rassegna stampa 27 novembre 2014 · sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di yuri gagarin,...

27
RASSEGNA STAMPA di giovedì 27 novembre 2014 SOMMARIO “Caro direttore - scrive un lettore ad Avvenire -, lunedì sera, seguendo in televisione le immagini dell’arrivo sulla stazione spaziale ISS della nostra astronauta italiana Samantha Cristoforetti, ho colto un’immagine che mi ha fatto trasalire di gioia; una felicità che voglio condividere con quanti avranno già notato un 'particolare' della stazione spaziale e anche con coloro ai quali è sfuggito. Per un momento, vedendo le immagini, sono rimasto incredulo: «Ma davvero?», pensavo. «Avrò visto male...», mi ripetevo. Poi ho cercato su internet tra le immagini e i filmati della missione ISS 42/43 'Futura' è ho ritrovato quell’immagine che mi era passata davanti in uno spezzone di filmato televisivo. Sappiamo quanto sia costoso portare nello spazio del carico 'non essenziale'; tutto viene ridotto al minimo; ma nella fotografia qui allegata, si osserva chiaramente nella parete della stazione spaziale ISS, dietro agli astronauti Samantha Cristoforetti, Anton Shkaplerov e Terry Virts che consumano allegramente uno spuntino, come con grande dignità e visibilità, siano state disposte quatto bellissime icone (sembrano in stile russo); l’icona centrale, più grande, mostra la Vergine Maria con bambino Gesù. Più in alto delle icone c’è un bel Crocifisso dorato. Difficile, guardando quelle icone antiche in una modernissima stazione spaziale, avamposto remoto dell’umanità, non osservare anche che quella missione è partita da un territorio della ex Unione Sovietica nel giorno della festa di Gesù Re dell’Universo! «Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti» (dal Salmo 139). Con grande gioia”. E Marco Tarquinio risponde così: “Già, caro amico, quanto... cielo c’è tra questa immagine dallo spazio e quella fatta circolare 53 anni fa, ai tempi dell’Unione Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da lassù Gagarin aveva esclamato qualcosa che potrebbe suonare come: «Ho visto le stelle, ma non ho visto Dio». In realtà, la frase pare debba essere interamente attribuita a Nikita Krusciov. L’allora capo del Superpotenza comunista disse, infatti, ai compagni del comitato centrale del Pcus: «Gagarin è stato nello spazio, ma non ha visto Dio». E la propaganda antireligiosa del partito fece ciò che c’era da fare... Testimonianze emerse in seguito ci hanno fatto scoprire un Gagarin assai diverso dal racconto mediatico, battezzato nell’ortodossia e credente. Potremmo concludere che il cielo sopra la Terra è, dunque, lo stesso. Ma, davvero, quanta distanza c’è tra quel lontano volo spaziale e questo di oggi... Ciò che nel 1961 il cristiano Gagarin doveva nascondere in cuore, oggi infatti può venire espresso con libertà, con chiarezza e con bellezza. Non ovunque quaggiù è così, ma vedere che lassù succede è certamente una gioia” (a.p.).

Upload: others

Post on 17-Oct-2020

3 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

RASSEGNA STAMPA di giovedì 27 novembre 2014

SOMMARIO

“Caro direttore - scrive un lettore ad Avvenire -, lunedì sera, seguendo in televisione le immagini dell’arrivo sulla stazione spaziale ISS della nostra astronauta italiana

Samantha Cristoforetti, ho colto un’immagine che mi ha fatto trasalire di gioia; una felicità che voglio condividere con quanti avranno già notato un 'particolare' della

stazione spaziale e anche con coloro ai quali è sfuggito. Per un momento, vedendo le immagini, sono rimasto incredulo: «Ma davvero?», pensavo. «Avrò visto male...», mi ripetevo. Poi ho cercato su internet tra le immagini e i filmati della missione ISS 42/43 'Futura' è ho ritrovato quell’immagine che mi era passata davanti in uno spezzone di filmato televisivo. Sappiamo quanto sia costoso portare nello spazio del carico 'non essenziale'; tutto viene ridotto al minimo; ma nella fotografia qui allegata, si osserva chiaramente nella parete della stazione spaziale ISS, dietro agli astronauti Samantha

Cristoforetti, Anton Shkaplerov e Terry Virts che consumano allegramente uno spuntino, come con grande dignità e visibilità, siano state disposte quatto bellissime icone (sembrano in stile russo); l’icona centrale, più grande, mostra la Vergine Maria

con bambino Gesù. Più in alto delle icone c’è un bel Crocifisso dorato. Difficile, guardando quelle icone antiche in una modernissima stazione spaziale, avamposto remoto dell’umanità, non osservare anche che quella missione è partita da un

territorio della ex Unione Sovietica nel giorno della festa di Gesù Re dell’Universo! «Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti» (dal Salmo 139). Con grande gioia”.

E Marco Tarquinio risponde così: “Già, caro amico, quanto... cielo c’è tra questa immagine dallo spazio e quella fatta circolare 53 anni fa, ai tempi dell’Unione

Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da lassù Gagarin aveva

esclamato qualcosa che potrebbe suonare come: «Ho visto le stelle, ma non ho visto Dio». In realtà, la frase pare debba essere interamente attribuita a Nikita Krusciov. L’allora capo del Superpotenza comunista disse, infatti, ai compagni del comitato

centrale del Pcus: «Gagarin è stato nello spazio, ma non ha visto Dio». E la propaganda antireligiosa del partito fece ciò che c’era da fare... Testimonianze emerse in seguito ci hanno fatto scoprire un Gagarin assai diverso dal racconto

mediatico, battezzato nell’ortodossia e credente. Potremmo concludere che il cielo sopra la Terra è, dunque, lo stesso. Ma, davvero, quanta distanza c’è tra quel lontano

volo spaziale e questo di oggi... Ciò che nel 1961 il cristiano Gagarin doveva nascondere in cuore, oggi infatti può venire espresso con libertà, con chiarezza e con bellezza. Non ovunque quaggiù è così, ma vedere che lassù succede è certamente una

gioia” (a.p.).

Page 2: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

3 – VITA DELLA CHIESA L’OSSERVATORE ROMANO Pag 7 L’Europa ha bisogno di dialogare Incontro con i giornalisti a bordo dell’aereo al rientro da Strasburgo Pag 8 Ecco la meta Il Papa parla della comunione tra la Chiesa celeste e quella in cammino sulla terra AVVENIRE Pag 1 La volontà che conta di Stefania Falasca La Chiesa, le divisioni, l’ora attesa CORRIERE DELLA SERA Pag 25 Il Papa e gli animali: “Il Paradiso è aperto a tutte le creature” di Gian Guido Vecchi Le parole sull’aldilà: non luogo, stato dell’anima 4 – MARCIANUM, ASSOCIAZIONI, ISTITUZIONI, MOVIMENTI E GRUPPI AVVENIRE Pag 19 Iusve, oggi don Luigi Ciotti inaugura l’anno accademico LA NUOVA Pag 24 Lectio magistralis di don Ciotti di m.a. Oggi allo Iusve 5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO CORRIERE DELLA SERA Pag 30 I conti in sospeso della “buona scuola” di Gianna Fregonara AVVENIRE Pag 2 Sentenza che chiude spazi di Enrico Lenzi Pag 26 Educare senza urlare di Rossana Sisti Alcune regole per farsi ascoltare dai figli 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pagg 22 – 23 La crisi morde, Venezia arranca. Disoccupazione su, il Pil va giù di Giacomo Costa e Gianluca Codognato Ventimila coppie vivono con 970 euro al mese IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag V Un comitato per evitare che il convento di S. Alvise sia trasformato in albergo di t.borz. 8 – VENETO / NORDEST IL GAZZETTINO Pag 12 Nozze gay, anche Treviso dice sì di Paolo Calia Il sindaco Manildo pronto a trascrivere l’unione della coppia italo-brasiliana Pag 19 La diocesi striglia la Moretti: “Perché attacchi i cattolici?” di Alda Vanzan Veneto, primarie del centrosinistra: a Treviso sferzante editoriale della Vita del Popolo

Page 3: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

contro l’europarlamentare CORRIERE DEL VENETO Pag 6 Cresce l’insicurezza, boom di telecamere di Alice D’Este L’indagine: due commercianti su tre sono preoccupati, aumentano vigilantes e vetrine corazzate LA NUOVA Pag 11 La diocesi di Treviso contro la Moretti La Vita del Popolo con la Rubinato … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 La vocazione minoritaria di Ernesto Galli della Loggia Le illusioni della sinistra pd Pag 2 – 3 L’invito di Napolitano a Renzi: cancellare il sospetto di voto anticipato di Marzio Breda e Maria Teresa Meli Addio al Colle possibile già a meta dicembre, l’ipotesi inquieta il premier LA REPUBBLICA Pag 1 La paura di Renzi, l’incognita del Colle e il rischio paralisi sulla legge elettorale di Stefano Folli LA STAMPA Le due strade per il successore di Napolitano di Marcello Sorgi AVVENIRE Pag 2 Quelle immagini sacre cristiane in orbita spaziale, 53 anni dopo (lettere al direttore) Pag 6 Dal Papa una scossa morale all’Europa di Francesco Riccardi e Daniele Zappalà Prodi: “L’Unione rinunciataria ritrovi la responsabilità”. Brague: “Una nonna stanca. Manca di ambizione” Pag 7 Erdogan, grandi manovre per tornare protagonista di Marta Ottaviani Il Papa nella Turchia che non guarda all’Europa IL GAZZETTINO Pag 1 Ma ora Renzi deve rottamare i burocrati di Francesco Grillo LA NUOVA Pag 1 L’Europa che non è cristiana di Ferdinando Camon

Torna al sommario 3 – VITA DELLA CHIESA L’OSSERVATORE ROMANO Pag 7 L’Europa ha bisogno di dialogare Incontro con i giornalisti a bordo dell’aereo al rientro da Strasburgo Pubblichiamo la trascrizione del colloquio di Papa Francesco con i giornalisti a bordo dell’aereo decollato martedì pomeriggio, 25 novembre, dall’aeroporto di Strasburgo alla

Page 4: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

volta di Roma, a conclusione del quinto viaggio internazionale del pontificato. L’incontro è stato introdotto e guidato da padre Lombardi. Bernard Renaud: Questa mattina, davanti al Parlamento Europeo, Lei ha tenuto un discorso con parole pastorali ma con parole che si possono sentire come parole politiche, e che si possono accostare - secondo me - a un sentimento socialdemocratico. Posso prendere un esempio breve, quando Lei dice che si deve evitare che la forza reale espressiva dei popoli sia rimossa davanti ai poteri multinazionali. Possiamo dire che Lei potrebbe essere un Papa socialdemocratico? Caro, questo è un riduzionismo! Io lì mi sento in una collezione di insetti: «Questo è un insetto socialdemocratico...». No, io direi di no: non so se è un Papa socialdemocratico o no... Io non oso qualificarmi di una o di un’altra parte. Io oso dire che questo viene dal Vangelo: questo è il messaggio del Vangelo, assunto dalla Dottrina sociale della Chiesa. Io in questo, in concreto, e in altre cose - sociali o politiche - che ho detto, non mi sono staccato dalla Dottrina sociale della Chiesa. La Dottrina sociale della Chiesa viene dal Vangelo e dalla tradizione cristiana. Questo che ho detto - l’identità dei popoli - è un valore evangelico, no? In questo senso lo dico. Ma mi hai fatto ridere, grazie! Jean-Marie Guénois: Quasi nessuno questa mattina nelle strade di Strasburgo. La gente si diceva delusa. Lei si pente di non essere andato alla cattedrale di Strasburgo, che festeggiava quest’anno il millenario? E quando farà il Suo primo viaggio in Francia, e dove? Forse a Lisieux? No, non è programmato ancora, ma si deve andare a Parigi certamente, no? Poi, c’è una proposta di andare a Lourdes... Io ho chiesto una città dove non sia andato mai alcun Papa, per salutare quei cittadini. Ma il piano non è stato fatto. No, per Strasburgo, si è pensata la cosa, ma andare alla cattedrale sarebbe stato già fare una visita in Francia, e questo è stato il problema. Giacomo Galeazzi: Mi aveva colpito nel discorso al Consiglio d’Europa il concetto di trasversalità, che Lei ha richiamato, e in particolare ha fatto riferimento agli incontri che Lei ha avuto con giovani politici dei diversi Paesi, e ha appunto parlato anche della necessità di una sorta di patto tra le generazioni, di un accordo intergenerazionale a margine di questa trasversalità. Poi, se mi consente, una curiosità personale: è vero che Lei è devoto di San Giuseppe? E che nella sua stanza ha una statua? Sì! Sempre, quando ho chiesto una cosa a san Giuseppe, me l’ha data. Il fatto della “trasversalità” è importante. Io ho visto nei dialoghi con i giovani politici, in Vaticano, soprattutto di diversi partiti e nazioni, che loro parlano con una musica diversa che è tendente alla trasversalità: è un valore! Loro non hanno paura di uscire dalla propria appartenenza, senza negarla, ma uscire per dialogare. E sono coraggiosi! Credo che questo dobbiamo imitarlo; e anche il dialogo intergenerazionale. Questo uscire per trovare persone di altre appartenenze e dialogare: l’Europa ha bisogno di questo, oggi. Javier María Alonso Martínez: Nel suo secondo discorso, quello al Consiglio d’Europa, Lei ha parlato dei peccati dei figli della Chiesa. Vorrei sapere come ha ricevuto le notizie su questa vicenda di Granada, che Lei in qualche modo ha portato alla luce... Io l’ho ricevuta inviata a me, ho letto, ho chiamato la persona e ho detto: «Tu domani vai dal vescovo»; e ho scritto al vescovo di incominciare il lavoro, di fare l’indagine e di andare avanti. Come l’ho ricevuta? Con grande dolore, con grandissimo dolore. Ma la verità è la verità, e non dobbiamo nasconderla. Andreas Englisch: Lei ha parlato spesso, nei discorsi adesso a Strasburgo, sia della minaccia terroristica sia della minaccia della schiavitù: questi sono atteggiamenti tipici anche dello Stato islamico, che minaccia gran parte del Mediterraneo, minacciano pure Roma e anche Lei, nella Sua persona. Lei crede che anche con questi estremisti si possa avere un dialogo, o Lei crede che questo sia una cosa persa? Io mai do per persa una cosa, mai. Forse non si può avere un dialogo, ma mai chiudere una porta. È difficile, puoi dire “quasi impossibile”, ma la porta sempre aperta. Lei ha usato due volte la parola “minaccia”: è vero, il terrorismo è una realtà che minaccia... Ma la schiavitù è una realtà inserita nel tessuto sociale di oggi, ma da tempo! Il lavoro schiavo, la tratta delle persone, il commercio dei bambini... è un dramma! Non chiudiamo gli occhi davanti a questo! La schiavitù, oggi, è una realtà, lo sfruttamento delle persone... E poi c’è la minaccia di questi terroristi. Ma anche un’altra minaccia, ed è il terrorismo di Stato. Quando le cose salgono, salgono, salgono e ogni Stato per conto

Page 5: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

suo si sente di avere il diritto di massacrare i terroristi, e con i terroristi cadono tanti che sono innocenti. E questa è un’anarchia di alto livello che è molto pericolosa. Con il terrorismo si deve lottare, ma ripeto quello che ho detto nel viaggio precedente: quando si deve fermare l’aggressore ingiusto, si deve fare con il consenso internazionale. Caroline Pigozzi: Volevo sapere se Lei quando viaggia a Strasburgo viaggia, nel suo cuore, come Successore di Pietro, come Vescovo di Roma, o come arcivescovo di Buenos Aires... È una domanda da donna... Caroline è molto acuta... Non so, davvero non so. Mah... viaggio, credo, con tutte e tre le cose, perché mai mi sono posto questa domanda. Lei mi obbliga a pensare un po’! No, ma davvero... La memoria è di arcivescovo di Buenos Aires, ma questo non c’è più. Adesso sono Vescovo di Roma e Successore di Pietro, e credo che viaggio con quella memoria ma con questa realtà: viaggio con queste cose. Per me, l’Europa, in questo momento, mi preoccupa; è bene per aiutare che io vada avanti, e questo come Vescovo di Roma e Successore di Pietro: lì sono romano. Grazie tante del vostro lavoro! È stata davvero una giornata forte. Grazie, grazie tante. Non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo. Pag 8 Ecco la meta Il Papa parla della comunione tra la Chiesa celeste e quella in cammino sulla terra «La Chiesa non è una realtà statica, ferma, fine a se stessa, ma è continuamente in cammino nella storia, verso la meta ultima e meravigliosa che è il Regno dei cieli»: all’udienza generale di mercoledì 26 novembre Papa Francesco ha concluso le sue riflessioni sulla natura della Chiesa ricordando ai fedeli presenti in piazza San Pietro che l’elemento «veramente decisivo per la nostra salvezza e per la nostra felicità» è la distinzione non più «tra chi è già morto e chi non lo è ancora, ma tra chi è in Cristo e chi non lo è!». Cari fratelli e sorelle, buongiorno. Un po’ bruttina la giornata, ma voi siete coraggiosi, complimenti! Speriamo di pregare insieme oggi. Nel presentare la Chiesa agli uomini del nostro tempo, il Concilio Vaticano II aveva ben presente una verità fondamentale, che non bisogna mai dimenticare: la Chiesa non è una realtà statica, ferma, fine a se stessa, ma è continuamente in cammino nella storia, verso la meta ultima e meravigliosa che è il Regno dei cieli, di cui la Chiesa in terra è il germe e l’inizio (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 5). Quando ci rivolgiamo verso questo orizzonte, ci accorgiamo che la nostra immaginazione si arresta, rivelandosi capace appena di intuire lo splendore del mistero che sovrasta i nostri sensi. E sorgono spontanee in noi alcune domande: quando avverrà questo passaggio finale? Come sarà la nuova dimensione nella quale la Chiesa entrerà? Che cosa sarà allora dell’umanità? E del creato che ci circonda? Ma queste domande non sono nuove, le avevano già fatte i discepoli a Gesù in quel tempo: «Ma quando avverrà questo? Quando sarà il trionfo dello Spirito sulla creazione, sul creato, su tutto...». Sono domande umane, domande antiche. Anche noi facciamo queste domande. La Costituzione conciliare Gaudium et spes, di fronte a questi interrogativi che risuonano da sempre nel cuore dell’uomo, afferma: «Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini» (n. 39). Ecco la meta a cui tende la Chiesa: è, come dice la Bibbia, la «Gerusalemme nuova», il «Paradiso». Più che di un luogo, si tratta di uno “stato” dell’anima in cui le nostre attese più profonde saranno compiute in modo sovrabbondante e il nostro essere, come creature e come figli di Dio, giungerà alla piena maturazione. Saremo finalmente rivestiti della gioia, della pace e dell’amore di Dio in modo completo, senza più alcun limite, e saremo faccia a faccia con Lui! (cfr. 1 Cor 13, 12). È bello pensare questo, pensare al Cielo. Tutti noi ci troveremo lassù, tutti. È bello, dà forza all’anima. In questa prospettiva, è bello percepire come ci sia una continuità e una comunione di fondo tra la Chiesa che è nel Cielo e quella ancora in cammino sulla terra. Coloro che già vivono al cospetto di Dio possono infatti sostenerci e intercedere per noi, pregare per noi. D’altro canto, anche noi

Page 6: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

siamo sempre invitati ad offrire opere buone, preghiere e la stessa Eucaristia per alleviare la tribolazione delle anime che sono ancora in attesa della beatitudine senza fine. Sì, perché nella prospettiva cristiana la distinzione non è più tra chi è già morto e chi non lo è ancora, ma tra chi è in Cristo e chi non lo è! Questo è l’elemento determinante, veramente decisivo per la nostra salvezza e per la nostra felicità. Nello stesso tempo, la Sacra Scrittura ci insegna che il compimento di questo disegno meraviglioso non può non interessare anche tutto ciò che ci circonda e che è uscito dal pensiero e dal cuore di Dio. L’apostolo Paolo lo afferma in modo esplicito, quando dice che «anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 21). Altri testi utilizzano l’immagine del «cielo nuovo» e della «terra nuova» (cfr. 2 Pt 3, 13; Ap 21, 1), nel senso che tutto l’universo sarà rinnovato e verrà liberato una volta per sempre da ogni traccia di male e dalla stessa morte. Quella che si prospetta, come compimento di una trasformazione che in realtà è già in atto a partire dalla morte e risurrezione di Cristo, è quindi una nuova creazione; non dunque un annientamento del cosmo e di tutto ciò che ci circonda, ma un portare ogni cosa alla sua pienezza di essere, di verità, di bellezza. Questo è il disegno che Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, da sempre vuole realizzare e sta realizzando. Cari amici, quando pensiamo a queste stupende realtà che ci attendono, ci rendiamo conto di quanto appartenere alla Chiesa sia davvero un dono meraviglioso, che porta iscritta una vocazione altissima! Chiediamo allora alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, di vegliare sempre sul nostro cammino e di aiutarci ad essere, come lei, segno gioioso di fiducia e di speranza in mezzo ai nostri fratelli. AVVENIRE Pag 1 La volontà che conta di Stefania Falasca La Chiesa, le divisioni, l’ora attesa Entrando nella piccola cattedrale di San Giorgio al Fanar, la sede del Patriarcato ortodosso di Costantinopoli, dove domenica papa Francesco celebrerà la liturgia, si rimane sorpresi dalla disarmante semplicità di questo settecentesco edificio di culto. Qui sono entrati nelle loro visite Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Nel 1967 vi aveva fatto il suo ingresso Paolo VI, tenendosi per mano con il patriarca Atenagora. Montini pronunciò parole che suonano ancora oggi piene di significato: «Il Signore guidi i nostri passi e i nostri sforzi verso il giorno tanto desiderato della piena comunione. Egli ci doni di essere sempre più animati unicamente dalla preoccupazione del compimento fedele della sua volontà sulla Chiesa, ci accordi il senso vivo dell’unica cosa necessaria, alla quale tutto il resto deve essere subordinato e sacrificato». La risposta di Atenagora fu altrettanto pregnante: «Il Signore ci ha condotti di tappa in tappa e ci ha obbligati a confrontarci con i segni dolorosi della nostra storia comune. Ci ha ordinato di togliere da noi il sipario della divisione: questo noi abbiamo fatto nella misura della nostra debolezza... Cominciamo da noi stessi». Una delle ultime conversazioni di Atenagora, pochi giorni prima della morte, era stata con un giovane diacono del Fanar. Quel giovane era Bartolomeo, oggi suo successore sul trono di Sant’Andrea, primus inter pares tra i primati ortodossi. Passato qualche giorno da quella conversazione l’allora diacono Bartolomeo appuntava: «Alla mia domanda sulla possibile evoluzione del dialogo con Roma, egli mi rispose in poche parole dicendo che Dio, il quale aveva cominciato quest’opera di avvicendamento e di riconciliazione verso l’unità l’avrebbe portata al compimento desiderato per la gloria del suo nome. Egli non nutriva dubbi su questo, ma era preoccupato piuttosto dell’immutabilità e dei particolarismi...». Atenagora, ormai sul finire della vita, aveva poi concluso: «Siamo arrivati a un punto e ci siamo fermati. C’è bisogno di passi generosi e decisivi per procedere ancora». Non è difficile pensare che queste parole siano state presenti nel cuore del patriarca Bartolomeo già quando il 19 marzo 2013 partecipò alla liturgia di inaugurazione del pontificato del nuovo Vescovo di Roma, compiendo così un atto inedito e un altro «passo generoso» sulla via della fraternità cristiana. Un passo certamente rafforzato nell’incontro con papa Francesco a Gerusalemme, quando parlò della «necessità di condividere la nostra testimonianza in un mondo già altrimenti indiviso». E tanto più qui, adesso, in questa terra che attende Francesco domani, che ci fa memoria della presenza degli apostoli e dove, dopo Gerusalemme, sono sorte le prime e più vivaci comunità cristiane, e la Chiesa dei primi

Page 7: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

secoli è cresciuta nell’ecclesialità. Nel foglietto che il patriarca Bartolomeo ha fatto distribuire ai suoi fedeli per la visita del vescovo di Roma sono riprese le prime parole di Paolo agli Efesini: «Fratelli, camminate nella carità nel modo che anche Cristo vi ha amato». Noi siamo nel cammino verso l’unità tra i cristiani e non c’è modo di tornare indietro perché l’ecumenismo è, per così dire, una strada a senso unico. E sono «sfortunati - affermava De Lubac - quelli che hanno imparato il catechismo in funzione dell’opposizione a qualcuno: è da temersi che, in tal caso, l’abbiano imparato solo a metà». Il Concilio ha confermato questa intuizione quando ha ricordato che «quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli separati, può contribuire alla nostra edificazione ». L’ecumenismo non porta alla conversione verso una parte o verso un’altra: si tratta della conversione di tutti alla verità totale di Gesù Cristo. Ecco perché non c’è ecumenismo senza mutua conversione e rinnovamento delle Chiese. Ripartire da dove tutto è cominciato, dal Vangelo, per tornare alla Chiesa indivisa è il senso di questo viaggio del Papa in Turchia. E oggi, in un mondo molto diverso da quello in cui si incontrarono Paolo VI e Atenagora, un mondo globalizzato, che affronta il dramma dell’intolleranza religiosa e le difficoltà della coabitazione in società sempre più plurali, questo nuovo incontro non può non richiamare alla consapevolezza espressa già cinquant’anni fa dal patriarca ecumenico di Costantinopoli: «L’uomo moderno e il mondo non possono più permettersi il lusso della divisione tra i cristiani, di ragionamenti e riserve mentali che non sono ispirate al Vangelo, di interminabili discussioni accademiche». È dunque questa l’ora della Chiesa unita? CORRIERE DELLA SERA Pag 25 Il Papa e gli animali: “Il Paradiso è aperto a tutte le creature” di Gian Guido Vecchi Le parole sull’aldilà: non luogo, stato dell’anima Città del Vaticano. La Chiesa in cammino nella storia «verso il Regno dei Cieli», il Paradiso che «più di un luogo» è «uno stato dell’anima in cui le nostre attese più profonde saranno compiute in modo sovrabbondante». Francesco, nella sua catechesi in piazza San Pietro, parla della «Gerusalemme celeste» e sorride: «È bello pensare al Cielo. Tutti noi ci troveremo lassù, tutti». E poi amplia lo sguardo, con una frase che allarga la speranza della salvezza e beatitudine escatologica agli animali come all’intero creato: «La Sacra Scrittura ci insegna che il compimento di questo disegno meraviglioso non può non interessare anche tutto ciò che ci circonda e che è uscito dal pensiero e dal cuore di Dio», spiega. Prima di citare il capitolo 8 della Lettera ai Romani: «L’apostolo Paolo lo afferma in modo esplicito, quando dice che “anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”». Pure altri testi, dalla seconda lettera di Pietro all’Apocalisse, mostrano «l’immagine del “cielo nuovo” e della “Terra nuova”», ricorda Francesco, «nel senso che tutto l’universo sarà rinnovato e verrà liberato una volta per sempre da ogni traccia di male e dalla stessa morte». Come «compimento di una trasformazione che in realtà è già in atto a partire dalla morte e risurrezione di Cristo» ci si prospetta, insomma, una «nuova creazione»: «Non dunque un annientamento del cosmo e di tutto ciò che ci circonda, ma un portare ogni cosa alla sua pienezza di essere, di verità, di bellezza». Francesco sta preparando una enciclica «ecologica» sulla custodia del Creato. Di certo il tema è ricorrente e talvolta controverso, nella Chiesa. Si racconta che Paolo VI avesse consolato un bambino in lacrime per la morte del suo cane dicendogli: «Un giorno rivedremo i nostri animali nell’eternità di Cristo». Del resto la parola «animale» viene da «anima», come principio vitale, e anche Giovanni Paolo II disse in un’udienza del 1990: «Alcuni testi sacri ammettono che anche gli animali hanno un alito o soffio vitale e che l’hanno ricevuto da Dio». Una prospettiva che Benedetto XVI - del quale peraltro è noto l’amore per i gatti - sembrò sbarrare durante un’omelia di sei anni fa: «Nelle altre creature, che non sono chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla Terra...». Il tema, spiega un grande teologo come l’arcivescovo Bruno Forte, ha a che fare con la parola greca anakephalaiosis, ovvero «la “ricapitolazione” di tutte le cose in Cristo e quindi nella gloria di Dio, tutto in tutti». Non a caso Francesco ha citato San Paolo: «Secondo la teologia paolina, come si legge nella lettera ai Colossesi, tutto è stato creato per mezzo di Cristo e in vista di Lui, e quindi

Page 8: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

tutto parteciperà alla gloria finale di Dio». Certo, «nella forma e nella misura data ad ogni creatura», aggiunge Forte: «Una cosa è la creatura consapevole e libera, un’altra quella inanimata. Ma l’idea è che l’universo intero non viene annientato». Torna al sommario 4 – MARCIANUM, ASSOCIAZIONI, ISTITUZIONI, MOVIMENTI E GRUPPI AVVENIRE Pag 19 Iusve, oggi don Luigi Ciotti inaugura l’anno accademico È don Luigi Ciotti l’ospite d’onore all’inaugurazione dell’anno accademico 2014-2015 dell’Istituto Universitario Salesiano di Venezia (Iusve), in programma oggi dalle 9.30. «Educazione e partecipazione: nuove sfide per una società inclusiva nell’era della globalizzazione » è il titolo della lectio magistralis che vedrà impegnato il fondatore del Gruppo Abele e presidente nazionale di Libera. L’ateneo salesiano mestrino è attivo da dieci anni con duemila iscritti ai corsi di laurea triennale e a quelle magistrali. LA NUOVA Pag 24 Lectio magistralis di don Ciotti di m.a. Oggi allo Iusve Don Luigi Ciotti ospite d'onore all'inaugurazione dell'anno accademico 2014-2015 dello Iusve (Istituto universitario salesiano di Venezia), in programma oggi a partire dalle 9.30 in via dei Salesiani. “Educazione e partecipazione: nuove sfide per una società inclusiva nell'era della globalizzazione” il titolo della lectio magistralis che vedrà impegnato il fondatore del Gruppo Abele e presidente nazionale di Libera. L’incontro si inserisce in un contesto internazionale: Mestre e lo Iusve saranno, infatti, per tre giorni crocevia mondiale della riflessione e della ricerca attorno ai temi dell'educazione, con esperti provenienti dall'America Latina, dall'Asia e dal resto d'Europa. L'iniziativa, inoltre, rientra all’interno degli eventi per la celebrazione del Bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco (1815-2015). L'Ateneo salesiano mestrino è arrivato al decimo anniversario dei corsi di laurea con quasi duemila iscritti (300 in più dello scorso anno). Il programma della giornata prevede alle 9.30 la messa presieduta da don Roberto Dal Molin, superiore dei Salesiani del Triveneto; dalle 10.30 i saluti e la musica della Young's Orchestra e poi, dalle 11 alle 12, l’intervento di don Ciotti. Torna al sommario 5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO CORRIERE DELLA SERA Pag 30 I conti in sospeso della “buona scuola” di Gianna Fregonara La sentenza della Corte di Giustizia europea, che condanna l’Italia per l’eccessivo e prolungato uso dei precari nella scuola, mette la ceralacca sulla confusione che regna nella scuola italiana in fatto di insegnanti, graduatorie, posti vacanti, riforme che correggono riforme, ricorsi, vecchi e nuovi concorsi. E potenzialmente apre la via a decine di migliaia di ricorsi di singoli supplenti che potranno chiedere al giudice del lavoro di valutare il proprio caso e capire se si sia creato negli anni un diritto all’assunzione (con scatti di anzianità e carriera) o almeno a un risarcimento. Sono duecentocinquantamila secondo il sindacato gli insegnanti che potrebbero puntare al posto fisso, poco più di sessantamila dicono le prime stime ufficiose del Miur. Di questo si parlerà a lungo nei prossimi mesi, proprio mentre al ministero dell’Istruzione sono alle prese con il testo del decreto di stabilizzazione dei 150 mila insegnanti iscritti alle graduatorie ad esaurimento che è stato promesso dal progetto della «Buona scuola» e dovrà essere approvato dal Consiglio dei ministri nella prima metà di gennaio e diventare legge entro marzo. Si tratta dell’ennesimo tentativo di mettere ordine nel percorso, del tutto tortuoso, per diventare insegnante, esaurendo in un colpo solo tutto

Page 9: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

ciò che è rimasto dal passato, quelle graduatorie ad esaurimento (Gae) che non ci sono ancora, esaurite per i tagli della riforma Gelmini e i limiti al turn over. Poi si dovrebbe passare dal 2016 a concorsi con scadenze corte e regolari, come si addice a un sistema moderno ed efficiente di reclutamento. Ma il progetto di tirare un tratto di penna sul passato è ben più difficile di quanto spiegato nel libretto della «Buona scuola»: intanto chi entrerà in base alla sentenza della Corte europea avrà diritto alla ricostruzione della carriera, cioè ad uno stipendio più alto e agli arretrati mentre tutto ciò non è scontato per chi sarà «stabilizzato» dalla «Buona scuola», che per ora ha stanziato solo un miliardo per il 2015. Il censimento poi dei 148 mila insegnanti che sono iscritti nella graduatorie ha riservato sorprese poco piacevoli ai tecnici del ministero che stanno scrivendo il testo del decreto. La difficoltà sta in primo luogo nel fatto che le competenze degli insegnanti in attesa di cattedra non sempre sono quelle necessarie nella scuola del Ventunesimo secolo. Per fare un esempio, come scrive nel suo rapporto la Fondazione Agnelli c’è «un’insufficienza di docenti in scienze matematiche per le secondarie di primo grado (le medie) le cui supplenze annuali vengono sempre più spesso assegnate a docenti non inclusi nelle Gae e anche non abilitati, mentre c’è una sovrabbondanza di docenti della scuola dell’infanzia, sono oltre 50 mila a fronte di un organico di 82 mila posti». È poi noto a tutti, oltre che confermato dai dati del Miur, che servono insegnanti nelle aree urbane del Nord mentre le graduatorie più numerose sono quelle delle regioni del Sud: c’è da immaginare che nessuno rifiuterà una cattedra per sempre anche lontano da casa, ma non è pensabile che poi non cerchi di riavvicinarsi creando una nuova catena di supplenze. Infine, come ha segnalato sul Corriere Orsola Riva, ci sono oltre 30 mila insegnanti che da oltre tre anni non insegnano, ci sono docenti di materie (la stenografia) che non esistono più e che dovranno essere formati per altri compiti. Senza entrare nelle polemiche tra governo e sindacati sulla valutazione del merito degli insegnanti, né sui dubbi che anche i tecnici hanno sulla possibilità di creare reti di scuole (con quali criteri?) e organico funzionale a disposizione delle supplenze (chi ne farà parte e per quanto tempo?), la sfida è altissima. O si riusciranno a scrivere risposte chiare, non solo sulla carriera dei 150 mila neo assunti ma anche sul valore che porteranno nella scuola pubblica con le loro competenze per gli studenti, o il risultato sarà solo quello di trasferire la confusione dall’aula professori direttamente dentro le aule, aumentando lo stato di smarrimento degli studenti di fronte ad una scuola che pensa sì ai diritti degli insegnanti ma neppure questa volta a quelli degli alunni, trasformando le buone intenzioni non in una riforma epocale ma in un enorme soqquadro. AVVENIRE Pag 2 Sentenza che chiude spazi di Enrico Lenzi E alla fine sarà probabilmente una sentenza della Corte di giustizia europea a imporre di mettere fine al precariato nella scuola. Per il governo italiano una «bocciatura» sul rispetto delle regole nei contratti a tempo determinato che non possono perdurare all’infinito e che devono trovare una trasformazione a tempo indeterminato o prevedere una compensazione se ciò non avviene. Ma questo non è accaduto e ora il governo è chiamato a porvi rimedio. Soddisfatti i ricorrenti (alcuni docenti che hanno avuto contratti a tempo determinato fino a 71 mesi) che vedono riconosciuto un diritto sancito dalle norme. Un esito, però, che, pur riconoscendo diritti legittimi, lascia l’amaro in bocca per diversi motivi. Il primo perché tutto questo poteva essere affrontato per tempo e in modo più ragionato e flessibile. Ora gli spazi si fanno stretti e pure onerosi (due miliardi di euro secondo il calcolo delle organizzazioni sindacali che hanno presentato ricorso a livello europeo). Un secondo motivo di rammarico è che in tutti questi anni di riforme, controriforme, aggiustamenti non si è mai messo mano seriamente al canale di ingresso per la docenza, cioè i concorsi. E, anche se nel piano della «buona scuola» di Renzi si parla di riattivarlo in modo stabile, tutto il dibattito di questi ultimi mesi si è concentrato sull’assunzione di 148mila docenti dalle graduatorie, piuttosto che sul come regolarizzare in futuro l’ingresso degli insegnanti. Rammarico, anche se si dovrebbe parlare più correttamente di preoccupazione, per i giovani che aspirano a diventare un giorno docenti. Per loro, questa sentenza rischia di trasformarsi in un ulteriore chiavistello sulla porta di ingresso nella scuola. Già il piano di assunzioni previsto per l’anno prossimo rappresentava una diminuzione di spazi. L’immissione di

Page 10: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

ulteriori 100mila docenti potrebbe significare una chiusura definitiva per molti anni. La sentenza della Corte europea evidenzia ancora una volta come sia necessario cambiare passo «sulla» e «nella » scuola. Proprio per evitare che le soluzioni siano imposte per via giudiziaria e arrivino invece attraverso il confronto delle parti. Con il contributo di tutti. Pag 26 Educare senza urlare di Rossana Sisti Alcune regole per farsi ascoltare dai figli C’è chi con pazienza intraprende la strada delle spiegazioni minuziose e chi più spiccio conta fino a tre; chi ordina perentoriamente e chi supplica; chi promette e minaccia punizioni; chi adotta l’urlata e chi dopo un’estenuante contrattazione passa alle maniere forti, uno strattone o un insulto gridato con rabbia. Farsi ascoltare dai figli non è mai stato facile per i genitori: al padre padrone bastava un’occhiata, un’alzata di sopracciglio a incenerire un’intemperanza infantile, per il resto c’erano botte e punizioni ad hoc. Oggi pochi hanno nostalgia di quell’educazione autoritaria e brutale che doveva drizzare la schiena al giovane virgulto, sebbene al genitore contemporaneo, dialogante e disponibile, morbido e protettivo verso i figli la pazienza scappi in fretta così che spesso le maniere forti tornano in auge. Urla, minacce e scapaccioni, ultima spiaggia quando il bambino s’intestardisce. Del resto sono in tanti a pensare che alzare il volume migliori la comunicazione. Ma poi cosa significa non essere ascoltati? L’educazione è questione di ascolto? Davvero si è convinti che l’obbedienza sia la prima virtù di un bambino? Domande retoriche, considerata l’ovvietà del titolo dell’ultimo lavoro di Daniele Novara in questi giorni in libreria per i tipi della Bur (pagine 288, euro 13) Urlare non serve a nulla. Pedagogista, impegnato sul fronte della gestione dei conflitti, Daniele Novara da anni anima in tante città italiane Scuole per Genitori, spazi di confronti e riflessioni in cui giovani coppie alle prese con bambini piccoli o adolescenti, spesso confuse su come interpretare il proprio ruolo, imparano ad affrontare gli inevitabili conflitti con i figli, i capricci, le opposizioni e le ribellioni, come un’occasione educativa. Questo libro, racconta il pedagogista, nasce dalle tante storie familiari raccolte in anni di consulenze e di incontri, dalle testimonianze dei disagi raccolte sui due fronti dei genitori e dei figli. Novara come sempre va al centro del problema: parte dal genitore affettuoso, confidenziale, troppo morbido, troppo servizievole e disponibile, meticoloso nei discorsi infiniti e nelle spiegazioni concettuose, quello che vuole fare al meglio ma poi si impantana nel risentimento e nelle piccole vendette o che le prova tutte per farsi obbedire… anche le sberle, magari per dimostrare al bambino che fanno male. Il genitore emotivo che in nome dell’affetto si lascia tiranneggiare dal bambino rischiando a sua volta di diventare un tiranno. «Il genitore che improvvisa o preferisce reagire istintivamente, piuttosto che stabilire regole chiare, divieti precisi e utilizzare una comunicazione ferma e decisa, adeguata alle capacità effettive del proprio figlio. La formula secondo cui più si parla, più si immagina di essere ascoltati - chiarisce Novara - è ingannevole. Fare la mossa giusta, o magari rimandarla dopo averci pensato su, vale più di tante parole. Ma anche pensare che la propria disponibilità debba essere ripagata con l’obbedienza è un equivoco serio, fonte di inutili frustrazioni che degenerano in collera, castighi e urlate. Mortificazione nei figli e sensi di colpa nei genitori. Io penso - ribadisce - che si possa fare diversamente e meglio. Senza troppe difficoltà e senza una laurea in pedagogia». Davanti a papà e mamme troppo coinvolti nel lavoro di cura, di accudimento e protezione materiale dei figli, il richiamo di Daniele Novara punta a una buona organizzazione educativa. «L’educazione è anche un fatto organizzativo. Una giusta distanza emotiva che consente a bambini e ragazzi le cose semplici di cui hanno bisogno e cioè sentirsi sicuri perché i genitori ci sono davvero, regole chiare, comunicazione sobria e insieme tutta l’autonomia possibile». Novara lo definisce 'metodo maieutico', contrapposto al metodo correttivo, fatto di ordini, comandi e castighi che non vanno confusi con le regole. «I bambini vogliono diventare grandi, hanno realisticamente bisogno di imparare a vivere, di muoversi molto, di apprendere ciò che non conoscono. Come possono crescere se non fanno esperienze, se gli adulti si sostituiscono a loro, li vestono, li imboccano e li servono fino a dieci anni e anche più? Se non permettono loro di mettersi alla prova? Le punizioni li mortificano, quella che alcuni pedagogisti chiamano servizievolezza li soffoca e li spegne. Le buone consuetudini invece permettono ai bambini di essere tranquilli e sapere cosa possono fare, quando e come. Il genitore

Page 11: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

maieutico aiuta il figlio a imparare dalle proprie mancanze, dà fiducia e altre possibilità, accetta che possa sbagliare senza farlo sentire sempre il solito». Il solito idiota, che se ne frega, che non ascolta mai… Insomma il genitore educativo è quello che non si abbandona alla rabbia, che non si offende e non fa ritorsioni, non fa l’amicone dando quella confidenza che è pronto a ritirare violentemente alla prima occasione, non vuole trasformare o plasmare i figli a proprio piacimento. Allenarsi quando il bambino è piccolo è un investimento per quando si avrà a che fare con l’adolescente, che vorrà giustamente prendere le distanze dai genitori. E i sistemi rigidi di controllo allora faranno acqua. «Quello è il momento delle regole negoziate, chiare e di buon senso - continua il pedagogista - di strumenti organizzativi che creano un argine di protezione all’azione dei figli lasciando loro spazi di libertà. Ma evitano discussioni infinite, conflitti e rotture. Qui però devono entrare in azione i padri, e le mamme con la loro tendenza all’accudimento invasivo, fare un passo indietro, mantenendo il proprio ruolo di appoggio al gioco di squadra che fa funzionare bene le regole». È uno sforzo grande che si richiede, un percorso a ostacoli per tutti ma per tutti occasione di evoluzione. Del resto, come sosteneva Kant, è la resistenza dell’aria e non il vuoto che consente il volo. Torna al sommario 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pagg 22 – 23 La crisi morde, Venezia arranca. Disoccupazione su, il Pil va giù di Giacomo Costa e Gianluca Codognato Ventimila coppie vivono con 970 euro al mese Una situazione difficile, che tarda a migliorare e che pesa giorno per giorno sulla vita di tutti i cittadini, venendo quindi definita dagli esperti “triste e desolante”: l’economia veneziana non sembra aver ancora intrapreso la strada della ripresa. A testimoniare le difficoltà vissute da pressoché tutti i settori produttivi e commerciali del territorio questa volta sono i dati forniti da Confcommercio che, in occasione della Giornata nazionale della Legalità, ha diffuso i numeri del Veneto per quanto riguarda occupazione, consumi, percentuali del Pil e mortalità delle imprese; si tratta di cifre impietose, che vedono Venezia tra le peggiori province della regione quasi in ogni campo e che paiono rispondere con fredda efficacia a certe previsioni ottimistiche di fine crisi. Resistono, prevedibilmente, le attività come la ristorazione e l’alloggio, legate al turismo, unico settore che porta in alto il capoluogo lagunare, ma per quanto riguarda gli altri comparti si notano pesanti flessioni. Se la popolazione residente nel Veneziano è infatti aumentata, passando dagli 829mila abitanti del 2007 agli 853mila del 2013, gli occupati sono scesi da 351mila a 336mila, facendo oscillare il tasso di disoccupazione dal 2,9% di sei anni fa ad un drammatico 8,6% nello scorso anno. Anche i dati sul Pil e sui consumi sono calati di conseguenza e gli studi Confcommercio su rilevamenti Istat evidenziano una variazione della percentuale media annua per abitante che, per il prodotto interno lordo, è passata dal 2,3 del periodo compreso tra il 2008 e il 2012 al 2,2 del 2013, causando una diminuzione dei consumi per cittadino del 3,1%, contro l’1,4% dei quattro anni precedenti. Passando all’analisi puntuale del tessuto imprenditoriale, studiato dalla confederazione sulla base dei dati Movimprese, la situazione appare preoccupante. A settembre del 2014, infatti, nella provincia lagunare sono state registrate poco più di 77 mila imprese, un numero che colloca Venezia davanti alle sole Rovigo e Belluno. Più allarmante ancora il dato sul rapporto tra natalità e mortalità delle attività: il capoluogo veneto nei primi nove mesi di quest’anno segna -152 nel settore manifatturiero, -262 nelle costruzioni, -277 nel commercio (di cui -250 al dettaglio), -118 per alloggio e ristorazione, e, infine, -207 nei restanti servizi. A commentare sconsolato i freddi numeri Marco Michielli, vicepresidente di Confcommercio Veneto e presidente della sezione regionale di Confturismo: «I dati della tabella sulla nati-mortalità delle imprese del commercio, della ristorazione e del turismo in Veneto ci restituiscono una realtà triste e desolante. Il dato del commercio aggregato, comprensivo di alloggi e ristorazione, evidenzia come siano i settori più massacrati della nostra regione. Non solo: un terzo di tutte le attività che hanno chiuso nel Nordest, risiede in Veneto, e questo la dice lunga

Page 12: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

sull’effetto della crisi nelle imprese che non delocalizzano e sulle ripercussioni sul fronte occupazionale». Vivere in due con meno di mille euro al mese ai tempi della crisi. Un’impresa, eppure nel territorio veneziano sono circa 20mila le coppie che devono districarsi fra spese alimentari, mutui o affitti, bollette e quant’altro con una stipendio totale che ruota attorno a 972 euro e 50 centesimi. Questa è la cifra che definisce la povertà relativa, una condizione che non rientra nel campo dell’indigenza, ma di certo s’avvicina. In pratica ogni venti famiglie veneziane, una deve fare i conti con queste disponibilità, in un contesto di recessione che dal 2009 ha fatto più che raddoppiare il numero di questi poveri. Il trend emerge durante la presentazione di Venezia indicatori, “cruscotto” economico del servizio Studi e Statistica della Camera di Commercio, che fornisce periodicamente i numeri sulle situazione del nostro territorio. Il terzo trimestre dell’anno evidenzia un tenue segnale di ripresa in un contesto comunque stazionario: sta via via diminuendo il numero delle imprese che chiudono, anche se di contro le nuove iscrizioni continuano a latitare. Ma partiamo dalla povertà relativa. Secondo stime riferite all’andamento regionale, a fine 2013 le famiglie veneziane di due persone con uno stipendio che si aggira attorno ai mille euro sono circa 20mila. Il trend al 2012, raccontato dagli ultimi dati disponibili, racconta il disagio crescente. Nel 2009 i “relativamente” poveri erano 9.950, il 2,8% del totale delle famiglie. Nel 2010 sono saliti a quota 14.951, poi scesi a 12.280 nel 2011 e infine ritornati in alto, a 18.221 unità (4,9%). Nel 2013, con il crescente acuirsi della crisi, le famiglie in questione hanno presumibilmente superato quota 20mila. Di fronte alla crescita della povertà, però, l’ultimo trimestre del 2014 lancia segnali pseudo incoraggianti, dai quali si evince, in pratica, che dopo aver toccato il fondo almeno non si è cominciato a scavare. Ebbene, il dato più positivo riguarda le cessazioni, ovvero le chiusure delle imprese. Nel periodo gennaio-settembre di quest’anno, le aziende che hanno chiuso i battenti (tra le quali spiccano ristoranti e hotel, più 10,4%) sono 3.774, circa il 5% in meno del 2013. Di contro, anche le nuove aperture sono diminuite (3.638, meno 2,3%), in particolare nei settori dell’industria (-22,6%), del commercio (-12,6%) e dei trasporti (-17,3%). Tra l’altro il saldo tra iscrizioni e cessazioni resta ancora negativo. Guardando al quadro generale, sono circa 90mila le imprese nel Veneziano, esattamente 89.357. Sotto il profilo settoriale, gli andamenti negativi più marcati continuano a riguardare il comparto agricolo (-3,6%) e le costruzioni (-1,9%). Nel terziario, le variazioni sono tutte di segno positivo, con i servizi alle persone che crescono del +3,6%, il settore della finanza e assicurazioni del +2,5% e i servizi di alloggio e ristorazione del +2,4%. Restano in sofferenza le imprese artigiane, ancora in calo del 1,7%. «L’andamento registrato», spiega Roberto Crosta, segretario generale della Camera di Commercio di Venezia, «ci dice che dobbiamo lavorare nella direzione di creare nuove imprese. Da questo punto di vista l’ente camerale è sempre in prima fila con la predisposizione di bandi e di corsi di formazione per imprenditori». Pensando al suo sterminato patrimonio, Venezia sarà sicuramente il territorio ideale per far crescere e sviluppare le imprese del settore artistico e culturale. Sbagliato. Nella nostra provincia, al contrario di ciò che accade nel resto del Veneto, il settore non risulta assolutamente trainante, almeno come numero di aziende. Venezia si colloca soltanto al 17° posto nazionale nella classifica delle province per numero di imprese registrate nel sistema produttivo- culturale, e scivola addirittura al 50° e al 56° posto per occupazione e valore aggiunto. Eppure, come dicono i dati di Unioncamere e Fondazione Symbola, le imprese di questo settore emergente nel 2013 ammontano in Italia a quasi 444mila, e ad esse si devono 74,9 miliardi di euro di valore aggiunto (il 5,4% del totale) e quasi 1,4 milioni di occupati (5,8% del totale). Anche il Veneto si posiziona molto bene, al terzo posto assoluto, nella classifica per regioni, con l’8,6% del totale delle imprese creative-culturali, l’11,1% del valore aggiunto e l’11,5% degli occupati. E Venezia? Indietro. Ma non per quanto riguarda la aziende “green”, riconosciuto fattore di competitività, in crescita anche da noi. Il Veneto è la seconda regione italiana per numero di aziende che hanno investito o hanno in programma di investire sulla sostenibilità ambientale, quasi 36 mila, e vanta anche ben cinque delle sue sette realtà nelle prime venti posizioni della classifica assoluta nazionale per province: nell’ordine, Padova, Treviso, Verona, Venezia

Page 13: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

e Vicenza. Il green, secondo il sistema Excelsior di Unioncamere, rappresenta anche un volano per l’occupazione. Non si sono spaventati di fronte al maltempo, anzi. In provincia e in particolare nel capoluogo, i turisti anche quest’anno hanno affollato il nostro territorio, in numero maggiore rispetto all’anno passato. Insomma, il maltempo (e la crisi) non ha fermato l’industria più importante per Venezia, tanto che nel periodo gennaio-agosto, sono aumentati sia gli arrivi (+1,9%) sia le presenze (+0,3%). Positivo anche il dato relativo agli stranieri (arrivi +1,4%, presenze +0,8%), con in testa tedeschi, austriaci, francesi e statunitensi, anche se le entrate turistiche che hanno generato nei primi otto mesi del 2014 sono risultate stazionarie, sfiorando i due miliardi di euro. Quanto alla destinazione, il primato va a quella balneare, che accoglie il 49,2% degli arrivi e il 73,7% delle presenze, seguita dalla città d’arte. La permanenza media è stabile a 4,3 giorni. Con riferimento, invece, alle singole destinazioni della provincia, Venezia centro storico ha accolto il maggior numero di arrivi (il 27,7%), mentre a Cavallino-Treporti spetta il primato in termini di presenze (19,3%). Notizie non troppo positive sul fronte trasporti. La crisi, infatti, continua a farsi sentire per il Porto di Venezia, che ha palesato nei primi nove mesi del 2014 un’ulteriore riduzione di merci movimentate (-12,1%) e, in controtendenza, anche una contrazione dei passeggeri (-5,8%), sebbene questa performance sia stata condizionata dai lavori del Mose alla bocca di porto del Lido che hanno impedito il passaggio delle navi più grandi, dirottate verso Ravenna. Al Marco Polo aumentano i passeggeri (più 1%), diminuiscono i transiti di aeromobili e cargo. IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag V Un comitato per evitare che il convento di S. Alvise sia trasformato in albergo di t.borz. Un altro pezzo di Venezia rischia di esser trasformato in albergo, ma un gruppo di cittadini non ci sta ed ha istituito un comitato per contrastarne l'eventualità. Succede a Sant'Alvise, dove, un po’ per la crisi di vocazioni, un po’ per la distribuzione delle suore da parte del clero, il convento, occupato dalle canossiane da 170 anni, si sta impoverendo sempre di più delle inquiline. Così un gruppo di persone si è riunito, da una decina di giorni, in un comitato, per evitare che lo stesso finisca nelle mani di un ricco magnate per farne un albergo o per levarlo alla collettività. A Cannaregio sono in molti ad essere cresciuti a Sant'Alvise, chi ci ha fatto sport grazie al campo da calcio, chi ha praticato teatro e chi l'ha fatto diventare un punto di riferimento per gli anziani. Ma tutto questo potrebbe però sparire entro l'anno, quando a detta del comitato, il convento dovrà essere lasciato libero. «Si sta trasformando sempre di più Venezia in Venezialand, bisogna cercare di preservare questi spazi affinché rimangano a disposizione dei veneziani, evitando magari di perdere per sempre il campo da calcio che per molti anni ha visto crescere i ragazzini», commenta Roberto Bottazzo, del comitato a favore delle scuole di Sant'Alvise. Il dispiacere tra gli attivisti è forte, perché c'è la paura che i veneziani debbano rassegnarsi a perdere un altro centro di aggregazione: «Se dovessero andarsene loro, allora auspichiamo che rimanga alla diocesi, perché i cittadini possano mantenere un punto di riferimento dove svolgere attività scolastiche e sportive», conclude Bottazzo. Il comitato, fa sapere Giancarlo Tappeto, un altro promotore del gruppo, si è attivato concretamente per eleggere il convento tra i «luoghi del cuore» promossi dal Fai (Fondo Ambiente Italiano) al fine di rimarcarne l'importanza tra i luoghi da non dimenticare. Ad oggi sono già stati raccolti più di 300 voti in favore della causa. Il demanio, però, dal canto suo, ha fatto sapere di non avere ancora messo in vendita il convento. Torna al sommario 8 – VENETO / NORDEST IL GAZZETTINO Pag 12 Nozze gay, anche Treviso dice sì di Paolo Calia Il sindaco Manildo pronto a trascrivere l’unione della coppia italo-brasiliana

Page 14: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

Anche a Treviso i tempi sono maturi per la prima trascrizione di un matrimonio gay celebrato all'estero. Dopo poco meno di due mesi di riflessione, il sindaco Giovanni Manildo pare ormai orientato ad accogliere la richiesta presentata da Joe Fernandes, italo-brasiliano ormai radicato nella Marca da anni, e Franco Fighera. Commercianti, gestiscono una fioreria in una delle piazze più belle del centro storico. Il 24 maggio 2013 hanno voluto certificare la loro unione davanti a un notaio abilitato dal governo a Florianopolis, città nel sud del Brasile. Poi il ritorno in Italia, a Treviso dove questo tipo di legami non sono riconosciuti. Loro però, assistiti dall'avvocato Alessandra Del Giudice, hanno deciso di depositare la richiesta di essere iscritti come "coppia" nel registro dello Stato Civile. E per un caso del destino, pochi giorno dopo la loro domanda, il ministro dell'Interno Angelino Alfano ha diramato alla Prefetture di non accettare simili trascrizioni. E così Joe e Franco, conosciutissimi in città, sono diventati un caso alla pari di tante altre coppie nella loro stessa situazione. Nelle scorse settimane hanno anche spiegato cosa li ha spinti a richiedere un riconoscimento formale: «Per noi è stato un passo necessario per motivi molto concreti. Viviamo assieme da ventuno anni, abbiamo comprato una casa e messo in piedi un'attività commerciale. È giusto che anche a noi, e tante altre coppie come noi, vengano riconosciuti i diritti di ogni coppia sposata. Dobbiamo pensare al futuro: all'eredità, alla possibilità di assisterci in caso di ricovero in ospedale, alla sicurezza di poter lasciare delle garanzie al compagno se uno dei due se ne dovesse andare. Sono aspetti seri, che vanno riconosciuti». E adesso il momento sembra arrivato. Manildo non si è ancora sbilanciato ufficialmente, ma ha esaminato tutta la giurisprudenza del caso senza trovare un solo motivo valido per negare la trascrizione. L'intenzione è quindi quella di dare il via libera allo Stato Civile. Prima però di mettere tutto nero su bianco vuole fare un passaggio politico con la sua maggioranza. È necessario infatti sedare qualche malumore della componente cattolica, nulla però di insormontabile: la strada è ormai tracciata. La mossa seguente toccherà poi alla Prefettura che, come già accaduto in altre parti d'Italia, con ogni probabilità si opporrà alla trascrizione. «Formalmente non ho ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale - spiega l'avvocato Del Giudice - ma so che il sindaco vuole arrivare a un provvedimento corretto da tutti i punti di vista. Poi, in base a quanto farà, decideremo come muoverci». Sia il legale che i suo assistiti sono consapevoli che, in ogni caso, dovranno affrontare una disputa giudiziaria: «Se il sindaco deciderà per la trascrizione la mossa successiva spetterà a chi di dovere (la Prefettura ndr) - continua il legale - e noi ci muoveremo di conseguenza andando fino in fondo. Se invece la nostra domanda verrà rigettata dal sindaco, cosa che non mi auguro ma per scaramanzia è meglio prevedere, faremo opposizione davanti al Tar». Pag 19 La diocesi striglia la Moretti: “Perché attacchi i cattolici?” di Alda Vanzan Veneto, primarie del centrosinistra: a Treviso sferzante editoriale della Vita del Popolo contro l’europarlamentare "Cara Moretti, ma perché te la prendi con i cattolici?". Ecco, mancava solo la polemica con la Chiesa ad animare ulteriormente la sfida in rosa delle primarie del centrosinistra, giusto alla vigilia del voto di domenica. Il buon Antonino Pipitone dell’Idv non se ne vorrà, ma la partita ormai è solo tra le due primedonne del Pd con risvolti che escono dalle mura del partito e scatenano le reazioni dei cattolici. Passo indietro. Lunedì sera i tre erano tutti nel trevigiano, ma mentre Rubinato e Pipitone si sono presentati a San Vendemiano convinti di esserci tutti e tre allo stesso confronto pubblico, Moretti ha preferito andare a un dibattito a Quinto di Treviso, dove c’era anche il sindaco Giovanni Manildo. Raccontano le cronache che l’europarlamentare sia stata provocata da un segretario di circolo («Lei passa da un incarico all’altro»), al punto da rispondere in questi termini: «Rubinato per dieci anni ha fatto sia il sindaco che il deputato». Peggio: «Si è occupata solo di suore, preti e famiglie cattoliche». Fino al carico da novanta: «Mi risulta che Rubinato sia tra i 101 che hanno affossato la candidatura di Prodi al Quirinale». Accusa pesantuccia. Se fosse vera. Sandra Zampa, portavoce di Prodi e autrice del libro "I tre giorni che sconvolsero il Pd", smentisce: «Simonetta Rubinato non è tra i cosiddetti 101». Ma è il settimanale cattolico di Treviso "La Vita del Popolo" a usare il lanciafiamme con un editoriale pubblicato sul sito. Dall’attacco micidiale: «Anche

Page 15: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

se lì di solito l’estetista non arriva, non ha peli neppure sulla lingua l’on. Alessandra Moretti». E a proposito dell’attacco alla Rubinato che si occuperebbe solo di suore, preti e famiglie cattoliche, il settimanale chiosa: «Chissà a cosa si riferisce, forse all’impegno della parlamentare per le scuole paritarie?». Invece, se Moretti sarà eletta, «lei ha altri programmi: si occuperà di tutte le famiglie, “non solo di quelle cattoliche”». Al che il settimanale conclude con una sferzata: «Da cosa si riconosca una famiglia cattolica da una non cattolica avremo tempo di chiederlo all’on. Moretti, se vincerà le primarie. Se poi vorrà almeno “provare” a diventare presidente del Veneto, supponiamo che il voto di qualche cattolico le servirà. E allora vedremo come lo andrà a cercare». Per la cronaca: ad animare la vigilia delle primarie sono state anche le dichiarazioni del segretario veneto Roger De Menech («No a chi coltiva orticelli personali») in merito alla posizione assunta da Rosy Bindi sul partito, provocando un malpancismo tra i bindiani veneti, a partire da Margherita Miotto. Che, particolare non secondario, è una dei tre deputati veneti con Davide Zoggia e Michele Mognato ad aver abbandonato l’aula al momento del voto sul Jobs Act. Come andrà il voto domenica è tutto da vedere. Ma c’è già chi guarda al dopo: Paolo Giaretta, ex senatore ed ex segretario veneto del Pd, premette: «Non do nulla per scontato, come ha dimostrato la raccolta delle firme. Quello che è certo è che Moretti e Rubinato rappresentano due modi di essere del Pd egualmente necessari. Un’accoppiata da sfruttare fino in fondo». Da ultimo, la Cgil nazionale liquida la polemica trevigiana della sede del sindacato usata per le primarie: trattandosi di un salone che un Caf della Cgil affitta a chi ne fa richiesta, si tratterebbe di «una stupidaggine al cubo». CORRIERE DEL VENETO Pag 6 Cresce l’insicurezza, boom di telecamere di Alice D’Este L’indagine: due commercianti su tre sono preoccupati, aumentano vigilantes e vetrine corazzate Venezia. Hanno paura. Molto più di una volta. E hanno scelto di difendersi come possono, installando sempre più spesso telecamere nei negozi, pagando assicurazioni salate o ricorrendo ai vigilantes. Qualcuno (il 12% in veneto, il 9% a Venezia) ha perfino fatto montare una nuova vetrina antisfondamento. Non si sa mai. In Veneto e in particolare a Venezia i commercianti non sono per nulla tranquilli. Dall’inizio della crisi economica nel 2008 a oggi la percezione di insicurezza è aumentata esponenzialmente ai quattro angoli del Veneto con punte inaspettate proprio nel capoluogo che ha sempre dato risultati tranquillizzanti. Quasi il 70% dei commercianti veneti pensa che i furti siano aumentati e il 50% dice la stessa cosa delle rapine ma anche della contraffazione (il 55%) e dell’abusivismo (il 54%). Percentuali queste che in provincia di Venezia crescono ulteriormente (col 73% di commercianti che vede i furti in aumento, il 48% le rapine e il 61% l’abusivismo). E questa volta non hanno nemmeno tutti i torti visto che i dati comunicati dal prefetto nel corso della giornata della legalità indetta da Confcommercio veneto segnalano nella provincia di Venezia una situazione pesante. I furti nei negozi negli ultimi due anni a Venezia sono passati da 1597 nel 2012 a 1769 nel 2013 per arrivare a 1895 nel 2014. «A Venezia su questo fronte c’è una criticità importante - spiega il prefetto Domenico Cuttaia - gli altri tipi di reati sono invece rimasti quasi uguali per numero o sono diminuiti. Le rapine, ad esempio, sono passate da 58 nel 2012 a 52 nel 2013 a 50 nel 2014. Il problema è la percezione, tutti pensano che i reati di ogni tipo siano in aumento ed esprimono sfiducia nelle forze dell’ordine». Tant’è che come esito più lampante della sfiducia nel percorso sanzionatorio «normale» sono nati in Veneto diversi comitati «fai da te» per la sicurezza. Ormai se ne contano una ventina in tutta la regione ma tra uno e l’altro non c’è molta differenza. Tutti hanno la convinzione di doversi rimboccare le maniche in prima persona perché pensano che le azioni delle forze dell’ordine non siano sufficienti. Si muovono di sera e fotografano le situazioni anomale. Estraggono dalla tasca lo smartphone e filmano pestaggi, movimenti che definiscono sospetti. E poi, solo poi, chiamano polizia e carabinieri. «L’attenzione dei cittadini è una buona pratica - dice Cuttaia - certo però devono essere ben chiari i ruoli. Ci sono le segnalazioni, che aiutano la città e noi a fare il nostro lavoro e le azioni fai da te, che mettono in pericolo chi le mette in pratica e anche gli altri cittadini». A chiedere aiuto alle forze dell’ordine ma anche alle istituzioni, ieri nella giornata della legalità indetta da Confcommercio, sono stati proprio i commercianti veneti. Per effetto della

Page 16: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

crisi tra gennaio e settembre 2014 altri 1318 negozi hanno chiuso in Veneto, 444 nel settore degli alloggi e della ristorazione, 1000 nel settore della comunicazione immobiliare e delle agenzie di viaggio. «Non si può certo dire che i negozi chiudano per la criminalità in aumento - dice Marco Michielli, vicepresidente di Confcommercio Veneto - ma le due cose sono collegate. I negozi già chiuderebbero per la crisi, se uno poi subisce una o due rapine o magari si trova ad essere l’unico negozio aperto in una zona in cui tutti hanno chiuso non ha molte alternative. La soluzione? La certezza della pena». A differenza del resto d’Italia (l’indagine condotta da Confcommercio sulla percezione della criminalità ha coinvolto le aziende di tutte le sedi italiane) lo chiede quasi il 70% dei veneti. «Oggi in Italia la certezza della pena è una chimera - dice Massimo Zanon, presidente di Confcommercio Veneto - il risultato è che i potenziali criminali si sentono sicuri e spavaldi. Ci si aspetterebbe un minimo di protezione al posto dei proclami fatti in campagna elettorale». Dal canto loro, i politici presenti all’incontro di ieri, il senatore Felice Casson (possibile candidato alle primarie per il sindaco di Venezia anche se non ha ancora sciolto pubblicamente la riserva) e Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia anche lei in lizza per le amministrative non hanno dribblato. Specialmente sul fronte veneziano. «La sicurezza dev’essere al primo punto nei programmi dei prossimi amministratori vista la situazione in cui ci troviamo - ha detto Felice Casson - poco conta che sia un timore percepito o reale. Il problema c’è. E bisogna instaurare un dialogo anche con quei gruppi e comitati di cittadini preoccupati. La nuova amministrazione non potrà delegare alle forze nazionali la gestione del problema. Si tratta di un problema di ordine pubblico e come tale va trattato, vanno rafforzate le forze dell’ordine territoriali». «Sentirsi al sicuro andando al lavoro o chiudendo la saracinesca del proprio negozio non è un lusso - dice Francesca Zaccariotto - bisogna iniziare a parlare un linguaggio comune, va fatto un progetto serio di gestione del problema ad esempio impiegando i vigili urbani e adeguando il regolamento comunale in modo da permettere loro azioni vere e non palliativi. Parte della responsabilità della situazione in cui si trova Venezia è da imputare alle amministrazioni precedenti. Una scarsa attenzione al degrado ha questi effetti. Ora è il momento di fare i fatti». LA NUOVA Pag 11 La diocesi di Treviso contro la Moretti La Vita del Popolo con la Rubinato Treviso. «Cara Moretti, ma perché te la prendi con i cattolici?». Il settimanale «La vita del Popolo», giornale della diocesi di Treviso, non esita a tirare le orecchie alla candidata alle primarie del Pd. dopo l’attacco rivolto dalla Moretti alla rivale Rubinato. Parlando al Bhr di Quinto , lunedì sera, Moretti aveva rilevato come Rubinato, per 10 anni, si fosse «occupata solo di suore, preti e famiglie cattoliche». Parole che non sono piaciute al settimanale diocesano, e alla Chiesa trevigiana, a cominciare, verosimilmente, dal vescovo Gianfranco Agostino Gardin. «Ma se vorrà almeno “provare” a diventare presidente del Veneto, supponiamo che il voto di qualche cattolico le servirà», ipotizza la nota del settimanale diocesano, diretto da mons. Lucio Bonomo «e allora vedremo come lo andrà a cercare». Un invito che sembra un sfida, e che fa trapelare tutta l’irritazione del mondo cattolico trevigiano, cui la Rubinato, nata nella Margherita di Rutelli, (big trevigiani, allora, Diego Bottacin e Pierluigi Damiani), è storicamente vicinissima, al punto di essere sempre stata in prima linea nella battaglia per le scuole paritarie, in particolare per le materne della Fism, e molto vicina al centro e all’area moderata. E che i cattolici di (mezza) Marca siano irritati, lo dice il sarcasmo della nota del settimanale: «Anche se lì di solito l’estetista non arriva, non ha peli neppure sulla lingua l’on. Moretti». E aggiunge: «Innervosita dalle polemiche seguite alla sua intervista in cuisi auto-lodava come perfetta “ladylike”». dice testualmente «Vita del Popolo, «ha pensato bene di accusare l’on. Rubinato di essere stata tra i 101 parlamentari che hanno affossato la candidatura di Prodi al Quirinale, cosa smentita anche dalla compagna “di banco” della Rubinato, l'on. Zampa». Una smentita secca, e una netta presa di distanza. «E se parlando di suore, preti e famiglie cattoliche Moretti pensava forse all’impegno di Rubinato per le scuole paritarie, dal momento che ha poi aggiunto come lei, nel caso diventasse governatrice del Veneto, si occuperebbe di tutte le famiglie, e “non solo di quelle cattoliche”», conclude la nota, «chiederemo a Moretti, se vincerà le primarie, da

Page 17: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

cosa si riconosca una famiglia cattolica da una non cattolica». Una querelle che forse non finirà qui: domenica si attende il verdetto delle urne. Torna al sommario … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 La vocazione minoritaria di Ernesto Galli della Loggia Le illusioni della sinistra pd I deputati pd che martedì sono usciti dall’Aula per non votare il Jobs act si candidano a essere i nuovi protagonisti di uno degli spettacoli più antichi del repertorio della sinistra italiana: il nullismo politico. Cioè la propensione a dire sempre no, a fare l’opposizione e basta. Bindi, Fassina, Civati, Bersani e compagni sono contro Renzi perché lo giudicano un pericoloso thatcheriano travestito, e sta bene. Dunque si sono schierati contro quasi tutto quello che ha fatto - contro il patto del Nazareno, contro gli 80 euro, contro la riforma del Senato, contro la revisione dell’articolo 18 -, e sta ancora bene. Ma avanzando quali proposte nuove e alternative? In nome di quale nuovo progetto? Che cosa farebbero, insomma, se fossero loro a governare? Nessuno lo sa: sospetto perché non lo sanno neppure loro. Ma in questo modo quello della sinistra pd finisce per essere niente altro che l’esatto rovescio di ciò che essa rimprovera a Renzi: l’antipersonalismo come risposta al personalismo. Così come, sempre in questo modo la sinistra pd mostra una singolare mancanza di sintonia con lo spirito del Paese. Non sembra proprio, infatti, che oggi gli italiani sentano il bisogno di «discorsi», quanto piuttosto di soluzioni tangibili, di proposte e progetti concreti. Magari anche elementari e brutali, come quelli leghisti di Salvini (e però, guarda caso, di grande successo), certo meno che mai delle astratte scomuniche ideologiche di Gianni Cuperlo. Non hanno bisogno di sentirsi dire che il presidente del Consiglio è un chiacchierone che non combina nulla, bensì di sapere che cosa combinerebbe chi gli muove tali accuse. Nella situazione drammatica in cui si trova, il Paese ha bisogno di una cosa più di ogni altra: di un’idea capace di unirlo e di portarlo in salvo. Pur con tutte le critiche possibili e sia pure molto a tentoni, la proposta renziana del «partito della nazione» interpreta questa necessità e si muove in questa direzione. Rappresenta qualcosa che alla Sinistra finora non è mai riuscito, ed è la ragione che fin qui le ha impedito di sedere da sola al governo. S’illudono infatti gli antirenziani del Pd se credono che l’Italia possa essere governata sulla base delle ragioni dei disoccupati, dei metalmeccanici e dei pensionati.  Bisogna avere un progetto che contemperi le ragioni di molti, molti altri; e più che vellicare il passato di una parte occorre disegnare un futuro plausibile per tutti. Altrimenti si conferma solo la propria antica, maledetta vocazione al minoritarismo permanente. Pag 2 – 3 L’invito di Napolitano a Renzi: cancellare il sospetto di voto anticipato di Marzio Breda e Maria Teresa Meli Addio al Colle possibile già a meta dicembre, l’ipotesi inquieta il premier La fretta eccessiva, come la paura immotivata, può essere una cattiva consigliera. Per le riforme, visto che da queste si fanno dipendere le sorti della legislatura, meglio restare con i piedi per terra e far defibrillare lo scenario politico. Certo, è bene andare avanti velocemente, ma senza prove muscolari. Piuttosto, mantenendo l’impegno a riesaminare le posizioni più divisive e disponendosi magari a qualche nuova mediazione. Con chi sta nella maggioranza, in particolare i dissidenti del Pd, ma anche con chi ne è fuori, oltre che con le diverse forze sociali e culturali. È servita un’ora, a Giorgio Napolitano, per arginare l’allarme del premier che le alleanze su cui si regge il governo reggano sempre meno, dopo lo strappo dei trenta parlamentari democratici sul Jobs act e dopo le nuove tensioni interne a Forza Italia. Sessanta minuti di colloquio per mettere un freno a certi umori che (stando all’insistente vulgata di Montecitorio, comunque carica di suggestioni) potrebbero spingere l’inquilino di Palazzo Chigi a giocare d’anticipo su chi lo sta logorando, a rovesciare il tavolo e a scaraventare il Paese alle urne il più presto possibile. Ossia nella prossima primavera. No, ha consigliato il padrone di casa,

Page 18: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

offrendogli una sponda e suggerendo una mediazione. Meglio garantire la stabilità assicurando che le elezioni saranno convocate solo alla loro scadenza fisiologica e che intanto nessuno sarà escluso dal cantiere d’ingegneria costituzionale. Meglio togliere ai partiti il sospetto che l’ansia di varare l’Italicum nasconda in realtà la smania del voto. E tanto meglio fare tutto questo mentre, forse già entro la fine dell’anno, potrebbe aprirsi la partita per la successione del capo dello Stato. Ecco il senso con cui una nota ufficiosa diramata ieri dall’ufficio stampa del Quirinale permette di inquadrare l’ultimo incontro tra il presidente della Repubblica e il capo del governo, accompagnato dal ministro Maria Elena Boschi. Un faccia a faccia che segue quello di martedì con Anna Finocchiaro, relatrice del testo di modifica al sistema elettorale. Nel dubbio su chi davvero abbia inteso rassicurare chi (per rassicurare gli italiani), i due interlocutori si sono concentrati «sull’iter parlamentare» dell’Italicum e della riforma - costituzionale, questa - del bicameralismo paritario, già «incardinati per la seconda lettura» delle Assemblee. E le «preoccupazioni delle forze politiche» segnalate dal Colle come comprensibili nell’attuale delicatissima fase, riguardano appunto le interpretazioni che stanno mettendo in «rapporto» questi due provvedimenti. Nei partiti, infatti, si dà quasi per scontato che, se Renzi insistesse ancora per imprimere un’accelerazione sul primo versante e invece rallentasse deliberatamente l’impegno sul secondo, ciò tradirebbe appunto una gran voglia di diroccare la legislatura e scattare in avanti andando alla conta popolare. Ora, poiché la logica che ha sempre ispirato Napolitano è quella di spingere i partiti alla «più ampia condivisione» in ogni processo riformatore, da concepire quindi in chiave unitaria, è chiaro che il tema deve sembrargli cruciale soprattutto stavolta. Se non altro perché propone un intreccio segnalato da più parti come carico di rischi di sbilanciamenti e criticità costituzionali, con la necessità di clausole di salvaguardia e altri provvisori tamponi giuridici. A suo giudizio, e lo ha ripetuto infinite volte, Italicum e riforma del Senato devono viaggiare «in parallelo», contestualmente, in quanto «si tengono», questione su cui insistono pure i sospettosissimi vertici di Forza Italia e la minoranza del Partito democratico. E, dopo la breve ma esplicita nota di ieri, è ancor più evidente che per lui una cosa non può stare senza l’altra, se non appunto molto problematicamente. Questo, del resto, dovrebbe essere nelle sue intenzioni «il lascito» del secondo mandato al Quirinale: un Paese che si avvia con decisione a revisionare la propria architettura costituzionale. Basta rileggersi il testo del secondo discorso d’insediamento davanti alle Camere, il 22 aprile 2013, nel quale le riforme erano assunte come premessa per l’indispensabile modernizzazione del Paese. E non soltanto perché a chiederle sono gli italiani, ma perché da noi se le aspetta da troppo tempo l’Europa. Il presidente della Repubblica è preoccupato per le voci di elezioni anticipate che si rincorrono da qualche giorno. Il presidente del Consiglio è preoccupato perché ha saputo della tentazione del capo dello Stato di annunciare il suo addio a metà dicembre nel consueto scambio di auguri pre-natalizio con le istituzioni e le alte autorità. Non è stato un incontro facile, quello al Quirinale tra Matteo Renzi, accompagnato dalla ministra Maria Elena Boschi, e Giorgio Napolitano. Il premier si è speso per convincere l’inquilino del Colle a restare, garantendogli la prosecuzione della legislatura e l’approvazione delle riforme. Ma pare che Napolitano sia stato irremovibile: al massimo aspetterà fine anno, non oltre. E certo non potrà certificare lui la fine della legislatura. «Ma la legislatura andrà avanti, se si faranno le riforme», gli ha ribadito il premier, il quale, però, ha dovuto ammettere che «il quadro non tiene come dovrebbe». E non solo perché Berlusconi sta mandando tutto per le lunghe. C’è anche il problema della minoranza pd, che ieri si è presentata al gran completo in commissione Affari costituzionali del Senato. La quale commissione lavorerà a ritmo forsennato, pur di arrivare al dunque, in quei tempi «brevi» richiesti da Renzi. «Siamo a un passo dalla chiusura, tra dicembre e gennaio tutto sarà finalmente realizzato», dice il premier. E per tutto intende non solo la riforma elettorale, che dovrà essere approvata dall’aula di Palazzo Madama, ma anche quella del Senato, che la commissione della Camera dovrà licenziare in tempi brevi, e il Jobs act, varato a Montecitorio, e approdato ora nell’altro ramo del Parlamento. Anche a Palazzo Madama, lascia intendere, il premier, il governo potrebbe non chiedere la fiducia su questo provvedimento. Un modo per tentare di svelenire il clima, e, nel contempo, per sfidare la minoranza interna. Perché far cadere quella legge delega equivarrebbe a far saltare la legislatura. Non è questo l’ obiettivo primario del presidente del Consiglio, il

Page 19: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

quale lo ha ribadito più di una volta a un preoccupatissimo Napolitano. Il suo traguardo è un altro: mandare a termine lo «storytelling», ossia la narrazione, che ha fatto all’Italia e su cui si gioca la «credibilità»: «È su quello che promettiamo e che poi manteniamo che la gente ci giudicherà e che restituiremo fiducia nella politica e nelle istituzioni». Ma per raggiungere questo obiettivo sulla riforma elettorale Renzi non può pensare di far a meno di Berlusconi e di un ampio consenso in Parlamento, è stato il ragionamento del presidente della Repubblica. Se così non fosse, il premier deve comunque sapere che il capo dello Stato, a un certo punto si dimetterà, a riforme fatte o non fatte, e quindi il cerino gli rimarrà in mano. E non è un caso, allora, se, intervistato dal Tg1, il premier ripete che il «patto del Nazareno ha ancora un senso» e che le «regole del gioco si fanno con Berlusconi». Insomma, non è vero che Renzi intende andare avanti comunque senza Forza Italia. La sua era stata una minaccia, un tentativo per costringere Berlusconi a non continuare a temporeggiare. Ma, come gli ha spiegato il capo dello Stato, un «accordo va trovato». Anche se lo stesso presidente non sembra tanto ottimista, dal momento che non lega più la sua permanenza al Quirinale alla riforma del sistema elettorale. Il che complica non poco le cose a Renzi. Che a casa sua, cioè nel Pd, deve fronteggiare l’offensiva della minoranza che chiede meno capilista bloccati nell’Italicum e degli alleati che reclamano la clausola sospensiva della legge per esorcizzare la paura del voto anticipato. Paura comprensibile, dal momento che il Pd di Renzi, persino se si andasse alle elezioni con il Consultellum avrebbe una maggioranza ben consolidata al Senato e di stretta misura (320 voti) alla Camera, stando alle proiezioni dei voti delle europee. Insomma, per farla breve, come ammette lo stesso Renzi «le elezioni in realtà converrebbero solo a me, con qualsiasi sistema, di certo non a Berlusconi, checché se ne dica, anche ne caso in cui il centrodestra schierasse Salvini di cui non ho certo paura. Ma, ripeto, non sono le elezioni il mio obiettivo». «Il mio obiettivo sono le riforme. Però questa legislatura ha un senso solo se le fa», confida più tardi ai collaboratori. Ben sapendo che, comunque, le elezioni del presidente della Repubblica, inevitabili, dopo la presa di posizione di Napolitano, non gli permettono grandi spazi di manovra. Un accordo con Berlusconi va comunque fatto. LA REPUBBLICA Pag 1 La paura di Renzi, l’incognita del Colle e il rischio paralisi sulla legge elettorale di Stefano Folli Nel momento più difficile della sua esperienza di governo, non è strano che Matteo Renzi si sia ritrovato al Quirinale. Da Napolitano ha sempre ricevuto buoni consigli, anche affettuosi. Verso il dinamico giovane fiorentino («uno di quelli che vogliono cambiare le cose in Europa» ha detto Tony Blair a Sky), il capo dello Stato ha dimostrato fin dall'inizio stima e simpatia. Oggi, quando mancano poche settimane alle dimissioni del presidente per ragioni di età e di salute, i suoi consigli sono ancora più preziosi e senza dubbio bene accetti da un premier che vede restringersi il sentiero davanti a sé. Il sentiero istituzionale, in particolare, perché la riforma a cui Renzi tiene continua a essere - come tutti sanno - la legge elettorale. Accanto a questa c'è la trasformazione del Senato in camera delle autonomie: una sorta di fiore all'occhiello del «renzismo», un'iniziativa costituzionale complessa che Napolitano ha sempre appoggiato con convinzione. Il problema di Renzi è che l'autunno ha oscurato il quadro e reso incerto il cammino della modernizzazione. Inoltre la prospettiva di una sede vacante al Quirinale ai primi di gennaio rende ancora più confuso lo scenario. Ci vorrebbero accordi forti tra le forze politiche, a cominciare dal partito berlusconiano. Invece le intese sono deboli, esposte al vento delle divisioni interne che coinvolgono, in forme diverse ma insidiose, sia Forza Italia sia il Pd. Eppure il presidente del Consiglio ha bisogno di risultati certi entro una data definita: sia per non soccombere alla «vulgata» che già circola nei palazzi romani a proposito di un declino politico ormai in essere, sia per disporre di un' arma di pressione sui parlamentari quando si comincerà a votare per il successore di Napolitano. La nuova legge elettorale maggioritaria approvata almeno in un ramo del Parlamento sarebbe un buon argomento per tenere a freno dissidenti e contestatori, soprattutto quelli che interessano da vicino il premier perché convivono all'interno del Pd. Una riforma maggioritaria taglierebbe le unghie a chi sogna una scissione (non Bersani, come si è visto); mentre una legge proporzionale, tipo quella introdotta dalla sentenza della

Page 20: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

Consulta, incoraggerebbe senza dubbio la nascita di nuove formazioni. In altre parole, tutto s'intreccia. Il partner Berlusconi non dice «no» alla riforma di Renzi, ma è sempre più impacciato da un partito che non rispetta più la sua autorità, un tempo assolutamente scontata. Per cui al vertice di Forza Italia si tenta di rinviare la legge elettorale a dopo l'elezione del presidente della Repubblica, inseguendo un legame che il premier rifiuta. D'altra parte, il colloquio di ieri è servito, certo, a rassicurare Renzi circa il consueto sostegno da parte di Napolitano. Ma anche a stabilire che non si possono immaginare strappi e colpi di testa in materia istituzionale. Occorre, anzi, una certa simmetria fra il percorso della riforma elettorale e quella, di natura costituzionale, che cambierà il volto del Senato. Qui Napolitano è stato chiaro e il presidente del Consiglio non ha motivo per non essere d'accordo. In fondo tutti hanno ascoltato cosa ha detto di recente a Palazzo Madama l'ex presidente della Corte, Silvestri: in un sistema che continua a essere bicamerale, fino alla compiuta riforma del Senato, non ci si può affidare a un modello elettorale dichiaratamente previsto per la sola Camera dei deputati. Ne derivano una serie di conseguenze che consigliano di tener conto dei vari passaggi costituzionali in corso, coinvolgendo un'ampia platea di forze politiche, senza rincorse solitarie. Può darsi che siano necessari tempi un po' più lunghi di quelli desiderati dal premier, ma è interesse comune evitare rischi di incostituzionalità. Se poi, come è inevitabile, questo percorso s'incrocerà con l'elezione del nuovo capo dello Stato, pazienza. Un sistema maturo - è il pensiero attribuito a Napolitano - si giudica anche da come sa gestire gli snodi istituzionali rilevanti. LA STAMPA Le due strade per il successore di Napolitano di Marcello Sorgi La corsa al Quirinale s'è definitivamente aperta ieri dopo che Napolitano ha confermato a Renzi, in visita al Colle accompagnato dalla ministra Boschi, che non se la sente di rinviare le dimissioni. Per il premier, l'idea che il Presidente accettasse di prolungare il suo secondo mandato fino all'inaugurazione dell'Expo a maggio 2015 era legata all'obiettivo di approvare la riforma elettorale prima di presentarsi al voto delle Camere riunite, affollate di parlamentari riottosi che rispondono ormai solo a se stessi, per poter usare contro eventuali ribellioni a voto segreto la pistola carica di un eventuale scioglimento anticipato, l'ipotesi più temuta da deputati e senatori che non vogliono perdere il posto. Ma Napolitano, oltre a confermare che medita di lasciare all'inizio del prossimo anno, ha detto a Renzi che non ha molto senso adoperare a fini tattici un percorso riformatore che ha bisogno dei suoi tempi e dei necessari accordi e compromessi. Con parole più formali il concetto è stato ribadito in una nota diffusa dal Quirinale alla fine dell'incontro. Renzi proverà egualmente a far passare prima di Capodanno al Senato l'Italicum, insistendo con Berlusconi, che ieri è stato fortemente contestato da Fitto e altri oppositori interni per aver cercato di difendere il patto del Nazareno, e magari completando il testo con una clausola che lo agganci all'effettiva conclusione dell'iter della riforma del Senato ed elimini dal calendario l'ipotesi di nuove elezioni in primavera. E comunque, l'approvazione definitiva del sistema elettorale slitterà a dopo le votazioni per il nuovo Capo dello Stato, che a questo punto si svolgeranno senza rete. Berlusconi scambierebbe il "sì" all'Italicum con la garanzia di rientrare nell'accordo per la successione al Colle. Quanta parte di Forza Italia lo seguirebbe in questo caso nel voto parlamentare, non è dato sapere. Ma l'asse del Nazareno sarebbe tuttavia solo uno degli schieramenti che si presenterebbe ai nastri di partenza della corsa per il Colle, con l'obiettivo di eleggere un Presidente frutto dell'accordo tra Renzi e Berlusconi. L'altro, che con tutta evidenza era già in preparazione ieri nei corridoi di Montecitorio, era il redivivo fronte ulivista, che ha nella minoranza del Pd, in particolare in Rosi Bindi, e nel tentativo di costruire un'intesa con il Movimento 5 stelle, le sue fondamenta, e punta su un inquilino del Quirinale (molti pensano a Prodi) che si dedichi a ridimensionare Renzi. Nessuno dei due fronti può dire di aver in tasca i voti necessari a realizzare il proprio obiettivo. La lista dei candidati, nell' attesa, si allunga. Come vuole la tradizione italiana, la gara per il Quirinale rischia di partire al buio, con forti desideri di vendetta che spuntano da tutte le parti. AVVENIRE

Page 21: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

Pag 2 Quelle immagini sacre cristiane in orbita spaziale, 53 anni dopo (lettere al direttore) Caro direttore, lunedì sera, seguendo in televisione le immagini dell’arrivo sulla stazione spaziale ISS della nostra astronauta italiana Samantha Cristoforetti, ho colto un’immagine che mi ha fatto trasalire di gioia; una felicità che voglio condividere con quanti avranno già notato un 'particolare' della stazione spaziale e anche con coloro ai quali è sfuggito. Per un momento, vedendo le immagini, sono rimasto incredulo: «Ma davvero?», pensavo. «Avrò visto male...», mi ripetevo. Poi ho cercato su internet tra le immagini e i filmati della missione ISS 42/43 'Futura' è ho ritrovato quell’immagine che mi era passata davanti in uno spezzone di filmato televisivo. Sappiamo quanto sia costoso portare nello spazio del carico 'non essenziale'; tutto viene ridotto al minimo; ma nella fotografia qui allegata, si osserva chiaramente nella parete della stazione spaziale ISS, dietro agli astronauti Samantha Cristoforetti, Anton Shkaplerov e Terry Virts che consumano allegramente uno spuntino, come con grande dignità e visibilità, siano state disposte quatto bellissime icone (sembrano in stile russo); l’icona centrale, più grande, mostra la Vergine Maria con bambino Gesù. Più in alto delle icone c’è un bel Crocifisso dorato. Difficile, guardando quelle icone antiche in una modernissima stazione spaziale, avamposto remoto dell’umanità, non osservare anche che quella missione è partita da un territorio della ex Unione Sovietica nel giorno della festa di Gesù Re dell’Universo! «Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti.» (dal Salmo 139). Con grande gioia. (lettera di Sergio Vicàri) Già, caro amico, quanto... cielo c’è tra questa immagine dallo spazio e quella fatta circolare 53 anni fa, ai tempi dell’Unione Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da lassù Gagarin aveva esclamato qualcosa che potrebbe suonare come: «Ho visto le stelle, ma non ho visto Dio». In realtà, la frase pare debba essere interamente attribuita a Nikita Krusciov. L’allora capo del Superpotenza comunista disse, infatti, ai compagni del comitato centrale del Pcus: «Gagarin è stato nello spazio, ma non ha visto Dio». E la propaganda antireligiosa del partito fece ciò che c’era da fare... Testimonianze emerse in seguito ci hanno fatto scoprire un Gagarin assai diverso dal racconto mediatico, battezzato nell’ortodossia e credente. Potremmo concludere che il cielo sopra la Terra è, dunque, lo stesso. Ma, davvero, quanta distanza c’è tra quel lontano volo spaziale e questo di oggi... Ciò che nel 1961 il cristiano Gagarin doveva nascondere in cuore, oggi infatti può venire espresso con libertà, con chiarezza e con bellezza. Non ovunque quaggiù è così, ma vedere che lassù succede è certamente una gioia. Pag 6 Dal Papa una scossa morale all’Europa di Francesco Riccardi e Daniele Zappalà Prodi: “L’Unione rinunciataria ritrovi la responsabilità”. Brague: “Una nonna stanca. Manca di ambizione” «Mi ha colpito che il Papa abbia voluto usare il termine 'nonna' per definire l’Europa in questo momento. Un sostantivo affettuoso. Pur essendo severo il giudizio complessivo, non ha voluto infierire definendola 'Europa tiranna' o 'egoista'. Una nonna, invece, come a dire che ha un grande passato ma non lotta per conquistare il futuro, fa poco perché i nipoti possano cambiare vita. E oggi l’Unione europea sembra proprio così: rinunciataria ». Il giorno dopo lo storico discorso di Francesco al Parlamento europeo a Strasburgo, Romano Prodi rilegge le parole del Pontefice anche alla luce della sua personale esperienza di presidente della Commissione europea nel quinquennio decisivo 1999-2004. Certo è difficile che un intervento, per quanto autorevole, riesca a cambiare il corso della politica europea, «molti oggi lo liquidano solo come un ammonimento morale – nota il professore –. Senza accorgersi che si tratta invece di un discorso di grande spessore e forza. Perché non si limita a mostrare la modernità della Chiesa e del suo pensiero, ma va più a fondo avvertendo in sostanza che anche una corretta economia non si ripristina senza una rifondazione etica, potremmo dire senza una 'redistribuzione' dei valori etici. Di fronte a un Parlamento europeo certamente poco sensibile su questi

Page 22: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

temi, il Papa ha richiamato in maniera netta la centralità della persona umana, la sua dignità trascendente, l’esigenza della solidarietà, il valore della vita; ha messo in guardia sui drammi dell’eutanasia e dell’aborto. Insomma, un richiamo ai valori fondanti». Un deficit etico, quello di cui sembra soffrire l’Europa, che finisce per minare i pilastri stessi sui quali si è costruito il grande progetto europeo. A partire dalla democrazia che, avverte il Pontefice, rischia di essere ridotta a un semplice nominalismo. «È il dramma della democrazia moderna dominata da una politica di corto respiro. Oggi a pesare sono purtroppo soprattutto i sondaggi, le elezioni locali ripetute. Il mondo politico vive sempre più nel breve periodo, accorcia i propri orizzonti decisionali senza accorgersi che i problemi da affrontare – sanità, scuola, previdenza, ricerca e sviluppo – sono in realtà di lungo periodo. Quando questa discrasia cresce, allora sì la democrazia diventa a rischio di essere ridotta a un nominalismo vuoto». Un pericolo che, nell’analisi di Papa Francesco, trova un corollario nella deriva dell’esaltazione dei diritti individualistici in contrapposizione al bene comune. «Io lo riscontro molto chiaramente nel continuo attacco allo Stato sociale, a quel modello che è stata la più grande conquista del Continente nel secolo scorso – spiega Romano Prodi –. Intendiamoci: che si debba stare attenti a quanto si spende è sacrosanto e da presidente del Consiglio l’ho fatto, tanto che durante il mio governo il debito pubblico è sceso al di sotto del 100% del Pil (oggi è al 130%, ndr). Non sono lassista, dunque. Ma non si può ragionare come fa ora la cancelliera Angela Merkel che dice: 'L’Europa ha il 6% della popola- zione mondiale, produce il 20% del Pil e gode del 40% della spesa del welfare mondiale, non possiamo continuare così'. Si tratta semplicemente di una redistribuzione delle risorse a favore di chi ha di meno. Lo Stato sociale è la nostra forza, dobbiamo adattarlo ai tempi. Altrimenti rimane solo il trionfo dell’individualismo sulla solidarietà». Il riferimento del pontefice ai «diritti individualistici» ha anche una valenza propriamente etica e sociale, come testimonia il concomitante richiamo al valore fondativo della famiglia. «Ma non si può dividere la chiave etica da quella economica e viceversa – riflette ancora l’ex premier che sui temi della crisi e delle disparità ha tenuto ieri una lectio magistralis all’Università Bicocca di Milano –. Perché la mancanza di senso della giustizia distributiva porta conseguenze immediate sul piano sociale come la mancanza di sviluppo, l’esclusione dei disoccupati e il dramma dei giovani che neanche più cercano lavoro, senza più futuro. Con un declino etico complessivo ». Basti pensare a quando Francesco parla del «lavoro che unge di dignità» la persona e la cui mancanza è «peggio di non avere il cibo o il minimo per vivere». Per il Papa c’è quindi un’Europa che ha necessità di «ritrovare un’anima ». L’ha persa dai tempi della sua presidenza?, chiediamo. «In quei cinque anni – risponde Prodi – abbiamo deciso l’allargamento dell’Unione a 10 Paesi, unico caso al mondo di vera 'esportazione della democrazia'. Abbiamo costruito l’euro prevedendo strumenti di solidarietà e un programma di riforme fiscali ed economiche da portare avanti. Abbiamo scritto la Costituzione della Ue. Cosa è accaduto dopo? La Costituzione è stata bocciata, i provvedimenti di riforma non stati portati a termine, la politica regionale non ha fatto grandi progressi. Non si sono mantenute le promesse nei confronti dell’area del Mediterraneo del Sud, con conseguenze forse sull’involuzione di alcuni Paesi. L’'Europa della speranza' è diventata l’'Europa della paura'. Sono spuntati i movimenti populisti, i partiti tradizionali si sono rinchiusi in se stessi. L’intero edificio dell’Europa scricchiola...». Siamo dunque al baratro, prossimi al fallimento del progetto europeo oppure a una nuova sfida da affrontare, come dice il Papa ritrovando forza dalla proprie radici? «Se guardo alla storia dell’Europa devo essere non dico ottimista ma quasi. Ci sono stati momenti anche peggiori. Ma di fronte alle sfide mondiali, l’Europa è sempre riuscita poi ad andare avanti. Ne abbiamo la forza. Spero solo che la Germania capisca che è troppo piccola per continuare da sola nel mondo globalizzato. Il piano Juncker da 300 miliardi è un tassello, certo non è molto per un’Unione di 500 milioni di cittadini e non è neppure garantito che siano tutti fondi aggiuntivi. Guardiamo invece agli Stati Uniti e alla Cina: hanno iniettato l’una 800 e l’altra 600 miliardi di dollari e ora sono fuori dalla crisi. Da noi purtroppo è prevalsa una politica suicida di paralisi. All’Europa serve maggiore unità e responsabilità». Fra gli intellettuali europei che più attentamente hanno seguito la visita di Papa Francesco a Strasburgo, figura di certo pure il grande filosofo francese Rémi Brague, che all’identità continentale ha dedicato opere memorabili, a cominciare da 'Il futuro

Page 23: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa' (Bompiani). Docente alla Sorbona e già titolare a Monaco di Baviera della cattedra dedicata a Romano Guardini, professore invitato in numerose università statunitensi e vincitore nel 2012 del Premio Ratzinger per gli studi in teologia, Brague si dice impressionato, oltre che dalle parole pronunciate dal Papa, anche dall’intero contesto d’attenzione concentrata, in particolare durante il primo discorso all’Europarlamento. Professore, cosa l’ha colpita di più nei due discorsi a Strasburgo? Prima di tutto, la reazione del pubblico. Certo, alcuni stupidi hanno lasciato l’aula, rifiutando a priori di ascoltare. Ma Francesco ha saputo farsi applaudire pur dicendo cose ben poco gradevoli da ascoltare. Torno dalla Spagna, e i giornali parlavano di questo deputato d’estrema sinistra, un tantino 'mangiapreti', che ha cinguettato su Twitter la sua soddisfazione. Al termine del discorso al Consiglio d’Europa, Papa Francesco ha auspicato una 'nuova agorà' di confronto fra istanze civili e religiose. E la celebre tela 'La scuola di Atene' di Raffaello è stata impiegata dal Pontefice come metafora del continente. Come ha percepito l’invito riferito allo spirito dell’agorà? L’agorà era il mercato di Atene, dove Socrate cercava i suoi discepoli. È interessante che, in un mondo dove tutto tende a ridursi a mercato, un punto che i Papi criticano, occorra auspicare un mercato delle idee e dei credi. Non vi è nessuna contraddizione poiché, se i beni che scambiamo sui mercati materiali e finanziari passano in mano di colui che li compra e sono perduti da chi li vende, i beni intellettuali e spirituali arricchiscono chi li riceve senza impoverire chi li dà. Per questi beni, occorre auspicare un mercato totalmente aperto, nel quale idee e credi valgano solo per la propria dignità, senza intervento di un potere qualsiasi che cercherebbe d’imporli. I passaggi sulla «stanchezza» dell’Europa sono più le parole di un pastore o quelle di colui che guida la Chiesa «esperta in umanità»? Husserl aveva evocato questo punto nella sua famosa conferenza di Vienna, nel 1935. Mi ha molto colpito l’immagine della nonna, essendo io stesso un nonno. La Chiesa non è solo esperta in umanità. È soprattutto un’istanza che si fa dell’uomo un’idea più alta di quella che l’uomo ha di se stesso. Il Dio di cui è serva ha sull’uomo ambizioni altissime, ben al di là di ciò che l’uomo, abbandonato a se stesso, potrebbe permettersi di sperare. Questa 'stanchezza' è in fondo una mancanza di ambizione. Il discorso al Parlamento europeo evoca «la cultura dello scarto» diffusa nelle nostre società. Secondo lei, occorre intendere ciò come il polo opposto all’' ecologia umana' evocata a Strasburgo dal Papa? Quest’ultima espressione è stata lanciata da Benedetto XVI nel 2011. Il fatto che Francesco la riprenda mostra, dietro le differenze evidenti di stile, la profonda continuità fra i due. Papa Francesco osserva: «La cultura, infatti, nasce sempre dall’incontro reciproco, volto a stimolare la ricchezza intellettuale e la creatività di quanti ne prendono parte; e questo, oltre ad essere l’attuazione del bene, è bellezza». È sorpreso o colpito da quest’evocazione della bellezza? L’ho trovata toccante, ma non mi ha sorpreso. Ho letto a sufficienza Hans Urs von Balthasar per apprezzare la promozione della bellezza a concetto teologico. Parlare della bellezza è tanto più necessario se si pensa che esiste nell’arte una tendenza di lungo respiro, cominciata proprio alla fine del Settecento, a sostituire alla ricerca della Bellezza quella dell’interessante, il quale può essere brutto, a condizione che sia incisivo. Certe tendenze in ciò che si autoproclama 'arte contemporanea' spingono ciò alle estreme conseguenze. È importante riscoprire la Bellezza, già elevata a dimensione trascendente a pieno titolo da Bonaventura e come tale capace di aprire al Vero e al Bene. Pag 7 Erdogan, grandi manovre per tornare protagonista di Marta Ottaviani Il Papa nella Turchia che non guarda all’Europa E’ una Turchia nervosa e carica di tensioni quella che si prepara ad accogliere Papa Francesco da domani a domenica. Ad Ankara incontrerà il neo-eletto presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, il premier Ahmet Davutoglu e altre importanti personalità politiche. A Istanbul vedrà il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Era stato proprio il capo della Chiesa ortodossa, in marzo, a invitare Papa

Page 24: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

Bergoglio nel Paese della Mezzaluna. Erdogan, poche settimane dopo la sua elezione a capo dello Stato avvenuta lo scorso agosto, ha dato seguito all’invito ufficiale. Sarà un viaggio importante e impegnativo per il Pontefice. La Turchia ospita circa 53mila cattolici, garantendo loro la libertà di culto, sulla quale però pesa il divieto di proselitismo e soprattutto il mancato riconoscimento giuridico che distingue i cattolici da altre minoranze religiose, come gli armeni e gli ortodossi, che rientrano nel Trattato di Losanna. La vita quotidiana dei cristiani in Turchia scorre serenamente, anche se preoccupano le notizie che arrivano dal Vicino Oriente, con l’Is ormai sul confine con la Mezzaluna, e non si è spento il ricordo dei brutali omicidi di don Andrea Santoro, assassinato a Trebisonda nel 2006, e del Vicario apostolico dell’Anatolia, Luigi Padovese, barbaramente ucciso a Iskenderun, nell’est del Paese, nel giugno 2010. Atti di fanatismo, di cui sono stati puniti gli esecutori materiali ma mai trovati i mandanti. Sono mesi difficili per la Turchia, sia per quanto riguarda la politica estera, sia per la situazione interna. Da anni Ankara ha iniziato a gestire la sua presenza sullo scacchiere internazionale in modo sempre più autonomo. Dal 2009, quando l’attuale premier, Ahmet Davutoglu, è diventato ministro degli Esteri, l’agenda è cambiata progressivamente, dando sempre più importanza alle relazioni diplomatiche con i Paesi del Golfo e del Nordafrica. Una politica di stampo “neo-ottomano”, come l’ha definita lo stesso Davutoglu, volta a ripristinare l’influenza sulla stessa area su cui si estendeva il vecchio impero e a incamerare nuove opportunità. Una strategia che, se sulle prime sembrava vincente, nel lungo termine si è rivelata la causa di tutti i problemi del Paese. La crisi libica e soprattutto quella siriana hanno fatto emergere la volontà crescente dell’esecutivo, allora guidato dall’attuale presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan, di gestire le situazioni internazionali in autonomia pressoché totale, staccate non solo dagli Stati Uniti, ma sempre più spesso anche dall’Unione Europea, che pure dovrebbe rappresentare il primo interlocutore per Ankara, visto che nel 2005 ha intrapreso un lungo e sempre più difficile cammino verso Bruxelles. Con l’avvento delle cosiddette primavere arabe, il Paese ha iniziato a manifestare la volontà di avere un peso sempre più rilevante nella regione, pensando di poter scalzare l’Egitto da suo ruolo di “player” mediorientale. La situazione siriana, in particolare, è quella su cui la Turchia ha osato di più, suscitando scetticismo e talora palese contrarietà, da parte della comunità internazionale. Il principale obiettivo, in questo momento, è la caduta del presidente alauita Bashar al-Assad. Un astio quasi personale, quello del presidente Erdogan, motivato ufficialmente da questioni umanitarie e di pace nell’area, ma che secondo molti analisti porta in sé una spiegazione ben diversa: la Turchia, Paese musulmano ma a forte impronta laica, sarebbe entrata a pieno titolo e con conseguenze devastanti nella lotta fra l’islam sunnita e quello sciita. Questo spiegherebbe il sostanziale patto di non belligeranza con lo Stato islamico, che sta tenendo sotto assedio da ormai due mesi la cittadina curda di Kobane, in territorio siriano e a poche centinaia di metri dal confine, senza che Ankara intervenga con l’esercito. Il Califfato rappresenta la maggiore minaccia per Assad, che Erdogan vorrebbe vedere deposto al più presto. Un atteggiamento, quello turco, che sta irritando sempre di più gli Stati Uniti, di cui la Turchia è sempre stata alleato importante, e che devono anche fare i conti con la frattura, non ancora sanata, fra la Mezzaluna e Israele. L’Unione Europea, anche a causa della questione mai risolta dell’isola di Cipro – divisa in due in seguito all’invasione dell’esercito turco nel 1974 – allunga i tempi del già problematico accesso del Paese nel club di Bruxelles. Come si vede, è una situazione gravida di tensioni, che si riflettono anche sulla tenuta interna. In agosto Recep Tayyip Erdogan è diventato il dodicesimo presidente della Repubblica, il primo scelto con elezione diretta. La sua vittoria è arrivata dopo oltre un anno di scontri nel Paese. Prima le proteste di Gezi Parki contro la sua virata autoritaria, poi gli scandali sulla corruzione in cui i figli di Erdogan e i suoi più fedeli collaboratori sono rimasti coinvolti. Per mesi la Turchia è stata interessata da una vera e propria lotta interna fra le due ali della destra turca. La prima rappresentata da Erdogan e la seconda, uscita ormai ufficialmente sconfitta, moralmente capitanata da Fetullah Gulen, il filosofo islamico che vive in autoesilio negli Stati Uniti ed è accusato di controllare buona parte della polizia e della magistratura. Il timore dell’opposizione è una deriva autoritaria che pesi sulla vita privata dei turchi e alcune dichiarazioni del presidente sulla parità fra uomo e donna fanno preoccupare la componente più laica del Paese. C’è poi il nodo irrisolto della minoranza curda, che conta circa 15 milioni nel

Page 25: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

Paese e con la quale Erdogan dal 2009 sta portando avanti negoziati coraggiosi che però non hanno ancora prodotto i risultati sperati. La situazione è in stallo da parecchi mesi e il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ha più volte minacciato la ripresa della lotta armata se non verrà trovata una soluzione. La Turchia ha già sperimentato le possibili conseguenze di questa eventualità il mese scorso, durante le prime fasi dell’assedio di Kobane. Migliaia di persone sono scese in piazza nell’est del Paese per manifestare contro le politiche del governo, il mancato aiuto ai curdi siriani, il lento stato di avanzamento del negoziato e in genere la condizione dei diritti della minoranza. Il bilancio è stato di 40 vittime e centinaia di feriti, provocati non dagli scontri con la polizia, ma da una pericolosa guerra fra bande che vede da una parte i curdi e dall’altra movimenti islamici o ultranazionalisti. È un Paese dove si agitano tensioni striscianti, ben dissimulate da un sistema di potere forte e da un benessere economico che per il momento tiene, nonostante la crisi. Ma che vede anche crescere le preoccupazioni sulla libertà di espressione e sulla deriva conservatrice. In questa Turchia, domani, arriva Papa Francesco. IL GAZZETTINO Pag 1 Ma ora Renzi deve rottamare i burocrati di Francesco Grillo Ci sono due buone notizie potenziali per l’Italia nel piano straordinario di investimenti che il Presidente della Commissione Europea Juncker ha annunciato ieri. E due, altrettanto potenzialmente, negative. La parte positiva è che si accetta, per la prima volta, che gli investimenti pubblici - quelli che avvengono sotto forma di contributi degli Stati al Fondo strategico che Juncker renderà operativo a giugno - possono avvenire senza pesare sulle regole del patto di stabilità. Ma anche che ci si pone l’obiettivo, finalmente ambizioso, di colmare con l’iniziativa della Commissione (che dovrebbe riuscire a mobilitare 315 miliardi di euro) quasi per intero il buco di investimenti che ci separa dai livelli pre-crisi (370 miliardi nella stima della Commissione). Ciò che lascia perplessi chi continua ad aspettare terapie d’urto, è che di “soldi freschi” ce ne sono pochi, come Juncker ammette. Ma, soprattutto, la notizia che dovrebbe preoccupare Renzi è che lo strappo all’austerità arriva in cambio di un rafforzamento del ruolo di quei tecnici contro i quali il Presidente del consiglio ha condotto una battaglia personale. Non c’è nessuna garanzia che i soldi versati dagli Stati al Fondo rifluiscano ai Paesi in funzione dei versamenti effettuati. A decidere sarà un gruppo di tecnici (proprio loro) e i progetti saranno esclusivamente valutati sulla base del ritorno sociale che garantiscono e della capacità di mobilitare ulteriori investimenti da parte dei privati. “Non abbiamo una macchina per stampare soldi”, dice Juncker, e, del resto, “la possibilità di spegnere lo spettro della deflazione buttando da un elicottero banconote” - come farebbe un monetarista di Chicago - non esiste. Con i tassi di interesse praticati dalla Banca Centrale Europea, già c’è una montagna di liquidità di cui banche e imprese non sanno cosa fare. Inoltre, il capo della Commissione ribadisce che “non permetteremo di accumulare ulteriori debiti che spetterà alle generazioni future pagare”, perché - a differenza di ciò che succedeva negli Stati Uniti dove fu chiamato Keynes a risolvere il problema della depressione - il debito pubblico in rapporto al Pil è già al 90% e la spesa pubblica è vicina alla metà. Non possiamo, dunque, permetterci un Piano Marshall e, tuttavia, il Piano Juncker vuole lanciare - facendo di necessità virtù - un’offensiva degli investimenti per sfuggire all’idea di aver perso un intero decennio nella stagnazione. Con l’intelligenza indispensabile per intervenire sulle innovazioni - banda larga, infrastrutture di trasporto, scuola, ricerca, tecnologie - che maggiormente possono attivare processi di sviluppo. I soldi andranno dove c’è qualità progettuale e capacità istituzionali. Più investimenti, dunque. Ma anche un forte premio a chi ha le capacità istituzionali per farlo. Ed è qui che la vittoria di Renzi rischia di trasformarsi in un’ennesima vittoria a metà. Perché se è vero che la burocrazia europea è parte del problema, ciò vale ancora di più per quella italiana. Siamo al ventiseiesimo posto su ventotto Paesi per capacità di spesa, ad esempio, degli investimenti finanziati con fondi strutturali che le regioni e le amministrazioni centrali avrebbero potuto impiegare per infrastrutture come quelle sulle quali il Fondo di Juncker concentrerà tre quarti delle sue munizioni. Peraltro, non solo perdiamo per strada - come spesso si sente dire - tanti dei soldi che ci spettano. La novità è che presto la Commissione Europea potrebbe, persino, chiederci la restituzione

Page 26: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

di alcuni miliardi di euro per finanziamenti spesi per progetti che non sono stati completati o che non funzionano: ciò potrebbe, ad esempio, portare in bancarotta centinaia di amministrazioni comunali in Campania. Non molto migliori sono le prospettive sulle infrastrutture telematiche: il Fondo di Juncker potrebbe fornire un’iniezione di liquidità assai significativa al progetto ambizioso appena annunciato dal governo, di voler portare la percentuale di popolazione italiana coperta da banda ultra larga dallo zero all’85%, da qui al 2020. Tuttavia, la strategia dell’Agenzia digitale di crescita dei servizi che dovrebbero incontrarsi sulla nuova autostrada informatica, non appare ancora in grado di “vedere” le tecnologie come fattore di trasformazione radicale dell’organizzazione di comparti come la sanità, la giustizia, la scuola. In questo contesto, l’autostrada potrebbe rimanere inutilizzata e destinata a logorarsi. Migliore è, tuttavia, la prestazione dell’Italia quando alla “gara europea per la crescita”, partecipano direttamente le singole università e le imprese senza l’intermediazione delle amministrazioni pubbliche. Sui cosiddetti “programmi quadro” l’Italia è al quarto posto: potremmo fare meglio, ma questo è un dato che deve far pensare che, seppur impoverito, il settore privato e quello della ricerca è più intraprendente di ministeri e regioni. Ottima la notizia di una grande sfida progettuale lanciata all’Europa. Per vincerla, però, è fondamentale fare un salto di qualità in Italia. E decidere di rottamare - sul serio - quei burocrati che sono più responsabili della Germania della crisi di investimenti e fiducia che ci fa soffrire più dell’Europa. Che le risorse si spostino - anche in Italia - dalle amministrazioni incompetenti a quelle più capaci. E dal pubblico al privato, se necessario. Con una frazione dei miliardi di euro di fondi strutturali che avranno a disposizione nei prossimi sette anni le amministrazioni italiane, potremmo anche noi cercare un effetto leva: istituire fondi chiusi che investano nelle “specializzazioni intelligenti” e nelle aree territoriali che il governo avrà identificato, lasciando a operatori finanziari internazionali che ci mettano soldi e competenze il compito di selezionare specifici progetti di innovazione. Il sottosegretario Delrio sembra aver colto la necessità di fare un cambio di passo. Un investimento in intelligenza. Da qualunque parte arrivi. Responsabilizzando tutti su una partita che non possiamo assolutamente perdere. LA NUOVA Pag 1 L’Europa che non è cristiana di Ferdinando Camon Il discorso del Papa al Parlamento Europeo ha espresso anche rimproveri e accuse, oltre a speranze e attese. Quando dice: «Sono convinto che l’Europa sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose», vuol dire in realtà che l’Europa non è in grado di far tesoro di quelle radici, le dimentica e le rinnega. È la vecchia questione delle radici cristiane dell’Europa, ignorate nel preambolo della sua Costituzione. Le conseguenze si vedono. E sono quelle contro cui è diretta l’accusa fondamentale del discorso di Strasburgo: l’Europa punta alla realizzazione d’interessi e non di valori. E crea cittadini europei intesi come lavoratori mercanti produttori, non uomini. Poiché gl’interessi dividono, e fare i propri interessi vuol dire non-fare (o danneggiare) gl’interessi degli altri, questa è l’Europa delle solitudini, non della solidarietà. Tutto il contrario dell’Europa che speravamo quando la facevamo nascere. L’Europa che nasceva era un sogno. L’Europa nella quale viviamo sta diventando sempre più un incubo. Cos’è la solitudine? È la condizione «di chi è privo di legami». Siamo, noi italiani, legati da solidi legami, cioè da interessi comuni, con tedeschi francesi spagnoli greci…? Ad ogni nostra difficoltà col debito o col pil, la Germania ci ricorda che dobbiamo fare di più, più austerità, più tasse, più sacrifici, e non importa se veniamo (e non siamo ancora usciti) da un periodo in cui tanti capi-azienda o semplicemente capi-famiglia che non ce la facevano s’impiccavano. Si respira un clima da ritorno delle Brigate Rosse. Qualcuno lo ha scritto. No, ha risposto qualcun altro: è il clima di un ritorno della Marcia su Roma. Tutti soffriamo di solitudine. Anzitutto gli anziani, che in una comunità basata sulla produzione sono i più fregati, perché hanno prodotto per tutta la vita ma adesso non producono più. Di fronte a loro ci sono i giovani, che non producono ancora, perché non lavorano. In una società basata sulla produzione, chi non produce è socialmente morto. Ora dirò una cosa crudele, e chi non vuol sentirla può saltare le prossime 4-5 righe: avere un figlio sui 30-35 anni che non ha lavoro e non sa dove cercarlo, è come avere in casa un morto. L’intera famiglia

Page 27: Rassegna stampa 27 novembre 2014 · Sovietica, attraverso parole messe sulla bocca di Yuri Gagarin, primo uomo a volare oltre l’atmosfera terrestre. Fecero sapere al mondo che da

piomba nel lutto. Oltre ad anziani e giovani, si trovano soli e abbandonati i poveri, decaduti dalla condizione proletaria o infimo-borghese verso le soglie dell’indigenza, che è la povertà di chi non ha niente. Se hanno la luce elettrica, usano una lampadina per illuminare due-tre stanze. E son sempre dal medico. Indigenti sono i migranti, che si guardano intorno smarriti, non credevano di trovare nelle nostre periferie tanta miseria. Nessun povero fa lega con gli altri poveri. L’Europa che non funziona è un moltiplicatore di solitudini. Dicono che in alto ci sia chi, con la crisi, ha raddoppiato le proprie ricchezze. Di certo, in basso, è aumentata la fame nel mondo. Ci sono quelli che muoiono per denutrizione, a milioni. «E non si può tollerare che milioni di persone muoiano di fame mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole». C’è un rapporto tra questo «scartare il cibo che è in più» e quel «morire per mancanza di cibo», il rapporto che c’è tra causa ed effetto. Il mondo che ha troppo è un mondo assassino. Eppure, lo Stato che ha tutto o ha tanto è lo Stato modello, a cui gli altri farebbero bene ad uniformarsi. Non c’è da stupirsi che un’Europa così progettata e costruita non abbia mai pensato ad affrontare insieme la questione migratoria. Le migrazioni sono il più grande evento dell’epoca che stiamo attraversando, scompaginano e ricostruiscono le civiltà. Eppure l’Europa le tratta come una malattia infettiva, chi ce l’ha se la cura in isolamento, è un problema suo e s’arrangia. Il capo del Cristianesimo è andato al Parlamento Europeo a parlare di «sacralità della vita», ma quel Parlamento fa funzionare una comunità basata sul «valore relativo» della vita: ci sono vite che valgono milioni di euro e vite che valgono qualche euro. O anche meno. Torna al sommario