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“il Fuori si accorga che il Dentro è una sua parte” Periodico di Informazione sulla Salute della Casa di Reclusione Milano - Bollate Anno 3 - Marzo 2010 N.3 PSICOLOGIA PSICHIATRIA

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“il Fuori si accorga che il Dentro è una sua parte”

Periodico di Informazione sulla Salute della 2° Casa di Reclusione Milano - Bollate

Anno 3 - Marzo 2010 N.3

PSICOLOGIAPSICHIATRIA

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EDITORIALECONDIVISIONE TRA CARCERE E SOCIETÀ

i andavo ogni sabato(nel carcere di Re-bibbia, n.d.r.). En-

t r a v o i n t u t t e l e c e l l e .Bussavo, quelli guardavanodallo spioncino, mi aprivanoe conversavo con loro. (...)Delinquenti, assassini, mapiù che altro uomini soffe-renti. Ne ricordo uno in par-t i c o l a r e , s i e r a m o l t oaffezionato e voleva sempreche cenassi con lui. Avevasparato a un tizio su un au-tobus per motivi passionali,l ’autobus era usci to distrada: insomma, un ma-cello. Un altro era finitodentro per aver uccisol’uomo che aveva violentatosua moglie incinta. E miviene in mente quel giornoche passeggiavo sul balla-toio con un carcerato e glidicevo scherzando: ‘San-t’uomo, cos’hai combinatoper essere qui?’ E lui, soave:‘Ne ho ammazzati due colcoltello’, come se fosse lac o s a p i ù n o r m a l e d e lmondo. (...) Facevo da por-talettere e da fattorino. Lemogli mi affidavano pac-chetti da recapitare ai ma-riti, sigarette, cibo, generi diconforto. E quando tornavoin convento il sabato sera fa-cevo un giro di telefonate aifamiliari che il giorno doposarebbero andati a trovarli,per informarli di come sta-vano e di cosa avevano

bisogno...».Chiedo scusa per la lun-ghezza della citazione, chemi pare però esprima moltobene, per contrasto, quelloche ancora non funziona nelrapporto tra il carcere e lasocietà esterna. La parolachiave è: condivisione. Ilpunto è che noi, quelli fuori,non siamo interessati a uncarcere che misceli la penacon la riabilitazione, la puni-zione con la costruzione diuna nuova persona. Ci rassi-cura un carcere con murasempre più alte, con portonisupercorazzati dalle serra-ture inespugnabili. Siete fi-niti in galera? Si vede che velo siete meritato. Mi spiace,peggio per voi.Di quanto questo dialogo siadifficoltoso si è avuta testi-monianza in questi ultimitempi con i commenti allascarcerazione, dopo noveanni di reclusione, di Omar,il giovane protagonista,quando era ancora min o -r e n n e , i n s i e m e a l l agiovane fidanzata Erika, diun orrendo delitto. Sui gior-nali il tono è stato unanime:sconcerto, indignazione, in-credulità, senso di ingiusti-zia, sproporzione assolutatra delitto commesso e penascontata. E mi limito qui alleconsiderazioni ripetibili,perché spesso poi i toni e leinvettive hanno abbondan-

temente tracimato. Fuoridal coro, i soliti quattro ocinque preti di frontiera,che sembra vivano su unaltro pianeta.Eppure. Eppur si muove.Eppure qua e là, dentro efuori, si coglie il segno, ma-gari ancora timido, di un at-teggiamento diverso, di unaattenzione, di una presa diresponsabilità. Poco inclinealla luce dei riflettori maoperoso nella quotidianità. A me pare che molto diquello che si costruisce al-l’interno del carcere di Bol-late, la stessa esperienzadegli Sportelli Salute, sia inquesto senso emblematica.È un percorso lungo, comedel resto la stessa esperienzadi Salute InGrata. Un gior-nale, lo voglio ricordarea quanti ci leggono, impa-ginato e scritto, tranne qualche col laborazioneestemporanea come questa,interamente da detenuti.Che, manuale alla mano, sisono improvvisati grafici.Che si sono autonominatiredattori, senza avere maimesso piede in una reda-zione. È un percorso lungo.Se tra dentro e fuori, tra car-cere e società, non ci saràsolo separazione ma invececondivisione e scambio, ilcammino potrà essere piùfruttuoso. Per tutti.

Angelo MajDirettore

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2 EDITORIALEAngelo Maj

4-5 GUARDIAMOCI NEL NOSTRO OCCHIO SANO

Dott. Roberto Bezzi

6 LA CIVILTÀDOPO BASAGLIAIsidoro Bossio

8-9 LIMITAZIONI IN CARCERE

Dott.ssa Sara ManfrediniDott.ssa Lucia Manigrasso

10-11 RESTARE PADRE OLTRE IL CARCERE

Dott.ssa Lia Sacerdote

12-13 INTERVISTA AL SOVRINTENDENTE

La Redazione

14 EVASIONE O DISPERAZIONERoberto Allegri

15 INGANNO O MISTEROMario Spina

16-17 INGRATO STRESSDott.ssa S.ColdesinaDott.ssa G. FoianiDott. W.Troielli

18-19 ARRABBIARSI IN MODO SANO

Dott.ssa Silvia Landra

20 PSICOLOGIA TRAMADRE E FIGLI

Francesca Curinga

21 IMMAGINI TROPPO CRUDE

Sabrina De AndreisCesarina ejeda

22-23 ARIA COME CURAFrancesco Siragusa

24-25 GENITORI DENTROCooperatia Spazio Aperto

26-27 IL CUORE DEI DISABILIIvano Liccardo Anna Valentino

DIRETTORE RESPONSABILEAngelo Maj

VICEDIRETTORIAntonino BartolottaViviana BrinkmannMatilde Napoleone

SEGRETERIAVincenzo Micchia

Diego PisanoCAPO REDATTORE

Renato VallanzascaVICE CAPO REDATTORE

Roberto AllegriIsidoro BossioREDAZIONE

Pasquale Cesarano Daniele Gravagno

Ivano LiccardoEnzo ViscigliaFREELANCEEnzo BerlingeriPiero Cunsolo

SUPERVISORE SCIENTIFICORoberto Danese

REDAZIONE AL FEMMINILECAPO REDATTRICE

Francesca CuringaVICE CAPO REDATTRICE

Sabrina De AndreisREDAZIONE

Cesarina TejedaSEGRETARIAPatrizia Milesi

REDAZIONE 7°RCAPO REDATTORE

Francesco SiragusaREDAZIONE

Paolo Cirillo SEGRETERIAEnzo Cesarano

DISEGNATOREJamal Zali

TRADUTTORICesarina Tejeda

CORRETTORI TESTIMassimo D’OdoricoAndrea MammanaART DIRECTORRocco Squillacioti

FOTOGRAFIA INTERNAAntonio Sorice

SCREENING IMMAGINIVincenzo Tarantino

IMMAGINI E FOTO ESTERNEEster Luisa Lanfranchi

AMMINISTRAZIONEDiego Pisano

LOGO Giuseppe Cassano

HANNO COLLABORATORoberto Allegri

Singh BalvirAntonino Bartolotta

Roberto BezziIsidoro Bossio

Viviana BrinkmannGiuseppe Castiglia

S. ColdesineGianfranco ColettiOmar Confalonieri

Roberto CurcioFrancesca CuringaSabrina De Andreis

G.FoianiCarla Fregoni

Giovanni GarrisiSilvia Landra Loris Laera

Ivano Liccardo Mario Maccione

Angelo MajAndrea Mammana

Sara ManfrediniSettimo ManfrinatoLucia Manigrasso

Claudio Marchitelli Alida Parisi

Matteo PintomarroSergio PrincipeLia Sacerdote

Francesco SiragusaMario Spina

Rocco SquillaciotiCesarina Tejeda

W. TroielliAnna Valentino

STAMPAMIOLAGRAFICHE S.r.l.

Via N.Battaglia, 27 20127 MilanoEDITORE

Associazione di VolontariatoGli amici di Zaccheo-LombardiaSede Legale Via T. Calzecchi, 2

20133 Milano Tel. 02/33402990 Cell. 347 7402524

[email protected]

Aderente alla ConferenzaRegionale Volontariato

Giustizia della LombardiaAderente alla Federazione

Nazionale dell’Informazione dal carcere e sul carcere

Questo numero è stato chiuso in Redazione il22/03/2010 alle ore 18: 00

TIRATURE COPIE 12.000

LA REDAZIONE SOMMARIO

27 SAPER ASCOLTAREAndrea Mammana

28 INSEGNARE IN CARCEREAlida Parisi

5 RACCOLTA PER M.S.FViviana Brinkmann

7 BIOGRAFIA IN PILLOLE Antonino Bartolotta

9 SINTESI SUL QUESTIONA-RIO SPORTELLO SALUTE ESALUTE INGRATALa Redazione

13 MUSICA E PSICOLOGIAMario Maccione

23 L’OCCHIO DELLADONNASabrina De Andreis

25 CAMMEO STORICOLoris Laera

29 IL SIKHISMOSingh Balvir

30 I REPARTIIL DIALOGO COMEANTIDEPRESSIVO

Roberto CurcioGiovanni GarrisSettimo ManfrinatoMatteo Pintomarro

31 I REPARTIUNA PROMETTENTEDECISIONE

Omar ConfalonieriClaudio MarchitelliSergio Principe

31 RIDERE FA BUON SANGUE

Giuseppe Castiglia

31 PASSATEMPORocco Squllacioti

31 POESIAAndrea Mammana

Anno 3 - Marzo 2010 N. 3

RUBRICHE

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Analogie tra farmaci e stupefacenti

GUARDIAMOCI NEL NOSTRO OCCHIO SANODisagio psichico

urante la detenzioneil numero di ristrettiche si rivolge agli

esperti psicologi e psichiatriè molto alto. Tale dato po-trebbe apparire ovvio, vistola difficile condizione sog-gettiva nella quale si trova ildetenuto ma in realtà nonsempre si tratta dell’espres-sione di un reale bisogno diascolto e sostegno. Le paure e le fragilità che ilcarcere slatentizza fannoparte degli effetti che le isti-tuzioni totali comportano intermini regressivi e ciò siesprime spesso con una ri-chiesta di cura in senso psi-cofarmacologico. Il rapporto con il farmaco sisviluppa in modo analogo aquello con le sostanze stupe-facenti: allontana il pro-blema, attenua la percezionedella realtà, è una rassicu-rante via di fuga. Certamente la terapia far-

macologica è un mezzoutile per la cura (all’internodi una presa in carico piùampia) di alcune patologiem a s p e s s o è r i c h i e s t oanche da chi in realtà nonne è affetto. Il farmaco, poi, “non chiedenulla” nel senso che noncomporta una messa in di-scussione, un’elaborazionedella propria storia affettivae lo sforzo di aprirsi all’altro(cosa che invece caratterizzaun percorso di sostegno psi-cologico o di psicoterapia) eal lora viene idealizzatoquale soluzione.In una sorta di circolo vi-zioso, quando il detenutoinizia una terapia il perso-nale mette in atto una modalità di controllo/sorve-glianza più forte, proprioperché “se prende gli psico-farmaci” è un soggetto a ri-schio. E se quel detenuto haun problema (non per forza

legato ad aspetti psichici)tutti noi operatori lo colle-ghiamo al settore “psico” eallora deve intervenirel’esperto. Da qui al la st ig-matizzazione i l passo èbreve. Ed ecco che abbiamocreato “il matto”.Lui ci crede, forse tale statusgli permette qualche atten-zione in più o maggiore in-dulgenza da parte delpersonale e il sintomo siacuisce. Allora il colloquiocon lo psichiatra diventauna sorta di contrattazionesulla quantità di farmacosomministrabile. E dato cheproprio il farmaco è l’og-getto del desiderio a pocovale l’intervento degli altrioperatori perché lui “è ma-lato”. I processi di stigmatizza-zione sono delle trappolenelle quali noi operatorispesso cadiamo, creandoetichette e tipizzazioni cheattengono più al senso co-mune che a costrutti scienti-fici (“il matto”, appunto, “iltossico”, etc.).Si può rompere questa spi-rale? Forse sì, con lo sforzoda parte di tutti gli operatoridi uscire da repertori narra-tivi comuni e cercando diprendere contatto con lapersona senza colludere conil sintomo, ricordando l’uni-cità di chi ci sta di fronte el’impossibilità di incasellaretutto e tutti in comodi e

DDott. Roberto BezziCapo Area Educativa

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scontati “tipi”.Il lavoro di rete tra tutti glioperatori (contro la parcel-lizzazione degli interventi) èun buon metodo per evitaredi incorrere in errori, cosìcome – per taluni casi – l’of-ferta di un trattamento“normalizzante” può essereutile.Il paradigma narrativisticoindica quale strada per la re-lazione di cura quella diuscire dalle categorie e daglischemi per rompere la coe-renza narrativa (“sono ma-

lato”, “sono de-presso”) e cam-biare discorso.Lo scrittore sve-dese Per Gun-nar Evander nelsuo romanzo“Se mig i mittf r i s k a ö g a ”(Guardami nelm i o o c -c h i o sano)ha trattato il tema della ma-lattia mentale, evidenziandoche – essendoci in ognunodi noi una parte malata –

tutto dipende da qualeparte ci guardiamo.Ciò vale sia per i detenuti siaper gli operatori.

GRAZIE PER LA VOSTRA GENEROSITÀ!

Abbiamo terminato la raccolta fondi promossa dall’associazioneGli amici di Zaccheo per i bambini di Haiti, colpiti dal terribile ter-remoto.

Come annunciato e concordato con MEDICI SENZA FRONTIERE,sul Fondo Emergenze, è stata trasferita la cifra raccolta, affinchèpervenga immediatamente a beneficio dei minori.Grazie di vero cuore a tutti per la solidarietà e generosità, in parti-colare ai reparti 2°, 7° e al Femminile!

Viviana BrinkmannPresidente

Ass.ne Gli amici di Zaccheo

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Istituzione totaleLA CIVILTÀ DOPO BASAGLIALuoghi e contenuti dell’assistenza

econdo l’Oms (Orga-nizzazione Mondialedella Sanità) i di-

sturbi psichiatrici sono lepatologie che causano laquota più rilevante di disa-bilità: più del cancro o dellemalattie infettive. In parti-colare nella fascia di età 15-44 anni e quindi , conpesanti ricadute socio-eco-nomiche; il mondo pertantosi sta attrezzando. E l’Italiache cosa fa?A oltre 30 anni dall’entratain vigore della legge Basaglia(L. 13 maggio 1978, n.180),l’attivazione di un sistemainformativo nazionale per lasalute mentale è ancora unobbiettivo da raggiungere.In Italia sembra riemergerela logica dei manicomi etorna la medicazione dei di-sturbi mentali. Le personerischiano di nuovo di essererinchiuse dentro mura più

spesse di quelle di un mani-comio. Sono le mura co-struite dalla forza delmodello medico e dal ri-torno prepotente di unapsichiatria che vede solomalattia. La legge 180 estata un’ importante conqui-sta di civiltà, riconosciutacome tale a livello interna-zionale. Il principio che i di-s t u r b i m e n t a l i v a n n oaffrontati quanto possibilenella comunità, riservandol’ospedalizzazione ai casiacuti e attuandola in repartidegli ospedali generali, èoggi accettato in tutto ilmondo. I luoghi in cui vienepraticata l’assistenza psi-chiatrica sono importanti,ma ancora più importantisono i contenuti dell’assi-stenza. L’Italia è oggi in ri-tardo rispetto ai PaesiEuropei più evoluti perquanto riguarda vari aspetti

della tutela della salutementale. Molto spesso i fa-migliari sono abbandonati aloro stessi nel gestire il con-giunto malato. Con gravi ri-schi perché certi disturbi avolte nascono nell’ambientefamigliare. La psicoterapiadovrebbe coinvolgere di piùi parenti e, in caso di emer-genza, dovrebbe essere unarisposta anche domiciliare.Almeno un terzo di tutti isintomi fisici che arrivanoall’osservazione medica è ri-conducibile a un disturbomentale. Sono in tanti gliitaliani ai quali capita, du-rante la vita, di andare dauno psichiatra, un neuro-logo, o fare uso di psicofar-maci per problemi legati allaloro psiche. Dall’attacco diansia al piccolo e momenta-neo abuso alcolico, da unacrisi sentimentale passeg-gera a disagi se c’è un mutuoda pagare. Altri, invece, sof-frono di schizofrenie o di-sturbi mentali severi: dalladepressione grave agli squi-libri di personalità. Poco piùdi trenta anni fa sarebberostati tutti chiusi in manico-mio. Poi è arrivato FrancoBasaglia con la sua battagliache si è trasformata in legge,ma che ancora, 30 annidopo, è incompiuta. Anzi,qualcuno vorrebbe aprire imanicomi: con nome di-verso, moderni e attrezzatima pur sempre manicomi.

Isidoro Bossio

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BIOGRAFIA IN PILLOLE

asaglia, Franco (Ve-nezia 1924-1980),psichiatra italiano, fu

il principale esponente delDopo una prima esperienzadi profonda riforma dell’isti-tuzione manicomiale, com-piuta presso l ’ospedalepsichiatrico di Gorizia, fu di-rettore dell’ospedale psi-chiatrico di Colorno-Parmae di quello di Trieste. Le sueidee influenzarono le tecni-che di cura e di riabilita-zione dei malati di mente eispirarono la riforma dell’as-sistenza psichiatrica ita-liana, promulgata con lalegge n. 180 del 1978, chestabilì la chiusura degliospedali psichiatrici, al cuiposto subentrarono i cen-tri di igiene mentale e lacostituzione di piccole co-munità assistite in appo-site case-alloggio.Secondo Basaglia la psichia-tria era servita a salvaguar-dare la stabilità sociale e irapporti di potere nella so-cietà, fornendo una motiva-

zione scientifica alla segre-gazione dei malati di menteentro le mura dei manicomi.In realtà lo squilibrio men-tale, nel pensiero di Basa-glia, ha cause di originesociale: infatti, quando nonpuò essere accertata una de-rivazione organica, il di-sturbo mentale sarebbe damettere in relazione con si-tuazioni di disagio come lapovertà, l’emarginazione, latossicodipendenza e la de-vianza sociale, che dannoorigine a sofferenza psichicae, di conseguenza, a senti-

menti intensi di ribellionecontro condizioni ambien-tali e sociali vissute comeprofondamente ingiuste.Nella sua esperienza di pri-mario dell’ospedale psichia-trico di Gorizia e, in seguito,di Trieste, Basaglia si reseconto che il malato di menteaveva bisogno di cure, masoprattutto di un rapportoumano in cui essere consi-derato come soggetto e noncome oggetto.Tra le sue opere ricordiamoL’istituzione negata (1968)e La maggioranza deviante(1971). Dopo la sua morte,curati dalla moglie FrancaOngaro Basaglia, sono statiraccolt i due volumi discritti: Dalla psichiatria fe-nomenologica al l ’espe-r i e n z a d i G o r i z i a eDall’apertura del manico-mio alla nuova legge sul-l’assistenza psichiatrica(1981-82).

Antonino Bartolottaco-Vice Direttore

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Il lavoro degli psicologi

LIMITAZIONI IN CARCEREAumentare il lavoro di rete

l carcere, per le suecaratteristiche strut-turali, sociali e rela-

zionali, richiede a tutticoloro che lo frequentanouno sforzo di adattamentoad esso. L’esperienza profes-sionale maturata in questianni di lavoro, ci consente diaffermare che l’ambientecarcerario porta consé implicazioni im-portanti che produ-cono disagio econdizionano i sog-getti sotto il profilointrapsichico e com-portamentale; inten-diamo per “soggetti”tutti coloro che, avario titolo, sonocoinvolti in esso: po-liziotto, operatore,volontario, detenuto,ecc.Ad esempio il carcerelimita la vita affettiva, ses-suale, relazionale delle per-sone recluse, attiva statipsicologici di regressione ederesponsab i l i z z a z i o n eche possono accentuare aspetti disfun-zionali della personalità. Ildisagio del detenuto è statoraccontato dalla collega psi-chiatra dott.ssa Landra, nelsuo articolo, pertanto noi cidedicheremo al disagio checoglie gli operatori e, purconsapevoli di semplificaremagari riducendo anche ec-cessivamente il tema dello

stress in carcere, vogliamoevidenziare almeno dueaspetti che riteniamo stres-sogeni :1) il carcere, soprattutto nelsuo sforzo di divenire sem-pre più “sistema aperto”, sicaratterizza per una grandecomplessità relazionale;2) gli operatori penitenziari

incontrano quotidiana-mente persone cariche disofferenza, affrontano quo-tidianamente colloqui daicontenuti emotivamente ca-richi e spesso con personeche esprimono dinamichepsichiche complesse, di-sfunzionali e talora ancheinsane. Capita anche di in-tervenire in emergenza sullaminaccia di auto/etero a g g r e s s i o n e o d i g e s t iauto/etero lesivi compiuti.Tutto questo pesa sul vis-suto affettivo, tanto più se viaggiungiamo aspetti tran-

sferali o controtransferali.Spesso questi due aspetti siintersecano, ad esempio lad-dove la vastità e la comples-s i tà del le re laz ioni tradiverse competenze - di cuipatisce l’influenza pure ildetenuto- sollecita o nonpermette di gestire adegua-tamente il disagio altrui.

E’ bene essere consa-pevoli di quanto unorganigramma istitu-zionale confuso o nonchiaro nelle mentidegli operatori possaprodurre livelli di in-tervento inefficaci e/ostressogeni con di-spersione di energie edi r isorse. Questospesso accade quandole parti coinvolte sonoper lo più esterne e“burocratizzate” e simuovono dunque con

propria organizzazione, pro-prie modalità e propri tempidi intervento. La riflessione condivisa suquesto aspetto ha portato,almeno nel nostro carcere,all’istituzione di numerosimomenti “formali” di condi-visione tra operatori; in pri-mis possiamo citare leriunioni multidisciplinari direparto che hanno l’esplicitoobiettivo di agevolare la co-municazione tra operatori,sciogliere i nodi relazionali efacilitare la reciproca cono-scenza delle persone, dei

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ruoli e delle competenze.Di fatto sono interventicome questo ad avere effi-cacia su aspetti di criticità ingrado di indurre difficoltàprofessionali che, se croni-cizzate, ingenerano stressnegli operatori.Il lavoro degli psicologi, masupponiamo anche dell’ope-ratore carcerario, viene inol-tre complicato fortementedalla questione del doppiomandato “peritale e tratta-mentale”. Ci troviamo quo-t idianamente a dovere

esprimere una valutazionein merito alle persone cheincontriamo, ma anche astabilire quell’alleanza fidu-ciosa con l’interlocutore cheporti costui ad aprirsi ad untrattamento, condizione dif-ficilmente realizzabile lad-dove il rischio del giudizioviene pesantemente sentitocome minaccia all’otteni-mento delle sperate possibi-lità di conquista di maggiorispazi di libertà (permessi,misure alternative ecc.). Per affrontare lo stress del-

l’operatore che in alcuni casipotrebbe giungere fino allasindrome del burn-out, indi-spensabile è la corretta per-cezione del proprio livello di“fatica” e dei problemi che loinducono, come pure delleproprie difese. Ma ancor dipiù sono indispensabili re-golari supervisioni cliniche eun costante e buon aggior-namento professionale.

Dott.ssa Sara Manfredini Dott.ssa Lucia Manigrasso

Nel primo numero di gennaio, abbiamo proposto un Questionario su vari temi cheriguardano il gradimento dei lettori. La risposta è stata soddisfacente, in quanto piùdi un terzo dei detenuti ha dato pareri per noi fondamentali. Il dato più importanteper quanto riguarda Salute inGrata è stato la domanda N°8: la risposta positiva perl’86,73% ha gratificato tutti i volontari che cercano di esprimersi al meglio, affinchéil tempo dedicato con tanta volontà, e a volte fatica, non sia utopia. La domanda N°1ha registrato il dato più alto in percentuale: si nota l’interesse per le problematicheconcernenti la salute con il 14,5% e un buon 11,37% per la psicologia; un altro datopositivo si evince dal fatto che i nostri scritti non sono complicati e dunque accessibilia tutti. Per il Questionario Sportello Salute, si è verificato un forte interesse per laprevenzione della malattia con il 92,56%; la preoccupazione delle infezioni, il 22,29%e le malattie infettive 22,97% mentre il 44,23% dei detenuti ha espresso il desideriodi avere più comunicazione con medici e specialisti. L’89,88% dei detenuti ha di-chiarato che lo Sportello Salute è un’ iniziativa utile motivando ulteriormente glisforzi da parte dei volontari.Riassumendo tutte queste noiose percentuali e dati, la motivazione primaria è quelladi ringraziare per l’adesione e l’interesse da voi dedicati, perché ci danno la possibi-lità di poter lavorare con maggior volontà e soddisfazione portando fuori dalle murala vostra e nostra voce con impegno. In ugual misura con lo Sportello Salute cer-chiamo, di fornire ascolto alle persone sofferenti che richiedono aiuto per le loro pro-blematiche. Un sentito ringraziamento a tutti voi che avete aderito al Questionarioe un sincero saluto a tutti i detenuti e lettori della 2° Casa di Reclusione di Milano-Bollate.

Sintesi sul questionario di Salute inGrata e Sportello Salute

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BambinisenzasbarreRESTARE PADRE OLTRE IL CARCERE

Il “filo biografico” durante e dopo la detenzione

iamo al terzo incon-tro, ancora all’iniziodel percorso di for-

mazione che coinvolge ilgruppo di padri che ha de-ciso di lavorare sul temadella genitorialità in carceree durerà f ino al l ’estateprima di poter fare un reso-conto del lavoro fatto, perora solo impressioni e aspet-tative.Da parte di noi operatori en-tusiasmo e partecipazioneforte per un percorso che co-nosciamo molto bene peraverlo fatto insieme a moltipadri detenuti a San Vittoree ora anche a Bollate.I l gruppo è formato dapadri, con uno o più figli, al-cuni neopadri da qualchemese, emozionati e preoccu-pati per non poter esserepresenti quotidianamente,vicini alla propria compagnae al proprio bambino. È la condizione di separa-zione dei genitori dai propri

figli su cui da dieci anniaiuta a riflettere l’associa-zione Bambinisenzasbarre,nata con questa missione: ilmantenimento della rela-zione genitoriale durante ladetenzione.Ed è su questa separazioneforzata, i suoi problemi e cri-ticità che anche a Bollate or-ganizza riunioni settimanalidi condivisione di pensieri edi esperienze.Per i problemi che richie-dono un lavoro individualeci sono i colloqui personalinelle varie sezioni, per al-cuni si tratta di vere e pro-prie prese in carico, cheseguiamo a lungo, per ritro-vare una normalità di rap-porti durante la detenzione,dove trovare un nuovo as-setto dell’equilibrio fami-liare messo a dura prova dalcarcere.L’associazione lavora daanni su questo tema con lemadri e i padri detenuti, in

tutte le fasi della detenzione,dall’arresto, un impattotraumatico per il sistema fa-miliare, al periodo della de-tenzione definitiva dove siraggiunge un nuovo mododi vivere le relazioni fami-gliari, anche quelle che nonce la fanno a superare laprova del carcere riservandoin questi casi al manteni-mento del legame coi figli illoro rapporto con la famigliae l’esercizio del proprioruolo genitoriale.Il focus del nostro lavoro dioperatori psicopedagogici èsempre il bambino, con isuoi bisogni, i suoi tempi,nelle varie età e fasi dellavita, su questo decentra-mento da sé ai figli ruota ilnostro intervento che è for-mativo e diventa una bus-sola per noi ma anche per igenitori che trovano unsenso anche alla propria sof-ferenza dovuta alla separa-zione che in carcere è tanta.Il filo che connette i pensieriè quello biografico che si in-treccia con i tempi del car-c e r e , l a d u r a t a d e l l adetenzione e incontra quellodel gruppo, che contiene lememorie individuali e fa delgruppo un organismo con

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una sua identità e sensibi-lità.Ogni gruppo ha una propriaesistenza, alcuni duranomolto, come quello storicoche inaugurò non solo il no-stro lavoro a San Vittore, main generale il lavoro sulla ge-nitorialità in carcere e cheha aperto la strada a rifles-sioni e pratiche su cui cisiamo formati come opera-tori “specializzati”, oggi con-solidate e riconosciute comenecessarie. Il gruppo si è appena costi-tuito e deve rinforzare i rap-porti, fortificare le relazionie le fiducie reciproche, senzafiducia non si può attraver-sare e condividere l’intimitàdel dolore della separazione,di ricordi e memorie fami-

liari riservate. La fiducia èassicurata anche dalle regoleche il gruppo si è dato, lineedi comportamento che ri-guardano la partecipazionevolontaria, il non giudizio, ilrispetto reciproco e quindila consapevolezza che il pa-rere è personale e va rispet-tato anche se non condiviso,l’impegno alla riservatezza,la partecipazione attiva, re-gole che rappresentano i va-lori di un lavoro e di unospazio del gruppo che di-venta protetto e solidale.Il programma è fatto dallenecessità stesse dei parteci-panti, i loro bisogni di infor-mazione e di espressione.Sappiamo per esperienzache è un lavoro che ha molti

destinatari, per primi i bam-bini che possono contare suun papà che vuole fare ilpapà anche se in carcere e ilgruppo è la sua scuola per-sonale, ma ci sono anche ifamiliari, le compagne chehanno il peso della quotidia-nità senza l’appoggio spessodell’unico sostegno della fa-miglia, ma anche le propriemadri, nonne che a voltehanno un ruolo decisivonella tenuta della famiglia,compagne e figli, presentinei racconti e nelle emo-zioni. Un lavoro di gruppoche può diventare tempo vi-tale di progettazione.

Dott.ssa Lia Sacerdote

ATTIVITÀ 2010

Spazio Giallospazio integrato socio-educativo di accoglienza dei bambini che si preparano al colloquio conil genitore detenuto per attenuare l’impatto con il carcere e gestire il difficile tempo dell’at-tesa. Sono presenti operatori psicopedagogici, con funzione di accompagnamento e sup-porto. Servizio attivo tutti i giorni.

Punto famigliaspazio di consulenza all’interno della sala di attesa, pensato per accogliere le richieste di so-stegno delle famiglie. Servizio attivo tutti i giorni e/o su appuntamento

Colloqui individuali – sostegno alla paternitàdi sostegno psicopedagogico nelle diverse sezioni dell’Istituto in rete con gli operatori interniall’Istituto e quelli esterni degli enti locali e del privato sociale sul territorio. Servizio attivo il martedì e/o su richiesta.

Incontri di gruppo per padri Incontri sull’essere padri oltre il carcere, sulle difficoltà che comporta la separazione dai pro-pri figli. . Incontri il mercoledì.

Incontri con gli agenti di polizia penitenziaria sulle tematiche della relazionegenitoriale.

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Un’importante e delicata funzioneI COLLOQUI

Intervista al vice sovrintendente

intervista al sovrin-tendente colloquiGianfranco Coletti

Vice Sovrintendente, èLei che si occupa dei col-loqui tra detenuti e fa-miliari? Vuole spiegarecome si svolgono?Sì, unitamente ad altri mieicolleghi, mi occupo dei col-loqui fra i detenuti e i proprifamiliari.I colloqui sono organizzatiin giorni e orari prefissati esuddivisi per reparti di ap-partenenza.All’ingresso dei familiari edopo gli accertamenti dirito, è rilasciato un contras-segno il quale da la possibi-lità al familiare di lasciareun pacco o fare un versa-mento sul conto corrente deldetenuto. I familiari sonoinvitati a lasciare gli oggettinon consentiti nelle appo-site cassette custodite achiave. In seguito gli stessisono perquisiti dagli agentipreposti e accedono nellesale colloqui, dove possonoincontrare il detenuto/a. Nel frattempo, in un’altrasaletta, anche il detenuto/aè stato sottoposto a con-trolli.La struttura dove avven-gono i colloqui pensa siaidonea o sufficiente?Cosa si può fare per mi-gliorare?I locali sono idonei, acco-glienti e ben tenuti, ma non

sufficienti per l’afflusso neigiorni prefestivi, tanto più acausa dell’aumento della po-polazione detenuta di circa il30% avvenuta negli ultimitempi. Non è possibile mi-gliorare la struttura poichégli spazi sono proporzionatia una popolazione detenutainferiore. Nel periodo estivo non ri-scontriamo grossi problemiperché la struttura ha ungiardino adibito a colloquiall’aperto, attrezzato di ga-zebo e tavolini con sedie eombrelloni. Per di più, inquest’area, ci sono dei ca-valli e, una volta l’anno, èconcessa la possibilità di in-contrarsi con il proprio ani-male domestico.Come vi rapportate coni familiari dei detenuti?Il rapporto è stabilito dagliaddetti in modo cordiale erispettoso, dico ciò dai ri-

scontri rilevati dai familiarie dalla Direzione.Gli agenti che svolgonoquesta funzione sonoselezionati e compionoun corso di formazione? No, non fanno corsi partico-lari di formazione, sono glistessi agenti a farne richie-sta scritta in base alla qualeviene stilata una graduato-ria. Come gestite il rapportocon i minori e tutte leproblematiche del caso?All’ingresso dell’istituto vi èuno spazio dedicato ai mi-nori che è gestito da volon-tari, chiamato Spazio Giallo.Questa iniz iat iva aiutamolto sia i bambini sia i fa-miliari, poiché ai bimbi,avendo la possibilità di gio-care e disegnare, evita lostress dell’attesa.L’unico momento non moltopiacevole per i l minore

Gianfranco ColettiPolizia Penitenziaria

L

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è quando viene eseguita laperquisizione al genitore eagli stessi. I minori hanno lapossibilità di fare il collo-quio con il proprio familiarein ludoteca, luogo dove ilbambino insieme ai proprigenitori può giocare su degliappositi tappetini e altri gio-chi a misura dei minori.Avvertite lo stress e il di-sagio dei familiari?Lo avvertiamo solo neiprimi colloqui. Dopo qual-che tempo non si nota più;riscontriamo situazioni

stressanti in occasione dilunghe attese dove è moltoalto l’afflusso di visite.Riscontrate stress tra idetenuti in attesa di col-loquio?Certamente c’è ansia nell’at-tesa del colloquio, ma lostress maggiore è nel ri-chiamo alle regole di corret-tezza e di comportamentoche vigono per ragioni di si-curezza.Gli operatori e gli agentipreposti al servizio col-loqui riscontrano stress

da lavoro?Sicuramente sì, vista la deli-catezza del ruolo, tanto piùnelle giornate di forte af-flusso.

MUSICA E PSICOLOGIA

utti sanno che lam u s i c a p r o d u c evari effetti sulla no-

stra psiche, l’uomo in ge-nerale ha bisogno dellamusica, che lo voglia o no,non può farne a meno.In carcere, in qualche modola musica assume un’impor-tanza diversa, forse più pro-fonda perché fa evaderedalla triste realtà o perchérisveglia vari ricordi belli obrutti…Posso dire dalla mia espe-rienza come responsabiledella sala musica del 1° re-parto e ora come responsa-bile insieme a Marco Cabonidel progetto “FreedomSounds”, che la musica pro-duce sui miei compagni didetenzione effetti assoluta-mente benefici.Ho visto persone cambiaredrasticamente il loro mododi pensare e i loro orienta-

menti, dopo un po’ di tempoche suonavano o impara-vano a farlo.La gente si sente protagoni-sta quando suona, si con-centra sulla musica e nonpensa ad altro, perché ci sisente soddisfatti e appagati.La musica è sicuramente unottimo strumento di recu-pero della persona, aiuta as f o g a r e g l istati d’ansia esoprattutto tirende protago-nista di qual-cosa. Se suoniin un gruppohai un ruolopreciso e devientrare in sim-biosi con altri,è come cono-scersi e fareamicizia, dac o m e s u o n iuno strumento

o canti una canzone vienefuori il carattere e le proprieemozioni.La musica è un mezzo po-tentissimo per curare la psi-che delle persone, io stessoho provato cosa vuol dire. Suonare può fare questamagia e, nonostante sei rin-chiuso, grazie ad essa, sarailibero.

Mario Maccione

T

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Suicidi in carcereEVASIONE O DISPERAZIONE

Depressione e autodistruzione

n questo inizio anno2010, i giornali e late levis ione, hanno

abbattuto il tabù d e i silen-ziosi suicidi all’interno dellecarceri, e ci hanno bombar-dato con dati più che preoc-cupanti, anche perché, maicome il 2009 ha registrato lapercentuale di suicidi piùalta di questi ultimi cin-quanta anni. Il sovraffolla-mento inumano, è ilsint o m o d i u n a m a l a t -t i a sociale, ma ciò nono-stante tutto è tornato nelsilenzio malgrado i decessicontinuino a ruota liberanell’hotel della libertà per-duta.Analizzare questo fenomenoè assai complicato, un pro-blema che non siamo riuscitia superare, scompare nelcorpo! Le persone che cer-cano la morte non ci dannoindizi di quali tormentosistati può provocare un gestocosì autodistruttivo, macerto l’incidenza è più altanelle persone alla loro primacarcerazione. Quando entriin carcere si aprono duegrossi portoni, prima di ar-rivare all’ufficio matricola:in una stanza sei fotogra-fato, e poi con un rullo d’in-chiostro passato sulle mani,ti prendono le impronte di-gitali, lo straccio non riescea portare via la sporciziadalle dita, da quel momentola storia cambia la tua vita.Ti sono ritirati i tuoi effettipersonali, e ti consegnanoimitazioni di cuscini, mate-rassi, lenzuola etc. etc.

Ora sei un effetto senzanome, indirizzo, e senzaanima chiuso in una celladove anche una persona sta-bile nel suo equilibrio, pienodi sicurezza nell’affrontarequalsiasi difficoltà, si sentespogliato delle sue qualità eperso nella frustrazionedella prigionia.In questo percorso può com-parire in questi individuiuno dei principali sintomipatologici primari dell’auto-distruzione che si chiamadepressione. Che cos’è la de-pressione? In un mare didiagnosi è il cattivo umore,svogliatezza, si avverte unsenso di abbandono, di falli-mento; per questi individuiil cielo non è più blu, scom-pare la gioia e subentra ungelido vuoto senza speranzaal demone della paura.Ora, detto questo, vorrei ri-congiungermi all’attuale, alsilenzio dei media, dell’opi-n i o n e p u b b l i c a , n o n potendo darmi una spiega-zione sulle motivazioni diquesti gesti estremi perché èimpossibile entrare nellamente degli individui ma-lati, e come citato il suicidio,

è sintomo di una malattiasociale. Bisognerebbe farein modo di rompere il se-greto, parlando alla persona,offrire aiuto, dimostrare in-teressamento e dare amore,quando si avvertono i primisegni di debolezza di taluniindividui, da parte di tuttol’ambiente carcerario ri-stretto, operatori inclusi.Purtroppo, io vedo molta in-sensibilità ed egoismo, tantopiù il pubblico è numeroso(sovraffollamento) tantomeno è probabile che il sin-golo porti aiuto. È stato fattoun esperimento in Italia, èstato adagiato a terra unmanichino a simulazione diun incidente stradale; è tra-scorsa più di mezz’ora primache qualcuno si decidesse afermarsi. Perché si hannocomportamenti del genere?Che cosa ne è del buon sa-maritano?Di fronte a tanta indiffe-renza, l’individuo più debolecerca la maniera di eva-dere…Con una corda fuori dallemura di cinta o con unacorda al collo?

Roberto Allegri

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INGANNO O MISTERO

esidero raccontareuna realtà diversa,per quanto riguarda

“pagare il debito” nei con-fronti della società in altripaesi, dove sono stato re-cluso per cinque anni e que-sto paese è la Spagna.In Spagna, alcuni anni or-sono era in vigore la leggedelle dodici ore, in altre pa-role giorno e notte conta-vano come due giorni,quindi ho scontato due annie mezzo su una condanna dicinque anni. Molte cose nonsono uguali, per cominciare,tutti lavorano; arrivanodegli autobus e ti portano infabbriche, e lavori otto oretutti i giorni, eccetto la do-menica che si va in chiesa.Alla mattina apertura dellecelle alle ore otto, rifai illetto e alle nove pronti sullavoro, dove sei ben pagato.In caso di litigi non ti fannorapporto ma ti aumentanola pena. Uno ci pena duevolte prima di avere un com-

portamento violento!Per quanto riguarda il servi-zio sanitario interno, se staimale, sei assistito in modocelere, non esistono lungheattese per essere visitato dauno specialista, i medicisono presenti 24 ore su 24.In caso di patologie partico-lari, e oltre sessantacinqueanni di età , sconti la pena inaltri posti alternativi o alladetenzione domiciliare.A disposizione hai dieci col-loqui al mese e una schedatelefonica, che acquisti al so-pravitto e puoi telefonaretutti i giorni ai parenti percinque minuti. Non esiste latelevisione, perché potrebbedisturbare il tuo compagnodi cella ma se vuoi, puoicomprarne una da cinquepollici con le cuffie. In cellasi può stare solo la notte, perdormire, di giorno non ti èconcesso oziare; all’interno

della struttura hai di tutto,palestra, videogiochi, sa-lette, passeggi e ogni quin-dici giorni hai la possibilitàdi frequentare affettiva-mente la tua compagna omoglie.Se non lavori, o non hai altreoccupazioni, puoi dedicartiallo studio e conseguire undiploma, che ti sarà utile ilgiorno della liberazione pertrovare un posto di lavoro inqualsiasi settore specializ-zato, compreso i pubblici uf-fici, in modo che ti siarestituita la tua dignità enon sei etichettato come unsoggetto emarginato. Mi domando: Come mai iltutto esiste da dieci anni indiversi paesi europei e inItalia siamo fermi? Che cos’è che innalza queste muramedioevali, inganno o mi-stero...

Mario Spina

D

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osì su due piedi, oforse più, ci chiedonodi scrivere un arti-

colo a quattro mani, o forsepiù, sullo stress. Compitoarduo. Forse persino stres-sante, di questi tempi. Ab-biamo accettato, per cui…Lo stress è generalmenteconsiderato come una rispo-sta che l’individuo manifestarispetto a qualsiasi richiestaambientale che comportiuna modifica del propriostile di adattamento. La rea-zione di stress deriva quindida un insieme eterogeneo difattori, nella maggior partedei casi connessi all’am-biente psicosociale, la cuianalisi coinvolge disciplinediverse, dalla biologia allapsicologia alla sociologia. Larisposta biologica aspecifica,definita in termini scientificisindrome generale di adat-tamento, si manifesta in tredistinte fasi: una primadi allarme, che occorrequando è percepito dall’or-ganismo un senso di allertae sono mobilitate le proprieenergie di difesa; una di re-sistenza, quando cioè l’or-ganismo compie lo sforzospesso intenso di adattarsialla nuova situazione, e l’ul-tima, detta di esauri-mento, che sopraggiungenel caso in cui non ci sia unadattamento sufficiente-mente adeguato. È in questafase, o in un momento dipoco successivo, che si pos-

sono presentare le malattiee i disturbi stress-correlati.Lo stress possiede pertantouna doppia valenza. Si può,in f a t t i , p a r l a r e s i a d i uno stress positivo, (definito in terminiscientifici, appunto,eustress) che si ma-nifesta sotto forma distimolazioni ambien-tali costruttive e inte-ressanti che generauna sensazione di sod-disfazione personale edi benessere, sia diuno stress negativo (odistress) che generadisadattamento, sensodi smarrimento, ma-lessere, scompensiemotivi e fisici e diffi-coltà a canalizzare leenergie per conseguirel’obiettivo prefissato. Questo, come detto, èciò che avviene su unpiano strettamentebiologico. Una parterilevante poi nella ge-stione delle situazionistressanti riguarda levalutazioni, i pensieri e leemozioni vissute e provatein queste stesse fasi. Glieventi che portano pertur-bazioni nell’ambiente e a ri-caduta sull’individuovengono, infatti, sempre“elaborati” a livello di pen-siero e d ’ immagine, conc o n s e guentiricadutesul-l’autostima del soggetto,sulla percezione di se stessi

e sulla valutazione delle pro-prie capacità di gestione edelle proprie risorse. La capacità di reagire, adat-tarsi, trovare soluzioni divolta in volta diverse e

adattive, piuttosto che la ricaduta in schemi compor-tamentali già provati in precedenza e magari falli-mentari, influisce a sua voltasulla quantità di stress per-cepita e vissuta dall’organi-smo coinvolto, in un vero eproprio processo circolare.E qui entra in campo ancheil peso delle emozioni legatee mobilitate nei frangenti di

La malattia

I N G R A T OIl punto di vista

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cambiamento e adatta-mento.Sviluppare, in maniera con-sapevole o meno, reazioniansiose di evitamento o di-simpegno (strategie basate

cioè sull’ “aggiramento” delproblema) per quanto appa-rentemente funzionali nel-l’immediato, finiscono perprocurare stati di disagio emalessere prolungati e cro-nici, a loro volta possibiliportatori di patologie croni-che fisiche o psichiche.All’interno di una strutturacarceraria è più facile esseresoggetti a elementi stres-

santi, poiché è un contestoin cui si è maggiormentevulnerabili agli stimoli am-bientali. Occorrono, infatti,un’amplificazione eun’estremizzazione delle

emozioni perce-pite . In pr imoluogo si può vivereuna forte rabbia de-rivante dall’esposi-z ione a l g iudiz iodegli altri, dal rifiutosociale e parentale, esoprattutto dallaprivazione della li-bertà, che costringea vivere a strettis-simo contatto conp e r s o n e s p e s s oestranee, senza pri-vacy e senza spazioper restare soli con ip r o p r i p e n s i e r i ;segue la tristezza,che porta a vivere lacarcerazione comeun abbandono, unaseparazione, unospazio di vuoto tem-porale e l’ansia perla sensazione di aver

perso ogni libertà decisio-nale sulla propria vita.Le risposte a tali situazionistressanti percepite dall’in-dividuo sono la ripensareda capo psico-emotiva el’insorgenza di sintomato-logia fisica che influenzain primis le capacità senso-riali che sono anestetizzatepoiché applicate costante-mente alla medesima situa-

zione chiusa e sempreuguale nel tempo, e in se-condo luogo influenza lostato di salute globale. Ciòviene anche acuito dal fattoche l’individuo all’interno diuna struttura carcera-r ia deve gestire una gior-nata molto ritualizzata,sempre uguale e che nega lapossibilità di svolgere atti-vità fisiologiche normali.Numerose sono le patologiealle quali può andare incon-tro una persona privatadella libertà, tra questi il di-sturbo post-traumaticoda stress (PTSD) equel lo acuto. E ancora: iltrauma da ingresso (specieper chi non ha precedenti,può essere uno stimolo sca-tenante che causa ansietà,paura, frustrazione, depres-sione). Anche altre sono lesituazioni cliniche tipichedella popolazione carcera-ria: la vertigine dell’uscita, ilcomportamento regressivo ele sindromi deliranti. La capacità di vivere il car-cere non è scontato. La pos-sibilità di vivere il carcerepuò essere frutto di un la-voro di conoscenza e con-f r o n t o c o s t a n t e t r aindividuo, spazi da creare ecapacità personali.

Dott.ssa S. Coldesina, Dott.ssa G. Foiani,

Dott.W. TroielliPsicologi

del secolo

O S T R E S Sa dello psicologo

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Emozioni strozzateARRABBIARSI IN MODO SANO

Osare di più con i sentimenti

l tema dello stress incarcere è vastissimo esi presta a molte chiavi

interpretative, anche dalsolo punto di vista dello psi-chiatra. Lo stress, come sappiamo,non rappresenta innanzi-tutto una malattia, ma unosforzo dell'individuo di adat-tarsi ad una situazione cherichiede cambiamento,molta energia, un impiego diforze maggiore del previsto.L'adattamento può avveniresenza troppi danni percorpo e mente oppure puòportare il soggetto a svilup-pare sintomi anche gravi. In carcere ci sono moltecondizioni alle quali la per-sona deve adattarsi, primafra tutte l'impossibilità didecidere autonomamente ipropri spostamenti e le prin-cipali azioni della giornata. Normalmente nella vita,quando un adolescente sisente nascere dentro unagrande voglia di sperimen-tazione e di autonomia, co-mincia la sua battagl iaverbale con i genitori o altriadulti significativi “che micontrollano, pretendono didirmi cosa devo fare, non milasciano fare la mia vita!”. I detenuti sono spesso para-gonabili a dei giovanissimiche non hanno un genitore

al quale dire: “Che stress,stai lontano, fammi farequello che voglio!”. Daadulti sanno che non si puòsempre dire tutto quello chepassa per la mente (ovvia-mente è così anche fuori dalcarcere) e che il governo cor-retto delle proprie emozioniè ciò che permette di “adat-tarsi” ai diversi ambientidella vita. Tuttavia il para-dosso del carcere rende que-sta operazione decisamentemolto più difficile che fuori. Sintetizzerei così la que-stione dello stress che derivada adattamento e stati emo-tivi: in carcere moltissimeemozioni forti vanno “stroz-zate” e dissimulate (timoredi una ritorsione, di un rap-porto o paura acuta di noncontrollare la propria rab-bia), ma sempre in carcere siproducono molte più situa-zioni emotive forti, soprat-tutto negative, rispetto almondo esterno. Spesso, infatti, la giornata diun detenuto è costellata diattese (“aspetto la rispostadel magistrato... aspetto ilpermesso di...”), defezioni(“la psichiatra non è arri-vata... mia moglie non è ve-nuta a colloquio...”) e divietiche generano accumuloemotivo senza troppe possi-bilità di sfogo.

Il caso della rabbia è proprioemblematico. Molti soggettiche vivono tra le mura dellastruttura carceraria si sonopurtroppo già trovati moltevolte, anche fuori, a fare deiconti difficili con la propriarabbia e non di rado se lasono gestita con sostanzestupefacenti o con gli abusialcolici, trovandosi nei guaipiù di prima. Spesso, per la loro storia divita dolorosa, sono statiadolescenti poco aiutati asepararsi serenamente daigenitori, non acquisendo si-curezza di sé e delle propriecapacità e sviluppandomolta tensione interna. Ecosì in carcere si trovano afare una fatica davvero im-mane quando devono lavo-rare su se s tess i percontenere reazioni che nonsono mai stati aiutati a vi-vere correttamente. Credo che la popolazionecarceraria vada aiutata adarrabbiarsi in modo sano evedo che in questo carcere,nel rapporto con il perso-nale della sicurezza e nelladialettica educativa, si pro-ducono tanti sforzi per con-sentire che il sentimentodella rabbia non sia negato(cosa che produrrebbe unostress inaudito) ma messo ingioco e utilizzato per trovare

Dott.ssa Silvia LandraPsichiatra

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una soluzione costruttiva aiproblemi e una buona possi-bilità di dialogo. Per quanto mi riguarda, de-dico una parte consistentedel mio lavoro ad analizzarela rabbia e le sue reazioni,notando che i miei interlo-cutori appaiono sempremolto disponibili a mettersiin discussione su questo, avolte anche stupiti di quantisintomi psichici e somaticipossano derivare dalle emo-zioni rabbiose non capite,troppo trattenute, espressecon aggressività e violenzadavvero improprie.Tra i mille altri motivi distress che mi pare di scor-gere con maggiore fre-quenza nel mio incontro conle persone recluse c'è tuttociò che gravita attorno alsentimento dell'abbandono.Dentro l'istituzione carcera-ria la separazione affettiva oil timore di essere dimenti-cati e traditi si amplifica rag-giungendo spesso punte didisperazione. Alla fatica già consistente divivere il dolore per una per-dita si aggiunge l'amplifica-zione dei sentimenti di colpae svalutazione (“ecco, è suc-cesso perché sono un disgra-ziato, ho sbagliato, nonvalgo niente...”) o di impo-tenza (essere fermi senzapoter compiere azioni di re-cupero, senza la possibilitàdi cercare nuovi affetti).Il sentimento dell'abban-dono, complesso e anch'essospesso molto legato a tantevicende traumatiche perso-

nali che lo rendono più vi-vido e duro da sopportare, simanifesta in carcere con evi-denza più nelle piccole coseche negli aspetti principalidelle relazioni della persona.Noto che molti soggettifanno sforzi immani per cu-stodire il dolore di una sepa-razione dentro di sé, senzacommuoversi (moltissimimi spiegano quanto sarebbecontroproducente farsi ve-dere piangere dagli altri), epoi manifestano aperta-mente una protesta per unoggetto arrivato in ritardo,per un operatore che si fa at-tendere, per una promessanon mantenuta. Posto che leattese e le promesse nonmantenute sono esperienzenegative da non auspicare, èperò vero che in molte rea-zioni amplificate di chi si èoffeso per non essere statochiamato o avvisato su qual-cosa di apparentemente banale, io ci scorgo la possi-bilità mascherata di raccon-tare un abbandono o lapaura di essere dimenticatoche ha invece delle radicimolto profonde. Tutte le volte che posso,provo a portare la persona ariflettere sul vero abban-dono del quale sta soffrendoe sul perché una dimenti-canza dell'altro abbia il po-tere di generare in lui cosìtanta rabbia, afflizione, cor-doglio, senso di nullità. Ci sono persone molto ca-paci di contattare questisentimenti profondi che, adesempio, mi spiegano quale

stato d'animo imponente efaticoso si produca dentro disé al momento del saluto diun familiare amato dopo ilcolloquio interno; qualcunoarriva a preferire di diradarei colloqui per provare menoquel sentimento di dolore.Mi permetto di accennaread un ultimo motivo distress che mi stupisce sem-pre molto quando mi vieneesplicitato: moltissimi dete-nuti si dicono stanchi di af-frontare sempre “gli stessidiscorsi” con i compagni dicella e di sezione. Si lamen-tano di dover conversareperlopiù in merito ai reati,alle droghe, alle questionigiudiziarie. Mi è capitatoanche che tutti i componentidi una stessa cella me lo di-cessero privatamente. Cosane deduco? Che la paura dicambiare e di essere se stessiha bisogno di molto aiutoper trasformarsi in percorsodi crescita e in miglior qua-lità delle relazioni. Quasi vorrei lanciare un ap-pello, se mi è permesso:qualcuno osi di più nel-l'esprimere sentimenti e de-bolezze , nel proporreargomenti nuovi e nel direciò che desidera veramente;forse si accorgerà di esserein buona compagnia, di con-tribuire con le proprie forzea migliorare il suo percorsoe di ridurre molte quote distress che derivano daldover “fare il detenuto” atutti i costi. Naturalmentedisposta a discuterne.

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Quando l’amore è troppoPSICOLOGIA TRA MADRE E FIGLI

Comportamenti affettivi

a psicologia è lascienza che studia ilc o m p o r t a m e n t o

degli individui e i loro pro-cessi mentali.Tale studio riguarda le dina-miche interne dell’indivi-d u o , i r a p p o r t i c h eintercorrono tra quest’ul-timo e l’ambiente, il com-portamento umano e iprocessi mentali che leganogli stimoli sensoriali e le re-lative risposte.Una buona psicologia devepartire da indagare pensieri,sentimenti, sensazioni, desi-deri, speranze, ambizioni,paure, angosce, aneliti, do-lore, gioie, intenzioni, con-v i n z i o n i , e m o z i o n i ,riflessioni, fantasie e quan-t’altro si scovino nella vitainteriore di ciascuno di noi.A tale proposito mi vogliosoffermare su un esempio,che sono certa, rende con-creta la definizione di psico-l o g i a . S a r à c h e s o n omamma, e voglio con questomio articolo soffermarmi al

fenomeno di percezionesensoriale ed eventi inaffer-rabili, come l’ansia, quandoguardando negli occhi miafiglia, riesco a capire e per-cepire il suo bisogno e desi-d e r i o d i v o l e r e s s e r ecoccolata, la necessità di es-sere da me stretta forte.La psicologia fra madre e fi-glio è la più usata, anche senon ce ne accorgiamo, è lapiù comune.Plagiare i propri figli, coprirele loro marachelle o casti-gare in modo esagerato non

sono azioni educative, iltroppo fa male in tutti isensi.La madre deve essere ingrado di avere la capacità in-tuitiva, capire dall’atteggia-mento il proprio figlio, il suopensiero e con delicatezzaindagare nei suoi pensieri,individuare i suoi desideri,le sue angosce, insegnandocon modi garbati che la ve-rità paga sempre e dare dellerisposte adeguate alla loroetà.

Francesca Curinga

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Gli “appunti” del reparto femminileIMMAGINI TROPPO CRUDEReazioni agli spot pubblicitari

oi della redazionefemminile ci siamochieste come voi let-

tori del nostro giornale avetereagito alla vista delle “im-magini crude” pubblicate sulnumero precedente che, ap-punto, parla di tossicodi-pendenze e malattie legate aesse. Per immagini crude,mi riferisco a siringhe, stri-sce pronte per l’uso della so-stanza o tutto quello che è ilprocedimento per poi farneuso. Non solo noi ma molteriviste, video e altri mezzi dicomunicazione di massa uti-lizzano queste immagini.Cosa ne pensate, o comereagite alla loro vista? Dueanni fa una ricerca ha stabi-lito, che l’utilizzo di questeimmagini aiuta di più a ca-pire quanto sia devastante epericoloso per se stessi, maanche per chi ci sta vicino,l’uso di droga e alcol. Così sidiffondono spot pubblici-tari, cartelloni, tutto ciò cheè comunicazione e campa-

gne contro l’uso e l’abuso.Che emozioni possono su-scitare in bambini e anziani?Certo, nel mondo in cui vi-viamo l’informazione èmolto importante, sia perprevenire sia per curarequesto problema. Comun-que, secondo noi ci sonodelle fasce da proteggere,come bambini piccoli lon-tani dal problema e così fa-cendo, difendiamo il lorodiritto alla serenità, sta poiai genitori capire il mo-mento opportuno per infor-

marli e prevenire il drammadella tossicodipendenza.Queste immagini ci hannoturbato, perché è stato comeripercorrere con la memoriai momenti tragici della no-stra esperienza vissuta chevorremmo tenere lontana danoi. Dobbiamo comunquericordare che per noi dete-nute il tempo si è come fer-mato e il mondo esterno no.Così cerchiamo di tenere daparte le emozioni pensandodi più al rischio che tutti voicorrete e dico tutti perché èmolto importante non pen-sare che questo non possamai accadere a noi e ai no-stri figli, quindi bisognasempre tenere alto il livellodi guardia e non avere maicertezze a priori.

Sabrina De Andreis Cesarina Tejeda

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La pressione delle colpeARIA COME CURAInvestire nei servizi

a condizione psicolo-gica di chi è sottopo-sto a l carcere in

qualità di detenuto è conti-nuamente messa sotto pres-sione.La pressione dovuta allamancanza di libertà, che ge-nera un'implosione. Implo-s i o n e p e r c h é q u i , n e lcarcere, non è concesso daremanifestazione e sfogo alleprivazioni, ai malesseri e allemalinconie, per non svelarel'umana debolezza. La debo-lezza, l'odore della paura edell'angoscia rende il dete-nuto più manipolabile e lomettono più faci lmentesotto scacco.Qui in carcere, il continuo,dovuto e "obbligatorio" eser-cizio della pazienza e del-l 'autodiscipl ina, forgiaspesso finti e famelici simu-lacri di durezza e determinazione che, in realtà, coin-cidono spesso con limiti invalicabili d'incomunicabi-l i tà e pesante s i lenzio.Quando manca la parola, laconfidenza, il modo sano peralleggerire tutta la tensionee la preoccupazione, si cadespesso nell'autolesionismo,nel mutismo più rassegnatoe i cupi pensieri divampano.Così il sonno non soprag-giunge ed è necessaria l'as-sunzione di psicofarmaciche facciano cessare l'alluci-nata veglia, così diminui-s c o n o l e s o g l i e d e l l a

resistenza, della pazienza edell'adattabilità. Aumenta losconforto: vedere la penacome un’impossibile viad'uscita e certe notti l'ariamanca davvero e il centrodel petto, proprio in mezzoal torace, è trafitto dall'an-sia. La stanchezza, per unmancato e regolare turn-over del meccanismo sonno-veglia, abbassa anche laresistenza e la pazienza. Laragione è così offuscata,tanto da generare incom-prensioni sciocche, per gestie parole interpretate comeun affronto e una sfida.Qui dentro, molti detenuti,più di quanto si possa cre-dere, vivono anche costante-mente con l'atroce pensierodi essere reo, colpevole. Col-pevolezza innanzitutto per ilreato commesso, ma anchedi aver lasciato una famiglia(moglie, figli, fratelli, geni-tori) amici ed amori in unasituazione di privazione edabbandono. Perché tantisono i legami apparente-mente saldi, vincolati dallafedeltà, che poi non riesconoa superare il possente peri-metro di una qualsiasi casadi reclusione. Tanti sono ilegami che non riescono asopravvivere agli anni, senzauna notte d'amore. E tuttisiamo ben consapevoli dicosa sia ricevere una letteradi chi ti ha amato ed ora hascelto di lasciarti e di vivere

in pieno la libertà e la pro-pria felicità. Oppure la noti-zia funesta della scomparsadi un caro, o la malattiagrave o il definitivo allonta-namento dei figli.Tutto questo qui a Bollatecerca di essere arginato, gra-zie ai numerosi servizi pre-senti. Servizi specializzati:dalla scuola, agli operatoridel Sert, agli psicologi, psi-chiatri… di tanti volontariche dedicano parte dellaloro vita ad aiutare, diversi-ficando gli interventi, chi hasbagliato più di altri.Per arginare tutto questoMale, non bisogna conside-rare solo i bisogni effettividei detenuti, ma fare i contianche con una politica go-vernativa che, pare, guardi econsideri la rieducazionecome un effimero privilegioe non come un diritto san-cito dalla legge italiana. Co-struire nuove carceri e noninvestire invece sui servizifinalizzati al reinserimentodel detenuto, sul monitorag-gio dello stesso nella vita difuori, ricca di libertà e dun-que di scelte. Come si puòscegliere bene, con una psi-che indebolita e compro-messa? Sarà forse piùsemplice lasciarsi ancorauna volta trasportare dascelte sbagliate, in territoridi malessere ed illegalità giàesperiti e collaudati.Un' ultima riflessione su un’

Francesco Siragusa

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espressione che al di fuoridel carcere poco conta: "al-l'aria". Il cervello per poterfunzionare al meglio, neces-sita di aria. Ed allora ches'investa sullo sport, nonuna sola squadra di calcio,ma tante squadre, come untorneo interno. Perché nonpensare ad un campionatointerno al carcere? Perchénon promuovere anche altrisport? Gli antichi romani af-fermavano “mens sana incorpore sano”

Certo sarebbe necessariopromuovere un amplia-mento dell'organico degliagenti, anche loro costrettiad un lavoro con un forte ca-rico di tensione. Qui a Bol-late, spesso è tangibile chel'aria manca, che tante volteper un nonnulla si ride o cisi arrabbia: difendiamoci ilpiù possibile dalla minacciadel malessere mentale, sce-gliendo la parola, il dialogoe non l'abbandonarsi al si-lenzio e all'ossessione.

Apriamoci, parliamo, ma-gari con la speranza, cheanche al settimo reparto, lecelle possano restare aperte,per lo meno qualche ora.Che entri un poco d'aria, perscacciare l'inverno e lasciaresolo una fresca primavera.Questa fresca primavera èsoprattutto per le vittime e iloro parenti, vittime di ognimale: dalla morte sul lavoroallo stupro.

icuramente, quandopensate alle personeche stanno in carcere,

vi ponete tante domande,del tipo: come vivono, equanto vedono i propri cari?Possono telefonare? come siCurano? come curano lapropria estetica? E altremille domande, che non stoelencando perché troppe.Voglio rispondere all’ultima,la più femminile, ma nonsempre, e dare dei consigliutili e pratici.Come si cura l’estetica incarcere?Prima di tutto abbiamo i co-smetici, come chi é in li-bertà, anche se non in tutti

gli istituti è consentito com-prarli, ma noi possiamo rite-

nerci fortunate poichépossiamo acquistarli tramitedomandina, come ciò cheserve per la cura della pellee dei capelli.

Possiamo quindi acquistaremaschere, creme e altro, mail più delle volte usiamo deimetodi antichi ereditatinegli anni, da chi prima dinoi ha vissuto queste galere,essendo più economici epratici.Ad esempio: per nutrire epulire a fondo la pelle delviso e del corpo, miscelarezucchero e miele oppurecome metodo anticellulite siutilizza il fondo di caffè cherimane nella caffettiera mi-scelato con zucchero fuso elimone ci si cura anche qui,sebbene ci sia un vecchiodetto: “s i s tava megl ioquando si stava peggio”.

L’ESTETICA IN CARCERE

Sabrina De Andreis

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Stanza dell’affettività

GENITORI DENTROUna dimensione “domestica”

iamo a Bollate ormaida qualche anno e cisentiamo di affer-

mare con convinzione chel'intervento sulle reti fami-liari fa parte integrante delpercorso di trattamento dalpunto di vista di re-inseri-mento sociale impostato inquesto Istituto.Il nostro progetto nascedalla considerazione del-l'estrema importanza per igenitori ristretti e i loro figliminori di usufruire di unospazio più accogliente diquelli ordinariamente a di-sposizione per i colloqui(anche se a misura di bam-bino come la ludoteca o inestate l'area verde), in modotale da potersi concentraresulla relazione, non distur-bati e distratti dalle storiefamiliari che contempora-neamente s ’ intreccianonello stesso spazio-tempocome avviene negli spazi co-muni.Molti genitori non riesconoda soli ad accompagnare ilpercorso della cosiddetta"verità narrabile", cioè lospiegare il luogo in cui sitrovano, i tempi e i vincolidella detenzione, arrivandoa raccontare bugie (la piùcomune è che sono qui perlavorare) e rimandano con-tinuamente il momento delconfronto con il bambino.Da queste considerazioni èderivata l'ipotesi progettualedi costruire una "stanza del-l'affettività" (ormai chia-

mata da tutti "casetta"), chesi affiancasse agli spazi col-loqui già presenti.Uno spazio allestito, cioè, inmodo tale da evocare unambiente domestico, con lapossibilità di cucinare, untavolo da pranzo per man-giare insieme e fare i com-piti, un divano per stareseduti insieme o guardareun dvd di animazione, unangolo riservato ai giochi,insomma uno spazio più adimensione domestica, che,da un lato permette la possi-bilità di sperimentare-rispe-rimentare gesti quotidiani,dall'altro consente una mag-giore tranquillità e serenitàper affrontare argomentidifficili e spinosi.L'intervento con ogni nucleofamiliare prevede dei collo-qui di supporto all'eserciziodella genitorialità che con-sentono l'esplorazione deivissuti, delle fatiche emo-tive, delle criticità rispettol'essere padri/madri in con-dizioni ristrette e incontricon i propri figli all'internodella "casetta". Con ogni nu-cleo si predispone un pro-

getto di lavoro, condivisocon i genitori coinvolti, cheprocede per obiettivi indivi-duati per quella situazioneparticolare. Per noi è impor-tante lavorare sia con il ge-nitore dentro sia con chi sioccupa dei minori fuori, inmodo tale da accompagnaretutte le persone coinvolte inun processo che sostenga lacrescita dei minori all'in-terno di una fase criticadella vita, qual è la deten-zione di un genitore. I bam-bini vanno sostenuti rispettoal vissuto di abbandono,supportati, per quella che èla loro età e le risorse emo-tive, a comprendere checosa sia il carcere e qualisiano i vincoli che tal situa-zione determina nella pro-pria famiglia. Generalmentesi accompagna ogni nucleosolo per il tempo ritenutonecessario per facilitare l'in-contro e la comprensione re-ciproca di minori-genitori,rendere maggiormentefluida la comunicazione tra imembri della famiglia, epermettere la licitazione diemozioni, anche faticose danominare e riconoscere(paura, rabbia, disi l lu-sione...). Sulla base delle ca-ratteristiche delle personecoinvolte si definisce la ca-denza degli incontri, valu-tando con loro anche losvolgimento o meno dei col-loqui ordinari. Natural-mente, nel caso in cui ci siaun decreto del Tribunale per

Dott.ssa Carla Fregoni

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i Minorenni, gli incontrisono calibrati secondo le di-sposizioni previste, conmodi concordati con i Ser-vizi Sociali coinvolti.Il progetto è attivo a Bollatedal 2005 e si realizza graziealla collaborazione sinergicadi operatori e agenti di poli-zia penitenziaria, nel la convinzione che il manteni-mento-recupero di una di-m e n s i o n e a f f e t t i v a efamiliare sana sia parte inte-grante di un processo d’in-

clusione sociale efficace.Siamo consapevoli che le ri-chieste e le necessità dipresa in carico sono mag-giori rispetto a quelle che, difatto, riusciamo a seguire,questo è il motivo per cui, avolte, siamo costretti a direno a situazioni che benefice-rebbero sicuramente di unaccompagnamento, nellaprofonda convinzione cheper tutti i bambini sarebbebello e importante poter in-contrare il proprio genitore

in uno spazio il più familiarepossibile. Siamo costretti adare la precedenza a quellesituazioni in cui le criticitàassumono le caratteristichedell'emergenza e dell'ur-genza, accompagnando, neilimiti del possibile, gli altrialle diverse proposte di ap-poggio alla famiglia che altrerealtà offrono a Bollate.

L’equipe della Cooperativa

SPAZIO APERTO SERVIZI

Loris LaeraPolizia Penitenziaria

CAMMEO STORICO

o studio ed il trattamento delle patologie della mente ha avuto un cursus storico che,tra alti e bassi, ha raggiunto momenti di pura follia! Basti pensare agli antichi Greci,convinti che il folle non fosse un malato, ma un individuo colpito dall’ira di un dio, come

Cassandra (Iliade) che non concesse ad Apollo o Ulisse (Euripide) la cui pazzia era attribuitaa Lyssa, dea della notte e della follia (concezione teurgica della follia).Con i Romani si passò ad una concezione più “naturale” con i medici Asclepiade, Areteo masoprattutto con Celso, che sostennero la necessità di un trattamento energico del malato dimente attraverso l’induzione di paure improvvise, catene e fustigazione. Tra il III° ed il XIII°secolo l’interpretazione ed il trattamento furono divisi tra quattro principi fondamentali:quello ORGANICO, che vedeva il disturbo come disequilibrio umorale del cervello da curarecon salassi, purganti, sedativi ecc.; quello PSICOLOGICO che riconduceva la patologia a pro-fonde crisi emotive; quello MAGICO che attribuiva il disturbo a fenomeni extranaturali edastrali (teoria Astrologia della follia); quello RELIGIOSO che attribuiva le cause a problemireligiosi. Quest’ultimo avrebbe assunto fino al 1500 sempre maggior importanza, tanto dacreare una nuova disciplina: la DEMONOLOGIA.Nel XII° secolo Michele Psello (1020-1105) codificò la demonologia con un resoconto detta-gliato della gerarchia dei demoni, del sistema con cui si impadronivano del soggetto e deglieffetti che vi producevano. Il trattamento principale era l’Esorcismo. Il malato diventava cosìuna strega, un indemoniato. A causa delle terribili carestie ed epidemie tra il ‘200 ed il ‘300la concezione religiosa si radicò definitivamente e si cominciò a mandare al rogo centinaia dimalati come capro espiatorio. Nel 1484 due preti tedeschi, Sprenghe e Kraemer, pubblicarono“MALLEUS MALEFICARUM” (Martello delle Streghe) che permetteva “l’identificazione edil trattamento delle streghe”, spesso persone affette da epilessia o problemi mentali. Questotrattato fu accettato dal Papa, dall’Imperatore e dalla Facoltà di teologia di Colonia, e divennetesto ufficiale dell’Inquisizione fino alla sua soppressione!

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Lo sport anche per noiIL CUORE DEI DISABILIQuando vincere è una lotta

i cerca sempre ilnome più adeguatoper non discrimi-

nare, non ferire, mettere aproprio agio persone che vi-vono una situazione diversadalla maggioranza dei citta-dini. Usiamo il termineche ci sembra più s i m p a t i c o e i r o n i c o : “DIVERSAMENTE ABILI”.Una delle conquiste di mag-gior valore etico di uno Statodemocratico è quella di con-siderare tutti i cittadini“uguali” e di condannareogni discriminazione cheprecluda le pari possibilità aogni persona. Tante persone hanno sco-perto senza volerlo, unmondo che non conosce-vano, o meglio che crede-vano di conoscere e di cuiinvece, nulla sapevano. Hanno conosciuto la discri-minazione, l’umiliazione,l’essere considerati ritardatimentali solo per il fatto diessere storti e curvi!!Solo allora ci si rende contodi quanto sia difficile, per iDIVERSAMENTE ABILI,vivere in una società cheguarda il contenitore e maial contenuto! È l’errore dimolti.Non è difficile capire cheuna buona grappa messa inuna brutta bottiglia restasempre buona e che una cat-tiva grappa messa in unabella bottiglia resta sempreuna cattiva grappa...Una disabilità fisica quindipuò ostacolare il reinseri-mento nel contesto lavora-

tivo, può produrre unadepressione che rende ilsoggetto astenico, demoti-vato e puro oggetto dellecure mediche che subisce

passivamente.È importante che il pazientesia stimolato in manieraadeguata alle sue condizionifisiche così, si possono pro-porre dei nuovi interessi, ri-creando i presupposti eun’adeguata motivazioneper ricostruire attivamentela propria esistenza.Sono state inventate, perraggiungere l’obiettivo ap-pena menzionato delle disci-p l i n e e d e l l e t e c n i c h esportive adatte all’handicap.Grazie allo sport, che portaallo sviluppo muscolare, èacquisito l’equilibrio e l’abi-lità motoria necessaria perl’uso della sedia a rotelle.I disabili insegnano lo sportleale e pulito questo è il mi-glior insegnamento che ciarriva da un mondo dovequesti valori sono davveroallo stato puro.Lo sport visto come valored’integrazione, dove trova lapropria essenza nelle disci-

pline che vedono protagoni-sti atleti disabili. I normodo-tat i possono insegnaremolto ai DIVERSAMENTEABILI, e viceversa.La maggior parte delle fami-glie coinvolte direttamentein tali situazioni vivono ciòcome una sfida, che ha onorima con il tempo si accor-gono che è un’esperienzaumana unica, arricchentediversa da una normalitàche magari deve affrontarealtre problematiche. L’apoteosi del movimentosportivo per i disabili si ebbenel 1988 a Seul, con un’im-portante manifestazionesuccessiva alle Olimpiadi.Ora gli sportivi DIVERSA-MENTE ABILI praticano leseguenti discipline:Automobilismo, atletica leg-gera, badminton, bocce, bo-w l i n g , c a l c i o , c a n o a ,ciclismo, curling, ginnastica,equitazione, judo, lotta,nuoto, pallanuoto, palla-volo, pallacanestro, pescas p o r t i v a , p a t t i n a g g i o ,scherma, sci alpino e nau-tico, slittino, sollevamentopesi, tennis tavolo, tiro asegno, tiro con l’arco, vela emolti altri.A volte un disabile pensache avendo degli handicapsia impossibile fare attivitàsportiva ma questo non è as-solutamente vero. Nellastruttura di Bollate si pos-sono frequentare le palestreper sviluppare gli arti e ininfermeria sono situate dellecyclette che potrebbero es-sere utilizzate da chi ha biso-

Anna ValentinoInfermiera

SIvano Liccardo

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gno di fare fisioterapia.Ci sono stati degli episodiclamorosi che non dob-biamo dimenticare. Zanardiun grande campione di For-mula Uno il 15 settembre2001 ebbe un incidente sulcircuito di Eurospeed delLautsitzring (tristemente fa-moso per l’incidente checostò la vita a Michele Albo-reto), il nostro Zanardi ebbel’immediata amputazionedegli arti inferiori. Nel 2002Zanardi ricominciò a cam-

minare grazie a delle protesie nel 2003 corse nel circuitotedesco e fece i tredici giriche gli mancavano per fi-nire la gara del tragico infor-tunio. Nel 2005 tornò acorrere su una BMW predi-sposta per lui e tornò allavittoria. Il mito era riap-parso.Oscar Pistorius corre graziea delle protesi denominate“cheetali flex feet”. Oggi lesue protesi hanno un costodi trentamila euro e nel

2004 arrivò il suo primo orosui duecento metri. Pisto-rius avanzò la richiesta dipoter partecipare alle Olim-piadi di Pechino nel 2008ma la sua richiesta fu re-spinta sostennero che le sueprotesi gli davano un van-taggio di slancio del 30%.Questa è la pura dimostra-zione che un disabile può es-sere molto di più se vuole,questo è il cuore pulsantedei DIVERAMENTE ABILI.

elevato numero di sui-cidi nella società enelle carceri è un dato

che sta aumentando, diven-tando una sorta di ennesimapiaga che miete vittimecome un’epidemia.È quindi in aumento il nu-mero dei depressi ai qualisono prescritti psicofarmaciin goccia o pillole di tanti co-lori chiamate anche “pilloledella felicità”. L’assurdo èche questi farmaci, a lungoandare, danno una vera epropria assuefazione, quindichi le assume non riesce afarne a meno, anzi ne ri-chiede un numero maggiore.I motivi che causano questamalattia, possono essere ditanti tipi e comunque ognipersona che la contrae ha ilproprio. La cosa più preoc-cupante è vedere queste per-sone sedate con gli occhipersi nel vuoto, tristi e inca-paci di reagire, ma soprat-tutto l’indifferenza di chi licirconda, mai un “buon-

giorno” né un “come stai?”.Gli si passa vicino quasicome fossero dei fantasmi,peggio con la paura di esserecontaminati. L’essereumano si è evoluto e conti-nua a evolversi con nuoviconfort e nuove tecnologie,ma è capace di fermarsi adascoltare un suo simile chesoffre?In fondo è di questo che sitratta: una persona è tristeperché si sente sola, perchégli mancano affetti, consigli,dialogo e quindi si sente ab-bandonata. Per il problemadella depressione oltre allefigure professionali, senzaalcun dubbio dello psichia-tra e dello psicologo, io hosempre preferito comuni-care con persone a me vicinee per fortuna le ho trovate.Ma chi queste persone non èin grado di trovarle o non hai soldi per pagare uno psico-logo privato come fa? Qui incarcere a Bollate ho trovatodelle persone valide come i

volontari che fanno labora-tori e gruppi di lavoro chesin dai primi tempi mihanno aiutato e sono riuscitoa eliminare tutta la rabbia, lasofferenza che non mi facevastare in equilibrio; grazie aqueste persone sono riuscitoa levarmi dalla testa “la pil-lola della felicità” e questomi ha fatto riflettere molto.Come ultima esperienza po-sitiva sono approdato al-l ’ interno della redazionedi Salute inGrata dove misono reso conto che esistonodetenuti che come volonta-riato si prodigano all’ascoltodi altri detenuti. All’internodi un carcere è fondamentalel’ascolto di una persona chesta male, ciò aiuta sia chiascolta sia chi è ascoltato.Perché la società fa ancorafatica a capirlo?Un’ultima riflessione: evitatela sedentarietà, la noia el’ozio, sono l’anticamera diquella stanza buia che è ladepressione.

Rendersi utile SAPER ASCOLTARE

La mia esperienza

LAndrea Mammana‘

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Una missione INSEGNARE IN CARCERE

Metodologia e rapporti

ntrare in un ambitocosì part icolare,come può essere

quello del carcere, per sceltao per forza, come nel casod’insegnanti di ruolo o no-minati annualmente, non ècosa semplice. Innanzituttosi entra in una comunità re-golamentata in modo com-pletamente diverso per ciòche riguarda l’organizza-zione del tempo, degli spazi,degli oggetti a disposizione,della relazione e addiritturadel linguaggio. Una volta en-trati in questa dimensione,va riprogrammato tutto. Inprimo luogo la portata e lametodologia della propria‘mission’, come lo sviluppodei programmi, la gestionedi materiali didattici o dieventuali libri di testo, lescadenze per le verifiche, ilraggiungimento degli obiet-tivi, l’acquisizione dellecompetenze, lo sviluppo e ilpotenziamento delle capa-cità. In secondo luogo la lin-gua; ci sono espressioniassolutamente fuori luogo inquesto ambito. Soprattuttoai nuovi insegnanti capitaspesso, almeno all’inizio, di

cedere alla tentazione di as-segnare i ‘compiti per casa’,o peggio ancora di chiederecom’è andato il Week End ole feste appena passate. For-tunatamente in questi mo-m e n t i , d i p r o f o n d o ereciproco imbarazzo, il piùdelle volte interviene l’ironiae salva il decorso della situa-zione, rimettendo le cose alloro posto, che vuol dire …”va bene, siamo in carcere evoi siete detenuti, ma iosono insegnante e il miocompito è ‘semplicemente’svolgere il mio lavoro, che ètrasmettere del le cono-scenze, armonizzate conaltri contenuti e finalizzati alraggiungimento di specificiobiettivi di apprendimento…”. Non sono cosi sempliciné così scontati. Un elemento che sfugge ini-zialmente ma che è condi-z i o n e n e c e s s a r i a a l l aprofessione insegnante, anzibasilare per trasmettere poi,ed efficacemente, il messag-gio didattico, come peraltrodovrebbe succedere normal-mente nella scuola fuori dalcarcere, è instaurare una re-lazione, di fiducia reciproca,

tra insegnante e allievo. Edeffettivamente, dopo unprimo periodo di adatta-mento per i nuovi arrivati edi anni per quelli di ruolo, ilrapporto quotidiano costrui-sce, giorno dopo giorno,quella relazione che ricon-duce, almeno nell’ambitodell’area scolastica, a unconfronto paritario tra per-sone, e più in particolare traalunno e insegnante. Ed èsolo grazie a questa sorta di‘dissociazione’, tra persona ereato, che in classe si riescea lavorare con gli ‘studenti’,concentrandosi su argo-menti di varia natura, disci-plinari e non, rimandandoall’esterno dell’aula il con-trollo e la tutela del ‘dete-nuto’. Da un punto di vistadei risultati, sicuramentenon si può parlare di unconsuntivo positivo se sipensa a quanti arrivano allafine del percorso scolastico,rispetto al numero degliiscritti, ma per tutte quellepersone, e non sono poche,per le quali la scuola è unimpegno quotidiano atteso erispettato scrupolosamente,ancor più sicuramente il bi-lancio è positivo, tanto piùquando questo concorre at-tivamente, e in modo di-verso, a l programmaprimario e più generale, dirieducazione.

Proff. Alida ParisiInsegnante lingueP. Levi di Bollate

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LA SALUTE DELLO SPIRITO Il Sikhismo

l Sikhismo è una reli-gione nata in India set-tentrionale nel XV

secolo, basata sull’insegna-mento di dieci Guru che vis-sero in India tra il XVI eXVII secolo. L’etimologiadella parola sikhismo si rin-traccia nella parla “sikh” chederiva dal sanscrito e che si-gnifica “discepolo” o “al-l i e v o ” , o d a l d i a l e t t oindoeuropeo pali, sikkha.La religione si sviluppò al-l’interno del conflitto tra ladottrina dell’induismo e del-l’islamismo. Il suo fondatorefu Nànak. È la quinta reli-gione mondiale con oltre 25milioni di fedeli di cui 19milioni in India nella mag-gior parte nella regione delPunjab. Esistono numerosecomunità Sikh nel mondo.Negli ultimi anni comunitàsikh si sono insediate in Ita-lia.Il nome di Dio è Bveugru. Illuogo di culto Gurdiara. Lepreghiere quotidiane due: almattino (dopo le 4 e primadelle 10) al pomeriggio(dalle 17 alle 19). Prima diaccedere al Gurdiara, biso-gna coprire la testa, questovale per tutti, bambini com-presi. Gli uomini indossanoil turbante, le donne il velo.Bisogna levarsi scarpe ecalze. Il primo saluto a Diosi chiama Sirigurugrant(grande saluto). Si pregasopra i tappeti , il libro sacrosi chiama Gururansahib e lolegge una persona che lo co-

nosce bene. La chiusuradella pregiera Arddasa, pre-vede che ci si alzi in piedi, insilenzio, si nominano i nomidi tutti i profeti, che sonodieci, e il nome di persone il-luminate. Prima della fine cisi prostra con la fronte alsuolo per due volte. Durantetutta la preghiera, in silen-zio, si uniscono le mani alpetto, con le gambe incro-ciate. La parte conclusivadel rito Sikha prevede laconsumazione del dolce.Prima di pregare bisogna la-varsi, astenersi dal fumo, dacibi considerati impuri( c a r n e / u o v a / p e s c e ) .Quando ci si accinge alla pu-

rificazione, l’equivalente delBattesimo, non si tagliano icapelli ne nessun altro pelo.Importante per i Sikh sonole 5 kappa: Kanga (pettine),Kese (capelli), Kassera (mu-tande al ginocchio), Kar-pane (coltello), Karà (piccolibracciali in ferro). Un ritospeciale chiamato Seegpathdura 72 ore. Inizia al mat-tino e finisce 3 giorni dopo,ogni due ore c’è il cambiodella persona che legge iltesto sacro, spiegandone ilsignificato. Prima di pregaresi accende un lumino, ac-canto al teso e all’immaginedi Dio. È severamente vie-tato l’alcol.

Singh Balvir

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I REPARTI

IL DIALOGO COME ANTIDEPRESSIVO

oi volontari delloSportello Salute, ab-biamo potuto con-

statare che una buona partedelle segnalazioni a noi per-venute, richiedono atten-zione psicologica. In moltihanno grossi problemi a ri-velare il proprio fardello chesi portano dentro,e si rischiadi peggiorare, passando daun esaurimento nervoso,alla depressione.Chiaramente isoggetti in que-stione, hanno bi-s o g n o d i u n afigura professio-nale che li aiuti asuperare il propriomalessere o disa-g i o ; d i c o n s e -guenza entra ingioco molto l’espe-rienza e la sensibi-lità del medico. Imedici, del settoresono psicologi epsichiatri, e nonsono la medesimafigura: il primostudia le reazionimentali e affettivenell’abito del com-portamento con una seried’incontri, il secondo ha peroggetto lo studio clinico e lasomministrazione delle te-rapie. Anche se in molti simascherano dietro disturbipsicologici, per sfruttare ibenefici del caso come unascappatoia per uscire dalla

detenzione, facilmente si in-dividua la finzione, graziealla preparazione dei profes-sionisti in questione. Per ri-tornare al discorso deisoggetti sofferenti, che quasisi possono definire “invisi-bili” in quanto fanno fatica arivelare il proprio disagio e

pensano che rivolgersi aduno specialista sia inutile,noi vogliamo consigliare,che di fronte ad un males-sere di questa tipologia èutile cercare aiuto.Ai giorni nostri, la cono-scenza del malessere psico-logico, ha fatto passi da

gigante e sono stati trovati“farmaci intelligenti”. Lacosa importante, cosa nonda poco, è che a gestirlisiano “mani intelligenti ecompetenti”, in maniera chevari reparti dell’istituto nonsi verifichino situazioni dipazienti “ robotizzati” perl’abuso terapeutico, chespesso al l ’ interno dellestrutture carcerar ie è

un’amara verità. A no-stro modo di vederepensiamo che il dia-logo sia l’antidepres-s i v o m i g l i o r e , i lcomunicare e l’espri-mere il proprio males-sere per trovare unasoluzione per la guari-gione. Così come an-diamo dal medico perun disturbo digestivo oun dolore di schiena,possiamo senz’altro ri-volgerci a uno psico-logo per r i trovareenergie e il piacere divivere. Inoltre nondobbiamo dimenticarele persone che ci vi-

vono accanto, che ci amanoe che hanno bisogno del no-stro amore e noi del loro.

Roberto CurcioGiovanni Garrisi

Settimo ManfrinatoMatteo Pintomarro

N

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Omar ConfalonieriClaudio MarchitelliSergio Principe

RIDERE FA BUON SANGUEDUE PAZZI

Direttore voglio cambiare stanza.Perché?

Il mio compagno si crede un abajours etutte le sere si mette sul comodino!

Qual è il problema ?Non riesco a dormire con la luce accesa.

IN CARCERELegami infrantiamori distantigrida, lamenti

sempre straziantiincomprensioni,

indecisioniemozioni e canzonigiochi fra bambini,

scherzi cretinigiochini e pannolinigioire, progredireregredire e morirecrescere e sperare nascere sognare

ragazzi ribellislanciati e snellidietro i cancelli

rinchiusi, esclusidelusi e reclusi

latte, botteverdure cotte

mamme matteed infine

trovarsi in manette.

Andrea Mammana

Trova le tre differenze

1

43

2

a cura di Rocco Squillacioti

opo alcuni mesi diadattamento, al no-stro nuovo status di

detenuti del carcere di Bol-late, abbiamo ritenuto giu-sto non sentirci solo unnumero di matricola e assi-stere passivamente, da die-tro le grate, alla vita chescorre giorno dopo giorno. Èmaturata dentro di noi laconvinzione di poter essereutili, sia a noi stessi sia aglialtri. Abbiamo quindi deciso

di far parte del gruppo Spor-tello Salute e siamo ferma-mente convinti dell’utilità ditale iniziativa, volta ad aiu-tare e a sostenere l’informa-zione del la burocraziasanitaria e della prevenzionedelle malattie.Siamo “inGrata” al 7° re-parto, ringraziamo la reda-zione di Salute inGrata etutto lo staff dello SportelloSalute, per la fiducia accor-dataci.

D

UNA PROMETTENTE DECISIONE

Giuseppe Castiglia

I REPARTI

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1° REPARTO: ELIBZARI AMIR SALAH BAADIHUGO BORGOBELLO ELIO MARCHESE

2° REPARTO: ROBERTO CURCIOGIOVANNI GARRISISETTIMO MANFRINATO MATTEO PINTOMARRO

3° REPARTO: ADRIANO MARRASEL MODATHER MOHAMED MAURO PACCOJ

4° REPARTO: BOGDAN BURLACUGIOVANNI CONTE ZEQO NAZIF

5° REPARTO: JULIAN HERRERA

7° REPARTO: OUASFI BEN CHRAIETSERGIO CONFALONIERICLAUDIO MARCHITELLISERGIO POLICHETTISERGIO PRINCIPE

FEMMINILE:MARIA ANTONIETTA ROGGIO

SPORTELLO SALUTE