva 89/665/CEE»
Nel procedimento C-26/03,avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dall'Oberlandesgericht Naumburg (Germania) con ordinanza in data 8 gennaio 2003, pervenuta in cancelleria il 23 gennaio 2003, nella causa tra:
Stadt Halle,
RPL Recyclingpark Lochau GmbH,
Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, e dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues, E. Juhász (relatore), M. Ilešič e E. Levits, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl, cancelliere: sig. R. Grass,
vista la fase scritta del procedimento,
preso atto delle osservazioni presentate:
– per la Stadt Halle, dalla sig.ra U. Jasper, Rechtsanwältin; – per la Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna, dal sig. K. Heuvels, Rechtsanwalt; – per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e D. Petrausch, in qualità di agenti; – per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente; – per il governo finlandese, dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità di agente; – per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. K. Wiedner, in qualità di agente,
sentite le conclusioni presentate dall'avvocato generale all'udienza del 23 settembre 2004,
ha pronunciato la seguente
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Sentenza
1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione
dell’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che
coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative
all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti
pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva del
Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), a sua volta modificata dalla
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE (GU L
328, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 89/665»). La domanda di pronuncia
pregiudiziale riguarda altresì l’interpretazione degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della
direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di
appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di
trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L
199, pag. 84), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
16 febbraio 1998, 98/4/CE (GU L 101, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 93/38»).
2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la
Stadt Halle (Città di Halle) (Germania) e la società RPL Recyclingpark Lochau GmbH
(in prosieguo: la «RPL Lochau») alla società Arbeitsgemeinschaft Thermische
Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna (in prosieguo: la «TREA
Leuna»), in merito alla regolarità, rispetto alle norme comunitarie, dell’affidamento
senza pubblica gara di un appalto di servizi relativo al trattamento dei rifiuti, effettuato
dalla Stadt Halle a favore della RPL Lochau, società questa il cui capitale è detenuto
dalla Stadt Halle, socio di maggioranza, e da una società privata, titolare di una quota
minoritaria.
Contesto giuridico-normativo
Normativa comunitaria
3. Ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50, come modificata dalla direttiva
97/52 (in prosieguo: la «direttiva 92/50»), gli «appalti pubblici di servizi» sono
«contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed
un’amministrazione aggiudicatrice». A norma dell’art. 1, lett. b), di tale direttiva, per
«amministrazioni aggiudicatrici» si intendono «lo Stato, gli enti locali, gli organismi di
diritto pubblico, le associazioni costituite da detti enti od organismi di diritto pubblico».
29
Infine, l’art. 1, lett. c), della medesima direttiva definisce i «prestatori di servizi» come
«le persone fisiche o giuridiche, inclusi gli enti pubblici[,] che forniscono servizi».
4. A mente dell’art. 8 della direttiva 92/50, «[g]li appalti aventi per oggetto servizi
elencati nell’allegato I A vengono aggiudicati conformemente alle disposizioni dei titoli
da III a VI». Tali disposizioni contengono in sostanza regole in materia di messa in
concorrenza e di pubblicità. L’art. 11, n. 1, della medesima direttiva dispone che
nell’attribuire gli appalti pubblici di servizi «le amministrazioni applicano le procedure
definite nell’articolo 1, lettere d), e) e f), adattate ai fini della presente direttiva». Le
procedure alle quali fa riferimento tale disposizione sono, rispettivamente, le
«procedure aperte», le «procedure ristrette» e le «procedure negoziate».
5. La categoria n. 16 dell’allegato I A della detta direttiva menziona i servizi consistenti
in «[e]liminazione di scarichi di fogna e di rifiuti; disinfestazione e servizi analoghi».
6. L’art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 92/50 prevede che questa si applichi agli appalti
pubblici di servizi il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto «sia
pari o superiore a 200 000 ECU».
7. Dal secondo e dal terzo ‘considerando’ della direttiva 89/665 risulta che la finalità di
quest’ultima è di garantire l’applicazione delle regole comunitarie in materia di appalti
pubblici attraverso mezzi di ricorso efficaci e rapidi, in particolare in una fase in cui le
violazioni possono ancora essere corrette, tenuto conto del fatto che l’apertura degli
appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole
delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione.
8. A tal fine, l’art. 1, nn. 1 e 3, della direttiva 89/665 dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per
quanto riguarda le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalle
direttive (…), le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere
oggetto di ricorsi efficaci e, in particolare, quanto più rapidi possibile, secondo le
condizioni previste negli articoli seguenti, in particolare nell’articolo 2, paragrafo 7,
qualora violino il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali
che lo recepiscono.
(…)
3. Gli Stati membri garantiscono che le procedure di ricorso siano accessibili,
secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, per lo meno a chiunque
abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto
pubblico (…) e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione
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denunciata. In particolare gli Stati membri possono esigere che la persona che
desideri avvalersi di tale procedura abbia preventivamente informato l’autorità
aggiudicatrice della pretesa violazione e della propria intenzione di presentare un
ricorso».
9. L’art. 2, n. 1, della direttiva 89/665 dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi di cui
all’articolo 1 prevedano i poteri che permettano di:
a) prendere con la massima sollecitudine e con procedura d’urgenza provvedimenti
provvisori intesi a riparare la violazione o impedire che altri danni siano causati agli
interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la
procedura di aggiudicazione pubblica di un appalto o l’esecuzione di qualsiasi
decisione presa dalle autorità aggiudicatrici;
b) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle
specificazioni tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nei
documenti di gara, nei capitolati d’oneri o in ogni altro documento connesso con la
procedura di aggiudicazione dell’appalto in questione;
c) accordare un risarcimento danni alle persone lese dalla violazione.
(…)»
10. L’art. 1 della direttiva 93/38 è così formulato:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(…)
2) “Imprese pubbliche”: le imprese su cui le autorità pubbliche possono esercitare,
direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne hanno la proprietà, o
hanno in esse una partecipazione finanziaria, oppure in conseguenza delle norme
che disciplinano le imprese in questione. L’influenza dominante è presunta quando le
autorità pubbliche, direttamente o indirettamente, riguardo ad un’impresa:
– detengono la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa, oppure
– controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le parti emesse dall’impresa,
oppure
– hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di
amministrazione, del consiglio direttivo o del consiglio di vigilanza.
31
3) “Impresa collegata”: (…) qualsiasi impresa sulla quale l’ente aggiudicatore eserciti,
direttamente o indirettamente, un’influenza dominante ai sensi del paragrafo 2 del
presente articolo (…).
(…)»
11. L’art. 13 della direttiva 93/38 prevede quanto segue:
«1. La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:
a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;
(…) sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella Comunità
dall’impresa in questione negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura
di detti servizi alle imprese alle quali è collegata. (…)»
Normativa nazionale
12. Dalla decisione di rinvio risulta che nell’ordinamento tedesco i ricorsi in materia di
appalti pubblici sono disciplinati dal Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen
(legge contro le restrizioni della concorrenza). In conformità dell’art. 102 di tale legge,
«gli affidamenti di appalti pubblici» possono costituire l’oggetto di un ricorso.
L’offerente o candidato ha un diritto soggettivo a che vengano rispettate «le
disposizioni che disciplinano le procedure di affidamento degli appalti», il quale gli
consente di azionare nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice le pretese
giuridicamente riconosciutegli dall’art. 97, n. 7, della legge suddetta «intese ad
ottenere che venga compiuto od omesso un determinato atto nell’ambito di una
procedura di affidamento di appalto (…)».
13. La decisione di rinvio precisa che, in base alle dette disposizioni, secondo
un’opinione seguita da una parte della giurisprudenza e della dottrina in Germania, la
proposizione di un ricorso in materia di affidamento di appalto è possibile soltanto se il
ricorrente mira a costringere l’amministrazione aggiudicatrice a comportarsi in un
certo modo nell’ambito di una formale procedura di affidamento in corso di
svolgimento, ciò che significa che la proposizione di un ricorso è impossibile qualora
l’amministrazione aggiudicatrice abbia deciso di non indire una pubblica gara
d’appalto e di non avviare formalmente una procedura di affidamento. Tuttavia, tale
opinione viene contrastata da un’altra parte della giurisprudenza e della dottrina.
32
Causa principale e questioni pregiudiziali 14. Dalla decisione di rinvio risulta che la Stadt Halle, con delibera del consiglio
comunale in data 12 dicembre 2001, ha affidato alla RPL Lochau l’elaborazione di un
progetto per il trattamento preliminare, il recupero e lo smaltimento dei propri rifiuti,
senza avviare una formale procedura di affidamento di appalto. Allo stesso tempo, la
Stadt Halle ha deciso, anche in tal caso senza fare appello alla concorrenza, di
avviare negoziati con la RPL Lochau, al fine di concludere con quest’ultima un
contratto relativo allo smaltimento dei rifiuti urbani residuali a partire dal 1° giugno
2005. La detta società si sarebbe assunta gli oneri di investimento relativi alla
costruzione dell’impianto termico di smaltimento e recupero dei rifiuti.
15. La RPL Lochau è una società a responsabilità limitata creata nel 1996. Il suo
capitale è detenuto, da un lato, per una quota del 75,1%, dalla Stadtwerke Halle
GmbH, società il cui socio unico è la Verwaltungsgesellschaft für Versorgungs- und
Verkehrsbetriebe der Stadt Halle mbH, a sua volta appartenente al 100 % alla Stadt
Halle, e, dall’altro, per una quota del 24,9 %, da una società privata a responsabilità
limitata. Il giudice del rinvio designa la RPL Lochau come «società mista a prevalente
capitale pubblico» e rileva come la ripartizione del capitale di quest’ultima sia stata
concordata nell’ambito di un contratto di società soltanto alla fine del 2001, quando è
stato previsto l’affidamento della realizzazione del progetto in questione.
16. Il giudice del rinvio fa altresì osservare come l’attività della RPL Lochau abbia ad
oggetto la gestione di impianti di riciclaggio e di smaltimento dei rifiuti. Secondo il
detto giudice, le deliberazioni dell’assemblea generale dei soci vengono adottate a
maggioranza semplice ovvero con una maggioranza del 75 % dei voti. Attualmente la
direzione commerciale e tecnica di tale società sarebbe attribuita ad un’impresa terza,
mentre alla Stadt Halle spetterebbe in particolare il potere di procedere alla verifica
dei conti.
17. Avendo avuto notizia dell’affidamento dell’appalto al di fuori della procedura
prevista dalle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, la TREA Leuna,
anch’essa interessata a fornire i detti servizi, si è opposta alla decisione della Stadt
Halle ed ha presentato dinanzi alla Sezione camerale per gli appalti pubblici del
Regierungspräsidium Halle un ricorso volto ad obbligare la detta amministrazione ad
indire una pubblica gara d’appalto.
18. La Stadt Halle si è difesa sostenendo che, ai sensi delle norme nazionali
menzionate ai punti 12 e 13 della presente sentenza, il ricorso era inammissibile, a
33
motivo del fatto che essa, quale amministrazione aggiudicatrice, non aveva
formalmente avviato una procedura di affidamento di appalto. Inoltre, la RPL Lochau
sarebbe piuttosto un’emanazione della Stadt Halle, essendo controllata da
quest’ultima. Si tratterebbe dunque di un’«operazione di “in house providing”», alla
quale non si applicherebbero le norme comunitarie in materia di appalti pubblici.
19. L’organo adito ha accolto la domanda della TREA Leuna, ritenendo che, anche in
assenza di procedura di affidamento, le decisioni dell’amministrazione aggiudicatrice
dovessero poter essere oggetto di un ricorso. Esso ha altresì giudicato che, nel caso
di specie, non poteva parlarsi di «operazione di “in house providing”», per il fatto che
la partecipazione minoritaria del socio privato superava la soglia del 10% a partire
dalla quale, ai sensi della normativa tedesca sulle società a responsabilità limitata, si
è in presenza di una minoranza che gode di taluni diritti particolari. Il detto organo ha
inoltre affermato che era lecito attendersi con ragionevole certezza che le attività
svolte dalla RPL Lochau per la Stadt Halle avrebbero comportato uno sfruttamento
pari soltanto al 61,25% della capacità del previsto impianto di trattamento dei rifiuti,
sicché, per l’utilizzazione della capacità residua, l’impresa sarebbe stata obbligata a
reperire incarichi sul suo mercato di azione.
20. L‘Oberlandesgericht Naumburg, a seguito dell’appello dinanzi ad esso proposto
dalla Stadt Halle, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:
«1) a) Se l’art. 1, n. 1, della direttiva [89/665] imponga agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso la decisione dell’autorità aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico mediante un procedimento adattato alle disposizioni delle direttive in materia di affidamento di appalti pubblici.
b) Se l’art. 1, n. 1, della direttiva [89/665] imponga altresì agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici preliminarmente alla formale indizione di una gara d’appalto, in particolare avverso la decisione sulle questioni, di carattere preliminare, se un determinato procedimento di acquisizione di beni o servizi rientri o meno nell’ambito d’applicazione ratione personae o ratione materiae delle direttive in materia di affidamento di appalti pubblici, ovvero se eccezionalmente resti esclusa l’applicazione della normativa sugli appalti.
c) In caso di risposta affermativa alla questione [1), sub a),] e di risposta negativa alla questione [1), sub b)]:
se uno Stato membro adempia all’obbligo di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso la decisione dell’autorità aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico nell’ambito di un procedimento adattato alle disposizioni delle direttive in materia di affidamento di appalti pubblici, nel caso in cui l’accesso alla procedura di ricorso sia subordinato al raggiungimento di una determinata fase formale
34
del procedimento di acquisizione di beni o servizi, quale ad esempio l’avvio di trattative contrattuali verbali o scritte con un terzo.
2) a) Presupponendo che un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente territoriale, intenda stipulare con un organismo formalmente distinto da essa (in prosieguo: l’“organismo controparte”) un contratto scritto a titolo oneroso relativo alla fornitura di servizi, il quale rientrerebbe nell’ambito d’applicazione della direttiva [92/50], e ipotizzando inoltre che tale contratto eccezionalmente non costituisca un appalto pubblico di servizi ai sensi dell’art. 1, lett. a), della detta direttiva qualora l’organismo controparte debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione ovvero come un organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice (in prosieguo: l’“affidamento diretto a servizi od organismi propri non soggetto alla normativa sugli appalti”), se debba sempre escludersi la possibilità di qualificare un tale contratto come affidamento diretto a servizi od organismi propri non soggetto alla normativa sugli appalti, nel caso in cui un’impresa privata detenga una semplice partecipazione societaria nel detto organismo controparte.
b) In caso di risposta negativa alla questione [2), sub a)]: in presenza di quali condizioni un organismo controparte in cui vi sia la
partecipazione societaria di privati (in prosieguo: la “società mista a prevalente capitale pubblico”) debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione ovvero come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice.
Più precisamente: – se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico
come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice con riferimento alle modalità e all’intensità del controllo, sia sufficiente che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sulla detta società un’“influenza dominante”, ad esempio ai sensi degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della direttiva 93/38 (…), modificata dall’Atto [relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 1994, C 241, pag. 21, e GU 1995, L 1, pag. 1)], nonché dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio [16 febbraio 1998,] 98/4/CE [, che modifica la direttiva 93/38 (GU L 101, pag. 1)];
– se la possibilità, giuridicamente riconosciuta al socio privato della società mista a prevalente capitale pubblico, di influire in qualche modo sull’individuazione degli obiettivi strategici dell’organismo controparte e/o sulle singole decisioni relative alla conduzione dell’impresa, impedisca di considerare tale entità come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice;
– se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice, sotto il profilo delle modalità e dell’intensità del controllo, sia sufficiente un ampio potere direttivo unicamente in ordine alle decisioni relative alla conclusione del contratto e alla fornitura dei servizi, con riferimento ad una specifica procedura di acquisizione;
– se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice, con riferimento al criterio dello svolgimento della parte più importante della sua attività in favore di tale amministrazione, sia sufficiente che almeno l’80% del fatturato medio realizzato nella Comunità dall’impresa in questione
35
negli ultimi tre anni nel settore dei servizi derivi dalla fornitura di detti servizi all’autorità aggiudicatrice ovvero alle imprese a questa collegate o a questa riconducibili, ovvero, qualora la società mista pubblico-privata non abbia ancora maturato un’attività triennale, sia sufficiente che possa prevedersi il rispetto della citata “regola dell’80%”».
Sulle questioni pregiudiziali 21. Al fine di poter fornire una risposta utile e coerente al giudice del rinvio, occorre
suddividere ed esaminare le questioni sollevate in due gruppi, secondo il loro
contenuto e la loro finalità.
Quanto alla prima questione, sub a), b) e c)
22. Con questa prima serie di questioni il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se
l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 debba essere interpretato nel senso che l’obbligo
degli Stati membri di garantire la possibilità di ricorsi efficaci e rapidi contro le
decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni
adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto e prima di un
atto di formale messa in concorrenza, ed in particolare alla decisione sulla questione
se un determinato appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae o
ratione materiae della direttiva 92/50, nonché a partire da quale momento nell’ambito
di un’operazione di acquisizione di beni o servizi gli Stati membri siano tenuti a
consentire ad un offerente, ad un candidato o ad un interessato l’accesso ad una
procedura di ricorso.
23. Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che la direttiva 92/50 è stata adottata, a
mente del suo primo e secondo ‘considerando’, nell’ambito delle misure necessarie
per la realizzazione del mercato interno, ossia di uno spazio senza frontiere interne
nel quale è garantita la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei
capitali. Risulta dal quarto e dal quinto ‘considerando’ della medesima direttiva che,
essendo l’obiettivo di quest’ultima la realizzazione dell’apertura dei mercati degli
appalti pubblici nel settore dei servizi, a condizioni di parità di trattamento e di
trasparenza, essa deve essere applicata da tutte le amministrazioni aggiudicatrici.
24 .Occorre poi sottolineare che le disposizioni della direttiva 92/50 indicano
chiaramente i presupposti che rendono obbligatoria l’applicazione delle norme dei
titoli III-VI della medesima da parte di tutte le amministrazioni aggiudicatrici, laddove
le eccezioni all’applicazione di tali norme vengono tassativamente elencate nella
direttiva stessa.
25. Di conseguenza, qualora risultino soddisfatti tali presupposti, ossia, in altri termini,
qualora un’operazione ricada nell’ambito di applicazione ratione personae e ratione
36
materiale della direttiva 92/50, gli appalti pubblici in questione debbono essere
attribuiti – a norma dell’art. 8 di tale direttiva, letto in combinato disposto con il
successivo art. 11, n. 1 – nel rispetto delle disposizioni di cui ai titoli III-VI della
direttiva stessa, e precisamente debbono essere affidati previo esperimento di una
pubblica gara e costituire l’oggetto di una pubblicità adeguata.
26. Tale obbligo vincola le amministrazioni aggiudicatrici senza che vi siano distinzioni
tra gli appalti pubblici da queste attribuiti per adempiere il loro compito di soddisfare
bisogni di interesse generale e quelli che non hanno alcun rapporto con tale compito
(v., in tal senso, sentenza 15 gennaio 1998, causa C-44/96, Mannesmann
Anlagenbau Austria e a., Racc. pag. I-73, punto 32).
27. Al fine di rispondere al giudice di rinvio, occorre esaminare la nozione di
«decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici» di cui all’art. 1, n. 1, della
direttiva 89/665. Posto che la detta nozione non viene espressamente definita in tale
direttiva, occorre delimitarne la portata sulla base del tenore letterale delle pertinenti
disposizioni della direttiva stessa e in rapporto alla finalità di una tutela giurisdizionale
efficace e rapida da questa perseguita.
28. Il tenore letterale dell’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 presuppone, visto l’impiego
dell’espressione «per quanto riguarda le procedure», che qualsiasi decisione di
un’amministrazione aggiudicatrice che ricada sotto le norme comunitarie in materia di
appalti pubblici e sia idonea a violarle sia assoggettata al controllo giurisdizionale
previsto dall’art. 2, n. 1, lett. a) e b), della detta direttiva (v., in tal senso, sentenze 18
giugno 2002, causa C-92/00, HI, Racc. pag. I-5553, punto 37, e 23 gennaio 2003,
causa C-57/01, Makedoniko Metro e Michaniki, Racc. pag. I-1091, punto 68). La detta
disposizione si riferisce dunque in maniera generale alle decisioni di
un’amministrazione aggiudicatrice, senza operare all’interno di queste ultime alcuna
distinzione a seconda del loro contenuto o del momento della loro adozione.
29. L’art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva 89/665 prevede inoltre la possibilità di
annullare le decisioni illegittime delle amministrazioni aggiudicatrici in rapporto alle
specifiche tecniche e ad altre figuranti non soltanto nei documenti di gara, ma anche
in qualsiasi altro documento connesso con la procedura di affidamento dell’appalto in
questione. Pertanto, la detta disposizione può ricomprendere anche documenti
recanti decisioni adottate in una fase situata a monte dell’appello alla concorrenza.
30. Tale estesa accezione della nozione di decisione di un’amministrazione
aggiudicatrice è confermata dalla giurisprudenza della Corte. Quest’ultima ha già
statuito che la disposizione di cui all’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 non prevede
37
alcuna limitazione quanto alla natura e al contenuto delle decisioni da essa
contemplate (sentenza 28 ottobre 1999, causa C-81/98, Alcatel Austria e a.,
Racc. pag. I-7671, punto 35). Una limitazione siffatta non può desumersi neppure dal
tenore letterale dell’art. 2, n. 1, lett. b), della detta direttiva (v., in tal senso, sentenza
Alcatel Austria e a., cit., punto 32). Peraltro, un’interpretazione restrittiva della nozione
di decisione impugnabile con un ricorso sarebbe incompatibile con il disposto
dell’art. 2, n. 1, lett. a), della medesima direttiva, che impone agli Stati membri di
prevedere procedure d’urgenza per l’adozione di provvedimenti provvisori in relazione
a qualsiasi decisione adottata dalle autorità aggiudicatrici (sentenza HI, cit., punto 49).
31. In tale ottica di interpretazione in senso ampio della nozione di decisione
impugnabile con un ricorso, la Corte ha statuito che la decisione dell’amministrazione
aggiudicatrice, precedente la conclusione del contratto, con la quale la detta autorità
sceglie l’offerente al quale sarà attribuito l’appalto, deve in ogni caso poter essere
impugnata con un ricorso, indipendentemente dalla possibilità di ottenere un
risarcimento dei danni qualora il contratto sia stato concluso (sentenza Alcatel
Austria e a., cit., punto 43).
32. Riferendosi all’obiettivo della soppressione degli ostacoli alla libera circolazione
dei servizi perseguito dalla direttiva 92/50, nonché alle finalità, alla formulazione
letterale ed alla ratio sistematica della direttiva 89/665, la Corte ha del pari statuito
che la decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di revocare il bando di gara
relativo ad un appalto pubblico di servizi deve poter costituire oggetto di ricorso, in
conformità dell’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 (v., in tal senso, sentenza HI, cit.,
punto 55).
33. A questo proposito, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 23 delle sue
conclusioni, la decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di non avviare una
procedura di aggiudicazione può considerarsi il simmetrico corrispondente della
decisione della detta autorità di porre fine ad una tale procedura. Qualora
un’amministrazione aggiudicatrice decida di non avviare una procedura di
aggiudicazione per il fatto che, a suo avviso, l’appalto in questione non ricade
nell’ambito di applicazione delle norme comunitarie pertinenti, una decisione siffatta
costituisce in assoluto la prima decisione suscettibile di controllo giurisdizionale.
34. Alla luce di tale giurisprudenza, nonché degli obiettivi, della ratio sistematica e
della formulazione letterale della direttiva 89/665, ed al fine di preservare l’effetto utile
di quest’ultima, occorre concludere che costituisce una decisione impugnabile con un
ricorso, ai sensi dell’art. 1, n. 1, della detta direttiva, qualsiasi atto di
38
un’amministrazione aggiudicatrice, adottato in relazione ad un appalto pubblico di
servizi rientrante nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50 ed
idoneo a produrre effetti giuridici, indipendentemente dal fatto che esso sia stato
adottato al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto oppure
nell’ambito di una procedura siffatta.
35. Non sono impugnabili con un ricorso i comportamenti che costituiscano un
semplice studio preliminare di mercato o che abbiano carattere meramente
preparatorio e si inseriscano nella fase di riflessione interna dell’amministrazione
aggiudicatrice in vista dell’affidamento di un appalto pubblico.
36. Sulla scorta di tali considerazioni, occorre disattendere la tesi sostenuta dalla
Stadt Halle, secondo cui la direttiva 89/665 non imporrebbe alcuna tutela
giurisdizionale al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto e la
decisione dell’amministrazione aggiudicatrice di non avviare una tale procedura non
potrebbe essere impugnata con un ricorso, come del resto neppure la decisione sulla
questione se un appalto pubblico rientri nell’ambito di applicazione delle pertinenti
norme comunitarie.
37. Tale tesi avrebbe infatti come risultato di rendere facoltativa, a discrezione di
ciascuna amministrazione aggiudicatrice, l’applicazione delle pertinenti norme
comunitarie, quando invece tale applicazione è vincolata ove sussistano i presupposti
da esse previsti. Una facoltà di questo tipo potrebbe portare alla più grave violazione
della normativa comunitaria sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione
aggiudicatrice. Essa diminuirebbe sensibilmente la tutela giurisdizionale efficace e
rapida voluta dalla direttiva 89/665 e pregiudicherebbe gli obiettivi perseguiti dalla
direttiva 92/50, vale a dire quelli della libera circolazione dei servizi e di una
concorrenza aperta e non falsata in tale settore in tutti gli Stati membri.
38. Quanto al momento a partire dal quale è possibile proporre un ricorso, occorre
rilevare come esso non sia formalmente previsto dalla direttiva 89/665. Tuttavia,
tenuto conto dell’obiettivo perseguito da tale direttiva di una tutela giurisdizionale
efficace e rapida, da ottenersi segnatamente attraverso provvedimenti provvisori,
bisogna concludere che l’art. 1, n. 1, della direttiva stessa non autorizza gli Stati
membri a subordinare la possibilità di ricorso al fatto che la procedura di affidamento
di appalto pubblico di cui trattasi abbia formalmente raggiunto una fase determinata.
39. Sulla scorta della considerazione secondo cui, in conformità del secondo
‘considerando’ della detta direttiva, il rispetto delle norme comunitarie deve essere
garantito in particolare in una fase in cui le violazioni possono ancora essere corrette,
39
occorre concludere che può essere impugnata con un ricorso la manifestazione della
volontà dell’amministrazione aggiudicatrice in ordine ad un determinato appalto, la
quale giunga in qualsiasi modo a conoscenza dei soggetti interessati, qualora essa
abbia superato la fase indicata al punto 35 della presente sentenza e sia idonea a
produrre effetti giuridici. L’avvio di concrete trattative contrattuali con un interessato
costituisce una manifestazione di volontà di questo tipo. Al riguardo va evidenziato
l’obbligo di trasparenza che incombe all’amministrazione aggiudicatrice al fine di
consentire di accertare il rispetto delle norme comunitarie (sentenza HI, cit., punto
45).
40. Quanto ai soggetti ai quali è consentito proporre ricorso, è sufficiente constatare
come, ai sensi dell’art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, gli Stati membri debbano
garantire l’accesso alle procedure di ricorso per lo meno a chiunque abbia o abbia
avuto interesse a ottenere l’affidamento di un determinato appalto pubblico e che sia
stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata (v., in tal senso,
sentenza 24 giugno 2004, causa C-212/02, Commissione/Austria, non pubblicata
nella Raccolta, punto 24). Pertanto, la formale qualità di offerente o candidato non è
necessaria.
41. Sulla scorta delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima
questione, sub a), b) e c), dichiarando che l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 deve
essere interpretato nel senso che l’obbligo degli Stati membri di garantire la possibilità
di mezzi di ricorso efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle amministrazioni
aggiudicatrici si estende anche alle decisioni adottate al di fuori di una formale
procedura di affidamento di appalto e prima di un atto di formale messa in
concorrenza, ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato
appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae e ratione materiae della
direttiva 92/50. Tale possibilità di ricorso è concessa a qualsiasi soggetto che abbia o
abbia avuto interesse a ottenere l’appalto di cui trattasi e che sia stato o rischi di
essere leso a causa di una violazione denunciata, a partire dal momento in cui viene
manifestata la volontà dell’amministrazione aggiudicatrice idonea a produrre effetti
giuridici. Pertanto, gli Stati membri non sono autorizzati a subordinare la possibilità di
ricorso al fatto che la procedura di affidamento di appalto pubblico in questione abbia
formalmente raggiunto una fase determinata.
Quanto alla seconda questione, sub a) e b)
42. Con questa seconda serie di questioni, che vanno esaminate congiuntamente, il
giudice del rinvio chiede in sostanza se, qualora un’amministrazione aggiudicatrice
40
intenda concludere con una società di diritto privato da essa giuridicamente distinta,
nella quale detiene una partecipazione maggioritaria e sulla quale esercita un certo
controllo, un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di
applicazione ratione materiae della direttiva 92/50, la detta amministrazione sia
sempre tenuta ad applicare le procedure ad evidenza pubblica previste da tale
direttiva per il semplice fatto che un’impresa privata detiene una partecipazione,
anche minoritaria, nel capitale della detta società controparte. In caso di soluzione
negativa di tale questione, il giudice del rinvio chiede sulla base di quali criteri debba
ritenersi che l’amministrazione aggiudicatrice non sia assoggettata ad un obbligo
siffatto.
43. Tale questione fa riferimento alla situazione particolare di una società cosiddetta
«mista pubblico-privata», costituita e funzionante in base alle norme privatistiche, alla
luce dell’obbligo incombente all’amministrazione aggiudicatrice di applicare le norme
comunitarie in materia di appalti pubblici qualora sussistano i presupposti da esse
contemplati.
44. Al riguardo, va ricordato in primo luogo l’obiettivo principale delle norme
comunitarie in materia di appalti pubblici, quale evidenziato nell’ambito della risposta
alla prima questione, vale a dire la libera circolazione dei servizi e l’apertura ad una
concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri. Ciò implica l’obbligo di qualsiasi
amministrazione aggiudicatrice di applicare le norme comunitarie pertinenti qualora
sussistano i presupposti da queste contemplati.
45. L’obbligo di applicare in tal caso le norme comunitarie risulta confermato dal fatto
che, all’art. 1, lett. c), della direttiva 92/50, la nozione di prestatore di servizi, ossia di
offerente ai fini dell’applicazione di tale direttiva, include anche «gli enti pubblici che
forniscono servizi» (v. sentenza 7 dicembre 2000, causa C-94/99, ARGE,
Racc. pag. I-11037, punto 28).
46 . Qualsiasi deroga all’applicazione di tale obbligo va dunque interpretata
restrittivamente. Pronunciandosi sulla scelta di una procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando di appalto, la Corte ha così statuito che l’art. 11, n. 3, della
direttiva 92/50, che contempla questo tipo di procedura, deve – in quanto disposizione
derogatoria alle norme intese a garantire l’effettività dei diritti conferiti dal Trattato CE
nel settore degli appalti pubblici di servizi – essere interpretato restrittivamente, e che
l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che
giustificano la deroga grava su colui che intenda avvalersene (sentenza 10 aprile
41
2003, cause riunite C-20/01 e C-28/01, Commissione/Germania, Racc. pag. I-3609,
punto 58).
47. Nell’ottica di un’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più
ampia possibile, quale voluta dalle norme comunitarie, la Corte ha statuito, in
riferimento alla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), che
tale direttiva è applicabile qualora un’amministrazione aggiudicatrice intenda
concludere, con un entità giuridicamente distinta, un contratto a titolo oneroso,
indipendentemente dal fatto che tale entità sia a sua volta un’amministrazione
aggiudicatrice o meno (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal,
Racc. pag. I-8121, punti 50 e 51). È opportuno constatare che la controparte
contrattuale in quel caso era un consorzio costituito da più amministrazioni
aggiudicatrici, al quale partecipava anche l’amministrazione aggiudicatrice in
questione.
48. Un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di
adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri
strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad
entità esterne non appartenenti ai propri servizi. In tal caso, non si può parlare di
contratto a titolo oneroso concluso con un entità giuridicamente distinta
dall’amministrazione aggiudicatrice. Non sussistono dunque i presupposti per
applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici.
49. In conformità della giurisprudenza della Corte, non è escluso che possano
esistere altre circostanze nelle quali l’appello alla concorrenza non è obbligatorio
ancorché la controparte contrattuale sia un’entità giuridicamente distinta
dall’amministrazione aggiudicatrice. Ciò si verifica nel caso in cui l’autorità pubblica,
che sia un’amministrazione aggiudicatrice, eserciti sull’entità distinta in questione un
controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e tale entità realizzi la
parte più importante della propria attività con l’autorità o le autorità pubbliche che la
controllano (v., in tal senso, sentenza Teckal, cit., punto 50). Occorre ricordare che,
nel caso sopra menzionato, l’entità distinta era interamente detenuta da autorità
pubbliche. Per contro, la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al
capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in
questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta
società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.
42
50. Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che il rapporto tra un’autorità pubblica, che
sia un’amministrazione aggiudicatrice, ed i suoi servizi sottostà a considerazioni e ad
esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Per contro,
qualunque investimento di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni
proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura differente.
51. In secondo luogo, l’attribuzione di un appalto pubblico ad una società mista
pubblico-privata senza far appello alla concorrenza pregiudicherebbe l’obiettivo di una
concorrenza libera e non falsata ed il principio della parità di trattamento degli
interessati contemplato dalla direttive 92/50, in particolare nella misura in cui una
procedura siffatta offrirebbe ad un’impresa privata presente nel capitale della detta
società un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti.
52. Pertanto, occorre risolvere la seconda questione, sub a) e b), dichiarando che,
nell’ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a
titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione ratione materiae
della direttiva 92/50 con una società da essa giuridicamente distinta, nella quale la
detta amministrazione detiene una partecipazione insieme con una o più imprese
private, le procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla citata direttiva
debbono sempre essere applicate.
53. In considerazione di tale risposta, non occorre risolvere le altre questioni sollevate
dal giudice nazionale.
Sulle spese
54. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle
spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle
delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: 1) L’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, a sua volta modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE,
43
deve essere interpretato nel senso che l’obbligo degli Stati membri di garantire la possibilità di mezzi di ricorso efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto e prima di un atto di formale messa in concorrenza, ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae e ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata. Tale possibilità di ricorso è concessa a qualsiasi soggetto che abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’appalto di cui trattasi e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata, a partire dal momento in cui viene manifestata la volontà dell’amministrazione aggiudicatrice idonea a produrre effetti giuridici. Pertanto, gli Stati membri non sono autorizzati a subordinare la possibilità di ricorso al fatto che la procedura di affidamento di appalto pubblico in questione abbia formalmente raggiunto una fase determinata. 2) Nell’ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata dalla direttiva 97/52, con una società da essa giuridicamente distinta, nella quale la detta amministrazione detiene una partecipazione insieme con una o più imprese private, le procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla citata direttiva debbono sempre essere applicate.
5.1. Conclusioni Avvocato Generale nella causa C – 26/03
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
CHRISTINE STIX-HACKL presentate il 23 settembre 2004
Causa C-26/03
Stadt Halle
RPL Recyclingpark Lochau GmbH
Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna
44
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Oberlandesgerichtes Naumburg
(Germania)]
Direttiva 89/665CEE - Affidamento diretto - Tutela giurisdizionale contro il mancato espletamento di una formale procedura di aggiudicazione - Direttiva 92/50/CEE -
Affidamento "in house"
I – Introduzione
1. Il presente procedimento pregiudiziale verte in sostanza su due questioni giuridiche
relative alla normativa sugli appalti pubblici: la tutela giurisdizionale dinanzi a fattispecie di
affidamento diretto, ossia in caso di mancato svolgimento di una formale procedura di
aggiudicazione, e i presupposti per l'applicabilità dell'eccezione relativa agli affidamenti di
appalti a società controllate (cosiddetti affidamenti «quasi in house»). Quest’ultimo punto
riguarda l’interpretazione della sentenza Teckal (2) .
II – Contesto normativo
2. Le questioni pregiudiziali hanno per oggetto, in primo luogo, l’interpretazione della
direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso
in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (3) (in prosieguo: la
«direttiva 89/665»), e, in secondo luogo, l’interpretazione della direttiva del Consiglio 18
giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici
di servizi (4) (in prosieguo: la «direttiva 92/50»).
3. L’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665, nel testo applicabile, è formulato nei seguenti
termini:
«Gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda
le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalle direttive 71/305/CEE,
77/62/CEE e 92/50/CEE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano
essere oggetto di ricorsi efficaci e, in particolare, quanto più rapidi possibile, secondo le
condizioni previste negli articoli seguenti, in particolare nell’articolo 2, paragrafo 7, qualora
violino il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali che lo
recepiscono».
4. L’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50 recita, nella parte qui di interesse, come segue:
«Ai fini della presente direttiva s’intendono per:
45
a) “appalti pubblici di servizi”, i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un
prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice (…)».
5. Infine, nel procedimento principale si fa anche riferimento alla direttiva del Consiglio
14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di
acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che
operano nel settore delle telecomunicazioni (5) (in prosieguo: la «direttiva 93/38»), il cui
art. 13, n. 1, così recita:
«1. La presente direttiva non si applica agli appalti di servizi:
a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;
b) assegnati da un’impresa comune, costituita da più enti aggiudicatori per l’esercizio di
attività ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, ad uno di questi enti aggiudicatori o ad
un’impresa collegata ad uno degli enti aggiudicatori,
sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata nella Comunità dall’impresa in
questione negli ultimi tre anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di detti servizi alle
imprese alle quali è collegata.
Allorché lo stesso servizio o servizi simili sono forniti da più di un’impresa collegata all’ente
aggiudicatore, occorre tener conto della cifra d’affari totale nella Comunità risultante dalla
fornitura di servizi da parte di queste imprese».
III – Fatti e procedimento principale
6. A partire dalla primavera del 2001, la città di Halle [Stadt Halle] ha iniziato ad
elaborare piani per il trattamento preliminare, il recupero e lo smaltimento dei propri rifiuti
soggetti ad obbligo di conferimento, ed eventualmente anche di quelli non soggetti a tale
obbligo, mediante un ente a ciò preposto, controllato a livello comunale. Con delibera 12
dicembre 2001, la città di Halle ha incaricato la RPL Recyclingpark Lochau GmbH (in
prosieguo: la «RPL») di procedere alle attività di progettazione, raccolta delle autorizzazioni
e costruzione necessarie per la realizzazione della Centrale termica di smaltimento e
recupero dei rifiuti in Lochau (in prosieguo: la «TABVA»). Nello stesso tempo, la città di Halle
ha deciso di avviare con la RPL, senza previo svolgimento di una formale procedura di gara,
trattative aventi ad oggetto un contratto per lo smaltimento dei rifiuti non riciclabili della città
di Halle con effetto a partire dal 1° giugno 2005. Il contratto, già disponibile in bozza,
supererebbe ampiamente la soglia prevista per gli appalti di servizi di questo tipo. Al fine di
garantire lo sfruttamento ottimale delle capacità dell’impianto, la città di Halle intende inoltre
stipulare accordi di programma con due amministrazioni circondariali limitrofe, per ottenere
da tali enti territoriali l’incarico del trattamento e recupero dei rifiuti, in modo che, in definitiva,
46
il trattamento dei rifiuti non riciclabili di tali enti avvenga ugualmente nell’impianto TABVA
della RPL. La città di Halle ritiene che in questo caso si configuri una fattispecie di «in house
providing», per la quale non vi è l’obbligo di indire una gara.
7. La RPL è una società mista a prevalente capitale pubblico, in forma giuridica di
società a responsabilità limitata, esistente dal 1996. Sono soci della RPL: per il 75,1% la
Stadtwerke Halle GmbH, la cui socia unica, la Verwaltungsgesellschaft für Versorgungs- und
Verkehrsbetriebe der Stadt Halle mbH, è controllata al 100% dalla città di Halle; per il 24,9%
la RWE Umwelt Sachsen-Anhalt GmbH, un’impresa privata. Le attuali quote di
partecipazione sono state definite nell'atto costitutivo della società solo alla fine del 2001, in
coincidenza con il previsto affidamento di servizi di smaltimento dei rifiuti a partire dal 1°
giugno 2005. L'oggetto sociale della RPL è, ai sensi dell'atto costitutivo, la gestione di
impianti di riciclaggio e di smaltimento dei rifiuti, in particolare la gestione di impianti per il
compostaggio di rifiuti biologici, per il trattamento di rifiuti misti provenienti da cantieri e di
rifiuti industriali, la costruzione e la gestione di impianti per il trattamento ed il recupero dei
fanghi di depurazione, per il recupero di acque d’infiltrazione, gas di discarica e biogas,
nonché per il trattamento termico dei rifiuti.
8. Ai sensi dell'atto costitutivo della società, le deliberazioni dei soci devono essere
assunte a maggioranza semplice, mentre talune decisioni, tra cui la nomina di entrambi gli
amministratori della società, richiedono una maggioranza qualificata pari al 75% dei voti.
L’amministrazione è tenuta a presentare mensilmente una relazione ai soci, secondo le
norme sul rendiconto valide per la Stadtwerke Halle GmbH. Per taluni atti o negozi giuridici,
tra cui la conclusione ovvero la modifica di contratti di gestione, la realizzazione di
investimenti nonché l'accensione di mutui, in ciascun caso a partire da una soglia
determinata, è richiesta l'approvazione dell’assemblea dei soci. Attualmente, la gestione
commerciale e tecnica della RPL è affidata per contratto ad un’impresa terza. Le funzioni di
controllo tipiche del consiglio di vigilanza sono esercitate dal consiglio di vigilanza della
Stadtwerke Halle GmbH. Ai sensi dell'atto costitutivo, alla città di Halle spettano in
particolare, con riferimento al bilancio annuale, il potere di revisione dei conti e quello di
informazione diretta dell'organo di revisione dei conti della città di Halle.
9. La Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA
Leuna (in prosieguo: la «TREA»), con lettere 21 dicembre 2001 e 30 gennaio 2002, ha fatto
valere nei confronti della città di Halle che mancavano i presupposti per un'operazione di «in
house providing», e che quindi la volontà della convenuta di affidare servizi di smaltimento
dei rifiuti a partire dal 1° giugno 2005 senza formale indizione di gara d’appalto era contraria
alla normativa sugli appalti. La città di Halle ha confermato con lettera 7 febbraio 2002,
47
nonché in occasione di un colloquio in data 19 febbraio 2002, che non intendeva modificare
la propria posizione. Con atto introduttivo del 21 febbraio 2001, la TREA ha presentato
ricorso dinanzi alla Vergabekammer del Regierungspräsidium Halle, chiedendo di imporre
alla città di Halle di indire una gara pubblica d’appalto. La Vergabekammer del
Regierungspräsidium Halle, con decisione 27 maggio 2002, ha ordinato alla città di Halle di
affidare i servizi in questione – cioè lo «smaltimento dei rifiuti non riciclabili della città di Halle
a partire dal 1° giugno 2005 – con modalità concorrenziali e mediante una procedura di
appalto trasparente, in conformità del regolamento nazionale per la disciplina degli appalti
pubblici.
10. Avverso questa decisione la città di Halle nonché la RPL hanno proposto
impugnazione immediata dinanzi all’Oberlandesgericht Naumburg.
IV – Le questioni pregiudiziali 11. L’Oberlandesgericht Naumburg ha sospeso il giudizio di impugnazione ed ha
sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
1. Se l’art. 1, n. 1, della direttiva di coordinamento delle procedure di ricorso imponga agli
Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso la
decisione dell’autorità aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico mediante un
procedimento conforme alle disposizioni delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti
pubblici.
2. Se l’art. 1, n. 1, della direttiva di coordinamento delle procedure di ricorso imponga altresì
agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso le
decisioni assunte dalle autorità aggiudicatrici nella fase preliminare alla formale indizione di
una gara d’appalto, in particolare avverso la decisione sulle questioni, di carattere
preliminare, se un determinato procedimento di acquisizione di beni o servizi rientri o meno
nell’ambito d’applicazione ratione personae o ratione materiae delle direttive in materia di
aggiudicazione di appalti pubblici, ovvero se eccezionalmente resti esclusa l'applicazione
della normativa sugli appalti.
3. In caso di risposta positiva alla questione pregiudiziale sub 1. e di risposta negativa alla
questione pregiudiziale sub 2., se uno Stato membro adempia all’obbligo di garantire mezzi
di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso la decisione dall’autorità
aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico nell'ambito di un procedimento conforme
alle disposizioni delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, nel caso in cui
l’accesso alla procedura di ricorso sia subordinato al raggiungimento di una determinata fase
48
formale del procedimento di acquisizione di beni o servizi, quale ad esempio l’avvio di
trattative scritte o verbali con un terzo.
4. Presupponendo che un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente territoriale, intenda
stipulare con un organismo formalmente distinto da essa (in prosieguo: l’«organismo
controparte») un contratto scritto a titolo oneroso relativo alla fornitura di servizi, il quale
rientrerebbe nell’ambito d’applicazione della direttiva di coordinamento degli appalti di
servizi, e ipotizzando inoltre che tale contratto eccezionalmente non costituisca un appalto
pubblico di servizi ai sensi dell’art. 1, lett. a), della detta direttiva qualora l'organismo
controparte debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione ovvero
come un organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice (in
prosieguo: l'«affidamento diretto a servizi od organismi propri non soggetto alla normativa
sugli appalti»), questa Sezione intende sapere se debba sempre escludersi la possibilità di
qualificare un tale contratto come affidamento diretto a servizi od organismi propri non
soggetto alla normativa sugli appalti, nel caso in cui un’impresa privata detenga una
semplice partecipazione societaria nel detto organismo controparte.
5. Nel caso di risposta negativa alla questione sub 4., in presenza di quali condizioni un
organismo controparte in cui vi sia la partecipazione societaria di privati (in prosieguo: la
«società mista a prevalente capitale pubblico») deve considerarsi come facente parte della
pubblica amministrazione ovvero come organismo di gestione economica
dell’amministrazione aggiudicatrice. Più precisamente:
a) se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come
organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice con riferimento
alle modalità e all’intensità del controllo, sia sufficiente che l’amministrazione
aggiudicatrice eserciti sulla detta società un'«influenza dominante», ad esempio ai
sensi degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993,
93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di
energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano
nel settore delle telecomunicazioni (GU L 199, pag. 84), modificata dall’atto di
adesione 1994 (GU C 241, del 29 agosto 1994, pag. 228), nonché dalla direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 98/4/CE (GU L 101, del
16 febbraio 1998, pag. 1) (in prosieguo: la «direttiva di coordinamento settoriale»);
b) se la possibilità, giuridicamente riconosciuta al socio privato della società mista a
prevalente capitale pubblico, di influire in qualche modo sull’individuazione degli
obiettivi strategici dell’organismo controparte e/o sulle singole decisioni relative alla
49
conduzione dell’impresa, impedisca di considerare tale entità come organismo di
gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice;
c) se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come
organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice, sotto il profilo
delle modalità e dell’intensità del controllo, sia sufficiente un ampio potere direttivo
unicamente in ordine alle decisioni relative alla conclusione del contratto e alla
fornitura dei servizi, con riferimento ad una specifica procedura di acquisizione;
d) se, per poter qualificare una società mista a prevalente capitale pubblico come
organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice, con riferimento
al criterio dello svolgimento della parte più importante della sua attività in favore
dell’autorità aggiudicatrice, sia sufficiente che almeno l’80% del fatturato medio
realizzato nella Comunità dalla società in questione negli ultimi tre anni nel settore dei
servizi derivi dalla fornitura di detti servizi all’autorità aggiudicatrice ovvero alle
imprese a questa collegate o a questa riconducibili, ovvero, qualora la società mista
pubblico-privata non abbia ancora maturato un’attività triennale, sia sufficiente che
possa prevedersi il rispetto della citata «regola dell’80%».
V – Sulle questioni pregiudiziali riguardanti la tutela giurisdizionale (prima, seconda e terza questione pregiudiziale) A – Sulla ricevibilità
12. Per quanto riguarda le questioni pregiudiziali relative alla tutela giurisdizionale, occorre
anzitutto esaminare se ed in quale misura esse siano ricevibili.
13. La Corte è tenuta, in via di principio, a statuire sulla domanda di pronuncia
pregiudiziale sottopostale, a meno che non appaia in modo manifesto che quest'ultima tende
in realtà ad indurla a pronunciarsi mediante una controversia costruita o a formulare pareri
su questioni generali o ipotetiche, che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non
abbia alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della controversia, o ancora che la
Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile
alle questioni che le vengono sottoposte (6) .
14. Nel caso di specie, dagli atti emerge che il previsto affidamento diretto, oggetto della
causa nazionale, è giunto ad una fase determinata, dal momento che esiste già un progetto
di contratto. Ne consegue che le questioni pregiudiziali sono ricevibili solo in quanto
necessarie alla soluzione della controversia nel caso di specie. Vero è che tali questioni
pregiudiziali riguardano problemi giuridici sostanziali connessi con la tutela giurisdizionale,
tuttavia siffatte considerazioni di ordine generale non debbono trovare ingresso per motivi
50
processuali. Infatti, esse riguardano fattispecie che non sono oggetto della controversia
specifica di cui è investito il giudice del rinvio. Inoltre, il giudice del rinvio non spiega neppure
quali motivi lo abbiano indotto a considerare che sia necessario risolvere siffatte questioni
per poter decidere in merito alla controversia sottopostagli.
15. Di conseguenza, in mancanza di elementi da cui risulti che una soluzione di tali
questioni astratte è necessaria alla definizione della causa principale, le questioni in oggetto
devono essere considerate di natura ipotetica e, pertanto, dichiarate irricevibili (7) .
16. Pertanto, nella misura in cui sono volte a chiarire questioni giuridiche generiche, le
dette questioni pregiudiziali sono irricevibili. Lo stesso dicasi per la compatibilità del diritto
nazionale con il diritto comunitario, costituente l'oggetto della terza questione pregiudiziale.
Tuttavia, con queste limitazioni, le questioni pregiudiziali relative alla tutela giurisdizionale
sono ricevibili per il resto, vale a dire nella concreta configurazione di cui alla causa
nazionale. Tenuto conto dell'uguale finalità sostanziale delle prime tre questioni pregiudiziali,
vale a dire l'individuazione degli atti dell’amministrazione aggiudicatrice impugnabili con un
ricorso, è d'uopo esaminare e risolvere congiuntamente le tre questioni.
B – Analisi nel merito
17. Le questioni pregiudiziali relative alla tutela giurisdizionale contro talune decisioni
dell’amministrazione aggiudicatrice sono intese essenzialmente ad individuare la fase
precedente al vero e proprio affidamento dell'appalto a partire dalla quale occorre garantire
la possibilità di esperire ricorsi dinanzi ad organi nazionali prevista dalla direttiva 89/665. Si
tratta in sostanza di determinare il momento in cui un progetto di acquisizione di beni o
servizi raggiunge il grado di concretezza necessario ai fini di questa tutela giurisdizionale.
18. Occorre anzitutto partire dal principio che, conformemente alla giurisprudenza della
Corte, la nozione di «decisioni» ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 e la nozione di
«decisioni» come atti contro i quali è esperibile un ricorso ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. b),
della medesima direttiva – vale a dire quindi gli atti dell’amministrazione aggiudicatrice
impugnabili – devono essere interpretate in senso ampio.
19. Secondo questa giurisprudenza, l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 non prevede
«alcuna limitazione relativa alla natura e al contenuto» (8) delle decisioni in questione.
20. Inoltre, ai sensi dell’art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, gli Stati membri sono tenuti a
garantire che le procedure di ricorso previste da tale direttiva siano accessibili «per lo meno»
a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato
appalto pubblico e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione denunciata
51
delle disposizioni del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle normative
nazionali adottate per il relativo recepimento.
21. Nel presente procedimento si pone la questione se nell’ampia nozione di «decisioni»
rientrino anche le decisioni adottate «nella fase preliminare» o, detto in termini giuridici,
prima dell’avvio di una procedura di aggiudicazione. Si tratta dunque di decisioni che si
collocano a mezzo tra i propositi generici e l’avvio o il non avvio di una procedura di
aggiudicazione.
22. Pertanto, tenuto conto dello scopo della direttiva 89/665, ossia garantire una tutela
giurisdizionale efficace, come dispone espressamente anche l’art. 1, n. 1, si dovrebbero
includere in tale nozione anche le decisioni adottate prima dell’avvio di una procedura di
aggiudicazione.
23. Per quanto attiene alla possibilità di ricorso avverso la decisione di non avviare una
procedura di aggiudicazione, quest'ultima costituisce una decisione paragonabile alla
contrapposta decisione di concludere una procedura di aggiudicazione.
24. Le decisioni in merito alla conclusione di una procedura di aggiudicazione rientrano tra
gli atti dell’autorità aggiudicatrice contro i quali è esperibile un ricorso, come la Corte ha
espressamente sottolineato riguardo alla revoca di una procedura di aggiudicazione. Infatti,
«la realizzazione integrale dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 89/665 sarebbe
compromessa se si consentisse alle autorità aggiudicatrici di procedere alla revoca di un
bando di gara per un appalto pubblico di servizi senza assoggettarle a procedure di controllo
giurisdizionale, volte a garantire sotto ogni profilo l’effettivo rispetto sia delle direttive che
stabiliscono le norme sostanziali relative agli appalti pubblici, sia dei principi su cui si
basano» (9) .
25. Vero è che la decisione di non avviare una procedura di aggiudicazione ai sensi delle
direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, a differenza della revoca di una
procedura di aggiudicazione già avviata, si colloca per sua natura al di fuori di una procedura
di affidamento; tuttavia ciò non esclude affatto l’applicazione della direttiva 89/665.
26. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, nella sfera di applicazione della direttiva
89/665, che mira alla tutela giurisdizionale, non rientrano soltanto i ricorsi volti a far valere
violazioni delle direttive recanti le norme sostanziali in materia di affidamenti di appalti.
Infatti, la Corte ha affermato che l’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 va applicato a tutte «le
decisioni adottate dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono soggette alle norme di diritto
comunitario in materia di appalti pubblici» (10) , senza limitare la validità di tale principio alle
sole prescrizioni risultanti dalle direttive in materia di aggiudicazione.
52
27. Gli Stati membri non sono tenuti a rendere in ogni caso accessibili procedure di
ricorso a chiunque voglia ottenere l’aggiudicazione di un appalto pubblico, bensì è consentito
loro di esigere che la persona interessata sia stata o rischi di essere lesa dalla violazione da
essa denunciata (11) . Su questa base, in linea di principio essi possono considerare la
partecipazione ad una procedura di aggiudicazione di appalti come condizione da soddisfare
affinché la persona interessata possa dimostrare che ha un interesse all’appalto in questione
e che rischia di subire un danno a causa dell’aggiudicazione dell’appalto asseritamente
illegittima.
28. Tuttavia, la Corte ha già dichiarato che, nell’ipotesi in cui un’impresa non abbia
presentato un’offerta a causa della presenza di specifiche che asserisce discriminatorie nei
documenti di gara o nel disciplinare, le quali le avrebbero proprio impedito di essere in grado
di fornire l’insieme delle prestazioni richieste, essa avrebbe tuttavia il diritto di presentare un
ricorso direttamente avverso tali specifiche, e ciò prima ancora che si concluda il
procedimento di aggiudicazione dell’appalto pubblico in questione (12) .
29. Così come ad un’impresa dev’essere consentito presentare direttamente un ricorso
per far valere eventuali violazioni, senza attendere la conclusione della procedura di
aggiudicazione dell’appalto (13) , dev’esserle anche consentito presentare ricorso avverso
determinate decisioni rilevanti ai fini dell'affidamento dell’appalto, senza attendere l’avvio di
una procedura di aggiudicazione. Infatti, proprio nei casi come quelli in esame, di solito non
si arriva affatto ad una procedura di aggiudicazione ai sensi delle direttive in materia di
appalti pubblici. Tuttavia, non si può esigere da un’impresa che presenti un’offerta se non è
stata avviata alcuna procedura di aggiudicazione.
30. Pertanto, per l’applicazione delle direttive in materia di ricorsi e quindi delle procedure
di ricorso, non è determinante che si sia svolta una procedura di aggiudicazione prevista
dalle direttive recanti le norme sostanziali in materia di affidamenti di appalti pubblici. Infatti,
l’ambito di applicazione delle direttive in materia di ricorsi non è determinato
dall'applicazione effettiva delle dette direttive sostanziali, come ad esempio la direttiva 93/38,
bensì è collegato alla questione se una di queste direttive sarebbe stata ovvero sia
applicabile, vale a dire se la procedura in esame rientri nell’ambito di applicazione di una di
queste direttive.
31. Dalle considerazioni che precedono deriva che anche taluni atti precedenti all’avvio di
una procedura di aggiudicazione sono impugnabili con un ricorso ai sensi della direttiva
89/665. Al riguardo sussistono però anche dei limiti.
32. Alla possibilità che proprio tutti gli atti di un'amministrazione aggiudicatrice siano
impugnabili con un ricorso si oppone in primo luogo la circostanza che le singole fasi
53
precedenti all’avvio di una procedura di aggiudicazione non solo differiscono da Stato
membro a Stato membro, ma dipendono altresì dai singoli concreti progetti di acquisizione di
beni o servizi.
33. Inoltre è d’uopo richiamare un criterio sviluppato dalla Corte per la garanzia della
tutela giurisdizionale, secondo cui «la direttiva 89/665 mira a rafforzare i meccanismi
esistenti, sia sul piano nazionale sia sul piano comunitario, per garantire l’effettiva
applicazione delle direttive comunitarie in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, in
particolare in una fase in cui le violazioni possono ancora essere sanate» (14) .
34. Il fatto che non tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto
di ricorso è anche confermato da un’altra sentenza della Corte, vertente su una limitazione
imposta dal diritto nazionale alle possibilità di ricorso avverso talune decisioni delle autorità
aggiudicatrici. In questa sentenza la Corte ha preso le mosse da una verifica dell'esistenza
di una tutela giurisdizionale adeguata. In quel caso essa è giunta alla conclusione che la
tutela giurisdizionale era adeguata, anche se, secondo il diritto nazionale, erano impugnabili
solo gli atti procedurali che decidono, direttamente o indirettamente, nel merito della
questione, che comportano l’impossibilità di continuare il procedimento o di difendersi, o che
determinano pregiudizi irreparabili a diritti o a legittimi interessi (15) .
35. Se quindi è ammissibile – vale a dire compatibile con la direttiva 89/665 – escludere
dalla possibilità di ricorso anche taluni atti posteriori all’avvio di una procedura di
aggiudicazione, dev’essere a maggior ragione ammissibile prevedere tale esclusione per
taluni atti precedenti l’avvio di una procedura siffatta.
36. Infine, occorre altresì rammentare che le direttive in materia di aggiudicazione di
appalti pubblici si limitano a coordinare, vale a dire semplicemente ad armonizzare, le
procedure di aggiudicazione e non disciplinano anche le fasi precedenti a tali procedure.
37. In conclusione occorre quindi rilevare che la direttiva 89/665 non garantisce una
completa tutela giurisdizionale preventiva.
38. Un fattore determinante per individuare gli atti impugnabili è costituito dalla normativa
sostanziale, vale a dire dal fatto che, in base alle direttive in materia di aggiudicazione di
appalti pubblici, un’impresa sia titolare di una pretesa giuridicamente riconosciuta a che
venga compiuto od omesso un determinato atto.
39. In tale contesto viene in questione, in linea di principio, anche un diritto ad ottenere
una misura inibitoria. Quest'ultima può, ad esempio, essere intesa a vietare ad un ente
soggetto alle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici di procedere ad
un’acquisizione di beni o servizi rientrante nell’ambito di applicazione di queste direttive
54
senza previo svolgimento delle procedure di aggiudicazione da esse previste. In tal modo
viene creato anche nella tutela giurisdizionale un parallelismo con la misura del divieto di
procedere all’aggiudicazione dell'appalto.
40. Di conseguenza, un possibile criterio per determinare gli atti compiuti prima dell’avvio
di una procedura di aggiudicazione che devono poter costituire oggetto di ricorso è costituito
dall'effetto che tali atti producono sull’impresa ricorrente. Si tratta dunque in questo caso di
un presupposto del potere di impugnazione (legittimazione attiva).
41. Per contro, nel presente procedimento si tratta semplicemente dei presupposti per
l’impugnabilità di un atto.
42. Un’ulteriore limitazione di cui tenere conto nel presente procedimento pregiudiziale
emerge dalle norme di diritto processuale relative a questo tipo di procedimento dinanzi alla
Corte. Infatti, anche il presente procedimento pregiudiziale non può essere inteso a fornire
una definizione generale di atti impugnabili, bensì solo a fornire una soluzione utile al giudice
nazionale, affinché questi possa risolvere la controversia sottopostagli.
43. Pertanto, il presente procedimento non ha per oggetto l'elaborazione di criteri generali
per valutare l’impugnabilità di atti di autorità aggiudicatrici, bensì solo di criteri applicabili agli
atti oggetto della specifica causa nazionale.
44. A questo proposito è sufficiente ricordare che sotto la direttiva 89/665 non ricadono le
considerazioni a carattere puramente interno, né parimenti la valutazione del fabbisogno di
beni o servizi, l’elaborazione dei capitolati o le semplici indagini di mercato. Pertanto, sotto di
essa non ricadono neppure le valutazioni giuridiche interne dell’autorità aggiudicatrice intese
a stabilire se una determinata acquisizione di beni o servizi rientri o meno nell’ambito di
applicazione delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici.
45. Per il resto, non occorre qui esaminare la questione se già la decisione di avviare
trattative con un’altra impresa possa costituire oggetto di un ricorso ovvero se tale facoltà di
impugnazione sussista solo per le trattative in corso. Si tratta infatti di questioni ipotetiche, in
quanto oggetto del procedimento principale e, perciò, anche del presente procedimento
pregiudiziale è un contesto diverso, in cui segnatamente esiste già un progetto di contratto.
46. Nella fattispecie in questione l’autorità aggiudicatrice è prossima alla conclusione di un
contratto. Tuttavia, tale situazione corrisponde ad un'altra che spesso si presenta nell’ambito
delle acquisizioni di beni o servizi, vale a dire la fase immediatamente precedente
all’aggiudicazione dell'appalto. Infatti, a seconda del diritto nazionale, l’aggiudicazione
precede la conclusione di un contratto d’appalto, oppure il contratto d’appalto si perfeziona
con l’aggiudicazione, configurata come accettazione dell’offerta.
55
47. Il fatto che nel secondo caso sia stata avviata una procedura di aggiudicazione – che
invece è mancata nel caso di specie – non può giustificare distinzioni, per motivi di effettività
della tutela giurisdizionale.
48. Pertanto, le prime tre questioni pregiudiziali vanno risolte dichiarando che l’art. 1, n. 1,
della direttiva 89/665 dev’essere interpretato nel senso che, in presenza di determinati
presupposti, gli Stati membri debbono garantire la possibilità di esperire mezzi di ricorso
efficaci e quanto più rapidi possibile anche avverso talune decisioni delle autorità
aggiudicatrici adottate al di fuori di una procedura di aggiudicazione; in tale categoria
possono rientrare anche le decisioni sulla questione, a carattere preliminare, di procedere ad
una determinata acquisizione di beni o servizi senza svolgimento di una procedura di
aggiudicazione.
VI – Sulle questioni pregiudiziali riguardanti gli affidamenti «quasi in house» (quarta e quinta questione pregiudiziale) 49. Il secondo gruppo di questioni pregiudiziali riguarda i presupposti per gli affidamenti di
appalti a società controllate (cosiddetti affidamenti «quasi in house»). Come giustamente
sottolineato dal governo austriaco, si tratta, a differenza degli affidamenti a servizi propri
(cosiddetti affidamenti «in house») (gestione diretta), di appalti assegnati ad un organismo
distinto dall’autorità aggiudicatrice e dotato di personalità giuridica. Infatti, qualora
l’organismo che esegue la prestazione fosse privo di personalità giuridica, non potrebbe
sussistere alcun contratto. In tal caso mancherebbe anche uno dei presupposti per un
appalto ai sensi delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici.
50. Nel presente procedimento si tratta, a ben vedere, dell’interpretazione della nozione di
«appalto», che costituisce uno dei presupposti per l’applicazione delle direttive in materia di
appalti pubblici. A questo riguardo occorre prendere le mosse dalla sentenza della Corte
nella causa Teckal, in cui la Corte ha considerato determinate fattispecie di acquisizione di
beni o servizi come non rientranti nell’ambito di applicazione delle direttive in materia di
aggiudicazione di appalti pubblici.
51. Conformemente a questa sentenza, le direttive in materia di aggiudicazione di appalti
pubblici non trovano applicazione «nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla
persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e
questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti
locali che la controllano» (16) .
52. In tal modo la Corte ha fissato due presupposti in presenza dei quali una procedura di
acquisizione di beni o servizi sfugge all'ambito di applicazione delle direttive in materia di
56
aggiudicazione di appalti pubblici; essa ha pertanto ristretto la nozione di «appalto» in base
ad un criterio teleologico.
53. A questo punto occorre anzitutto rilevare che la stessa Corte ha espressamente
definito come eccezione l’inapplicabilità delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti
pubblici. In tal modo assume rilievo il principio generale secondo cui le eccezioni devono
essere interpretate in maniera restrittiva. Nell'esaminare qui di seguito i due presupposti
suddetti, tale principio dovrà essere osservato quale prescrizione a carattere generale.
54. Si deve altresì osservare che gli affidamenti ad enti che sono essi stessi
amministrazioni aggiudicatrici, come è il caso di talune imprese controllate (a parte
l’eccezione Teckal ed altre eccezioni, come ad esempio l’art. 6 della direttiva 92/50),
rientrano in generale nella nozione di appalto. Pertanto, l’applicabilità delle direttive in
materia di aggiudicazione di appalti pubblici continua a costituire la regola (17) .
55. Occorre inoltre richiamare l’origine degli affidamenti «quasi in house» e, di
conseguenza, dell’eccezione Teckal, vale a dire il trattamento particolare riservato a
procedure a carattere organizzativo interno, ossia alle fattispecie di «in house providing», ed
ai casi a queste equiparabili.
in questa sede occorre tener conto anche degli scopi cui mirano le direttive in materia di
aggiudicazione di appalti pubblici, vale a dire l’apertura dei mercati e la garanzia di una
concorrenza effettiva.
57. Questi sono i punti di riferimento rilevanti nell’interpretazione dell’eccezione Teckal.
58. In linea generale è d’uopo distinguere tre fattispecie di affidamento «quasi in house»,
e precisamente: a società proprie (società detenute al 100% dall’autorità aggiudicatrice o da
organismi a questa riconducibili), a società a capitale interamente pubblico detenuto da più
soci (società con partecipazione di più amministrazioni aggiudicatrici) e a società miste
pubblico-private (società con partecipazione anche di veri e propri soggetti privati).
59. La causa principale riguarda il previsto affidamento di un contratto da parte della città
di Halle – ossia un ente territoriale senz’altro qualificabile come amministrazione
aggiudicatrice ai sensi delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici – ad una
subcontrollata (società «pronipote»). In effetti, la città di Halle è proprietaria al 100% della
sua controllata diretta (società «figlia») e questa detiene a sua volta il 100% delle quote della
società «nipote»; tuttavia, quest'ultima controlla la società «pronipote» solo al 75,1%. Le
quote restanti di quest’ultima società sono detenute da una semplice impresa privata.
60. Quindi il presente procedimento verte su una cosiddetta società mista
pubblico-privata, vale a dire una società nella quale un'amministrazione aggiudicatrice
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detiene (indirettamente) una partecipazione maggioritaria, mentre delle restanti quote è
titolare un soggetto che non è un'autorità aggiudicatrice.
61. Per motivi di ordine processuale, in prosieguo verrà esaminata unicamente una
situazione quale quella oggetto della causa nazionale. Per contro, l’applicazione alla
concreta fattispecie in questione nella causa principale resta di competenza del giudice
nazionale (18) .
A – Primo criterio: controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi
62. Il primo presupposto per l’applicazione dell’eccezione e, quindi, per l’inapplicabilità
delle direttive in materia di appalti pubblici riguarda il tipo di controllo esercitato
dall’amministrazione aggiudicatrice sull’organismo cui intende affidare il contratto. La Corte
esige che l’ente aggiudicatore eserciti «eserciti (…) un controllo analogo a quello da esso
esercitato sui propri servizi».
63. Quindi, a questo riguardo la Corte applica un criterio che ricava dal diritto pubblico.
Tuttavia, poiché il criterio del controllo, come pure la nozione di appalto e di amministrazione
aggiudicatrice, vanno intesi in senso funzionale e non formale, la detta circostanza non osta
ad una trasponibilità di tale criterio al rapporto tra un’amministrazione aggiudicatrice e
persone giuridiche di diritto privato, ad esempio una società a responsabilità limitata come
nel caso di specie. Il criterio del collegamento ai servizi amministrativi interni si spiega
piuttosto con la funzione originaria della costituzione di organismi autonomi, vale a dire lo
scorporo di determinate unità organizzative.
64. A favore della trasponibilità ad altre fattispecie depone anche la circostanza che dalla
sentenza Teckal, nella versione nella lingua processuale, ossia l'italiano, risulta che la Corte
richiede solo un controllo «analogo», vale a dire equiparabile, ma non identico (19) .
65. Quindi, da un lato, la valutazione della posizione giuridica di un socio di maggioranza
avviene in base alle disposizioni applicabili del diritto nazionale, ossia nel caso di specie in
base alla normativa di diritto societario relativa alle società a responsabilità limitata.
Dall’altro, occorre valutare quelle disposizioni che disciplinano più specificamente il rapporto,
quindi, di norma, l'atto costitutivo. Ciò significa che non è sufficiente procedere ad un esame
meramente astratto in base alla forma giuridica scelta per l’organismo che è soggetto al
controllo, ad esempio in base al tipo di persona giuridica.
66. In tal modo, però, le normative nazionali, perlopiù a carattere legislativo, assumono
solo un’importanza limitata. Questo vale in particolare per le disposizioni che stabiliscono i
diritti spettanti ai soci di minoranza e le relative condizioni. Si tratta soprattutto di disposizioni
che subordinano taluni diritti di controllo e di veto dei soci all’entità della quota da essi
detenuta, ad esempio 10%, 25% o oltre 50%.
58
67. Siffatte disposizioni spiegano piuttosto un'efficacia presuntiva ai fini dell'individuazione
dei diritti spettanti ad un socio di minoranza. Resta decisiva la concreta configurazione del
singolo caso. L'ipotesi più importante da menzionare in questa sede è quella del cosiddetto
contratto di dominio che concede ad un determinato socio – indipendentemente dalla quota
detenuta – taluni diritti ulteriori rispetto a quelli minimi stabiliti dalla legge.
68. Quindi, poiché ciò che conta non è la situazione giuridica nazionale, bensì la concreta
configurazione nel caso di specie, può anche non essere di per sé decisiva l’entità della
partecipazione dell’amministrazione aggiudicatrice o, viceversa, del socio privato di
minoranza.
69. Ne consegue che una percentuale fissa ostacola una soluzione corretta, in quanto non
consente di tener conto del caso concreto ed esclude in maniera assoluta, nei casi che non
soddisfano il criterio percentuale, un’applicazione del criterio del controllo.
70. Tuttavia, poiché anche gli organismi con partecipazione di un socio privato di
minoranza possono soddisfare il criterio del controllo, è d’uopo dedurne che l’eccezione
Teckal si applica non solo alle società proprie, ma anche alle società miste pubblico-private.
Quindi, in linea di principio, il coinvolgimento di imprese private non comporta alcun
pregiudizio.
71. A questo punto è d'uopo rammentare le considerazioni dell’avvocato generale Léger,
che ha ritenuto applicabile l’eccezione Teckal già nel caso di una quota del 50,5% (20) .
72. Ai fini del criterio del controllo elaborato dalla Corte, è comunque necessaria più di
un’influenza dominante ai sensi del diritto societario o quale viene richiesta per la
qualificazione di determinati organismi come amministrazioni aggiudicatrici ai sensi dell'art. 1
di tutte le direttive in materia di aggiudicazione di appalti pubblici. Tanto meno è sufficiente
un’influenza dominante ai sensi dell’art. 1, punto 3, in combinato disposto con l’art. 13, della
direttiva 93/38. Infatti, quest’ultima costituisce, in primo luogo, una normativa cosiddetta
settoriale, che non trova analogia nella direttiva applicabile nel caso di specie, e, in secondo
luogo, una disposizione eccezionale, che in linea generale dev’essere interpretata in senso
restrittivo.
73. Né il legislatore comunitario né la Corte hanno fatto riferimento, rispettivamente, nelle
direttive ovvero nella causa Teckal a disposizioni delle direttive in materia di aggiudicazione
di appalti pubblici.
74. Pertanto, il grado d’intensità del controllo richiesto nel caso di specie non può essere
desunto da specifiche disposizioni delle direttive in materia di aggiudicazione di appalti
pubblici e, a causa della sua natura eccezionale, va al di là dei requisiti posti dalle altre
norme derogatorie.
59
75. In un procedimento pregiudiziale, al giudice nazionale spetta, in primo luogo,
interpretare le disposizioni di diritto nazionale e, in secondo luogo, applicare al caso concreto
queste ed altre disposizioni. Pertanto, il giudice del rinvio dovrà accertare quali diritti spettino
all'ente «supercontrollante», vale a dire la città di Halle, sulla società «pronipote», la RPL.
76. Nell'applicazione del criterio del controllo, il giudice nazionale deve prendere le mosse
dai corrispondenti poteri riconosciuti. Già per motivi di certezza del diritto nessun rilievo può
assumere la questione se e con quali modalità venga esercitato di fatto il controllo o,
addirittura, un pronostico su come il socio di maggioranza impiegherebbe la sua quota, vale
a dire se adotterebbe decisioni anche a sfavore del socio di minoranza. Da questo punto di
vista anche la rilevanza di eventuali obblighi di fedeltà del socio di maggioranza va
ridimensionata, segnatamente perché devono essere presi in considerazione anche i
corrispondenti obblighi di fedeltà del socio di minoranza, così come evidenziato dalla città di
Halle.
77. Per quanto riguarda l’oggetto del controllo, nell’eccezione Teckal la Corte non ha
limitato la validità delle proprie statuizioni a determinate decisioni dell’organismo controllato.
Pertanto, non è sufficiente un controllo delle sole decisioni di affidamento di contratti in
generale o addirittura della specifica decisione di affidamento del contratto in questione.
78. Considerando la formulazione e lo scopo del criterio costituito dal «controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi», occorre piuttosto esigere una possibilità di controllo
esaustiva. In ogni caso tale controllo non deve limitarsi a decisioni strategiche di mercato,
bensì deve comprendere anche singole decisioni di natura gestionale. Non occorre entrare
in dettaglio nel quadro del presente procedimento pregiudiziale, essendo ciò superfluo ai fini
della soluzione della controversia di cui alla causa nazionale.
B – Secondo criterio: svolgimento della parte più importante dell’attività con l'ente che
esercita il controllo
79. Il secondo presupposto che deve essere soddisfatto affinché si applichi l’eccezione
Teckal riguarda le attività dell’organismo controllato. Secondo la formulazione del
corrispondente passaggio della sentenza, l’eccezione si applica solo nel caso in cui questo
organismo «realizzi la parte più importante dellapropriaattività con l’ente o con gli enti locali
che la controllano».
80. Questo criterio può essere generalizzato, in quanto, in primo luogo, si prospetta come
possibile non soltanto la detenzione diretta di quote, ma anche quella indiretta, esercitata
cioè, come nel caso di specie, attraverso una successione di subcontrollate, e, in secondo
luogo, risultano compresi anche soggetti diversi dagli enti territoriali.
60
81. Il criterio sviluppato nella sentenza Teckal riguarda dunque una determinata quota
minima delle attività svolte nel complesso dall’organismo controllato. Di conseguenza, si
tratta di accertare la portata delle attività complessivamente svolte nonché di quelle svolte
per l'ente titolare delle quote inteso in senso ampio.
82. Tuttavia, a questo proposito, occorre osservare che dalla circostanza che la nozione di
ente titolare delle quote non va interpretata in senso troppo restrittivo non si può concludere
che in tal modo siano incluse anche attività prestate a favore di terzi, che però l'ente stesso
dovrebbe altrimenti fornire. Nella pratica ciò riguarda innanzi tutto i servizi di interesse
generale e nella fattispecie segnatamente le amministrazioni comunali, sulle quali grava
l'obbligo di fornire determinate prestazioni nei confronti di determinati soggetti. Tale
questione generale non costituisce l’oggetto del presente procedimento pregiudiziale, in
quanto il giudice del rinvio non necessita di una soluzione in merito per risolvere la
controversia sottopostagli.
83. Occorre inoltre chiarire che assumono rilievo le attività effettive, e non anche le attività
astrattamente consentite dalla legge o dallo statuto sociale, o addirittura le attività che
l’organismo controllato è obbligato a svolgere.
84. Orbene, la questione fondamentale è a partire da quale quota di partecipazione venga
raggiunta la soglia di applicabilità dell’eccezione Teckal. A questo riguardo ci sono diverse
tesi, e nel ventaglio di soluzioni proposte la quota necessaria va da più del 50% a
«considerevole», «decisamente prevalente», «quasi esclusiva», fino ad «esclusiva».
85. Al riguardo, oltre a un criterio positivo, consistente nel determinare la portata delle
prestazioni fornite all'ente che detiene il controllo, viene propugnato anche un criterio
negativo. Secondo tale criterio negativo occorrerebbe considerare l’entità della quota di
prestazioni fornite a soggetti diversi dall'ente che esercita il controllo. Quest’ultima tesi, a
prescindere dal presente procedimento, è quella sostenuta nelle conclusioni presentate
dall’avvocato generale Léger, citate da vari intervenienti. L’avvocato generale sostiene che
«la direttiva è applicabile quando tale ente svolge essenzialmente la propria attività con
operatori o enti territoriali diversi da quelli che compongono tale amministrazione
aggiudicatrice» (21) . Tuttavia, alla luce del criterio positivo scelto nell’eccezione Teckal, nel
caso di specie non occorre soffermarsi ulteriormente sull'approccio negativo.
86. Nondimeno, dal brano citato delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger
emerge un altro aspetto rilevante da prendere in considerazione nell’ambito della
determinazione della quota.
87. Si pone infatti la questione se l’eccezione Teckal consenta solo un criterio di
valutazione quantitativo o se invece occorra tener conto anche di elementi qualitativi.
61
Quest’ultima tesi è corroborata dal tenore e dalla ratio dell’eccezione stessa, che è stata
formulata senza fornire alcuna indicazione circa il modo di valutare le attività. Neppure la
versione autentica del corrispondente passaggio della sentenza Teckal, vale a dire la
versione italiana, esclude un criterio di valutazione qualitativo aggiuntivo o alternativo («la
parte più importante della propria attività»).
88. Del resto l’eccezione Teckal non contiene alcuna indicazione circa il metodo di calcolo
della quota. Pertanto, non è scontato che a tal fine assuma rilievo esclusivo il fatturato.
89. Il giudice nazionale deve dunque accertare qual è la «parte più importante delle
attività» sulla base di elementi quantitativi e qualitativi. Inoltre, anche la posizione sul
mercato dell’organismo controllato potrebbe essere rilevante, vale a dire in particolare la
situazione concorrenziale nei confronti di eventuali concorrenti.
90. Per quanto riguarda le conclusioni dell’avvocato generale Léger citate da molti
intervenienti in relazione al secondo presupposto di cui alla sentenza Teckal, è altresì d’uopo
rammentare che le conclusioni nella lingua scelta dall’avvocato generale quale lingua
originale fanno fede.
91. Partendo da questo principio, dalle conclusioni dell’avvocato generale Léger emerge il
seguente quadro: da un lato, l’avvocato generale si fonda sulla «quasi-exclusivité» delle
prestazioni fornite, mentre nella versione tedesca si incontra l'espressione «sämtliche
Dienstleistungen» [tutte le prestazioni di servizi] (22) . Dall’altro, l’avvocato generale fa leva
sulla versione dell’eccezione Teckal nella lingua processuale, che è l'italiano, e usa le
espressioni «en grande partie», che nella versione tedesca viene reso con «im
Wesentlichen» [sostanzialmente] (23) , o «la plus grande partie de leur activité» («la parte
più importante della propria attività») (24) .
92. Ai fini di una migliore specificazione, molti intervenienti hanno proposto di interpretare
il criterio relativo alla parte più importante dell'attività quale regola applicabile agli affidamenti
di appalti ad imprese che siano collegate all’amministrazione aggiudicatrice. Si tratta della
regola dell’80% di cui all’art. 13 della direttiva 93/38. A motivazione di tale proposta è stato
addotto il carattere «oggettivo» o «congruo» del criterio suddetto.
93. A questo riguardo è d’uopo osservare che anche un’altra percentuale fissa potrebbe
essere oggettiva o congrua. Tuttavia, proprio la rigidità di una percentuale fissa può anche
costituire un ostacolo per una soluzione corretta. Inoltre essa non consente di prendere in
considerazione elementi qualitativi.
94. Alla trasponibilità della regola dell’80% osta soprattutto la circostanza che si tratta di
una disposizione eccezionale contenuta in una direttiva valida solo per taluni settori. La
valutazione ivi compiuta dal legislatore comunitario risulta circoscritta, sulla base dell'intentio
62
legis desumibile, a quella direttiva. Seppure il concetto di fondo dovesse essere
praticamente applicabile anche al di fuori dei detti settori, è tuttavia determinante il fatto che
una siffatta disciplina non è stata adottata nella direttiva applicabile nel caso di specie.
95. Tuttavia, un ulteriore motivo osta ad una trasposizione dell’art. 13 della direttiva 93/38.
Infatti, il paragrafo 2 di detto articolo impone alle autorità aggiudicatrici di fornire alla
Commissione, dietro sua richiesta, talune informazioni. Questa disposizione funge da
contrappeso procedurale all’eccezione disciplinata dall’art. 13. Tuttavia, nel caso
dell’eccezione Teckal la Corte ha preso un’altra direzione e si è accontentata dei due
presupposti di natura sostanziale di cui alla sentenza. Nondimeno tali presupposti vanno
interpretati in maniera restrittiva proprio per la mancanza di analoghe prescrizioni
procedurali.
VII – Conclusione
96. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere le
questioni pregiudiziali nel seguente modo:
1) L’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665/CEE dev’essere interpretato nel senso che gli Stati
membri debbono garantire mezzi di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso
determinate decisioni delle autorità aggiudicatrici che vengano adottate al di fuori di una
procedura di aggiudicazione pur essendo correlate ad una determinata acquisizione di beni
o servizi; in tale categoria possono rientrare anche le decisioni relative alla questione, a
carattere preliminare, di procedere ad una determinata acquisizione di beni o servizi senza
svolgimento di una procedura di aggiudicazione.
2) La direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, va interpretata nel senso che la
partecipazione societaria di un’impresa privata in un organismo, il quale sia controparte
contrattuale dell’amministrazione aggiudicatrice e nel quale quest’ultima abbia una
partecipazione diretta o indiretta, da sola non esclude la non applicazione di tale direttiva.
3) Affinché un organismo controparte con la partecipazione societaria di un socio privato (in
prosieguo: la «società mista a prevalente capitale pubblico») possa considerarsi come
facente parte della pubblica amministrazione ovvero come organismo di gestione economica
dell’amministrazione aggiudicatrice, è determinante la concreta configurazione del rapporto,
mentre non è di per sé decisiva l’entità della partecipazione.
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Ai fini della detta qualificazione non è sufficiente:
– l’influenza dominante esercitata sulla società mista a prevalente capitale pubblico
dall’amministrazione aggiudicatrice ai sensi degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della
direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di
appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di
trasporto, nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni;
– un ampio potere direttivo unicamente per quanto riguarda le decisioni in materia di
affidamento di appalti in generale o le decisioni in materia di affidamento relative ad
una specifica procedura di acquisizione di beni o servizi.
4) A differenza dell’art. 13 della direttiva 93/38/CEE, per poter qualificare una società mista a
prevalente capitale pubblico come organismo di gestione economica dell’amministrazione
aggiudicatrice, con riferimento al criterio dello svolgimento della «parte più importante della
sua attività in favore dell’autorità aggiudicatrice», non occorre che almeno l’80% del fatturato
medio realizzato nella Comunità dalla società in questione negli ultimi tre anni nel settore dei
servizi derivi dalla fornitura di tali servizi all’autorità aggiudicatrice ovvero ad imprese a
questa collegate o a questa riconducibili, ovvero, qualora la società mista pubblico-privata
non abbia ancora maturato un’attività triennale, che possa prevedersi il rispetto della citata
regola dell’80%.
Ai fini della detta qualificazione, il giudice nazionale deve considerare piuttosto le attività
effettive e, in tale contesto, prendere in considerazione, in particolare, elementi di natura sia
quantitativa che qualitativa.
1 – Lingua originale: il tedesco.
2 – Sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal (Racc. pag. I-8121).
3 – GU L 395, pag. 33, come modificata dall’art. 41 della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1); nella terminologia del giudice del rinvio: «direttiva di coordinamento delle procedure di ricorso».
4 – GU L 209, pag. 1, più volte modificata; nella terminologia del giudice del rinvio: «direttiva di coordinamento degli appalti di servizi».
5 – GU L 199, pag. 84, più volte modificata.
64
6 – Riguardo a procedure di aggiudicazione, v. sentenze 16 ottobre 2003, causa C-421/01, Traunfellner (Racc. pag. I-0000, punto 37), e 4 dicembre 2003, causa C-448/01, EVN e Wienstrom (Racc. pag. I-0000, punto 76). V. inoltre, in particolare, sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia (Racc. pag. 3045, punto 18); 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punto 61); 16 gennaio 1997, causa C-134/95, USSL n. 47 di Biella (Racc. pag. I-195, punto 12), e 7 gennaio 2003, causa C-306/99, BIAO (Racc. pag. I-1, punto 89).
7 – Sentenze Traunfellner (citata alla nota 6, punti 38 e segg.), ed EVN e Wienstrom (citata alla nota 6, punto 83); v. anche sentenza 18 marzo 2004, causa C-314/01, Siemens (Racc. pag. I-0000, punto 36).
8 – Sentenze 28 ottobre 1999, causa C-81/98, Alcatel Austria e a. (Racc. pag. I-7671, punto 35); 18 giugno 2002, causa C-92/00, HI (Racc. pag. I-5553, punto 49), e 19 giugno 2003, causa C-315/01, Gesellschaft für Abfallentsorgungs-Technik GmbH [GAT]/Österreichische Autobahnen und Schnellstraßen AG [ÖSAG] (Racc. pag. I-6351, punto 52).
9 – Sentenza HI (citata alla nota 8, punto 53).
10 – V. in particolare sentenza 23 gennaio 2003, causa C-57/01, Makedoniko Metro e Michaniki (Racc. pag. I-1091, punto 68). V. inoltre sentenze HI (citata alla nota 8, punto 37), e GAT (citata alla nota 8, punto 52).
11 – Sentenze 12 febbraio 2004, causa C-230/02, Grossmann Air Service (Racc. pag. I-0000, punti 25 e segg.), e 19 giugno 2003, causa C-249/01, Hackermüller (Racc. pag. I-6319, punto 18).
12 – Sentenza Grossmann (citata alla nota 11, punto 28).
13 – Sentenza Air Service (citata alla nota 11, punti 29 e segg.).
14 – Sentenza Alcatel Austria (citata alla nota 8, punto 33) (il corsivo è mio); v. anche sentenza 11 agosto 1995, causa C-433/93, Commissione/Germania (Racc. pag. I-2303, punto 23).
15 – Sentenza 15 maggio 2003, causa C-214/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-4667, punti 77 e segg.).
16 – Sentenza Teckal (citata alla nota 2, punto 50) (il corsivo è mio).
17 – Sentenze 7 dicembre 2000, causa C-94/99, ARGE Gewässerschutz (Racc. pag. I-11037, punto 40), e Teckal (citata alla nota 2, punto 50).
18 – V. ordinanza della Corte 14 novembre 2002, causa C-310/01, Comune di Udine e a. (non pubblicata nella Raccolta).
19 – V. per contro l’avvocato generale Léger, che in un paragrafo delle sue conclusioni presentate il 15 giugno 2000 nella causa ARGE Gewässerschutz (sentenza citata alla nota 17, paragrafo 66), pretende addirittura che l’amministrazione aggiudicatrice «che richiede all’operatore la realizzazione di differenti servizi sia precisamente l’ente territoriale che esercita su di esso uno stretto controllo».
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20 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19; sentenza citata alla nota 17, paragrafo 60).
21 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19, sentenza citata alla nota 17, paragrafo 93) (il corsivo è mio).
22 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19, sentenza citata alla nota 17, paragrafo 74).
23 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19, sentenza citata alla nota 17, paragrafo 81).
24 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella causa ARGE Gewässerschutz (citate alla nota 19, sentenza citata alla nota 17, paragrafo 83). 6. Legge 15.12.2004, n.308 - Delega Ambientale
Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.
pubblicata nella GU n. 302 del 27 dicembre 2004 - Suppl. Ordinario n. 187
testo in vigore dal: 11-1-2005
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga la seguente legge:
Art. 1.
1. Il Governo e' delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, uno o piu' decreti
legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti
settori e materie, anche mediante la redazione di testi unici:
a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;
b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche;
c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione;
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d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie
protette di flora e di fauna;
e) tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente;
f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale
strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC);
g) tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1, nel disciplinare i settori e le materie di cui al
medesimo comma 1, definiscono altresi' i criteri direttivi da seguire al fine di adottare, nel
termine di due anni dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, i necessari
provvedimenti per la modifica e l'integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione e
dei decreti ministeriali per la definizione delle norme tecniche, individuando altresi' gli ambiti
nei quali la potesta' regolamentare e' delegata alle regioni, ai sensi del sesto comma
dell'articolo 117 della Costituzione.
3. I decreti legislativi di cui al comma 1 recano l'indicazione espressa delle disposizioni
abrogate a seguito della loro entrata in vigore.
4. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro
per le politiche comunitarie e con gli altri Ministri interessati, sentito il parere della
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
5. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo trasmette
alle Camere gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1, accompagnati dall'analisi
tecnico-normativa e dall'analisi dell'impatto della regolamentazione, per l'espressione del
parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari. Ciascuna Commissione
esprime il proprio parere entro trenta giorni dalla data di assegnazione degli schemi dei
decreti legislativi, indicando specificamente le eventuali disposizioni ritenute non conformi ai
principi e ai criteri direttivi di cui alla presente legge. Al fine della verifica dell'attuazione del
principio di cui al comma 8, lettera c), i predetti schemi devono altresi' essere corredati di
relazione tecnica. Il Governo, tenuto conto dei pareri di cui al comma 4 ed al presente
comma, entro quarantacinque giorni dalla data di espressione del parere parlamentare,
ritrasmette alle Camere, con le sue osservazioni e con le eventuali modificazioni, i testi per il
parere definitivo delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro venti giorni
67
dalla data di assegnazione. Decorso inutilmente tale termine, i decreti legislativi possono
essere comunque emanati. Il mancato rispetto, da parte del Governo, dei termini di
trasmissione degli schemi dei decreti legislativi comporta la decadenza dall'esercizio della
delega legislativa.
6. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al
comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge, il Governo
puo' emanare, ai sensi dei commi 4 e 5, disposizioni integrative o correttive dei decreti
legislativi emanati ai sensi del comma 1, sulla base di una relazione motivata presentata alle
Camere dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, che individua le disposizioni
dei decreti legislativi su cui si intende intervenire e le ragioni dell'intervento normativo
proposto.
7. Dopo l'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, eventuali modifiche e
integrazioni devono essere apportate nella forma di modifiche testuali ai medesimi decreti
legislativi.
8. I decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei principi e delle norme
comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle
attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'articolo 117 della
Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112, e fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto
speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarieta', ai
seguenti principi e criteri direttivi generali:
a) garanzia della salvaguardia, della tutela e del miglioramento della qualita' dell'ambiente,
della protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, della promozione sul piano internazionale delle norme destinate a risolvere i
problemi dell'ambiente a livello locale, regionale, nazionale, comunitario e mondiale, come
indicato dall'articolo 174 del Trattato istitutivo della Comunita' europea, e successive
modificazioni;
b) conseguimento di maggiore efficienza e tempestivita' dei controlli ambientali, nonche'
certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell'ambiente;
c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica;
d) sviluppo e coordinamento, con l'invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che
prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della
68
compatibilita' ambientale, l'introduzione e l'adozione delle migliori tecnologie disponibili,
come definite dalla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, nonche' il
risparmio e l'efficienza energetica, e a rendere piu' efficienti le azioni di tutela dell'ambiente e
di sostenibilita' dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali;
e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di
tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali e
delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza;
f) affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e
riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga";
g) previsione di misure che assicurino la tempestivita' e l'efficacia dei piani e dei programmi
di tutela ambientale, estendendo, ove possibile, le procedure previste dalla legge 21
dicembre 2001, n. 443;
h) previsione di misure che assicurino l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali,
incentivando in particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi, anche
attraverso il potenziamento e il miglioramento dell'efficienza delle autorita' competenti;
i) garanzia di una piu' efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento
e l'integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi
restando i limiti di pena e l'entita' delle sanzioni amministrative gia' stabiliti dalla legge;
l) semplificazione, anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17,
comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle procedure relative agli obblighi di
dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di notificazione in materia ambientale.
Resta fermo quanto previsto per le opere di interesse strategico individuate ai sensi
dell'articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni;
m) riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione,
nell'attuazione dei principi e criteri direttivi ispirati anche alla interconnessione delle
normative di settore in un quadro, anche procedurale, unitario, alla valorizzazione del
controllo preventivo del sistema agenziale rispetto al quadro sanzionatorio amministrativo e
penale, nonche' alla promozione delle componenti ambientali nella formazione e nella
ricerca;
69
n) adozione di strumenti economici volti ad incentivare le piccole e medie imprese ad aderire
ai sistemi di certificazione ambientale secondo le norme EMAS o in base al regolamento
(CE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 e introduzione
di agevolazioni amministrative negli iter autorizzativi e di controllo per le imprese certificate
secondo le predette norme EMAS o in base al citato regolamento (CE) n. 761/2001
prevedendo, ove possibile, il ricorso all' autocertificazione.
9. I decreti legislativi di cui al comma 1 devono essere informati agli obiettivi di massima
economicita' e razionalita', anche utilizzando tecniche di raccolta, gestione ed elaborazione
elettronica di dati e, se necessario, mediante ricorso ad interventi sostitutivi, sulla base dei
seguenti principi e criteri specifici:
a) assicurare un'efficace azione per l'ottimizzazione quantitativa e qualitativa della
produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantita' e la pericolosita';
semplificare, anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma
2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e razionalizzare le procedure di gestione dei rifiuti
speciali, anche al fine di renderne piu' efficace il controllo durante l'intero ciclo di vita e di
contrastare l'elusione e la violazione degli obblighi di smaltimento; promuovere il riciclo e il
riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli
stessi, nonche' il recupero di energia, garantendo il pieno recepimento della direttiva
2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, relativa
all'incenerimento dei rifiuti, ed innovando le norme previste dal decreto del Ministro
dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.
88 del 16 aprile 1998, e successive modificazioni, con particolare riguardo agli scarti delle
produzioni agricole; prevedere i necessari interventi per garantire la piena operativita' delle
attivita' di riciclaggio anche attraverso l'eventuale transizione dal regime di obbligatorieta' al
regime di volontarieta' per l'adesione a tutti i consorzi costituiti ai sensi del decreto legislativo
5 febbraio 1997, n. 22; razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi
urbani, mediante la definizione di ambiti territoriali di adeguate dimensioni all'interno dei quali
siano garantiti la costituzione del soggetto amministrativo competente, il graduale passaggio
allo smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite
procedure di evidenza pubblica; prevedere l'attribuzione al presidente della giunta regionale
dei poteri sostitutivi nei confronti del soggetto competente che non abbia provveduto ad
espletare le gare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al
comma 1, tramite la nomina di commissari ad acta e di poteri sostitutivi al Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio senza altri obblighi nel casti in cui il presidente della
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giunta regionale non provveda entro quarantacinque giorni; prevedere possibili deroghe,
rispetto al modello di definizione degli ambiti ottimali, laddove la regione predisponga un
piano regionale dei rifiuti che dimostri l'adeguatezza di un differente modello per il
raggiungimento degli obiettivi strategici previsti; assicurare tempi certi per il ricorso a
procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e nazionali e definire
termini certi per la durata dei contratti di affidamento delle attivita' di gestione dei rifiuti
urbani; assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani,
anche mediante una piu' razionale definizione dell'istituto; promuovere la specializzazione
tecnologica delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti speciali, al fine di
assicurare la complessiva autosufficienza a livello nazionale; garantire adeguati incentivi e
forme di sostegno ai soggetti riciclatori dei rifiuti e per l'utilizzo di prodotti costituiti da
materiali riciclati, con particolare riferimento al potenziamento degli interventi di riutilizzo e
riciclo del legno e dei prodotti da esso derivati; incentivare il ricorso a risorse finanziarie
private per la bonifica ed il riuso anche ai fini produttivi dei siti contaminati, in applicazione
della normativa vigente; definire le norme tecniche da adottare per l'utilizzo obbligatorio di
contenitori di rifiuti urbani adeguati, che consentano di non recare pregiudizio all'ambiente
nell'esercizio delle operazioni di raccolta e recupero dei rifiuti nelle aree urbane; promuovere
gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati da amianto; introdurre
differenti previsioni a seconda che le contaminazioni riguardino siti con attivita' produttive in
esercizio ovvero siti dismessi; prevedere che gli obiettivi di qualita' ambientale dei suoli, dei
sottosuoli e delle acque sotterranee dei siti inquinati, che devono essere conseguiti con la
bonifica, vengano definiti attraverso la valutazione dei rischi sanitari e ambientali connessi
agli usi previsti dei siti stessi, tenendo conto dell'approccio tabellare; favorire la conclusione
di accordi di programma tra i soggetti privati e le amministrazioni interessate per la gestione
degli interventi di bonifica e messa in sicurezza;
b) dare piena attuazione alla gestione del ciclo idrico integrato, semplificando i procedimenti,
anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge
23 agosto 1988 n. 400, al fine di renderli rispondenti alle finalita' e agli obiettivi fondamentali
definiti dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36; promuovere il risparmio idrico favorendo
l'introduzione e la diffusione delle migliori tecnologie per l'uso e il riutilizzo della risorsa;
pianificare, programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei
corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi; accelerare la piena
attuazione della gestione del ciclo idrico integrato a livello di ambito territoriale ottimale, nel
rispetto dei principi di regolazione e vigilanza, come previsto dalla citata legge n. 36 del
71
1994, semplificando i procedimenti, precisando i poteri sostitutivi e rendendone semplice e
tempestiva l'utilizzazione; prevedere, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di
trasporto e distribuzione dell'acqua, l'obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione
delle condotte, sia interni che esterni; favorire il ricorso alla finanza di progetto per le
costruzioni di nuovi impianti; prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica, le modalita' per la definizione dei meccanismi premiali in favore dei comuni
compresi nelle aree ad elevata presenza di impianti di energia idroelettrica;
c) rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale e finanziario che ostacolino il
conseguimento della piena operativita' degli organi amministrativi e tecnici preposti alla
tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi
piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici; valorizzare il ruolo
e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale; adeguare la
disciplina sostanziale e procedurale dell'attivita' di pianificazione, programmazione e
attuazione di interventi di risanamento idrogeologico del territorio e della messa in sicurezza
delle situazioni a rischio; prevedere meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone
agricole e dei boschi che investono per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel
rispetto delle linee direttrici del piano di bacino; adeguare la disciplina sostanziale e
procedurale della normativa e delle iniziative finalizzate a combattere la desertificazione,
anche mediante l'individuazione di programmi utili a garantire maggiore disponibilita' della
risorsa idrica e il riuso della stessa; semplificare il procedimento di adozione e approvazione
degli strumenti di pianificazione con la garanzia della partecipazione di tutti i soggetti
istituzionali coinvolti e la certezza dei tempi di conclusione dell'iter procedimentale;
d) confermare le finalita' della legge 6 dicembre 1991, n. 394; estendere, nel rispetto
dell'autonomia degli enti locali e della volonta' delle popolazioni residenti e direttamente
interessate, la percentuale di territorio sottoposto a salvaguardia e valorizzazione
ambientale, mediante inserimento di ulteriori aree, terrestri e marine, di particolare pregio;
articolare, con adeguata motivazione, e differenziare le misure di salvaguardia in relazione
alle specifiche situazioni territoriali; favorire lo sviluppo di forme di autofinanziamento
tenendo in considerazione le diverse situazioni geografiche, territoriali e ambientali delle
aree protette; favorire l'uso efficiente ed efficace delle risorse assegnate alle aree protette
dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali; favorire la conclusione di accordi di programma
con le organizzazioni piu' rappresentative dei settori dell'industria, dell'artigianato,
dell'agricoltura, del commercio e del terzo settore, finalizzati allo sviluppo economico-sociale
e alla conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale delle aree; prevedere che, nei
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territori compresi nei parchi nazionali e nei parchi naturali regionali, i vincoli disposti dalla
pianificazione paesistica e quelli previsti dall'articolo 1-quinquies del decreto-legge 27 giugno
1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, decadano con
l'approvazione del piano del parco o delle misure di salvaguardia ovvero delle misure di
salvaguardia disposte in attuazione di leggi regionali; nei territori residuali dei comuni
parzialmente compresi nei parchi nazionali e nei parchi naturali regionali, provvedere ad una
nuova individuazione delle aree e dei beni soggetti alla disciplina di cui all'articolo 1-
quinquies del citato decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 431 del 1985; armonizzare e coordinare le funzioni e le competenze previste dalle
convenzioni internazionali e dalla normativa comunitaria per la conservazione della
biodiversita';
e) conseguire l'effettivita' delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante
l'adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le
procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire l'efficacia delle prescrizioni
delle autorita' competenti e il risarcimento del danno; definire le modalita' di quantificazione
del danno; prevedere, oltre a sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l'ambiente,
anche meccanismi premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano
investimenti per il miglioramento della qualita' dell'ambiente sul territorio nazionale;
f) garantire il pieno recepimento delle direttive 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno
1985, e 97/11/CE del Consiglio, del 3 marzo 1997, in materia di VIA e della direttiva
2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, in materia di VAS
e, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443,
semplificare, anche ì mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma
2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, le procedure di VIA che dovranno tenere conto del
rapporto costi-benefici del progetto dal punto di vista ambientale, economico e sociale;
anticipare le procedure di VIA alla prima presentazione del progetto dell'intervento da
valutare; introdurre un sistema di controlli idoneo ad accertare l'effettivo rispetto delle
prescrizioni impartite in sede di valutazione; garantire il completamento delle procedure in
tempi certi; introdurre meccanismi di coordinamento tra la procedura di VIA e quella di VAS
e promuovere l'utilizzo della VAS nella stesura dei piani e dei programmi statali, regionali e
sovracomunali; prevedere l'estensione della procedura di IPPC ai nuovi impianti,
individuando le autorita' competenti per il rilascio dell'autorizzazione unica e identificando i
provvedimenti autorizzatori assorbiti da detta autorizzazione; adottare misure di
coordinamento tra le procedure di VIA e quelle di IPPC nel caso di impianti sottoposti ad
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entrambe le procedure, al fine di' evitare duplicazioni e sovrapposizioni; accorpare in un
unico provvedimento di autorizzazione le diverse autorizzazioni ambientali, nel caso di
impianti non rientranti nel campo di applicazione della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del
24 settembre 1996, ma sottoposti a piu' di un'autorizzazione ambientale settoriale;
g) riordinare la normativa in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in
atmosfera, mediante una revisione della disciplina per le emissioni di gas inquinanti in
atmosfera, nel rispetto delle norme comunitarie e, in particolare, della direttiva 2001/ 81/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, e degli accordi internazionali
sottoscritti in materia, prevedendo:
1) l'integrazione della disciplina relativa alle emissioni provenienti dagli impianti di
riscaldamento per uso civile;
2) l'incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili o alternative anche
mediante la disciplina della vendita dell'energia prodotta in eccedenza agli operatori del
mercato elettrico nazionale, prolungando sino a dodici anni il periodo di validita' dei certificati
verdi previsti dalla normativa vigente;
3) una disciplina in materia di controllo delle emissioni derivanti dalle attivita' agricole e
zootecniche;
4) strumenti economici volti ad incentivare l'uso di veicoli, combustibili e carburanti che
possono contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni e al miglioramento della
qualita' dell'aria;
5) strumenti di promozione dell'informazione ai consumatori sull'impatto ambientale del ciclo
di vita dei prodotti che in ragione della loro composizione possono causare inquinamento
atmosferico;
6) predisposizione del piano nazionale di riduzione di cui all'articolo 4, paragrafo 6, della
direttiva 2001/80/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, che
stabilisca prescrizioni per i grandi impianti di combustione esistenti.
10. Per l'emanazione dei regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23
agosto 1988, n. 400, nei casi previsti dalle lettere a), b) ed f) del comma 9, si intendono
norme generali regolatrici della materia i principi previsti dalle medesime lettere per le
deleghe legislative.
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11. Ai fini degli adempimenti di cui al comma 1 il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio si avvale, per la durata di un anno, di una commissione composta da un numero
massimo di ventiquattro membri scelti fra professori universitari, dirigenti apicali di istituti
pubblici di ricerca ed esperti di alta qualificazione nei settori e nelle materie oggetto della
delega.
12. La commissione di cui al comma 11 e' assistita da una segreteria tecnica, coordinata dal
Capo dell'ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio o da un suo
delegato e composta da venti unita', di cui dieci scelte anche tra persone estranee
all'amministrazione e dieci scelte tra personale in servizio presso il Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio, con funzioni di supporto.
13. La nomina dei componenti della commissione e della segreteria tecnica di cui ai commi
11 e 12, e' disposta con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, che ne
disciplina altresi' l'organizzazione e il funzionamento. Nei limiti dell'autorizzazione di spesa di
cui al comma 18, con successivo decreto dello stesso Ministro, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, sono stabiliti i compensi spettanti ai predetti componenti.
14. Ai fini della predisposizione dei decreti legislativi, con atto del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, sono individuate forme di consultazione delle organizzazioni
sindacali e imprenditoriali e delle associazioni nazionali riconosciute per la protezione
ambientale e per la tutela dei consumatori.
15. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, ogni quattro mesi dalla data di
istituzione della commissione di cui al comma 11, riferisce alle competenti Commissioni
parlamentari sullo stato dei lavori della medesima commissione.
16. Allo scopo di diffondere la conoscenza ambientale e sensibilizzare l'opinione pubblica, in
merito alle modifiche legislative conseguenti all'attuazione della presente legge, e'
autorizzata la spesa di 250.000 euro per l'anno 2004.
17. All'onere derivante dall'attuazione del comma 16, si provvede mediante corrispondente
riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito
dell'unita' previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del
Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando
l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
75
18. Per l'attuazione dei commi 11 e 12 e' autorizzata la spesa di 800.000 euro per l'anno
2004 e di 500.000 euro per l'anno 2005.
Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai
fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di parte
corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle
finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando, per gli anni 2004 e 2005,
l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
19. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le
variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione dei commi 17 e 18.
20. All'articolo 36 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni,
dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente:
"1-bis. Nei processi di elaborazione degli atti di programmazione del Governo aventi
rilevanza ambientale e' garantita la partecipazione del Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio".
21. Qualora, per effetto di vincoli sopravvenuti, diversi da quelli di natura urbanistica, non sia
piu' esercitabile il diritto di edificare che sia stato gia' assentito a norma delle vigenti
disposizioni, e' in facolta' del titolare del diritto chiedere di esercitare lo stesso su altra area
del territorio comunale, di cui abbia acquisito la disponibilita' a fini edificatori.
22. In caso di accoglimento dell'istanza presentata ai sensi del comma 21, la traslazione del
diritto di edificare su area diversa comporta la contestuale cessione al comune, a titolo
gratuito, dell'area interessata dal vincolo sopravvenuto.
23. Il comune puo' approvare le varianti al vigente strumento urbanistico che si rendano
necessarie ai fini della traslazione del diritto di edificare di cui al comma 21.
24. L'accoglimento dell'istanza di cui ai commi 21 e 22 non costituisce titolo per richieste di
indennizzo, quando, secondo le norme vigenti, il vincolo sopravvenuto non sia
indennizzabile. Nei casi in cui, ai sensi della normativa vigente, il titolare del diritto di
edificare puo' richiedere l'indennizzo a causa del vincolo sopravvenuto, la traslazione del
diritto di edificare su area diversa, ai sensi dei citati commi 21 e 22, e' computata ai fini della
determinazione dell'indennizzo eventualmente dovuto.
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25. In attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplini in modo
organico la materia, alla lettera a) del comma 29, sono individuate le caratteristiche e le
tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli
produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attivita'
siderurgiche e metallurgiche, nonche' le modalita' affinche' gli stessi siano sottoposti al
regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti.
26. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, sono sottoposti al regime
delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla definizione di materia prima
secondaria per attivita' siderurgiche e metallurgiche di cui al comma 1, lettera q-bis),
dell'articolo 6 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dal comma 29, i
rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia
l'obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini
del recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed effettivo
all'impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici.
27. I rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall'estero sono riconosciuti a tutti gli effetti
come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da
fornitori o produttori di Paesi esteri che si iscrivono all'Albo nazionale delle imprese che
effettuano la gestione dei rifiuti con le modalita' specificate al comma 28.
28. E' istituita una sezione speciale dell'Albo nazionale delle imprese che effettuano la
gestione dei rifiuti, di' cui all'articolo 30, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.
22, alla quale sono iscritte le imprese di Paesi europei ed extraeuropei che effettuano
operazioni di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi, elencate nell'allegato C annesso al
medesimo decreto legislativo, per la produzione di materie prime secondarie per l'industria
siderurgica e metallurgica, nel rispetto delle condizioni e delle norme tecniche riportate
nell'allegato 1 al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel
supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998. L'iscrizione e'
effettuata a seguito di comunicazione all'Albo da parte dell'azienda estera interessata,
accompagnata dall'attestazione di conformita' a tali condizioni e norme tecniche rilasciata
dall'autorita' pubblica competente nel Paese di appartenenza. Le modalita' di funzionamento
della sezione speciale sono stabilite dal Comitato nazionale dell'Albo; nelle more di tale
definizione l'iscrizione e' sostituita a tutti gli effetti dalla comunicazione corredata
dall'attestazione di conformita' dell'autorita' competente.
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29. Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti:
"q-bis) materia prima secondaria per attivita' siderurgiche e metallurgiche: rottami ferrosi e
non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF,
UNI, EURO o ad altre. specifiche nazionali e internazionali, nonche' i rottami scarti di
lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la
raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle
specifiche sopra menzionate;
q-ter) organizzatore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti: l'impresa che
effettua il servizio di gestione dei rifiuti, prodotti anche da terzi, e di bonifica dei siti inquinati
ricorrendo e coordinando anche altre imprese, in possesso dei requisiti di legge, per lo
svolgimento di singole parti del servizio medesimo. L'impresa che intende svolgere l'attivita'
di organizzazione della gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti deve essere iscritta nelle
categorie di intermediazione dei rifiuti e bonifica dei siti dell'Albo previsto dall'articolo 30,
nonche' nella categoria delle opere generali di bonifica e protezione ambientale stabilite
dall'allegato A annesso al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25
gennaio 2000, n. 34";
b) all'articolo 8, comma 1, dopo la lettera f-quater) e' aggiunta la seguente:
"f-quinquies) il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto
dalle norme tecniche UNI 9903-1 (RDF di qualita' elevata), utilizzato in co-combustione,
come definita dall'articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell'industria, del
commercio e dell' artigianato 11 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 292
del 14 dicembre 1999, come sostituita dall'articolo 1 del decreto del Ministro delle attivita'
produttive 18 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 25 marzo 2002, in
impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60
del 12 marzo 2002";
c) all'articolo 10, dopo il comma 3 e' aggiunto il seguente:
"3-bis. Nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di
raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di rifiuti, indicate rispettivamente
ai punti D 13, D 14, D 15 dell'allegato B, la responsabilita' dei produttori dei rifiuti per il
78
corretto smaltimento e' esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di trasporto,
di cui al comma 3, lettera b), abbiano ricevuto il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato
dal titolare dell'impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D 1 a D 12 del citato
allegato B. Le relative modalita' di attuazione sono definite con decreto del Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio";
d) all'articolo 40, comma 5, le parole: "31 marzo di ogni anno" sono sostituite dalle seguenti:
"31 maggio di ogni anno".
30. Il Governo e' autorizzato ad apportare modifiche al decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 8 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2002,
conseguenti a quanto previsto al comma 29, lettera b).
31. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e' autorizzato ad apportare le
modifiche e integrazioni al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel
supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, finalizzate a
consentire il riutilizzo della lolla di riso, affinche' non sia considerata come rifiuto derivante
dalla produzione dell'industria agroalimentare, nonche' dirette a prevedere, oltre ai
cementifici, le seguenti attivita' di recupero della polvere di allumina, in una percentuale dall'
1 al 5 per cento nella miscela complessiva:
a) produzione di laterizi e refrattari;
b) produzione di industrie ceramiche;
c) produzione di argille espanse.
32. In considerazione del grave pregiudizio arrecato al paesaggio da vasti interventi di
lottizzazione abusiva realizzati nella localita' denominata Punta Perotti nel comune di Bari, il
direttore generale per i beni architettonici e paesaggistici del Ministero per i beni e le attivita'
culturali, verificato il mancato esercizio del potere di demolizione delle opere abusive gia'
confiscate a favore del comune con sentenza penale passata in giudicato, diffida il comune
medesimo a provvedere entro il termine di sessanta giorni, invitando la regione Puglia ad
esercitare, ove occorra, il potere sostitutivo. Il direttore generale, accertata l'ulteriore inerzia
del comune, nonche' il mancato esercizio del potere sostitutivo da parte della regione,
provvede agli interventi di demolizione, avvalendosi a tal fine delle strutture tecniche del
Ministero della difesa, previa convenzione.
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33. Per l'esecuzione della demolizione di cui al comma 32 il Ministero per i beni e le attivita'
culturali si avvale delle anticipazioni e delle procedure di cui all'articolo 32, comma 12, del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24
novembre 2003, n. 326. Per le medesime finalita', possono essere utilizzate le somme
riscosse ai sensi del comma 38, secondo periodo, nonche', previa intesa tra il Ministero per i
beni e le attivita' culturali e la regione Puglia, le somme riscosse dalla regione ai sensi
dell'articolo 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e ai sensi dell'articolo 167 del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
34. Il Ministero per i beni e le attivita' culturali, d'intesa con la regione Puglia ed il comune di
Bari e sentito il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, effettuata la demolizione,
procede all'elaborazione del progetto di recupero e di riqualificazione paesaggistica
dell'area. Per l'esecuzione di tali interventi la regione o i comuni interessati utilizzano le
somme riscosse ai sensi dell'articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004, ovvero altre
somme individuate dalla regione.
35. Con uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
per i beni e le attivita' culturali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio, o della regione interessata, sono individuati ulteriori opere o interventi realizzati da
sottoporre ad interventi di demolizione, secondo le procedure e le modalita' di cui ai commi
32, 33 e 34. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 2 della legge 9 dicembre 1998,
n. 426.
36. Al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 167, comma 3, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Laddove l'autorita'
amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d'ufficio, il direttore regionale
competente, su richiesta della medesima autorita' amministrativa ovvero, decorsi centottanta
giorni dall'accertamento dell'illecito, previa diffida alla suddetta autorita' competente a
provvedervi nei successivi trenta giorni, procede alla demolizione avvalendosi delle modalita'
operative previste dall'articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, a seguito di apposita convenzione stipulata d'intesa tra il Ministero per i beni e le
attivita' culturali e il Ministero della difesa.";
b) all'articolo 167, il comma 4 e' sostituito dal seguente:
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4. Le somme riscosse per effetto dell'applicazione del comma 1, nonche' per effetto
dell'articolo 1, comma 38, secondo periodo, della legge recante: "Delega al Governo per il
riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure
di diretta applicazione" sono utilizzate, oltre che per l'esecuzione delle rimessioni in pristino
di cui al comma 3, anche per finalita' di salvaguardia nonche' per interventi di recupero dei
valori paesaggistici e di riqualificazione degli immobili e delle aree degradati o interessati
dalle rimessioni in pristino. Per le medesime finalita' possono essere utilizzate anche le
somme derivanti dal recupero delle spese sostenute dall'amministrazione per l'esecuzione
della rimessione in pristino in danno dei soggetti obbligati, ovvero altre somme a cio'
destinate dalle amministrazioni competenti.";
c) all'articolo 181, dopo il comma 1, sono aggiunti i seguenti:
"1-bis. La pena e' della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1:
a) ricadano su immobili od aree che, ai sensi dell'articolo 136, per le loro caratteristiche
paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito
provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;
b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'articolo 142 ed abbiano
comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria
della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima
superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una
nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.
b) 1-ter. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative ripristinatorie o
pecuniarie di cui all'articolo 167, qualora l'autorita' amministrativa competente accerti
la compatibilita' paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la
disposizione di cui al comma 1 non si applica:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformita' dall'autorizzazione paesaggistica, che
non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di
quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformita' dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai
sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.
380.
81
1-quater. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area
interessati dagli interventi di cui al comma 1-ter presenta apposita domanda all'autorita'
preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilita'
paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorita' competente si pronuncia sulla
domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della
soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.
1-quinquies. La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli
paesaggistici' da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorita'
amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al
comma 1".
37. Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004
senza la prescritta autorizzazione o in difformita' da essa, l'accertamento di compatibilita'
paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all'autorizzazione
eventualmente rilasciata, comporta l'estinzione del reato di cui all'articolo 181 del decreto
legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti
condizioni:
a) che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli
indicati nell'eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli
strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati
compatibili con il contesto paesaggistico;
b) che i trasgressori abbiano previamente pagato:
1) la sanzione pecuniaria di cui all'articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004,
maggiorata da un terzo alla meta';
2) una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata, dall'autorita' amministrativa
competente all'applicazione della sanzione di cui al precedente numero 1), tra un
minimo di tremila euro ed un massimo di cinquantamila euro.
38. La somma riscossa per effetto della sanzione di cui al comma 37, lettera b), numero
1), e' utilizzata in conformita' a quanto disposto dall'articolo 167 del decreto legislativo n.
42 del 2004. La somma determinata ai sensi del comma 37, lettera b), numero 2), e'
riscossa dal Ministero dell'economia e delle finanze e riassegnata alle competenti unita'
previsionali di base dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le
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attivita' culturali per essere utilizzata per le finalita' di cui al comma 33 e al comma 36,
lettera b).
39. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area
interessati all'intervento, presenta la domanda di accertamento di compatibilita'
paesaggistica all'autorita' preposta alla gestione del vincolo entro il termine perentorio del
31 gennaio 2005. L'autorita' competente si pronuncia sulla domanda, previo parere della
soprintendenza.
40. All'articolo 34 del codice della navigazione, le parole: "dell'amministrazione
interessata" sono sostituite dalle seguenti: "dell'amministrazione statale, regionale o
dell'ente locale competente".
41. A decorrere dall'anno 2004 le spese di funzionamento delle Autorita' di bacino di
rilievo nazionale sono iscritte in una specifica unita' previsionale di base dello stato di
previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
42. Al fine di migliorare, incrementare ed adeguare agli standard europei, alle migliori
tecnologie disponibili ed alle migliori pratiche ambientali gli interventi in materia di tutela
delle acque interne, di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, nonche' di aumentare
l'efficienza di detti interventi anche sotto il profilo della capacita' di utilizzare le risorse
derivanti da cofinanziamenti dell'Unione europea, e' istituita, presso il Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio, una segreteria tecnica composta da non piu' di
ventuno esperti di elevata qualificazione, nominati con decreto del Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il
quale ne e' stabilito anche il funzionamento. Per la costituzione ed il funzionamento della
predetta segreteria e' autorizzata la spesa di 450.000 euro per l'anno 2004, di 500.000
euro per l'anno 2005 e di un milione di euro a decorrere dall'anno 2006.
43. All'onere derivante dall'attuazione della disposizione del comma 42 si provvede
mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale
2004-2006, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale"
dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo
scopo parzialmente utilizzando per gli anni 2004-2006 l'accantonamento relativo al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
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44. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri
decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione del comma 43.
45. Al fine di consentire la prosecuzione degli accordi di programma in materia di
sviluppo sostenibile e di miglioramento della qualita' dell'aria, anche attraverso l'utilizzo e
l'incentivazione di veicoli a minimo impatto ambientale, e' autorizzata la spesa di 50
milioni di euro per ciascuno degli anni 2003, 2004 e 2005.
46. All'onere derivante dall'attuazione del comma 45 si provvede quanto a 50 milioni di
euro per l'anno 2003 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini
del bilancio triennale 2003-2005, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di conto
capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle
finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 50 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2004 e 2005, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento
iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unita' previsionale di base
di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e
delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento
relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
47. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri
decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione del comma 46.
48. All'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modifiche:
a) dopo il comma 1, e' inserito il seguente:
"1-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del trasporto
pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e
successive modificazioni.";
b) dopo il comma 2, e' inserito il seguente:
"2-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli impianti di trasporti a
fune per la mobilita' turistico-sportiva eserciti in aree montane".
84
49. Dall'attuazione del comma 48 non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica.
50. Al fine di adeguare le strutture operative dell'Istituto centrale per la ricerca scientifica
e tecnologica applicata al mare (ICRAM) alle esigenze di una maggiore presenza sul
territorio anche a supporto tecnico degli enti locali nel coordinamento delle attivita' a
livello locale nelle aree marine protette, negli scavi portuali e nella pesca, anche
attraverso l'apertura di sedi decentrate ovvero di laboratori locali di ricerca, e' autorizzata
per il triennio 2003-2005 la spesa di 7.500.000 euro annui.
51. All'onere derivante dall'attuazione del comma 50 si provvede quanto a 7,5 milioni di
euro per l'anno 2003 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini
del bilancio triennale 2003-2005, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di conto
capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e' delle
finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 7,5 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2004 e 2005, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento
iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unita' previsionale di base
di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e
delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento
relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
52. Al fine di garantire la messa in sicurezza di emergenza e per la bonifica dei terreni e
delle falde delle aree ex depositi POL della Marina Militare, zona "Celle" e zona
"Cimitero" e della Aeronautica Militare, zona "Vecchia delle Vigne", nell'ambito
dell'attuazione del piano intermodale dell'area Flegrea, e' autorizzata la spesa di 4 milioni
di euro per l'anno 2003, di 10 milioni di euro per l'anno 2004 e di 5 milioni di euro per
l'anno 2005.
53. All'onere derivante dall'attuazione del comma 52 si provvede quanto a 4 milioni di
euro per l'anno 2003, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai
fini del bilancio triennale 2003-2005, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di conto
capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle
finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, e quanto a 10 milioni di euro per l'anno
2004 e a 5 milioni di euro per l'anno 2005 mediante corrispondente riduzione dello
85
stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unita'
previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del
Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente
utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio.
54. Il Ministro delIeconomia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri
decreti, le variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione dei commi 51 e 53.
7. Consiglio di Stato, sez. V. ord. 2316/04
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE Sezione Quinta ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 6265 del 2003, proposto dalla SABA Italia s.p.a., rappresentata e difesa dagli
avv.ti Ugo Ferrari e Giustino Ciampoli, elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, via
P.A. Micheli 78
contro
il Comune di Bolzano, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ettore Prosperi e Marco Cappello
ed elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, Via Panisperna n. 104, e
la SEAB s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Manfred Schullian e Maurizio Calò,
elettivamente domiciliata presso il secondo in Roma, via Antonio Gramsci, 36
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa per il Trentino – Alto
Adige, Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano, 20 maggio 2003 n. 211, resa tra le
parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano e della SEAB s.p.a.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
86
Relatore alla pubblica udienza del 27 gennaio 2004 il consigliere Marzio Branca, e uditi gli
avvocati Ferrari, Cappello e Totino per delega dell’avv. Calò .
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dalla SABA Italia s.p.a. per
l’annullamento di tutti i provvedimenti con i quali il Comune di Bolzano ha esercitato il
recesso dalla convenzione stipulata con la SABA Italia s.p.a. per la gestione dei parcheggi a
pagamento, e, con deliberazione del Consiglio comunale 17 dicembre 2002, n. 124, ha
affidato il medesimo servizio alla SEAB s.p.a., con decorrenza 1 gennaio 2003. Con la
stessa sentenza è stato respinta anche la domanda relativa al risarcimento del danno.
In particolare, la ricorrente aveva dedotto che l’affidamento di servizi pubblici ad una società
per azioni, a capitale interamente comunale, come la SEAB, senza espletamento di
procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, si poneva in contrasto le norme
di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato dell’Unione Europea, che tutelano principio di
non discriminazione, la libertà nella prestazione dei servizi pubblici e il principio della libera
concorrenza.
La Sezione autonoma di Bolzano ha ritenuto che tale vizio non si configurasse, allegando la
giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità che ha escluso l’applicazione delle
regole della libera concorrenza per i casi di “in house providing”, riconoscibili dal fatto che
l’Amministrazione esercita sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi (sentenza 18 novembre 1999 in causa 197/98 Teckal s.r.l. c. Comune di Aviano; 9
settembre 1999 in causa 108/98 Risan c. Comune di Ischia). Il possesso del 100% del
capitale sociale garantirebbe tale forma di controllo.
Avverso la decisione la SABA Italia s.p.a. ha proposto appello, chiedendone la riforma.
Il Comune di Bolzano e la s.p.a. SEAB si sono costituite in giudizio per resistere al gravame
Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2004 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Ha rilevo preliminare la doglianza con la quale la ricorrente in primo grado, e odierna
appellante, ha lamentato che l’affidamento di servizi pubblici ad una società per azioni, a
capitale interamente comunale, come l’attuale controinteressata, senza espletamento di
procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, si porrebbe in contrasto le
87
norme posto che il Comune è amministrazione aggiudicatrice a norma dell’art. 1 lett. a) della
Direttiva citata dell’Unione Europea, che stabiliscono il divieto di discriminazione, la libertà
nella prestazione dei servizi pubblici e la libera concorrenza.
L’appellante non ignora che le norme dell’ordinamento della Regione Trentino – Alto Adige
(art. 44 della legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1, nel testo sostituito dall’art. 10, comma 1,
della legge regionale 23 ottobre 1998, n.10;) consentono l’affidamento diretto del servizio
pubblico ad una società per azioni, o a responsabilità limitata, alla condizione che vi sia
“influenza dominante pubblica” (art. 44 cit. comma 6, lett. b), e ciò si verifica quando i comuni
“detengono un numero di azioni tali da consentire di disporre della maggioranza dei diritti di
voto nell’assemblea ordinaria, ovvero quando lo statuto della società preveda il diritto di
nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, sempre che il comune
detenga almeno il venti per cento del capitale” (comma 10).
Si esprime, tuttavia, il dubbio che tali disposizioni non siano compatibili con i principi del
Trattato UE con particolare riguardo al divieto di discriminazione, alla libera prestazione dei
servizi pubblici ed alla libera concorrenza.
Il Collegio condivide tale dubbio e ritiene opportuno la remissione alla Corte di giustizia ai fini
di una pronuncia pregiudiziale (v., in caso molto simile, Tribunale di Giustizia Amministrativa
per il Trentino- Alto Adige, Sezione Autonoma di Bolzano, ord. 27 settembre 2003 n. 25,
estratto in G.U.C.E. 10 gennaio 2003, C. 7/23).
Il problema della compatibilità con l’ordinamento comunitario dell’affidamento di servizi
pubblici a società per azioni a capitale pubblico, totale o maggioritario, cosiddetto “in house
providing” non sembra sia stato esaminato dalla Corte di Giustizia assumendo come
parametro diretto di giudizio le norme del Trattato medesimo citate in precedenza.
E’ nota la pronuncia pregiudiziale 18 novembre 1999 adottata in causa 107/98, Teckal s.r.l.
c. Comune di Aviano. Era stato chiesto se, a norma della Direttiva CEE 93/36, doveva farsi
luogo alla procedura di gara per l’affidamento di un appalto pubblico di fornitura,
considerando che era stato prescelto con trattativa diretta un soggetto consortile cui
l’Amministrazione committente partecipava con proprio capitale. Nella detta pronuncia
(punto 50) la Corte ha affermato che, essendo il Comune amministrazione aggiudicatrice a
norma dell’art. 1 lett. a) della Direttiva 93/36 CEE, la relativa normativa doveva essere
applicata, quindi occorreva bandire una gara, se, secondo la valutazione del giudice a quo,
si trattava di due soggetti distinti tra i quali si era concluso un contratto configurabile come
appalto. “Può avvenire diversamente - ha soggiunto la Corte - solo nel caso in cui, nel
contempo, l’Ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello che
88
da esso esercitato sui propri servizi, e questa persona realizzi la parte più importante della
propria attività con l’Ente o con gli Enti locali che la controllano.”.
L’espressione usata dalla Corte “..controllo analogo a quello da esso esercitato suo propri
servizi …” propone un nuovo problema interpretativo, dovendosi stabilire quando il controllo
esercitato presenti le caratteristiche volute dalla sentenza.
Più specificamente si tratta di capire se il possesso dell’intero capitale del soggetto
affidatario, nella specie una società per azioni, possa garantire quella situazione di
dipendenza organica che normalmente si realizza nell'organizzazione burocratica di una
pubblica amministrazione.
Occorre notare che la Commissione della U.E. ha avuto occasione di esprimere il proprio
autorevole avviso sul punto con la nota 26 giugno 2002, diretta al Governo Italiano per
sollecitare ulteriori modificazioni all’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito
dall’art. 35 comma 1, della legge n. 448 del 2001, nel quale si riscontravano disposizioni non
conformi ai principi di diritto comunitario invocati anche nella presente fattispecie
Si legge nella detta nota: “ 34. Per quanto riguarda in particolare la nozione di “controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi” di cui alla giurisprudenza in discorso, la
Commissione sottolinea che affinché tale tipo di controllo sussista non è sufficiente il
semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole
proprie del diritto societario.
35. Il controllo contemplato nella sentenza Teckal fa infatti riferimento ad un rapporto che
determina, da parte dell’amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione,
coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme
dei più importanti atti di gestione del medesimo.”.
La commissione sembra alludere, quindi, ad un fenomeno giuridico assimilabile a quello
delle aziende municipalizzate di cui al r.d. 15 ottobre 1925 n.2578, nel quale si istituiva un
nuovo soggetto, con capacità giuridica propria e propri organi, sottoposto peraltro a
penetranti poteri di vigilanza da parte dell’Amministrazione (art. 16 e ss. R.D. n. 2578/1925).
Tale esperienza, d’altra parte, era caratterizzata dall’obbligo dell’azienda di svolgere la
propria attività mediante contratti, scegliendo il contraente con procedure ad evidenza
pubblica (art. 57 e ss. del Regolamento di cui al d.P.R. 4 ottobre 1986 n. 902).
L’affidamento diretto a società per azioni, del tutto autonome, salvo l’esercizio dei poteri
propri del possessore della maggioranza delle azioni, secondo le norme del diritto
commerciale comune, sembra esporre la gestione delle pubbliche risorse a procedure
diverse da quelle destinate a garantire una crescita del mercato interno, l’economia nelle
spese e il vantaggio per l’utenza.
89
E’ da aggiungere che la soluzione del quesito in esame non esplica effetti solo sulla
applicabilità della normativa della Regione Trentino-Alto Adige, perché anche la legislazione
dello Stato consente ora la deroga al metodo di scelta del contraente mediante procedura ad
evidenza pubblica. Con l’art. 14 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24
novembre 2003 n. 326 è stato nuovamente modificato l’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 (
testo unico delle leggi sugli enti locali) concernente la disciplina dei servizi pubblici, già
modificato, come accennato in precedenza con l’art. 35 della legge 20 dicembre 2001 n.
448. Il comma 5 è stato interamente sostituito con una disposizione che, alla lettera c),
riproducendo alla lettera le espressioni della sentenza Teckal, ammette il conferimento del
servizio “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici
titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente
o gli enti pubblici che la controllano.”.
Si riscontra un impiego sempre più frequente della detta deroga, e ciò comporta la
sottrazione di aree assai ampie di attività economiche all’iniziativa imprenditoriale privata, in
contrasto la stessa ragion d’essere dell’Unione Europea.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, sospende il giudizio e rimette
gli atti alla Corte di giustizia della Comunità Europea, a sensi dell’art. 234 del Trattato
istitutivo, ai fini della pronuncia pregiudiziale sul seguente quesito:
se è compatibile col diritto comunitario, in particolare con la libertà della prestazione di
servizi, il divieto di discriminazione e l’obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera
concorrenza, di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l’affidamento diretto, ossia in
deroga ai sistemi di scelta del contraente di cui alla Direttiva 92/50 CEE, della gestione di
parcheggi pubblici a pagamento, ad una società per azioni, a capitale interamente pubblico,
ai sensi dell’art. 44, comma 6, lett. b) della legge della Regione Trentino-Alto Adige 4.1.1993,
n. 1, modificato dall’art. 10 della legge regionale del 23.1.1998, n. 10.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 gennaio 2004 con l'intervento dei
magistrati:
Agostino Elefante Presidente Klaus Dubis Consigliere Rosalia Bellavia Consigliere Corrado Allegretta Consigliere Marzio Branca Consigliere est.
90
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F.to Marzio Branca F.to Agostino Elefante IL SEGRETARIO F.to Gaetano Navarra
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 22 aprile 2004 (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) IL DIRIGENTE F.to Antonio Natale 8. TAR Puglia, sez. III. ord. 08.09.2004
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sezione Terza ha pronunciato la seguente
ORDINANZA sul ricorso nr. 459 del 2004 proposto dall’Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori –
A.N.A.V., in proprio ed in rappresentanza delle aziende associate con sede legale in Roma
alla piazza dell’Esquilino, 29, in persona del Presidente dott. ing. Nicola Proto, legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Colapinto ed
elettivamente domiciliata presso lo stesso in Bari alla via Roberto da Bari, 96,
CONTRO
il Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti
Biancalaura Capruzzi e Rosa Cioffi e con le stesse elettivamente domiciliato in Bari alla via
Principe Amedeo, 152, presso l’Avvocatura Comunale,
nonché nei confronti - dell’A.M.T.A.B. Servizio S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. Gennaro Notarnicola ed elettivamente domiciliata presso lo
stesso in Bari alla via De Rossi, 16;
- della Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, non costituita nel presente
giudizio;
per l’annullamento
91
della deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Bari nr. 2003/00238 d’ordine del
18.12.2003, affissa e pubblicata all’albo pretorio dal 19.12.2003 al 2.1.2004, ad oggetto:
“Affidamento alla società A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. del servizio di trasporto pubblico urbano
locale nel Comune di Bari per il periodo 1 gennaio 2004/31 dicembre 2012. Approvazione
relativi atti ed approvazione della spesa conseguente”, nonché di ogni atto e/o
provvedimento presupposto connesso e consequenziale, ancorché non conosciuti, ed in
particolare della decisione della G.M. del Comune di Bari del 9.10.2003, anch’essa non nota,
di:
a) non proseguire la gara per l’affidamento del servizio in virtù del D.L. nr. 269 del 30.9.2003;
b) proseguire la privatizzazione all’esito dell’affidamento del servizio.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione dell’Amministrazione intimata e della controinteressata A.M.T.A.B.
Servizio S.p.A.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 22.7.2004, il Referendario, dott. Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Colapinto per la ricorrente, l’avv. Capruzzi per l’Amministrazione e l’avv.
Notarnicola per la controinteressata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO Con ricorso notificato il 1 marzo 2004, depositato il 9 marzo 2004, l’Associazione Nazionale
Autotrasporto Viaggiatori (A.N.A.V.), premesso di rappresentare per statuto le imprese
esercenti servizi di trasporto viaggiatori, nazionali ed internazionali, nonché servizi
riconducibili all’attività di trasporto, ed in tale qualità di curare – tra l’altro - l’interesse delle
società affidatarie del servizio pubblico urbano ed extraurbano al corretto svolgimento del
servizio stesso, ha impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati, relativi all’affidamento del
servizio di trasporto pubblico locale nel Comune di Bari per il periodo 2004-2012.
In particolare, con la deliberazione consiliare in epigrafe, l’Amministrazione comunale ha
deciso di non proseguire la gara già indetta per l’affidamento del servizio, essendo entrata in
vigore nelle more la disciplina di cui all’art. 14 D.L. nr. 269/03, sulla base della quale ha
ritenuto di affidare il servizio stesso alla A.M.T.A.B. S.p.A., società il cui capitale sociale è
interamente di proprietà del Comune di Bari, avente come sola ed esclusiva attività
l’erogazione del servizio di trasporto pubblico locale nella città di Bari e sottoposta a totale
controllo da parte della stessa Amministrazione in virtù del Contratto di Servizio e degli
92
ulteriori strumenti di controllo di cui il Comune si è dotato con la deliberazione di G.M. nr.
550 del 10.5.2001.
Avverso tale provvedimento, la ricorrente ha dedotto specificamente:
Violazione per mancata e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 3, 16, 43, 49,
50, 51, 70, 71, 72, 81, 82, 86, 87 e segg. del Trattato CE; Violazione per mancata
applicazione dell’art. 24 co. VIII L. nr. 448/01, del D. Lgs. nr. 442/97, del Regolamento CE nr.
1191/69 nonché delle Direttive CE nn. 93/38 e 92/50; Violazione dei principi di diritto
comunitario in subiecta materia; Eccesso di potere per difetto di istruttoria; Travisamento dei
fatti; Illogicità: con l’art. 14 del D. L. nr. 269/03 (convertito, con modifiche, nella legge
24.11.2003, nr. 326) è stata attuata una vera e propria controriforma del settore dei servizi
pubblici locali, in precedenza incamminato verso la strada della liberalizzazione e della
concorrenza a seguito delle leggi di settore e dell’art. 35 L. nr. 448/01; tale ultima norma era
intervenuta a modificare gli artt. 113 e 113bis D. Lgs. nr. 267/00, a seguito delle reiterate
sollecitazioni della Commissione delle Comunità Europee, al fine di ampliare al massimo
l’applicazione, sia in sede di affidamento della gestione delle reti e degli impianti che in sede
di affidamento del servizio, dei principi di pubblicità e concorrenza, rendendo generale la
regola del ricorso a gara ad evidenza pubblica per l’affidamento di appalti o concessioni
aventi ad oggetto la gestione di servizi pubblici, in conformità ai principi ricavabili dal Trattato
e dalle Direttive comunitarie. Al riguardo la Corte di Giustizia ha enunciato il principio
secondo cui l’applicazione di tali principi in subiecta materia può essere esclusa nelle sole
ipotesi eccezionali in cui il servizio sia svolto direttamente dall’Amministrazione, ovvero
affidato a società sulla quale essa eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi, e che realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti
locali che la controllano (c.d. affidamento in house).
L’art. 14 del D.L. nr. 269/03, generalizzando tale ultima ipotesi, ha aperto la strada, a dire
della ricorrente, ad una vera e propria “occupazione” del mercato in numerosi settori da
parte delle imprese pubbliche locali, in maniera non conforme allo spirito dell’art. 86 del
Trattato, alla cui stregua sono ammissibili deroghe alle regole della concorrenza nella
gestione di servizi di interesse economico generale solo in quanto si giustifichino per
l’adempimento della “missione” che le imprese affidatarie devono svolgere (ipotesi che non
sembra ricorrere nel caso di specie);
Illegittimità costituzionale dell’art. 14 co. I e II, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.: le
disposizioni sopra indicate sono incostituzionali in quanto dettano una disciplina dettagliata
ed autoapplicativa in un settore (quello dei servizi pubblici locali) che l’art. 117 Cost. non
riserva alla legislazione esclusiva dello Stato, non potendosi ritenere tale disciplina
93
giustificata dalle competenze “trasversali” dello Stato di cui al capoverso dell’art. 117, ed in
particolare non dalla “tutela della concorrenza” (art. 117 co. II lett. e), essendo questa
nozione, inerente alla valutazione dell’impatto concorrenziale della condotta degli operatori
economici, ben diversa da quella di “promozione della concorrenza”, che riguarda invece la
necessità di adottare discipline tese a conseguire la parità di trattamento tra gli operatori e a
correggere le carenze del mercato, e che non risulta riservata in via esclusiva allo Stato;
Violazione per falsa applicazione dell’art. 14 D.L. nr. 269/03; Eccesso di potere per difetto di
istruttoria, travisamento dei fatti: l’affidamento del servizio alla A.M.T.A.B. Servizio S.p.A.,
per cui è processo, non risulta rispettoso dei parametri individuati dalla giurisprudenza
comunitaria per l’affidamento in house e della stessa disciplina legislativa: in particolare, al di
là delle disposizioni dello statuto dell’A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. tali da far dubitare che
effettivamente sussista il totale controllo della stessa da parte dell’Ente pubblico, la presenza
nel contratto di servizio di clausole integranti un sistema di penali ed incentivi economici, di
clausole arbitrali disciplinanti le procedure di composizione delle eventuali controversie, di
rapporti finanziari certi e definiti nel tempo e nella quantità consente di escludere la
riconducibilità dell’affidamento in oggetto a quello schema (che, secondo l’opinione
consolidata, comporta l’equiparabilità del rapporto sottostante a quello di una delega
interorganica);
Violazione di legge (art. 113 co. Vbis D. Lgs. nr. 267/00 introdotto dall’art. 4 co. CCIIIIV L. nr.
350/03): alla stregua di tale disciplina – da considerarsi immediatamente applicabile – la
scelta tra i diversi modelli di affidamento non è rimessa alla integrale discrezionalità
dell’Amministrazione, ma deve essere orientata dall’esigenza di assicurare concorrenzialità
nel settore di riferimento e superare assetti monopolistici, con la conseguente necessità,
disattesa nel caso di specie, di una puntuale motivazione in ordine alla scelta di non
procedere a gara ad evidenza pubblica;
Eccesso di potere per travisamento dei fatti; Erroneità e falsità dei presupposti; Difetto
d’istruttoria: la deliberazione di G.R. nr. 1720 del 6.11.2002, con la quale era stato approvato
il Piano Triennale dei Servizi, nonché l’ulteriore deliberazione nr. 248/03, con la quale fu
approvato anche il contratto-tipo sottoscritto tra il Comune di Bari e l’A.M.T.A.B. Servizio
S.p.A., sono state annullate da questo Tribunale con sentenza nr. 4331 del 27.11.2003;
Violazione dell’art. 97 Cost.: l’azione amministrativa del Comune di Bari, per tutto quanto
sopra evidenziato, si è svolta in contrasto con i principi costituzionali di imparzialità e buon
andamento dell’attività amministrativa.
94
Chiede pertanto la ricorrente l’annullamento dei provvedimenti impugnati, previa
disapplicazione, in parte qua, dell’art. 14 D.L. nr. 269/03 siccome contrastante con la
normativa comunitaria.
La controinteressata A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. si è costituita in data 15 aprile 2004,
chiedendo genericamente che il ricorso sia dichiarato inammissibile, o comunque rigettato.
L’Amministrazione intimata si è costituita in data 25 giugno 2004, chiedendo, anch’essa
genericamente, che il ricorso sia dichiarato inammissibile, improcedibile e comunque
infondato.
Entrambe le parti resistenti hanno poi depositato, in data 16 luglio 2004, articolate memorie
con le quali hanno puntualmente replicato alle censure di parte ricorrente, ed inoltre
l’Amministrazione ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per omessa
impugnazione di atti presupposti immediatamente lesivi.
All’udienza del 22 luglio 2004, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO 1. Il ricorso all’esame ha ad oggetto la vicenda amministrativa relativa all’affidamento del
servizio di trasporto pubblico locale nel territorio del Comune di Bari per il periodo 2004-
2012.
In un primo tempo, l’Amministrazione comunale aveva avviato la procedura di gara ad
evidenza pubblica per l’affidamento del servizio, all’uopo emanando la deliberazione di G.M.
nr. 621 del 17.7.2003, nella quale si faceva espresso richiamo agli schemi-tipo di contratto a
suo tempo approvati dalla Regione.
Successivamente, è intervenuta la deliberazione consiliare nr. 238/03, oggetto dell’odierna
impugnazione, con la quale l’Amministrazione ha mutato avviso, dichiaratamente a seguito
dell’entrata in vigore dell’art. 14 D.L. nr. 269/03, deliberando in particolare:
a) di abbandonare la procedura di evidenza pubblica già avviata;
b) di affidare il servizio direttamente alla società A.M.T.A.B. Servizio S.p.A., ritenuta in
possesso dei requisiti richiesti dalla disposizione sopra citata per l’affidamento diretto.
Avverso tale determinazione è insorta l’associazione A.N.A.V., rappresentativa delle imprese
esercenti attività di trasporto pubblico, articolando diverse censure, inerenti sia all’asserita
illegittimità del provvedimento de quo rispetto alla normativa richiamata, sia – soprattutto – al
lamentato contrasto di quest’ultima con i principi comunitari in subiecta materia.
Il Collegio ritiene che l’esame di quest’ultima problematica sia prioritario rispetto
all’approfondimento delle ulteriori questioni sollevate nel ricorso introduttivo: con il primo
motivo di ricorso, infatti, si chiede dichiararsi l’illegittimità della citata delibera nr. 238/03,
95
previa disapplicazione dell’art. 14 D.L. nr. 269/03, ritenuto dalla ricorrente contrastante con
la normativa comunitaria.
È indispensabile, pertanto, prendere le mosse da un accurato esame della normativa,
interna e comunitaria, della cui applicazione si controverte.
2. In materia di servizi pubblici locali, la disciplina generale di riferimento è quella risultante
dall’art. 113 D. Lgs. nr. 267/00, il cui testo è stato soggetto a numerose modifiche, a seguito
dei ripetuti richiami che la Commissione CE ha rivolto allo Stato italiano, che a suo dire
seguitava a mantenere in piedi in rilevanti settori il precedente regime dell’affidamento
diretto, così contravvenendo ai principi desumibili dal Trattato CE, alla stregua dei quali
s’imponeva il rispetto delle regole di trasparenza ed imparzialità nella scelta del soggetto
affidatario.
In particolare, il citato art. 113 è stato in un primo momento modificato dall’art. 35 L. nr.
448/01, e successivamente dal più volte richiamato art. 14 D.L. nr. 269/03; ulteriori
integrazioni sono state poi effettuate con l’art. 4 L. nr. 350/03.
Per quel che qui interessa, il comma V della norma così recita:
“L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della
normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio:
a) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad
evidenza pubblica;
b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto
attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato
garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le
linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari
specifiche;
c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari
del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli
enti pubblici che la controllano”.
La ricorrente assume la contrarietà di tale disposizione a numerose norme del Trattato, ed in
particolare al principio, ricavabile sia dalle interpretazioni politiche ricavabili dagli atti della
Commissione, sia dalla giurisprudenza in materia della Corte di Giustizia, secondo cui agli
Stati membri dell’Unione incomberebbe un obbligo di tendenziale “apertura” del mercato,
tale da imporre come forma normale di affidamento dei servizi pubblici locali il ricorso a gare
ad evidenza pubblica, confinando ad ipotesi residuali ed eccezionali l’affidamento diretto.
96
Viceversa, l’Amministrazione resistente e la controinteressata sottolineano come la
normativa all’esame sia perfettamente aderente ai principi comunitari, non avendo fatto altro
che codificare, tra le forme di affidamento della gestione dei servizi, quella corrispondente al
modello del c.d. affidamento in house, che si attua allorché è l’Amministrazione stessa a
provvedere all’erogazione del servizio, o direttamente tramite i propri servizi o affidandola a
società di cui essa abbia il totale controllo; ipotesi, quest’ultima, nella quale la stessa Corte
di Giustizia ha escluso l’applicabilità della disciplina comunitaria in materia di concorrenza.
3. Venendo all’esame del Trattato CE, va anzi tutto richiamato l’art. 16, che ha recepito la
nozione di servizio pubblico nei seguenti termini:
“Fatti salvi gli articoli 73, 86 e 87, in considerazione dell’importanza dei servizi di interesse
economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione, nonché del loro ruolo nella
promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo le
rispettive competenze e nell’ambito del campo di applicazione del presente Trattato,
provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano
loro di assolvere i loro compiti”.
Quanto al successivo art. 86, il Collegio non condivide l’opinione della controinteressata
A.M.T.A.B. Servizio S.p.A., che nella memoria depositata in data 16.7.2004 afferma
lapidariamente l’inconferenza al caso che occupa di detta norma (oltre che delle altre
disposizioni del Trattato richiamate da parte ricorrente), siccome essa avrebbe riguardo ai
casi di “esternalizzazione dei servizi”, nei quali si pone l’esigenza di tutelare la libertà di
concorrenza delle imprese sul mercato, ed a cui resta pacificamente estraneo quello
dell’affidamento diretto in house.
Ed invero, da una lettura sistematica delle disposizioni innanzi richiamate – ed in particolare,
del richiamo che l’art. 16 fa (anche) all’art. 86 – non appare azzardato ipotizzare che non
sono del tutto indifferenti, ai fini del rispetto dei principi comunitari de quibus, i criteri che
ispirano le scelte dell’Amministrazione verso l’uno o l’altro dei modelli di affidamento del
servizio.
Infatti, l’art. 86 contiene – tra l’altro – una disposizione espressamente dedicata al settore dei
“servizi d’interesse economico generale”, laddove recita: “…Le imprese incaricate della
gestione di servizi d’interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale,
sono sottoposte alle norme del presente Trattato, ed in particolare alle regole di
concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di
diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.
Al riguardo, risulta corretta l’impostazione della ricorrente, secondo cui la disposizione
appena citata enuncia un importante principio di generale di applicazione delle regole
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comunitarie in materia di concorrenza a tutte le ipotesi di affidamento di servizi pubblici, con
il solo limite della necessità di garantire in ogni caso l’adempimento della “missione” cui il
servizio è finalizzato.
Tale conclusione, ad avviso del Collegio, appare confortata dai principi elaborati, sia pure
spesso in maniera incidentale, sia dalla Commissione che dalla Corte europea in sede di
interpretazione ed applicazione delle predette norme.
4. In via preliminare, occorre sgombrare il campo da ogni possibile complicazione derivante
dal concreto atteggiarsi dell’affidamento del servizio in termini di appalto ovvero di
concessione.
Sul punto, sono quanto mai opportuni i richiami di parte ricorrente al principio, più volte
affermato dalla Commissione e dalla Corte, secondo cui, ferma restando l’applicazione agli
appalti pubblici di servizi della normativa attuativa delle Direttive comunitarie (in Italia, D.
Lgs. nn. 157/95 e 158/95 e succ. modif.), anche laddove l’affidamento sia attuato nelle forme
della concessione di servizi pubblici s’impone il rispetto degli obblighi di trasparenza e
pubblicità delle procedure di affidamento discendenti dagli artt. 43 e 49 del Trattato.
In altri termini, i predetti principi, con tutto il complesso di regole che ne derivano (parità di
trattamento, divieto di discriminazioni, proporzionalità delle scelte rispetto agli scopi
perseguiti etc.), costituiscono norme – per così dire – “di chiusura” del sistema, volte a
garantire il rispetto del nucleo essenziale delle norme comunitarie in materia di concorrenza
anche nei casi in cui le modalità con cui avviene l’affidamento del servizio non siano
direttamente riconducibili a specifiche Direttive.
Per quel che qui interessa, ne consegue che è sostanzialmente indifferente la qualificazione
dell’affidamento in termini di concessione ovvero di appalto di servizi, atteso che in ogni caso
vanno rispettati i principi sopra richiamati.
5. Con riguardo alla giurisprudenza comunitaria, da un attento esame delle sentenze rese in
subiecta materia emerge che la Corte di Giustizia si è soffermata soprattutto sulle
caratteristiche strutturali dell’affidamento in house, tali da giustificare l’esclusione
dell’applicazione delle regole comunitarie sulla concorrenza.
Il principio da cui la Corte ha più volte preso le mosse è stato quello secondo cui neppure si
pone un problema di tutela della concorrenza fra gli operatori economici, laddove il servizio
venga svolto direttamente dall’Amministrazione, e quindi manchi un vero e proprio rapporto
giuridico tra ente pubblico e soggetto gestore.
Peraltro, è doveroso sottolineare che nella successiva elaborazione del principio, la Corte ha
ampliato la nozione di affidamento in house rispetto alla semplice ipotesi in cui la gestione
del servizio venga svolta da un’articolazione interna dello stesso Ente pubblico, sulla base di
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una delega interorganica: in particolare, è stato specificato che la distinzione formale tra
Amministrazione e soggetto gestore, e perfino la circostanza che i loro rapporti siano regolati
da un contratto, non valgono di per sé ad escludere che l’affidamento del servizio possa
essere ricondotta all’ipotesi derogatrice, dovendosi piuttosto guardare alla prevalenza o
meno che l’Ente pubblico abbia nella gestione e nel controllo sostanziale del gestore.
In tale prospettiva, la Corte è giunta ad affermare l’irrilevanza anche dell’eventuale struttura
privatistica della società affidataria, stante l’indicata esigenza di valorizzare soprattutto il
momento del controllo della stessa da parte dell’Amministrazione (cfr. sentenza Ri.San.
citata dalla ricorrente).
In definitiva, alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale in materia, è possibile affermare
che perché possa dirsi sussistente la fattispecie dell’affidamento in house, con la
conseguente esclusione dell’applicabilità dei principi comunitari, devono ricorrere i seguenti
presupposti:
- che l’Ente pubblico eserciti sulla società affidataria un controllo analogo a quello esercitato
sui propri servizi;
- che tale società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti
locali che la controllano(cfr. sentenza Teckal, 18.11.1999 causa C-107/98).
La giurisprudenza ha anche precisato, più volte, le caratteristiche che deve assumere il
controllo esercitato dall’Amministrazione sulla società, sotto il profilo sia gestionale che
finanziario, affinché il rapporto tra esse intercorrente possa dirsi equivalente a quello della
delega interorganica.
La Corte non si è invece specificamente intrattenuta sui criteri che devono informare la
scelta “a monte” dell’uno o dell’altro modello di affidamento da parte dell’Amministrazione:
ciò, evidentemente, al fine di non invadere la sfera di discrezionalità rimessa in materia alla
legislazione degli Stati membri.
Tuttavia, non può non rimarcarsi come nella maggior parte delle pronunce esaminate si
insista sulla qualificazione dell’affidamento in house come “ipotesi eccezionale”, che sola
può giustificare la mancata applicazione delle regole in materia di concorrenza, altrimenti
cogenti – come si è visto – in tutti i casi di affidamento di un servizio pubblico a soggetto
diverso dalla stessa Amministrazione.
Tale eccezionalità è stata sottolineata anche dalla Commissione, la quale, con esplicito
riferimento ai principi enunciati nella sentenza Teckal, ha sentito l’esigenza di precisare che
l’ipotesi dell’affidamento in house “non può valere ad escludere in maniera generale dal
campo di applicazione delle regole comunitarie in materia di appalti pubblici e di concessioni
ogni affidamento di un servizio che venga effettuato da un ente locale in favore di una
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società a capitale maggiormente o totalmente pubblico” (cfr. atto del 26.6.2002, C(2002)
2329, citato dalla ricorrente).
In definitiva, le istituzioni comunitarie, pur riconoscendo l’ammissibilità della fattispecie di
affidamento in house in quanto estranea al campo delle regole in tema di concorrenza, la
considerano palesemente un’ipotesi residuale ed eccezionale, dando per scontato che
l’ipotesi normale sia rappresentata dall’affidamento mediante procedura ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza.
6. Se è vero tutto quanto fin qui evidenziato, occorre allora porsi il problema di quali siano i
criteri alla stregua dei quali le Amministrazioni debbano operare le scelte di base in ordine
alle modalità di affidamento dei servizi pubblici.
In altri termini: tali scelte sono rimesse alla piena ed incondizionata discrezionalità delle
stesse Amministrazioni, ovvero devono essere ispirate da criteri che a qualsiasi titolo
tengano conto delle più volte rappresentate esigenze di “apertura” del mercato e di tutela
della concorrenza?
Una prima risposta a questo interrogativo può trarsi dalla stessa giurisprudenza
amministrativa, in cui è insistito il richiamo alle concrete “esigenze” del servizio e della
stessa Amministrazione, come parametro alla cui stregua può giustificarsi la scelta per l’una
o l’altra forma di affidamento.
La stessa Amministrazione resistente ha richiamato l’orientamento che, dopo aver ribadito
che la decisione dell’Ente locale in ordine alle modalità di affidamento ed erogazione di un
servizio è “logicamente estranea ad un sindacato di compatibilità con la tutela della
concorrenza”, significativamente aggiunge: “…Ciò che all’atto di compiere una simile scelta
rileva sono piuttosto le esigenze del servizio. Se la costituzione di un soggetto ad hoc è
idonea a garantire economie di scala, riduzione dei costi o razionalizzazione del bacino di
utenza, l’opzione dell’ente locale non potrebbe esporsi ad alcuna censura solo perché
escludente il ricorso al confronto competitivo” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23.4.1998, nr. 477).
Altrove si è evidenziato che la non interferenza dei principi comunitari sulle scelte
discrezionali delle Amministrazioni pubbliche in ordine alla soluzioni organizzative da
adottare per l’affidamento del servizio è giustificata dal fatto che le stesse Amministrazioni
hanno la potestà di adottare opzioni “che siano le più rispondenti alle esigenze che esse
stesse ritengano di dover soddisfare, conformemente alle leggi che le disciplinano” (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 18.9.2003, nr. 5316).
Emerge, insomma, che non solo le scelte della P.A. devono essere coerenti alle esigenze
del servizio, ma che la valutazione in ordine a tali esigenze deve avvenire in conformità con
le “leggi che le disciplinano”.
100
Ma questo primo rilievo (su cui, peraltro, si tornerà appresso) non esaurisce la problematica.
Infatti, se è perfino banale che è alla stregua della legislazione interna che devono essere
condotte le valutazioni in ordine alle esigenze sulla base delle quali operare le scelte in
ordine all’affidamento del servizio, allora non si può non chiedersi se non esistano anche
principi comunitari, immediatamente applicabili, suscettibili di condizionare tali valutazioni.
La risposta a questo quesito deve muovere dalle considerazioni più sopra svolte, in ordine al
perché non possa ritenersi del tutto indifferente per il diritto comunitario il momento della
scelta in ordine alla modalità di affidamento del servizio, proprio in ragione dei principi già
sottolineati di tendenziale “espansione” delle regole in materia di concorrenza, con la
conseguente eccezionalità delle ipotesi di affidamento diretto.
Sotto tale profilo, assume valore decisivo la già citata disposizione dell’art. 86 del Trattato,
laddove riafferma il principio della massima applicazione delle norme comunitarie sulla
concorrenza, ponendo il solo limite negativo dell’ipotetica esigenza di evitare che detta
applicazione possa essere di ostacolo all’espletamento della “missione” cui il servizio è
finalizzato: ancora una volta è la sola considerazione delle esigenze del servizio che può
giustificare la deroga ai principi comunitari.
7. Venendo ora all’esame della normativa interna di cui all’art. 113 D. Lgs. nr. 267/00, quale
risultante dalle modifiche introdotte con l’art. 14 del D.L. nr. 269/03, non v’è dubbio che le
stesse – così come dedotto dalla ricorrente – siano suscettibili di incentivare un ricorso
sempre più massiccio da parte delle Amministrazioni locali alla deroga costituita
dall’affidamento in house.
Per queste ragioni, la Corte europea è stata già investita della questione di compatibilità
della disposizione con la normativa comunitaria, ritenendosi la norma sostanzialmente non
conforme allo spirito della disciplina in materia di concorrenza nel settore dei servizi pubblici
(cfr. Cons. Stato, Sez. V, Ord. 22.4.2004, nr. 2316, nella quale, peraltro, viene in gioco
anche una disciplina locale ancor più ampliativa delle possibilità di ricorso all’affidamento
diretto).
Tuttavia, non può sottacersi l’esattezza delle osservazioni sviluppate dalle parti resistenti,
secondo cui neppure astrattamente potrebbe porsi una siffatta questione di compatibilità, in
quanto la disposizione di cui alla lettera c) del comma V dell’art. 113, nello “scolpire” le
caratteristiche dell’affidamento in house, riproduce quasi letteralmente i parametri individuati
dalla c.d. sentenza Teckal (controllo dell’Ente pubblico sulla società equivalente a quello che
il primo esercita sui propri servizi, svolgimento da parte della società di attività prevalente per
l’Ente pubblico controllante etc.).
101
Per tali ragioni, si afferma la piena compatibilità della previsione ai principi comunitari: sulla
base di tale ordine di considerazioni, in altra occasione è stata disattesa la medesima
questione di compatibilità della norma con la disciplina CE (cfr. Cons. Stato, sez. V.
26.6.2004, nr. 4771).
Il Collegio, pur dando atto della perfetta aderenza del disposto della citata lettera c) ai
principi sopra ricostruiti, ritiene che non sia questo il punto centrale della questione.
Ed invero, dalle considerazioni che si sono sin qui svolte emerge con chiarezza che il vero
profilo nevralgico della materia – sul quale non risulta che la Corte di Giustizia sia stata
finora chiamata a pronunciarsi – è costituito non già dal modo con cui nella norma de qua è
costruita la figura dell’affidamento in house, ma nel fatto che in essa l’istituto viene di fatto
generalizzato, lasciando apparentemente alle Amministrazioni locali piena discrezionalità in
ordine alla scelta tra esso e l’affidamento mediante gara ad evidenza pubblica (o, ancora,
attraverso il sistema “misto” dell’affidamento diretto a società pubblico-privata in cui il socio
privato sia scelto con procedura di evidenza pubblica).
Una tale previsione, nella sua pratica attuazione, è suscettibile di stravolgere quello che si è
visto essere, alla stregua dei principi comunitari, il rapporto tra i diversi modelli di
affidamento dei servizi pubblici, in forza del quale il ricorso a procedure di evidenza pubblica
dovrebbe configurarsi come la regola e l’affidamento in house come eccezione.
In altri termini, manca nella disciplina all’esame ogni riferimento alle modalità con cui le
Amministrazioni dovranno esternare le proprie valutazioni in ordine alle “esigenze” del
servizio che giustificano la deroga al principio della gara pubblica: tale non può certamente
considerarsi il successivo comma Vbis dell’art. 113 (introdotto dalla L. nr. 350/03), secondo
cui “le normative di settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre
regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati
prevedendo, nel rispetto delle disposizioni di cui al comma V, criteri di gradualità nella scelta
delle modalità di conferimento del servizio”.
Infatti, anzi tutto tale norma è espressamente limitata ai casi in cui sussista l’esigenza di
“superare assetti monopolistici”; in secondo luogo – ed in questo il Collegio concorda con
l’opinione delle parti resistenti – essa, lungi dal porre un principio di gradualità tra i vari
modelli di affidamento, si limita a rinviare al legislatore futuro l’individuazione eventuale di
tale gradualità, con riguardo ai singoli settori d’intervento.
E anzi, il comma Vbis a ben vedere, disegnando in termini di mera facoltà la possibile
previsione futura di criteri di gradualità in specifici settori, mostra e contrario di considerare
del tutto equipollenti, in linea generale, i tre modelli individuati dal precedente comma V.
102
Inoltre, è lo stesso contrasto di opinioni esistente fra le parti, con riguardo al caso che
occupa, in ordine all’applicabilità o meno dei principi a suo tempo elaborati dalla normativa di
settore in materia di trasporti (D. Lgs. nr. 422/97) a dimostrare come un generico rinvio alla
disciplina di settore non sia per nulla idoneo a garantire il rispetto dei principi comunitari più
volte richiamati.
8. Non può dubitarsi della rilevanza della questione, con riguardo al caso di specie.
Infatti, è proprio a seguito dell’entrata in vigore del D.L. nr. 269/03 che il Comune di Bari ha
deciso di abbandonare la gara ad evidenza pubblica già avviata per l’affidamento del
servizio di trasporto pubblico locale, optando per l’affidamento diretto alla A.M.T.A.B.
Servizio S.p.A.
Siffatta decisione non appare assistita da adeguata motivazione in ordine alle esigenze del
servizio, tale non potendosi considerare la richiamata esigenza – su cui insiste la difesa
dell’Amministrazione resistente – di “valorizzare” la società affidataria (che sembra
corrispondere ad esigenze di quest’ultima, e non del servizio); peraltro, tale carenza
motivazionale non appare allo stato configurare un contrasto del provvedimento impugnato
con la normativa, che come detto nulla prevede in ordine alle valutazioni sottostanti alla
scelta della modalità di affidamento del servizio.
Né il problema può dirsi superato, come argomentato dalle parti resistenti, in virtù del fatto
che l’Amministrazione, con provvedimenti successivi, sta ponendo in atto un’opera di
“privatizzazione sostanziale” del servizio, avviando una gara ad evidenza pubblica per
l’individuazione del socio privato cui cedere una cospicua parte del capitale sociale
dell’A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. (cfr. delibera di G.M. nr. 413 del 21.5.2004).
Tale evenienza, al contrario, segnala l’insorgenza di una prassi anch’essa presumibilmente
destinata a generalizzarsi, in forza della quale le Amministrazioni provvederanno dapprima
ad affidamento diretto dei servizi a società da esse interamente controllate (secondo lo
schema di cui alla lettera c) dell’art. 113 co. V), e quindi provvederanno a cedere una parte
del capitale a socio privato (attuando in concreto il modello di cui alla precedente lettera b).
Tuttavia, è vero che anche l’affidamento del servizio a società “mista”, come rilevato da parte
ricorrente, pone delicati problemi di compatibilità col diritto comunitario, atteso che
l’esperimento della gara avviene non per la scelta della migliore modalità tecnica di
erogazione del servizio, ma per la sola scelta del socio privato, che sarà destinato ad
inserirsi in uno schema già approvato a priori dall’Amministrazione, con modalità non
concorrenziali.
103
La prassi suindicata, realizzando una sorta di privatizzazione indiretta di rilevanti settori
d’intervento pubblico, sembra configurare un sostanziale aggiramento della normativa
comunitaria in materia di concorrenza.
S’impone, pertanto, il ricorso alla Corte europea perché valuti la conformità della predetta
disciplina alla normativa comunitaria sotto i profili innanzi evidenziati.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sezione III, sospende il giudizio e
rimette gli atti alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, ai sensi dell’art. 234 del
Trattato istitutivo, ai fini della pronuncia pregiudiziale sul seguente quesito:
Se sia compatibile con il diritto comunitario, ed in particolare con gli obblighi di trasparenza e
libera concorrenza di cui agli artt. 46, 49 e 86 del Trattato, l’art. 113 co. V D. Lgs. nr. 267/00,
come modificato dall’art. 14 D.L. nr. 269/03, nella parte in cui non pone alcun limite alla
libertà di scelta dell’Amministrazione pubblica tra le diverse forme di affidamento del servizio
pubblico, ed in particolare tra l’affidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica
e l’affidamento diretto a società da essa interamente controllata.
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 22.7.2004, con l’intervento dei Magistrati:
Dott. Amedeo Urbano Presidente Dott. Doris Durante Componente Dott. Raffaele Greco Componente, est. Depositata in segreteria l'8 settembre 2004
9. Libro Verde PPP, Comm. Eur. 30.04.2004, n.327
COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE Bruxelles, 30.4.2004
COM(2004) 327 definitivo
LIBRO VERDE RELATIVO AI PARTENARIATI PUBBLICO - PRIVATI ED AL DIRITTO COMUNITARIO
DEGLI APPALTI PUBBLICI E DELLE CONCESSIONI (presentato dalla Commissione)
INDICE
1. L'evoluzione del partenariato pubblico-privato: constatazioni e sfide
1. 1. Il fenomeno del "partenariato pubblico-privato"
104
1.2 La sfida del mercato interno: garantire lo sviluppo dei PPP in condizioni di concorrenza
effettiva e di chiarezza giuridica
1. 3. Oggetto specifico e piano del presente Libro verde
2. I ppp puramente contrattuali ed il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle
concessioni
2. 1. La fase di selezione del partner privato
2.1. 1. Partenariato di tipo puramente contrattuale: atto attributivo qualificato come appalto
pubblico
2.1. 2. Partenariato di tipo puramente contrattuale: atto attributivo qualificato come
concessione
2. 2. Questioni specifiche per la selezione di un operatore economico nel quadro di un PPP
su iniziativa privata
2. 3. La fase successiva alla selezione del partner privato
2.3. 1. Il quadro contrattuale del progetto
2.3. 2. Il subappalto di determinati compiti
3. Il ppp istituzionalizzato ed il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni
3. 1. Attuazione di un partenariato che implica la creazione di un'entità ad hoc detenuta
congiuntamente dal settore pubblico e dal settore privato
3. 2. Assunzione del controllo su un'entità pubblica da parte di un operatore privato
4. Osservazioni finali
1. L'EVOLUZIONE DEL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO: CONSTATAZIONI E
SFIDE
1. 1. Il fenomeno del "partenariato pubblico-privato"
1. Il termine partenariato pubblico-privato ("PPP") non è definito a livello comunitario. Questo
termine si riferisce in generale a forme di cooperazione tra le autorità pubbliche ed il mondo
delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la
gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio.
2. I seguenti elementi caratterizzano normalmente le operazioni di PPP:
� La durata relativamente lunga della collaborazione, che implica una cooperazione tra
il partner pubblico ed il partner privato in relazione a vari aspetti di un progetto da
realizzare.
105
� La modalità di finanziamento del progetto, garantito da parte dal settore privato,
talvolta tramite relazioni complesse tra diversi soggetti. Spesso, tuttavia, quote di
finanziamento pubblico, a volte assai notevoli, possono aggiungersi ai finanziamenti
privati.
� Il ruolo importante dell'operatore economico, che partecipa a varie fasi del progetto
(progettazione, realizzazione, attuazione, finanziamento). Il partner pubblico si
concentra principalmente sulla definizione degli obiettivi da raggiungere in termini
d'interesse pubblico, di qualità dei servizi offerti, di politica dei prezzi, e garantisce il
controllo del rispetto di questi obiettivi.
� La ripartizione dei rischi tra il partner pubblico ed il partner privato, sul quale sono
trasferiti rischi di solito a carico del settore pubblico. I PPP non implicano tuttavia
necessariamente che il partner privato si assuma tutti i rischi, o la parte più rilevante dei
rischi legati all'operazione. La ripartizione precisa dei rischi si effettua caso per caso, in
funzione della capacità delle parti in questione di valutare, controllare e gestire gli
stessi.
3. Nel corso dell'ultimo decennio, il fenomeno dei PPP si è sviluppato in molti settori
rientranti nella sfera pubblica. L’aumento del ricorso a operazioni di PPP è riconducibile a
vari fattori. In presenza delle restrizioni di bilancio cui gli Stati membri devono fare fronte,
esso risponde alla necessità di assicurare il contributo di finanziamenti privati al settore
pubblico. Inoltre, il fenomeno è spiegabile anche con la volontà di beneficiare maggiormente
del "know-how" e dei metodi di funzionamento del settore privato nel quadro della vita
pubblica. Lo sviluppo dei PPP va d’altronde inquadrato nell'evoluzione più generale del ruolo
dello Stato nella sfera economica, che passa da un ruolo d'operatore diretto ad un ruolo
d'organizzatore, di regolatore e di controllore.
4. Le autorità pubbliche degli Stati membri ricorrono spesso ad operazioni di PPP per
realizzare progetti infrastrutturali, in particolare nel settore dei trasporti, della sanità pubblica,
dell'istruzione e della sicurezza pubblica. Sul piano europeo, si è riconosciuto che il ricorso
alle PPP poteva contribuire alla realizzazione delle reti transeuropee dei trasporti,
realizzazione che ha subito forti ritardi, in particolare a causa di un'insufficienza degli
investimenti (1). Nel quadro dell'iniziativa per la crescita, il Consiglio ha approvato una serie
di misure volte ad aumentare gli investimenti per le infrastrutture della rete transeuropea e
nel settore dell'innovazione, nonché della ricerca e dello sviluppo, in particolare tramite
l’attuazione di operazioni PPP(2).
5. Se è vero che la cooperazione tra pubblico e privato può offrire vantaggi microeconomici,
consentendo di realizzare un progetto con il miglior rapporto qualità/prezzo, mantenendo al
106
contempo gli obiettivi di pubblico interesse, il ricorso al PPP non può tuttavia essere
presentato come una soluzione “miracolo” per un settore pubblico confrontato a restrizioni di
bilancio (3). L'esperienza mostra che, per ciascun progetto, occorre valutare se l'opzione del
partenariato comporta una plusvalore reale rispetto ad altre opzioni come la stipulazione di
un contratto d'appalto di tipo più classico (4).
6. La Commissione constata del resto con interesse che alcuni Stati membri e Paesi
aderenti hanno creato strumenti di coordinamento e di promozione del PPP, miranti tra l'altro
a diffondere 'buone pratiche in materia di PPP all'interno di questi stati o su scala europea.
Questi strumenti mirano a condividere la relativa esperienza e a consigliare in tal modo gli
utilizzatori sulle diverse forme di PPP e sulle loro tappe, che si tratti della concezione, delle
modalità di scelta del partner privato, della migliore ripartizione dei rischi, della scelta
adeguata delle clausole contrattuali ovvero ancora dell’integrazione di finanziamenti
comunitari (si veda l’esempio delle “Task Force” nel Regno Unito o in Italia, ecc.)
7. Le autorità pubbliche ricorrono a strutture di partenariato con il settore privato anche per
garantire la gestione di servizi pubblici, in particolare a livello locale. Infatti, servizi pubblici
incentrati sulla gestione dei rifiuti o sulla distribuzione idrica o elettrica vengono sempre più
spesso affidati ad imprese, sia pubbliche sia private o miste. Il Libro verde sui servizi
d'interesse generale ricorda a tale riguardo che quando un'autorità pubblica decide di
assegnare la gestione di un servizio ad un terzo, è obbligata a rispettare il diritto degli appalti
pubblici e delle concessioni, anche se questo servizio è considerato di interesse generale
(5). Il Parlamento europeo ha del resto riconosciuto che il rispetto di queste norme 'può
costituire uno strumento efficace per prevenire inopportuni ostacoli alla concorrenza,
permettendo nello stesso
tempo ai pubblici poteri di fissare e controllare le condizioni da soddisfare in termini
di qualità, di disponibilità, di norme sociali e di tutela dell'ambiente (6).
1.2 La sfida del mercato interno: garantire lo sviluppo dei PPP in condizioni di concorrenza
effettiva e di chiarezza giuridica.
8. Il presente Libro verde analizza il fenomeno dei PPP alla luce del diritto comunitario degli
appalti pubblici e delle concessioni. Il diritto comunitario non prevede regimi specifici
comprensivi del fenomeno dei PPP. Ciononostante qualsiasi atto, sia contrattuale sia
unilaterale, attraverso il quale un'impresa pubblica affida la prestazione di un'attività
economica ad un terzo deve essere esaminato alla luce delle norme e dei principi derivanti
dal Trattato, in particolare in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi
107
(articoli 43 e 49 del Trattato CE) (7). Tali principi comprendono in particolare i principi di
trasparenza, di parità di trattamento, di proporzionalità e di mutuo riconoscimento (8). Inoltre,
disposizioni dettagliate si applicano nei casi disciplinati dalle direttive relative al
coordinamento delle procedure d'aggiudicazione degli appalti pubblici (9) (10). Tali direttive
mirano a “tutelare gli interessi degli operatori economici stabiliti in uno Stato membro e
desiderosi di prestare beni o servizi alle amministrazioni aggiudicatrici installate in un altro
Stato membro e, a tale scopo, escludere al contempo sia il rischio che in occasione della
stipulazione di un contratto d'appalto sia data la preferenza agli offerenti nazionali, sia la
possibilità che un'amministrazione aggiudicatrice si lasci guidare da considerazioni diverse
da quelle economiche (11).''L'applicazione delle disposizioni dettagliate di queste direttive
tuttavia è circoscritta ad alcune ipotesi e riguarda soprattutto la fase d'aggiudicazione dei
contratti.
9. Il regime applicabile alla selezione di un partner privato dipende innanzitutto dal tipo di
relazione contrattuale che quest'ultimo intrattiene con un organismo aggiudicatore (12). In
base al diritto comunitario derivato, ogni contratto stipulato per iscritto a titolo oneroso fra
un'amministrazione aggiudicatrice ed un operatore, nella misura in cui ha per oggetto
l'esecuzione di lavori, la realizzazione di un’opera o la prestazione di un servizio è definito
"appalto pubblico" di lavori o di servizi. Il concetto di "concessione" è definito come un
contratto con le stesse caratteristiche di un appalto pubblico ad eccezione del fatto che la
contropartita dei lavori o dei servizi effettuati consiste soltanto nel diritto di sfruttare l’opera o
il servizio ovvero in tale diritto accompagnato da un prezzo.
10. La valutazione degli elementi di queste definizioni deve, secondo la Corte, essere
effettuata in modo da garantire che l'effetto utile della direttiva in questione non sia
compromesso (13). Ad esempio, il formalismo inerente alla nozione di contratto nel diritto
nazionale non potrà rappresentare un argomento valido per fare perdere alle direttive il loro
effetto utile. Inoltre il carattere oneroso del contratto in causa non implica obbligatoriamente
il pagamento diretto di un prezzo da parte del partner pubblico, ma può derivare da qualsiasi
altra forma di contropartita economica ricevuta dal partner privato.
11. I contratti qualificati come appalto di lavori pubblici o di servizi, definiti come prioritari
(14), sono soggetti alle disposizioni dettagliate delle direttive comunitarie. Le concessioni di
lavori e gli appalti pubblici di servizi definiti 'non prioritari' sono disciplinati solo da alcune
singole disposizioni di diritto derivato. Infine, alcune operazioni, ed in particolare le
concessioni di servizi, sfuggono ad ogni inquadramento del diritto derivato. Lo stesso vale
peraltro per ogni attribuzione di incarico avvenuta attraverso un atto unilaterale.
108
12. Il quadro regolamentare che disciplina la scelta del partner privato è dunque stato
oggetto di un coordinamento comunitario a molti livelli e gradi d'intensità, con la persistenza,
sul piano nazionale, di un’ampia divergenza di approcci, anche se ogni operazione che
implica l'attribuzione di un incarico ad un terzo è disciplinata da una base minima di principi
derivanti dagli articoli 43 a 49 del Trattato CE.
13. La Commissione ha già preso iniziative relative al fenomeno nel settore del diritto degli
appalti pubblici. Nel 2000 ha pubblicato una Comunicazione interpretativa sulle concessioni
nel diritto comunitario degli appalti pubblici (15), nella quale precisa, sulla base delle norme
e dei principi derivanti dal Trattato e dal diritto derivato applicabile, i contorni della nozione di
concessione nel diritto comunitario e gli obblighi che spettano alle autorità pubbliche in
occasione della scelta degli operatori economici ai quali vengono assegnate le concessioni.
Inoltre, le nuove direttive del Parlamento europeo e del Consiglio volte a modernizzare e
semplificare il quadro legislativo comunitario instaurano una procedura d'attribuzione
innovativa, elaborata espressamente per rispondere alle specificità dell'aggiudicazione di
'contratti d'appalto particolarmente complessi, e dunque di alcune forme di PPP. Questa
nuova procedura, denominata "dialogo competitivo", permette alle autorità pubbliche di
discutere con le imprese candidate al fine di individuare le soluzioni suscettibili di rispondere
alle loro necessità.
14. Nondimeno, molti rappresentanti degli ambienti interessati ritengono che le norme
comunitarie applicabili alla scelta delle imprese destinate a cooperare con un'autorità
pubblica nel quadro di un PPP, così come le loro conseguenze sulle relazioni contrattuali
che disciplinano l'esecuzione del partenariato, siano insufficientemente chiare e manchino
d'omogeneità tra i vari Stati membri. Questa situazione farebbe gravare sui soggetti
comunitari delle incertezze che potrebbero costituire un reale ostacolo alla creazione o al
successo dei PPP, a scapito del finanziamento di importanti infrastrutture e dello sviluppo di
servizi pubblici di qualità.
15. Il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a valutare l’eventualità di adottare una
proposta di direttiva volta a regolamentare in maniera omogenea il settore delle concessioni
e di altre forme di PPP (16). Anche il Comitato economico e sociale ha espresso il parere
che si imponga un'iniziativa legislativa (17).
16. In questo contesto, la Commissione ha annunciato, nella sua strategia per il mercato
interno 2003-2006 (18), che avrebbe pubblicato un libro verde sul PPP e sul diritto
comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, al fine di avviare un dibattito sul
migliore modo di garantire che i PPP possano svilupparsi in un contesto di concorrenza
efficace e di chiarezza giuridica. La pubblicazione di un libro verde appare anche fra le
109
azioni previste nel contesto dell'iniziativa europea per la crescita (19). Infine essa va incontro
ad alcune richieste formulate nel corso della consultazione pubblica sul Libro verde sui
servizi d'interesse generale (20).
1. 3. Oggetto specifico e piano del presente Libro verde
17. Il Libro verde punta ad avviare un dibattito sull'applicazione del diritto comunitario degli
appalti pubblici e delle concessioni al fenomeno dei PPP. Tale dibattito si concentra dunque
sulle norme che devono essere applicate quando si decide di affidare una missione o un
incarico ad un terzo. Esso si colloca a valle della scelta economica ed organizzativa
effettuata da un ente locale o nazionale, e non può essere interpretato come un dibattito
mirante a esprimere un apprezzamento generale riguardo alla scelta se esternalizzare o
meno la gestione dei servizi pubblici; tale scelta compete infatti esclusivamente alle autorità
pubbliche. Infatti, il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni non si
esprime riguardo all’opzione degli Stati membri se garantire un servizio pubblico attraverso i
propri stessi servizi o se affidarli invece ad un terzo.
18. Più precisamente, il presente Libro verde mira a illustrare la portata delle norme
comunitarie applicabili alla fase di selezione del partner privato ed alla fase successiva, allo
scopo di individuare eventuali incertezze e di valutare se il quadro comunitario è adeguato
alle sfide ed alle caratteristiche specifiche dei PPP. Verranno proposti spunti di riflessione
per un eventuale intervento comunitario in materia. Giacché l’intento di questo Libro verde è
quello di aprire una consultazione, non è stata scelta nessuna opzione predeterminata
riguardo a un intervento comunitario. Gli strumenti disponibili per migliorare l'apertura delle
operazioni di PPP alla concorrenza in un contesto giuridico chiaro sono infatti assai
variegati: strumenti legislativi, comunicazioni interpretative, azioni miranti ad un migliore
coordinamento delle pratiche nazionali, scambio di buone pratiche tra Stati membri.
19. Se il presente Libro verde si concentra dunque su questioni attinenti al diritto degli
appalti pubblici e delle concessioni, bisogna ricordare che la Commissione ha già adottato,
in altri settori, misure volte ad eliminare gli ostacoli che possono ostacolare l’attuazione dei
PPP. Ad esempio, di recente sono state chiarite le norme relative al trattamento contabile
nei conti nazionali dei contratti sottoscritti da unità pubbliche nel quadro del partenariato con
imprese private (21). Inoltre, ricordiamo che l’applicazione dello statuto della società europea
faciliterà l’attuazione di PPP transeuropei (22).
20. Ai fini dell'analisi del presente libro verde, si propone di tracciare una distinzione tra:
110
� i PPP di tipo puramente contrattuale, nei il partenariatotra settore pubblico e settore
privato si fonda su legami esclusivamente convenzionali, e
� i PPP di tipo istituzionalizzato, che implicano una cooperazione tra il settore pubblico
ed il settore privato in seno ad un'entità distinta.
Questa distinzione è fondata sulla constatazione che la diversità delle pratiche in materia di
PPP che si incontrano negli Stati membri può essere ricollegata a due grandi modelli.
Ognuno di essi solleva delle questioni particolari riguardo all'applicazione del diritto
comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni e merita un esame distinto, che sarà
oggetto dei capitoli seguenti (23).
2. I PPP PURAMENTE CONTRATTUALI ED IL DIRITTO COMUNITARIO DEGLI APPALTI
PUBBLICI E DELLE CONCESSIONI
21. Il termine PPP di tipo puramente contrattuale riguarda un partenariato basato
esclusivamente sui legami contrattuali tra i vari soggetti. Esso definisce vari tipi di
operazione, nei quali uno o più compiti più o meno ampi – tra cui la progettazione, il
finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un
servizio - vengono affidati al partner privato.
22. In questo contesto, uno dei modelli più conosciuti, spesso denominato "modello
concessorio (24)", è caratterizzato dal legame diretto esistente tra il partner privato e l'utente
finale: il partner privato fornisce un servizio al pubblico, "in luogo", ma sotto il controllo, del
partner pubblico. Il modello è caratterizzato anche dal tipo di retribuzione del co-contraente,
consistente in compensi riscossi presso gli utenti del servizio, se necessario completata da
sovvenzioni versate dall’autorità pubblica.
23. In operazioni di altro tipo, il partner privato è destinato a realizzare e gestire
un'infrastruttura per la pubblica amministrazione (ad esempio, una scuola, un ospedale, un
centro penitenziario, un'infrastruttura di trasporto). L'esempio più tipico di questo modello è
l'operazione di tipo PFI (25). In questo modello la retribuzione del partner privato non
avviene in forma di compensi versati dagli utenti del lavoro o del servizio, ma di pagamenti
regolari ricevuti dal partner pubblico. Questi pagamenti possono essere fissi, ma anche
calcolati in modo variabile, in funzione, ad esempio, della disponibilità dell’opera o dei servizi
ad essa relativi, o anche della frequentazione dell’opera (26).
1. Quali tipi di operazioni di PPP puramente contrattuali conoscete? Tali
operazioni sono oggetto di una regolamentazione specifica (legislativa o di
111
altro tipo) nel vostro paese?
2. 1. La fase di selezione del partner privato
2.1. 1. Partenariato di tipo puramente contrattuale: atto attributivo qualificato come
appalto pubblico
24. Il regime applicabile all'aggiudicazione di appalti di lavori pubblici, o di appalti pubblici di
servizi definiti come prioritari (27), deriva dalle disposizioni delle direttive comunitarie che
fissano norme dettagliate, in particolare in materia di pubblicità e di partecipazione. Quando
l'autorità pubblica è un'amministrazione aggiudicatrice che agisce nel campo delle direttive
classiche (28), di norma, per la scelta del proprio partner privato, in questo quadro essa
deve ricorrere alla procedura aperta o ristretta. A titolo d'eccezione, ed a determinate
condizioni, talvolta è possibile il ricorso alla procedura negoziata. A tale riguardo, la
Commissione desidera ricordare che la deroga prevista all'articolo 7, par. 2 della direttiva
93/37/CEE, che prevede il ricorso alla procedura negoziata qualora il bando riguardi "lavori
la cui natura o i cui imprevisti non consentano una fissazione preliminare e globale dei prezzi
", ha un campo d'applicazione limitato. Questa deroga riguarda soltanto le situazioni
eccezionali, nelle quali le incertezze gravano a priori sulla natura o sulla dimensione dei
lavori da effettuare, ma non le situazioni nelle quali le incertezze derivano da altre cause,
quali ad esempio la difficoltà di fissare in anticipo il prezzo a causa della complessità
dell'operazione giuridica e finanziaria posta in essere (29).
25. In seguito all'adozione della direttiva 2004/18/CE, una nuova procedura detta di "dialogo
competitivo" può essere applicata in occasione della conclusione di contratti d'appalto
particolarmente complessi (30). La procedura di dialogo competitivo può essere lanciata nei
casi in cui l'organismo aggiudicatore non sia obiettivamente in grado di definire i mezzi
tecnici che possono rispondere alle proprie necessità ed ai propri obiettivi, nonché nei casi in
cui l'organismo aggiudicatore non sia obiettivamente in grado di stabilire le operazioni
giuridiche e/o finanziarie proprie di un progetto. Questa nuova procedura permetterà agli
organismi aggiudicatori di instaurare un dialogo con i candidati incentrato sullo sviluppo di
soluzioni atte a rispondere a queste necessità. Al termine di questo dialogo i candidati
saranno invitati a consegnare la loro offerta finale sulla base della/delle soluzione/i
individuata/e nel corso del dialogo. Tali offerte devono comprendere tutti gli elementi richiesti
e necessari per la realizzazione del progetto. Gli organismi aggiudicatori valutano le offerte
in funzione di criteri d'attribuzione prestabiliti. L'offerente che ha consegnato l'offerta
112
economicamente più vantaggiosa può essere invitato a chiarire alcuni aspetti della sua
offerta od a confermare gli impegni in essa contenuti, a condizione che ciò non comporti una
modifica degli elementi decisivi dell'offerta o della gara d'appalto, una distorsione della
concorrenza o delle discriminazioni.
26. La procedura di dialogo competitivo dovrebbe permettere di garantire la flessibilità
necessaria alle discussioni con i candidati di tutti gli aspetti del contratto in occasione della
fase di attuazione , pur facendo in modo che queste discussioni siano condotte nel rispetto
dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, e non mettano a rischio i diritti che il
Trattato conferisce agli operatori economici. Essa si basa sul concetto che i metodi strutturati
di selezione devono essere salvaguardati in qualsiasi occasione, poiché contribuiscono a
garantire l'obiettività e l'integrità della procedura sfociante nella scelta di un operatore. Ciò
garantisce il buon utilizzo del denaro pubblico, diminuisce i rischi di pratiche poco trasparenti
e rafforza la sicurezza giuridica necessaria all’attuazione di tali progetti.
27. D'altra parte, occorre sottolineare che, in virtù delle nuove direttive, per gli organismi
aggiudicatori aumenta l'interesse a formulare le specifiche tecniche in termini di prestazioni o
di esigenze funzionali. Nuove disposizioni permetteranno così agli organismi aggiudicatori di
aumentare le possibilità di tenere conto di soluzioni innovative in occasione della fase
d'aggiudicazione, indipendentemente dalla procedura adottata (31).
2. Secondo la Commissione, il recepimento nel diritto nazionale della procedura
di dialogo competitivo permetterà alle parti interessate di disporre di una
procedura particolarmente adeguata all'aggiudicazione dei contratti qualificati
come appalti pubblici in occasione dell’attuazione di un PPP di tipo puramente
contrattuale, pur preservando i diritti fondamentali degli operatori economici.
Condividete questo punto di vista? Se no,
perché?
3. Per quanto riguarda questi contratti, esistono secondo voi altri punti, oltre a
quelli relativi alla scelta della procedura d'aggiudicazione, che potrebbero
causare problemi riguardo al diritto comunitario degli appalti pubblici? Se sì,
quali e per quali ragioni?
2.1. 2. Partenariato di tipo puramente contrattuale: atto attributivo qualificato come
concessione
113
28. Non sono numerose le disposizioni di diritto derivato che coordinano le procedure
d'aggiudicazione di contratti qualificati come concessioni in diritto comunitario. Per quanto
riguarda le concessioni di lavori, si tratta unicamente di alcuni obblighi inerenti alla pubblicità,
tesi a garantire la messa in concorrenza preliminare degli operatori interessati, e di un
obbligo relativo al termine minimo di ricezione delle candidature (32). Il modo in cui
successivamente viene prescelto il partner privato è lasciato alla libera scelta degli organismi
aggiudicatori, che devono tuttavia in questo quadro accertarsi del pieno rispetto dei principi e
delle norme che derivano dal Trattato.
29. Quanto al regime applicabile in occasione della fase di aggiudicazione delle concessioni
di servizi, esso è regolamentato unicamente attraverso il riferimento agli articoli 43 e 49 del
Trattato, segnatamente ai principi di trasparenza, di parità di trattamento, di proporzionalità e
di mutuo reciproco (33). Nella sua sentenza Telaustria, la Corte ha segnalato a tale riguardo
che "l’obbligo di trasparenza imposto all'amministrazione aggiudicatrice consiste nel
garantire, a favore di ogni offerente potenziale, un grado di pubblicità adeguato che permetta
un'apertura del mercato dei servizi alla concorrenza ed il controllo dell'imparzialità delle
procedure d'aggiudicazione (34)".
30. Secondo la Commissione, il regime che deriva dalle disposizioni pertinenti del Trattato
può essere riassunto negli obblighi seguenti: fissazione delle norme applicabili alla selezione
del partner privato, pubblicità adeguata riguardo all’intenzione di assegnare una concessione
ed alle norme che regolamentano la selezione al fine di permettere un controllo
dell'imparzialità nel corso della procedura, messa in concorrenza reale degli operatori
potenzialmente interessati e/o in grado di garantire lo svolgimento dei compiti in questione,
rispetto del principio di parità di trattamento di tutti i partecipanti nel corso della procedura,
aggiudicazione sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori.
31. Il diritto comunitario applicabile nel quadro dell'aggiudicazione di concessioni deriva
dunque principalmente da obblighi a carattere generale che non implicano alcun
coordinamento delle legislazioni degli Stati membri. Inoltre, e benché gli Stati membri ne
abbiano la facoltà , ben pochi hanno scelto di dotarsi di legislazioni interne volte a
regolamentare in maniera globale e particolareggiata la fase d'aggiudicazione delle
concessioni di lavori o di servizi (35). Di conseguenza le norme applicabili alla scelta di un
concessionario da parte di un organismo aggiudicatore sono di solito proprie ad un caso
specifico.
32. Questa situazione potrebbe porre problemi agli operatori comunitari. L'assenza di
coordinamento delle legislazioni nazionali rappresenta infatti un potenziale ostacolo per
un’autentica apertura comunitaria delle operazioni in questione, in particolare quando tali
114
operazioni vengono realizzate a livello transnazionale. L'insicurezza giuridica legata
all'assenza di norme chiare e coordinate potrebbe inoltre provocare un aumento dei costi
legati all’attuazione di tali operazioni.
33. D'altra parte, da diverse parti si è notato che gli obiettivi del mercato interno rischiano di
non essere raggiunti in determinate situazioni a causa dell’assenza di una concorrenza
effettiva sul mercato. La Commissione desidera ricordare in questo contesto che le direttive
'appalti pubblici non solo puntano a garantire la trasparenza delle procedure e la parità di
trattamento degli operatori economici, ma impongono anche che un numero minimo di
candidati sia invitato a partecipare alle procedure, sia aperte, sia ristrette, negoziate, o di
dialogo competitivo (36). Bisogna valutare se l'applicazione effettiva di queste disposizioni è
sufficiente, o se invece sono necessarie ulteriori misure per facilitare la realizzazione di un
ambiente più competitivo.
34. La Commissione ha inoltre constatato, nel quadro dell’istruzione di procedure di
infrazione , che non è sempre facile determinare fin dall'origine se il contratto in esame è un
appalto pubblico o una concessione. Infatti, per i contratti qualificati come concessioni al
momento dell’avvio della procedura di aggiudicazione, la ripartizione dei rischi e dei benefici
può essere oggetto di negoziati in corso di procedura. Può accadere che dopo tali negoziati
il contratto in questione debba essere definito come "appalto pubblico"; questa
riqualificazione spesso comporta una rimessa in discussione della legalità della procedura
d'aggiudicazione scelta dall'organismo aggiudicatore. Secondo i punti di vista espressi dalle
parti interessate, tale situazione fa gravare su queste operazioni un'insicurezza giuridica
suscettibile di nuocere considerevolmente al loro sviluppo.
35. In questo contesto, la Commissione potrebbe considerare di proporre un'azione
legislativa mirante a coordinare le procedure d'aggiudicazione delle concessioni nell'Unione
europea per mezzo di una nuova legislazione, che verrebbe ad aggiungersi ai testi esistenti
in materia d'aggiudicazione di appalti pubblici. In tale ipotesi, dovrebbero essere messi a
punto i dettagli del regime applicabile all'aggiudicazione delle concessioni.
36. D’altronde, potrebbe essere necessario esaminare se esistono ragioni oggettive per
sottoporre l'aggiudicazione delle concessioni ad un regime diverso da quello esistente per la
conclusione di altri PPP contrattuali. In questo contesto, si ricorda che il criterio del diritto di
gestione ed il suo corollario, il trasferimento dei rischi inerenti alla gestione , distinguono gli
appalti pubblici delle concessioni. Se si confermasse che un'insicurezza giuridica, legata alla
difficoltà di identificare a priori la ripartizione dei rischi di gestione tra i partner, è spesso
presente nel quadro dell'aggiudicazione di alcuni PPP di tipo puramente contrattuale, la
Commissione potrebbe prevedere di sottoporre l'aggiudicazione di tutti i PPP contrattuali, sia
115
quelli definiti come appalti pubblici sia quelli definiti come concessioni, ad un unico regime
d'aggiudicazione.
4. Avete già organizzato, partecipato, o avuto l’intenzione di organizzare o
partecipare ad una procedura d'attribuzione di una concessione nell'Unione?
Che esperienza ne avete ricavato?
5. Ritenete che l’attuale quadro giuridico comunitario sia sufficientemente
preciso per garantire la partecipazione concreta ed effettiva di società o gruppi
non nazionali alle procedure d'aggiudicazione di concessioni? Secondo voi, in
questo contesto è abitualmente garantita una concorrenza reale?
6. Pensate che un'iniziativa legislativa comunitaria mirante a regolamentare la
procedura d'aggiudicazione di concessioni sia auspicabile?
7. In maniera più generale, se ritenete che sia necessario che la Commissione
proponga una nuova azione legislativa, esistono a vostro parere ragioni
oggettive per regolamentare tramite un tale atto tutti i PPP di tipo contrattuale,
siano essi qualificabili come appalti pubblici o come concessioni, per sottoporle a
identici regimi d'aggiudicazione?
2. 2. Questioni specifiche per la selezione di un operatore economico nel quadro di un PPP
su iniziativa privata
37. Alcune pratiche volte a conferire al settore privato l'opportunità di prendere l'iniziativa di
un'operazione PPP si sono recentemente sviluppate in alcuni Stati membri (37). Nelle
formule di questo tipo gli operatori economici formulano una proposta dettagliata di progetto,
in generale relativa alla costruzione e gestione di un'infrastruttura, eventualmente su invito
dell'amministrazione.
38. Queste pratiche permettono di sondare in una fase precoce la volontà degli operatori
economici di investire in alcuni progetti. Inoltre, permettono di incitare tali operatori a
sviluppare o applicare soluzioni tecniche innovative, adeguate alle esigenze particolari
dell'organismo aggiudicatore.
39. Il fatto che un progetto d'utilità pubblica tragga origine da un'iniziativa privata non cambia
la natura dei contratti stipulati tra gli organismi aggiudicatori e gli operatori economici. Se
questi contratti hanno per oggetto delle prestazioni regolamentate dal diritto derivato, e
vengono stipulati con carattere oneroso, devono essere qualificati come appalto pubblico o
concessione e basarsi sul relativo regime d'aggiudicazione.
116
40. Occorre dunque assicurarsi che le procedure utilizzate in questo quadro non finiscano
per privare gli operatori economici europei dei diritti loro conferiti in virtù del diritto
comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni. In particolare, e come base minima, la
Commissione ritiene che debba essere garantito l'accesso di tutti gli operatori europei a
questo tipo di progetti, in particolare tramite una pubblicità adeguata assicurata all'invito a
formulare un progetto. In seguito, qualora la pubblica autorità desideri attuare un progetto
presentato, essa deve organizzare la messa in concorrenza di tutti gli operatori economici
potenzialmente interessati dallo sviluppo del progetto in questione, offrendo tutte le garanzie
d'imparzialità della selezione.
41. Per preservare l’attrattività del sistema gli Stati membri hanno talvolta cercato di
stimolare l’iniziativa degli operatori. Si è fatto ricorso, ad esempio, alla possibilità di retribuire
il promotore del progetto, ad esempio indennizzandolo per la sua iniziativa al di là della
successiva procedura di messa in concorrenza. Si è anche previsto di accordare al soggetto
che lancia un'iniziativa alcuni vantaggi da fare valere in occasione della messa in
concorrenza della attività di sviluppo del progetto in questione. Queste soluzioni devono
essere attentamente analizzate, per scongiurare che i vantaggi competitivi accordati
all'iniziatore del progetto pregiudichino la parità di trattamento dei candidati.
8. In base alla vostra esperienza, l'accesso degli operatori non nazionali alle
formule di PPP di iniziativa privata è garantito? In particolare, nei casi in cui le
amministrazioni aggiudicatrici invitano a presentare un'iniziativa, tale invito è
generalmente oggetto di pubblicità adeguata ad assicurare l'informazione di
tutti gli operatori interessati? Viene organizzata una procedura di selezione
realmente concorrenziale per garantire l'attuazione del progetto stesso?
9. Quale sarebbe secondo voi la migliore formula per assicurare lo sviluppo di
PPP di iniziativa privata nell'Unione europea pur garantendo il rispetto dei
principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento?
2. 3. La fase successiva alla selezione del partner privato
42. Il diritto derivato dagli appalti pubblici e dalle concessioni riguarda soprattutto la fase
d'aggiudicazione di un contratto. La fase posteriore alla selezione del partner privato, in
compenso, non è contemplata in maniera globale dal diritto derivato. Tuttavia, in linea
generale i principi di parità di trattamento e di trasparenza derivanti dal Trattato si
oppongono a qualsivoglia intervento del partner pubblico successivo alla selezione di un
117
partner privato che sia tale da pregiudicare la parità di trattamento tra operatori economici
(38).
43. Il carattere spesso complesso delle operazioni in questione, il lasso di tempo che può
trascorrere tra la selezione del partner privato e la firma del contratto, la durata relativamente
lunga dei progetti e, infine, il ricorso frequente al meccanismo dei subappalti, rendono a volte
delicata l’applicazione di tali norme e principi. Due aspetti sono esaminati qui di seguito: il
quadro contrattuale dei PPP e i subappalti.
2.3. 1. Il quadro contrattuale del progetto
44. Le disposizioni contrattuali che disciplinano la fase d'attuazione dei PPP rientrano, in
primo luogo, nel diritto nazionale. Tuttavia, l'elaborazione delle clausole contrattuali deve
avvenire anche nel rispetto delle norme comunitarie pertinenti, ed in particolare dei principi di
parità di trattamento e di trasparenza. Questo implica in particolare che i documenti di gara
indichino chiaramente le condizioni e le modalità d'esecuzione dei contratti, affinché i vari
candidati al partenariato possano interpretarli allo stesso modo e tenerne conto
nell'elaborazione delle proprie offerte. Inoltre, queste condizioni e modalità d'esecuzione non
devono avere un'incidenza discriminatoria diretta o indiretta o ostacolare in modo
ingiustificato la libera prestazione di servizi o la libertà di stabilimento (39).
45. Il successo di un PPP dipende soprattutto dalla completezza del quadro contrattuale del
progetto, e dalla messa a punto ottimale degli elementi che disciplineranno la sua
attuazione. In questo contesto sono determinanti una valutazione pertinente ed una
ripartizione ottimale dei rischi tra il settore pubblico ed il settore privato, in funzione della
capacità di ciascuna parte di assumersi tali rischi. Inoltre, appare importante prevedere
meccanismi che permettano di valutare con regolarità le prestazioni dei titolari di PPP. In
questo contesto, il principio di trasparenza impone che gli elementi che permettono di
procedere alla valutazione e alla ripartizione di rischi, come anche alla valutazione della
prestazione, siano comunicati nei documenti di gara, consentendo così agli offerenti di
tenerne conto nell'elaborazione delle proprie offerte.
46. D'altra parte, il periodo durante il quale il partner privato assumerà l’esecuzione di un
opera o di un servizio deve essere fissato in funzione della necessità di garantire l'equilibrio
economico e finanziario di un progetto. In particolare, la durata della relazione di partenariato
deve essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di
quanto sia necessario per garantire l'ammortamento degli investimenti ed una ragionevole
rendita dei capitali investiti. Una durata eccessiva sarebbe infatti in contrasto con i principi
118
che disciplinano il mercato interno (40) o con le disposizioni del Trattato in materia di
concorrenza (41). Inoltre, il principio di trasparenza impone di comunicare nei documenti di
gara gli elementi che permettono di stabilire la durata, per permettere agli offerenti di tenerne
conto nell'elaborazione delle loro offerte.
47. Riguardando una prestazione diluita nel tempo, le relazioni del tipo PPP devono potersi
evolvere per adattarsi ai cambiamenti dell'ambiente macroeconomico o tecnologico, nonché
alle necessità di interesse generale. In linea generale, il diritto comunitario degli appalti
pubblici non si oppone alla possibilità di tenere conto di queste evoluzioni, a condizione che
ciò avvenga nel rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza. Quindi i
documenti di gara , trasmessi agli offerenti o candidati in occasione della procedura di
selezione, possono prevedere clausole d'adeguamento automatico o clausole
d'indicizzazione del prezzo, o fissare in quali circostanze sia ammessa una revisione delle
tariffe percepite. Esse possono inoltre prevedere delle clausole di revisione, a condizione
che menzionino precisamente le circostanze e le condizioni nelle quali potranno essere
apportati degli adeguamenti alla relazione contrattuale. Tuttavia, è importante che tali
clausole siano sufficientemente chiare da permettere agli operatori economici di interpretarle
in maniera uniforme in occasione della fase di selezione del partner.
48. In alcune operazioni, le istituzioni finanziarie si riservano il diritto di sostituirsi al gestore
del progetto, o di designare un nuovo gestore, qualora i flussi finanziari generati dal progetto
scendano al di sotto di un certo livello. L'attuazione di queste clausole, che appartengono
alla categoria delle cosiddette clausole di “step-in”, può comportare il cambiamento del
partner privato dell'organismo aggiudicatore senza bandire una gara. La compatibilità di
queste operazioni con il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni merita di
conseguenza un'attenzione particolare.
49. Generalmente, le modifiche che intervengono in fase di esecuzione di un PPP, quando
non sono contemplate dai documenti contrattuali, sortiscono l’effetto di rimettere in
discussione il principio di parità di trattamento degli operatori economici (42). Simili
modifiche non contemplate dai contratti sono quindi accettabili unicamente se rese
necessarie da un evento imprevedibile o se giustificate da ragioni d'ordine pubblico, di
sicurezza pubblica o di salute pubblica (43). Inoltre qualsiasi modifica sostanziale, che
riguardi l'oggetto stesso del contratto, deve essere assimilata alla stipulazione di un nuovo
contratto, che implica una nuova messa in concorrenza (44).
50. Occorre infine ricordare che il diritto derivato precisa le situazioni eccezionali nelle quali
è permessa un'attribuzione diretta e senza messa in concorrenza dei lavori o servizi
complementari che non appaiono nel progetto inizialmente previsto o nel primo contratto
119
stipulato (45). Tali eccezioni devono essere interpretate in modo restrittivo. Ad esempio,
esse non riguardano l'estensione della durata di una concessione autostradale già esistente,
mirante a coprire i costi di lavori svolti per la realizzazione di un nuovo tronco. Infatti, la
pratica consistente nel riunire tra le mani di un unico concessionario attività “redditizie” e
“non redditizie”, non può condurre a una situazione in cui una nuova attività sia attribuita ad
un concessionario esistente senza bandire una gara.
10. Che esperienza avete riguardo alla fase successiva alla selezione del
partner privato nelle operazioni di PPP contrattuali?
11. Siate a conoscenza di casi nei quali le condizioni d'esecuzione -
comprese le clausole d'aggiornamento - hanno potuto avere un'incidenza
discriminatoria o hanno potuto costituire un ostacolo ingiustificato alla libera
prestazione di servizi o alla libertà di stabilimento? Se sì, potete descrivere il
tipo di problemi incontrati?
12. Siete al corrente di pratiche o di meccanismi di valutazione di offerte con
conseguenze discriminatorie?
13. Condividete la constatazione della Commissione secondo la quale alcune
operazioni del tipo "step-in" possono porre problemi in termini di trasparenza
e di parità di trattamento?
Conoscete altre "clausole tipo" la cui attuazione potrebbe causare problemi
simili?
14. Ritenete che sia necessario chiarire a livello comunitario alcuni aspetti
attinenti al quadro contrattuale dei PPP? Se sì, su quale(i) aspetto(i)
dovrebbe incentrarsi tale chiarificazione?
2.3. 2. Il subappalto di determinati compiti
51. In base alle esperienze della Commissione, l'applicazione delle norme relative ai
subappalti rappresenta talvolta una fonte di incertezze o interrogativi nel contesto delle
operazioni di tipo PPP. Alcune parti hanno fatto osservare, ad esempio, che le relazioni
contrattuali tra le società di progetto che diventano titolari del contratto o della concessione,
e gli azionisti della stessa, sollevano un certo numero di questioni giuridiche. A tale riguardo,
la Commissione desidera ricordare che nei casi in cui la società di progetto abbia essa
stessa lo status di organismo aggiudicatore, è obbligata ad assegnare i propri contratti o le
proprie concessioni nel quadro di un bando di gara, sia che i contratti siano conclusi con i
120
propri azionisti sia che non lo siano. Fa eccezione un solo caso: quello in cui le prestazioni
affidate da una società di progetto ai propri azionisti sono già state oggetto di un bando da
parte del partner pubblico, precedentemente alla costituzione della società di progetto (46).
In compenso, se la società di progetto non ha lo status di organismo aggiudicatore, di norma
è libera di contrattare con terzi, a prescindere dal fatto se siano propri azionisti o meno. A
titolo d'eccezione, quando la società di progetto è un 'concessionario di lavori, si applicano
alcune norme inerenti alla pubblicità per quanto riguarda la stipulazione di contratti d'appalto
di lavori superiori alla soglia di 5 milioni di euro, ad eccezione tuttavia dei contratti conclusi
con le imprese che si sono raggruppate per ottenere la concessione o le imprese ad esse
affiliate (47).
52. I partner privati sono, per principio, liberi di dare in subappalto una parte o la totalità di un
appalto pubblico o di una concessione. Occorre tuttavia segnalare che, nel quadro
dell'aggiudicazione degli appalti pubblici, può essere chiesto agli offerenti di comunicare
nella loro offerta la parte dell'appalto che hanno intenzione di subappaltare a terzi (48). Per
le concessioni di lavori di cui il valore supera 5 milioni di euro, l'organismo aggiudicatore può
inoltre imporre al concessionario di affidare a terzi contratti rappresentanti una percentuale
minima del 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione (49).
15. Nel contesto delle operazioni di PPP, siete al corrente di problemi
particolari incontrati in materia di subappalto? Quali?
16. Il fenomeno dei PPP di tipo contrattuale, che implica il trasferimento di
un insieme di compiti ad un unico partner privato, giustifica secondo
l’introduzione, riguardo al fenomeno dei subappalti, di norme più dettagliate
e dal campo d'applicazione più vasto?
17. In maniera più generale, ritenete che si dovrebbe prendere un'iniziativa
complementare a livello comunitario al fine di chiarire, o sistemare, le
norme relative ai subappalti?
3. IL PPP ISTITUZIONALIZZATO ED IL DIRITTO COMUNITARIO DEGLI APPALTI
PUBBLICI E DELLE CONCESSIONI
53. Ai sensi del presente Libro verde, le operazioni PPP di tipo istituzionalizzato implicano la
creazione di un'entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato
(50). Tale soggetto comune ha quindi la missione di assicurare la fornitura di un’opera o di
un servizio a favore del pubblico. Negli Stati membri, le autorità pubbliche ricorrono a volte a
121
queste strutture, in particolare per la gestione di servizi pubblici a livello locale (ad esempio,
per i servizi d'approvvigionamento idrico o per la raccolta dei rifiuti).
54. La cooperazione diretta tra il partner pubblico ed il partner privato nel quadro di un ente
dotato di personalità giuridica propria permette al partner pubblico di conservare un livello di
controllo relativamente elevato sullo svolgimento delle operazioni, che può adattare nel
tempo in funzione delle circostanze, attraverso la propria presenza nella partecipazione
azionaria e in seno agli organi decisionali dell'impresa comune. Essa permette inoltre al
partner pubblico di sviluppare un’esperienza propria riguardo alla fornitura del servizio in
questione, pur ricorrendo al sostegno di un partner privato.
55. La creazione di un PPP istituzionalizzato può avvenire sia attraverso la creazione di
un'entità detenuta congiuntamente dal settore pubblico e dal settore privato (3.1.), sia
tramite il passaggio a controllo privato di un'impresa pubblica già esistente (3.2).
56. La discussione che segue si concentra esclusivamente sulle questioni attinenti al diritto
degli appalti pubblici e delle concessioni che riguardano PPP istituzionalizzati. Per una
discussione più generale sulle incidenze di tale diritto in occasione della creazione e dello
svolgimento di tali PPP si rinvia ai capitoli precedenti.
3. 1. Attuazione di un partenariato che implica la creazione di un'entità ad hoc detenuta
congiuntamente dal settore pubblico e dal settore privato (51)
57. L'operazione consistente nel creare un'impresa a capitale misto, di per sé non è
contemplata dal diritto degli appalti pubblici e delle concessioni. Tuttavia, occorre garantire il
rispetto delle norme e dei principi derivanti da tale diritto (i principi generali del Trattato o, in
alcuni casi, le disposizioni delle direttive) quando tale operazione è accompagnata
dall’attribuzione di incarichi tramite un atto che può essere definito appalto pubblico o
concessione (52).
58. La scelta di un partner privato destinato a svolgere tali incarichi nel quadro del
funzionamento di un'impresa mista non può dunque essere basata esclusivamente sulla
qualità del suo contributo in capitali o della sua esperienza, ma dovrebbe tenere conto delle
caratteristiche della sua offerta – che economicamente è la più vantaggiosa – per quanto
riguarda le prestazioni specifiche da fornire. Infatti, in mancanza di criteri chiari ed oggettivi
che permettano all'amministrazione aggiudicatrice di individuare l'offerta economicamente
più vantaggiosa, l'operazione in capitale potrebbe costituire una violazione del diritto degli
appalti pubblici e delle concessioni.
122
59. In questo contesto, l'operazione consistente nel creare tale impresa non solleva
generalmente problemi riguardo al diritto comunitario applicabile, qualora costituisca una
modalità d'esecuzione dell’incarico affidato nel quadro di un contratto ad un partner privato.
Occorre tuttavia che le condizioni relative alla creazione dell'impresa siano chiaramente
stabilite in occasione della pubblicazione del bando relativo agli incarichi che si desiderano
affidare al partner privato (53).
60. Tuttavia, la Commissione ha constatato che in alcuni Stati la legislazione nazionale
permette alle entità miste, nelle quali la partecipazione del settore pubblico è quella
dell'organismo aggiudicatore, di partecipare ad una procedura d'attribuzione di appalti
pubblici o di concessioni prima ancora di essere costituite. In questi casi l'impresa viene poi
definitivamente costituita solo una volta effettivamente ottenuto l’incarico. In altri Stati si è
affermata una pratica che tende a confondere la fase di costituzione dell'impresa e la fase
d'attribuzione dei compiti. La procedura lanciata dall'amministrazione aggiudicatrice mira in
tal caso alla creazione di un'entità mista cui vengono affidati determinati compiti.
61. Queste formule non sembrano offrire soluzioni soddisfacenti per quanto concerne le
disposizioni applicabili in materia di appalti pubblici e di concessioni (54). Nel primo caso,
una situazione di concorrenza rischia di essere pregiudicata dalla posizione privilegiata della
società in costituzione, e dunque del partner privato che vi partecipa. Anche nel secondo
caso, la procedura specifica di selezione del partner privato comporta numerosi problemi.
Alcune difficoltà riguardano l'obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di definire in modo
sufficientemente chiaro e preciso, in questo contesto, l'oggetto del contratto o della
concessione. La Commissione ha sovente constatato che le missioni affidate alla struttura
della partnerhip non sono chiaramente definite e che in alcuni casi sfuggono anche a
qualsiasi quadro contrattuale. Questo non solo contrasta con i principi di trasparenza e di
parità di trattamento, ma rischia anche di pregiudicare gli obiettivi d'interesse generale
perseguiti dalla pubblica autorità. Inoltre, si può constatare che solitamente la durata
dell'impresa creata non coincide con la durata del contratto o della concessione attribuita, il
che appare suscettibile di indurre a rinnovi dell’incarico affidato a questa impresa senza che
sia posta in essere una reale nuova messa in concorrenza. Ciò a volte implica che, de facto,
gli incarichi siano attribuiti per una durata illimitata.
62. D'altra parte, occorre ricordare che la creazione congiunta di tali imprese può essere
realizzata solo rispettando il principio di non discriminazione in ragione della nazionalità, in
linea generale, e del principio di libera circolazione dei capitali, in particolare (55). A titolo di
esempio, di norma le pubbliche autorità non possono sommare la propria posizione di
123
azionista di una simile impresa a privilegi esorbitanti non basati su un'applicazione normale
del diritto societario (56).
63. La Commissione desidera inoltre ricordare che la partecipazione dell'organismo
aggiudicatore all'impresa mista, che al termine della procedura di selezione diventa
contitolare del contratto, non giustifica la mancata applicazione del diritto dei contratti e delle
concessioni in occasione della selezione del partner privato. L'applicazione del diritto
comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni non dipende infatti dal carattere
pubblico, privato o misto del co-contraente dell'organismo aggiudicatore. Come ha
confermato la Corte di giustizia nella causa Teckal, tale diritto si applica quando un
organismo aggiudicatore decide di affidare un compito ad un terzo, ovvero a una persona
giuridicamente distinta. Una procedura diversa può essere applicata solo nell'ipotesi in cui,
allo stesso tempo, l'organismo aggiudicatore eserciti sulla persona in oggetto un controllo
analogo a quello che esercita sui propri servizi e al contempo questa persona realizzi la
parte più importante della sua attività con la/le collettività che la detengono (57). Solo le
entità che soddisfano entrambe queste condizioni possono essere assimilate a delle entità
'in house rispetto all’organismo aggiudicatore e vedersi affidare dei compiti al di fuori di una
procedura concorrenziale (58).
64. Infine è il caso di ricordare che se l'entità mista funge da organismo aggiudicatore, tale
funzione implica anche il rispetto del diritto applicabile in materia di appalti pubblici e di
concessioni, laddove tale diritto assegni al partner privato dei compiti che l'amministrazione
aggiudicatrice non abbia bandito precedentemente alla costituzione dell'impresa mista. Il
partner privato non può, infatti, approfittare della propria posizione privilegiata nell'entità
mista per riservarsi alcuni compiti senza procedere preliminarmente a un bando.
3. 2. Assunzione del controllo su un'entità pubblica da parte di un operatore privato
65. La creazione di un PPP di tipo istituzionalizzato può anche avvenire tramite una modifica
della partecipazione azionaria di un'impresa pubblica. A tale riguardo, occorre innanzitutto
sottolineare che il passaggio di un'impresa del settore pubblico al settore privato è una
scelta di politica economica che, come tale, è di esclusiva competenza degli Stati membri
(59).
66. Occorre quindi ricordare che il diritto comunitario degli appalti pubblici non ha di per sé il
compito di regolamentare operazioni che rappresentano semplici versamenti di capitale da
parte di un finanziatore ad un'impresa, sia appartenente al settore pubblico sia privato.
Queste operazioni rientrano nel campo d'applicazione delle disposizioni del Trattato relative
124
al libero movimento dei capitali (60) e ciò implica in particolare che le misure nazionali che le
regolamentano non devono costituire degli ostacoli agli investimenti provenienti da altri Stati
membri (61).
67. Per contro, le disposizioni relative alla libertà di stabilimento ai sensi dell'articolo 43 del
Trattato devono essere applicate quando un'autorità pubblica decide, tramite un'operazione
in capitale, di cedere ad un terzo una partecipazione che gli permette di esercitare
un'influenza certa su un'impresa pubblica che svolge operazioni economiche normalmente
rientranti nella responsabilità dello Stato (62).
68. In particolare, quando i pubblici poteri accordano a un operatore economico un’influenza
certa in seno a un’impresa, nel quadro di un’operazione di cessione di capitale, e tale
operazione ha per effetto il conferimento a tale operatore di determinati incarichi rientranti
nel campo materiale del diritto degli appalti pubblici, incarichi che precedentemente venivano
esercitati, direttamente o indirettamente, dai poteri pubblici, le disposizioni relative alla libertà
di stabilimento impongono il rispetto del principio di trasparenza e di parità di trattamento,
allo scopo di garantire che ogni potenziale operatore abbia il medesimo accesso alla
prestazione di tali attività fino a quel momento riservate ai pubblici poteri.
69. Inoltre, la buona pratica consiglia di accertarsi che tale operazione in capitale non
nasconda in realtà l'attribuzione ad un partner privato di contratti definibili come appalti
pubblici o come concessioni. In particolare ciò accade quando, prima dell'operazione in
capitale, l'impresa in questione si vede attribuire, direttamente e senza messa in
concorrenza, degli incarichi particolari, nell’intento di rendere attraente l'operazione in
capitale.
18. Quale esperienza avete del lancio di operazioni PPP di tipo
istituzionalizzato? In particolare, la vostra esperienza vi porta a pensare che il
diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni sia rispettato nel
caso di operazioni PPP istituzionalizzate? Se no, perché?
19. Ritenete che debba essere presa un'iniziativa a livello comunitario per
chiarire o precisare gli obblighi degli organismi aggiudicatori riguardo alle
condizioni che devono regolamentare la concorrenza tra operatori
potenzialmente interessati da un progetto di tipo istituzionalizzato? Se sì, su
quali punti particolari e sotto quale forma? Se no, perché?
In maniera generale, ed indipendentemente dai problemi sollevati in questo
documento:
20. Quali sono le misure o le pratiche che ritenete di ostacolo alla creazione di
125
PPP nell'Unione europea?
21. Conoscete altre forme di PPP sviluppate nei paesi al di fuori dell'Unione?
Conoscete esempi di 'buone pratiche 'sviluppate in questo contesto, cui l'Unione
potrebbe ispirarsi? Se sì, quali?
22. In termini più generali, e tenuto conto dei considerevoli investimenti
necessari in alcuni Stati membri, al fine di realizzare uno sviluppo economico-
sociale durevole, pensate che sia utile una riflessione collettiva su tali questioni
che prosegua ad intervalli regolari tra gli attori interessati e che permetta uno
scambio di ‘buone pratiche’? Ritenete che la Commissione dovrebbe dare
impulso ad una tale rete?
4. OSSERVAZIONI FINALI
70. La Commissione invita tutte le parti interessate a trasmetterle le proprie osservazioni
sulle domande formulate nel presente Libro verde. Le risposte, osservazioni e proposte
possono essere inviate per posta all'indirizzo seguente:
Commissione europea
Consultazione "Libro verde sui PPP e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e
delle concessioni"
C 100 2/005
B-1049 Bruxelles
o per posta elettronica all'indirizzo seguente:
I commenti devono essere inviati alla Commissione entro il termine ultimo del 30 luglio 2004.
Per informazione delle parti interessate, i contributi pervenuti via email, nonché le coordinate
dei mittenti, saranno inseriti sul sito web http://europa.eu.int/comm/internal_market, a meno
che i mittenti non abbiano espressamente sollevato un'obiezione nei confronti di tale
pubblicazione.
71. Sulla base, tra l'altro, dei contributi ricevuti, la Commissione si propone di trarre le
proprie conclusioni e, se necessario, di presentare iniziative concrete per dare un seguito
alla materia.
126
________________________
1 Cfr. la comunicazione della Commissione del 23 aprile 2003 "Sviluppare la rete
transeuropea di trasporto: finanziamenti innovativi, interoperabilità del telepedaggio", COM
(2003) 132, e la relazione del gruppo ad alto livello sulla rete transeuropea di trasporto del
27 giugno 2003.
2 Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles del 12 dicembre 2003.
3 L'11 febbraio 2004 Eurostat, l’Ufficio statistico delle Comunità europee, ha preso una
decisione (cfr. Comunicato stampa STAT/04/18) relativa al trattamento contabile nei conti
nazionali dei contratti firmati dalle imprese pubbliche nel quadro di partenariati con imprese
private. La decisione precisa l’impatto sul deficit/sull’eccedenza pubblica e sul debito
pubblico. Eurostat raccomanda che gli attivi legati ad un partenariato pubblico-privato siano
classificati come attivi non pubblici e non siano dunque registrati nel bilancio delle
amministrazioni pubbliche qualora siano realizzate le due seguenti condizioni: 1. il partner
privato si assume il rischio della costruzione 2. il partner privato si assume almeno uno dei
due rischi seguenti: quello della disponibilità o quello legato alla domanda.
4 Cfr. la comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento “Public finances in
EMU 2003”, pubblicata su European Economy n° 3/2003 (COM(2003) 283 def.).
5 COM (2003) 270 def. Per il testo del Libro verde e dei contributi cfr.
http://europa.eu.int/comm.secretariat_general/services_general_interest.
6 Risoluzione del Parlamento europeo sul Libro verde sui servizi d'interesse generale,
adottata il 14 gennaio 2004.
7 Le norme relative al mercato interno, comprese le norme ed i principi in materia di appalti
pubblici e di concessioni, sono applicate a qualsiasi attività a carattere economico, cioè a
qualsiasi attività consistente nell’offrire servizi, beni o lavori sul mercato, anche se questi
servizi, beni o lavori mirano a garantire un 'servizio pubblico ' così come è definito da uno
Stato membro.
8 Cfr. la Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto
comunitario, GUCE n. C 121 del 29 aprile 2000.
9 Direttive 92/50/CEE, 93/36/CEE, 93/37/CEE, 93/38/CEE, che coordinano le procedure di
aggiudicazione, rispettivamente, degli appalti pubblici di servizi, degli appalti pubblici di
forniture, degli appalti pubblici di lavori, e degli appalti degli enti erogatori di acqua e di
energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel
settore delle telecomunicazioni. Queste direttive saranno sostituite dalla direttiva 2004/18/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativa al coordinamento delle
procedure d'aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, di forniture e di servizi; e dalla
127
direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativa al
coordinamento delle procedure d'aggiudicazione degli appalti nei settori dell'acqua,
dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, che saranno pubblicate prossimamente in
GUUE . Una versione (provvisoria) delle nuove direttive è consultabile sul sito web
http://www.europarl.eu.int/code/concluded/default_2003_en.htm.
10 Inoltre, in alcuni settori, ed in particolare nel settore dei trasporti, l’attuazione di un PPP
può essere soggetta anche ad una legislazione settoriale specifica. Cfr. a proposito il
regolamento (CEE) n° 2408/92 del Consiglio sull'accesso dei vettori aerei della Comunità
alle rotte intracomunitarie, il regolamento (CEE) n° 3577/92 del Consiglio concernente
l'applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati
membri, il regolamento (CEE) n° 1191/69 del Consiglio relativo all'azione degli Stati membri
in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per
ferrovia, su strada e per via navigabile, modificato dal regolamento (CEE) n° 1893/91, e la
proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo
all'azione degli Stati membri in tema di obblighi di servizio pubblico e di aggiudicazione di
contratti di servizio pubblico nel settore del trasporto di passeggeri per ferrovia, su strada e
per via navigabile interna (COM (2002) 107 def).
11 Cause riunite C-285/99 e C-286/99, Impresa Lombardini c. ANAS, sentenza del 27
novembre 2001, paragrafo 36 e - per analogia - causa C-380/98, University of Cambridge,
Racc. p. I-8035 e causa C- 19/00, Siac construction, Racc. p. I-7725.
12 Nel quadro delle operazioni di PPP i partner pubblici sono in primo luogo gli enti
nazionali, regionali o locali. Possono anche essere organismi di diritto pubblico creati per
compiere missioni d'interesse generale sotto il controllo dello Stato, o imprese che
gestiscono alcune industrie a rete. A fini di semplificazione, il termine "organismo
aggiudicatore" in questo documento verrà impiegato per designare la totalità di tali
organismi; il termine include quindi le "amministrazioni aggiudicatrici" ai sensi delle direttive
92/50/CEE, 93/36/CEE, 93/37/CEE e 2004/18/CE e gli enti aggiudicatori che sono le
"autorità pubbliche " e le "imprese pubbliche" ai sensi delle direttive 93/38/CEE e
2004/17/CEE.
13 Sentenza della Corte del 12 luglio 2001, causa C-399/98, Scala, Racc. I-5409, cfr. in
particolare i punti 53 - 55.
14 Ovvero quelli elencati all'allegato IA della direttiva 92/50/CEE o all'allegato XVIA della
direttiva 93/38/CEE.
15 Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario.
GUCE C 121 del 29 aprile 2000.
128
16 Parere del Parlamento europeo in prima lettura sulla proposta della Commissione COM
(2000) 275 del 10.05.2002.
17 Parere, CES, GUCE C 14 del 16.1.2001, relatore Levaux, punto 4.1.3 e parere, CES,
GUCE C 193 del 10.07.2001, relatore Bo Green, punto 3.5.
18 strategia per il mercato interno, priorità 2003-2006, (2003) 238 finale.
19 Comunicazione della Commissione "un'iniziativa per la crescita: Investire nelle reti e la
conoscenza per sostenere la crescita e l'occupazione ", (2003) 690 finale dell'11 novembre
2003. Rapporto approvato dal Consiglio europeo di Bruxelles del 12 dicembre 2003.
20 Cfr. Rapporto sui risultati della consultazione sul libro verde sui servizi d'interesse
generale (vedi nota 5 qui sopra).
21 Cfr nota 3 qui sopra.
22 Regolamento (CE) n°2157/2001 del Consiglio dell'8 ottobre 2001.
23 La distinzione qui operata non tiene conto delle qualifiche giuridiche operate nel diritto
nazionale e non pregiudica affatto la qualificazione di questi tipi di operazioni o di contratti
nel diritto comunitario. L'analisi che segue ha dunque il solo scopo di distinguere tra loro le
operazioni di solito qualificate come PPP, per potere poi più agevolmente determinare quali
norme del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni vadano ad esse
applicate.
24 Va ricordato che la denominazione assegnata dal diritto nazionale o dalle parti in causa
non ha alcuna incidenza sulla qualificazione giuridica di questi contratti ai fini
dell'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni.
25 Il termine PFI si riferisce a "Private Finance Initiative", un programma del governo
britannico che permette l'ammodernamento delle infrastrutture pubbliche con l'ausilio del
ricorso al finanziamento privato. Lo stesso modello è utilizzato in altri Stati membri, con
varianti a volte notevoli. ILPFI, ad esempio, ha ispirato lo sviluppo del 'Betreibermodell' in
Germania.
26 Cfr. il caso dei 'pedaggi virtuali', utilizzati nel quadro di progetti autostradali, in particolare
nel Regno Unito, in Portogallo, in Spagna ed in Finlandia.
27 Ovvero quelli elencati all'allegato IA della direttiva 92/50/CEE ed all'allegato XVIA della
direttiva 93/38/CEE.
28 Ovvero le direttive 93/37/CEE, 92/50/CEE e 2004/18/CE.
29 A titolo d’esempio, ciò può accadere quando i lavori vengono effettuati in una zona
geologicamente instabile o in una zona archeologica, e per questa ragione la portata dei
lavori da effettuare non può essere prevista al momento del lancio della procedura. Una
129
deroga simile è prevista dall'articolo 11, par. 2 della direttiva 92/50, nonché dalla direttiva
2004/18/CE, all'articolo 30, par. 1, b).
30 Articolo 29 della direttiva 2004/18/CE.
31 Articolo 23 della direttiva 2004/18/CE e articolo 34 della direttiva 2004/17/CE.
32 Cfr. articolo 3, par. 1 della direttiva 93/37/CEE, e articoli 56-59 della direttiva 2004/18/CE.
33 Benché la Commissione abbia proposto di includere le concessioni di servizi nella
direttiva 92/50/CEE, nel corso del processo legislativo il Consiglio ha deciso di escluderli dal
campo d'applicazione della stessa.
34 Causa C-324/98. Cfr. anche l’ordinanza del 30 maggio 2002, causa C-358/00, Deutsche
Bibliothek, Racc. I-4685. Questi principi sono applicabili anche agli altri atti statali che
affidano una prestazione economica ad un terzo, come ad esempio i bandi esclusi dal
campo d'applicazione delle direttive a causa del fatto che il loro importo non supera le soglie
d'applicazione del diritto derivato (ordinanza della Corte del 3 dicembre 2001, causa C-
59/00, Vestergaard, Racc. I-9505) o i servizi detti non prioritari.
35 La Spagna (legge del 23 maggio 2003 sulle concessioni di lavori), l'Italia (legge Merloni
del 1994, come modificata) e la Francia (legge Sapin del 1993) si sono tuttavia dotate di
simili legislazioni.
36 Articolo 19 della direttiva 93/36/CEE, articolo 22 della direttiva 93/37/CEE, articolo 27
della direttiva 92/50/CEE ed articolo 31 della direttiva 93/38/CEE. Cfr. anche l'articolo 44
della direttiva 2004/18/CE e l'articolo 54 della direttiva 2004/17/2004.
37 In alcuni stati membri, l'iniziativa privata è oggetto di una regolamentazione specifica (cfr,
in Italia, la legge Merloni ter del 18 novembre 1998 e, in Spagna, il regolamento dei servizi
delle Comunità locali del 1955 e la legge 13/2003 sulle concessioni di lavori del 23 maggio
2003). In altri Stati membri, i PPP di iniziativa privata si sviluppano anche nella pratica.
38 Cfr. causa C-87/94, Commissione c. Belgio (Bus Wallons), sentenza del 25 aprile 1994,
punto 54. Cfr. Inoltre, causa C-243/89, Commissione c. Danimarca (ponte sullo Storebaelt),
sentenza del 22 giugno 1992.
39 Causa C-19/00, Siac Constructions, sentenza del 18 ottobre 2001, punti 41-45; causa C-
31/87, Gebroeders Beentjes c. Paesi Bassi, sentenza del 20 settembre 1988, punti 29-37.
Cfr. anche l'articolo 26 della direttiva 2000/18/CE e l’articolo 38 della direttiva 2000/17/CE.
40 Cfr. la Comunicazione interpretativa sulle concessioni, in particolare il punto 3.1. 3.
41 Articoli 81, 82 e 86, paragrafo 2 del Trattato CE.
42 Cfr causa C-337/98, Commissione c. Francia, sentenza del 5 ottobre 2000, punti 44 e
seguenti. Il diritto comunitario è contrario anche a modifiche intervenute durante la fase di
messa a punto del contratto, dopo la selezione finale dell'offerente prescelto. Le nuove
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disposizioni che disciplinano il dialogo competitivo prevedono a tale riguardo che l'offerente
prescelto possa solo "fornire chiarimenti in merito a taluni aspetti della propria offerta o
confermare gli impegni che vi figurano, a patto che ciò non abbia l'effetto di modificare
elementi sostanziali dell'offerta o del bando di gara, di falsare la concorrenza o creare
discriminazioni."
43 Articolo 46 del Trattato.
44 Causa C-337/98, Commissione c. Francia, sentenza del 5 ottobre 2000, punti 44 e
seguenti. La
Comunicazione interpretativa sulle concessioni precisa a tale riguardo che l'estensione di
una
concessione esistente al di là del termine originariamente fissato debba essere assimilata al
rilascio di una nuova concessione a favore dello stesso concessionario.
45 Cfr. l'articolo 11, paragrafo 3, e) della direttiva 92/50/CEE, l’articolo 7, paragrafo 3, d)
della direttiva 93/37/CEE e l'articolo 20, paragrafo 2, f) della direttiva 93/38/CEE. La nuova
direttiva 2004/18/CE prevede un'eccezione simile per le concessioni di lavori, cfr. articolo 61.
46 L'articolo 13 della direttiva 93/38/CEE prevede una deroga qualora dei subappalti di
servizi siano assegnati da un ente aggiudicatore, operatore di reti, ad un'impresa collegata.
L'articolo 23 della direttiva 2004/17/CE estende questa eccezione ai contratti di subappalto
di forniture o lavori.
47 Articolo 3, par. 4 della direttiva 93/37/CEE e articoli 63-65 della direttiva 2004/18/CE.
Questi ultimi articoli innalzano la soglia di cui sopra a 6.242.000 euro.
48 Articolo 17 della direttiva 93/36/CEE, articolo 20 della direttiva 93/37/CEE, articolo 25
della direttiva 92/50, articolo 27 della direttiva 93/38. Cfr. anche l'articolo 25 della direttiva
2004/18/CE e l’articolo 37 della direttiva 2004/17/CE.
49 Articolo 3, paragrafo 2 della direttiva 93/37/CEE. Cfr. anche l'articolo 60 della direttiva
2004/18/CE.
50 Negli Stati membri in questo contesto sono in uso terminologie e regimi diversi (es.
Kooperationsmodell, PPP associatives, joint ventures).
51 Ci riferiamo al caso di creazione di impresa ex novo nel quadro di un’operazione giuridica
specifica. In compenso non affronteremo specificamente il caso delle imprese miste
preesistenti che partecipano alle procedure d'aggiudicazione di appalti pubblici o di
concessioni, poiché non si tratta di una situazione che possa suscitare discussioni riguardo
al diritto comunitario applicabile. Il carattere misto di un'impresa che partecipa ad una
procedura di appalto non implica infatti alcuna deroga alle norme applicabili nel quadro
dell'aggiudicazione di un appalto pubblico o di una concessione. Solo qualora l’impresa in
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oggetto abbia le caratteristiche di un’impresa "in house", ai sensi della giurisprudenza Teckal
della Corte di giustizia, l’amministrazione aggiudicatrice può tralasciare l’applicazione delle
norme abituali.
52 Si ricorda che i principi del diritto degli appalti pubblici e delle concessioni si applicano
anche quando l'attribuzione di un incarico avviene tramite un atto unilaterale (ad esempio un
atto legislativo o regolamentare).
53 Inoltre, queste condizioni non devono comportare discriminazioni o costituire un ostacolo
ingiustificato alla libera prestazione di servizi o alla libertà di stabilimento, o comportare
restrizioni sproporzionate rispetto allo scopo da raggiungere.
54 In occasione della concezione o dell'organizzazione di tali operazioni, il test consistente
nell’applicazione dei formulari standard – che riprendono gli elementi indispensabili per un
bando che garantisca una buona informazione -, permette del resto di comprendere quanto
possa essere difficile trovare una formula di pubblicità adeguata per l'attribuzione degli
incarichi rientranti nel campo d'applicazione del diritto degli appalti pubblici o delle
concessioni.
55 La partecipazione a una nuova impresa con l’obiettivo di creare legami economici duraturi
è contemplata dalle disposizioni dell'articolo 56 relative al libero movimento dei capitali. Cfr.
allegato I della direttiva 88/361/CEE, adottata nel contesto del vecchio articolo 67, che
elenca i tipi di operazione che devono essere considerati come movimenti di capitali.
56 Cfr. sentenze della Corte del 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione c. Portogallo,
Racc. I-4731; causa C-483/99, Commissione c. Francia, Racc. I-4781; e sentenze del 13
maggio 2003, causa C-463/00, Commissione c. Spagna, Racc. I-4581; causa C-98/01,
Commissione c. Regno Unito, Racc. I-4641. Sulle giustificazioni possibili in questo contesto,
cfr. sentenza della Corte del 4 giugno 2002, causa C-503/99, Commissione c. Belgio, Racc.
I-4809.
57 Causa C-107/98, Teckal, sentenza del 18 novembre 1999, paragrafo 50.
58 La Corte di giustizia è stata investita di tre questioni pregiudiziali (cause C-26/03, C-
231/03 e C-458/03) miranti a ottenere una chiarificazione complementare sulla portata dei
criteri che consentono di accertare l’esistenza di una relazione del tipo 'in house.'
59 Ciò deriva dal principio di neutralità del Trattato riguardo al regime di proprietà, sancito
dall'articolo 295 del Trattato.
60 Articolo 56 e seguenti del Trattato CE.
61 Cfr. la Comunicazione della Commissione relativa ad alcuni aspetti giuridici attinenti agli
investimenti intracomunitari, GU delle CE n° C 220 del 19 luglio 1997, p.15.